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Libro Biodiritto 4.

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Introduzione:
I numerosi interrogativi che ci poniamo sono il frutto non dell'incertezza, ma della certezza.
Della certezza che più crescono le nostre conoscenze, più ci rendiamo conto di quante cose
non sappiamo; della certezza che più aumentano le nostre capacità tecnologiche e più
avvertiamo quanto sia grande la nostra fragilità.
E' difficile stare dietro ai continui cambiamenti determinati dalla Industria 4.0, in cui
meccanica, elettronica, fisica e biologia, con le loro complesse strutture e applicazioni si
incontrano a modificare l'economia, il lavoro, la politica, prospettando scenari in cui il senso
della vita e il rapporto con essa e con l'ambiente circostanze sono continuamente modificati.
Come sarà la Vita 3.0, cioè la vita tecnologicamente ridefinita in un ambiente
tecnologicamente rimodellato? Arriveremo al punto tale che la capacità di progettare nuove
sequenze di DNA ci permetterà di avere il corpo che vogliamo e ci aprirà le porte di una
nuova epoca.
Tuttavia, prima di arrivare a scenari così radicali, ammesso che il futuro ci riservi proprio
questo, ci troviamo ad affrontare tanti particolari cambiamenti che incidono in maniera
sempre più radicale sui nostri comportamenti. Fino a che punto possiamo continuare a
'essere umani nel mondo delle macchine?'.
Si parla dell'esigenza di elaborare una nuova cornice etica in cui sviluppare un "umanesimo
digitale" o un "ambientalismo etico digitale" che riesca a conciliare le nuove tecnologie con i
valori fondamentali dell'identità umana. Così, il diritto è chiamato a svolgere un ruolo
estremamente complesso non solo per la radicalità di molti problemi che ha di fronte, ma
anche perché è costruito su modelli e schemi concettuali spesso estremamente lontani da
quanto propone lo sviluppo tecnologico. Il diritto ha sempre svolto un ruolo determinante
nell'assecondare i processi di trasformazione nei limiti in cui è riuscito ad adattare i propri
paradigmi alle particolari esigenze poste dall'improvviso mutamento delle condizioni
materiali. -> es. il concetto di proprietà intellettuale è stata la risposta all'invenzione della
stampa a caratteri mobili, in quanto ha esteso il concetto di proprietà ben oltre i retaggi
derivanti dal diritto romano, a qualcosa di immateriale come le idee. Il libro è divenuto il
prodotto di una macchina e quindi un bene di consumo come tutti gli altri. I giudici hanno
dovuto affrontare il problema della proprietà delle idee, delle idee di chi scrive il libro e delle
idee di chi inventa una macchina per stamparlo.
La configurazione giuridica della proprietà intellettuale e l'istituzione del brevetto hanno
consentito di distinguere l'invenzione dalla riproduzione meccanica, la riproduzione
dall'utilizzazione, costruendo spazi diversi di mercato attraverso cui garantire una tutela
adeguata alle singole prestazioni.
Senza questo adattamento non si sarebbe potuti arrivare all'Industria 4.0. -> es. allo stesso
modo, senza la costruzione del concetto di 'morte cerebrale' non sarebbe stato possibile
affinare ed applicare la tecnica di espianto e trapianto di organi.
Uno dei problemi che ha assunto sempre maggiore importanza nel tempo riguarda lo stato
di un soggetto che si trova tra la vita e la morte: dovrebbe parlarsi di soggetti parzialmente
vivi o parzialmente morti? Il prolungarsi della vita in condizioni di grave demenza o di
incapacità ha indotto ad estendere i poteri del rappresentante legale ben oltre i tradizionali
confini patrimoniali, consentendogli di decidere usl tipo di terapie e anche sulla prosecuzione
delle stesse. Il testamento è diventato 'biologico' e le 'ultime volontà' si sono estese alle
questioni mediche di fine vita e alla destinazione, dopo la morte, del corpo o di parti di esso.
Iniziano ad esserci dei 'nuovi beni' quali il seme congelato, gli embrioni congelati, il
cadavere, ed anche gli appunti o i pensieri scritti nello stream di Facebook o in Twitter
assumono importanza rilevante, così come le foto in dropbox o i dati conservati in un
qualsiasi supporto informatico protetto da password.
Il diritto di successione è un aspetto del diritto di proprietà che annovera nei suoi oggetti
anche il corpo umano in tutte le sue possibili frammentazioni: organi, sequenze cellulari,
cellule, DNA, geni, virus, proteine. Sono tutti beni da conservare in una biobanca, da
sottoporre a brevetto, da utilizzare a scopi identificativi (biometria).
A partire dagli anni '90 si è tentato negli USA di utilizzare i risultati delle neuroscienze nel
giudizio sulla responsabilità dell'imputato per ottenere una riduzione di pena o la
diciharazione di infermità mentale. In Italia, diverse decisioni giudiziali hanno ammesso sia le
cd. indagini genetico-molecolari, sia l'impegno di nuove tecnologie di analisi metabolico
funzionale del cervello per accertare la responsabilità penale o per valutare l'attendibilità di
una testimonianza. Vengono messi in discussione la capacità di intendere e di volere, la
nozione di 'infermità', gli elementi di valutazione della gravità di un reato, i disturbi della
personalità. Bisognerà rivedere la configurazione dell'imputabilità, della pericolosità sociale,
dell'accertamento del vizio di mente, la capacità di stare in giudizio, l'idoneità a testimoniare
e l'attendibilità di qualsiasi deposizione.
