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Corso di Misure Meccaniche A.A.

2008/2009 A cura di Tiano Francesco Antonio

MISURE
MECCANICHE
Prof. Adolfo Senatore

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Corso di Misure Meccaniche A.A. 2008/2009 A cura di Tiano Francesco Antonio

INDICE

1. MISURE E MISURAZIONE
1.1. Considerazioni generali pag. 5
1.2. Definizioni pag. 6
1.3. Grandezze fisiche fondamentali e derivate pag. 7
1.4. I sistemi di misura del passato pag. 8
1.4.1. Il sistema inglese pag. 8
1.4.2. Il sistema CGS pag. 8
1.4.3. Il sistema pratico pag. 9
1.5. Il sistema S.I. pag. 9
1.6. Scale di temperatura pag. 10
1.7. Cifre significative pag. 11

2. CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI STATICHE DI


STRUMENTI E TRASDUTTORI
2.1. Considerazioni generali pag. 13
2.2. Analisi delle caratteristiche statiche degli strumenti pag. 13
2.2.1. Taratura statica pag. 13
2.2.2. Sensibilità statica pag. 13
2.2.3. Fattori influenzanti l’incertezza di una misura pag. 15
2.2.4. Concetti e definizioni sulla accuratezza degli strumenti
o delle misure pag. 18

3. STRUMENTI DI ELABORAZIONE STATISTICA DELLE


MISURE
3.1. Note di statistica elementare pag. 20
3.2. Distribuzioni di probabilità pag. 23
3.3. Criterio di esclusione di Chauvenet pag. 26
3.4. Il test del χ2 pag. 26
3.5. Rappresentazione con box-plot e
box-plot modificato: outliers pag. 29

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4. CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI DINAMICHE DI


STRUMENTI E TRASDUTTORI
4.1. Strumenti del I ordine pag. 32
4.1.1. Risposta ad un segnale a gradino pag. 32
4.1.2. Risposta ad un segnale armonico pag. 34
4.1.3. Risposta ad un segnale generico pag. 35
4.1.4. Risposta ad un segnale rampa pag. 36
4.2. Strumenti del II ordine pag. 37
4.2.1. Risposta ad un segnale a gradino pag. 37
4.2.2. Risposta ad un segnale armonico pag. 38
4.3. Attenuazione pag. 39

5. MISURE DI SPOSTAMENTO E POSIZIONE


5.1. Generalità pag. 40
5.2. Accelerometri pag. 40
5.2.1. Gli accelerometri piezoelettrici pag. 40
5.2.2. Modello analitico pag. 41
5.2.3. Tipologie di montaggio dell’accelerometro pag. 42
5.2.4. Problemi in transitorio pag. 42
5.2.5. Condizionatori di segnale pag. 44
5.2.6. Influenza di grandezze esterne pag. 44
5.2.7. Il range di temperatura pag. 44

6. MISURE DI DEFORMAZIONE
6.1. Generalità pag. 45
6.2. Estensimetri a resistenza elettrica pag. 45
6.2.1. Influenza della temperatura pag. 46
6.2.2. Rosette di estensimetri pag. 47
6.2.3. Trasduttore di forza strain-gage pag. 47

7. MISURE DI FORZA E DI COPPIA


7.1. Generalità pag. 50
7.2. Misure di forza pag. 50
7.2.1. Trasduttori di forza piezoelettrici
(celle di carico) e tipologia di installazione pag. 51
7.3. Misure di coppia pag. 51

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8. MISURE DI TEMPERATURA
8.1. Generalità pag. 52
8.2. Principio di funzionamento di una termocoppia pag. 52
8.2.1. Potere termoelettrico pag. 52
8.2.2. Legge delle temperature successive pag. 53
8.2.3. Errori nella misura pag. 54

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1. MISURE E MISURAZIONE
1.1. Considerazioni generali
Gli scopi per cui viene utilizzato un sistema di misura sono molteplici; lo scopo della misura è
quello di controllare un processo, come ad esempio un termostato, tarare uno strumento o misurare
un parametro ignoto.

Fig. 1.1.

In questa figura viene riportato uno schema per l’esecuzione di una misura con lo scopo di
aumentare la comprensione di un fenomeno parzialmente conosciuto, la quale può essere
considerata come la finalità principale del misurare.
Del sistema fisico in questione si ha una serie di conoscenze qualitative, derivanti da precedenti
esperienze, che porta alla definizione di un modello preliminare il quale permette di formulare delle
ipotesi da utilizzare nella scelta o progettazione dello strumento di misura.
All’uscita dello strumento si ottengono delle informazioni che si vanno a confrontare col modello
preliminare per scegliere eventualmente un nuovo modello.
Il processo fisico in questione è in parte già conosciuto sia come fenomeno principale, sia come
fenomeni secondari. Nei fenomeni secondari si considerano le grandezze di disturbo.
Le grandezze di disturbo non identificabili possono avere una influenza piccola o grande; rimane
sempre e comunque una certa incertezza nel misurare.
Una misura è di carattere tecnico-scientifico solo se è riproducibile. La riproducibilità non è mai
assoluta, è assicurata solo entro certi limiti teorici.

Nello stesso processo conoscitivo si possono verificare errori dovuti alle seguenti ragioni:
− impossibilità di raggiungere la “cosa in sé”; in altre parole la complessità e la natura dell’oggetto
sono irraggiungibili dal pensiero umano;
− “traduzione” del fenomeno in un’immagine concepita nel linguaggio interiore del sistema
analizzatore; dalle misure emergono molte informazioni e di queste hanno significato solo
quelle che si è riusciti ad ipotizzare prima;

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− formalizzazione dell’immagine interiore in un “modello” espresso in un linguaggio


trasmissibile; per poter trasmettere la conoscenza scientifica da un sistema all’altro, i due sistemi
devono essere compatibili, avere cioè le stesse basi di conoscenza.

Le informazioni di misura che si ottengono derivano dalla conoscenza dell’uscita dello strumento
(gu) e del fenomeno in ingresso (gi), alle quali occorre aggiungere le grandezze di influenza che
alterano il processo.

Fig. 1.2.

L’incertezza sulla grandezza che si vuol misurare (gi), può essere causata dall’interferenza dello
strumento di misura sull’ambiente. La grandezza d’ingresso non è ben definita; c’è incertezza nel
descrivere il modello della grandezza che si vuol misurare.
Anche le grandezze di disturbo non si conoscono bene e concorrono ad aumentare l’incertezza del
valore in uscita dello strumento.
Indagando con spirito critico l’azione del misurare si scopre che la misura non è un numero, ma è
data dall’associare un numero e un intervallo d’incertezza a un certo fenomeno, di cui si è stabilito
il fenomeno di riferimento (unità di misura).
Secondo la definizione euclidea la misura è il rapporto tra grandezza misurata e l’unità di misura.
La tendenza attuale è di esprimere la misura con insiemi confusi (fuzzy sets) nei casi in cui non è
consentita l’individuazione di un numero nell’intervallo di misura.

1.2. Definizioni
Esistono diverse norme per la definizione dei concetti coinvolti nel processo della misurazione fra
cui si ricordano Misure e misurazioni termini e definizioni fondamentali UNI 4546.
− Misura: informazione costituita da un numero, un’incertezza ed un’unità di misura, assegnata a
rappresentare un parametro in un determinato stato del sistema.
Nell’effettuare la misura è importante definire lo stato del sistema, il quale è descritto da un
certo numero di variabili di stato.

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− Incertezza: intorno limitato del valore di un parametro, corrispondente agli elementi della fascia
di valore assegnatogli come misura.
− Unità di misura: termine di riferimento adottato per convenzione, per confrontare una
grandezza con altre della stessa specie.
− Parametro: ogni grandezza pertinente a un sistema alla quale è necessario assegnare valori per
descrivere il sistema stesso, la sua evoluzione, e/o le sue interazioni con altri sistemi e con
l’ambiente.
− Stato del sistema: insieme dei valori assunti contemporaneamente dai parametri del sistema.
− Compatibilità delle misure: condizione che si verifica quando le fasce di valore assegnate in
diverse occasioni come misura dello stesso parametro nello stesso stato hanno almeno un
elemento in comune.
Perché misure diverse siano compatibili, è necessario e sufficiente che esista un elemento
comune a tutte le fasce di valore: un insieme di misure che soddisfa a questa condizione si dice
mutuamente compatibile.
− Incertezza intrinseca: è la minima incertezza che può essere assegnata nella misura di un
parametro.
− Modello: insieme organico di relazioni tra valori di parametri, descrivente le interazioni e la
evoluzione dei sistemi.
Il modello permette:
a) previsioni sul comportamento del sistema;
b) verifica della compatibilità tra misure diverse dello stesso parametro;
c) misura di un misurando per mezzo di misure sul altri parametri;
d) misura di parametri non misurabili con metodo diretto.

1.3. Grandezze fisiche fondamentali e derivate


Per la determinazione di una misura sarebbe possibile in teoria applicare il metodo diretto a quasi
tutte le grandezze. Alcune grandezze però, in pratica, sono solo determinabili col metodo di misura
indiretto.
Il procedimento di misura diretto e quello indiretto applicati alla stessa grandezza potrebbero
comportare incertezze diverse e implicherebbero l’uso di numerosi fattori di conversione nella
espressione analitica delle leggi fisiche.
Al fine di ridurre al minimo i fattori di conversione risulta perciò evidente l’opportunità di stabilire
una convenzione che preveda la misura diretta solo per alcune grandezze chiaramente fondamentali,
mentre le altre, dette derivate, possono essere determinate indirettamente a partire dalle prime.
Fissate le grandezze fondamentali, e di conseguenza le derivate, si devono adottare opportune unità
di misura per poter esprimere i risultati tramite numeri. Ad esempio, indicando con:
G = grandezza da misurare
n = numero reale
Ug = unità di misura corrispondente
i = incertezza
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 = ( ± ) ∙

dobbiamo poter esprimere

Una convenzione di questo tipo costituisce un sistema di unità di misura.

