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Le nuove frontiere del marchio come

persona trainer aziendale

Facoltà di Scienze Politiche


Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale
Corso di laurea in Organizzazione e Marketing per la Comunicazione
d’Impresa

Daniele Chiffi
Matricola 1713169

Relatrice Correlatrice
Chiar.ma Prof.ssa Paola Panarese Chiar.ma Prof.ssa Barbara Sonzogni

A.A. 2019-2020

1
Indice

Introduzione 4

Capitolo 1
L’attivismo sociale del brand oggi: il brand activism
1.1. Il brand: una definizione 6
1.2. Il valore del brand 8
1.3. Il brand oggi tra identity e equity 10
1.4. Corporate Social Responsability 14
1.5. Il bene comune come direttrice d’azione delle aziende 18
1.6. Il brand activism 19
1.7. Le aree di attivismo delle aziende 23

Capitolo 2
Brand e Coronavirus
2.1. Emergenza sanitaria e cambiamenti nei consumatori 26
2.2. Fasi e step di reazione dei brand alla pandemia 36
2.3. L’evoluzione degli investimenti in comunicazione
durante la pandemia 43
2.4. Conversioni di produzione 43
2.5. Gare di solidarietà 46
2.6. Nuovi temi e contenuti delle campagne 52
2.6.1. Distanziamento sociale 53
2.6.2. #iorestoacasa 62
2.6.3. Messaggi solidali per i lavoratori 66
2.7. Covid-19 e i brand sui social media: dati e tendenze
della prima fase 69
2.8. I brand più resilienti 72

2
Capitolo 3
Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19
3.1. Introduzione 74
3.2. Micro e piccole imprese: le più “sospese” nel lockdown 75
3.3. Attività sospese per oltre la metà delle imprese nelle costruzioni
e nei servizi 76
3.4. Forte perdita di fatturato per un’impresa su due 78
3.5. Alta l’attenzione delle imprese per la precauzione sanitaria 83
3.6. Difficoltà ad adeguare gli spazi lavorativi 84
3.7. Il ricorso allo smart work influenzato dalle caratteristiche
dei settori produttivi 89
3.8. Soluzioni per fronteggiare la crisi 90
3.9. Conclusione 95

Conclusioni 97

Bibliografia 100

Sitografia 102

3
Introduzione

Il posizionamento di un prodotto all’interno di un mercato rappresenta, ad oggi, un


processo molto delicato, che richiede l’attenzione al contesto, la capacità di adeguarsi
alle dinamiche del mercato e la creazione di una forte brand identity. Tale identità
passa anche – e sempre più spesso – per azioni comunicative e di marketing con
finalità sociali, che rientrano in quello che possiamo definire Brand activism, che
riguarda l’impegno e il coinvolgimento dei brand verso una o più cause di rilevanza
sociale, politica, economica mediante campagne di comunicazione, iniziative,
progetti ad hoc.
È questo l’oggetto di tale lavoro di tesi, indagato in relazione ai cambiamenti portati
a tale ambito dall’emergenza sanitaria da Covid-19.
Così, nel primo capitolo viene effettuato uno studio in merito alle strategie che
caratterizzano il brand activism: il capitolo esordisce con la definizione di brand per
poi compiere un'attenta analisi delle dimensioni che caratterizzano tale fattore ovvero
il valore dello stesso, soprattutto considerato oggi in relazione alla identity e alla
equity.
Prosegue la trattazione la descrizione della Corporate Social Responsability e del
concetto di bene comune che si qualifica come direttrice d'azione delle aziende.
Conclude la trattazione la descrizione del brand activism e delle aree di attivismo
delle aziende più diffuse attualmente.
Il secondo capitolo, invece, ricostruisce le strategie di brand activism poste in essere
dai Brand più famosi, in tempi di Covid-19. Il capitolo esordisce con la descrizione
dei cambiamenti dei comportamenti dei consumatori in seguito all’avvento
dell'emergenza sanitaria per poi passare alla descrizione delle fasi e degli step di
reazione dei brand alla pandemia. Il testo, in particolare, si concentra sul
cambiamento che i brand oggi hanno compiuto per quanto riguarda gli investimenti
in comunicazione che sono stati affiancati da altre strategie come le conversioni di
produzione, le gare di solidarietà e nuove tematiche e contenuti che hanno acquisito
spazio all'interno delle campagne pubblicitarie. In particolare, sono tre le tematiche
che sono state analizzate: il distanziamento sociale, l’#iorestoacasa e i messaggi
solidali che venivano formulati per i lavoratori e per la classe medica. Conclude la
trattazione i dati e tendenze della prima fase per quanto riguarda la presenza dei
brand sui social media sempre in relazione alla pandemia nonché la descrizione dei
band che si sono dimostrati attualmente più resilienti alla situazione che il mondo sta
vivendo oggi.
Il capitolo terzo, infine, prende in esame un'indagine compiuta recentemente dall'Istat
riguardante la situazione e le prospettive delle imprese nell'emergenza sanitaria
Covid-19: mediante questa indagine l’istituto di statistica ha voluto analizzare le

4
difficoltà che le imprese di piccole e medie dimensioni devono fronteggiare per poter
sopravvivere a questa emergenza sanitaria ed economica ponendo l'accento in
particolar modo sulla perdita del fatturato e sulle varie soluzioni che sono state
formulate per salvarsi da una chiusura che per molte imprese sembra essere l’unica
soluzione.
Se ne deduce che le multinazionali e i brand più famosi hanno concentrato i loro sforzi
e investimenti in iniziative di brand activism, forti di una posizione ben consolidata
sul mercato. Le piccole attività, invece, alle prese con problemi di adeguamento della
propria offerta alle nuove normative emergenziali e adattamento al contesto di crisi
hanno focalizzato l’attenzione su personale e punti vendita, trascurando la
dimensione di marca.

5
Capitolo 1
L’attivismo sociale del brand oggi: il brand activism

1.1. Il brand: una definizione

La definizione del termine brand ha subito numerose variazioni sulla base


dell’evoluzione che il concetto ha avuto nel corso del tempo. La prima definizione
risale al 1960, quando l’American Marketing Association – AMA – identificò il brand
come «un nome, un termine, un segno, un simbolo, un disegno o una loro
combinazione che identifica un prodotto o servizio di un venditore e che lo
differenzia da quello del concorrente»1. Tale definizione si è rivelata essere quella
maggiormente accettata a livello mondiale, poiché si concentra sulla funzione
distintiva del brand, che, quindi, viene inteso come un «segno distintivo dei prodotti
o dei servizi dell’impresa»2.
Questa definizione fu affiancata da altre formulate in occasione di studi di
approfondimento o analisi del fenomeno da parte di esperti, che cominciarono a
considerare il brand come una dimensione fondamentale dell’attività delle
aziende.
A tale riguardo, si ricordano in particolare gli studi di De Chernatony e McDonald,
che, a partire dalla definizione tecnica fornita dall’AMA, definirono la marca come
«un prodotto, servizio, persona o luogo, aumentato in misura tale che l’acquirente o
l’utilizzatore percepisca elementi unici e rilevanti di valore aggiunto che
incontrino i suoi bisogni e che tale valore sia sostenibile nei confronti dei
concorrenti»3: questa definizione comprende nuove dimensioni poiché rivela la
capacità degli elementi distintivi del brand di incontrare i bisogni dei potenziali
consumatori 4.

1 Cfr. C. Zara, La valutazione della marca. Il contributo del brand alla creazione del valore dell’impresa, Etaslibri,
Milano, 2007, p. 56.
2 Ivi, p. 57.
3 Cfr. L. De Chernatony e T. McDonald, Brand Management Through Narrowing the Gap Between Brand
Identity and Brand Reputation, in Journal of Marketing Management, 2009, pp. 123-124.
4 Cfr. C. Zara, op. cit., p. 77.

6
Dunque, le caratteristiche del brand dipendono da come questi ultimi lo
percepiscono; tale interpretazione si distacca dalla prima definizione che
considera il brand come un semplice segno distintivo del prodotto che
identifica5.
Successivamente, il pubblicitario Walter Landor s definì il brand come «una
promessa: identificando e autenticando un prodotto o un servizio, annuncia un
impegno di soddisfazione e qualità» 6. Questa definizione presuppone una precisa
responsabilità da parte del brand/azienda, che si impegna ad assicurare soddisfazione
e qualità ai potenziali consumatori 7.
Stando al consulente di branding Colin Bates, invece, il brand rappresenta «un
insieme di percezioni nella mente del consumatore» 8; in questo modo ci si concentra
sul concetto astratto di intangibilità del brand, mettendo da parte i segni distintivi che
lo contraddistinguono rispetto agli altri concorrenti 9.
Le definizioni citate non sono esaustive, ma danno comunque un’idea della
multidimensionalità del concetto, della difficoltà di sintetizzarlo in un’unica
descrizione e degli elementi distintivi del brand: il nome, i prodotti o i servizi che
identifica, la storia, il valore che incorpora e così via. La sintesi di tutti questi elementi
permette di arrivare ai due estremi che caratterizzano il brand, ovvero l’impresa e il
consumatore potenziale.
Viene ricondotto alla dimensione del brand anche il concetto di brand identity
(convenzionalmente tradotto in “identità aziendale”), ossia il complesso degli
elementi che costruiscono la sua identità, come valori, obiettivi e mission, e che
determina e, nel contempo, anche la sua affermazione 10.
Ottiene risalto, in questo caso, il valore dell’immagine del brand proiettata sul
mercato: in particolare, proprio la veste dell’azienda svolge la primaria funzione di
pubblicizzarla e, pertanto, si pone come uno strumento fondamentale tramite il quale
conseguire e mantenere un solido rapporto con la clientela, creando quella
fidelizzazione che garantisce una sicurezza esclusiva 11.
Il concetto di brand identity, come sostenuto nella letteratura di settore, rappresenta
uno dei tre elementi costitutivi del brand: gli altri due sono identificati nella brand
image e nella brand reputation.

5 Cfr. J. N. Kapferer, Strategic brand management, Kogan Page, Londra, 2007, p. 89.
6 Cfr. C. Zara, op. cit., p. 78.
7 Ibidem.
8 Ivi, p. 92.
9 Ibidem.
10 Cfr. L. De Chernatony & T. Mc Donald, Creating powerful brands, Elsevier, Oxford, 2003, p. 65.
11 Cfr. K. L. Keller, B. Busacca & M. C. Ostillo, Gestione e sviluppo del brand, Egea, Milano, 2006, p. 90.

7
La prima è identificata nell’insieme di concetti e connessioni mentali che il
consumatore associa al brand.
La costruzione dell’immagine aziendale viene realizzata attraverso l’utilizzo
integrato di tutte le leve del marketing mix, che, unite a un insieme di associazioni
cognitive, emotive ed affettive, permettono al cliente di distinguere il brand sulla base
dei sentimenti che vengono evocati12.
La brand reputation, invece, è correlata al grado di apprezzamento che il
brand è riuscito a ottenere: essa non dipende solo dalla comunicazione messa
in atto dall’azienda, poiché viene intesa anche come il prodotto di un processo
collettivo nel quale hanno un ruolo fondamentale tutti gli stakeholders
dell'impresa 13.
In questo modo, la reputazione dipende sia da come questi ultimi percepiscono
il brand che dalle iniziative che l’azienda intraprende quotidianamente 14.

1.2. Il valore del brand

Per via della sua posizione nel mercato e della sua notorietà presso la clientela
(effettiva e potenziale), il brand può ottenere, nel tempo, un elevato valore; questo si
qualifica come variabile guida per il consumatore, il quale ne viene influenzato nelle
sue decisioni di acquisto, incrementando al contempo il livello di soddisfazione
15 .
Se il consumatore è influenzato dal valore del brand, allo stesso tempo ne risentirà
anche il produttore, che otterrà diversi benefici, come ad esempio maggiore efficacia
nel reperimento di nuovi clienti o nel recupero di quelli vecchi 16.
La stabile definizione del valore del brand consente all’azienda, in via generale, anche
di acquisire un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza, rinforzando la sua
posizione nel mercato e generando barriere all’ingresso nei confronti dei potenziali
concorrenti 17.
Inoltre, rappresenta una leva importante anche per le stesse strategie distributive, che
permettono di conseguire una posizione di forza all’interno dei diversi canali, da

12 Cfr. C. Zara, op. cit., p. 80.


13 Ibidem.
14 Cfr. K. L. Keller, B. Busacca & M. C. Ostillo, op. cit., p. 67.
15 Ibidem.
16 Cfr. D. Arnold, Manuale del brand management: come "fare marca" in un mondo sempre più competitivo,
Franco Angeli, Milano, 2006, p. 125.
17 Cfr. D. A. Aaker, Brand Equity: la gestione del valore della marca, Franco Angeli, Milano, 2012, p. 23.

8
quelli più tradizionali, come i punti vendita, fino a quelli di ultima generazione, ad
esempio la vendita on line 18.
Il valore del brand è il prodotto della combinazione di cinque diversi componenti, che
interagiscono tra loro, influenzandosi a vicenda:

• la qualità percepita, che si qualifica come la visione qualitativa che i


consumatori hanno del brand; in effetti, può capitare spesso che un
brand venga percepito come qualitativamente valido da parte dei
consumatori anche se essi non ne conoscono esattamente le
caratteristiche. La variabile della qualità percepita è in grado di
influenzare fortemente due importanti dimensioni, ovvero le decisioni
di acquisto e la fedeltà al brand, soprattutto in presenza di prodotti
messi sul mercato molto simili tra loro. Per l'azienda, possedere una
elevata qualità vuol dire anche azzardare politiche di prezzo un po’ più
elevate rispetto ai competitors, in modo da ottenere profitti maggiori da
reinvestire negli ambiti in cui è possibile potenziare ulteriormente il
valore del brand;
• la fedeltà, che assicura la sopravvivenza del brand nel tempo. Numerosi
studi hanno dimostrato che per le imprese è più costoso attirare nuovi
clienti che fidelizzare quelli già esistenti, soprattutto se già consapevoli
della qualità del prodotto o del servizio offerti 19. In effetti, se l'azienda
sceglie di consolidare il proprio rapporto di fedeltà con clienti già
acquisiti è in grado di recuperare i costi di acquisizione: in questo caso,
emerge un altro fattore fondamentale ovvero il passaparola, che porta
numerosi clienti soddisfatti a fare pubblicità del prodotto acquistato
presso amici e parenti. In questo modo, numerosi nuovi clienti si
avvicineranno al marchio mettendo in moto un circolo vizioso che
assicura benefici e ritorni economici all'azienda. Possedere un ampio
parterre di clienti già fedeli si qualifica anche come ottimo disincentivo
per i potenziali concorrenti e per quelli già presenti che pongono in
essere numerose strategie e iniziative al fine di erodere la clientela della
concorrenza. Allo stesso tempo, possedere una clientela ben fidelizzata

18 Cfr. V. Gabrielli, Il brand. Quando la marca è più di un prodotto, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 34.
19 Oltre agli studi condotti da Caruso, significativi sono anche gli studi condotti da Benevolo e Burlando,
nonché da Valdani. Si veda in merito E. Caruso, Conquistare e fidelizzare il cliente. Vol. 8, Tecniche nuove,
Milano, 2009, p. 87; inoltre C. Benevolo e V. Burlando, E-customer strategy: la fidelizzazione del cliente on
line, in Micro & Macro Marketing, n. 22, 2013, pp. 61-86. Si veda anche E. Valdani, Cliente e service
management. EGEA, Milano, 2011, p. 29.

9
permette all'impresa di manifestare un forte potere nei confronti degli
stessi canali distributivi che saranno “costretti a tenersi stretto” quel
brand perché fonte di guadagni dato che i clienti si aspetteranno di
trovarlo all'interno del punto vendita frequentato;
• la notorietà, che permette al brand di ottenere maggiore credibilità
presso i consumatori; essi saranno portati a scegliere il brand più noto
anche perché rassicurati dalla qualità percepita. La notorietà, inoltre, si
qualifica come variabile fondamentale per i beni di largo consumo che
ogni giorno hanno a che fare con la concorrenza e numerose alternative:
se il marchio non è abbastanza conosciuto non riuscirà ad acquistare il
proprio posto tra le alternative che figurano tra le possibili decisioni di
acquisto del consumatore;
• altre risorse esclusive del brand che ricomprendono canali distributivi
esclusivi, marchi registrati e brevetti; queste variabili, se riescono a
impedire l'erosione del valore della brand e la diminuzione del livello
di fedeltà da parte dei consumatori, riusciranno a costruire barriere
efficaci e, di conseguenza, anche un alto valore commerciale nei
confronti de competitors effettivi o potenziali;
• valori associati che permettono di costruire il valore intrinseco del nome
di un brand, poiché quest'ultimo viene correlato ad altri fattori di grande
impatto per la clientela, come ad esempio uno stile di vita o un
personaggio famoso; questi fattori, come tanti altri molto simili, sono in
grado di modificare la visione che i consumatori hanno del brand e, di
conseguenza, anche le loro decisioni di acquisto. Decretare
un'associazione forte per il brand si qualifica anche come barriera di
protezione nei confronti della concorrenza, che avrà molte difficoltà a
indebolire il marchio sotto quel punto di vista 20.

1.3. Il brand oggi tra identity e equity

Con l'espressione brand identity s’intende l'insieme degli aspetti e degli elementi
grafico-comunicativi che determinano la percezione e la reputazione del brand da
parte del pubblico: questa percezione si qualifica come profondamente emotiva e
distintiva, nonché capace di condizionare il gradimento e il successo del brand
stesso 21.

20 Cfr. D. B. Holt, How brands become icons. The Principles of Cultural Branding, Harvard Business School
Press, Boston, 2014, p. 54.
21 Cfr. V. Gabrielli, op. cit., p. 87.

10
Secondo l'opinione più comune, la costruzione dell'identità viene vista come
un’operazione che deve essere condotta esclusivamente da parte dell'impresa:
affermazione non del tutto esatta perché non solo tale processo è solo in parte
controllabile dall'azienda ma anche poiché l'identità del brand non è imponibile ma
può essere solamente proposta 22.
In effetti, sono proprio i consumatori che, in un secondo momento, danno anche il
loro contributo, secondo il loro personale punto di vista: soprattutto quando hanno
la possibilità di rilasciare opinioni e feedback in merito ai prodotti nei vari social
network.
Pertanto, l'identità del brand può essere considerata come il risultato della
commistione di diversi contributi, ossia quelli provenienti dall'azienda, dai clienti,
dai fornitori, dalle istituzioni e da tutti coloro i quali entrano in contatto con esso
23 .
L'azienda dà il via a questo procedimento, presentando il brand in maniera specifica
e associando a esso un determinato set di valori, nonché una specifica mission
aziendale 24.
Definire un'identità specifica del brand persegue uno scopo ben preciso, non solo
garantirsi una quota di mercato, ma anche assicurargli longevità, cercando di
veicolare messaggi che siano rispondenti alle esigenze dei consumatori e , allo stesso
tempo, anche coincidenti con la realtà25.
La brand identity, quindi, è costituita da un insieme di contenuti che permette di
distinguere il marchio in mezzo agli altri competitors.
In particolare, esso può essere considerato come il frutto della combinazione di alcuni
fattori che interagiscono tra di loro e che definiscono tale identità, ovvero:

• la cultura, che, in sostanza, è rappresentata dal patrimonio intangibile


dell'azienda; essa si qualifica come l'insieme delle conoscenze
tramandate all'interno di quest’ultima, conoscenze che rispecchiano la
sua storia e lo spirito imprenditoriale che le ha concesso di affermarsi e
svilupparsi nel tempo;
• i valori che costituiscono il suo modo di essere, nonché i punti di
riferimento nelle strategie da intraprendere. Questi valori sono

22 Cfr. G. Rigby, Brand Identity And Culture, Harriman House, London, 2011, p. 43.
23 Cfr. V. Gabrielli, op. cit., p. 91.
24 Cfr. C. Pratesi, Branding: strategia, organizzazione, comunicazione e ricerche per la marca, McGraw-Hill,
Milano, 2006, p. 24.
25 Cfr. R. Fiocca, A. Marino e M. Testori Brand management. Valori e relazioni nella gestione della marca,
Rizzoli Etas, Milano, 2007, p. 72.

11
fortemente presi in considerazione dagli stakeholders che valutano il
brand non solo in base ai prodotti offerti, ma anche in base al suo modo
di interagire con la clientela all'interno del mercato; dai suoi
atteggiamenti, infatti, emergono quei valori che spesso non sono
esplicitati, ma che, allo stesso tempo, tentano di soddisfare le aspettative
dei clienti in modo da non deluderli ed evitare giudizi negativi;
• la mission, che rappresenta sia l'obiettivo che l'impresa vuole
raggiungere sia l'impegno che l'azienda assume nei confronti degli
stakeholders. Essa non deve qualificarsi come un semplice manifesto di
buoni propositi, ma deve essere resa chiara a tutti i livelli aziendali in
modo da motivare tutti gli operatori inducendoli a sposare un'unica
linea di strategia;
• la personalità; il brand spesso viene personificato attribuendogli tratti
caratteriali propri degli individui. Questi attributi devono essere
conformi all'identità aziendale, nonché coerenti con le altre componenti
del marchio. La letteratura del settore è concorde nell'affermare che la
personalità di un marchio deve essere chiara e deve essere in grado di
distinguersi da quella degli altri concorrenti. La modalità tramite cui
l'azienda esplicita la sua personalità è proprio la comunicazione, di
conseguenza, deve fare molta attenzione a ciò che viene veicolato in
modo da evitare il gap tra ciò che essa vuole comunicare e ciò che
effettivamente gli stakeholders percepiscono;
• l'essenza, che si qualifica come la vera rappresentazione del brand; essa
sintetizza ciò che quest’ultimo vuole essere realmente e, qualificandosi
come una prospettiva di lungo termine, ricomprende anche ciò che il
brand stesso intende realizzare 26.

