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Leonardo Resciniti

5^SB

Søren Kierkegaard (1813-1855)


È il più grande e noto filosofo danese. Considerato il padre della filosofia esistenzialistica; si oppone
con forza alla filosofia idealistica e al Sistema hegeliano, del quale critica la svalutazione
dell’individualità in favore dell’universale e dell’Assoluto.
Vive tutta la vita a Copenaghen, abbandonando pochissime volte la città. In una di queste occasioni si
reca a Berlino dove segue le lezioni di Schelling, che giudica «chiacchiere fastidiose».
È figlio del secondo matrimonio di un ricco commerciante molto religioso e dalla personalità
malinconica e tormentata, che lo influenza profondamente. Studia teologia all’Università di
Copenaghen dove riceve il dottorato con una tesi dal titolo Sul concetto di ironia in costante riferimento
a Socrate, e dopo la morte del padre decide di dedicare la sua vita al servizio di Dio; anche per questa
scelta non si sposa con la fidanzata Regine Olsen, che però considera come una “musa ispiratrice” in
grado di elevare l’uomo al di sopra dell’esperienza ordinaria.
Scrive la maggior parte delle sue opere letterarie e filosofiche in forme nuove, contaminando diversi
generi e senza seguire modelli fissi, e le pubblica sotto pseudonimo indicandosi come curatore dei
diversi scritti. Scrive anche opere a carattere religioso.
Le sue opere e il suo particolare stile di vita lo portano ad essere criticato, anche da giornali del tempo
come il “Corsaro”, di posizioni progressiste, avverso alle posizioni conservatrici di Kierkegaard. Muore a
42 anni rifiutando di ricevere la comunione dal pastore, dopo aver dilapidato la fortuna paterna e dopo
molte battaglie con l’ordine costituito.
Opere principali: Sul concetto di ironia in costante riferimento a Socrate, Enten-Eller (Aut-Aut), Stadi sul
cammino della vita, Briciole filosofiche, Timore e Tremore, La malattia mortale, Il concetto dell’angoscia,
Discorsi edificanti, Esercizio di Cristianesimo, Diario.

 Critica all’hegelismo e al “cristianesimo borghese”


Contro Hegel
Kierkegaard è uno dei filosofi che si scontrano con l’hegelismo, e lo rifiuta nella sua interezza. Mentre
Hegel pensa alla realtà come necessità, per Kierkegaard essa è possibilità. Due sono le critiche che
sono mosse al Sistema hegeliano: la prima riguarda la dialettica, la seconda la concezione
dell’individuo. Hegel costruisce il suo sistema attraverso la dialettica triadica, caratterizzata dalla
presenza della sintesi, ovvero un elemento che contiene sia tesi sia antitesi; per Kierkegaard non esiste
la sintesi, non esiste la dialettica conciliatrice hegeliana dell’et-et, in cui due opposti possono
coesistere, ma tutto si fonda sulla dialettica dell’esclusione, la dialettica dell’aut-aut; le situazioni
antitetiche nella vita dell’uomo non possono essere superate con una sintesi, ma è necessario
compiere una scelta.
Il Sistema di Hegel analizza la realtà dal punto di vista della totalità onnicomprensiva dell’Assoluto, e
perciò considera l’individualità come inferiore all’universalità; Hegel, parlando dell’universale, ritiene
che gli individui siano una replica del genere, come succede per gli animali. Kierkegaard invece muove
la sua critica partendo dall’individuo e dalle sue caratteristiche singolari, poiché sono i singoli individui
che costituiscono l’umanità. Non vuole ridurre l’uomo ad un animale come Hegel, l’individualità è
eccezionale, unica, è qualcosa da considerarsi “a sé”, non come parte di qualcosa di più ampio.
Il Sistema si fonda sulla necessità, rifiutata da Kierkegaard in nome della possibilità e della scelta.
L’esistenzialismo
Per questo elemento di novità nella sua riflessione, Kierkegaard è considerato il padre
dell’esistenzialismo; egli, anche influenzato dalle esperienze personali, anticipa la consapevolezza
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dell’indecifrabilità del mistero del Destino e della vita, al quale non si può dare risposta. Per
Kierkegaard l’esistenza umana è costantemente minacciata dal fallimento.
Contro il “cristianesimo borghese”
Kierkegaard era una persona molto religiosa, come il padre in seguito alla cui morte ha deciso di
consacrare la propria vita a Dio.
Il Cristianesimo protestante e Dio per Kierkegaard riempiono totalmente l’esistenza dell’individuo, e
non permettono di essere vissuti contemporaneamente ad una “vita borghese” classica. Questa
radicale concezione della religione si scontra aspramente con l’ideale del “cristianesimo borghese”
propugnato dalla filosofia hegeliana e dalla Chiesa Ufficiale di Danimarca. Contro di essi Kierkegaard si
scaglia in diverse fasi della sua vita, e scrive delle opere polemiche a carattere religioso come Esercizio
di Cristianesimo del 1850.
Alla visione hegeliana del Cristianesimo viene rimproverato il riadattamento dei precetti religiosi
operato per metterli in accordo con il disegno filosofico idealistico e per tutelare gli interessi della
borghesia; contro la Chiesa danese Kierkegaard si scaglia in seguito alla nomina a vescovo di un teologo
hegeliano di nome Hans Maertensen come successore di Jacob Mynster, entrambi considerati simbolo
di una Chiesa mondana e inconsapevole del vero messaggio cristiano.
Il Cristianesimo per Kierkegaard è una condizione esistenziale dell’uomo, che cerca stabilità nel
tumulto della vita, ed essere cristiani significa aderire totalmente e in maniera radicale ai principi della
morale cristiana. Per questo motivo, al momento della sua morte, Kierkegaard rifiuta la confessione del
pastore, membro di una chiesa corrotta.