L'intelligenza artificiale finirà per soppiantare i giudici? A questa domanda, il Presidente della
Corte suprema degli USA rispose che già è arrivato questo momento e che sta mettendo in
serie difficoltà l'operato della magistratura. Le neuroscienze, infatti, stanno aprendo scenari
inattesi e non sappiamo fno a che punto possano arrivare i progressi dell'intelligenza
artificiale, con l'elaborazione di software sempre più complessi e in grado di svilulìk'0j98765
ppare autonomi processi decisionali attraverso algoritmi.
Le linee di demarcazione tra naturale e artificiale, oggetto e soggetto, organico e inorganico,
diventano sempre più labili. In fondo, bisogna tenere sempre presente che un essere umano
è composto da 59 elementi: carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, calcio, fosforo, molibdeno,
vanadio, manganese, stagno, rame, cobalto, cromo. E allora, in cosa saremmo diversi da
Giove? Se la chimica ha prodotto la vita, può produrre anche il pensiero? Non si sa cosa
riserva il futuro, ma quel che è certo è che tante cose devono cambiare all'interno delle
tradizionali categorie giuridiche.

Capitolo 1: I biodiritti
Nel 2010 per la prima volta nella storia dell'umanità, le spese sanitarie (6,5 trilioni di dollari)
hanno superato le spese militari (1,74 trilioni di dollari). L'importanza della spesa sanitaria
nella nostra società indica una costante attenzione per la sofferenza, la vulnerabilità, la
disabilità, tutte condizioni che mettono in luce come la bioetica rappresenti uno degli aspetti
più delicati della sfera d'azione dei diritti umani.
Uno dei primi provvedimenti normativi di chiara valenza bioetica è la "Dichiarazione di
Helsinki sui principi della ricerca medica" del 1964 (emanata successivamente alla
Dichiarazione Universale dei diritto dell'uomo, emanata dall'ONU nel 1948; e
successivamente alla Convenzione europea per la salvaguaria dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali, del 1950). Prima di essa, nel 1947, il Codice di Norimberga, prendendo
spunto dagli orrori commessi nei campi di concentramento nazisti sugli esseri umani, trattati
come cavie (versucheperson), aveva posto la tutela dell'integrità personale a fondamento
del valore assoluto dell'umanità.
Nessuna di queste dichiarazioni afferma esplicitamente che la salute è un diritto (la prima
volta che è stato sancito ciò è avvenuta con l'art.32 Cost., che parla esplicitamente della
salute come fondamentale diritto dell'individuo). Nessuna di queste dichiarazioni colloca la
salute entro la sfera delle scelte intime e personali, piuttosto il diritto alla salute sembra
costituire un semplice riflesso del diritto alla vita.
Nella Dichiarazione di Helsinki la salute compare come un bene da tutelare e promuovere,
come fondamentale preoccupazione del medico, come oggetto di informazione, ma non
esplicitamente come diritto individuale.
Nella Dichiarazione sui diritti umani, la salute è configurata dall'art.25 solo come un aspetto
delle condizioni sociali: "Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la
salute e il benessere proprio e della sua famigli§-*a, con particolare riguardo
all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari".
Pure la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali sancisce l'obbligo dello Stato di proteggere la salute e la morale, quasi come
se fossero la stessa cosa.
In queste norme, la salute appare come qualcosa di oggettivo che riguarda l’ordine pubblico
ed è assolutamente estranea ai sentimenti e alle passioni individuali.
Solo l’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) aveva inserito la salute tra i diritti
fondamentali, al pari del diritto alla vita, alla casa, al lavoro, all’istruzione, alla partecipazione
politica, definendola ‘uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non
consiste soltanto in un’assenza di malattia o di infermità’.
Tuttavia, osservando le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, si nota un effetto
moltiplicatore dei diritti: il diritto a decidere con quali mezzi e quando la vita abbia fine, il
diritto all’identità sessuale, all’insindacabilità delle scelte procreative, alla procreazione, a
soddisfare il desiderio di avere un figlio, a diventare parenti genetici, alla conoscenza
dell’identità genetica, allo sviluppo della personalità, alla serenità, all’oblio..
Pertanto il concetto di salute si è allargato fino ad abbracciare tutte le sfere individuali e
soggettive.
Inoltre, il legame tra nuove tecnologie e mercato ha aumentato l’offerta di beni e servizi, e
anche nuove forme di emarginazione e sfruttamento. Manipolazioni genetiche,
neuroscienze, robotica e nanotecnologie, i big data, stanno cambiando il modo di intendere i
rapporti sociali e l’identità umana. Il corpo e la salute non appaiono come qualcosa di statico
e definito, ma piuttosto come semplici strumenti al servizio della domanda e dell’offerta. Si
afferma l’idea per cui il corpo è disponibile a misura della volontà del soggetto di scegliere i
propri stili e modelli di vita, definendo a proprio piacimento la sua sessualità, la
procreazione, la terapia e collocandosi in un’apposita parte di mercato.