Oltre alla brand identity, il brand deve fare i conti anche con la brand equity, la quale
può essere considerata come il patrimonio aggiunto della marca o il valore aggiunto
della marca 27.
In particolare, Kotler e Keller hanno definito la brand equity come

quella risorsa immateriale complessa consistente nel valore aggiunto


apportato a beni e servizi da fattori quali la fedeltà del brand, la notorietà
e la conoscenza, la qualità percepita, le associazioni mentali, la tutela

26 Cfr. J. N. Kapferer, The new strategic brand management: creating and sustaining brand equity long term,
Kogan Page, London, 2008, p. 61.
27 Ibidem.

12
legale, le tecnologie applicate ed i canali di distribuzione, e che si riflette
nel modo in cui i consumatori pensano, sentono e agiscono rispetto al
prodotto, come pure nel prezzo, nelle quote di mercato e nella redditività
del brand per l'impresa28.

In sostanza, la brand equity può essere considerata come l'insieme dei significati,
degli ideali e delle emozioni di cui si fa portatore il brand.
In effetti, all'interno della società odierna dove tutto è ormai a portata di mano e dove
il mercato presenta agli occhi del consumatore svariate alternative di prodotti, ogni
brand deve sapersi distinguere dagli altri competitors in modo da conquistare il
proprio posto nella mente della clientela, rimanendo impresso 29.
La brand equity soddisfa l'esigenza di costruire quel patrimonio valoriale che
consente al brand di distinguersi tra tanti, formulando al contempo quella
motivazione che deve spingere il consumatore a preferire un marchio anziché l'altro30.
Di fatto, proprio il brand è la prima entità che viene in contatto con il consumatore e,
pertanto, deve essere facilmente riconoscibile mediante la manifestazione di specifici
codici visuali e testuali, capaci di descrivere nell'immediato la sua personalità
31 .
Gli studi condotti riguardo alla brand equity hanno stabilito che la costruzione del
valore del brand e del suo patrimonio si verifica grazie alla combinazione di sette
elementi: il concept, che si qualifica come l'idea di base su cui si fonda il complesso
valoriale del brand, comunica l'identità visiva e la simbologia a esso associato; il
naming, ovvero il nome della marca, importante elemento distintivo capace di
portarsi dietro una forte potenza evocativa: deve per questo essere in grado di
perdurare nel tempo; il payoff, l'estensione del nome al fine di contestualizzare
meglio il brand e il suo ambito di applicazione; anche questo elemento possiede un
ulteriore forza evocativa; il symbol, che ha il compito di evocare i prodotti o i servizi
dell'azienda presso la clientela effettiva e potenziale: esso è identificato in un
complesso di simboli, immagini e icone in grado di riassumere tutto il complesso
valoriale del brand tanto da rendere, addirittura, superfluo l'utilizzo del naming; il
logotype e il font, il carattere con il quale vengono determinati il naming e il payoff:
essi si qualificano come gli elementi specifici e caratterizzanti del marchio; i colori,

28 Cfr. P. Kotler e K. L. Keller, Il Marketing del nuovo millennio, Pearson Italia, Milano, 2010, p. 28.
29 Cfr. J. N. Kapferer, op. cit., p. 69.
30 Cfr. K. L. Keller, Building, measuring, and managing brand equity, Pearson Education International, New
Jersey, 2003, p. 31.
31 Cfr. C. J. Simon e M. W. Sullivan, The Measurement and Determinants of Brand Equity: a Financial Approach,
in Marketing Science, 2003, p. 44.

13
che sono in grado di creare associazioni molto forti; essi possono addirittura
decretare la buona riuscita o meno di un intero progetto di marketing 32.
Gli elementi descritti permettono di definire compiutamente il brand e il suo
patrimonio valoriale: esso, infatti, deve essere sin dall'inizio originale, coerente e
fortemente evocativo. Solo con il possesso di queste qualità dà la garanzia di
intraprendere un business di successo 33.
Questo filone di studi, basandosi sugli elementi appena descritti, ha considerato la
brand equity sulla base del suo significato strategico per l'impresa, sottolineando la
sua capacità di rimanere impressa nei consumatori, nonché di distinguersi in un
complesso concorrenziale 34.
Inoltre, sulla brand equity vi è un ulteriore filone di studi incentrato sugli
aspetti finanziari a cui ricondurre i diversi metodi di valutazione del brand e
dei suoi asset intangibili, utilizzando criteri come la determinazione dei costi
sostenuti per creare il brand e i guadagni attesi, collocati su un piano prettamente
prospettico35.

1.4. Corporate Social Responsability

Negli ultimi anni, al fine di mantenere la loro immagine e diffondere un’idea positiva
del loro operato senza privilegiare esclusivamente il profitto, i brand più famosi
hanno abbracciato una nuova linea di azione che richiede la commistione, nella
mission, sia di obiettivi economici che di obiettivi sociali e ambientali, in un’ottica di
sostenibilità, ovvero nell’intento di preservare il patrimonio ambientale, sociale e
umano per le generazioni attuali e per quelle future.
Questo approccio si sostanzia nella Responsabilità Sociale d’Impresa, RSI (in inglese
denominata come Corporate Social Responsibility - CSR), che riguarda la capacità per
le aziende di adottare pratiche commerciali e comportamenti nei confronti del
pubblico in grado di conseguire finalità sociali, molto importanti per la comunità
all’interno della quale opera 36.
Suddetto concetto richiama una forma di responsabilità che le imprese
spontaneamente scelgono di assumersi nei confronti della comunità di

32 Cfr. W. Olins, Brand new. Il futuro del branding nella società che cambia, Einaudi, Torino, 2015, p. 45.
33 Cfr. J. N. Kapferer, op. cit., p. 71.
34 Ibidem.
35 Cfr. G. Grizzanti, Brand Identikit, Fausto Lupetti Editore, Bologna, 2011, p. 25.
36 Cfr. F. Perrini, Corporate social responsability. Un nuovo approccio strategico alla gestione d'impresa, EGEA,
Milano, 2011, p. 55.

14
riferimento e dei loro stakeholders, ovvero clienti, dipendenti, fornitori e così via
37 .
La responsabilità sociale non è correlata esclusivamente alla qualità e alla sicurezza
del prodotto commercializzato, bensì alla condotta mantenuta dall’impresa e al
tentativo di raggiungere importanti finalità sociali, come la salvaguardia
dell’ambiente, la tutela della salute, il risparmio energetico, la corretta informazione,
etc. 38.
Il concetto di RSI, che ha cominciato ad affermarsi nel corso degli anni Settanta, ha
trovato oggi grande diffusione anche se fatica ad affermarsi in alcuni contesti
aziendali, restii ad abbandonare il tradizionale sistema di gestione basato su
un obiettivo primario, ovvero quello di ricavare il massimo utile per
l’impresa nel più breve tempo possibile e di concentrarsi esclusivamente
sul profitto39.
L’RSI viene considerato come un buon approccio per le imprese spinge le aziende e i
brand più famosi a compiere una sorta di gara per conseguire obiettivi che aiuteranno
la società a risolvere importanti problematiche, al fine di acquisire il consenso dei
consumatori: tale competizione avrà un duplice effetto poiché, da un lato, permetterà
alle aziende di diffondere un’immagine positiva di sé, attenta alle problematiche della
società e disposta a dare il proprio contributo per risolverle, e, dall’altro, la società
stessa potrà beneficiare dell’operato di queste aziende40.
Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa è stato oggetto di trattazione anche da
parte del Libro Verde della Commissione Europea del 2001, il quale la definisce come
«l'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ambientali delle imprese
nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate» 41.
Grazie al contributo comunitario, emerge un nuovo modello di impresa, che deve
rispettare non solo vincoli giuridici, ma anche vincoli sociali e ambientali: in questo
modo, la RSI permette alle aziende di adottare una visione tridimensionale,
caratterizzata da attività sociali non convenzionali o che non sono ricondotte alla sfera
del profitto in sé 42.

37 Ibidem.
38 Ibidem.
39 Cfr. R. Armigliati, Total responsability. Dalla Corporate Social Responsibility (CSR) allo sviluppo di una
cultura di responsabilità totale (TRM), Guerini e Associati, Firenze, 2012, p. 30.
40 Cfr. F. Manni, Responsabilità sociale e informazione esterna d'impresa - Problemi, esperienze e prospettive del
bilancio sociale, Giappichelli, Torino, 1998, p. 87.
41 Cfr. R. Armigliati, op. cit., p. 63.
42 Ibidem.

15
Quanto detto finora ci permette di giungere a una logica ben precisa, quella del Triple
Bottom Line, una espressione coniata, nel 1994, da John Elkington, al fine di indicare il
triplice carattere: ovvero aziendale, sociale e ambientale43.
Sulla base di questa triplice distinzione, è stato possibile catalogare tre differenti
tipologie di risultati che le aziende raggiungono: economici, fondamentali per la
sopravvivenza e per lo sviluppo dell’impresa, sociali, correlati alla soddisfazione
delle attese dei collaboratori esterni, ambientali, relativi alla tutela, da parte
dell’impresa, dell’equilibrio ecologico.
Questi risultati non devono essere considerati singolarmente ma nel loro complesso
perché il successo dell’impresa altro non è che il prodotto della commistione di tutti
questi risultati, concepiti secondo la loro natura sistemica 44.
È stato certificato che essa oltre che una modalità di comunicazione è una vera e
propria strategia che può portare le aziende a essere più competitive nel mercato: la
RSI, quindi, può essere intesa non solo come una fonte d’innovazione, ma anche come
uno strumento per creare valore nel lungo periodo sia per l’azienda stessa che per la
società in cui essa opera 45.
L’introduzione di pratiche e politiche di Responsabilità Sociale d’Impresa consente il
raggiungimento di effetti positivi di tipo: interno, nei confronti dei dipendenti e degli
operatori interni all’azienda, che sono maggiormente motivati; esterno, portando al
miglioramento della reputazione del brand sul mercato e delle relazioni con i propri
stakeholder; sociale, per quanto riguarda le relazioni con il territorio; istituzionale,
giacché l’impresa viene considerata come destinataria di specifiche agevolazioni
46 .
Questi effetti positivi si qualificano oggi (più che mai) come necessari da raggiungere
a causa delle crescenti problematiche che la società odierna è chiamata ad affrontare:
si è, ormai da tempo, affermato un nuovo ruolo per le imprese che si caratterizza per
le responsabilità che queste ultime hanno nei confronti dell’ambiente all’interno del
quale operano: il loro rinnovato ruolo, di conseguenza, si qualifica come “ruolo
sociale” in virtù del quale esse devono produrre un valore che non sia esclusivamente
economico, correlato agli obiettivi di business, ma anche un valore sociale e
ambientale che si traduce nell’impatto positivo che suddette imprese possono avere
sulla società.

43 Cfr. G. Manetti, Il triple bottom line reporting. Dal coinvolgimento degli stakeholder alle verifiche esterne,
Franco Angeli, Milano, 2006, p. 66.
44 Cfr. F. Manni, op. cit., pp. 96-97.
45 Ibidem.
46 Cfr. E. Invernizzi, Progetti di comunicazione della corporate social responsibility, Franco Angeli, Milano,
2012, p. 57.

16
Pertanto, al fine di far fronte alle aspettative nei loro confronti, le imprese hanno
cominciato a programmare obiettivi sociali da raggiungere, prevedendo modifiche
nel loro operato in grado di alimentare relazioni stabili con i loro stakeholders,
servendosi anche di strumenti di rendicontazione sociale come nel caso del bilancio
sociale o ambientale 47.
Un approccio del genere ha permesso di passare da una logica basata esclusivamente
sul profitto (one bottom line) a una basata su responsabilità e sostenibilità economica
48 , sociale e ambientale (triple bottom line) 49.
La tendenza delle imprese a sviluppare un approccio di corporate social responsibility
non è il prodotto dell’esistenza di costrizioni normative, ma nasce dalla
consapevolezza che riuscire a far fronte alle aspettative economiche, ambientali e
sociali degli stakeholders50 vuol dire anche conseguire un vantaggio fortemente
competitivo e massimizzare anche gli utili di lungo periodo. Seguendo questa linea
di azione, le imprese si sono impegnate a svolgere varie attività come
sponsorizzazioni di eventi, donazioni, partecipazioni a campagne di
sensibilizzazione, tutte azioni che rientrano perfettamente nell’area dell’attivismo
dei brand che sarà descritta nel dettaglio nei paragrafi successivi51.

47 Il bilancio sociale fornisce indicazioni, oltre che sui risultati dell’esercizio, sulla consistenza
complessiva del patrimonio sociale; permette cioè di valutare la ricchezza prodotta e distribuita da
un’impresa nello svolgimento della propria attività, tenendo conto sia degli effetti sociali prodotti sia
dell’impatto ambientale delle proprie attività.
48 Secondo il IX Rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia, la statistica promossa
dall’Osservatorio Socialis, realizzata dall’Istituto Ixè, la responsabilità sociale d’impresa e dell’attenzione
allo sviluppo sostenibile, è notevolmente cresciuta negli ultimi 20 anni, ottenendo la cifra record di quasi
un miliardo e ottocento milioni di euro (1,771 miliardi per l'esattezza) investiti nel 2019 in azioni di CSR
e Sostenibilità dalle aziende italiane che hanno scommesso sul loro ruolo di produttori di valore sociale:
il 25% in più rispetto al 2017, quando la cifra si attestava sui 1,412 miliardi. Ad investire nel corso dello
scorso anno il 92% delle aziende con più di 80 dipendenti dislocate sul territorio italiano (era l’85% nel
2017).
49 Cfr. S. Benn, Key Concepts in Corporate Social Responsibility, SAGE Publications Ltd, New York, 2011, p.
29.
50 Una tappa fondamentale dell’evoluzione degli studi sulla responsabilità sociale d’impresa è stata
segnata dalla teoria degli stakeholder (stakeholder theory), in quanto ha determinato un profondo
cambiamento nel rapporto fra l’impresa e i suoi vari portatori di interesse. La finalità imprenditoriale
preminente, dunque, non è più la massimizzazione del profitto, ma la creazione di valore economico e
sociale attraverso la gestione del sistema di relazioni con i diversi stakeholder e il loro massimo
coinvolgimento nei processi decisionali (stakeholder engagement). L’impresa infatti si configura come
«un insieme complesso di relazioni tra gruppi di interesse con obiettivi diversi, ognuno dei quali
contribuisce alla sua performance e si aspetta benefici (o almeno di non essere danneggiato senza
indennizzo) come risultato dell’attività aziendale». Ibidem.
51 Ibidem.

17
1.5. Il bene comune come direttrice d’azione delle aziende

Secondo la logica che è alla base della CSR, alcune aziende si impegnano oggi a creare
un valore sociale e sostenibile per la comunità di riferimento. Tale valore rappresenta
uno strumento importante per le aziende che riescono a proiettarsi al futuro e
perdurare nel tempo: l’interesse primario che orienta l'attività dell'azienda influisce
anche su come quest’ultima partecipa alla costruzione e alla salvaguardia del bene
comune 52.
In effetti, per l'azienda, il bene comune si traduce nella possibilità di raggiungere le
sue finalità sociali, ovvero produrre beni e servizi utili in modo efficiente e sostenibile,
in modo da aiutare la società a risolvere problematiche sociali e ricevere quanto
ragionevolmente si aspetta 53.
L'azienda si inserisce perfettamente in questo meccanismo poiché, nella veste di
istituto sociale, deve essere in grado, con le sue iniziative commerciali (e non) di
elevare il benessere della società e fare il suo interesse,
L'economia aziendale ha ormai da tempo assorbito questo concetto di bene comune,
includendo due dimensioni a esso appartenenti: la dimensione interna, che riguarda
gli stakeholder aziendali e quella esterna, che riguarda il ruolo che l'azienda ricopre
all'interno della società 54. Se l'azienda contribuisce a fare il bene comune per gli
stakeholder sarà in grado anche di fare il bene della collettività, a cui l'impresa
partecipa in modo indiretto.
Sebbene il profitto per l’impresa sia ancora un obiettivo fondamentale per
assicurarne la sopravvivenza e lo sviluppo, l’approccio di CSR e l’attivismo dei brand
insegnano che il profitto può essere ugualmente raggiunto anche percorrendo una via
sociale e sostenibile, ovvero rispettando le responsabilità etico sociali e
ambientali55.
Il profitto che deriva da questa logica sociale e sostenibile può essere considerato,
oltre che legittimo, anche eticamente accettabile poiché permette all'impresa di
contribuire a raggiungere il benessere collettivo.
Questa maggiore attenzione ai risvolti etico-sociali delle attività delle imprese mette
in primo piano il benessere e il progresso della società: l'impresa secondo questo
meccanismo riesce non solo a soddisfare i bisogni mediante la produzione di beni e

52 Ibidem.
53 Ibidem.
54 Cfr. E. Di Carlo, Interesse primario dell’azienda come principio-guida e bene comune, Giappichelli, Torino,
2017, p. 37.
55 Cfr. C. Onida, L’azienda. Fondamentali problemi della sua efficienza, in Rivista dei dottori commercialisti, 2014,
p. 63.

18
servizi utili dimostrando la sua capacità di essere efficace, ma è anche in grado di
essere profittevole 56.
In alcuni casi, l'impresa sceglie di investire nell'ambito della Responsabilità Sociale
d’Impresa grazie agli effetti positivi che possono essere generati.
In un meccanismo del genere, il profitto ha un ruolo di primo piano poiché può essere
considerato anche come fonte durevole di finanziamento aziendale, in quanto
permette all'impresa di sopravvivere e svilupparsi nel tempo: mediante esso l'azienda
può investire nella soddisfazione dei bisogni degli interlocutori, raggiungere finalità
sociali e così via.
L'imprenditore, inoltre, può scegliere di destinare il profitto, incassato sotto forma di
utili distribuiti, anche a organizzazioni non profit, come, ad esempio, le fondazioni:
in questo modo da un grande contributo alla comunità poiché riesce a soddisfare
bisogni che altrimenti rimarrebbero insoddisfatti 57.
Secondo quanto appena detto, è possibile affermare che non è il profitto che può
essere condannato ma il modo con cui esso viene raggiunto: nei casi delle aziende che
hanno sviluppato un certo attivismo sociale il profitto è stato affiancato dalla
sostenibilità.
Proprio dall’unione di queste due parole emerge l’espressione “profitto sostenibile”
che, secondo le politiche aziendali, si pone al servizio del bene comune degli
stakeholder aziendali e della collettività stessa 58.

1.6. Il brand activism

Con l'espressione brand activism, tradotto convenzionalmente in italiano in


attivismo del brand, si indica l'attivo coinvolgimento dei brand nei temi sociali,
politici e ambientali con la finalità di riuscire a divulgare messaggi positivi nei
confronti del pubblico e, allo stesso tempo, conseguire un'efficace brand
positioning 59.
Il brand activism si qualifica come un'importante dimensione ricondotta al nuovo
marketing: la strategia che è alla sua base prevede che le aziende prendano specifiche
posizioni in merito ad argomenti che non rientrano necessariamente nella sfera del

56 Cfr. P. Grasselli, L’impresa e la sfida del bene comune, Franco Angeli, Milano, 2011, p. 56.
57 Ibidem.
58 Ibidem.
59 Cfr. S. Benn, op. cit., p. 12.

19
loro servizio o prodotto ma che riguardano gli eventi che si verificano nella società in
cui operano, nonché la realtà di vita delle persone60.
In questo modo, i brand si fanno portavoce dei valori che sostengono le nostre società,
senza limitarsi a costruire un buono storytelling, ma realizzando azioni in grado di
avere un importante ritorno sociale, dando cioè vita al cosiddetto storydoing, che
prevede uno schieramento delle stesse in relazione alle tematiche sociali più
importanti, mediante dichiarazioni pubbliche, donazioni e campagne aventi un forte
impatto sociale61.
Kotler e Sarkar affermano, a questo proposito, che:

«Brand activism emerges as a values-driven agenda for companies that


care about the future of society and the planet’s health. The underlying
force for progress is a sense of justice and fairness for all»62.

È necessario che l'impegno delle aziende sia non solo reale ma anche coerente con
l'identità e con la mission aziendale, evitando di essere considerati come un brand che
si serve delle tematiche sociali per strumentalizzarle e ottenere ritorni di immagine
63 .
È molto importante che l'impegno sociale delle aziende non assuma carattere
opportunistico perché, esponendosi in merito a queste tematiche considerate in alcuni
casi controverse, rischiano anche di perdere una quantità considerevole di clienti. i
quali, pur considerando positivamente il prodotto, non vedono di buon occhio la
nuova politica dell'impresa 64.
I brand hanno ormai sviluppato una profonda consapevolezza in merito alla loro
realtà sociale e vogliono utilizzarla per dare il loro contributo nel guidare la società
verso il tanto agognato “mondo migliore”: anche se l'assunto potrebbe sembrare
banale, i brand, idealmente, progettano una strategia basata proprio su questi fattori
e i consumatori avranno visibilmente la possibilità di vedere il cambiamento che
esse hanno contribuito a generare65.

