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QUASIMODO ED ERMETISMO

Alle fronde dei salici è la lirica con cui si apre la raccolta Giorno dopo Giorno, che è la raccolta che riflette la
svolta della produzione poetica di Quasimodo, che come sappiamo, durante il periodo della seconda guerra
mondiale, era molto ermetica e più chiusa.

Questa chiusura era influenzata molto dal periodo storico, un periodo molto critico che aveva caratterizzato
l'Italia a partire dalla fine della Grande Guerra e i primi anni del secondo dopo guerra. Per comprendere la
poesia di questi decenni è necessario tener conto quindi, del nuovo scenario politico: era il periodo in cui
l'Italia era sotto il regime fascista, e come sappiamo, era proibita qualsiasi forma critica e opposizione al
governo di Benito Mussolini, e durante il quale si cercava di distogliere del tutto i poeti e gli intellettuali in
generale, dall'affrontare tematiche civili e sociali; un altro motivo fondamentale era il disprezzo per la
traduzione delle opere straniere, portando così la poesia italiana, in una sorta di isolamento culturale, in
una dimensione intima e privata,portandola a rintanarsi nei meandri dell'animo, rispecchiando anche la
condizione dei poeti e dell'essere umano in generale, fino alla liberazione dal nazifascismo.

La corrente poetica del periodo tra le due guerre fu l'Ermetismo. L'origine del termine ERMETICO si deve a
Francesco Flora che pubblicò un saggio intitolato LA POESIA ERMETICA, nel quale polemizzava contro la
poesia di quell'epoca, da lui giudicata oscura, di difficile comprensione. Per definire gli autori di questa
corrente, egli utilizzò ironicamente la parola ermetici, riferendosi ad ermete trismegisto, una versione greco
romana del dio Thot che secondo il mito aveva composto dei testi in un linguaggio esoterico, misterioso e
riservato solo ad una cerchia ristretta.

Accanto a questa visione negativa dell'ermetismo, c'è il saggio LETTERATURA COME VITA di Carlo Bo
considerato il manifesto teorico dell'Ermetismo, pubblicato sulla rivista il Frontespizio, una delle riviste più
importanti di questo periodo, in cui si trattavano problemi religiosi e cattolici e lontano dal fascismo,
possiamo dire imparziale ( a differenza dell'altra rivista Campo di Mare che invece era di carattere
rivoluzionario.campo di mare= luogo in cui veniva svolto l'addestramento militare, punto di riferimento
della rivoluzione francese.)

Carlo Bo vide nell'ermetismo qualcosa di bello e profondo e rovesciò la concezione dannunziana della vita
come "opera d'arte", considerandola non più come una professione, bensì come una condizione
esistenziale e come l'unico movimento di verità dell'animo umano. Quindi i poeti ermetici puntano
sull'esistenzialismo e non sull'essenzialismo. Affinchè la poesia diventi qualcosa che porta l'uomo ad andare
oltre il grigiore della quotidianità, questa deve essere riservata ad una cerchia ristretta, deve possedere un
linguaggio simbolico e forme che non siano assolutamente descrittive bensì allusive, non esplicite ma
suggestive.

Questo anche perchè la poesia ermetica si basa sui modelli della poesia simbolista, sul potere evocativo e
musicale della parola, utilizzando simboli e analogie come strumenti per conoscere la vera realtà. Dal punto
di vista stilistico gli ermetici, vennero molto influenzati dalla poesia di Ungaretti, dalla sua ricerca di
essenzialità e di una poesia pura, sganciata da tutte le contingenze storiche.

Nella poesia ermetica anche i luoghi e i paesaggi erano indefiniti, non c'erano punti di riferimento. Essi
perdevano la loro concretezza e acquisivano potere assoluto, non facendo più parte di un panorama reale
ma di una geografia mentale, espressione di intimi e privati spazi. Anche i contenuti sono introspettivi in
quanto il poeta esprime se stesso in un monologo che esclude il contesto storico, per cui la poesia ci appare
come una voce isolata, atemporale ed estranea a tutti i temi sociali. Le opere erano caratterizate anche da
una sintassi rarefatta e frammentata, attraverso l'abolizione della punteggiatura e degli articoli per
conferire valore assoluto alle parole.