Per raggiungere il massimo grado di semplicità un sistema di unità di misura dovrebbe essere:
− completo: le sue unità di grandezze fondamentali sono sufficienti a rappresentare
quantitativamente tutti i fenomeni;
− assoluto: le unità di misura sono invariabili nel tempo e riproducibili nello spazio;
− coerente: i fattori di conversione che compaiono nelle espressioni di prodotto o quoziente tra le
unità delle varie grandezze sono uguali ad uno;
− omogeneo: tutte le grandezze fisiche derivate e le relative unità di misura possono essere
ricavate dalle grandezze fondamentali e dalle loro unità, mediante espressioni monomie;
− decimale: tutti i multipli e sottomultipli delle unità di misura sono scelti secondo le potenze di
dieci;
− razionalizzato: i coefficienti numerici che compaiono nelle leggi sono scelti in modo che i
fattori irrazionali multipli di π appaiono solo in formule relative a configurazioni circolari,
sferiche o cilindriche, ma comunque non piane.

1.4. I sistemi di misura del passato


1.4.1. Il sistema inglese
Le unità di misura del sistema inglese sono in uso negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in alcune sue
ex colonie.
Esso assume come grandezze fondamentali la lunghezza, la massa e il tempo e le corrispondenti
unità di misura sono la iarda, la libbra e il secondo.
Si usano multipli e sottomultipli decimali di tali grandezze solo nella fisica.
Per le lunghezze come sottomultipli si usano il piede, uguale ad un terzo di iarda, e il pollice, uguale
ad un trentaseiesimo di iarda.
Nella meccanica è diffuso l’uso di sottomultipli binari del pollice (1/2, 1/4, 1/8, 1/16, 1/32, 1/64).
La libbra ha un multiplo, lo stone, uguale a 14 libbre, e un sottomultiplo, l’oncia, uguale ad un
sedicesimo di libbra.
Il sistema inglese non risulta coerente e non è decimale; il suo uso è piuttosto complesso.

1.4.2. Il sistema CGS


Il sistema CGS fu introdotto nel 1881 dal Congresso Internazionale di Elettricità e che assume come
grandezze fondamentali la lunghezza, la massa e il tempo.
Le corrispondenti unità di misura sono il centimetro, il grammo ed il secondo, i multipli e i
sottomultipli sono tutti decimali.
Il sistema CGS è incompleto poiché non comprende grandezze elettriche né magnetiche quindi è
adatto soltanto per rappresentare dei fenomeni meccanici.
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Per la rappresentazione dei fenomeni elettromagnetici è stato introdotto il sistema (CGS)es


elettrostatico e (CGS)em elettromagnetico.
In ciascuno di essi oltre alle tre grandezze meccaniche si assumono due nuove grande fondamentali
numeriche.
Nel sistema (CGS)es si considerano unitarie la costante dell’elettromagnetismo γ0 e la costante
dielettrica del vuoto ε0.
Nel sistema si (CGS)em si considerano unitarie la costante dell’elettromagnetismo γ0 e la costante
magnetica del vuoto µ0.
Esiste poi il sistema Gauss che è ancora usato in campo scientifico. Esso si basa sull’uso del
(CGS)es per grandezze elettriche e del (CGS)em per quelle di tipo elettromagnetico. Il sistema Gauss
inoltre non è razionalizzato. Il sistema Lorenz si basa sul sistema Gauss ma è razionalizzato. Nel
1935 venne adottato il sistema Giorgi o MKS Ω denominato così dal nome delle quattro grandezze
fondamentali del sistema (metro, chilogrammo, secondo, ohm) che erano definite in via
sperimentale. A questo sistema furono associati altri due sistemi che sostituiscono all’ohm
rispettivamente il Coulomb (sistema MKSC) o l’ampere (sistema MKSA). Questi sistemi vennero
razionalizzati ma sono incompleti.

1.4.3. Il sistema pratico


Il sistema pratico, o tecnico, o degli ingegneri, ha come grandezze fondamentali la lunghezza, la
forza, ed il tempo.
Le corrispondenti unità di misura sono il metro, il kilogrammo-forza ed il secondo.
Le ragioni della sua scelta risiedono nella praticità della misura di alcune grandezze di uso comune
espresse in questo sistema, e nell’immediatezza percettiva.
Pur con questi pregi il sistema pratico ha numerosi difetti. Infatti, pur essendo omogeneo non è
coerente; ad esempio l’unità di massa (indicata con u.p.m.) risulta 9,81 kg. Inoltre se si confonde il
kilogrammo massa con il kilogrammo peso, dipendendo quest’ultimo dalla gravità, che varia da
luogo a luogo, si ha un sistema che non è neanche assoluto.
Nel 1956 la Norma ISO R 51 ha definito il kilogrammo forza come la forza che imprime alla massa
di un kilogrammo una accelerazione di 9,80665 m/s2; tale accelerazione fu chiamata anche gravità
standard o gravità normale.
Questo provvedimento rende il sistema assoluto ma gli fa perdere l’immediatezza dell’equivalenza
forza-peso.

1.5. Il sistema S.I.


Le grandezze di base e le corrispondenti unità di misura nel Sistema Internazionale di Unità di
Misura, o sistema S.I., sono le seguenti. Le prime quattro sono definite indipendentemente l’una
dall’altra, le rimanenti tre sono definite in base alle altre.

• Lunghezza (l)
Il metro (m), ovvero la distanza percorsa nel vuoto dalla luce nell’intervallo di tempo di
1/299792458 s.

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• Massa (m)
L’unità di misura è il kilogrammo (kg) che è la massa del cilindro di platino-ridio conservato al
Pavillon de Bretenil (Sévres), definito campione primario N. 1.
• Tempo (t)
L’unità di misura è il secondo (s) che è la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione emessa in
corrispondenza della transizione fra i due livelli dello stato fondamentale del cesio 133.
• Temperatura termodinamica (q)
L’unità di misura è il kelvin (K), che è la frazione di 1/273,16 della scala termodinamica del punto
triplo dell’acqua misurata con un termometro a ciclo di Carnot.
Per un intervallo di temperatura vale la stessa definizione e si usa lo stesso simbolo, la misura può
essere espressa anche in gradi Celsius. L’unità “grado Celsius” è uguale all’unità “kelvin”.
La temperatura Celsius t è definita dalla differenza t = T – T0 tra due temperature termodinamiche T
e T0 con T0 = 273.15 Kelvin.
• Intensità di corrente elettrica (i)
L’unità di misura è l’ampere (A) che è l’intensità di una corrente costante che percorrendo due
conduttori paralleli rettilinei, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile, posti alla
distanza di un metro l’uno dall’altro nel vuoto, produrrebbe tra questi conduttori una forza uguale a
2 · 10–6 N.
• Quantità di materia (n)
L’unità di misura è la mola (mol), che è la quantità di materia di un sistema che contiene tante entità
elementari quanti sono gli atomi in 0,012 kilogrammi di carbonio 12. Le entità elementari devono
essere specificate e possono essere atomi, ioni, elettroni, altre particelle, oppure gruppi specifici di
tali particelle.
• Intensità luminosa (I)
L’unità di misura è la candela (cd), che è l’intensità luminosa, nella direzione perpendicolare ad una
superficie di 1/600000 di metro quadrato di un corpo nero, alla temperatura di solidificazione del
platino alla pressione di 101325 N/m2.
• Angolo piano (a)
L’unità di misura è il radiante (rad), che è l’angolo piano compreso tra due raggi che, sulla
circonferenza di un cerchio, intercettano un arco di lunghezza pari a quella del raggio.
• Angolo solido (Ω)
L’unità di misura è lo steradiante (sr), che è l’angolo solido al centro che su una sfera intercetta una
superficie di area pari a quella del quadrato col lato uguale al raggio della sfera.

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1.6. Scale di temperatura


Le scale di temperatura più note sono cinque: la scala Celsius, la scala Fahrenheit, la scala Rankine,
la scala Réamur e la scala Kelvin.

• Scala Celsius
Introdotta nel 1742 dall’astronomo svedese A. Celsius, attribuisce valore 0 alla temperatura del
ghiaccio fondente e valore 100 a quella di ebollizione dell’acqua, quando la pressione è pari ad
un’atmosfera. L’intervallo tra questi due punti fissi è diviso in 100 parti uguali ciascuna delle quali è
detta grado Celsius (°C). La scala è poi estesa al di sopra dei 100 °C e al di sotto di 0 °C.
• Scala Fahrenheit
Introdotta dal fisico tedesco G. Fahrenheit nel 1714 attribuisce valore 32 alla temperatura del
ghiaccio fondente e valore 212 a quella di ebollizione dell’acqua, quando la pressione è di
un’atmosfera. La centoottantesima parte del dislivello esistente tra i due punti fissi è il grado

Fahrenheit t°F alla temperatura Celsius t°C è data dalla somma ° = 95 ° + 32.
Fahrenheit. Questa scala è usata nei Paesi anglosassoni. La relazione che lega la temperatura

• Scala Réamur
Introdotta nel 1720 dal fisico francese A. R. Réamur attribuisce valore 0 alla temperatura del
ghiaccio fondente e valore 80 a quella di ebollizione dell’acqua, quando la pressione è di
un’atmosfera. L’ottantesima parte del dislivello tra questi due punti fissi è il grado Réamur (°r). tale
scala è ormai in disuso.
• Scala Kelvin
Introdotta nel 1847 da Lord Kelvin attribuisce valore 273,15 alla temperatura del ghiaccio fondente
e valore 313,15 a quella di ebollizione dell’acqua quando la pressione è di un’atmosfera. Il grado
kelvin (K) è la centesima parte del dislivello tra tali punti fissi. Lo zero di questa scala coincide con
il cosiddetto zero assoluto, perciò viene spesso chiamata scala assoluta delle temperature.
• Scala Rankine
Introdotta nel 1860 dal fisico inglese Rankine è una scala assoluta riferita alla scala Fahrenheit. Essa
assegna valore 491,67 alla temperatura del ghiaccio fondente e valore 671,67 a quella di ebollizione
dell’acqua, alla pressione di un’atmosfera. Il grado Rankine (°R) è la 180a parte del dislivello tra i
due punti fissi. Anche tale scala è in disuso.