 Sul concetto di ironia in costante riferimento a Socrate


Titolo della tesi di dottorato in teologia di Kierkegaard all’Università di Copenaghen del 1841.
L’ironia
Socrate, attraverso l’uso dell’ironia nel processo maieiutico, riesce a far emergere la coscienza del
singolo disorientandolo e rivelando la vacuità delle certezze stabilite, «spogliandolo di tutto e
spedendolo via a mani vuote»; queste caratteristiche sono proprie secondo Kierkegaard del rapporto
fra il singolo e Dio, poiché il cristiano può diventare tale soltanto cambiando profondamente la
propria vita.
L’ironia allontana gli uomini dall’ideale di stabilità che hanno in loro, poiché scardina e svaluta ogni
cosa: ha la duplice funzione di non assolutizzare e di tenere lontano dai “tranelli del relativo”, ovvero la
convinzione che ciò in cui crediamo e che pensiamo di conoscere sia esatto.
Rapporto con Socrate
La principale differenza fra il messaggio di Socrate e quello di Kierkegaard sta nella sua
caratterizzazione: il messaggio di Socrate è intellettualistico, esorta alla ricerca razionale e ha come
punto di riferimento la concezione secondo cui l’uomo vive nel Bene e lo ricerca o lo ignora
attivamente; secondo Kierkegaard invece la dimensione autentica dell’esistenza si trova nella Fede,
incomprensibile e paradossale, un salto verso Dio e l’accettazione della condizione umana come
“immersa nel peccato”.
Un’altra differenza sta nel risultato dell’uso dell’ironia: l’ironia socratica permette all’uomo di
distaccarsi e negare le proprie convinzioni e i propri pregiudizi, ma non ha un reale contenuto da
sostituire a ciò che nega, ha soltanto funzione negativa; l’ironia kierkegaardiana invece non si ferma
alla negazione ma, facendo riferimento a Cristo, rovescia l’esperienza ordinaria in nome di una scala di
valori radicalmente diversa e sconvolgente per la vita del singolo.
Leonardo Resciniti
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 Enten-Eller (Aut-Aut)
Saggio filosofico del 1843 che presenta i primi due stadi esistenziali, o modelli esistenziali, che
caratterizzano la riflessione kierkegaardiana: lo stadio estetico e lo stadio etico; caratterizzati da uno
specifico modo di intendere e vivere la vita. Nell’opera sono presenti diversi riferimenti, da quelli
polemici nei confronti della dialettica hegeliana all’interno del titolo, a moltissime citazioni a Mozart, in
particolare il Don Giovanni, e Goethe, in particolare il Faust.
Secondo Kierkegaard vi è una differenza fra essere ed esistere, fra essenza ed esistenza. L’essenza è
indagata dalla metafisica, e per Kierkegaard «non esiste nessuno che esista metafisicamente»; la
metafisica investiga la natura generale di un oggetto, mentre la riflessione kierkegaardiana ha carattere
opposto: indaga il singolo e l’esistenza individuale. Nessuno esiste metafisicamente perché la
metafisica non è in grado di esprimere e spiegare il cammino esistenziale del singolo.
Gli stadi esistenziali descritti non sono essenze generali, bensì sono cammini di vita nei quali trova
espressione l’esistenza dell’uomo.