Tutte le Dichiarazioni precedentemente elencate sono quindi ancora legate al passato,
cercano di porre fiducia alla capacità di raggiungere un equilibrio naturale tra scienza,
mercato e convinzioni individuali -> la loro visione della salute è oggettiva, quale
‘compromissione del normale stato fisiologico, come un guasto della macchina biologica’.
Allo stesso modo, la medicina appare come un sistema coerente ed indifferenziato di
diagnosi e terapie, pieno di sintomi e povero di dubbi, e il dovere del medico è quello di
garantire la migliore terapia possibile. Non è importante il consenso o la volontà del
paziente, quanto piuttosto lo è l’efficienza della prestazione erogata. Tale quadro normativo,
quindi, delinea più un “diritto all’assistenza sociale” che un diritto alla salute, poiché ignora
tutte le fratture che si possono determinare tra il diritto a ottenere una terapia (come
riparazione della macchina biologica) e il diritto alla salute (come dimensione esistenziale).

La Bioetica, invece, si sviluppa all’interno di una visione ‘soggettiva’ della salute, così come
viene delineata dalla Carta costitutiva dell’Organizzazione mondiale della sanità del 1946,
ossia come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non consiste
soltanto in un’assenza di malattia o di infermità”.
L’art.12 dell’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights sancisce che
“ognuno ha il diritto di godere del più alto standard attendibile di benessere fisico e mentale”.
L’art. II-3 della Carta dei diritti fondamentali ha collocato, subito dopo il diritto alla vita, il
principio del consenso libero e informato ai trattamenti sanitari, il divieto di pratiche
eugenetiche, il divieto di fare del corpo umano un oggetto di lucro, il divieto di clonazione
riproduttiva. -> così si è posto un dubbio: tale norma è il segno di una indissolubile
connessione tra bioetica e diritti umani? Il problema attiene al fatto che l’oggettività della
cura e la soggettività della malattia, pur toccando il medesimo problema, mettono in luce
aspetti differenti che creano una serie di contrapposizioni, quali il dovere del medico o il
diritto del paziente, vita fatto o vita valore, bene o benessere, autorità o autonomia.. tutti
concetti che hanno portato all’esigenza di avere un nuovo modo di concepire i diritti.
Negli ultimi anni si sono avute nuove sfere di diritti da tutelare, come i diritti fondamentali a
favore dei fanciulli, delle donne, degli indigeni, dei disabili, dei disadattati, dei malati mentali,
degli immigrati. Si parla di diritti di ‘terza generazione’, che danno rilievo alla diversità delle
condizioni soggettive, cercando di ridurre le discriminazioni indotte dai condizionamenti
sociali e culturali.
Si parla anche di diritti di ‘quarta generazione’, cioè diritti aventi ad oggetto la tutela degli
equilibri naturali messi in pericolo dall’alterazione dell’ambiente, dalla biosfera, dalle
manipolazioni genetiche, dallo sviluppo incontrollato della robotica e dell’intelligenza
artificiale.
Si assiste quindi ad un cambiamento di prospettiva dall’alto (top down), ampliando
l’orizzonte dei diritti, delle rivendicazioni soggettive e delle sfere di tutela.
L’incontro definitivo tra Bioetica e diritti umani è segnato dall’Universal Declaration on
bioethics and human rights, emanata dalla Conferenza generale dell’Unesco nel 2005:
questa dichiarazione enuncia un quadro generale di principi (dignità umana, giustizia,
uguaglianza, equità, minimizzazione del danno, diversità culturale e pluralismo, non
discriminazione, autonomia, privacy, condivisione dei benefici, responsabilità sociale,
responsabilità nei confronti della biosfera) che dovrebbero regolare gli sviluppi futuri della
comunità internazionale.
Oltre che questi cambiamenti dall’alto, si ha anche una radicale formulazione di alcuni diritti
fondamentali per effetto dell’operato dei giudici che hanno interpretato la varietà e la
complessità delle attese sociali. L’esperienza giuridica di questi ultimi anni è caratterizzata
da un ‘cosmopolitismo giudiziale’ che ha per oggetto i problemi di bioetica e con cui si da
voce alle esigenze più intime e profonde della persona.
Sono i giudici a definire una sorta di regole di condotta che divengono la base degli eventuali
e futuri interventi legislativi, ad aver inquadrato le questioni di inizio e di fine vita,
dell’accesso alle tecniche di fecondazione assistita, della brevettabilità del vivente, della
tutela della riservatezza, del godimento di farmaci sperimentali e farmaci salva vita.
Sentenza dopo sentenza, le soluzioni adottate sono spesso divenute oggetto di dichiarazioni
internazionali ancor prima di trovare un esplicito riconoscimento nella legislazione dei vari
stati; si è creato un processo circolare che da un caso specifico giunge alla comunità
internazionale e poi dalla comunità internazionale torna a influenzare le singole decisioni.
Questa “transnazionalizzazione dei flussi giuridici” si è determinata per effetto del cd.