60 Cfr. P. Kotler e C. Sarkar, Brand activism. Dal purpose all'azione, Hoepli, Milano, 2020, p. 58.
61 Cfr. D. Bancaccio, Brand Activism, 2019, il documento è consultabile al sito:
https://www.abcinteractive.it/il-blog-di-abc-interactive/brand-activism
62 “L'attivismo del marchio emerge come un'agenda basata sui valori per le aziende che hanno a cuore il
futuro della società e la salute del pianeta. La forza alla base del progresso è un senso di giustizia ed
equità per tutti”. Cfr. P. Kotler e C. Sarkar, op. cit., p. 75.
63 Cfr. D. Bancaccio, op. cit., p. 98.
64 Ibidem.
65 Cfr. L. Poma, Brand Activism – il delicato rapporto tra Aziende e temi sociali, 2019, il documento è
consultabile al sito: https://archivio.lucapoma.info/csr/aziende-e-buone-prassi/brand-activism-il-
delicato-rapporto-tra-aziende-e-temi-sociali/

20
In questo modo, il dibattito intorno ai temi sociali e alle prospettive future del pianeta
viene completamente assorbito dalle nuove strategie di comunicazione predisposte
dai brand66 che hanno scelto di avventurarsi in un terreno dal quale, per anni, si erano
tenuti lontani per paura di poter ricevere delle reazioni negative da parte della
clientela, privilegiando esclusivamente un approccio basato sulla centralità del
prodotto e sulla visibilità del brand 67.
L'avvento dei social media, negli ultimi anni, ha favorito l'instaurazione di una più
intensa interazione tra clienti e brand e i consumatori di oggi si vedono più
predisposti a stabilire contatti con quelle aziende che instaurano un dialogo diretto
con loro poiché le considerano come effettivamente autentiche e trasparenti; le stesse
aziende, dal canto loro, devono saper sfruttare questo contatto con la clientela
coinvolgendola 68.
Mediante l'utilizzo di strumenti di social listening, le aziende sono in grado di
analizzare le tendenze del momento e valutare quelle tematiche sociali che possono
essere in linea con i valori del brand e con i prodotti e servizi offerti.
Così, possono abbracciare una specifica causa sociale e porre in essere una strategia
di comunicazione che possa soddisfare le aspettative degli utenti e attirare
l'attenzione di coloro che ritengono giusta questa causa, anche se non conoscono
perfettamente i prodotti che vengono commercializzati dal brand 69.
La promozione della causa sociale da parte del brand si serve ormai dei canali offerti
dalla rete ed è proprio all'interno dei social network che le aziende devono esporsi in
merito a queste tematiche con i post da loro formulati. Questi ultimi saranno poi
oggetto di condivisione e commenti da parte dell'utenza attribuendo alle imprese una
visibilità decisamente maggiore rispetto alla tradizionale campagna pubblicitaria, da
sempre, correlata al brand 70.
Il rapporto che si instaura tra pubblico e brand, in questo modo, non è più basato
esclusivamente sul prodotto, ma su ciò che quest'ultimo rappresenta, ovvero la
capacità dell'azienda di impegnarsi, in maniera proficua, anche a livello sociale
71 .

66 Secondo una recente ricerca di Shelton Group, l’86% dei consumatori americani ritiene che le aziende
debbano impegnarsi sui temi sociali: ambiente, lavoro, inclusione, parità dei diritti. Secondo la stessa
ricerca, il miglioramento dell’immagine del marchio presso i consumatori è dovuto all’introduzione di
nuovi prodotti o servizi (53%), alla qualità del servizio clienti (34%), all’impegno su temi di rilevanza
sociale (30%).
67 Cfr. D. Bancaccio, op. cit., p. 101.
68 Cfr. L. Poma, op. cit., p. 98.
69 Cfr. D. Bancaccio, op. cit., p. 103.
70 Ibidem.
71 Cfr. L. Poma, op. cit., p. 101.

21
Inoltre, l'intenzione di abbracciare un approccio del genere permette all'azienda di
aprirsi verso l'esterno e di entrare in conversazione con vari soggetti diversi, quali le
istituzioni, gli attivisti, i decisori politici e altre aziende stabilendo, all'interno di
queste reti di relazioni, una vera e propria “diplomazia di brand” 72.
Quest’ultima si alimenta della consapevolezza delle aziende stesse del loro ruolo
attivo e partecipativo a queste tematiche sociali e al conseguimento per la società del
bene comune, una strategia che supera il tradizionale approccio che prevedeva il
perseguimento del profitto mediante l'esclusiva commercializzazione di prodotti e
servizi 73.
In sostanza, il brand activism richiede alle aziende un cambiamento di
prospettiva: da una marketing driven si passa a una society driven o value driven (Cfr.
Fig. 1)74.
Come hanno rilevato Kotler e Sarkar, gli obiettivi del brand activism sono molto simili
a quelle della Corporate Social Responsibility già descritta nei paragrafi precedenti e,
in effetti, gli autori considerano la strategia in esame come una sorta di naturale
evoluzione della CSR.

Fig. 1. Il passaggio ad una prospettiva value driven

Fonte: M. Garaffa, Brand Changing, l’evoluzione della marca nell’era della percezione, 2019.

Gli studi che sono stati condotti hanno permesso di identificare due tipologie di brand
activism: regressivo, tipico di quelle aziende che operano all'interno di settori

72 Ibidem.
73 Cfr. M. Garaffa, Brand Changing, l’evoluzione della marca nell’era della percezione, 2019, il documento è
consultabile al sito: https://www.adcgroup.it/adv-express/news/interviste/nc-speciale-brand-
communication-brand-changing-l-evoluzione-della-marca-nell-era-della-percezione.html
74 Cfr. D. Bancaccio, op. cit., p. 105.

22
considerati controversi e che commercializzano i prodotti ad essi correlati, come nel
caso delle sigarette, del gioco d'azzardo o dell'industria pesante.
L'attivismo regressivo è stato presente per anni, ad esempio, nelle pubblicità delle
multinazionali del tabacco in cui negavano i danni alla salute che il consumo di
sigarette può generare, ignorando le ricerche mediche: queste aziende hanno
promosso le pseudo virtù del fumo danneggiando i consumatori e la loro salute.
In questo modo, il brand activism di tipo regressivo spinge le aziende a perseguire
delle politiche che danneggiano il bene comune75; progressivo, in cui le aziende
cercano di migliorare la propria brand reputation; le aziende, in questo caso si
propongono come propulsori di nuove idee e nuovi interessi sulla scia di quelle che
sono le tematiche sociali più importanti. In sostanza, il brand activism progressivo
richiede alle aziende di prendere decisioni in vista del perseguimento del bene
comune: queste aziende hanno uno scopo più ampio della semplice ricerca del
profitto e sono viste sempre più come leader nei loro settori.
L’attivismo progressivo, quindi, si qualifica come il tentativo delle aziende di avere
un impatto responsabile, etico e proattivo sui problemi che affliggono la società
contemporanea: emerge, come ha rilevato Kotler, una nuova mission per le aziende
che sono guidate da profondi valori etici e che hanno a cuore le sorti dei dipendenti,
dei clienti, della comunità in cui lavora e del mondo in generale 76.

1.7. Le aree di attivismo delle aziende

Nonostante, ad oggi, le problematiche che affiggono la nostra società siano molte e


tutte ugualmente importanti, Kotler e Sarkar, nel corso dei loro studi, hanno
identificato sei aree di attivismo dei brand:

1. l’attivismo sociale, che vede le aziende impegnarsi nel campo delle


questioni sociali, che si qualificano come le tematiche più esplorate dalle
aziende e dai brand appartenenti anche a settori diversi, come il caso
delle aziende che hanno ormai reso pubblica la loro posizione in merito
ai diritti della comunità gay, al fenomeno dell’immigrazione o a
questioni comunitarie come nel caso dell’istruzione;
2. l’attivismo legale, che riguarda le normative e le politiche che incidono
sull’operato delle aziende come, ad esempio, le imposte, le leggi

75 Cfr. AA. VV., Il Brand Activism secondo Philip Kotler e Christian Sarkar, 2019, il documento è consultabile
al sito: https://italianmarketing.org/il-brand-activism-secondo-philip-kotler-e-christian-sarkar/
76 Ibidem.

23
sull’occupazione e il posto di lavoro. Rientrano in questo ambito anche
le questioni economico-legali, campo in cui le aziende intendono far
conoscere la propria posizione, l’orientamento e le loro scelte, come nel
caso di alcune di esse che hanno, ad esempio, predisposto una politica
in grado di riconoscere il congedo parentale anche ai neo-papà o che si
battono per favorire l’eliminazione del “gender pay gap” 77;
3. l’attivismo aziendale, riguardante esclusivamente la governance
dell’azienda in sé e i suoi elementi costitutivi, come l’organizzazione
aziendale, la retribuzione dei dipendenti, le relazioni sindacali, etc.;
4. l’attivismo economico, inerente, ad esempio, le politiche salariali e fiscali
che possono fortemente influenzare la disparità del reddito e la
distribuzione della ricchezza;
5. l’attivismo politico, che riguarda importanti fattori correlati al mondo
politico quali il lobbismo e il diritto di voto. In sostanza, le aziende
possono prendere una precisa posizione in merito a questioni politiche
molto rilevanti per la società, anche se ciò vuol dire andare contro ciò
che professa la maggior parte della classe politica;
6. l’attivismo ambientale, inerente la scelta delle aziende di abbracciare
specifiche politiche di tutela dell’ambiente, della salvaguardia del suolo,
nonché dell’inquinamento. La scelta dei brand di divulgare la loro
posizione in merito ai temi correlati all'ambiente li ha resi sempre più
attivi e propositivi di fronte a problematiche come il cambiamento
climatico, l’eccessivo consumo di plastica (difficilmente riciclabile) o
l'inquinamento dei mari 78.

Pertanto, le aziende sono consapevoli che l’attivismo giova non solo all'immagine
dell'azienda ma anche ai profitti e ai consumatori: tra questi ultimi sono proprio i
millennials che vogliono delle aziende che perseguano tali obiettivi.
In effetti, come ha rilevato Kotler, in un mercato competitivo come quello odierno, il
consumatore considera il prodotto anche a livello simbolico, ovvero per ciò che
l’azienda che lo commercializza rappresenta e per il suo operato sociale: in questo
modo, la categoria di consumatori più sensibili, ovvero i millennials (ma non solo

77 Cfr. E. Greco, Social purpose e brand activism. Le aziende prendono posizione: come lo comunicano, come viene
percepito dal pubblico, LUMSA Pubblications, Roma, 2019, p. 85.
78 Cfr. Brand activism, 2019, il documento è consultabile al sito:
https://www.insidemarketing.it/glossario/definizione/brand-activism/

24
quelli,), tendono a giudicare il brand sulla base della loro partecipazione alle battaglie
del nuovo millennio 79.
Inoltre, sempre Kotler e Sarkar hanno formulato le “wicked 7” ovvero sette ambiti di
intervento più scottanti che riguardano la società attuale e di cui le aziende sono
chiamate a occuparsi, ovvero: 1) climate collapse, la crisi globale generata dagli eventi
climatici catastrofici, come l’innalzamento delle temperature, gli incendi nei boschi,
gli uragani, le inondazioni, il degrado degli ecosistemi e l’estinzione di alcune specie;
2) inequality, ovvero il regime di ineguaglianza economica, sociale e di genere
esistente nella società odierna; 3) extremism, cioè l'instaurazione di un profondo
sentimento di intolleranza e odio all'interno della società attuale alimentato da alcuni
gruppi basati sull'identità che creano veri e propri disordini sociali fino a sfociare,
addirittura, in atti di violenza e terrorismo; 4) migration, che riguarda strettamente la
problematica dell'immigrazione, dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico
provenienti prevalentemente dal Sud del mondo; 5) corruption, la condotta della
classe politica basata sulla frode e sulla corruzione; 6) education, ovvero l'importanza
assunta dall'apprendimento delle nuove competenze e dalla formazione intese come
canali di accesso al mercato del lavoro; 7) population, che è strettamente correlata allo
spasmodico aumento demografico a livello globale che ha generato, a sua volta, un
aumento dei conflitti in merito a istruzione, trasporti e acqua, provocando nei vari
territori anche un aumento del degrado ambientale 80.
Le aziende hanno ormai sviluppato un pieno attivismo negli ambiti che abbiamo
appena descritto, aprendosi all'ambiente in cui sono inseriti e instaurando una ferrea
comunicazione con politici, istituzioni, ONG e attivisti, esercitando una vera e propria
diplomazia di brand e coltivando un ruolo attivo e partecipativo che va ben oltre
l'offerta di prodotti e servizi e il perseguimento del profitto 81.

79 Cfr. C. Consorti, Brand activism: il fine aziendale vince sul prodotto, 2019, il documento è consultabile al
sito: https://www.yourevenyou.com/revenue/brand-activism-fine-vince-sul-prodotto/
80 Cfr. P. Kotler e C. Sarkar, op. cit., p. 106.

81 Ibidem.

25
Capitolo 2
Brand e Coronavirus

2.1. Emergenza sanitaria e cambiamenti nei consumatori

L'avvento del Covid-19 ha profondamente mutato gli stili di vita e le abitudini di tutti
gli italiani, nonché lo stesso andamento del mercato che, a causa delle restrizioni
volute dal Governo, ha conosciuto limitazioni e flessioni. Nel delicato periodo che
stiamo vivendo ci si chiede come sono cambiati i brand e quale ruolo hanno ricoperto
e stanno ricoprendo durante dell' emergenza sanitaria.
Una recente ricerca condotta da Edelman Italia, Brand Trust and the Coronavirus
Pandemic, che ha riguardato dodici mercati di dodici Paesi, permette di far emergere
cinque punti importanti in relazione al rapporto che i consumatori italiani hanno
avuto con i brand presenti durante la pandemia e al livello di fiducia che ripongono
in essi.
Lo studio è stato condotto tra il 23 e il 26 marzo su di un campione di 12.000 persone
in 12 mercati (Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Giappone,
Sudafrica, Corea del Sud, Regno Unito, Stati Uniti) per rilevare il grado di fiducia e le
aspettative dei consumatori rispetto al ruolo dei brand durante l’emergenza
Coronavirus 82.
Di seguito le percentuali emerse dall’indagine: 1) il 62% degli italiani pensa che il
Paese avrà molte difficoltà nel superare questa crisi ed è indispensabile che i Brand
diano un significativo contributo; 2) il 55% degli italiani ha percepito di più la
vicinanza dei brand e della società di appartenenza che dello stesso Governo; 3) il
71% degli italiani ha perso la fiducia nei confronti di quei band che hanno scelto di
sacrificare i bisogni dei consumatori per privilegiare il profitto; 4) il 90% degli italiani
desidera che i Brand si impegnino con tutte le loro forze e risorse per salvaguardare
il benessere finanziario ed economico sia dei lavoratori che dei fornitori; 5) l’83% degli
italiani concepisce maniera positiva i messaggi empatici che vengono divulgati dai
brand che si pongono a sostegno degli sforzi di intere comunità; 6) il 66% degli italiani

82 Cfr. I consumatori si orientano verso le aziende che rassicurano dall’emergenza, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-
italia/conad/2020/04/28/news/i_consumatori_si_orientano_verso_le_aziende_che_rassicurano_dall_em
ergenza-255103200/

26
ha dichiarato che quanto più e meglio un’azienda risponderà alla crisi, tanto più
potrebbe aumentare la possibilità che i suoi prodotti o servizi siano scelti in futuro83.
La medesima ricerca ha anche rilevato che un italiano su tre utilizza oggi i prodotti e
i servizi di quei marchi che stanno rispondendo in maniera propositiva
all’emergenza, grazie all’impegno sociale profuso; addirittura il 25% ha anche
convinto altre persone a ripensare le proprie preferenze di acquisto 84.
L’impatto che l’emergenza sanitaria sta avendo oggi è notevole sulla vita quotidiana
della gente è notevole e le aziende, di conseguenza, devono anche dare conferma di
vicinanza e conforto anche in futuro, quando (si spera) tutto sarà finito, focalizzandosi
maggiormente sulle alternative di acquisto proposte ai consumatore piuttosto che
cristallizzarsi sui profitti: una strategia del genere è funzionale a conservare la fiducia
dei consumatore acquisita i questi mesi.
Inoltre, la rilevazione sopracitata, ha affermato che, circa, l’80% degli italiani non solo
considera i brand come valida fonte informativa sul virus, su tutte le azioni intraprese
e sui progressi compiuti, ma anche come organismo in grado di elargire anche una
funzione educativa offrendo, dunque, istruzioni e rassicurazioni su come proteggersi,
oltre a dimostrare l’empatia e il supporto a favore delle comunità più colpite.
Questo nuovo modo di approcciarsi ai brand da parte dei consumatori si è
accompagnato anche a un rilevante cambiamento delle abitudini e degli stili di vita
della popolazione: i clienti hanno notevolmente mutato, in primis, i sistemi di
approvvigionamento, considerando la scarsa disponibilità di slot di consegna della
GDO tradizionale e preferendo rivolgersi a una filiera più corta o ai negozi presenti
nel vicinato; contemporaneamente, i consumatori hanno sostituito molti prodotti che
utilizzavano abitualmente prima della pandemia.
In effetti, in seguito all’emergenza sanitaria da Covid 19, la quale ha imposto una serie
di restrizioni volte al contenimento dei contagi, tra i quali il distanziamento sociale,
si è registrato inevitabilmente un mutamento nel comportamento dei consumatori,
adeguandolo alla realtà attuale; in tale contesto, le aziende, per mantenere la propria
posizione di mercato, devono essere capaci di prevedere i cambiamenti nei
comportamenti dei consumatori, definendo strategie a lungo termine, permettendo
in tal modo la ripresa di quei settori che sono stati colpiti in modo più pesante dalla
situazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi.

83 Cfr. Coronavirus, come muteranno i brand e le aziende?, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.wired.it/economia/consumi/2020/04/22/coronavirus-mutazione-brand/
84 Cfr. I consumatori si orientano verso le aziende che rassicurano dall’emergenza, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-
italia/conad/2020/04/28/news/i_consumatori_si_orientano_verso_le_aziende_che_rassicurano_dall_em
ergenza-255103200/

27
Durante la crisi pandemica si è assistiti ad un significativo incremento della fruizione
dei video online da parte dei consumatori ma anche dei social network, con il 58% di
audience che ha dichiarato di averli utilizzati maggiormente durante i mesi della
pandemia.
In quanto i consumatori si filmano e caricano contenuti all’interno dei social network,
quali Instagram e TikTok, i marchi beneficiano della grande possibilità di raggiungere
le audience più giovani, grazie a contenuti video i quali evidenziano l’autenticità in
luogo di valori di elevata produzione.
Si assiste ad un cambiamento anche con riferimento ai prezzi. E, infatti, molti
consumatori tendono sempre più spesso a focalizzarsi sulla ricerca di occasioni e,
quindi, di promozioni e offerte; a ciò si aggiunge una notevole riduzione di acquisto
di beni non essenziali, quali quelli di gamma elevata o di lusso e, contestualmente,
l’affermarsi di marchi più economici 85.
Da un’analisi condotta qualche mese fa da McKinsey & Company è emerso come circa
i due terzi dei consumatori si sentono insicuri oltre che poco ottimisti relativamente
a quelli che saranno gli effetti prodotti nel lungo periodo dalla pandemia; accanto a
chi ha una visione pessimistica del futuro vi sono tuttavia coloro che sostengono la
possibilità di una ripresa economica dopo la fine dell’emergenza sanitaria, dichiarano
di volere comunque mantenere un atteggiamento di spesa più cauto.
In momenti come quello che stiamo vivendo attualmente, caratterizzato da profonda
insicurezza ed incertezza per il futuro, l’acquisto di nuovi prodotti o servizi non
rientra in alcun modo nelle normali reazioni e si assiste al passaggio tra le persone
dalla mentalità dell’“acquisire”, dove ogni cosa si riteneva in passato permessa e tutto veniva
esplorato con grande curiosità, a quella di chi “si assicura il controllo e conserva quanto
acquisito” 86.
Secondo Simon Moore, CEO di Innovation Bubble, azienda che si occupa di scienza
del comportamento, ci troviamo in un momento nel quale non è opportuno lanciare
sul mercato nuovi beni o servizi; quello che le aziende dovrebbero invece fare è quello
di migliorare i servizi già esistenti.
Da un’indagine condotta ad aprile di quest’anno, 2020, da parte di Intelligence
Central, quasi il 60% dei consumatori risulta essere impressionato in modo positivo
da quei marchi che offrono un servizio essenziale, mentre il 55% degli intervistati ha
dichiarato di apprezzare i brand che hanno posto in essere alcune modifiche al fine
di venire incontro ai consumatori in un momento di particolari difficoltà come quello

85 Cfr. I 10 comportamenti dei consumatori che danno forma alla nuova normalità, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.criteo.com/it/blog/i-10-comportamenti-dei-consumatori-che-danno-
forma-alla-nuova-normalita/
86 Ibidem.

28
attuale; in particolare, tra questi, il 58% ha dichiarato di apprezzare i messaggi
responsabili, il 54% le iniziative benefiche avviate dai brand, mentre la metà di tutti i
consumatori ha apprezzato quelle aziende che affrontano i problemi connessi
all’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione della pandemia da
Coronavirus.
Numerosi sono stati i brand che hanno scelto di modificare la loro comunicazione per
affrontare alcune specifiche tematiche, come ad esempio, la sostenibilità, il sostegno
alle comunità e l’assistenza.
E, infatti, oggi stiamo assistendo ad un grande cambiamento, con l’affermarsi tra le
aziende dell’idea di scopo e di solidarietà, in quanto i brand si mostrano sempre più
spesso interessati alle persone in luogo del profitto, aiutando la comunità attraverso
la creazione di iniziative aventi finalità benefiche.
Si assiste, insomma, all’emergere di una maggiore sensibilità da parte dei brand i
quali vogliono fornire il loro diretto contributo per riuscire ad essere utili ai
consumatori in un momento di grande difficoltà economica vissuto dalla comunità
intera, dimostrando in tal modo come anche un brand possa essere di utilità nella vita
di tutti i giorni delle persone; i consumatori, dal canto loro, ritengono che i brand in
un momento come questo non devono approfittare della situazione emergenziale
facendo della stessa un’opportunità commerciale 87.
Si prevede che con buona probabilità nei prossimi mesi molti saranno i consumatori
che sceglieranno di evitare gli assembramenti e, secondo lo stesso studio IBM, tanto
le conferenze che le fiere commerciali subiranno un notevole impatto dalla nuova
normalità: e, infatti, circa il 75% del campione di intervistati ha dichiarato che
quest’anno non parteciperà ad alcuno di tali eventi mentre si prevede un recupero nei
mesi a venire per attività commerciali quali bar e ristoranti.
In particolare, dal sopra citato studio è emerso che oltre un terzo dei consumatori
frequenterà questi locali, mentre appena il 10% ha dichiarato che non lo farà.
Un terzo degli intervistati ha affermato che, non appena verranno rimosse le
restrizioni ad oggi vigenti e ripristinata la normalità visiterà probabilmente un parco
avventura, il 25% frequenterà le spiagge e 1 su 5 riprenderà a frequentare i centri
commerciali 88.
Oggi sempre più spesso i consumatori ricorrono all’utilizzo del contactless e chi oggi
propone pagamenti contactless, ma anche altri servizi con i quali è possibile effettuare
pagamenti immediati, come quelli tramite smartphone e altri dispositivi mobili, viene

87 Cfr. F. Di Bari, Post-Covid 19: l’identikit del nuovo consumatore, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.hbritalia.it/speciale-gestire-le-crisi/2020/08/05/news/post-covid-19-lidentikit-del-nuovo-
consumatore-4040/
88 Ibidem.