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1.7. Cifre significative


Sono cifre significative quelle che si contano da sinistra escludendo gli zeri.
0,01 1    !
0,0100 3 "   !"
• Prodotto/rapporto
Nel prodotto e nel rapporto guida il numero che ha meno cifre significative, approssimando quindi
per difetto o per eccesso il risultato finale.

1,5 ∙ 3 = 4,5 ≅ 5 = 1, 6) ≅ 2
%,&
'

Con questa regola di determinazione delle cifre significative si perde la proprietà associativa del
prodotto/rapporto:
(1,2 ∙ 2,3) ∙ 3,4 = 2,8 ∙ 3,4 = 9,5
1,2 ∙ (2,3 ∙ 3,4) = 1,2 ∙ 7,8 = 9,4
I risultati sono evidentemente diversi.

Esistono alcune eccezioni, a titolo di esempio si mostrano il caso in cui il numero 2 non è un
vincolo:
− nel calcolo della circonferenza , = 2 ∙ - ∙ ., il 2 indica appunto il doppio di - ∙ .;
− nell’elevazione a potenza 3,55/ , il 2 non è un vincolo;

= 30, il 2 indica appunto la metà.


/01'/
/
− nel calcolo della media

• Addizione/sottrazione
Prima di poter procedere ad una addizione o ad una sottrazione bisogna esprimere gli addendi nella
stessa potenza di dieci scegliendo la più grande come quella di riferimento, nel calcolo finale guida
il numero più povero di decimali:
2,32 + 12 ∙ 102 = 0,232 ∙ 102 + 12 ∙ 102 = 12 ∙ 102
Anche per l’addizione/sottrazione si perde la proprietà associativa.
3,8%,3% = 22 ∙ 10/ 3,82%,3 = 21 ∙ 10/
log2& 3,45 = 0,538 " /,' = 10

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2. CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI STATICHE DI


STRUMENTI E TRASDUTTORI

2.1. Considerazioni generali


In generale si può affermare che un sistema di misura può essere caratterizzato da un insieme di
grandezze d’ingresso e da un insieme di grandezze di uscita.
La relazione tra le grandezze di uscita e quelle di ingresso può essere espressa da legami funzionali
a volte molto complessi.
Per superare le difficoltà è consuetudine trattare separatamente le caratteristiche statiche e le
caratteristiche dinamiche degli strumenti. Tali caratteristiche sono la sintesi di un modello
matematico che descrive il comportamento dello strumento, cioè il legame tra ingresso ed uscita.
Si distinguono in caratteristiche statiche o per ingressi non variabili nel tempo, e dinamiche o per
ingressi tempo varianti.

2.2. Analisi delle caratteristiche statiche degli strumenti


Introduzione
L’analisi delle caratteristiche statiche di uno strumento comporta un primo esame dello strumento
allo scopo di evidenziare i fenomeni fisici che vi intervengono e tutte le grandezze fisiche a cui lo
strumento è sensibile.
Poi si passa all’esame di tutti gli ingressi possibili per individuare quali di essi hanno un’influenza
significativa sulla misura.
Si procede quindi alla taratura in cui si fanno variare tutti gli ingressi significativi uno alla volta
mantenendo costanti gli altri e si registrano le corrispondenti uscite.
Infine l’analisi dei risultati e la loro elaborazione permettono di determinare sia la sensibilità statica
che l’accuratezza e la ripetibilità dello strumento.

2.2.1. Taratura statica


Il trasduttore viene isolato dal resto del mondo e ai suoi terminali vengono applicate condizioni
costanti accuratamente misurate e controllare. Tali condizioni vengono applicate anche ad un
secondo trasduttore da laboratorio, detto taratore, più preciso di almeno un decimale rispetto a
quello che intendiamo tarare.
L’ingresso u che si vuole studiare viene quindi variato in un certo campo di valori costanti, l’uscita x
corrispondente varierà in un certo campo di valori costanti che vengono accuratamente misurati.
La relazione ingresso-uscita ricavata in questo modo rappresenta la taratura statica valida con le
condizioni statiche stabilite a tutti gli ingressi.

2.2.2. Sensibilità statica


Riportando in un diagramma le coppie di valori sperimentali della grandezza in entrata e quella in
uscita ottenuti nella taratura, si ottiene una serie di punti attraverso i quali si può tracciare la curva,
detta curva di taratura, che rende minima la somma dei quadrati degli scarti.
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Fig. 2.1.

La sensibilità statica assoluta può essere in generale definita come la pendenza della curva di

:;(8)
taratura:

7(8) ≡
:8
Indicando con umin la portata minima, umax la portata massima e x(umax) il valore di fondo scala,
andiamo a definire la sensibilità statica media:
1 DEFG
1 DEFG
:;(8) ;<=> − ;<@A
7< = B 7(8)C8 = B C8 ≈
8<=> − 8<@A DEHI 8<=> − 8<@A DEHI :8 8<=> − 8<@A

Nel caso in cui la curva di taratura è un segmento di retta si dice che lo strumento è lineare. Accanto
a questi strumenti ne esistono numerosi altri a caratteristica quadratica o logaritmica.
Quando in uno strumento la relazione tra x ed u non è perfettamente lineare ma la curva di taratura,
in un certo campo di valori, può essere approssimata da un segmento di retta, entro tale campo di
valori lo strumento si può considerare lineare.

Fig. 2.2.
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2.2.3. Fattori influenzanti l’incertezza di una misura


Con il termine di “errore” si intende la differenza tra il valore misurato durante la taratura e la curva
nominale di riferimento ritenuta nota a meno di una incertezza non nulla ma determinabile.

• Non linearità
In alcuni casi risulta utile separare gli errori di linearità dagli altri tipi di errore quali quelli di
ripetibilità, di risoluzione, di isteresi e simili, in quanto questi ultimi hanno caratteristica di
distribuzione casuale, mentre i primi sono errori deterministici e quindi valutabili una volta nota la
curva di taratura completa.
La retta che si assume come caratteristica equivalente di una curva di taratura non lineare può essere
tracciata con vari criteri.
In molti casi si usa la retta che rende minima la somma dei quadrati degli scarti. In questo caso è
possibile che la retta non passi per l’origine e per il punto di taratura corrispondente al fondo scala.

L’incertezza di non linearità K% si può rappresentare in due modi:


In altri casi ancora si può usare la retta dei minimi quadrati che passi però per l’origine.

a) rappresentazione sul valore corrente;


b) rappresentazione su fondo scala.

a) valore corrente b) fondo scala c) ibrido


Fig. 2.3.

K%NO
Nel primo caso il valore dell’indicazione dello strumento vale:

;(8) = 7< ∙ 8 ∙ M1 ± P
100

Nel secondo caso l’incertezza viene assegnata sul fondo scala e poi viene ripetuta fino all’origine. Il
valore dell’indicazione dello strumento vale:

con ∆;RS = ;RS


T%UV
;(8) = 7< ∙ 8 ± ∆;RS
2&&

Inoltre esiste una rappresentazione ibrida tra il valore corrente ed il fondo scala.
La curva caratteristica dello strumento è confinata all’interno dell’intervello di non linearità.

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• Isteresi
Quando in uno strumento la caratteristica ottenuta per valori crescenti dell’ingresso è diversa da
quella che sia ha per valori decrescenti dell’ingresso si parla di errori di isteresi.

Fig. 2.4.

Diverse cause possono essere alla base di questo comportamento: nei fenomeni elettrici esso è
dovuto essenzialmente all’isteresi magnetica, in quelli meccanici alla isteresi elastica; in generale è
presenta ogni qualvolta l’energia immessa nello strumento in fase di carica non è restituita
interamente nella fase di scarica.

• Mobilità e risoluzione
L’errore di mobilità, detto anche errore di soglia (o incertezza di zero) se è riferito allo zero, in
genere può presentarsi in tutta la scala dello strumento; un esempio tipico è quello dei trasduttori che
impiegano un potenziometro a filo avvolto, nei quali la resistenza compresa tra un terminale fisso ed
il cursore varia di una quantità discreta, corrispondente ad una spira di filo.

Fig. 2.5.

X= X=
La corrente I che circola nel circuito sappiamo valere:

W(;) = =
.(;) Z(;)
Y 7

quindi risulta variabile al variare di x poiché è la resistenza che varia al variare dello spostamento x.
16
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La resistenza si può vedere come somma di un valore fisso e di un valore che varia con lo

Y ;
spostamento:

.(;) = .& − 2-


7 [
Sostituendo nell’espressione della corrente I si ottiene:
X= X= X= X= X= ⁄.& X= ⁄.& 1
W(;) = = = = = = ∝
.(;) .& − Y 2- ; . − \ ; K .& − \/ ; 1 − \/ ; 1 − \' ; 1 − ;
7 [ & 2 K K .& K K K

Fig. 2.6.