L'unico problema dei poeti ermetici è proprio questo isolamento, appunto come se fossero quasi degli
ermetici, chiusi in se stessi; ovviamente come abbiamo detto in precedenza il periodo storico influenzò
moltissimo questo aspetto e non è un caso che i temi ricorrenti dell'Ermetismo fossero proprio il dolore
intimo, la difficoltà del vivere e la solitudine. Questa distanza dal contesto storico per alcuni stava a
significare una forma di tacito consenso all'ideologia fascista ma questo pensiero fu abbattuto, se così
vogliamo dire, da un poeta ermetico Mario Liuzi, il quale spiegò che il loro isolamento era dovuto
all'assenza di alternative culturali e politiche, quindi come una sorta di difesa contro la possibilità di
assimilarsi al fascismo.

La poesia novecentista /ermetica, trova in Quasimodo il poeta ermetico per eccellenza, che riempie le sue
opere di parole allusive, di metafore preziose e di sinestesie, rendendola così sempre oscillante tra allusività
e chiarezza.

*antinovecentista: saba e pascoli, poesia delle piccole cose e della quotidianità*

Questa poesia, invece, si presenta molto più corale e più accessibile , vicina al Neorealismo che è il periodo
che segue l'Ermetismo.

La poesia parla della situazione dell'Italia dopo la seconda guerra mondiale, e proprio la guerra e l'orrore
che aveva sparso tra la gente, spinse il poeta a dare il suo contributo per la ripresa dell'uomo attraverso la
poesia, quella poesia che esprime la verità nella quale l'essere umano e il poeta stesso si riconoscono.

E' una poesia che esprime dolore, sofferenza, soprattutto dalla parte dei poeti che di fronte ai drammatici
avvenimenti che colpirono l'Italia, dovettero spegnere la loro voce e partecipare in silenzio al dolore
collettivo.

"E come potevano noi cantare


Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento."
PARAFRASI

E come facevamo noi, poeti, a continuare a scrivere durante l’oppressione nazista, col piede degli stranieri sopra al nostro cuore,
tra i morti abbandonati nelle piazze, sparsi sui prati congelati, col pianto innocente dei bambini, e l’urlo disperato della madre che
cercava il figlio, impiccato a un palo del telegrafo?
Anche le nostre cetre, per un voto di silenzio, oscillavano appese inerti, al triste vento di guerra, appese alle fronde dei salici.
Tra i diversi significati simboli che troviamo in Alle fronde dei salici, c'è quello del "piede straniero", inteso come i soldati tedeschi
che freddamente calpestano i sentimenti (il cuore) di tutto il popolo. Quasimodo inserisce dei riferimenti alla religione, usando altri
significati simbolici come la "madre (Maria) che va incontro al figlio crocifisso (Gesù), oppure quando usa "l'agnello" come animale
per rappresentare i lamenti dei bambini.
Quasimodo nelle sue poesie usa molto spesso i riferimenti al Vangelo; questo probabilmente significa che ha vissuto una vita
all'insegna della religiosità. Lo stesso fatto di "fare un voto" è simbolo di sottomissione a un dio, più precisamente, in questo caso, a
Dio della religione Cristiana.

Per poi tornare alla realtà, nella poesia, inserisce un elemento che quasi "stona" con i riferimenti biblici: "il palo del telegrafo",
messo quasi in antitesi con il "figlio crocifisso", proprio per accentuare il legame tra il Vangelo e la vita moderna, grazie anche ad
un enjambements che divide crocifisso da figlio per metterlo più vicino possibile al "palo del telegrafo".
La poesia è scorrevole e l'italiano usato è quasi quotidiano, nonostante alcuni significati simbolici e alcune metafore che
potrebbero bloccare la scorrevolezza della poesia. Anche la struttura da una parte contribuisce a rendere immediato il messaggio,
poiché essa è quasi assente: le frasi sono scollegate dal punto e immediate; dall'altra, per rispettare la struttura, l'autore ha
collegato insieme più concetti nella stessa frase, rendendola lunga e forse anche un po' di ostacolo alla scioltezza nella lettura.