o Vita Estetica: già esposta in un romanzo pubblicato prima di Enten-Eller, il Diario del
seduttore, il personaggio-simbolo di questo stadio è il Seduttore.
Johannes nel Diario del seduttore, in onore del Don Giovanni di Mozart, rimane anonimo in Enten-Eller,
la sua vita è caratterizzata dall’immediatezza e dall’assenza di responsabilità.
Vi è una differenza fra il Don Giovanni e il Seduttore però: il primo è incarnazione del desiderio, non
compie scelte di alcun tipo ed è un “collezionista” di donne, di cui ama il loro essere donne, ha una
personalità impulsiva; il Seduttore non è un conquistatore “primitivo”, non desidera il corpo della
donna ma l’anima, gioca con gli stati d’animo, è calcolatore e non colleziona, abbandona dopo
l’innamoramento.
L’esteta è egocentrico e desidera rispecchiarsi nel suo godimento; non ama gli altri, ama sé stesso. Per
l’esteta la realtà è noiosa, vuota di significato ed interessante solo se in essa ritrova sé stesso.
Kierkegaard descrive la percezione della realtà da parte dell’esteta con l’espressione «panteismo
demoniaco», poiché per il panteista tutto è pieno di Dio mentre per lui tutto è vuoto e noioso.
La vita estetica non è una vita morale, l’esteta vive l’attimo poiché in esso vede l’eterno, e vive di
attimi successivi cercando la propria stabilità nella ripetizione.
Si elimina la noia con il divertimento: per quanto si cerchi di sfuggire, la noia si ripresenta sempre, e il
piacere non basta mai.

o Vita Etica: opposto della vita estetica, è caratterizzata dal senso di responsabilità e dalla
trasparenza, contrapposta al mistero e all’ambiguità del Seduttore; il personaggio-simbolo di
questo stadio è il Marito.
In Enten-Eller la figura del marito è incarnata dal Magistrato Wilhelm, che conduce una vita etica e
morale fondata sulla fiducia e sulla responsabilità. Il coronamento della vita etica è il matrimonio,
espressione di un amore sincero, in cui si uniscono sensualità e spiritualità, e di fiducia. Nonostante
questo il marito, come l’esteta, vive la ripetizione e la crede stabilità, ma lo fa attraverso l’abitudine.
La condizione caratterizzante del marito non è la noia come per il seduttore, bensì è l’illusione: la vita
etica si fonda sulla responsabilità e sul senso del dovere, che sono considerati espressione della natura
umana; la vita del marito è orientata alla scelta del bene e alla fuga dal male. Il senso di appagamento
che il tipo etico prova vivendo secondo queste regole è però illusorio, poiché per quanto egli possa
condurre una vita retta sarà sempre in difetto quando si rapporterà con Dio.
Leonardo Resciniti
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 Timore e Tremore
Saggio filosofico del 1843 in cui viene presentato il terzo stadio esistenziale, quello della vita religiosa,
del totale abbandono a Dio. Il titolo, secondo Kierkegaard, esprime l’unico atteggiamento possibile nei
confronti del mondo divino; la vita umana è macchiata dal peccato, davanti a Dio nulla ci rende
innocenti e le uniche possibilità sono l’abbandono e la fiducia.
Tutta l’opera è una riflessione sul capitolo 22 della Genesi, in cui Dio chiede ad Abramo di sacrificare
suo figlio Isacco come atto di Fede; per questo motivo il personaggio-simbolo della vita religiosa è
Abramo, attraverso la cui vicenda viene mostrato il carattere incomprensibile della Fede.
Per Kierkegaard la peculiarità della Fede sta proprio nel suo essere incomprensibile, scandalosa,
indecifrabile e paradossale: il Cristianesimo predica la Bontà e crede in un Dio che ordina ad un uomo di
uccidere il proprio figlio, nonostante uno dei Dieci Comandamenti reciti “Non uccidere”; la Fede richiede
agli uomini di compiere un salto qualitativo ed esistenziale verso Dio.
o Qualitativo: superare l’etica e abbandonare le proprie convinzioni.
o Esistenziale: compiere determinate scelte ben precise, che conducono verso una direzione
chiara di abbandono a Dio.
Questo carattere della Fede fa emergere il singolo e il suo rapporto personale con Dio, momento
definito come «solitudine piena», espressione ancora una volta paradossale; Dio e l’Eternità pongono
l’uomo di fronte a sé stesso, «ci rende trasparenti», l’uomo è al contempo in rapporto con sé stesso e
con Dio: «il singolo come singolo sta in un rapporto assoluto con l’assoluto».
La relazione uomo-Dio si fonda sulla sospensione e il superamento dell’etica, poiché Dio è oltre i
concetti che definiscono l’agire umano, scegliere la via della Fede e la vita religiosa permette il
raggiungimento del vero appagamento, non quello illusorio dell’esteta e del marito, ovvero
l’accettazione del paradosso e del rapporto indecifrabile con Dio.