“judicial borrowing”, cioè dell’assunzione di concetti giuridici, argomentazioni, assunti
culturali, espedienti tecnici, tratti dall’elaborazione giurisprudenziale di altri paesi. Quindi il
giudice non si sente vincolato solo al diritto statale nella misura in cui trova, nelle decisioni
maturate in altri contesti, un cambiamento di fronte al quale non può restare indifferente.
L’attività dei giudici ha costruito un ‘universalismo contestuale’ che definisce un quadro
giuridico sempre più articolato ed influente, fino ad assumere il ruolo di ‘coscienza’
universale delle linee di tendenza della nostra società. -> es. la sentenza della Corte di
cassazione italiana sul caso Englaro (con cui si autorizza l’interruzione dell’idratazione e
dell’alimentazione artificiale ad una donna in stato vegetativo persistente da 17 anni) fonda
una parte dei propri assunti su alcune decisioni della giurisprudenza americana (decisioni
sui casi Quinlan, Cruzan e Glucksberg), sulle decisioni dell’Alta Corte inglese (caso di Miss
B). Un altro es. è l’ordinanza della Corte Costituzionale italiana sul suicidio medicalmente
assistito per la morte di DJ Fabo, che pone a sostegno delle proprie argomentazioni la
giurisprudenza CEDU, le decisioni della Corte suprema del Canada e della Corte suprema
del Regno Unito.
Pertanto, in diverse circostanze gli orientamenti giudiziali hanno finito progressivamente per
sorreggersi l’uno sull’altro, basandosi su prospettive comuni, anche se all’interno di quadri
normativi diversi.
Tuttavia, il mercato globale e la rapidità dei flussi biologici hanno dato invece impulso ad un
opposto movimento disgregatore: si assiste ad un’aggressione dei diritti fondamentali da
parte di entità sovranazionali che operano nei settori più disparati (dalla finanza alla sanità,
dall’informatica alla robotica) che sfuggono ai controlli amministrativi e giudiziali da parte dei
singoli Stati, sia a qualsiasi altra forma di soggezione agli organismi sovrastatali e
internazionali.
Come disse Beck, infatti, i rischi globali sono caratterizzati dall’ ‘invisibilità’: l’invisibilità dei
flussi finanziari, della gestione dei dati e delle informazioni, della sede dei server o degli
host, dei meccanismi di governance della cd. ‘infosfera’.
Si è creato un sistema tecno-scienza-economia, che si è consolidato nel tempo, che
produce delocalizzazione, deterritorializzazione, volatilità.. tutti elementi strutturali di una
globalizzazione che non nasconde in alcun modo il proprio rifiuto istituzionale di qualsiasi
forma di limitazione e controllo. Non è un caso che è nato il cd. Deep Web, cioè un web di
traffici oscuri in un mondo nascosto, avente una sua moneta (bitcoin), le sue filiazioni
(blockchain) e le sue aggregazioni (hidden network).
Proprio perché la tecnologia rende il corpo umano e qualsiasi altra forma vivente come una
mera riserva di materiale biologico, emergono nuove forme di mercificazione e di
sfruttamento, e cioè il Biolavoro e le Biobanche della bioeconomia. I gameti, gli embrioni, le
cellule staminali embrionali, gli organi, gli uteri si possono cedere e acquistare; gran parte
degli elementi costitutivi del nostro corpo e di tutte le specie animali e vegetali (compresi
virus e batteri) sono stati brevettati per essere studiati, riprodotti, manipolati e
commercializzati.
Si sta sviluppando un’economia che si costruisce sul corpo, inteso sia come riserva di
materiale prezioso, sia come oggetto di cura, manipolazione e potenziamento. Quindi il
corpo non è più ‘l’incarnazione irriducibile di una persona’, ma è ‘un materiale fluido, senza
frontiere e frammentabile’. -> Questo tipo di economia è definita Biocapitalismo (e non
bioeconomia), il cui obiettivo è la ricerca del vantaggio economico, dell’incremento delle
conoscenze e la disponibilità delle risorse. Per il biocapitalismo il corpo è solo un eterogeneo
ammasso di elementi, uno strano miscuglio di energia e informazione, fisica e chimica, a
disposizione di chi vuole sfruttarlo.
Il corpo e le sue componenti sono annoverati tra gli oggetti; gameti, tessuti, cellule,
molecole, proteine, enzimi.. si possono isolare e conservare, espiantare e impiantare,
donare e cedere. Emerge una visione Riduzionista secondo cui l’identità del corpo si perde
dietro gli elementi che lo costituiscono e questi, a loro volta, si frantumano e suddividono.
Il corpo è un insieme di organi, gli organi sono un insieme di cellule, le cellule sono un
insieme di proteine, le proteine sono un insieme di reazioni chimiche. Molti pensano che il
corpo e le sue componenti debbano essere sfruttate fino in fondo in quanto costituiscono
una particolare risorsa. Tuttavia, purtroppo, esiste già un mercato semiclandestino che
aggira i divieti esistenti. Ma perché continuare ad alimentare i traffici illegali quando sarebbe
possibile l’incontro dei due interessi di chi ha due reni, ma gliene basterebbe uno solo per
sopravvivere, e di chi ha più euro di quanti gliene servono per andare avanti? Bisognerebbe
trovare un punto di incontro tra i due, cercando un rimedio alla carenza di organi e
permettendo una ‘cessione di biologia’.