La poesia è stata costruita a partire da un passo biblico, il Salmo 136, che racconta degli israeliti che, deportati a Babilonia, si
rifiutano di cantare lontani da casa loro

Sono scene di vita quotidiana, umile e sommessa, stravolte dall’atrocità e dalla crudeltà della guerra, tanto è che il palo del
telegrafo, oggettivo materiale e concreto, diventa simbolo della crocifissione e della pietà dell’uomo, ora alienato, ora deturpato,
ora battuto con cieca e inutile violenza da chi finge o crede, ancora più grave, di appartenere alla razza suprema del mondo (nota:
Riferimento al nazismo. Difatti, il dato storico riguarda nello specifico l’occupazione di Milano da parte delle truppe naziste dopo il
25 luglio 1943, quando ebbe inizio la resistenza), in cui tutto è consentito, persino la possibilità di stabilire la morte altrui. Il pianto
del fanciullo simile a quello di un agnello è utile, ancora una volta, per accentuare la crudeltà disumana delle sofferenze che
colpiscono anche chi è indifeso, anche chi è innocente di fronte ai problemi dei grandi.
La compattezza, offerta dalle immagini e dalle emozioni contrastanti che ne derivano, aiuta a sottolineare la capacità propria
dell’autore di convertire ogni cosa del reale da un piano naturalistico a un piano simbolico. Non si tratta di una capacità innata e
congenita di Quasimodo, ma viene adesso fornita dall’impossibilità di dare spazio alla poesia, la quale non può offrire che il silenzio,
nell’immagine delle “cetre” che oscillano, quasi in balia di se stesse,appese alle fronde dei salici, l’albero che rappresenta e
simboleggia, in una versione di vera disumanizzazione, il pianto e il dolore. Il canto del poeta è un muto lamento, impotente di
fronte all’orrore e la poesia, priva di ogni valore e di ogni significato, perde la sua ragione d’essere.
Ma c’è ancora una speranza, direbbe Leopardi, che del suo pessimismo ha fatto un inno alla vita, non una rassegnazione lamentosa
e angosciosa, ma rivendicazione vigorosa del diritto alla vita, alla giustizia e anche alla felicità, come protesta e ribellione generosa
ed eroica, per quanto disperata, contro tutte le forze ostili che soffocano quel bisogno naturale e spontaneo dell’umanità. Un
bisogno ora ripreso da Quasimodo, riaggiornato a un nuovo esercizio poetico.
La prima persona plurale (‘noi’, ripresa al verso 9 dalle ‘nostre cetre’) indica e identifica il bisogno misto di speranza e umanità, a
conferma di una direzione inedita della stessa poesia. Il ‘noi’ esprime con sguardo critico il valore, assoluto e incontrovertibile, della
solidarietà, della compartecipazione e della condivisione non solo umana, ma universale. La guerra e i suoi effetti sono stati
disastrosi per tutto il genere umano, ora piegato e asservito, opportunisticamente, al potere, alla logica spietata del potere, in cui
assente risulta ogni gesto, ogni azione etica e morale, volta al bene dell’umanità.
In una tale prospettiva, Salvatore Quasimodo lancia il messaggio, sotterraneo e inatteso, della solidarietà, della possibilità di
stringere i mortali in ‘social catena’, affinché la condivisione e l’unione tra gli uomini sulla terra possano alleviare il peso della
sofferenza. Il peso, quello generato dalla sofferenza, difficilmente scomparirà tra gli uomini, difficilmente potrà essere cancellato.
La ferita è profonda, il dolore di una madre per la perdita del proprio figlio è il segno di una vita ormai giunta al tramonto, alla fine,
così come i morti tra le piazze rimangono senza vita, spezzato il loro cuore e scosso il loro agire. Il tentativo dell’autore allora
potrebbe sembrare vano, insensato, ma non è cosi. L’irriducibilità stessa del tentativo porta Quasimodo a rivendicare il diritto
umano di ogni uomo offeso dalla guerra a proclamare giustizia e umanità per uomini, perché di uomini si tratta, vinti sul piano
sociale e terreno, vincitori su quello morale.
Il sentimento di fratellanza evidenzia, in una chiave di lettura più chiara, il fulcro del discorso, sviluppato in forme sempre più
comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore. Alle fronde dei salici diventa cosi l’umanizzazione di un
sentimento di profonda commozione, simbolico, quasi divino.

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