L’errore di mobilità può essere presente insieme a quello di isteresi.


Considerando cumulativamente questi tipi di errore si parla di errore di risoluzione, che può essere
definito come la più piccola variazione misurabile della grandezza di ingresso.

Incertezza di deriva: si ha quando l’uscita non è stabile nel tempo. Per esempio in una centralina
estensimetrica può variare l’uscita a causa della variazione di resistenza del ponte di Wheatstone per
effetto Joule.
Incertezza di banda morta: la somma degli effetti di deriva, risoluzione e mobilità possono essere
raggruppati tra loro definendo una banda, intorno alla curva ideale di possibile variazione
dell’uscita.

• Dinamometro ad estensimetri
Si consideri un dinamometro ad estensimetri e si voglia calcolare l’effetto della temperatura
sull’uscita

17
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La temperatura ha un triplice effetto: fa variare il valore della resistenza per cui anche se non c’è
alcuna forza applicata si ha un segnale in uscita diverso da zero; fa variare la lunghezza sia
dell’elemento elastico che della griglia di misura; inoltre la temperatura fa variare il modulo di
elasticità della barra considerata come elemento elastico, quindi a parità di forza applicata varia la
deformazione e quindi la sensibilità del dinamometro. Quindi la temperatura agisce come ingresso
di interferenza e produce, tra l’altro, una deriva dallo zero.

2.2.4. Concetti e definizioni sulla accuratezza degli strumenti o delle misure


Nella classica suddivisione tra errori “sistematici” ed errori “accidentali” i primi sono da attribuirsi
ad ingressi indesiderati per i quali lo strumento presenta una sensibilità apprezzabile. Sono dovuti ad
un fenomeno fisico ben definito e conosciuto. Gli errori “accidentali” sono invece da attribuirsi a
numerosi ingressi ciascuno di debole effetto. Sono legati a fenomeni il cui influsso non è ben
definito e percettibile, o dovuti a piccole variazioni di grandezze estranee non misurabili.
Nell’ambito di tale suddivisione dei tipi di errore si parla quindi di accuratezza e di ripetibilità di
uno strumento, riferendo rispettivamente il primo termine alla capacità degli strumenti di essere
esenti da errori sistematici ed il secondo termine alla qualità di presentare errori accidentali piccoli e
poco dispersi.

• Accuratezza
L’accuratezza è la qualità metrologica di strumenti o di misure in cui gli errori sistematici sono
piccoli.
L’errore di accuratezza può essere valutato come somma algebrica di tutti gli errori sistematici

Operando a posteriori, l’errore di accuratezza "= può venire calcolato come differenza tra la media
presenti in determinate condizioni di impiego.

delle misure ;_ e il valore ritenuto vero ;`a :


"= = ;_ − ;`a
• Ripetibilità
La ripetibilità è la qualità metrologica di strumenti o di misure in cui gli errori accidentali sono
piccoli.
L’errore di ripetibilità può essere valutato mediante l’analisi statistica di numerose misure ripetute in
condizioni costanti ed uguali a quelle nominali.
− lo scarto di ripetibilità

∑A@d2(;@ − ;_ )/
7` = b
−1

cioè la media quadratica tra n misure ;@ della stessa grandezza e il loro valore medio ;_ .
− l’errore limite di ripetibilità

l’intervallo compreso tra (;_ ± 7` ) in cui una misura estratta a caso ha il 95% di probabilità di
pari al doppio dello scarto tipo, che nell’ipotesi di distribuzione gaussiana degli errori determina

cadere;

18
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− il campo di ripetibilità
definito come differenza tra il valore massimo xmax e il valore minimo xmin ottenuti in un numero n
di misure ripetute in condizioni ambientali costanti.

• Classi di precisione
Per gli strumenti elettrici si utilizza la definizione di “classe di precisione” in cui al posto dell’errore
assoluto massimo si considera il valore relativo di quest’ultimo espresso in per cento del fondo

∆;RS
scala:

∙ 100 = 
;RS
Le norme CEI prevedono la seguente tabella di classi di precisione:
Strumenti da laboratorio Strumenti portatili per Strumenti indicatori portatili
Impiego per misure di precisione misure e da quadro
di controllo
Indice di 0,05 0,1 0,2 0,3 0,5 1 1,5 2,5 5

±0,1 ±0,2 ±0,3 ±0,5 ±1 ±1,5 ±2,5 ±5


classe
Limite di +0,05
ec %

Quindi, ad esempio, se un voltmetro con portata 300 V è in classe 0,5, ciò vuol dire che la misura
può essere affetta da un errore massimo di 1,5 V in qualunque punto della scala si effettui la misura.
L’errore relativo cresce con legge iperbolica per misure che si avvicinino all’inizio della scala.
Perciò se con il voltmetro suddetto si esegue la misura di una tensione di 30 V, l’errore relativo
percentuale possibile è del 5%.
Quando la precisione di uno strumento è indicata mediante la classe di precisione è opportuno
utilizzare solo i 4/5 superiori della scala.

• Riferibilità
La riferibilità è la qualità metrologica che acquisisce uno strumento di misura quando viene
sottoposto a taratura impiegando misurandi le cui misure sono state assegnate con riferimento a
campioni riconosciuti come primari.
Quando è stabilita la riferibilità dello strumento esso è in grado di produrre misure compatibili con
quelle prodotte dai campioni primari.

• Riproducibilità
La riproducibilità delle misure è il grado di concordanza tra i risultati di misurazione dello stesso
misurando quando le singole misurazioni siano condotte cambiando alcune condizioni come lo
strumento di misura, il luogo, il tempo, il metodo di misura, l’osservatore.

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3. STRUMENTI DI ELABORAZIONE STATISTICA DELLE


MISURE
3.1. Note di statistica elementare
La media ;_ di un campione è una stima della tendenza delle misure a un valore centrale ed è definita
da diversi modelli:
∑A@d2 ;@
Z "" e  f"  ;_ =

∑hgd2 g ∙ ;g
["  ;_ =
∑hgd2 g
2
A A

"ef"  ;_ = ij ;@ k
@d2

fe  ;_ =
1
∑A@d2
;@
in cui n è il numero di elementi del campione di misure e ;@ è il generico valore di una di tali
misure.

dispersione dei valori intorno al valore medio e ha le stesse dimensioni delle misure ;@ :
Lo scarto quadratico o scarto tipo o deviazione standard s di un campione costituisce una stima della

∑A@d2(;@ − ;_ )/
= b
−1

Sviluppando tale relazione se ne ottiene una seconda più semplice per i calcoli:

∑A@d2 ;@/ − ;_ /
= b
−1

La varianza l =  / di un campione, che è il quadrato della deviazione standard, costituisce al pari

delle misure ;@ .
di quest’ultima una stima intorno al valore medio ma non ha il pregio di avere le stesse dimensioni

lettera greca m. Analogamente lo scarto tipo riferito all’intero universo si indica con la lettera greca
Se la media invece di essere riferita a un campione è riferita all’interno universo si indica con la

n.

∑A@d2(;@ − m)/
n=b
−1

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I dati possono essere raggruppati in diversi modi. Una prima forma di raggruppamento si può
osservare in Tab. 3.1. ove si sono sommati tutti gli elementi di ogni colonna facendone poi la media.

Tab. 3.1.

numero dei dati che appartengono a una determinata classe o si chiama frequenza della classe e
Una forma di raggruppamento molto più usata è quella delle classi di intervalli di appartenenza. Il

viene indicato con p . Ovviamente, se  è il numero delle classi: risulta:


<
g

r p =
pd2

Nella Tab. 3.2. i dati della Tab. 3.1. sono raggruppati in nove classi.

Tab. 3.2.

21
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Per i dati raggruppati in classi, la media, lo scarto quadratico e la varianza possono essere calcolati
mediante le seguenti espressioni che risultano tanto più approssimate quanto più l’intervallo delle
classi è piccolo:
∑gpd2 p ∙ ;p
;ts =

∑gpd2 p ;p/ − (;ts )/


 =b
s
−1

grafica in cui si riportano in ascissa i valori centrali delle classi ;p , in ordinata le frequenze p .
La distribuzione delle singole misure nelle varie classi può essere illustrata da una rappresentazione

Fig. 3.1.

Oltre a questo tipo di diagramma si può usare la rappresentazione mediante un istogramma in cui si
riporta per ogni classe un rettangolo di base uguale all’ampiezza della classe e di altezza pari alla
frequenza.

Fig. 3.2.

22
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Un diagramma di tipo diverso si ottiene rappresentando le frequenze cumulate.

Fig. 3.3.

La rappresentazione delle frequenze cumulate si presta al calcolo del valore mediano delle misure
ottenute. Il valore mediano è la misura corrispondente all’elemento centrale degli n valori del
campione di dati (valore al di sotto del quale si ha il 50% dei dati).

3.2. Distribuzioni di probabilità


• Variabili continue
Se si va a misurare una variabile continua, la probabilità di distribuzione della stessa variabile è
anch’essa una funzione continua.
Se si verificano le seguenti condizioni:
a) le misure sono sufficientemente numerose e tendono ad un valore centrale finito;
b) la variabilità delle misure dipende da numerose cause, ciascuna con debole tendenza ad

la funzione della densità di probabilità (;) può essere rappresentata dalla legge di Gauss:
allontanare il risultato dal valore medio in più e in meno con uguale probabilità;

1 2 >vx {
(;) = " v/w
z
y
n√2-
in cui m è il valore medio e n è lo scarto tipo.
La (;) ha un andamento a campana centrata intorno al valore medio a cui corrisponde il massimo

1 0,399
delle probabilità:

[<=> = |(;)}>dx = ≈
n√2- n
Tale massimo è inversamente proporzionale allo scarto tipo n. Nella Fig. 3.4. sono rappresentati tre
casi con lo stesso valore medio ma con tre diversi valori di n che variano l’acutezza della campana.