29
più facilmente scelto, rispetto a quelli che utilizzano i metodi tradizionali di
pagamento, come partner per gli acquisti del 2020, in quanto strumenti più agevoli e
che richiedono minore tempo 89.
A tal proposito, dallo studio IBM è emerso come circa il 40% dei consumatori
ha dichiarato che in futuro effettuerà con buona probabilità pagamenti
contactless.
Altro aspetto che occorre prendere in considerazione riguarda il fatto che la spesa, in
conseguenza dell’emergenza da Covid 19, è divenuta locale; vicinanza, origine del
prodotto e immediata disponibilità rappresentano infatti oggi quegli elementi
fondamentali per i consumatori in quanto gli stessi non vogliono più compiere lunghe
distanze per cercare quello che preferiscono.
Occorre peraltro tenere in considerazione il fatto che in un momento, come quello
attuale, nel quale la maggior parte dei consumatori cercano di evitare il più possibile
di frequentare luoghi nei quali possono crearsi assembramenti, le promozioni e i forti
sconti non sono di per sé sufficienti per generare traffico offline verso i negozi prima
frequentati.
Negli Stati Uniti, secondo l’indagine condotta da IBM, circa il 25% dei soggetti
intervistati ha dichiarato che oggi fa acquisti con maggiore frequenza in negozi nelle
immediate vicinanze della propria abitazione, acquistando più prodotti locali,
coltivati o forniti localmente.
Dopo la diffusione della pandemia da COVID-19, i consumatori stanno rivedendo le
loro priorità, le proprie abitudini e i propri valori, cercando di migliorare il modo con
il quale gestiscono la propria salute e il proprio benessere e a tal proposito
interessante è lo studio condotto da McKinsey & Company sui consumatori cinesi,
studio dal quale è emerso che alcuni temi creati durante la crisi, come l’allenamento
sportivo in casa, offerto da diversi marchi di abbigliamento sportivo, possono
continuare ad essere validi 90.
Secondo le previsioni di McKinsey & Company, le prime esperienze dalla Cina ci
suggeriscono come circa il 3-6% della quota di mercato online verrà sostenuto da
parte delle generazioni più anziane, che oggi utilizzano con dimestichezza i canali
digitali, e consumatori che sono riusciti a superare le prime difficoltà, come quelle
legate alla configurazione di un account.
Per diverse categorie di prodotti, l’eCommerce rappresenta un canale sempre più
importante, dal momento che i negozi fisici hanno chiuso, o hanno ridotto la loro
presenza fisica.

89 Ibidem.
90 Ibidem.

30
Per il periodo successivo all’emergenza Coronavirus, si prevede che tale
cambiamento continuerà anche in futuro, soprattutto in quei paesi nei quali i retailer
presentano allo stato attuale sufficienti capacità di offrire un’esperienza online
positiva per consentire ai consumatori di restare in forma e in salute 91.
L’inaspettata oltre che rapida diffusione della pandemia da Covid 19 ha finito con il
travolgere, senza alcun preavviso, l’economia tanto nazionale che internazionale,
determinando una forte rottura degli equilibri, sia economici che sociali, che si
consideravano consolidati fino a quel momento.
Il Gruppo BIP nello Studio “Covid-19: “an overview of customer lifestyle changes and the
arising of new trends” ha effettuato l’analisi dell’impatto delle misure di contenimento
della pandemia sull’ambiente e sul contesto circostante, imponendo agli individui e
alle organizzazioni un mutamento delle proprie abitudini di vita e attribuendo nuovo
valore ai contesti da loro frequentati.
Uno degli elementi maggiormente significativi che sono emersi dal citato studio ha
evidenziato che tutto questo ha finito con il determinare un profondo cambiamento
nei comportamenti delle persone, dei lavoratori e degli stessi consumatori,
influenzando in modo significativo le comunità che frequentano.
La pandemia ha fatto emergere il lato più umano delle persone, manifestando in tutta
la sua evidenza il forte senso di paura nei confronti delle interazioni sociali, paura la
quale generato una ricerca spasmodica di informazioni, come se queste fossero in
grado di proteggere le persone dall’esposizione al rischio di contagio, sia proprio che
della propria famiglia 92.
In un nuovo contesto nel quale la continua diffusione di fake news non ha fatto altro
che accrescere in modo significativo la distorsione della realtà, è cresciuta sempre più
la richiesta di trasparenza da parte delle persone, dei consumatori e dei lavoratori,
nei confronti dei brand dai quali acquistano e dalle organizzazioni presso le quali
lavorano 93.
Uno degli aspetti più significativi emersi durante questo periodo emergenziale è dato,
come in precedenza accennato, dal mutamento delle abitudini, dello stile di vita e dei
consumi; così, si è registrata la tendenza ad un ricorso sempre più massiccio degli
acquisti online, con un totale di oltre 2 milioni di nuovi eShopper.

91 Ibidem.
92 Cfr. V. Dara, Valori condivisi, sostenibilità, comprensione delle difficoltà economiche: cosa i consumatori si
aspettano dalle aziende nella fase due, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.insidemarketing.it/aziende-nella-fase-due-aspettative-consumatori/
93 Cfr. L’evoluzione del consumatore post Covid, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-
italia/conad/2020/06/05/news/l_evoluzione_del_consumatore_post_covid-258499852/

31
Così, a titolo esemplificativo, nel settore della GDO, rispetto all’anno scorso, 2019, si
è avuto un incremento a tripla cifra degli acquisti online, mettendo in evidenza le forti
debolezze e le ancora grandi lacune delle attività e dei settori i quali si sono trovati
del tutto impreparati a gestire una tale crescita, mettendo a dura prova colossi quali
la piattaforma e-commerce Amazon, che ha dovuto prolungare i tempi di consegna
di alcuni dei beni considerati come “non necessari”.
Occorre tuttavia mettere in evidenza il fatto che, benché i descritti comportamenti
siano derivati dalla chiusura delle attività commerciali in conseguenza dei
provvedimenti restrittivi per tentare di fronteggiare la situazione emergenziale, la
crescita nell’utilizzo dell’e-commerce e dei pagamenti digitali, potrebbe mettere in
discussione le regole proprie del commercio tradizionale, le quali potrebbero essere
sostituite dai nuovi trend del commercio automatizzato, il quale ricorre all’utilizzo
dell’Intelligenza Artificiale e del Machine Learning 94.
La diffusione della pratica dello smart-working, resasi necessaria in ragione della
necessità di evitare il più possibile i contatti tra le persone, e la cui adozione
inizialmente faticava a diffondersi all’interno di alcune realtà le quali, per cultura,
non concepivano il lavoro a distanza adeguato alle caratteristiche dell’attività svolta,
ha consentito a circa 8 milioni di lavoratori di sperimentare e potere apprezzarne i
benefici derivanti da tale pratica sulla qualità della vita.
Per quanto riguarda, invece, il mondo della scuola, la didattica a distanza ha subito
una forte penalizzazione derivante dalla mancanza di uniformità nell’applicazione
delle direttive emanate a livello governativo, in quanto applicate in modo del tutto
disomogeneo all’interno del territorio nazionale, e ciò soprattutto a causa della
mancanza, all’interno di molti istituti, di adeguati strumenti tecnici necessari
allo svolgimento da remoto delle lezioni e dal diverso potere d’acquisto delle
famiglie.
A ciò si aggiunge il ruolo svolto dai video game durante questa fase emergenziale,
fornendo intrattenimento ludico e sportivo e divertimento, e riducendo al contempo
anche il senso di isolamento vissuto grazie alla possibilità di evadere dalla realtà e
giocare a distanza con altre persone.
Ma quello che ci si chiede è quali saranno i comportamenti che continueranno ad
essere mantenuti da parte dei consumatori dopo la fine dell’emergenza sanitaria; a
tale domanda tuttavia non è possibile dare risposta certa e ciò in quanto, come
sostenuto in ambito sociologico, se una prolungata alterazione dei comportamenti
può dare luogo ad un mutamento sociale non è in ogni caso possibile sapere ora cosa
accadrà in seguito 95.

94 Ibidem.
95 Ibidem.

32
Quello che appare in ogni caso indubbio è che se da un lato i rilevanti
mutamenti intervenuti nella vita delle persone potrebbero essere destinati a
perdurare, in ragione dell’atteggiamento precauzionale e per molti versi timoroso
delle persone, dall’altro lato molti sono alla spasmodica ricerca di quella normalità
attualmente persa.
Riuscire a prevedere i comportamenti futuri risulta essere particolarmente utile per
le aziende in quanto in tal modo potranno decidere se investire in un remote customer
engagement, il quale va incontro alla customer base più prudente rispetto ai contatti
sociali, ovvero e in tecnologie che, generando un’esperienza fluida tra fisico e virtuale,
possano valorizzare tanto la clientela non schierata verso alcun estremismo di tipo
comportamentale, che quella che tendano ad una riconnessione con le abitudini
tradizionali 96.
Ulteriore beneficio potrà derivare da un rinnovamento dell’identità del brand,
orientandola verso quei valori che durante il periodo emergenziale hanno assunto
rilevante importanza per i consumatori, come ad esempio la trasparenza, il
coinvolgimento in cause sociali o la maggiore attenzione nei confronti dei bisogni dei
clienti e dei dipendenti 97.
Secondo un’indagine condotta da parte di GFK Italia circa gli effetti prodotti dal
Coronavirus, sono emerse nuove tipologie di consumatori. Questi, in particolare,
sono rappresentati da: i Reverse, i Reset, i Contactless, gli Adapt and change ed i Revenge.
In particolare:

• i Reverse saranno i nostalgici, con un grande desiderio di torno alla


normalità, rimasti fedeli ai brand scelti in precedenza;
• i Reset sono invece coloro che mirano al concreto, alla salute, alla
sicurezza, alla sostenibilità, in quanto guidati dalla razionalità e dal
confronto e non hanno un particolare marchio di riferimento;
• i Contactless sono quei consumatori quelli che hanno acquisito una
buona consapevolezza relativamente alle possibilità offerte dalla rete e
che diventeranno pienamente digitali, cambiando in tal modo le proprie
abitudini di consumo;
• gli Adapt and change sono coloro che dalla crisi in atto saranno in grado
di individuare nuove opportunità, accogliendo con favore tutto quello
che esprime innovazione;

96 Cfr. Il Business dopo il Coronavirus: la responsabilità di prendere decisioni che guardano lontano, 2020, il
documento è consultabile al sito: https://www.digital4.biz/executive/business-dopo-coronavirus/
97 Ibidem.

33
• i Revenge, i quali verranno spinti dal desiderio di compensare i consumi
di cui sono stati costretti a privarsi con l’incremento di beni e servizi che
presentano un valore maggiore, acquistando meno prodotti ma di
maggiore pregio, dando in tal modo impulso ai segmenti del lusso e del
fashion 98.

Un’indagine condotta da parte di Bain & Company, in alcuni Paesi europei, quali
Italia, Francia, Germania Regno Unito e Svezia, nella quale è stato analizzato l’impatto
prodotto dalla crisi generata dalla diffusione della pandemia da Covid-19 sulle
abitudini dei consumatori, per prevedere i futuri cambiamenti nelle abitudini di
consumo, ha messo in evidenza l’elevato livello di ansia che accompagnerà le
persone e la piena consapevolezza dell’impossibilità di tornare a pieno alla vita di
prima.
Da tale analisi è emersa l’immagine di un consumatore incerto oltre che alquanto
preoccupato sul futuro, ma anche timoroso di ritornare alle normali attività svolte
prima del diffondersi della pandemia, come, ad esempio, prendere mezzi pubblici di
trasporto o andare al ristorante, attività che implichino una certa vicinanza
sociale.
In tale contesto, trovano affermazione smart working, shopping online e necessità di
investire sulla propria abitazione al fine di adattarla ad home office.
Dalla ricerca è altresì emersa la rilevante crescita nell’utilizzo della rete ma anche la
forte preoccupazione degli italiani rispetto alla popolazione degli altri paesi
relativamente a sicurezza finanziaria, con una percentuale del 60% rispetto al 40%
degli altri Paesi europei, e ai consumi; a tal proposito, è stato rilevato come circa il
60% degli italiani ha sospeso tutti gli acquisti di beni durevoli a fronte del 30%-40%
registrato negli altri Paesi.
Negli ultimi tre mesi, le vendite nella grande distribuzione hanno visto una
significativa crescita, pari all’ 11,20%, trend di crescita il quale è proseguito a ritmo
sostenuto nelle due settimane seguenti, ancorché con tassi minori.
Gfk, nell’analisi relativa al futuro del retail dopo l’emergenza da Covid 19, ha invece
messo in evidenza l’esistenza di un consumatore “sociale”: in particolare,
dall’indagine è emerso come il 63% degli italiani è ancora desideroso di fare i propri
acquisti fisicamente in negozio mentre il 68% sceglierà quelle attività commerciali le
quali sono meglio in grado di garantire ai propri clienti le migliori condizioni
igieniche e di sicurezza 99.

98 Cfr. Consumatori: come saranno quelli post Covid-19?, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.udicon.org/2020/05/11/consumatori-come-saranno-quelli-post-covid-19/
99 Ibidem.

34
Secondo quanto stabilito da Castenetti 100, sentendosi sballottati tra ciò che è superfluo
e ciò che è necessario, i clienti si sentono frastornati a fronte anche di un continuo
cambiamento delle priorità e delle abitudini di vita e a causa del continuo stato di
allerta ormai definitosi101.
Così, come ha rilevato Cupini, è necessario che i brand non mettano sotto pressione i
clienti spingendoli a spendere e a tornare ai consumi pre-Covid poiché ad oggi non
vi sono gli strumenti e le risorse economiche per ciascuna famiglia per ritornare ai
ritmi consumistici di un tempo e il cambio di prospettiva non può essere operato se
la congiuntura economica stessa non dà gli strumenti e le risorse necessarie a tutte le
famiglie 102.
Edelman Italia, nell’indagine sopracitata Brand Trust and Coronavirus Pandemic, ha
rilevato che gli italiani coltivano una grande fiducia nel ruolo sociale dei brand che si
sono impegnati durante la pandemia, tanto che un italiano su tre ha iniziato a
utilizzare un nuovo brand per via dell' impegno sociale che ha profuso durante
l'emergenza 103.
Inoltre, lo studio ci rivela ovvero: l’89% degli italiani vuole che i brand rivedano la
propria produzione in modo da aiutare i consumatori ad affrontare meglio
l'emergenza; l’81% vuole che i brand siano in grado anche di divulgare una corretta
informazione in merito al virus e ai progressi compiuti dalla medicina per
combatterlo; l’82% ritiene che i brand debbano anche svolgere una funzione educativa
sia in merito alla natura della pandemia che in merito alle modalità di protezione; il
92% degli italiani si aspetta che i brand cooperino col Governo per superare questa
crisi; il 92% degli italiani ritiene che i brand debbano offrire prodotti gratuiti o a prezzi
fortemente scontati soprattutto per le categorie più in difficoltà.
La ricerca, inoltre, ha rilevato che anche la comunicazione del brand risulta essere di
notevole importanza per acquisire la fiducia dei consumatori e confermare il loro
ruolo sociale: ciò viene ulteriormente confermato anche dalle percentuali che lo studio
ci restituisce; in effetti, emerge che la comunicazione deve essere adeguata al
momento che stiamo vivendo: il 57% degli italiani chiede che le campagne di
promozione non debbano essere eccessivamente allegre o umoristiche; i media
tradizionali sono i canali preferiti per poter ricevere le informazioni da parte dei
Brand e ciò lo pensano ben il 43% degli italiani contro il 38% che tendono ad affidarsi

100 Cfr. M. Castenetti, Brand Reputation E Coronavirus, op. cit.


101 Cfr. Coronavirus: Edelman, 1 italiano su 3 usa un marchio utile nell'emergenza, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://tg24.sky.it/lavoro/2020/04/19/coronavirus-crisi-brand
102 Cfr. Cupini G., Coronavirus, ora la sfida dei brand è la ‘nuova normalità’: ecco come affrontarla senza paura,
op. cit.
103 Cfr. Ogilvy Italia, COVID-19: i brand e le persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano a comunicare
al meglio quando il mondo sembra impazzire, op. cit.

35
a Facebook: ciò suggerisce un ruolo secondario di questi social tanto che l'80% degli
italiani chiede che siano proprio i brand a saper sfruttare i social per creare un senso
di comunità e raccogliere i consumatori.
Il fattore della fiducia si qualifica come fattore decisivo per scandire il rapporto che si
instaura tra brand e consumatori: in effetti il modo di comportarsi dei brand durante
questo periodo risulta essere decisivo poiché il 66% degli italiani pensa che il come
un brand risponde alla crisi potrà influenzare anche le probabilità di sceglierlo in
futuro, quando questa situazione di emergenza sarà giunta al termine.
Come ha rilevato Fiorella Passoni, Amministratore delegato di Edelman Italia:

la nostra ricerca dimostra come la tendenza dei consumatori a riporre grande fiducia nel
ruolo delle aziende per la soluzione di problemi di natura sociale si sia rafforzata
notevolmente in seguito all’emergenza coronavirus. Oggi più che mai i brand hanno la
possibilità di fare la differenza e giocare un ruolo da protagonisti nell’affrontare e superare
la crisi attraverso la ricerca di soluzioni innovative che diano un contributo concreto. È
una sfida che comporta grande impegno e responsabilità ma dalla quale dipende il
rapporto di fiducia con i consumatori e di conseguenza la reputazione presente e futura
delle aziende tanto che, secondo la ricerca, un italiano su 4 ha già deciso di penalizzare
quei brand che non hanno agito in maniera appropriata in risposta alla pandemia. I
consumatori in questo momento si aspettano che i brand diano la precedenza alle persone
rispetto ai profitti, cooperino stabilmente con le autorità, forniscano informazioni per
proteggersi dal contagio e attuino una comunicazione trasparente ed empatica. Tante
aziende italiane si stanno mostrando all’altezza della situazione e sono quelle che
resisteranno meglio alla crisi perché l’avranno utilizzata come momento per rafforzare il
proprio rapporto di fiducia con i consumatori dimostrando efficienza, creatività e capacità
di adattamento 104.

2.2. Fasi e step di reazione dei brand alla pandemia

La pandemia da Covid 19 ha determinato un profondo cambiamento nelle abitudini


di vita ma anche di consumo delle persone e le aziende, accanto alle sfide di carattere
strettamente economico che sono state chiamate ad affrontare, si ritrovano davanti ad
una sfida, forse ancora più grande, di intercettare quelle che sono le decisioni e i
comportamenti dei consumatori i quali sono divenuti sempre più razionali e a tratti,
invece, dettati dalla componente emotiva. Considerevoli sono i rischi, almeno a livello
potenziale, tanto per brand reputation che per brand safety.
Ipsos pertanto ha redatto una guida contenente una serie di consigli i quali sono
rivolti a brand e aziende che possono risultare utili agli stessi in un tempo per così

104 Cfr. Coronavirus: Edelman, 1 italiano su 3 usa un marchio utile nell'emergenza, op. cit.

36
dire fluido e caratterizzato da rilevanti «cambiamenti comportamentali». In
particolare, tra le regole indicate all’interno della suddetta guida vi è quella di non
dare l’impressione di voler approfittare della situazione.
E, infatti, molte aziende appaiono preoccupate di apparire con le proprie campagne
di comunicazione, i messaggi aziendali e le proprie pubblicità come «opportuniste»,
al punto che alcune aziende operanti nel settore farmaceutico i cui cataloghi
illustravano presidi sanitari utili a prevenire il contagio sarebbero apparse restie a
fare un esplicito riferimento, nei propri messaggi, al coronavirus.
Uno studio condotto da Kantar Media, dal titolo COVID Barometer, ha messo in
evidenza il fatto che nel momento storico nel quale cui ci troviamo i consumatori si
aspettano che le aziende non sfruttino la situazione di crisi, anche se lo fanno
impiegando toni umoristici e sdrammatizzanti; essi, infatti, vogliono che i brand
facciano sentire la propria vicinanza ai clienti o potenziali tali, partendo dall’ascolto.
La capacità delle aziende di ascoltare i consumatori, la loro abitudine ad impiegare
tool di social media monitoring e a destinare risorse al community management, del
resto, non rappresenta un elemento che dovrebbe essere tenuto in considerazione
soltanto in questo momento ma in tutti quei momenti nei quali un’azienda si trova
costretta a fare fronte a situazioni emergenziali e a crisi inaspettate.
E, infatti, la capacità dei brand di intercettare le conversazioni che, in modo diretto
ma anche indirettamente, riguardano il brand permette infatti di meglio comprendere
i bisogni dei consumatori e a fornire loro adeguate soluzioni.
I consumatori sono altresì particolarmente attenti alle politiche di welfare messe in
atto da parte delle aziende, secondo una prospettiva che passa dall’ascolto del cliente
all’ascolto delle persone.
E, infatti, secondo il sopra citato studio Kantar, circa il 78% dei consumatori si aspetta
che durante momenti emergenziali come quello attuale l’azienda si «prenda cura dei
propri dipendenti»; Così, ad esempio, un’azienda potrebbe aumentare lo stipendio
dei dipendenti, erogare voucher per babysitter ai dipendenti con figli o stipulare per
tutti i lavoratori, ivi compresi coloro che svolgono attività lavorativa nella forma dello
smart working, polizze assicurative; questo è, ad esempio, quanto è avvenuto nel
Pastificio Giovanni Rana durante l’emergenza COVID-19.
Altro consiglio di Ipsos rivolto alle aziende per tentare di fronteggiare nel migliore
dei modi la situazione è quello di diffondere unicamente quelle informazioni
corrispondenti al vero e che siano realmente utili, cercando di avere un impatto
positivo in un momento di crisi. E, infatti, a tal proposito occorre rilevare il fatto che
fin dall’inizio della situazione emergenziale le ricerche degli utenti su Google sul
coronavirus hanno fatto emergere come all’interno della rete circoli una grande
quantità di fake news e di notizie manipolate.