Tuttavia, il divieto di mercificazione del corpo umano in un paese non impedisce l’acquisto di
organi e di gameti o l’affitto dell’utero in altri paesi. Il divieto dell’eutanasia in Italia può
essere facilmente aggirato andando dove è consentita o acquistando su internet un kit fai da
te. I divieti quindi sono facilmente aggirabili -> es. in Italia è vietata la fecondazione
eterologa, ma è legittimo il riconoscimento di un figlio nato con fecondazione eterologa. E’
severamente punita la compravendita di organi, ma non è prevista alcuna sanzione nei
confronti dei soggetti che si recano all’estero per acquistare organi da donatori viventi, ma
non si può negare loro l’assistenza del servizio sanitario nazionale per le terapie antirigetto.

In realtà, prima del corpo, è stata la salute ad entrare nel mercato con l’avvento della
brevettabilità dei farmaci. Nel 1846 un dentista americano, William Norton, brevettò
l’anestetico, fatto ritenuto riprovevole dalla comunità scientifica. Come disse George Orwell
<<di certe cose non si può discutere per vie di ‘interessi particolari’>> -> in relazione a ciò,
bisogna tenere presente che il prezzo dei farmaci è meramente virtuale, cioè non è
determinato dal rapporto tra i costi di produzione e le esigenze sociali, quanto piuttosto dal
‘willingness to pay’, cioè da quanto sono disposti a pagare i cittadini e lo Stato al fine di
garantire i livelli di assistenza essenziali e le assicurazioni, per coprire il rischio nei singoli
paesi.
Questo prezzo ha generato fenomeni assurdi, come il caso del super-farmaco anti-epatite C
Sovaldi, messo in commercio a prezzi proibitivi per il singolo cittadino e per i paesi in via di
sviluppo.
Inoltre, uno degli aspetti cruciali della nostra società è costituito dai cd. farmaci orfani per le
malattie rare, cioè dei farmaci per quelle patologie che non hanno un numero di pazienti
sufficiente a garantire un adeguato ritorno economico per la commercializzazione
industriale. Al riguardo i dati sono significativi: solo in Europa sono circa 30 milioni le
persone affette da malattie rare, ma sono stati approvati poco più di 60 farmaci. Circa altri
800 farmaci prodotti, di cui è stata riconosciuta la sua efficacia potenziale, non sono stati
sviluppati per mancanza di fondi.
Lo stesso è avvenuto per la malattia da virus ‘ebola’, che ha messo in luce, qualche anno fa,
una situazione di questo genere: pur in presenza di diversi studi in fase avanzata, nessuno,
prima del timore che l’epidemia si diffondesse in tutto il mondo, aveva interesse a finanziare
un prodotto che sarebbe stato utilizzato solo da qualche migliaio di persone in una delle parti
più povere del mondo.

La logica del potere sta cambiando e divenendo ‘sharp’. L’insieme delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione può divenire uno strumento di conquista e un
oggetto da conquistare. Il nuovo campo di battaglia è il cyberspazio, dove si sviluppano le
minacce nascoste su internet e i sabotaggi dei sistemi informatici fondamentali per il
funzionamento dell’insieme dei servizi di ogni nazione e della comunità globale.
Inoltre, il cyberwarfare (=cioè l’impiego di tecniche di intrusione o sabotaggio delle risorse
informatiche e fisiche di un paese avversario) opera a più livelli:
- la cyberpropaganda, per diffondere notizie false o alterare i processi di informazione
- il doxing, per sottrarre notizie private e poi utilizzarle a scopi eversivi
- lo spear fishing, per acquistare in maniera mirata dati sensibili per condizionare gli
sviluppi economici.
Non si possono identificare e quantificare le sistematiche violazioni dei diritti umani che
avvengono tra cyberwarfare e robot killer, ma è innegabile che la vittima sia il singolo
individuo che non sa più come e nei confronti di chi far valere i suoi diritti. Ma quali diritti?
Quante volte Google ci ha chiesto di usare la sua posizione? Che fine fanno tutte le
informazioni? Qual è la sede del server che gestisce tutti questi dati? E’ un solo server o più
di uno? A quale giudici bisogna rivolgersi per la tutela della privacy? A chi denunciare sul
web la vendita di farmaci dannosi? Come viene utilizzato il materiale biologico affidato alle
biobanche? Chi controlla il rispetto degli impegni assunti al momento della sottoscrizione del
consenso informato?
La tecnologia e la vulnerabilità del singolo individuo crescono assieme e mostrano i limiti di
uno Stato che ha sempre più strumenti di oppressione e sempre meno strumenti di tutela.
Oltre allo Stato, sono emersi anche altri soggetti che fondano la propria forza sul controllo
delle biotecnologie; si tratta dei cd. ‘big five’ o GAFAM (google, apple, facebook, amazon e
microsoft), delle cd. big pharma (Johnson e Johnson, Pfizer, Roche, Novartis e Merck) ->
essi possiedono capitali superiori al Pil di molti Stati e ciascuno, nei rispettivi settori,
possiede dei big data e dei brevetti sulle tecnologie più innovative.