23
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Fig. 3.4.

Nella Fig. 3.5. è possibile confrontare l’andamento della curva di Gauss con il poligono delle
frequenze relativo ai dati della Tab. 3.2.

Fig. 3.5.

;−m
Introducendo la variabile adimensionale a cui si da il nome di scarto ridotto:

~=
n
che sostituendola nella funzione (;) fa ottenere la funzione (~):
1 {
(~) = "v /
n√2-
L’introduzione di (~) è importante perché consente di affrontare i problemi legati alla
distribuzione di probabilità con un’unica curva adimensionale normalizzata.

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La funzione (~) è massima per ~ = 0 ed è simmetrica rispetto a questo valore. L’area racchiusa è

€
unitaria:

B (~) C~ = 1

Dalla caratteristica di valore unitario dell’area sottesa dalla funzione (~) si può ricavare:
Fig. 3.6.

Fig. 3.7.
_ v_
B (~)C~ = 1 −  = 1 − B (~)C~
v€ v€

_ v_
da cui possiamo scrivere:

B (~)C~ + B (~)C~ = 1
v€ v€

25
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3.3. Criterio di esclusione di Chauvenet


Spesso capita di incontrare, in una serie di misure, qualche dato che non concorda perfettamente
con gli altri. In questi casi bisogna decidere se il dato in questione è dovuto a qualche errore
grossolano oppure se corrisponde a una misura plausibile dovuta ad una risposta non prevista ma
corretta del fenomeno che si osserva.

Il Criterio di Chauvenet dà la possibilità di formulare il giudizio di accettazione dei dati in base a

con media ;_ e scarto quadratico , se alcuni valori presentano uno scostamento dal valore medio
considerazioni di tipo statistico. Esso può essere enunciato nel modo seguente: “In una serie di dati

tale da avere una probabilità di verificarsi inferiore a 1/2 , allora quei dati devono essere esclusi”.

a) in base a tutti gli n elementi si calcolano la media ;_ , lo scarto quadratico ;


In pratica si procede nel modo seguente:

b) dal numero di dati n si calcola la probabilità [ = 1⁄2 ;


c) dalla Tab. 3.3 si legge il valore di ~ corrispondente a [;
d) si calcolano i valori di ;<=> = ;_ +  ∙ ~ e di ;<@A = ;_ −  ∙ ~ ;
e) si escludono i valori che non ricadono nell’intervallo };<@A ; ;<=> |.
Nella Tab. 3.3 sono riportati i valori dello scarto ridotto limite in funzione del numero dei dati n.

Tab. 3.3.

3.4. Il test del χ2


Come presupposto per l’applicabilità del criterio di Chauvenet si è ipotizzato che la distribuzione
degli scarti fosse normale. Se tale ipotesi non è valida il criterio di Chauvenet non può essere
applicato.
Data una serie di misure è opportuno verificare se la distribuzione degli errori può essere
rappresentata dalla legge di Gauss o no.

dati ;@ e a una particolare legge di distribuzione è definita dalla seguente espressione:


A questo scopo può essere applicato il test del “chi-quadro”. La quantità χ2 relativa ad una serie di

(&p − =p )/
…

χ =r
/
=p
pd2

dove \ è il numero delle classi in cui sono suddivisi i dati ;@ , &p è la frequenza assoluta osservata
nella classe o, =p è la frequenza assoluta aspettata in base alla legge di distribuzione che si vuol
provare.
Per l’applicazione del test è necessario che il numero delle classi sia superiore a quattro e che per
ogni classe vi siano almeno 5 elementi.

26
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Per calcolare =p , ad esempio in base alla legge di Gauss, è necessario conoscere n e m, ovvero  e
;_ :
=p = †‡ˆ~p12 ‰ − ‡ˆ~p ‰Š
dove indica il numero totale dei dati. Per calcolare i valori di ‡(~p ) occorre procedere in questo

a) calcolare gli scarti ridotto per i limiti delle classi ~p = =


>‹ vx >‹ v>_
modo:

y S
b) individuare il modulo di ~p nella Tab. 3.4, se ~p è positivo il valore di ‡(~p ) è quello riportato in
;

tabella ‡(~p )Œ=Ž= , viceversa il valore di ‡(~p ) = 1 − ‡(~p )Œ=Ž= .

Tab. 3.4.

Per i dati della Tab. 3.2 e per la distribuzione gaussiana si trovano i valori riportati nella Tab. 3.5.

Tab. 3.5.
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Il valore del χ/ trovato va confrontato con i valori riportati nella Tab. 3.6 in funzione dei gradi di
libertà  e del rischio di errore ‘, o della probabilità , = 1 − ‘.
Il numero dei gradi di libertà è dato dal numero classi meno tre:
 =\−3

Tab. 3.6.

Nell’esempio precedente si ha  = 6, e si sceglie, ad esempio, ‘ = 0.02.


Il rischio d’errore dipende dal tipo di fenomeno misurato o dalla incertezza delle misure eseguite.

Nella Tab. 3.6 si leggono i due valori di χ/ in corrispondenza del valore di  calcolato e delle due

‘ ‘
probabilità:

,2 = 1 − ; ,/ =
2 2
Se il valore di χ/ calcolato è compreso tra i valori χ/ (,2 , ) e χ/ (,/ , ) si può affermare che non ci

Se, invece, il valore di χ/ calcolato è esterno ai valori limite bisogna dedurre che è improbabile che
sono forti ragioni statistiche per rifiutare l’ipotesi di modello provato.

il campione provenga da un insieme con distribuzione del tipo esaminato.

Nell’esempio, χ/ calcolato è uguale a 1.804 ed è compreso tra χ/ (0.1; 6) = 0.782 e χ/ (0.99; 6) =


16.812 e quindi non ci sono ragioni per respingere l’ipotesi di distribuzione gaussiana.
In alternativa alla Tab. 3.6 si può usare il grafico 3.8

28
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Il grafico esprime la distribuzione di valori del χ/ quando si estraggono campioni numerosi da un


Fig. 3.8.

una probabilità del 95% del verificarsi di un evento; si calcolino i due valori del χ/ entro i quali è
universo gaussiano. L’impiego del grafico è analogo alla tabella; per esempio si consideri valida

compreso il 95% dei valori della distribuzione del χ/ e se il valore trovato dai dati sperimentali cade
nell’intervallo, non c’è alcun motivo dal punto di vista statistico, per escludere la provenienza di

Tornando all’esempio si può dire che nel 98% dei casi un campione con  = 6 estratto da una
quel campione di dati da un universo gaussiano.

distribuzione perfettamente gaussiana ha un χ/ compreso tra 0.782 e 16.812.

3.5. Rappresentazione con box-plot e box-plot modificato: outliers


• Box-plot (grafico a scatola)
Per costruire un box-plot si calcola per la variabile statistica X il primo, il secondo (mediana) ed il
terzo quartile, il valore minimo e quello massimo della distribuzione riportando i valori in un piano
cartesiano.

Fig. 3.9.

I quartili ripartiscono una distribuzione di dati in 4 parti di pari frequenze. Il primo quartile è il
valore di una distribuzione X per cui la frequenza cumulata vale 0,25, il secondo quartile è la
mediana e, infine, il terzo quartile è il valore per cui la frequenza cumulata vale 0,75.
Per determinare i quartili si procede innanzitutto nell’elencare, in ordine crescente, gli dati “@ che
abbiamo a disposizione. Il primo quartile nella nostra distribuzione di dati è lo i-esimo valore
dell’elenco ordinato dei dati:

= ; ”2 = “@
4
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Il secondo quartile, che rappresenta la mediana, e il terzo quartile si calcolano in modo analogo al
primo:

= o ; ”/ = “p
2
3
= \ ; ”' = “…
4

Calcolati i quartili, si costruisce il box (scatola):

Fig. 3.10.

Si determinano il limite inferiore e superiore applicando le seguenti formule:


K@AR = ”2 − 1,5(”' − ”2 )
KSDh = ”' + 1,5(”' − ”2 )

a) se ;<@A < K@AR e ;<=> > KSDh i baffi devono essere riportati nel grafico nel seguente modo:
Per rappresentare i baffi del box plot nel piano cartesiano si verifica la seguente disuguaglianza:

Fig. 3.11.

b) viceversa il grafico è

Fig. 3.12.

La forma della scatola ed il modo in cui si allungano i tratti laterali danno un’indicazione sia della
tendenza centrale, che sulla variabilità che sulla simmetria della distribuzione.

30
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• Box-plot modificato
Se nella costruzione del box-plot, il limite inferiore e superiore sono sostituiti con
K∗@AR = f;—;<@A , K@AR ˜

K∗SDh = f —;<=> , KSDh ˜


otteniamo il cosiddetto box-plot modificato.

In questo caso, se sono presenti alcuni valori che oltrepassano le soglie K∗@AR e K∗SDh essi sono
Tab. 3.13.

indicati con un asterisco, ad indicare che si potrebbe trattare di dati anomali (outliers) nel campione
di dati.

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4. CARATTERISTICHE E PRESTAZIONI DINAMICHE DI


STRUMENTI E TRASDUTTORI
4.1. Strumenti del I ordine
Uno strumento è un sistema del primo ordine quando la sua equazione di moto è un’equazione

Consideriamo un termometro a liquido destinato a misurare una temperatura di un fluido ™( )


differenziale di primo ordine che riterremo lineare (a coefficienti costanti).

funzione del tempo. Si indichi con ( ) la temperatura del liquido: sia inoltre \ il coefficiente di

Detto ” il calore scambiato fra liquido e fluido, e  la superficie interessata, possiamo scrivere
trasmissione del calore fra liquido e fluido in esame.