37
Se diffondere notizie false non giova né ai consumatori né alle aziende, anzi risulta
essere per le stesse del tutto deleterio, non stupisce in alcun modo il fatto che il
contributo delle imprese alla gestione della crisi sia, anche quello di diffondere
messaggi non solo il più realistici possibile ma anche in grado di infondere nei
consumatori positività e speranza.
Numerosi brand hanno trasformato slot del proprio piano editoriale social in
un’occasione per ricordare agli utenti le regole che bisogna adottare al fine di
prevenire i contagi da Covid 19, mentre altri hanno incorporato l’idea distanziamento
sociale nella propria identità visiva e rilevante è il contributo offerto da parte di alcune
aziende nel fronteggiare la diffusione dei contagi e nel tentare di arrestarli, invitando,
ad esempio, i passanti ad entrare all’interno del negozio e lavarsi le mani.
Altri ospedali hanno invece dato il proprio contributo donando a quegli ospedali che
in questo momento si trovano a dovere affrontare il carico più elevato di pazienti
affetti da Covid 19 mascherine e ogni altro presidio medico, come, ad esempio, fatto
da parte della produzione di “Grey’s Anatomy”; altre aziende hanno invece donato
ad alcune regioni maschere da snorkeling affinché le stesse venissero trasformate da
parte degli ingegneri esperti nel settore in respiratori ospedalieri, come ha fatto ad
esempio la nota azienda di articoli sportivi Decathlon.
Il noto brand Louis Vuitton ha rivolto un messaggio di solidarietà ai consumatori
cinesi,
cercando di infondere in loro sicurezza attraverso una lettera, il cui contenuto è
perfettamente in linea con lo stile del marchio, nella consapevolezza della rilevanza
del con il tono di voce del brand e perfettamente consapevole sia della rilevanza del
mercato cinese per il segmento del lusso, scegliendo a tal fine i migliori canali di
comunicazione per raggiungere i propri clienti; e, infatti, non è un caso che tale
messaggio di solidarietà sia comparso prima su Weibo e WeChat e solo dopo su
Instagram.
Anche Ceres, azienda di produzione di birra, ha rivolto un messaggio ai propri clienti,
invitandoli a non perdere la speranza e mettendo in evidenza l’importanza di
rimanere uniti in attesa che quanto stiamo vivendo finisca il prima possibile.
Le regole di distanziamento sociale imposte da parte dei governi di pressoché tutti gli
Stati del mondo e da parte delle autorità sanitarie nazionali al fine di tentare di
arrestare l’ulteriore propagazione dei contagi hanno finito con il dare vita, in modo
peraltro del tutto inevitabile come era del resto quasi scontato attendersi, a abitudini
di vita e a nuove norme sociali.
Così anche le aziende si sono adeguate al cambiamento in atto, eliminando, ad
esempio, gli abbracci e i baci dalle loro pubblicità.
La crisi sanitaria in atto ha finito dunque con il generare una nuova forma di
normalità, ancorché a carattere temporaneo e con una durata più o meno definita e in

38
questo cambiamento le aziende e i brand sono ovviamente coinvolti in prima linea; a
tal proposito, come è emerso dall’indagine Kantar, il 77% del campione intervistato
ha dichiarato che si attende che il brand sia capace di spiegare in che modo possano
essere utili nella nuova realtà che sono chiamati a vivere.
L’obbligo imposto a tutti noi di rimanere il più possibile a casa evitando i contatti
sociali ha già finito con il dare vita ad una nuova normalità, fatta di lezioni seguite
online, il cinema si guarda dalla propria abitazione attraverso piattaforme per lo
streaming televisivo come, per citare i più famosi, Netflix, Prime Video, Disney +, la
pizza si mangia in casa grazie al servizio di food delivery, mentre gli incontri con gli
amici avvengono attraverso appuntamenti che si svolgono tramite video grazie al
servizio di videochiamata messo a disposizione da pressoché tutte le app di
messaggistica istantanea.
In tale contesto, per le aziende dei settori appena elencati, così come di molti altri
ancora, non farsi trovare impreparati al cambiamento rappresenta non solo un dovere
bensì anche un’opportunità che devono essere in grado di cogliere in modo adeguato
e l’erogazione di servizi da remoto, benché rappresenti in tal senso solo il primo
passo, è qualcosa a cui non si può oggi rinunciare. E se risulta essere alquanto difficile
allo stato attuale svolgere una riflessione sulle conseguenze e l’impatto prodotto
sull’e-commerce nel lungo periodo dalla pandemia in corso, in quanto occorrerà
attendere ancora l’evolversi della situazione, vi è un esempio il quale può di certo
risultare utile: secondo l’indagine Ipsos, nel corso delle primissime settimane di crisi
legata al diffondersi della pandemia da Covid 19 in Cina, si è registrato un incremento
considerevole nella vendita online di autoveicoli e ciò nonostante il settore
automobilistico sia tra quelli che mal si presta agli acquisti tramite la rete; di contro,
come era peraltro ampiamente prevedibile, la vendita di vettura in salone subiva una
brusca riduzione.
Uno degli inviti che Ipsos ha rivolto alle aziende è quello di fornire il proprio supporto
ai consumatori, i quali nella maggior parte dei casi, dovendo vivere una situazione
senza precedenti, si trovano del tutto disorientati e confusi dall’essere stati costretti a
rinunciare alla normale routine, aiutandoli a costruirsene una nuova e domestica.
Quello che si intende far comprendere ai brand è che non è sufficiente subissare i
consumatori con proposte ed occasioni di consumo innovative da portare a termine
da casa, bensì occorre essere in grado di fargli da guida, supportandoli nella
riorganizzazione delle proprie abitudini e nei comportamenti di tutti i giorni.
Alcune ricerche hanno classificato la reazione dei l brand alla pandemia, in quattro
fasi:

1. prima fase – sorpresa: questo virus ha coinvolto all’improvviso tutti,


leader politici, aziende, consumatori e pubbliche amministrazioni,

39
nessuno si aspettava che avrebbe aggredito il nostro Paese con tale
intensità. Così, molti brand hanno assistito all'avvento di questa
pandemia con un iniziale smarrimento;
2. seconda fase - condivisione: al disorientamento iniziale è seguita una
presa di coscienza da parte dei brand di dover attivarsi per dare il
proprio contributo alla lotta alla pandemia e all’attività di prevenzione
richiesta dai Decreti governativi. In questa fase, nasce e si diffonde
l'hashtag #iorestoacasa e i brand danno vita a campagne pubblicitarie
emotive o dal tono patriottico. Per esempio, Fiat lancia il nuovo modello
di 500 con una campagna che si pone come inno alle strade e
all'italianità; Bauli mette a disposizione i propri spazi pubblicitari per
mettere in collegamento chi non poteva festeggiare la Pasqua con i
propri cari. Per fare esempi famosi: Barilla sceglie un testimonial
d'eccezione, Sofia Loren, per incarnare lo spirito italiano; Amazon
esprime gratitudine ai propri dipendenti per gli sforzi profusi
ribadendo il contributo che stanno dando a livello globale; Esselunga
ringrazia il proprio staff e nella sua narrazione pubblicitaria inserisce
quattro nuovi concetti chiave: restare uniti, impegno, fiducia e futuro;
Ikea eleva i suoi prodotti a strumenti in grado di rendere più gradevole
l'ambiente di casa soprattutto in un momento come questo dove la casa
diviene la dimensione privilegiata da cui combattere la pandemia;
Findus si appella a #iorestoacasa pur non mettendo da parte il futuro;
3. terza fase – resilienza: dopo che l'intera nazione ha somatizzato
l'avvento di questo virus e ha canalizzato le emozioni regalate dalla
nuova quotidianità, anche la comunicazione del brand ha puntato sui
temi della rinascita e della ricostruzione;
4. quarta fase 105 - la ripartenza e il futuro: considerati gli ultimi eventi
dell’autunno corrente e la curva dei contagi che aumenta il futuro
ancora rimane molto incerto per brand e consumatori106 . Quindi la
dimensione della ripartenza e del futuro appare offuscata dal
prolungarsi dell’emergenza sanitaria: anche se questa fase viene
ugualmente formulata appare ormai bloccata in un continuo
“rimandare”.

105 Alla quarta fase, come suggeriscono i recenti sviluppi, segue una nuova fase di innalzamento dei
contagi che metteranno a dura prova il mercato e la capacità di sopravvivenza delle aziende.
106 Cfr. Ma che cosa vogliono le persone dai brand nel post Coronavirus?, 2020, il documento è consultabile al
sito: http://www.beunsocial.it/ma-che-cosa-vogliono-le-persone-dai-brand-nel-post-coronavirus/

40
Ogilvy Consulting, team di consulenza Ogilvy che si occupa di innovazione e di
elaborare strategie ha presentato il white paper dal titolo “COVID-19: i brand e le
persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano a comunicare al meglio quando
il mondo sembra impazzire.”
In particolare, in un momento di profonda incertezza che ci accomuna tutti è
importante per Ogilvy comprendere realmente lo scenario, del tutto inaspettato e che
ci ha trovati tutti impreparati, per interpretare la nuova normalità che siamo stati
chiamati a vivere e a tal fine è stata elaborata una guida pratica che fornisce alle
aziende consigli utili per modificare la propria comunicazione seguendo i
cambiamenti.
Attraverso le Scienze Comportamentali, spiega la nota, è possibile individuare i
meccanismi che stanno alla base delle reazioni degli individui, dei brand e dei
governi, non già soltanto per capire il presente bensì soprattutto per delineare i
possibili scenari futuri.
Grazie a questo paper Ogilvy ha messo a disposizione gli studi condotti dalle Scienze
Comportamentali di Ogilvy Consulting al fine di fornire alle aziende e ai brand un
utile strumento per comprendere quali siano i reali comportamenti adottati da parte
delle persone e dei consumatori in un momento di confusione e di incertezza come
quello attuale 107.
Dopo una minuziosa analisi dei comportamenti, a volte anche di tipo irrazionale, dei
consumatori, e dei metodi attraverso i quali interpretarli, il paper elenca una serie di
DOs and DON’Ts utili per i brand e, per sostenere le marche in un momento, come
questo, caratterizzato da forte turbolenza e per individuare le opportunità che in esso
si celano.
Obiettivo che Ogilvy Consulting si propone di conseguire per il tramite di tale
metodo è quello di accompagnare le aziende e i brand verso l’adozione di nuove
strategie che siano in grado di essere rilevanti presso le varie audience nonostante gli
scenari e i contesti attualmente in continua evoluzione.
Numerosi sono i comportamenti posti in essere in questo momento e che possono
essere definiti come irrazionali, come, a titolo di esempio, l’acquisto oltre misura di
beni di largo consumo, o la violazione degli obblighi di distanziamento sociale,
benché siano state ampiamente chiarite le ragioni per le quali non dovremmo farlo.
Emanuela Lovotti, Strategic Planner & Behavioral Strategist, dell’azienda ha
affermato:

107 Cfr. COVID-19: i brand e le persone, 2020, il documento è consultabile al sito:


https://www.ogilvy.it/news/Covid19-ibrandelepersone.html

41
Le euristiche sono frutto dell’evoluzione del pensiero umano: ci consentono di
interpretare e valutare molto rapidamente situazioni che richiederebbero, altrimenti,
grandi risorse, uno degli aspetti interessanti di questo nuovo scenario è l’estrema
importanza che assumono le decisioni dei singoli individui. Oggi tutto parte da noi: siamo
noi che, con il nostro comportamento, facciamo la differenza fra il diffondersi del virus o
il suo contenimento. Se le euristiche infatti talvolta possono accelerare i nostri processi
decisionali, risparmiandoci tutte le valutazioni necessarie, in altri casi come quello attuale
possono indurci a valutazioni e comportamenti controproducenti rispetto alle circostanze,
i bias.108

Ogilvy Consulting, consapevole del nuovo ruolo sociale delle aziende e dei Brand, ha
elaborato un metodo che i brand devono seguire per sostenere scelte di valore
soprattutto in questo delicato momento che stiamo vivendo. Tale metodo è suddiviso
in 5 step iterativi ovvero:

1. step 1 – comprensione: le aziende e i brand devono partire dalla


domanda “da cosa sono mossi i consumatori?” e dare una risposta
cercando di capire quali sono i bisogni sorti durante questi mesi e quali
sono le ragioni che sono alla base dei comportamenti dei consumatori
stessi;
2. step 2 – definizione: i brand devono saper rispondere alla domanda “su
cosa posso intervenire a partire dalla conoscenza dei vecchi e dei nuovi
comportamenti?”: i brand devono essere in grado di identificare le aree
di intervento su cui andranno ad agire e autopromuoversi;
3. step 3 – ideazione: i brand devono chiedersi “qual è la soluzione
migliore?”: a partire dalla conoscenza delle aree di intervento devono
attivarsi per progettare per il consumatore un’esperienza d’acquisto
coerente con quanto esso ha bisogno in questo momento;
4. step 4 – attuazione: la domanda che emerge è “come implementare la
soluzione?”: una volta decisa l'esperienza di acquisto i brand devono
renderla concreta predisponendo prodotti e servizi di cui i consumatori
hanno effettivamente bisogno e attivando una politica di prezzo che
sappia salvaguardare l'esistenza dell'azienda e andare incontro alle
esigenze dei consumatori;
5. step 5 – validazione: la domanda che emerge è “quale è stato l'impatto
della nuova politica e dove posso migliorare?”: le aziende devono saper

108 Cfr. R. La Selva, Coronavirus, il White Paper di Ogilvy Consulting Italia per interpretare la nuova quotidianità
e guidare i brand nel cambiamento, 2020, il documento è consultabile al sito: https://youmark.it/ym-
youmark/coronavirus-il-white-paper-di-ogilvy-consulting-italia-per-interpretare-la-nuova-
quotidianita-e-guidare-i-brand-nel-cambiamento/

42
utilizzare gli strumenti di valutazione dei risultati monitorando la
situazione definitosi e individuando ulteriori correttivi e aree di
miglioramento.

2.3. L’evoluzione degli investimenti in comunicazione durante la pandemia

Nelle diverse fasi dell’emergenza sanitaria molti brand hanno rivisto le proprie
strategie di comunicazione. Tra l’altro, sono stati modificati gli investimenti sui vari
media, sono state progettate campagne nuove, sono state realizzate iniziative di
sensibilizzazione e raccolta fondi, sono state fatte donazioni di grandi somme di
denaro ed è stata garantita una presenza dei brand più attenta alle esigenze della
popolazione e in grado di dare le opportune istruzioni per la lotta contro il Covid-
19.
Tutti gli investimenti sono stati in grado di sottolineare il ruolo sociale dei brand: essi
hanno riguardato, primariamente, la conversione industriale poiché vi sono numerosi
brand che hanno scelto di convertire la propria produzione industriale realizzando
prodotti ospedalieri o dispositivi di protezione individuali per i consumatori; allo
stesso tempo vi sono brand che fanno anche donazioni per la ricerca o per gli ospedali
che sono in prima linea nella lotta al Covid-19, o ancora brand che mettono in campo
delle promozioni, prodotti, servizi e nuove politiche di prezzo per aiutare i
consumatori in questo delicato momento 109.

2.4. Conversioni di produzione

Le conversioni di produzione rappresentano la forma di investimento più importante


che è stata realizzata dai grandi marchi che hanno voluto mettere a disposizione i
propri stabilimenti industriali, i propri macchinari e la propria manodopera per
realizzazione dispositivi di protezioni individuali e tutto l’occorrente per sostenere
l’operato della classe medica nella lotta contro il Covid-19.
Per fare alcuni esempi, nell'ambito dell'automobilismo, numerose case
automobilistiche intervenute contro il coronavirus hanno divulgato contenuti che
incoraggiano alla speranza e alla riconversione della propria produzione industriale.

109 Cfr. Ogilvy Italia, COVID-19: i brand e le persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano a comunicare
al meglio quando il mondo sembra impazzire, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.ogilvy.it/doc_din/OC_COVID19_BrandPersone_200409.pdf

43
Ferrari, insieme a Fiat Chrysler, ha dato la propria disponibilità nel contribuire
all'attività del Siare Engineering Group, il consorzio italiano che si occupa della
produzione di ventilatori polmonari destinati alla terapia intensiva. In particolare,
Ferrari si è resa disponibile nella realizzazione dei monitor degli schemi e degli altri
componenti elettrici, mentre Fiat-Chrysler si è occupata dell’assemblaggio e della
gestione di alcuni dettagli meccanici.
Lush, un brand che da 25 anni si occupa della produzione e del commercio di
cosmetici naturali e biologici, da sempre attenta alle ecosostenibilità e al commercio
etico, nei periodi del lockdown e nel post lockdown, ha dato la possibilità a tutti
coloro che lo volessero di lavarsi le mani all'interno dei propri store mettendo a
disposizione acqua e sapone per tutti110.
Tim Cook ha invitato tutti i suoi dipendenti di Apple a lavorare da casa in modo da
tutelare la loro salute ed evitare gli assembramenti nei luoghi di lavoro.
Dopo una fase iniziale in cui Elon Musk, eccentrico fondatore e amministratore
delegato di Tesla, ha sminuito su Twitter la gravità dell'emergenza, l’azienda ha dato
il proprio contributo collaborando con Medtronic alla produzione di dispositivi
necessari agli ospedali 111 e donando oltre 1200 respiratori gli ospedali della California
e centinaia di ventilatori alle strutture dello stato di New York.
Nel corso dell’attuale emergenza sanitaria, molti brand di moda hanno dato il proprio
contributo per supportare consumatori e favorire condotte adeguate a combattere il
virus: le aziende in questione, infatti, hanno effettuato in alcuni casi donazioni e
hanno attivato azioni di sostegno per contrattare la pandemia. Alcuni brand, come il
già citato Armani, hanno convertito i sistemi di produzione realizzando dispositivi
di protezione, in modo da offrire una risposta tempestiva alla mancanza di
mascherine112.
Giorgio Armani è stato il primo a chiudere i suoi ristoranti in Italia e ha riconvertito
la sua produzione industriale, realizzando mascherine chirurgiche e dando il proprio
contributo per spingere l'industria del fashion verso un ripensamento delle logiche di
produzione e delle logiche commerciali, ponendo l'accento sul fatto che le collezioni
spesso non hanno dato la giusta attenzione al fattore ambientale. Egli ha anche scelto

110 Cfr. Cupini G., Coronavirus, ora la sfida dei brand è la ‘nuova normalità’: ecco come affrontarla senza paura,
2020, il documento è consultabile al sito: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/05/26/coronavirus-ora-
la-sfida-dei-brand-e-la-nuova-normalita-ecco-come-affrontarla-senza-paura/5814235/
111 Cfr. M. Castenetti, Brand Reputation E Coronavirus, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://marketing-espresso.com/brand-reputation-e-coronavirus/
112 Cfr. R. Baptista, L'impegno dei brand di moda contro il coronavirus: ecco le iniziative per contrastare
l'emergenza, 2020, il documento è consultabile al sito: https://www.insidemarketing.it/brand-di-moda-
contro-il-coronavirus-iniziative/

44
di donare oltre 2 milioni di euro alla Protezione Civile e a diversi ospedali presenti
nel nostro Paese.
Ermanno Scervino, come Armani, preoccupandosi soprattutto delle fasce più a
rischio in questo momento (come ad esempio gli anziani), ha scelto di produrre
strumenti mascherine in “tessuto non tessuto” o “TNT” che solitamente viene
utilizzato per produrre l'abbigliamento del personale sanitario 113.
Miroglio di Alba , che si occupa della produzione di abbigliamento e tessuti, ha
adeguato il suo sistema produttivo all’emergenza da Covid-19, con l'obiettivo di
produrre 100 mila mascherine al giorno. Durante il lockdown oltre 15 mila
mascherine lavabili sono state donate all'unità di crisi del Piemonte. Con l'iniziativa
#orgogliomiroglio, poi, il brand ha stabilito che, all'acquisto on-line di un capo sui
vari siti di e-commerce, una mascherina sarebbe stata donata alla Regione Piemonte
che mediante l'unità di crisi regionale l'avrebbe assegnata a chi avrebbe avuto più
bisogno.
Anche Calzedonia, a partire dal 23 marzo, ha dedicato parte della sua produzione a
confezionare mascherine e camici presso alcuni stabilimenti sia italiani che croati:
un'iniziativa del genere ha richiesto non solo l'acquisto di nuovi macchinari ma anche
la formazione per le cucitrici che sono state chiamate a realizzare tali prodotti: nella
fase iniziale venivano prodotte oltre 10 mila mascherine al giorno. Coltivando un
profondo senso di responsabilità e di preoccupazione che nei confronti dei dipendenti
che nei consumatori, il brand ha, inoltre, scelto di chiudere tutti i negozi in Italia anche
prima del lockdown, anticipando i decreti ministeriali che prevedevano l'obbligo di
chiusura delle attività commerciali 114.
Gruppo Zegna, a metà aprile, si è dedicato alla produzione di 250 mila camici che
sono stati destinati alla regione Piemonte e 30 mila camici sono stati destinati al
Canton Ticino 115.
Louis Vuitton e Christian Dior hanno ordinato oltre 40 milioni di mascherine dalla
Cina e hanno convertito i loro laboratori di cosmesi in impianti di produzione di gel
igienizzante per le mani, destinato a medici e infermieri in servizio presso gli ospedali
francesi 116.