La logica originaria dei diritti viene ripensata e ampliata grazie ad una più attenta sensibilità
verso le istanze soggettive. L’insufficienza dell’attuale architettura giuridica è strettamente
collegata al modificarsi della percezione dell’identità umana. E’ anche vero che il diritto non
può legittimare qualsiasi istanza soggettiva, ma non può neanche restare indifferente
all’aumento delle pretese di autodeterminazione. Chi è il custode della dignità umana? Lo
Stato oppure l’individuo (che decide il proprio destino e definisce l’estensione dei propri
diritti)?
Il divieto di intrusione nella vita privata sancito all’art.12 della Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo è divenuto il fulcro dell’attivismo giudiziario in quanto ha indotto a
considerare ogni vincolo e ogni incertezza nell’estensione dei diritti una intollerabile forma di
coercizione, una forma di pressione, motivo di angoscia e turbamento della serenità. In
questa ambizione di costruire una sfera intangibile di autonomia in cui l’individuo possa
ricercare quello che desidera senza interferenze e restrizioni al diritto alla libertà e alla
promozione della personalità, il ‘privato’ non riguarda solo la dimensione esterna delle
immagini e delle informazioni, ma giunge a tutelare la dimensione intima delle convinzioni e
dei sentimenti personali.
A tal proposito la Corte suprema americana e la Corte europea dei diritti dell’uomo giungono
ad affermare che “Ognuno ha il diritto di definire il proprio concetto di esistenza”.
Quindi, i diritti non derivano più dal rispetto della dignità, ma è la dignità a derivare dalla
quantità di diritti di cui il soggetto dispone e che esercita con la massima autonomia
possibile. Nascere, morire, curarsi, non sono più condizioni naturali da cui prendere
semplicemente atto, ma sono proiezioni variabili in base al senso che ciascuno dà alla
propria esistenza. -> es. nelle questioni di fine vita, la tecnologia offre la possibilità di
prolungamento della vita che il medico avverte come un dovere di assistenza, ma che il
paziente potrebbe subire come una costrizione a vivere. Il legislatore dove potrebbe porre
una soglia stabile in cui cessa il dovere di curare dell’uno e inizia il diritto a morire dell’altro?
Questa difficoltà trapela anche nel caso Cappato, in cui i giudici ritengono che non sia
possibile desumere l’inoffensività dell’aiuto al suicidio da un generico diritto
all’autodeterminazione individuale. Essi affermarono che è solo in situazioni eccezionali
(sintetizzate dalla Corte in un quadro ben definito, cioè che si tratti di una persona affetta da
patologie irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trova assolutamente
intollerabili, tenuta in vita per mezzo di trattamenti di sostegno vitale, capace di prendere
decisioni libere e consapevoli) che è possibile rinunciare alla tutela della vita.
La Corte inoltre non si pronuncia in merito all’obiezione di coscienza, in quanto non vi è
alcun obbligo di procedere in tal senso in capo ai medici; resta affidato alla coscienza del
singolo medico scegliere se prestarsi o no a esaudire la richiesta del malato.
Tuttavia, questi sono problemi che appartengono al passato. Oggi, si discute di come la
crionica consente, dietro un corrispettivo che varia tra gli ottantamila e i duecentomila dollari,
di mettere i propri cadaveri in criosospensione fin quando la scienza non troverà il modo di
riportarli in vita. Dal punto di vista giuridico, non definisce questi soggetti ‘conservati a basse
temperature’ come soggetti ibernati, ma piuttosto si ritiene che si tratti solo di un aspetto
della medicina di emergenza e dunque non si può parlare di morte, ma piuttosto di ‘vite in
attesa’. Quindi i soggetti in crioconservazione non sono vivi, ma non sono neppure morti. Il
diritto propenderà per una opzione o per un’altra in base alle acquisizioni tecnologiche e in
base alle rivendicazioni soggettive. -> sarà il soggetto a decidere se considerare la propria
morte irreversibile o se prevedere una situazione di attesa, in base ai termini dei contratti
stipulati con le società preposte alla crioconservazione.

Oggi è cambiata la portata dei diritti umani, infatti essi includono aspetti e temi diversi e più
ampi rispetto alla loro originaria formulazione. -> es. l’art.3 della Dichiarazione del ‘48 sul
diritto alla vita: la Corte europea aveva affermato nel caso Pretty che ‘’il diritto alla vita non
può, senza una distorsione del linguaggio, essere interpretato nel senso di attribuire
all’individuo un diritto diametralmente opposto, né può dare vita a un diritto di
autodeterminazione nel senso di attribuire all’individuo il diritto di scegliere la morte piuttosto
che la vita’’. Per cui è chiaro che per la Corte europea il diritto alla vita è un ‘diritto a non
morire’, e a non morire in un certo modo.
Il diritto a morire ha assunto un ruolo sempre più centrale nella riflessione bioetica: prima è
emerso come omission = cioè come una libertà negativa, il rispetto dell’integrità e autonomia
personale, che giustifica il diritto a rifiutare le cure, anche salvavita. Poi è emerso come
commission = cioè il problema di non perpetuare una vita cognitivamente vuota. Quando
però una vita è cognitivamente vuota? Nello stato vegetativo persistente o nelle forme più
gravi di demenza? nelle fasi terminali della malattia? Visto che i giudici si chiedevano
continuamente queste domande, si è fatta strada la pretesa pretesa positiva (commission) a
morire con dignità attraverso la legittimazione del suicidio medicalmente assistito. Pertanto il
diritto alla vita diventa il diritto di decidere sui momenti fondamentali della propria esistenza.