 La malattia mortale e Il concetto dell’angoscia


Queste due opere, scritte nel 1844 e nel 1849, svolgono una funzione centrale nella riflessione
kierkegaardiana: sottolineano come l’angoscia e la disperazione siano gli aspetti più profondi della
condizione umana, escludendo la Fede.
La filosofia di Kierkegaard rovescia la prospettiva ottimistica secondo cui l’uomo è libero e capace di
determinare il suo destino; l’uomo è libero ma non ha idea di ciò di cui è capace.
L’opera Il concetto dell’angoscia è un saggio di carattere filosofico, mentre La malattia mortale espone
l’unica soluzione, nell’ottica kierkegaardiana, per liberarsi dall’angoscia e dalla disperazione:
abbracciare la fede cristiana “pura”.
Uomo e Io
Per Kierkegaard l’uomo è un “io” solo quando si mette in relazione non soltanto con le cose ma anche
con sé stesso («rapporto che si mette in rapporto con sé stesso»); si può essere uomini, ma non
sempre si è un “io”, la condizione è avere coscienza di sé.
L’uomo vive la disperazione e l’angoscia a seconda del termine con cui si rapporta: il rapporto
dell’uomo con sé stesso porta alla disperazione, il rapporto dell’uomo con il mondo porta all’angoscia.
Disperazione
La disperazione è la “malattia mortale” che dà il titolo all’opera di Kierkegaard, e caratterizza il rapporto
dell’uomo con sé stesso, ovvero la coscienza di sé da parte dell’uomo come sintesi di elementi che si
mettono in relazione con l’esteriorità e l’interiorità.
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In questa prospettiva la disperazione sembra avere la qualità positiva di far emergere la coscienza
come aspetto caratterizzante dell’uomo. La consapevolezza di sé sviluppata dall’uomo secondo
Kierkegaard non è la comprensione chiara e completa di sé come manifestazione di qualcosa di
superiore, come invece sostiene Hegel nella Fenomenologia dello Spirito, bensì essa genera un
sentimento negativo caratterizzato dalla solitudine e dal peccato.
La disperazione rimanda l’uomo a sé stesso, poiché non può liberarsi dalla sua coscienza, e ne svilisce
la condizione. Questo circolo di disperazione è superabile soltanto affidandosi a Dio; gli uomini che
rifiutano Dio e cercano altri modi di liberarsi dalla disperazione sono condannati e illusi, poiché
cercano di mettersi in rapporto con sé stessi attraverso qualcosa di esterno che schermi la loro vera
condizione: il Seduttore si rapporta con sé stesso attraverso le donne conquistate, il Marito attraverso
la moglie.
Angoscia
Secondo Kierkegaard gli uomini sono “liberi di poter fare”, ma non consapevoli delle proprie capacità,
perciò la libertà è indissolubilmente legata alla possibilità e nonostante sia ammessa l’esistenza del
libero arbitrio la libertà di agire unita all’inconsapevolezza generano impotenza.
La libertà mette a nudo la limitatezza umana. Per spiegare meglio questo concetto Kierkegaard utilizza
la vicenda di Adamo ed Eva, in particolare l’episodio della “cacciata dal paradiso terrestre”: essi sono
liberi di agire, ma non comprendono il divieto di Dio di mangiare il frutto proibito poiché non
conoscono la differenza fra il bene e il male. La limitatezza di Adamo ed Eva è stata ereditata da tutti
gli uomini, che vivono la loro stessa condizione di “ignorante innocenza”.
La consapevolezza di essere liberi ma al tempo stesso limitati, e l’inquietudine di fondo causata dalla
possibilità di sbagliare e rimanere nel peccato genera il sentimento dell’angoscia, descritta da
Kierkegaard come «vertigine della libertà»; essere liberi significa essere angosciati.
La soluzione in Dio: la Fede
Solitudine, disperazione e angoscia sono condizioni che l’uomo vive e dalle quali non può uscire, non è
in grado di salvarsi da sé; la filosofia non è sufficiente per comprendere i misteri del mondo.
Superiore alla filosofia, e in grado di liberare gli uomini, è la Fede, totalmente al di fuori delle capacità
di comprensione razionale, il completo abbandono a Dio e l’adesione ai veri principi di vita cristiani.
Per Kierkegaard gli uomini non sono condannati alla disperazione e all’angoscia ma sono, come detto
dal filosofo Blaise Pascal, “un enigma la cui soluzione si trova in Dio”. C’è la possibilità della salvezza,
ma è ugualmente possibile la dannazione eterna.

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