113 Cfr. F. Mirabella, Come il mondo della moda sta sostenendo la lotta al Coronavirus, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.marieclaire.com/it/moda/fashion-news/g31776747/moda-coronavirus/
114 Cfr. La moda durante la crisi del Coronavirus, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.buytron.it/news/la-moda-durante-la-crisi-del-coronavirus/
115 Oltre alle aziende già menzionate, vanno ricordati anche altre case di moda e stilisti italiani come Les
Copains, Gruppo Plissé, Natuzzi e Carlo Pignatelli, ugualmente impegnati nella produzione di
mascherine e di altri dispositivi sanitari per evitare i contagi.
116 Cfr. Settore Moda e Covid-19 Scenario, impatti, prospettive, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://assets.ey.com/content/dam/ey-sites/ey-com/it_it/generic/generic-content/ey-settore-moda-e-
covid-19-v5.pdf

45
Mango e Zara hanno avviato la produzione di mascherine e camici da distribuire a
medici e infermieri in servizio presso gli ospedali spagnoli 117.
Come abbiamo potuto vedere i cambiamenti più significativi registrati in seguito
all'avvento della pandemia hanno riguardato soprattutto la filiera produttiva, le
campagne pubblicitarie e le donazioni che sono state elargite dai brand più famosi.
L'analisi compiuta in merito a tutte queste importanti iniziative realizzate dai brand
fanno emergere non solo il fattore-empatia che essi hanno saputo tirar fuori, ma anche
la grande creatività e spirito di adattamento che hanno saputo sfruttare in questo
momento di crisi, fattori che si sono rivelati decisivi soprattutto se coordinati con la
trasformazione dei sistemi produttivi realizzati per dare il proprio contributo alla
lotta ai contagi: un’iniziativa del genere, in particolare, ha richiesto importanti sforzi
per i Brand, sia spese per quanto riguarda l'acquisto di impianti, sia l’impegno nella
formazione degli operatori chiamati a svolgere tali mansioni.

2.5. Gare di solidarietà

Sono le stesse aziende ad aver dimostrato un rilevante impegno sociale, aderendo


alle diverse gare di solidarietà promosse anche mediante i social media, oltre che
per mezzo di campagne mirate alla corretta informazione online e offline 118.
In effetti, sono sempre più numerose le imprese italiane che donano risorse al sistema
sanitario e alla protezione civile per combattere l'emergenza: in primis, il marchio
Ferrarelle che fa la sua parte e dona 200 mila euro per sostenere gli ospedali di Napoli
e Brescia (Cfr. Fig. 1).
Prada, leader nel campo della moda luxury, ha invece donato due postazioni
complete di terapia intensiva e rianimazione a ciascuno degli ospedali milanesi
Vittore Buzzi, Sacco e San Raffaele. Come Armani, a partire dal 18 marzo, l’azienda
si è dedicata alla produzione di mascherine e camici per il personale sanitario (Cfr.
Fig. 2).

117 Cfr. Gli effetti del coronavirus sulla moda: Nike è il brand più desiderato del secondo trimestre 2020, il
documento è consultabile al sito:
https://d.repubblica.it/moda/2020/07/29/news/nike_e_il_brand_piu_desiderato_coronavirus_lyst_index
_secondo_trimestre_2020_birkenstock-4771309/
118 Cfr. R. Zanna, Brand e comunicazione: la creatività al tempo della pandemia, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.digitaldictionary.it/blog/brand-comunicazione-creativit%C3%A0-
coronavirus

46
Fig. 1. Manifesto della campagna di donazione Ferrarelle

Cfr. P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati
vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

47
Fig. 2. Manifesto della campagna di donazione realizzata da Prada

Fonte: https://www.pradagroup.com/it/news-media/news-section/prada-
coronavirus-emergency-donation.html

Gucci ha scelto inizialmente di donare 1 milione di euro alla Protezione Civile italiana
e 1 milione di euro all'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (Cfr. Fig. 3);
inoltre, dal 27 marzo ha messo a disposizione dell’OMS i propri social network in
modo da diffondere i messaggi ufficiali e aumentare la visibilità delle informazioni,
dando il proprio contributo per garantire una riduzione dei contagi.
L’azienda Ferrero ha effettuato una donazione da 10 milioni di euro a sostegno della
struttura guidata da Domenico Arcuri.
Il Gruppo Barilla ha offerto oltre 2 milioni di euro all’Ospedale Maggiore di Parma,
della Protezione Civile e della Croce Rossa di Parma.
Giuseppe Caprotti, Amministratore delegato di Esselunga, ha realizzato un fondo di
10 milioni destinato al mantenimento delle iniziative terapeutiche in Lombardia e alla
realizzazione di un piano a favore delle categorie più deboli colpite dagli effetti
dell'epidemia 119.

119 Cfr. Coronavirus, gara di solidarietà tra le aziende. Ferrero dona 10 milioni, Barilla 2 milioni, Tim 1 milione e
Generali apre un fondo da 100 milioni di euro, 2020, il documento è consultabile al sito:
http://www.adcgroup.it/adv-express/news/industry/csr/gara-di-solidarieta-tra-le-aziende.html

48
Fig. 3. Manifesto della campagna di donazione Gucci

Fonte: COVID-19: la comunicazione dei dieci brand con maggior valore economico in Italia
nel 2020, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.brandforum.it/paper/3603/covid-19-la-comunicazione-dei-dieci-brand-
con-maggior-valore-economico-in-italia-nel-2020

Anche i gruppi bancari non sono rimasti indifferenti all’emergenza che caratterizzava
la situazione e hanno deciso di scendere in campo per fare la loro parte.
In primis, il CdA di Generali ha costituito un Fondo Straordinario Internazionale di
100 milioni di euro per fare fronte all’emergenza Covid-19 a livello internazionale: di
questi 100 milioni 30 milioni saranno riservati all'Italia per finanziare le iniziative più
importanti riguardanti il rinvigorimento del Sistema sanitario nazionale e della
Protezione civile, seguendo, in particolare, le direttive del Commissario straordinario
del governo.

49
Tiffany & Co. ha lanciato la campagna “Tiffany Infinite Strength”, dando il proprio
contributo per sostenere le comunità più vulnerabili colpite dal COVID-19. Il 100%
del ricavato globale della vendita dei gioielli della collezione sarà donato
all’organizzazione umanitaria CARE. Il brand ha, inoltre, deciso di donare 1 milione
di dollari, a favore delle iniziative volte a contrastare la pandemia, al Solidarity
Response Fund per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e al NYC COVID-19
Response & Impact Fund del New York Community Trust.
Michael Kors si è, da sempre, impegnato nella lotta alla fame nel mondo attraverso
#watchhungerstop, un importante progetto charity a sostegno del World Food
Programme, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare nel
mondo. In merito all’attuale pandemia, il brand ha reso disponibile all’acquisto (sia
online che in alcune boutique selezionate), la nuova t-shirt unisex “Love” i cui
proventi sono devoluti in favore dei bambini più bisognosi, colpiti dall'emergenza
Covid-19.
O-bag: è stato fautore di alcune importanti iniziative solidali a sostegno della Sanità
in Veneto, promuovendo una raccolta fondi per l'acquisto di strutture e tecnologie da
destinare ai reparti di Anestesia e Rianimazione e di Anatomia Patologica
dell'Ospedale di Dolo (VE). Inoltre, a supporto di questa iniziativa, O bag ha deciso
di donare l'intero ricavato dalla vendita online e in store della nuova mascherina O
bag breath dal messaggio di speranza “UN RESPIRO PER LA VITA”.
La gara di solidarietà ha coinvolto, ad esempio, il brand Moncler: Remo Ruffini,
Presidente e Amministratore dell'Azienda afferma: “Milano è una città che ha
regalato a ognuno di noi un periodo straordinario. Non possiamo e non vogliamo
abbandonarla. È un dovere di tutti restituire alla città ciò che fino ad ora ci ha dato”;
con questa comunicazione egli ha annunciato la sua donazione elargita dal brand di
10 milioni di euro per aiutare la Regione Lombardia nella costruzione di 400 posti
letto nel reparto di rianimazione all'interno del nuovo ospedale, costruito all'interno
degli spazi della Fiera di Milano (Cfr. Fig. 4).
Snam e la sua Fondazione hanno stanziato 20 milioni di euro a favore degli ospedali,
delle strutture sanitarie e di altri enti e per assicurare l’acquisto di apparecchiature e
beni necessari, per l'assistenza sanitaria e per supportare realtà del terzo settore che
si occupano della tutela di giovani e anziani.
Anche Italgas ha effettuato una donazione agli ospedali Amedeo di Savoia di Torino,
al Sacco di Milano e all'ospedaliera di Padova.
Selex Gruppo Commerciale ha messo a disposizione dell'Ospedale Sacco, di Asst-
Lodi, Azienda socio-sanitaria Territoriale che include gli Ospedali di Lodi e Codogno,
e della Protezione Civile, un milione di euro per garantire la continuazione della
ricerca e per espletare tutti gli interventi più urgenti a favore dell'emergenza
sanitaria.

50
E si potrebbe continuare all’infinito: Falck Renewables ha stanziato 500 mila euro; il
gruppo Suning ha donato 300 mila mascherine; la holding Edizione dei Benetton ha
messo sul piatto 3 milioni di euro. Campari ha donato 1 milione al Sacco; Banca Bper
ha donato 20 dispositivi di ventilazione assistita all'Ausl Modena.

Fig. 4. Post del brand Moncler presente su Instagram


mediante il quale comunica le donazioni effettuate

Fonte: Cfr. P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono
stati vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

51
La Fondazione TIM ha donato 500.000 euro e di lanciare una sottoscrizione volontaria
tra i dipendenti TIM, impegnandosi a completare la raccolta fondi fino alla
concorrenza di altri 500.000 euro, anticipando l’intera somma ai beneficiari.
A tal fine, Fondazione TIM ha individuato quattro destinatari di questi contributi,
pari a 250.000 euro ciascuno: l'Ospedale San Raffaele di Milano, che ha sdoppiato in
una sola settimana il suo Pronto Soccorso; il Consorzio per la Ricerca Sanitaria -
CORIS della Regione Veneto, per un cofinanziamento a uno studio clinico coordinato
dal Prof. Vincenzo Bronte dell’Università di Verona che coinvolge gli ospedali veneti;
l’Ospedale Spallanzani di Roma, per l’ammodernamento in tempi rapidi dei
laboratori di biosicurezza, quelli in cui è stato isolato per la prima volta il virus;
l’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione "G. Pascale" di Napoli, per un
laboratorio che è previsto iniziare a lavorare questa settimana sul genoma del virus,
con l’obiettivo di facilitare l’approntamento di terapie.
La Fondazione, inoltre, ha scelto di prolungare tale impegno anche nel futuro post-
emergenza, garantendo delle regolari donazioni in ambiti che sono attinenti al suo
settore di appartenenza, ovvero la telemedicina e, più in generale, la combinazione
fra medicina e tecnologie avanzate per la trasmissione a distanza di dati e conoscenze.
Inoltre, Fondazione Vodafone ha donato 500 mila euro per Croce Rossa e Fondazione
Buzzi.
Oltre ai grandi marchi anche personaggi noti a livello mondiale hanno voluto fare
delle personali donazioni.
Bill Gates ha stanziato oltre 100 milioni di dollari per le imprese e le organizzazioni
impegnate nella ricerca di un vaccino contro il Covid, mentre altre donazioni sono
state destinate alle autorità sanitarie dell'Africa subsahariana e dell'Asia meridionale
che sono le regioni che risentono maggiormente delle conseguenze pandemiche.
Infine, Zuckerberg ha improntato una linea d'azione all'insegna della lotta alla
disinformazione e alle fake news sul Covid-19 su Facebook, ha donato oltre 20 milioni
di dollari per la ricerca e ha offerto numerosi spazi pubblicitari gratuiti a tutte le
organizzazioni che si sono impegnate nell'educazione e nella sensibilizzazione
all'igiene.
Tutte queste iniziative che riguardano le gare di solidarietà testimoniano l’impegno
che i grand stanno realizzando in questo particolare periodo; un impegno dunque che
riscopre il proprio valore sociale, e ne sfrutta le potenzialità per mandare ai propri
clienti e utenti un messaggio positivo e l'invito a restare uniti, anche se distanti, con
la speranza di ritornare il prima possibile alla nostra quotidianità.

2.6. Nuovi temi e contenuti delle campagne

La rapida propagazione della pandemia da Covid-19 nel corso dei primi mesi del
2020 ha costretto a modificare le abitudini di ognuno, influenzando altresì tanto

52
le modalità di vendita dei produttori e dei brand, quanto quelle di acquisto dei
consumatori120.
Se produzione, consumo sono mutati in risposta al confinamento imposto
durante il lockdown e alle limitazioni portate dall’emergenza sanitaria, anche la
pubblicità si è dovuta adeguare al contesto, sia nelle forme sia nel contenuto.
Molti brand, sin dall’inizio di questa pandemia, hanno dimostrato di essere in grado
di comunicare con creatività e intelligenza, rimettendo in discussione le proprie
strategie comunicative, al fine di contribuire, con il loro lavoro, alla diffusione di
informazioni attendibili e veritiere e numerose sono infatti le imprese impegnate
nella diffusione di messaggi di vicinanza agli italiani, con l’obiettivo di infondere
nella popolazione coraggio ed esortando a guardare con fiducia al futuro,
malgrado la particolare complessità di un periodo storico, come quello che stiamo
vivendo, segnato da una pandemia a livello globale.
E in un periodo come questo, gran parte dei brand non si è limitata alla
promozione dei propri prodotti, ma hanno altresì voluto far sentire la propria
vicinanza ai clienti, cercando di condividere e compartecipare alla difficoltà che
un avvenimento di tale portata ha comportato nella vita di ognuno, facendo
spesso riferimento alla mutata quotidianità segnata dal Coronavirus 121.
Oltre agli spot pubblicitari, i social network, soprattutto nell’attuale situazione
hanno assunto un ruolo strategico di primo ordine: e, infatti, per il tramite dei
social media vi è una maggiore possibilità di dialogo, in quanto l’utente ha la
possibilità di interagire direttamente e con immediatezza con il brand e sin dal
primo momento i social network hanno usufruito dei propri canali per impegnarsi
altresì nel contrastare la diffusione delle cosiddette fake news, vale a dire quelle notizie
non veritiere che facilmente influenzano e disinformano gli utenti, inducendoli ad
errate credenze.

2.6.1. Distanziamento sociale

Anche il distanziamento sociale rappresenta un must nelle nuove campagne


pubblicitarie post coronavirus dei brand più famosi.

120 Cfr. P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati vicino, 2020, il
documento è consultabile al sito: https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-
consumatore-ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/
121 Cfr. P. Meriano, Come è (in parte) mutata e come è percepita la pubblicità ai tempi del coronavirus in Italia,
2020, il documento è consultabile al sito: https://www.insidemarketing.it/pubblicita-ai-tempi-del-
coronavirus/

53
Diversi supermercati, ad esempio, hanno mostrato la loro vicinanza, ponendosi
quali compagni della quarantena; altre aziende, invece, hanno instaurato con il
consumatore una forma di empatia, al fine di mantenere alta l’attenzione sul
proprio marchio, e al contempo dialogando con lo stesso, senza il timore di
parlare di una tematica particolarmente delicata, come il distanziamento sociale
e la difficoltà di ripartire.
Inoltre, diversi brand hanno deciso di contribuire alla diffusione del concetto di
distanziamento sociale, il rispetto delle norme sul mantenimento delle distanze di
sicurezza, mettendo mano ai propri loghi, modificandone addirittura la grafica e il
layout, per rafforzare e rendere ancora più incisivo ed efficace il messaggio.
Secondo quanto riportato dalla rivista AdAge, McDonald’s Brasile e McDonald's
Thailandia hanno deciso di separare temporaneamente gli archi che compongono il
proprio logo per sottolineare la necessità di mantenersi distanti (Cfr. Fig. 5).

Fig. 5. Nuovo logo McDonald’s che promuove il distanziamento sociale

Cfr. P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati
vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

54
Anche Coca-Cola, con lo stesso obiettivo degli altri brand, ha modificato il proprio
logo per ricordare l'importanza del distanziamento sociale in questo momento
delicato (Cfr. Fig. 6).

Fig. 6. Il logo Coca-Cola che promuove il distanziamento sociale

Cfr. P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati
vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

Burger King, storio rivale di McDonald, ha lanciato un significativo messaggio ai


propri clienti, cambiando così il payoff del brand da “Home of the Whopper” a
“Stay Home” (Cfr. 7). Questa iniziativa è partita dalle filiali presenti in Francia,
dove attualmente sono stati chiusi al pubblico tutti i punti vendita. Questa
iniziativa spinge anche questo marchio ad omologarsi a quanto stanno facendo
gli altri brand, seguendo le normative del Paese al fine di sconfiggere il prima
possibile il virus.

55
Fig. 7. Il nuovo payoff di Burger King in Francia

Fonte: R. Zanon, Brand e comunicazione: la creatività al tempo della pandemia, 2020,


il documento è consultabile al sito: https://www.digitaldictionary.it/blog/brand-
comunicazione-creativit%C3%A0-coronavirus

Audi, da sempre presente sui propri canali social, ha presentato al proprio


pubblico un video incisivo in cui gli iconici quattro anelli che costituiscono il logo
si slegano facendo riferimento alla necessità di mantenere le distanze soprattutto
a livello fisico (Cfr. Fig. 8). L’animazione vede gli anelli dividersi e una frase che
recita: “Manteniamo la distanza“. I cerchi, poi, iniziano a riavvicinarsi per
formare nuovamente il logo e il claim questa volta esclama: ”Supportiamoci a
vicenda“.

56
Fig. 8. Il logo Audi che promuove il distanziamento sociale

Fonte: R. Zanon, Brand e comunicazione: la creatività al tempo della pandemia, 2020,


il documento è consultabile al sito: https://www.digitaldictionary.it/blog/brand-
comunicazione-creativit%C3%A0-coronavirus

Un altro celebre marchio automobilistico, la Volkswagen, ha deciso di rivedere il


suo logo allontanando la sua V e la sua W (Cfr. Fig. 9).

Fig. 9. Il logo Volkswagen che promuove il distanziamento sociale

57
Fonte: Coronavirus, le aziende cambiano il logo per promuovere il distanziamento
sociale, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/01/coronavirus-aziende-cambio-logo#03

Anche Mercedes, altra casa automobilistica tedesca, ha staccato i due elementi del
suo logo: la stella a tre punte e il cerchio (Cfr. Fig. 10).

Fig. 10. Il logo Mercedes che promuove il distanziamento sociale

Fonte: Coronavirus, le aziende cambiano il logo per promuovere il distanziamento


sociale, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/01/coronavirus-aziende-cambio-logo#03

Anche il brand Chiquita, che si occupa di produzione e commercializzazione di


banane e frutta esotica, rivisitato il proprio logo adattandolo alla campagna di
distanziamento sociale in corso. Come si può evincere dalla nuova versione del

58
logo, che è stato pubblicato su Instagram, l’iconica mascotte è scomparsa (Cfr.
Fig. 11) e il claim è chiarissimo: “I’m already home. Please do the same and
protect yourself. #stayhome”.

Fig. 11. Il logo Chiquita che promuove il distanziamento sociale

Fonte: Supportare il distanziamento sociale da coronavirus: i colossi del mercato che


hanno modificato il loro logo, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.mugagency.com/it/blog/brand-logo-modificato-distanziamento-
sociale-coronavirus/

Il famoso logo di Hyundai che può apparire come una H, ovvero la lettera iniziale
della casa automobilistica coreana, rappresenta in realtà due persone che si
stringono la mano. Per prendere parte alle iniziative di promozione del
distanziamento sociale, Hyundai lo ha cambiato mostrando ora il saluto con il
gomito che sempre più viene utilizzato durante questo periodo di emergenza
sanitaria (Fig. 12).

59
Fig. 12. Il logo Hyundai che promuove il distanziamento sociale

Fonte: D. Urietti, Coronavirus, da McDonald’s al Milan: i loghi dei marchi si


trasformano per sensibilizzare, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.corriere.it/tecnologia/didattica-a-
distanza/20_aprile_07/coronavirus-mcdonald-s-milan-loghi-marchi-si-
trasformano-sensibilizzare-b33ac6fe-78dd-11ea-ab65-4f14b5300fbb-
bc_principale.shtml

Anche il marchio sportivo Kappa ha contribuito a questa campagna, modificando


il logo: le due figure sedute che lo costituiscono sono state distanziate (Cfr. Fig.
13) e il claim promosso sui sociale è il seguente: “Uniti più che mai, anche se
distanti”.

60
Fig. 13. Il logo Kappa che promuove il distanziamento sociale

Fonte: Coronavirus, le aziende cambiano il logo per promuovere il distanziamento


sociale, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/01/coronavirus-aziende-cambio-logo#03

La società tecnologica latino-americana Mercado Libre, che ha una stretta di


mano nel logo, ha cambiato la sua immagine simbolo sostituendola con due
gomiti che si toccano (Cfr. Fig. 14).