Così anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha abbattuto in pochi anni la barriera tra la
vita e la morte posta dal caso Pretty, riconoscendo l’esistenza del diritto di un soggetto
autonomo e competente di scegliere di morire e di decidere come e quando morire.
La concezione del diritto alla vita è cambiata sia per effetto del pensiero attinente alla
‘stanchezza della vita’ causata dal logoramento della malattia, sia per la convinzione che tra
la vita e la morte vi sia una zona grigia, sospesa tra la coscienza e l’incoscienza. Tale zona
grigia dipende esclusivamente dalle scelte individuali.

Questa visione non coinvolge solo le questioni di fine vita, ma anche quelle di inizio vita.
Molto diffusa in bioetica è l’espressione ‘’aborto post natale’’, cioè l’interruzione delle cure a
un neonate avente gravi malformazioni. Si parla anche di ‘’eutanasia fetale’’ per indicare
l’interruzione della gravidanza.
Con l’espressione ‘’wrongful life’’ si giustifica l’interruzione della gravidanza nel caso di gravi
patologie del nascituro.
Molti paesi affidano alla volontà dei genitori stabilire se il feto abortito sia una ‘’non vita, uno
scarto biologico’’ o una vera e propria vita, un bambino che va comunque dichiarato nello
stato di famiglia e che viene sepolto dopo un funerale regolare.
Non sappiamo dove ci condurranno questi sviluppi. Molti paesi hanno disciplinato il suicidio
medicalmente assistito e sono sempre meno i dubbi sull’avere una disciplina in merito, che
sembra quasi doverosa.

Capitolo 2: Intelligenza artificiale e/o intelligenza morale?


A seguito della creazione dei computer, composti da un software elettronico e un hardware
meccanico, sta emergendo la creazione di nuovi congegni e nuove utilizzazioni che si
consolidano attorno ad una nuova forma di intelligenza, che nasce dalle macchine e si
sviluppa con le macchine, andando anche oltre le macchine.
Non si tratta più di sole applicazioni di meccanica ed elettronica, ma anche di ulteriori
materie quali la biochimica, biologia molecolare, fisiologia, linguistica, filosofia, psicologia
cognitiva, genetica comportamentale, neuroscienze… tutta una serie di conoscenze diverse
ma tutte convergenti nel progettare meccanismi con sempre più ampi margini di
automazione (robot, androidi).
Le macchine sono evase dai loro stretti confini e hanno dimostrato una vasta capacità nel
riconoscimento di pattern, nella comunicazione complessa e in altri campi che prima erano
esclusivamente umani.
Si parla di ‘’Intelligenza artificiale’’ = tale espressione deriva dall’inglese ‘’artificial
intelligence’’ e viene attribuita all’informatico americano John McCarthy, che la usò per la
prima volta nel 1956. Tale terminologia nel corso del tempo ha assunto implicazioni molto
più vaste rispetto a quelle previste originariamente, in quanto inizialmente ‘’intelligence’’
indicava semplicemente la capacità di acquisire e scambiare informazioni; successivamente
‘’artificial intelligence’’ è stata un’espressione usata per indicare qualcosa di tendenzialmente
analogo alle funzioni cerebrali umane, ponendo il conseguente problema del pensiero e
della consapevolezza.
I problemi che ne sono derivati sono: le macchine pensano o potranno pensare? cos’è il
pensiero? da dove scaturiscono l’intelligenza e il pensiero? sono il dono di un’entità
trascendente come insegna l’esperienza religiosa? sono un connotato esclusivo degli esseri
umani?
Secondo la prospettiva del riduzionismo materialistico = l’universo si è spontaneamente
creato dal nulla; la chimica e la fisica hanno prodotto la biologia e, a sua volta, la biologia ha
prodotto il pensiero e poi il nostro complesso cervello e i neuroni. Questa visione muove dal
presupposto che le leggi della scienza mostrano che tutto deriva da una combinazione di
particelle, da uno scontro tra neutroni e protoni, che ogni cosa è frutto del caso.
Secondo la teologia = tutto ha un senso e l’intelligenza (logos) è l’elemento cruciale del
legame tra Dio e l’uomo, che si costituisce con la creazione.
Altre prospettive sono quelle di David Chalmers = per cui gli stati psichici, pur essendo
occasionati da sistemi fisici che si trovano nel cervello, non sono riconducibili
esclusivamente alla fisica, ma alle proprietà insite nell’universo.
La visione di William James = sostiene che l’universo è permeato da una ‘polvere mentale’
(mind dust).