C” = \ (™ − )C
Se con  indichiamo il calore specifico e con f la massa del liquido del termometro, avremo
C” =  f C

f
Si ha perciò

š +  = ™( )
\
posto › =
O<
œ…
detta costante di tempo l’equazione diventa:

› š +  = ™( )
Il termometro a liquido è quindi uno strumento del primo ordine.

4.1.1. Risposta ad un segnale a gradino


Se applichiamo ad un sistema di primo ordine in quiete un segnale a gradino, l’equazione diviene:
› š +  = ™& 1( )
dove
[" < 0 1( ) = 0
[" ≥ 0 1( ) = 1

Fig. 4.1.

Scriviamo l’integrale generale dell’equazione:


› š +  = 0

32
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Il valore della ( ) è dato da:


Œ
( ) = ž " vŸ + ™&

Tenendo presente che la condizione iniziale vale (0) = 0, la soluzione dell’equazione diviene:
Œ
( ) = ™& M1 − " vŸ P

Il rapporto ( )⁄™& , cioè la risposta ad un segnale a gradino di ampiezza unitaria, partendo da


Fig. 4.2.

indicato con ( ).
condizioni iniziali di quiete, viene molte volte chiamato ammettenza indiciale del sistema, ed è

In corrispondenza di = › l’equazione vale:


1
( = ›) = 1 − ≅ 0,63
"
Prima di passare oltre si mostra l’equazione generale di uno strumento lineare del primo ordine:
‘;š ( ) +   ;( ) = 8( )
dividendo tutto per   si ottiene:
‘ 1
;š ( ) + ;( ) = 8( )
   
ponendo › = ‘ ⁄ , la costante di tempo, possiamo scrivere:
1
› ;š ( ) + ;( ) = 8( )
 
dove 1⁄  indica la sensibilità media.

1
La risposta ad un segnale a gradino vale:
Œvx
;( ) = 8& M1 − " v Ÿ P
 
Dove m è l’istante di tempo in cui si verifica il gradino

33
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4.1.2. Risposta ad un segnale armonico


Sia 8( ) = 8& cos £ ; la risposta dello strumento diventa:
1
› ;š ( ) + ;( ) = 8& cos £
 

1
La soluzione a regime, come noto, è:

;( ) = ¤ 8& cos(£ + ¥) e ¥ < 0


 
che sostituita nella equazione di risposta permette di calcolare i valori dell’ampiezza ¤ e del ritardo
¥:
1 1 1
−› ¤ 8& £ sin( £ + ¥) + ¤ 8& cos(£ + ¥) = 8& cos £
     

a) per £ + ¥ = 0 si ha:
¤ = cos(¥) (1)
b) per £ + ¥ = /̈
si ha:

−› ¤ £ = sin(¥) (2)

Quadrando e sommando la (1) e la (2) si ottiene:


¤/ + ¤/ (£ ›)/ = 1
da cui si ricava il valore dell’ampiezza ¤ che dipende dal tipo di segnale e di strumento:
1
¤=
©1 + (£ ›)/
Dividendo la (1) per la (2) si ottiene invece il valore del ritardo ¥:
¥ = v2 (£ ›)
Si riportano la curva di ¤ in funzione del prodotto £ › e l’andamento di ¥ sempre in funzione di
£ ›.

Fig. 4.3.

34
Corso di Misure Meccaniche A.A. 2008/2009 A cura di Tiano Francesco Antonio

ampiezza ¤ e argomento ¥.
Spesso è usato il diagramma di Nyquist, dove in coordinate polari sono riportati i vettori di

Il ritardo ¥ si può esprimere in secondi, si indica con ¥S , tramite la relazione:


Fig. 4.4.

¥ = ¥S £

4.1.3. Risposta ad un segnale generico

possiamo ricavare la risposta di uno strumento ad un segnale generico 8( ).


Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, e nota la risposta al segnale a gradino,

Si supponga di sostituire il segnale generico 8( ) con una somma di segnali a grandino, di cui il
primo di ampiezza 8& , e i successivi di ampiezza ∆8 ognuno applicato al tempo ª e a distanza ∆ª

«
dal precedente, in modo che risulti:

8( ) = 8& 1( ) + r ∆ 8… 1( − \ ∆ª)
…d2

Fig. 4.5.

35
Corso di Misure Meccaniche A.A. 2008/2009 A cura di Tiano Francesco Antonio

Se ( ) è l’ammettenza indiciale del sistema, la risposta dello strumento è:


«
1
;( ) = ¬8& ( ) + r ∆8… ( − \ ∆ª)­
 
…d2

Moltiplicando e dividendo la sommatoria per ƻ:


«
1 ∆8…
;( ) = ¬8& ( ) + r ( − \ ∆ª) ∆ª­
  ∆ª
…d2

La sommatoria si può sostituire con un integrale:


1 Œ
;( ) = ®8& ( ) + B 8š (ª) ( − ª) Cª¯
  &

Questa equazione è nota come integrale di Duhamel o convoluzione.

4.1.4. Risposta ad un segnale rampa


Sia l’ingresso dello strumento pari a 8( ) = \ . La risposta dello strumento, tenendo conto che
l’ammettenza indiciale vale ( ) = 1 − " v e che 8& = 0, è:
°±²
³

1 Œ
1 Œ Œv´
;( ) = ®8& ( ) + B 8š (ª) ( − ª) Cª¯ = ®B \ M1 − " v Ÿ P Cª¯ =
  &   &
1 Œ Œ Œv´ 1 Œ
1 Œv´
= ®B \ Cª − B \ " v Ÿ Cª¯ = ®\ − \ › B " v Ÿ Cª¯ =
  & &   & ›
1 Œ 1 Œ
= µ\ − \ › M1 − " vŸ P¶ = µ\ ( − ›) + \ › " vŸ ¶
   

per ≫ › la risposta vale:


1
;( ) = |\ ( − ›)}
 

Fig. 4.6.
36
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4.2. Strumenti del II ordine


Uno strumento è del secondo ordine, o in generale di ordine n quando l’equazione differenziale del
moto è del secondo ordine, o rispettivamente di ordine n:
¸;¹ + ‘;š +  ; = 8( )
dividendo per  ,
‘ 8( )
;¹ + ;š + ; =
 ̧    
Si definiscono tre parametri caratteristici di questa equazione:

 ̧ ‘ ‘ ºA
ºA = b ; ℎ= = ; g =
2©  ¸ 2 ºA ¸ -

dove ºA è la pulsazione naturale e g è la frequenza di risonanza.


4.2.1. Risposta ad un segnale a gradino

‘ 1
Supponendo che allo strumento sia applicato un segnale a gradino si ha:

;¹ + ;š + ; = 8& 1( )
 ̧    
Si considerano come condizioni iniziali ;(0) = 0 e ;š (0) = 0. Applico un cambiamento di variabile
8
ponendo ~ = ; − &  , si scrive quindi il sistema:
‘
¿ ~¹ + ~š + ~ = 0
½  ̧  
8& À
¾ ~=−
½  
¼ ~š = 0

La soluzione di questo sistema, espresso nella variabile ;( ) vale:


1
;( ) = 8 ( )
  &

dove l’ammettenza indiciale vale ( ) = " v³ cos º .


°

In Fig. 4.6 si riportano gli andamenti delle funzioni ;( ) ed ~( ) al variare del parametro ℎ:

Fig. 4.7.
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4.2.2. Risposta ad un segnale armonico


Se consideriamo ora che allo strumento sia applicato un segnale armonico 8( ) = 8& cos £ , si ha:
¸;¹ + ‘;š +  ; = 8& cos £

1
La risposta a regime vale:

;( ) = ¤ 8& cos(£ + ¥)
 

dove i valori dell’ampiezza ¤ e del ritardo ¥, posto  =


Â
ÃI
, valgono:

1 2ℎ
¤= ;  ¥ = −
©(1 − / )/ + (2 ℎ )/ 1 − /

ℎ.
Di seguito si riportano i grafici dell’andamento dell’ampiezza e del ritardo al variare del parametro

Fig. 4.8.

In Fig. 4.8 è riportato il diagramma di Nyquist per il tipo di strumento in esame.

Fig. 4.9.

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Se l’ingresso armonico è composto da due funzioni di ampiezza e pulsazione diverse:


8( ) = 82 cos £2 + 8/ cos £/

1
La risposta a regime dello strumento è:

;( ) = |¤ 8 cos(£2 + ¥2 ) + ¤/ 8/ cos(£/ + ¥/ )}
  2 2
Abbiamo il cosiddetto fenomeno di distorsione, che si distingue in:

82 ¤2 82
a) distorsione in ampiezza


8/ ¤/ 8/
Tale distorsione si può evitare se si lavora con ampiezze ¤ → 1.
b) distorsione in fase
¥2 < ¥/
Tale distorsione si può evitare se si lavora con ritardi ¥ = \ £ in modo che ¥S = e  ".
Queste due condizioni sono verificate se il parametro ℎ = 0,67.

Se allo strumento applichiamo un segnale periodico 8( ) qualsiasi non sinusoidale di periodo Æ, con
ovviamente pulsazione pari a £& = 2-Æ, esso si può sviluppare in serie di Fourier:
€

8( ) = 8) + r 8… cos(\ £& + Dž )
…d2

€
1
La risposta dello strumento è:

;( ) = ¬8) ( ) + r ¤… 8… cos(\ £& + Dž + ¥… )­


 
…d2

€
1
che a regime vale:

;( ) = ¬8) + r ¤… 8… cos(\ £& + Dž + ¥… )­


 
…d2

4.3. Attenuazione
L’attenuazione si misura in decibel ed è definita come:
1 /
¤ 8&
 
È ≡ 10 log É Ê ⇔ È = 20 log ¤
1
 
L’attenuazione è sempre negativa per gli strumenti del primo ordine mentre può essere sia positiva
che negativa per gli strumenti del secondo ordine.