61
Fig. 14. Il logo di Mercado Libre che promuove il distanziamento sociale

Fonte: Coronavirus, le aziende cambiano il logo per promuovere il distanziamento


sociale, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/01/coronavirus-aziende-cambio-logo#03

2.6.2. #iorestoacasa

Tra tutti gli slogan che questa pandemia ha prodotto uno fra tutti rimarrà impresso
nella mente di tutti anche perché utilizzato come punta di diamante delle campagne
pubblicitarie poste in essere dai brand più famosi: ovvero #iorestoacasa.
Un coro composto da milioni di voci unitesi sotto la medesima dicitura #iorestoacasa,
un vero e proprio grido di condivisione, portato avanti da brand e utenti, e trasmesso
anche da tutte le principali reti televisive, con l’obiettivo di ostacolare la propagazione
del virus, ed esortando la popolazione a rimanere all'interno delle proprie abitazioni:
ad esempio, Levissima all'interno del suo spot e tramite i propri canali social ha
ricordato che la montagna da scalare oggi è un'altra (Cfr. Fig. 15).
Altri marchi, invece, tramite i propri prodotti, hanno cercato di rendere il tempo
trascorso in quarantena, più gradevole. Aziende nel campo dell’editoria, per esempio
hanno puntato sul concetto di libro quale strumento di intrattenimento e di svago, ma
al contempo di apprendimento e di arricchimento personale e professionale,
valorizzando altresì l’importanza e il valore della lettura, nella nuova quotidianità
nelle nostre case e dei momenti trascorsi in famiglia.
Feltrinelli e ibs.it hanno realizzato una proficua collaborazione al fine di intrattenere
i cittadini fermi nelle loro case e anzi, invogliarli a non uscire, nel rispetto di quanto
disposto dal Governo. L’iniziativa è meglio conosciuta con l’hashtag #leggiamoacasa
(Cfr. Fig. 16) e mette a disposizione di ogni lettore tutta la ricchezza e la bellezza dei
libri.

62
Il Gruppo Mondadori si è unito all’iniziativa e ha promosso una serie di prodotti e
servizi utili a rendere più piacevole il tempo trascorso in casa. Il consiglio che viene
veicolato è quello di leggere, e tale invito conferma il ruolo del libro come strumento
di intrattenimento e di svago, di apprendimento e di arricchimento personale e
professionale per tutti, grandi e piccini. Ecco che Mondadori avanza con il claim “Io
esco con la fantasia" (Cfr. Fig. 17), spingendo i consumatori a viaggiare (solo) con la
mente per liberarsi dai pensieri negativi e ritrovare la creatività perduta. Tale
campagna di sensibilizzazione valorizza il valore della lettura che prende il proprio
regolare posto nella quotidianità delle case dei consumatori e dei momenti in
famiglia.

Fig. 15. Campagna di sensibilizzazione Levissima #iorestoacasa

63
Fonte: P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati
vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

Fig. 16. Campagna di sensibilizzazione Feltrinelli e IBS.it #leggiamoacasa

Fonte: G. Dente, #leggiamoacasa, l’iniziativa Feltrinelli e Ibs per vincere la noia con i libri,
2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.wondernetmag.com/2020/03/23/leggiamoacasa-iniziativa-feltrinelli-
libri/

64
Fig. 17. Il claim di Mondadori “Io esco con la fantasia”

Fonte: R. Zanon, Brand e comunicazione: la creatività al tempo della pandemia, 2020, il


documento è consultabile al sito: https://www.digitaldictionary.it/blog/brand-
comunicazione-creativit%C3%A0-coronavirus

Anche Dove, la famosa azienda produttrice di prodotti per l’igiene personale, ha


risposto all’appello dell’iorestoacasa e, servendosi del genio creativo di Luca de
Matteis, Ingegnere digitale, ha puntato sull’umorismo per invitare gli italiani a restare
a casa (Cfr. Fig. 18).
Le Iniziative che abbiamo appena descritto hanno esortato tutti a riscoprire e
apprezzare il valore di piccole azioni, spesso dimenticata dalla frenesia della routine
di ciascuno e che tornano a dare forza e speranza in un momento storico
particolarmente complesso e delicato, come quello che tutt’oggi stiamo vivendo,
mediante anche la diffusione di un messaggio di concreta speranza, come quello di
un'Italia che non si scoraggia e non molla, e che, nonostante tutto, è in grado di
riscopre i suoi aspetti più belli.

65
Fig. 18. Campagna di sensibilizzazione Dove #iorestoacasa

Fonte: M. Andrea, #iorestoacasa & branding, 2020, il documento è consultabile al sito:


https://micoldandrea.com/2020/03/14/iorestoacasa-branding/

2.6.3. Messaggi solidali per i lavoratori

Tanti i brand, poi impegnati nella diffusione di messaggi solidali nei confronti dei
tanti lavoratori impegnati a garantire i servizi essenziali, quali medici e infermieri,
forze dell’ordine, ma anche operai, trasportatori, commercianti e operatori dei
supermercati (Cfr. Fig. 19).

66
Fig. 19. Campagna pubblicitaria di Parmigiano Reggiano
a supporto della classe medica

Fonte: P. Ghisleni, Covid e la pubblicità. Il consumatore ricorderà i brand che gli sono stati
vicino, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/05/31/il-covid-e-la-pubblicita-il-consumatore-
ricordera-i-brand-che-gli-sono-stati-vicino/372483/

Unicredit, che già aveva destinato fondi ai nosocomi, ha aperto una raccolta fondi che
ha coinvolto, in via diretta, i suoi i dipendenti: ogni euro donato dagli stessi
permetterà di attivare n contributo aggiuntivo da parte di UniCredit Foundation di
10 euro, fino a un totale di 1 milione di euro.
Anche il marchio OXO Italia ha deciso di dare un personale sostegno alla classe
medica e con la campagna “Ai nostri occhi sono loro i veri eroi” (Cfr. Fig. 20) ha scelto
di donare al personale medico-infermieristico lenti a contato giornaliere.

67
Fig. 20. Campagna OXO Italia “Ai nostri occhi sono loro i veri eroi”

Fonte: Emergenza Covid-19: fornitura gratuita di lenti a contatto per medici e infermieri,
2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.bergamonews.it/2020/04/23/emergenza-covid-19-fornitura-gratuita-di-
lenti-a-contatto-per-medici-e-infermieri/367983/

Anche il mondo dei più piccoli non è rimasto indifferente a questo periodo di
emergenza sanitaria e gli stessi medici, infermieri e operatori sanitari vengono
considerati dei veri supereroi non solo dagli adulti ma anche dai bambini stessi. Sulla
scia di questa consapevolezza Mattel ha pensato di lanciare una nuova serie di giochi
che celebra chi sta in prima linea nell’emergenza. La linea #ThankYouHeroes di
Fisher-Price (Cfr. Fig. 21) è composta da 16 personaggi, non solo dottori e operatori
di pronto soccorso ma anche cassieri di supermercati e addetti al delivery.

68
Fig. 21. Linea #ThankYourheroes prodotta dalla Mattel

Fonte: Mattel lancia la serie di giochi #thankyouheroes che celebra dottori, infermieri,
cassieri e delivery, 2020, il documento è consultabile al sito: https://www.brand-
news.it/brand/persona/bambini/mattel-lancia-la-serie-di-giochi-thankyouheroes-
che-celebra-dottori-infermieri-cassieri-e-delivery/

2.7. Covid-19 e i brand sui social media: dati e tendenze della prima fase

Nello specifico, a partire all’incirca dalla fine del mese di febbraio fino all’inizio di
marzo di quest’anno, 2020, si può evidenziare una tendenza dei brand orientate ad
affacciarsi, con iniziale scetticismo sulla tematica associata allo scoppio della
pandemia da Covid-19, data la forte incertezza poca conoscenza del fenomeno che ha
sconvolto così rapidamente la quotidianità di ognuno; successivamente, con
l’affermarsi di un quadro epidemiologico sempre più definito, mediante l’attuazione
di una serie di provvedimenti normativi che hanno accertato la pericolosità della
situazione pandemica posta in essere, il Covid-19 è diventato certamente motivo di
preoccupazione diffusa su tutto il territorio, e tematica principale dibattuta su tutti i
canali di comunicazione, dalla televisione ai social network.

69
Dalla metà di marzo fino agli inizi di aprile, si registra infatti una fisiologica crescita
di interesse nei confronti della tematica, anche in termine di dibattito, comunicazione
e confronto, mediante pubblicazioni sui social media.
Dalla seconda metà di aprile si evidenzia una graduale diminuzione delle
pubblicazioni sulla tematica del Coronavirus e della sua rapida diffusione su tutto il
pianeta, dato questo riconducibile all’attesa di maggiori e più chiare informazioni e
direttive pratiche, oltre che legate alla ripresa delle attività economiche e produttive,
interrottesi a causa del confinamento cui siamo stati sottoposti 122.
Sembra quasi che gli utenti inizino a sentirsi frustrati e scoraggiati per la complessa
situazione, che durante quelle interminabili settimane era certamente nel pieno della
sua criticità.
Secondo un’analisi condotta sulle tendenze di comunicazione che le aziende pongono
in essere sui vari social network, si rileva che su Facebook i settori maggiormente
attivi per numero di pubblicazioni risultano essere Services, Banking &
Finance e Retail 123.
Il settore Services ricopre diverse tipologie di business, ma in particolare concentra la
sua attenzione su app e servizi online, quali il food delivery, in crescita durante le
settimane di lockdown, che ha visto milioni di italiani confinati nelle proprie
abitazioni, sottoposti a stringenti normative che ne hanno temporaneamente
impedito di uscire con frequenza, ma soltanto se strettamente necessario.
Interessante, inoltre, l’azione del settore bancario, che ha impostato una diversa
strategia comunicativa, al fine di incrementare l’adozione, su fasce sempre più ampie
della popolazione, dei servizi di online banking e banca a distanza 124.
Il mondo della moda ha nel complesso improntato la sua comunicazione su
responsabilità sociale d’impresa, mettendo, ad esempio, la propria filiera produttiva
a disposizione della collettività, per la produzione di camici e mascherine monouso;
ma anche fornendo un servizio gratuito di spedizione dei prodotti per supportare l’e-
commerce e limitare i danni causati dalla situazione pandemica in corso.
Esaminando la tipologia di contenuti per lo più presenti sulle piattaforme social,
contraddistinti principalmente da un condiviso senso di sconforto e sfiducia, si può
altresì identificare una tendenza comune a quasi tutti i settori 125.
In un momento come quello che stiamo affrontando, con un settore come l’e-
commerce tra i più produttivi del momento, con cifre che tendono a raddoppiarsi, le
aziende si dimostrano capaci di ottimizzare tutti i punti di contatto per garantire

122 Ibidem.
123 Cfr. F. Olivieri, Covid-19 e i brand sui social media: dati e tendenze della prima fase, 2020, il documento è
consultabile al sito: https://www.franzrusso.it/social-media-2/covid19-socialmedia-dati-tendenze/
124 Ibidem.
125 Ibidem.

70
una customer experience di qualità, instaurando un duraturo rapporto di fiducia ed
evitando un ritorno di immagine negativo per l’azienda; in particolare, bisogna
mettere in campo un linguaggio comunicativo coerente ed univoco, metodi e dati tra
i diversi team coinvolti, quali e-commerce, community management, content,
orientati verso la stessa direzione 126.
In seguito alla situazione pandemica tutt’oggi in corso, i brand sono riusciti a
convertire la propria attività nella creazione di contenuti usufruibili anche da casa;
aprile ha visto infatti un’evidente ripresa delle campagne di sponsorizzazione di
influencer e in particolar modo di tutti i contenuti in linea con la
#QuarantineChallenge e le sue varie declinazioni. Sulle varie piattaforme social si
sono infatti susseguite le challenge, sfide diventate dei trend, come forma di
intrattenimento ormai ampiamente diffuso, in quanto ormai parte del DNA e del
linguaggio delle nuove generazioni.
La comunicazione dei brand è stata principalmente indirizzata verso due specifici
ambiti: da un lato vi è la responsabilità sociale d’impresa, l’impegno di educare ed
informare adeguatamente i suoi clienti; dall’altro garantire una costante attenzione
all’utente, con contenuti di intrattenimento che siano anche momenti di informazione
e formazione; in quest’ottica, in linea generale, le marche hanno pienamente colto la
loro funzione di attori sociali, supportando l’azione comunicativa di governi e media,
contribuendo alla diffusione del concetto di distanziamento sociale, l’osservanza di
comportamenti responsabili, oltre che delle norme sul mantenimento delle distanza
di sicurezza e il rispetto delle regole riguardanti il temporaneo confinamento della
popolazione 127.
L’odierno scenario ha determinato l’evoluzione di alcune tendenze che con molta
probabilità perdureranno nei prossimi mesi 128.
Lo scoppio della pandemia ha inevitabilmente fatto emergere nuove urgenze ed
esigenze, che potrebbero influenzare (ma non è certo) il modo di progettare,
comunicare, costruire nuove esperienze per la più ampia fetta di pubblico.
Uno su tutti è la diffusa riscoperta della casa come epicentro della vita e della nuova
quotidianità, fornendo alternative alle più svariate esigenze di ognuno, in relazione
alle attività svolte all’interno delle mura domestiche, come ad esempio l’azienda
IKEA, che ha saputo andare incontro alle più svariate esigenze, raccontando i propri
prodotti anche tramite una serie di post e dirette live sui social media, in cui riporta
l’offerta di prodotti trattati, quali mobili e complementi d’arredo, che aiutano a

126 Ibidem.
127 Ibidem.
128 Ibidem.

71
svolgere le diverse attività, o partecipano alle quotidiane attività come la lezione di
yoga o la passione per cucina.
Per i brand, risulta quindi di fondamentale importanza assicurare un costante flusso
di informazioni veritiere ed attendibili, costantemente aggiornate, al fine
di instaurare un rapporto di fiducia e rendere più semplice il processo d’acquisto nel
suo complesso 129.
Come risultato delle disposizioni in materia di distanziamento sociale, la situazione
pandemica sta accelerando tutti i processi di digitalizzazione dell’esperienza
d’acquisto, garantendo assistenza da remoto, consulenza online, applicazioni e
giochi, e tutto quanto possa configurarsi come intrattenimento. Brand come Ritual
Cosmetics e Revolution Makeup si sono, ad esempio, attivati al fine di permettere di
eseguire il proprio ordine, tracciarlo e ricevere consigli tramite canali comunicativi
quali Direct Message di Instagram, WhatsApp e Messenger.
Un crescente trend che quindi certa di colmare il divario tra il mondo virtuale e
mondo reale, e accelera altresì il processo decisionale, come ha fatto l’azienda L’Oréal,
che ha lanciato un nuovo test virtuale per provare tonalità e make-up; o ancora
Bentley, che tramite lo sviluppo di una nuova app, consente di effettuare un test drive
e personalizzare il proprio modello di autovettura 130.

2.8. I brand più resilienti

La classifica “BrandZ Top 75 Most Valuable Global Retail Brands”, condotta da


Wpp e Kantar, ha come obiettivo quello di determinare i brand che, durante la
situazione pandemica tutt’oggi in corso, si sono rivelati più resilienti e capaci di
affrontare le inevitabili conseguenze che la propagazione del Coronavirus in
tutto il mondo ha determinato, all’interno del settore distributivo. 131

È stato pertanto analizzato come essi si sono adeguati e hanno reagito


all’emergenza sanitaria, per continuare ad offrire i propri prodotti e servizi ai
consumatori e cosa li ha resi più capaci di altre realtà a sopravvivere ad una
condizione di tale portata.
L’indagine in esame ha riguardato nello specifico brand appartenenti a quattro
sottocategorie: quella del fast food, quella pure retail, che comprende

129 Ibidem.
130 Ibidem.
131 Cfr. R. Baptista, Quali sono i brand più resilienti all'impatto del coronavirus? Ecco la classifica dei retailer,
dall'abbigliamento al fast food, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.insidemarketing.it/brand-piu-resilienti-allimpatto-del-coronavirus/

72
supermercati, minimarket e negozi di hardware; quella poi dell’abbigliamento e
infine quella del lusso.
I brand in esame sono stati analizzati considerando il periodo precedente
all’inizio della pandemia, e selezionati tenendo conto dei dati di performance
azionaria risalenti ad aprile 2020, per meglio comprendere quanto l’impatto della
diffusione del COVID-19 abbia inciso, e potendo così offrire indicazioni
sulle possibilità di successo anche dopo la fine dello stato di pandemia
mondiale.
Amazon è l’azienda che si trova al primo posto della classifica stilata, con una
crescita pari al 27% del valore totale delle 75 marche presenti nell’elenco, la quale
si è distinta per l’adozione di metodi di adeguamento ai cambiamenti imposti
dalla diffusione del virus; il gigante dell’e-commerce ha, infatti, deciso, tra le altre
iniziative, di dare priorità al commercio di prodotti ritenuti di prima necessità, al
fine di riuscire a rispondere efficacemente alla crescente domanda, e al contempo
ridurre i tempi di consegna 132.
Non sono solo i retail “nativi digitali”, come Amazon, ma diversi brand che hanno da
sempre puntato sui punti vendita fisici, quali Adidas e Walmart si sono distinti per la
capacità di adeguamento e di risposta alla crisi epidemiologica, riuscendo a gestire
con successo diverse piattaforme.
Nel mondo del fast food troviamo nelle prime posizioni aziende storiche del calibro
di McDonald’ e Starbucks, mentre all’interno della categoria pure retail rientrano
catene di supermercati come Carrefour, ma anche Ikea Passando al settore del lusso,
troviamo il brand Louis Vuitton, azienda che, tra l’altro, si è distinta per aver
convertito la propria catena produttiva per la realizzazione di disinfettanti.
Ciò che ha contraddistinto dunque questi brand è stata la loro capacità di mettere in
atto strategie e iniziative che hanno consentito loro di distinguersi, offrendo supporto
alla comunità e mostrando sensibilità nei confronti di un momento storico complesso
per molti 133.

132 Ibidem.
133 Ibidem.

73
Capitolo 3
Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19

3.1. Un’indagine ISTAT

L’indagine condotta da parte dell’Istat tra l’8 e il 29 maggio 2020 e dal titolo
“Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19” presenta
quale obiettivo quello di verificare gli effetti prodotti dalla pandemia da Coronavirus
sulle imprese italiane, tanto dal punto di vista economico che finanziario e
occupazionale. L’indagine ha riguardato circa 90 mila imprese, con un numero di
addetti pari a 3 o più, operanti nel campo dell’industria, del commercio e dei servizi,
corrispondenti a circa il 23,2% delle aziende presenti nel nostro Paese le quali, però,
producono all’incirca il’89,8% del valore aggiunto nazionale; tali imprese impiegano
12,8 milioni di persone, corrispondenti a circa il 74,4% del totale e circa il 90% dei
dipendenti, rappresentando, pertanto, un segmento di particolare importanza del
sistema produttivo italiano. Tra queste, quattro quinti, vale a dire il 78,8% del totale
delle imprese sottoposte al sondaggio, appartengono alla micro-imprenditoria, con
un numero di addetti compreso tra 3 e 9, il 18,6 fanno parte delle piccole imprese, con
un numero di addetti che va dai 10 ai 49; circa 22mila sono le imprese di medie
dimensioni, con un numero di dipendenti tra i 5 e i 249 e, infine, 3mila sono le grandi
imprese, con un numero di dipendenti pari o superiore a 250 addetti
Oltre la metà di tali imprese operano nel Nord del Paese e, precisamente, il 29,3%
presenti nell’area di Nord-ovest e il 23,4% operanti nel Nord-est, il 21,5% al Centro e
il restante 25,9% nel Sud Italia.
I dati acquisiti si riferiscono al periodo compreso tra il 9 marzo e il 3 maggio di
quest’anno, 2020, corrispondente alla Fase 1, e al periodo successivo al 4 maggio,
corrispondente alla Fase 2 dell’emergenza sanitaria determinata dalla diffusione della
pandemia da Covid-19 134.

134 Cfr. Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria
Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito: https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-
Covid-19.pdf

74
3.2. Micro e piccole imprese: le più “sospese” nel lockdown

Nel corso della Fase 1 dell’emergenza sanitaria, circa il 45,0% delle imprese con 3 e
più addetti, complessivamente 458 mila, che vedono impiegati il 27,5% del totale degli
addetti, è stata costretta a sospendere la propria attività. In particolare, per 390 mila
imprese, corrispondente al 38,3%, la sospensione dell’attività è stata presa in
conseguenza dell’adozione della serie di decreti con i quali il governo ha imposto un
insieme di limitazioni allo svolgimento delle attività produttive al fine di tentare il
contenimento dei contagi, mentre la decisione è stata presa a seguito del decreto del
Governo mentre il 6,7%, ossia 68 mila imprese hanno scelto di sospendere l’attività di
propria iniziativa.
Sono invece il 22,5%, vale a dire 229 mila, rappresentanti circa il 24,2% degli addetti
ed una percentuale di fatturato pari al 21,1%, le imprese le quali hanno ripreso la loro
attività prima del 4 maggio 135.
Tre imprese su 10, corrispondenti al 32,5% del totale, 331 mila non hanno mai sospeso
la loro attività, rimanendo sempre attiva.
Si tratta della quota di imprese più rilevante tanto a livello economico che
occupazionale in quanto costituisce il 48,3% degli addetti e oltre il 60% del fatturato
italiano.
Quelle ad essere state maggiormente coinvolte dalla chiusura temporanea
dell’attività produttiva sono le microimprese, anche se occorre rilevare come anche le
piccole imprese sono state interessate in modo rilevante da tale sospensione, in
quanto hanno dovuto interrompere l’attività circa il 62,1% a fronte del 46,7% delle
medie imprese e del 36,0% delle imprese di grandi dimensioni.
Discorso diverso invece per quanto riguarda le imprese di media e grande
dimensione, tra le quali si è registrata una prevalenza di imprese rimaste aperte, con
una percentuale, rispettivamente, del 53,3% e 64,0% 136.
La chiusura delle attività economiche imposta dai vari decreti che si sono susseguiti
durante il periodo dell’emergenza sanitaria ha pertanto provocato un blocco della
produzione specie con riferimento per le imprese di minori dimensioni, le quali nel
nostro Paese costituiscono la percentuale più elevata di imprese presenti in Italia, e
ciò tanto a livello occupazionale che a livello di risultati economici.