Lo studioso di neuroscienze Christof Kock sostiene che la coscinza sia una caratteristica
fondamentale dell’universo, e non solo della materia vivente. Ogni cosa, dalle piante ai
metalli, è cosciente in materia diversa perché contiene un nucleo minimo di informazione e
quindi anche di coscienza. Ciò è sostenuto anche da Federico Faggin, un fisico che si
occupò dello sviluppo dei primi microprocessori. Faggin sostiene che la materia inerte abbia
una coscienza, che dal silicio porta all’anima, purché dinanzi ai campi quantici venga meno
la tradizionale distinzione tra materia inerte e organismi viventi. La visione di Faggin viene
definita ‘’scienza della consapevolezza’’ e Faggin propone il termine ‘’nousym’’ (sintesi di
nous e symbol).
Una visione più religiosa è sviluppata da Leonardo Boff, ex frate francescano annoverato tra
i teologi della teoria della liberazione, in cui viene sviluppata l’idea di un ‘’principio
cosmogonico’’, secondo cui l’umanità dovrebbe riscoprire l’unità tra le dimensioni spirituali e
le proprietà che animano l’universo; Dio è in tutto senza che tutto sia Dio.
In chiave strettamente laica giunge al medesimo risultato James Lovelock = secondo cui gli
esseri umani sarebbero uno strumento dell’autorganizzazione dell’universo che prende
coscienza di sé attraverso l’uomo, in quanto è quest’ultimo che crea i cyborg e gli esseri
elettronici che diffonderanno l’intelligenza nel cosmo. L’intelligenza artificiale è il mezzo che
consente di porre rimedio ai guasti che in questi ultimi anni l’uomo ha arrecato agli equilibri
ecologici. Secondo Lovelock, attraverso i cyborg inizierà una nuova era, il cd. Novacene,
che durerà in eterno, perché riuscirà a sopravvivere anche all’implosione del Sole. Egli disse
che ‘’i cyborg, lasciati libere di evolvere, possono alla fine portare a termine lo scopo
dell’universo, qualunque esso sia. Forse l’obiettivo finale della vita intelligente è la
trasformazione del cosmo in informazione’’.
Riduzionismo materialistico e spiritualizzazione della materia sono lontani quanto vicini, in
quanto pongono a sostegno della propria visione l’emergere dell’intelligenza artificiale.
Gli studiosi e i filosofi sono d’accordo nell’affermare che ‘non sappiamo cosa ancora non
sappiamo sia sull’evoluzione biofisica che sull’origine della coscienza’, per cui ci muoviamo
solo sul piano delle congetture.
Lo scrittore di fantascienza Vernor Vinge in un suo saggio del 1983 parlò di ‘’singolarità
tecnologica’’, dicendo che ben presto l’uomo avrebbe creato delle intelligenze superiori a
quella umana; quando ciò sarebbe avvenuto, la storia umana avrà raggiunto una sorta di
singolarità, una transizione intellettuale che farà in modo che la realtà andrà ben oltre la
nostra comprensione.
Il termine ‘’singolarità’’ ha poi avuto la sua consacrazione scientifica in un saggio di Ray
Kurzweil del 2005 intitolato ‘’The singularity is near’’, per indicare quella situazione in cui il
ritmo del cambiamento è così estremo che la tecnologia tende ad espandersi a una velocità
non più controllabile, per cui i computer saranno sempre più intelligenti fino ad arrivare a
modificarsi e programmarsi in assoluta autonomia, superando anche l’intelligenza umana.
Visto che il cervello umano è costituito da un ammasso di molecole regolate dalla fisica
(acqua, grassi e proteine), allora si possono configurare queste sostanze artificialmente in
modo da creare un’intelligenza in grado di effettuare calcoli sempre più complessi.
Si propende verso la costruzione di cyborg, cioè di uomini-macchina destinati all’immortalità
digitale. Pertanto, ci si affida alla tecnologia per correggere i limiti e i difetti della nostra
natura.
I vari modelli di intelligenza sono in grado di giocare a scacchi, a go e di risolvere il cubo di
Rubik in meno di mezzo secondo, tradurre in più di 60 lingue, condurre un veicolo, effettuare
diagnosi, progettare un esperimento e brevettare un farmaco, riconoscere i volti e
interpretare le emozioni.
La tecnica di ‘’machine learning’’ (apprendimento profondo) è frutto dell’incontro tra
neuroscienze e fisica quantistica, ed ha portato alla fabbricazione di nuovi super computer
che usano reti neurali artificiali multistrato. Ciascuno strato contiene migliaia di unità che
comunicano tra di loro fino ad assestarsi in uno schema stabile che poi si modificherà
successivamente, per effetto di altri progressivi cambiamenti su altri livelli più elevati. In
generale, vengono prodotti schemi assolutamente inattesi da parte degli stessi
programmatori (black box effect).
Il White Paper della Commissione europea sottolinea come le caratteristiche di molte
tecnologie di intelligenza artificiale siano l’opacità (black box effect), la complessità,
l’imprevedibilità e la tendenza ad un comportamento più autonomo.
Le ricerche di reverse engineering (ingegnerizzazione inversa) tentano di replicare
meccanicamente il funzionamento del cervello; dopo la simulazione di un topo, si è arrivati a
simulare un ratto, che contiene 150milioni di neuroni e presenta notevoli somiglianze con il
cervello umano, soprattutto nell’organizzazione della corteccia cerebrale.
Nonostante sia estremamente complesso, il cervello finisce per apparire solo come un
fenomeno chimico, regolato dalla fisica.

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