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5. MISURE DI SPOSTAMENTO E POSIZIONE

5.1. Generalità
I trasduttori utilizzati per questo genere di misure si dividono in due grandi categorie:
− con contatto: l’oggetto della misura viene rilevato grazie al contatto diretto del trasduttore con
l’oggetto stesso;
− senza contatto: l’oggetto della misura viene rilevato senza il contatto diretto del trasduttore con
l’oggetto stesso. Questi tipi di trasduttori lavorano per induzione, sono più costosi rispetto a
quelli con contatto, lavorano in ambienti ostili e non aggiungono l’errore di discrezione (non
alterano la misura dato che non vi è contatto).

5.2. Accelerometri
Le applicazioni tipiche degli accelerometri sono:
a) analisi delle vibrazioni delle macchine;
b) bilanciamento di organi rotanti;
c) analisi di assemblaggio;
d) analisi modale;
e) vibrazioni sismiche;
f) prove sugli imballi;
g) progettazione veicoli: perfezionamento.
Una tipica catena di misura di vibrazioni è costituita da un trasduttore (l’accelerometro), un
preamplificatore, strumenti post-elaborazione.
Il trasduttore converte la grandezza fisica che si sta misurando in un’altra grandezza, normalmente
elettrica in quanto i segnali elettrici possono essere analizzati molto più facilmente.

5.2.1. Gli accelerometri piezoelettrici


L’accelerometro piezoelettrico è considerato il miglior trasduttore per la misura di vibrazioni, ciò è
dovuto alle seguenti caratteristiche:
1. è utilizzabile in un range di frequenze molto ampio;
2. ha una eccellente linearità che copre tutto il range dinamico;
3. il segnale dell’accelerazione può essere elettronicamente integrato per ottenere velocità e
spostamento;
4. la misura di vibrazioni può essere effettuata in un ampio range di condizioni ambientali in cui lo
strumento garantisce una eccellente precisione;
5. ha un vita media molto elevata;
6. è estremamente compatto.
A seconda del tipo di sforzo che si genera sull’elemento piezoelettrico gli accelerometri si dividono
in due grandi categorie:
− il tipo a compressione;
− il tipo a taglio (shear).
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L’effetto piezoelettrico consiste nell’allineamento ed accumulo di ioni con cariche opposte sui due
lati del cristallo di quarzo, quanto quest’ultimo è sottoposto a compressione.

Fig. 5.1.

5.2.2. Modello analitico

Lo spostamento relativo ;g ( ) tra la superficie vibrante e la massa sismica dell’accelerometro vale:


Fig. 5.2.

;g ( ) = ;( ) − ; ( )
L’equazione del moto della massa sismica è:
f ;¹ + \ŽÍ ;g = 0
Lo spostamento della massa sismica possiamo esprimerlo come somma dello spostamento relativo e
dello spostamento delle superficie vibrante:
;( ) = ;g ( ) + ; ( )
L’equazione del moto diventa:
f ;g¹ + f ;¹ + \ŽÍ ;g = 0
f ;g¹ + \ŽÍ ;g = −f ;¹
Se ; ( ) = ̍ cos £ , sostituendo
endo si ottiene:
f ;g¹ + \ŽÍ ;g = f ̍ £ / cos £

41
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Dividendo per \ŽÍ e ricordando che ºA = Î


…ÏÐ
<
si ha:

1 1
;g¹ + ;g = / ̍ £ / cos £
ºA
/ ºA

1
A regime diventa:

;g ( ) = ¤(£) Ì £ / cos(£ + ¥)
ºA/ 
Il termine ̍ £ / indica l’ampiezza del accelerazione (misurando).

Poiché la massa sismica ha ampiezza di vibrazione proporzionale, per tutto il range di frequenze
utile, all’accelerazione della struttura vibrante (ed anche stessa fase) l’output è proporzionale

X ∝ “ ∝ ‡ = \ŽÍ ;g ∝ ̍ £/
all’accelerazione della base.

5.2.3. Tipologie di montaggio dell’accelerometro


Il montaggio di un accelerometro risulta essere molto importante al fine di ottenere dei risultati
corretti; si possono, infatti, commettere errori grossolani se taletale operazione non è effettuata in
maniera adeguata.
Per un corretto montaggio si deve tener conto conto della direzione principale di d sensibilità
dell’accelerometro e della possibilità di rendere ripetibile la misura.
Al tal proposito citiamo cinque modalità di montaggio molto diffuse:
1. attraverso gambo filettato;
2. con un magnete;
3. tramite una vite adesiva (cemented stud);
4. con uno strato di cera;
5. mantenuto a mano.

F
ig. 5.3.

5.2.4. Problemi in transitorio


Quando l’accelerometro lavora in condizioni di transitorio si verificano alcuni problemi che danno
una errata indicazione su quello che stiamo misurando.

• Leakage
Quando un accelerometro è soggetto ad una accelerazione quasi statica, si sviluppa una carica sugli
elementi piezoelettrici, che grazie alla capacità di quest’ultimi,
quest’ultimi, prima si “congela” e poi si disperde
a causa dell’elevata resistenza dell’accelerometro (e quindi della costante di tempo τ), o
eventualmente, anche per una errata impostazione della frequenza limite inferiore sul
preamplificatore.

42
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Fig. 5.4.

• Ringing
Il termine si riferisce alla distorsione dovuta all’uso dell’accelerometro per vibrazioni transitorie
fuori dal range operativo.

Fig. 5.5.

tale errore entro il 5%, la frequenza di risonanza di montaggio dovrebbe essere minore di 10Æ dove
Anche il ringin come il leakage causa errori nella valutazione dell’ampiezza di picco e per contenere

Æ è la durata del transitorio.

• Zero shift
In Fig. 5.6 sono riportati due segnali semicosinusoidali; per entrambi si nota una distorsione
dell’onda dovuta al fatto che i livelli erano prossimi ai limiti consentiti dall’accelerometro.

Fig. 5.6.

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5.2.5. Condizionatori di segnale


• I preamplificatori
Data l’elevata impedenza interna degli accelerometri, prima di passare il loro segnale alla catena di
misura ed analisi, bisogna trasferire il segnale su di una impedenza più bassa. Questo è il compito
principale di un preamplificatore.
Un preamplificatore oltre ad agire come convertitore di impedenza, permette i seguenti
condizionamenti del segnale:
− tagli selezionabili della risposta in frequenza (verso il basso) per eliminare segnali indesiderati;
− integrazioni per convertire il segnale proporzionale all’accelerazione, in un segnale
proporzionale alla velocità e allo spostamento;
− indicazioni dei sovraccarichi di ingresso per evitare errori di misura.

5.2.6. Influenza di grandezze esterne


In Fig. 5.7 sono riportati tutte quelle grandezze esterne che possono influenzare il corretto
funzionamento di un accelerometro piezoelettrico.

Fig. 5.7.

5.2.7. Il range di temperatura


In generale un accelerometro piezoelettrico è idoneo per misure di vibrazioni in un ampio range di
temperatura, che comunque dipende dalle proprietà degli elementi piezoelettrici, dalle variazioni sia
delle sensibilità di carica che della tensione.
Per ogni tipo di accelerometro le case costruttrici specificano il massimo valore della temperatura di
esercizio prima che gli elementi piezoelettrici depolarizzino causando una carica permanente che
ne altera la sensibilità.
Tale temperatura è di circa 250° C per gli accelerometri con materiale piezoelettrico del tipo PZ23.

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6. MISURE DI DEFORMAZIONE
6.1. Generalità
Con tali misure si effettuano valutazioni di dilatazione
∆Z
Ñ=
Z
Gli strumenti che misurano tale grandezza sono detti estensimetri. Essi sono sensibili, in genere, agli
spostamenti relativi tra due punti della superficie lungo la direzione della loro congiungente.
La distanza tra i due punti è fissata dall’estensimetro stesso, del quale è una caratteristica costruttiva
(base). Dalla misura dello spostamento tra i punti delimitanti la base si risale facilmente alla
dilatazione media, esistente nel tratto limitato dalla base stessa.
Gli estensimetri possono classificarsi in:
− estensimetri meccanici;
− estensimetri acustici;
− estensimetri pneumatici;
− estensimetri ottici;
− estensimetri elettrici.

6.2. Estensimetri a resistenza elettrica


Gli estensimetri a resistenza elettrica consistono in un filo di lega speciale, di resistenza elettrica
nota e di diametro molto piccolo (da 0.01 a 0.03 mm), disposto a serpentina su un supporto di carta
o resina sintetica al quale aderisce.
Il supporto viene a sua volta incollato alla superficie di cui si desidera conoscere la deformazione.
Dopo aver applicato il carico, l’estensimetro segue le deformazioni del pezzo presentando le
medesime dilatazioni.
Il filo subirà variazioni di lunghezza e sezione e ciò comporterà variazioni di resistenza elettrica:
Z(Ñ)
.(Ñ) = Y
(Ñ)

Fig. 6.1.

45
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Si definisce costante dell’estensimetro a resistenza elettrica, che rappresenta la sensibilità statica, il


rapporto:
∆.⁄. ∆.⁄.
Ò= =
∆K⁄K Ñ
Il numeratore ∆.⁄. vale:
∆. ∆Y ∆K ∆ ∆Y ∆
= + − = +Ñ−
. Y K  Y 

Sull’ultimo termine del secondo membro ∆ occorre fare qualche considerazione: l’applicazione
della forza ‡, come noto, fa allungare i filamenti della resistenza con conseguente riduzione del
raggio  dei filamenti stessi che diventa (1 −  Ñ). Quindi si ha:
∆ - / (1 −  Ñ)/ − - /
= = 1 −  / Ñ / − 2  Ñ − 1 = − / Ñ / − 2  Ñ
 - /
Dato che può ritenersi trascurabile il termine  / Ñ / possiamo scrivere:
∆
= −2  Ñ

Che sostituita nell’espressione di ∆.⁄. , si ha:
∆. ∆Y
= +Ñ+2Ñ
. Y
Pertanto:
∆.⁄. ∆Y⁄Y
Ò= = 1+2+
∆K⁄K Ñ
Per i materiali metallici si avrà:
∆Y⁄Y
Ò = 1.50 ÷ 1.67 +
Ñ
In realtà i valori 1.50 ÷ 1.67 sono sempre superati poiché c’è un effetto di variazione di resistività
in funzione della sollecitazione (Ò ≈ 2.0 ÷ 2.1).
La costante dell’estensimetro Ò viene determinata durante la taratura ed il suo valore è fornito dal
costruttore con una incertezza ±1%.

6.2.1. Influenza della temperatura


La temperatura influenza il funzionamento dell’estensimetro sotto più aspetti:
− limite di temperatura max (danneggiamento);
− la resistività varia con la temperatura;
− la dilatazione dell’estensimetro viene impedita dal supporto; tale vincolo comporta sollecitazioni
che si aggiungono ai carichi misurati.

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6.2.2. Rosette di estensimetri


Le rosette di estensimetri sono degli assiemi
assiem di più estensimetri a resistenza elettrica montati sullo
stesso supporto, per determinare lo stato di sollecitazione e deformazione in un punto della
superficie dell’elemento costruttivo.
Esistono varie configurazioni:
− rosette con 3 estensimetri a 45°, a 120°, a 120°/90° (rosetta a delta T);
− rosette a 2 estensimetri a 90° (rosette rettangolari).

Fig. 6.2.

6.2.3. Trasduttore di forza strain-gage


strain
Per valutare la dilatazione di una mensola soggetta ad un carico si possono utilizzare varie
configurazioni. In Fig. 6.3
.3 si mostra come valutare tale dilatazione installando 4 resistenze collegate
in un ponte di Wheatstone.

Fig. 6.3.

X= X=
Le correnti che circolano nei due semiponti valgono:

Wœ = ; WÔ =
.2 + ./ .' + .Õ

47
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Fig. 6.4.

Se consideriamo il circuito in Fig. 6.4 la tensione X2/ vale:


X= X=
X2/ = .2 Wœ − .' WÔ = .2 − .'
.2 + ./ .' + .Õ
Sviluppando in serie di Taylor limitandoci ai termici lineari si ottiene:
:X2/ :X2/ :X2/ :X2/
X2/ (.2 , ./ , .' , .Õ ) ≅ X2/,& + À Ö ∆.2 + À Ö ∆./ + À Ö ∆.' + À Ö ∆.
:.2 & :./ & :.' & :.Õ & Õ

./ .2
Risolvendo i differenziali,

X2/ (.2 , ./ , .' , .Õ ) ≅ X2/,& − X= ∆.2 + X= ∆. +


(.2 + ./ ) / (.2 + ./ )/ /
.Õ .'
+X= ∆.' − X= ∆.
(.' + .Õ ) / (.' + .Õ )/ Õ

Scegliendo come valori iniziali delle resistenze .2,& = ./,& = .',& = .Õ,& = .& , la tensione X2/

X= X= X= X=
vale:

X2/ (.2 , ./ , .' , .Õ ) ≅ − ∆.2 + ∆./ + ∆.' − ∆.


4.& 4.& 4.& 4.& Õ

X2/ ∝ ∆. ∝ Ñ
Come ci si aspettava risulta

annulla l’effetto del carico di trazione e se le due resistenze 72 e 7/ appartengono allo stesso
In Fig. 6.5 si mostra un’altra configurazione per determinare la dilatazione di una mensola che

semiponte la sensibilità si raddoppia.

Fig. 6.5.
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Un’ultima configurazione è utilizzata per compensare l’effetto della temperatura inserendo sullo
stesso semiponte due estensimetri identici in quadratura.

La resistenza 72 si allunga per l’elongazione e per la temperatura mentre la 7/ si allunga solo per
Fig. 6.6.

l’effetto della temperatura. In questo modo l’effetto si compensa.

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7. MISURE DI FORZA E DI COPPIA


7.1. Generalità
Lo standard per l’unità di misura della forza è, per ovvii motivi, connesso agli standard relativi a

L’accelerazione di gravità  è uno standard conveniente per l’accelerazione e può essere


massa ed accelerazione.

determinata di 1 parte su 10× . Il valore di  pari a 9.80665 f/ / è riferito alla latitudine di 45° ed

Il valore di  può essere computato, al variare dell’angolo Ø di latitudine con la seguente relazione:
al livello del mare.

 = 9.78049(1 + 0.0052884 sin/ Ø − 0.0000059 sin/ 2Ø) |f/ / }


Mentre è previsto un fattore di correzione per tenere conto della quota rispetto al livello del mare.

7.2. Misure di forza


Per misurare la forza si possono utilizzare sia gli estensimetri che i trasduttori piezoelettrici come
raffigurato in Fig. 7.1.

Fig. 7.1.

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7.2.1. Trasduttori di forza piezoelettrici (celle di carico) e tipologia di installazione


I trasduttori di forza piezoelettrici o celle di carico possono essere di tipo ring e di tipo link, come
rappresentati in Fig. 7.2.

Fig. 7.2.

7.3. Misure di coppia


Anche la misura di coppia si effettua o con estensimetri o con celle di carico (Fig. 7.3).

Fig. 7.3.

In questa figura (a destra) si mostra il caso in cui un motore fa ruotare un rotore, la parte statorica
tende anch’essa a ruotare insieme al rotore e con una punta incide su una cella di carico che va
appunto a misurare la coppia generata dal motore.

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8. MISURE DI TEMPERATURA
8.1. Generalità
Per le misure di temperatura si possono utilizzare vari strumenti, tra cui:
− termometri bimetallici;
− termometri a liquido;
− sensori termoelettrici (termocoppie);
− sensori a resistenza elettrica (RTD e thermistors)
− termometri digitali;
− Infrared Imaging Systems.

8.2. Principio di funzionamento di una termocoppia


L’effetto termoelettrico, scoperto da T. J. Seebeck nel 1821, consiste nel fatto che se si collegano
fra loro due metalli diversi si stabilisce
stabili una f.e.m. a cavallo della giunzione.

Fig. 8.1.

rispettivamente a temperatura 2 e / , ne deriverà quanto segue:


Si considerino due metalli, sotto forma di due fili A e B, saldati alle estremità C e D,

a) se i metalli sono di natura diversa, supposte diverse le due temperature 2 e / delle due
giunzioni, il circuito costituito dai due fili è sede di una f.e.m. risultante delle f.e.m. che nascono

b) se i metalli sono diversi ma 2 = / le due f.e.m. sono eguali ed opposte, per cui la f.e.m.
a cavallo delle due giunzioni;

risultante è nulla;

si avrà nessuna f.e.m. risultante, qualsiasi siano i valori di 2 e / .


c) se i due fili sono dello stesso metallo nessuna f.e.m. nasce a cavallo delle giunzioni per cui non

8.2.1. Potere termoelettrico


Si definisce potere termoelettrico della termocoppia il rapporto:
C"
-=
C
Questa espressione fornisce il valore della tangente locale (f.e.m. rispetto alla temperatura) alla
curva caratteristica.

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Si osserva che esiste una temperatura in corrispondenza della quale si ha - = 0; per temperature
Fig. 8.2.

maggiore, - diviene negativo. Tale temperatura viene detta temperatura d’inversione ( @ ): la coppia
dovrà perciò essere impiegata per < @ .
Detta & la temperatura cui si trova il giunto di riferimento, la caratteristica della termocoppia può
esprimersi tramite la legge generale:
" = ( − & ) ( , & )
dove la funzione ( , & ) può essere anche molto complessa. Molte volte, almeno nel suo tratto
iniziale, la caratteristica può con buona approssimazione essere assunta lineare per cui l’espressione
precedente diviene:
" = -< ( − & )
in cui -< è il potere termoelettrico medio.

8.2.2. Legge delle temperature successive


Questa legge, dovuta al Becquerel, può così esprimersi: se una termocoppia sviluppa una f.e.m. "2
quando i giunti sono posti alle temperature rispettivamente 2 e / , ed una f.e.m. "/ quando i giunti
sono posti rispettivamente alle temperature / e ' , essa svilupperà una f.e.m. "' ="2 + "/ qualora i
giunti siano posti rispettivamente alle temperature 2 e ' . Si può perciò scrivere:
"( 2 , ' ) = "( 2 , / ) + "( / , ' )
Questa legge è importante agli effetti dell’impiego della termocoppia perché permette il suo uso

ponendo semplicemente il giunto di riferimento a temperatura ambiente = nota.


senza disporre di un termostato al punto del ghiaccio fondente (temperatura di riferimento),

In tal caso, detta la temperatura da misurare, si ottiene:


"(0, ) = "(0, = ) + "( = , )
Per cui in definitiva per ottenere la temperatura effettiva, si deve sommare semplicemente la =
all’indicazione fornita dalla termocoppia.

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8.2.3. Errori nella misura


Esistono vari problemi connessi alla misura di temperatura in flussi:
− errore di conduzione;
− errore dovuto all’irraggiamento;
− effetto della velocità.

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