135 Ibidem.
136 Ibidem.

75
Grafico 1. Imprese in base alle conseguenze che l’emergenza da Covid-19 ha avuto
sull’attività dell’impresa durante il lockdown (fino al 4 maggio), per classe di
addetti. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

3.3. Attività sospese per oltre la metà delle imprese nelle costruzioni e nei
servizi

Le imprese che hanno sospeso la propria attività in ragione dell’emergenza sanitaria


da Covid 19 sono principalmente quelle che operano nei settori delle costruzioni e dei
servizi, con una percentuale, rispettivamente, del 58,9% e del 53,3% rispetto al 36,0%
dell’industria in senso stretto e al 30,3% del settore del commercio.
Tra le imprese operanti nel comparto dei servizi, quelle per le quali si è registrata la
più elevata percentuale di chiusure sono date dalle agenzie di viaggio e tour operator,
con una percentuale del 95,6%, dall’assistenza sociale non residenziale, con una
percentuale del 91,6%, delle attività creative ed artistiche, circa l’88,5%, delle attività
sportive, con l’87,2% del totale, e culturali, in particolar modo biblioteche e musei, con
una percentuale dell’83,5%; a quelle appena menzionate si aggiungono anche altre
attività legate ai servizi alla persona, come estetisti e parrucchieri (80,9%), alloggi
(79,2%) e ristorazione (76,8%) 137.
Per quanto riguarda l’industria in senso stretto, come la produzione di beni quali
autoveicoli, apparecchiature elettriche, e macchinari, ad avere ripreso la propria
attività produttiva prima della fine del periodo di lockdown sono state circa il 58,9%
del totale delle imprese operanti in tale settore.

137 Ibidem.

76
Il settore del commercio è quello che è rimasto più attivo in quanto durante il periodo
di lockdown il 46,7% del totale delle imprese operanti in tale comparto ha continuato
a svolgere la propria attività mentre il 23,1% ha ripreso ad operare prima della fine
del lockdown.
Nello specifico, in tale settore il commercio al dettaglio è quello che ha visto la
percentuale più elevata di imprese rimaste operative, con una quota del 52,4%, a
fronte del 40,6% del commercio all’ingrosso 138.
Se si guarda la situazione per aree, dall’indagine emerge come il numero di imprese
che hanno sospeso l’attività durante il lockdown sono quelle situate al Centro e nel
Mezzogiorno, con una percentuale rispettivamente del 47,8% e del 48,7%, a fronte del
44,4% delle imprese del Nord-ovest e del 39,0% di quelle operanti al Nord-est.
Si tratta di un’evidenza la quale risulta essere confermata ove si osserva la percentuale
di imprese che hanno ripreso lo svolgimento delle loro attività prima della fine del
lockdown, percentuale corrispondente al 15,0%, di 10 punti inferiore rispetto a quella
delle imprese operanti nel Nord del Paese, con quote del 29,6% per quanto riguarda
il Nord-est e del 26,7% per quanto riguarda, invece, l’area di Nord-ovest.
Sempre con riferimento alla parte Settentrionale del Paese, cinque sono le regioni che
presentano una percentuale di apertura delle attività largamente superiore rispetto
alla media nazionale e, precisamente, Friuli-Venezia Giulia (63,9%), Emilia-Romagna
(62,6%) e Veneto (61,1%), alle quali fanno seguito Liguria (58,9%) e Basilicata
(58,6%)139.
Tra le regioni del Sud Italia la regione ad avere registrato la percentuale più
bassa di attività produttive aperte è il Molise, con una quota del 47,6%, seguita da
Sardegna (48,1%), Campania (48,9%), Abruzzo (50,1%), Puglia (51,4%) e Calabria
(52,3%).
Se si guarda invece la situazione a livello nazionale, la regione che ha registrato la
percentuale più bassa di imprese che non hanno sospeso la loro attività durante il
periodo del lockdown o che hanno ripreso l’attività dopo la fine del periodo di
sospensione delle attività produttive è la Valle d’Aosta, con una quota del
46,5%.
Livelli bassi di attività produttive rimaste sempre aperte si sono registrati anche nella
provincia autonoma di Trento (48,3%), in Toscana (51,8%), nel Lazio (51,8%) e nelle
Marche (52,5%) 140.

138 Ibidem.
139 Ibidem.
140 Ibidem.

77
Grafico 2. Conseguenze dell’emergenza da Covid-19 sull’attività dell’impresa fino
al 4 maggio, per macrosettore di attività economica*. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
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3.4. Forte perdita di fatturato per un’impresa su due

Prevedibilmente, circa il 70% delle imprese, rappresentanti il 73,7% dell’occupazione,


ha dichiarato di avere subito una riduzione delle entrate, tra marzo ed aprile di
quest’anno, 2020, di gran lunga superiore rispetto allo stesso bimestre dell’anno
precedente.
In particolare, il 41,4% delle aziende sottoposte a intervista hanno subito un calo del
fatturato di oltre la metà, per il 27,1% delle stesse la riduzione si oscilla tra il 10% e il
50%, nel 3% dei casi si è avuto un calo inferiore al 10%, mentre per l’8,9% delle imprese
il valore del fatturato è rimasto pressoché invariato 141.
La percentuale relativa alle imprese che non hanno invece registrato fatturato è
alquanto elevata, soprattutto tra quelle che operano nel settore delle attività sportive,
di intrattenimento e divertimento (58,2%), le agenzie di viaggio e i tour operator
(57,1%) e i servizi di alloggio (50,9%); a queste fanno seguito quelle imprese che
svolgono attività di natura creativa e artistica (42,5%), le case da gioco (36,6%) e le
attività di ristorazione (35,4%); inoltre, non hanno registrato fatturato circa un quarto
delle imprese che erogano gli altri servizi alla persona (28,9%), quelle operanti

141 Ibidem.

78
nell’ambito delle attività culturali (28,7%), dell’istruzione (26,3%) e dell’assistenza
sociale (24,8%) 142.
Se si guarda al fatturato relativo al periodo marzo-aprile 2020, si evince come lo stesso
ha avuto un incremento di appena il 5,0% delle imprese, corrispondente a circa 50
mila imprese, operanti per lo più nell’ambito del commercio (24 mila), mentre se si fa
riferimento agli altri settori l’incidenza risulta più contenuta, fatta eccezione per le
imprese operanti nell’ambito dell’industria farmaceutica, con una percentuale del
28,0% di imprese che hanno visto un incremento delle vendite, di quelle del settore
delle telecomunicazioni (23,8%) e della chimica (18,6%).
La riduzione del fatturato ha finito con l’interessare pressoché tutti i settori, con
percentuali più elevate per quanto riguarda il settore dell’industria dei beni di
consumo, specie quella relativa al mobile, al tessile e agli articoli di pellame, nonché
dei beni investimento, tra i quali, soprattutto, quelli dell’automotive e del commercio.
Differenze considerevoli si hanno se si prende in considerazione l’aspetto
dimensionale delle aziende 143.
E, infatti, se il 58,5% delle microimprese hanno dichiarato di avere subito una
riduzione di fatturato pari al 50%, la percentuale delle piccole imprese che hanno
visto ridurre le proprie entrate è di circa il 48,5%, al 33,4% delle medie e al 27,4% delle
imprese di grandi dimensioni.
In particolare, tra le micro e le piccole imprese la riduzione maggiore si registra
soprattutto tra quelle operanti nell’ambito dei servizi alla persona e alle imprese,
mentre tra le medie e le grandi imprese il settore che è stato interessato in misura
maggiore è quello legato al commercio.
Tra le principali motivazioni alla base della riduzione di fatturato per il 45,9% vi è la
riduzione delle settimane lavorative durante il periodo di chiusura delle attività, il
calo della domanda pari al 50,5%, le difficoltà connesse all’approvvigionamento delle
materie prime per l’8,3%, e la riduzione della produttività causata dalle nuove
condizioni lavorative che sono state imposte a causa dell’emergenza sanitaria per il
5,5% 144.
La regione italiana nella quale si è registrata la maggiore percentuale di imprese che
durante il periodo emergenziale hanno subito il minore impatto in termini di
riduzione di fatturato è la Valle d’Aosta (corrispondente al 64,1% del totale delle
imprese presenti in regione) seguita dalla provincia autonoma di Trento
(corrispondente al 60,2% delle imprese operanti all’interno di tale provincia); seguono

142 Ibidem.
143 Ibidem.
144 Ibidem.

79
le Marche (59,4%), l’Abruzzo (58,9), la Sardegna (58,8%), la Toscana (58,5%) e la
Calabria (58,4%).

Grafico 3. Imprese in base all’andamento del fatturato registrato tra marzo-aprile


2020 e Marzo-aprile 2019, per ripartizione territoriale, classe di addetti e macro-
settori di attività economica. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
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La crisi economica generata dall’emergenza sanitaria provocata dalla diffusione della


pandemia da Covid 19 e che ha colpito in modo rilevante il sistema produttivo
nazionale produce effetti di medio periodo per circa nove aziende su dieci.
La metà delle imprese, vale a dire il 51,5%, ha previsto l’impossibilità di fronteggiare
le spese che si presenteranno fino alla fine di quest’anno 2020 per la mancanza di
liquidità, mentre il 38,0% prevede rischi di natura operativa oltre che di sostenibilità
della propria attività 145.
Nello specifico, la mancanza di liquidità risulta essere maggiore con riferimento a
quelle imprese di minore dimensione, mentre se si guarda ai diversi settori, la stessa
è più accentuata tra quelle che operano nel settore delle costruzioni; ancora, tra queste
quelle maggiormente colpite dal problema della mancanza di liquidità sono quelle di
piccole dimensioni, le quali rappresentano circa il 56,4% del totale.
Relativamente al settore manifatturiero, ad essere maggiormente colpite sono le
imprese appartenenti ad alcuni settori propri del Made in Italy, soprattutto quelle

145 Ibidem.

80
operanti nel comparto della produzione di mobili (64,5%), nell’industria del legno
(64,2%) e nel confezionamento di capi di abbigliamento (62,6%) 146.
Se si guarda, invece, la situazione dal punto di vista geografico, la maggiore
mancanza di liquidità è quella che riguarda le imprese site nelle regioni del Centro
Italia (il 55,5% delle imprese, anche se esistono situazioni di particolare difficoltà
anche in alcune regioni del Sud, tra le quali la Calabria (57,4%) e la Sardegna
(56,1%).
Un’impresa su tre ha dichiarato che da qua ai prossimi quattro mesi si aspetta di
subire una riduzione del proprio fatturato in conseguenza della contrazione della
domanda, tanto locale, con una riduzione pari al 32,1%, che nazionale, con una
percentuale del 30,3%.
Se si fa riferimento alla domanda dall’estero, la contrazione si attesta intorno al 14,9%
e interessa soprattutto le imprese di media e grande dimensione, con una percentuale
rispettivamente del 34,9% e del 33,8%, operanti principalmente nell’ambito
dell’industria in senso stretto 147.

Grafico 4. Principali effetti dell’emergenza da Covid-19 sull’attività dell’impresa


fino a fine 2020, per classe di addetti. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


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A livello geografico, la variabilità risulta essere alquanto forte, oscillando dai massimi
delle imprese operanti all’interno delle Province autonome di Bolzano (26,9%) e

146 Ibidem.
147 Ibidem.

81
Trento (25,9%) ai minimi delle imprese site nelle regioni del Molise e della Calabria,
con percentuali rispettivamente del 7,2% e del 6,7% 148.
Dall’indagine in esame è emerso altresì come mediamente un’impresa su cinque
prevede un incremento dei prezzi per l’acquisto delle materie prime, ma anche dei
semilavorati o degli input intermedi, spiccano costruzioni.
Tra le misure di natura precauzionale, ancorché a carattere non obbligatorio
raccomandate a livello governativo al fine di effettuare un continuo monitoraggio
della situazione dei contagi ed evitare il loro aumento vi è il controllo della
temperatura corporea e tra le imprese che non hanno cessato la loro attività o che
comunque si trovano nelle condizioni di riaprire entro l’anno, circa il 59,9%
(corrispondente al 70,2% dell’occupazione) segue tale precauzione, mentre quattro su
dieci non effettuano tale pratica anche se tra queste il 14,0% è in attesa di acquisire le
necessarie strumentazioni o di definire le procedure, circa il 7,4% ha dichiarato di
avere riscontrato diverse difficoltà nel riuscire a reperire le strumentazioni o ad
organizzare le procedure di misurazione 149.
Il restante 18,7% ha fornito altre motivazioni alla base della mancata adozione
della pratica di misurazione della temperatura corporea fra le quali, in
particolare, l’assenza del carattere obbligatorio di tale misura precauzionale nonché
l’assenza sul luogo di lavoro dei dipendenti in quanto svolgono attività lavorativa da
remoto.

Fig. 22. Controllo della temperatura corporea ai lavoratori. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


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148 Ibidem.
149 Ibidem.

82
A livello dimensionale, le imprese che hanno scelto di ricorrere in misura maggiore
alla misurazione della temperatura corporea sono quelle di medie dimensioni, con
una percentuale del 74,1%; seguono quelle di grandi dimensioni (78,4%) e, infine,
quelle piccole e di micro dimensione, con una percentuale rispettivamente del 68,5%
e del 57,4%, mentre per quanto riguarda l’aspetto settoriale, tale misura è data dal
79,9% delle imprese delle costruzioni e dal 67,3% di quelle dell’industria in senso
stretto.
Nel terziario, invece, la percentuale sono nettamente inferiori: per quanto riguarda il
commercio, esse rappresentano il 55,7%, mentre per gli altri servizi il 54,4% 150.

3.5. Alta l’attenzione delle imprese per la precauzione sanitaria

Le imprese italiane hanno dichiarato di essere particolarmente attente alle misure di


precauzione e di contrasto all’epidemia di Covid-19 nell’ambito delle proprie attività
produttive. In particolare, circa il 49,1% di tali imprese ha adottato una serie di
strategie di natura precauzionale, dichiarando di avere utilizzato in modo congiunto
almeno una delle misure per le varie categorie di intervento, mentre appena il 2,9%
non ha predisposto alcun tipo di misura.
Quasi la totalità delle imprese, corrispondente al 96,7% ha provveduto ad effettuare
la sanificazione dei luoghi di lavoro, dotando i dipendenti di dispositivi di protezione
individuale (DPI) 151.
Nel 69,8% dei casi sono state adottate strategie di carattere informativo o procedurale
di triage mentre nel 69,7% sono state previste forme di adattamento
dell’organizzazione del lavoro e dei processi produttivi; meno di due imprese su tre,
corrispondenti al 65,9%, hanno delineato misure legate ai protocolli sindacali e alla
formazione. Dall’indagine in esame non sono state ravvisate particolari differenze a
livello di settore, anche se occorre rilevare il fatto che nel comparto dell’industria e
delle costruzioni l’adozione di strategie integrate risulta essere maggiore che nel
terziario 152.
Particolari differenze si registrano tuttavia a livello dimensionale; a tal proposito,
occorre rilevare come dall’indagine è emerso che appena il 43,8% delle micro imprese
ha adottato strategie di tipo integrato di precauzione mentre nessuna misura è stata
adottata da parte del 3,3% delle imprese di piccolissime dimensioni; a livello
territoriale, un’attenzione maggiore verso l’adozione delle misure di natura

150 Ibidem.
151 Ibidem.
152 Ibidem.

83
precauzionale si è avuta con riferimento alle imprese operanti al Centro (50,7%) e nel
Nord-ovest (51,7%), mentre il mezzogiorno, con una percentuale del 45,9%, è l’area
del Paese dove si registra ancora il maggiore ritardo 153.

Grafico. 5. Procedure di precauzione e contrasto della diffusione del Covid-19 per


Macrosettore di attività economica e classe dimensionale. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


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3.6. Difficoltà ad adeguare gli spazi lavorativi

L’adeguamento dei luoghi di lavoro da parte delle aziende si è reso necessario al fine
di garantire il distanziamento fisico dei dipendenti, riducendo in tal modo i rischi di
possibili contagi; tra le imprese italiane, il 56,3% ha dichiarato di avere già adottato
tale misura di carattere precauzionale, mentre il 29,3% non ha ancora provveduto
anche se ha affermato di poterlo fare; il 14,4% ha dichiarato che i luoghi di lavoro non
possono essere adeguati per difficoltà di ordine oggettivo 154.
Dal punto di vista settoriale, l’adozione di questa misura risulta essere
particolarmente difficoltosa, dove il 41,9% delle imprese ha provveduto
all’adeguamento mentre il 29,4% afferma di non essere nella condizione di farlo.
Le difficoltà sono avvertite soprattutto nel settore del commercio; nello specifico, la
percentuale di imprese che ha provveduto ad adeguare gli spazi lavorativi

153 Ibidem.
154 Ibidem.

84
rappresenta attualmente il 68,1% mentre solo il 10,2% ha dichiarato l’impossibilità di
provvedere al loro adeguamento.
A livello dimensionale, appena il 15,3% delle imprese di piccolissime dimensioni ha
dichiarato di trovarsi nell’impossibilità di effettuare l’adeguamento dei propri spazi
di lavoro a fronte del l’11,6% di quelle di piccole dimensioni, mentre tra le imprese di
medie e grandi dimensioni, due su tre hanno dichiarato di avere provveduto
all’adeguamento degli spazi (30,7% dell’occupazione) a fronte del 7,4% delle medie e
del 4,3% delle grandi imprese che si trovano nell’impossibilità di adeguarli 155.
Non esistono invece differenze di tipo sostanziale con riferimento all’ambito
territoriale anche se esiste un leggero ritardo per quanto riguarda le imprese operanti
nell’Italia centrale e nel Sud della Penisola dove ritroviamo la percentuale più elevata
di imprese che non hanno ad oggi ancora provveduto ad effettuare gli adeguamenti
raccomandati al fine di evitare il più possibile i contagi da Covid 19.
Nello specifico, le imprese operanti in tali aree del Paese e che hanno dichiarato di
non essersi ancora adeguate benché nelle condizioni di poterlo fare rappresentano
circa il 31,6% per quanto riguarda il Centro e il 34,0% per quanto riguarda le aree del
Sud Italia, percentuale nettamente superiore rispetto al Nord-ovest e al Nord-est, con
quote rispettivamente del 26,2% e del 26,1%.
Ad adeguare i propri spazi di lavoro sono state circa il 57,4% delle imprese che
operano all’interno di quelle aree ad alto rischio, il 55% di quelle presenti in zone
dichiarate a rischio medio e il 52,6% di quelle site all’interno di aree a rischio
basso156.
Tuttavia, all’interno delle aree dichiarate ad alto rischio la percentuale di imprese che
non sono in grado di provvedere all’adozione di questa misura è più elevata,
percentuale del 15,8%, a fronte del 13,4% delle zone a medio e del 12,6% di quelle a
basso rischio.
Per quanto concerne le modifiche relative alle modalità di impiego del lavoro resisi
necessarie sempre al fine di fronteggiare l’emergenza da Covid 19, a fine maggio circa
il 90% delle imprese che vedono impiegati almeno tre addetti ha dichiarato di avere
messo a punto nuove misure di gestione del personale; il 10% di quelle imprese che
non ha apportato alcuna modifica alle modalità di utilizzo dei dipendenti è composto
in prevalenza da aziende che vedono impiegati meno di 10 lavoratori, operanti in
settori industriali quali quello alimentare, farmaceutico, del commercio al dettaglio,
ma anche in alcuni comparti del terziario, come trasporto terrestre, programmazione
e trasmissione, assistenza sociale residenziale 157.

155 Ibidem.
156 Ibidem.
157 Ibidem.

85
Grafico 6. Adeguamento degli spazi lavorativi per macrosettore di attività
economica, classe dimensionale e ripartizione territoriale. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


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Tra le varie misure adottate da parte delle imprese al fine di fronteggiare gli effetti
derivanti dalla diffusione della pandemia da Covid-19 quelle alla quale le stesse
hanno fatto maggiore ricorso è la Cassa integrazione guadagni (Cig) e il Fondo
integrazione salariale (Fis), misure queste impiegate da circa il 70,2% delle aziende
con almeno 3 dipendenti, con poche differenze tra classi dimensionali.
Applicazione più limitata hanno invece avuto altre misure come l’obbligo delle ferie
per i dipendenti e la riduzione delle ore lavorative, con una percentuale di imprese
che hanno fatto ricorso a tali misure rispettivamente del 35,9 e del 34,4%.
Ad avere adottato lo smart working quale forma alternativa di organizzazione del
lavoro sono state circa un quarto delle imprese italiane, mentre una percentuale di
imprese comprese tra il 10% e il 13,5% hanno dovuto rinviare le assunzioni previste,
rimodulare i giorni di lavoro e la formazione aggiuntiva dei lavoratori 158.
Accanto al lavoro agile sono state adottate anche altre misure che presentano una
relazione positiva con la dimensione aziendale; si tratta, nello specifico, dell’obbligo
di fruizione delle ferie, del congelamento delle assunzioni previste e della formazione
del personale 159.

158 Ibidem.
159 Ibidem.

86
Grafico 7. Principali misure di gestione del personale adottate dalle imprese, per
classe di addetti. Anno 2020. Valori in percentuale delle imprese che hanno adottato
almeno una misura

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


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Quattro sono le finalità che si intendeva conseguire per il tramite dell’adozione


dell’insieme di misure di gestione del personale adottate da parte delle imprese
italiane, rappresentate, in particolare da:

• espansione della forza lavoro, obiettivo raggiunto attraverso nuove


assunzioni, e incremento del numero di ore di lavoro;
• rinvio dell’espansione prevista, attraverso il differimento delle
assunzioni;
• riorganizzazione dell’attività lavorativa realizzata attraverso l’impiego
dello strumento dello smart working;
• contrazione del personale, attraverso la riduzione delle ore di lavoro,
ma anche licenziamenti e mancato rinnovo di contratti a tempo
determinato 160.

A livello dimensionale, le misure di riorganizzazione dell’utilizzo della forza lavoro


sono state adottate da circa la metà delle piccolissime imprese, da due terzi di quelle
piccole, dal 90% di quelle di medie dimensioni e da tutte le grandi imprese, mentre
sotto il profilo settoriale, hanno scelto di ricorrere a tale tipologia di intervento
soprattutto le imprese operanti nell’ambito delle attività di produzione di beni

160 Ibidem.

87
intermedi, specie nel settore della chimica e in quello farmaceutico (69,0%) e di
investimento (come elettronica, macchinari, autoveicoli (64,3%) 161.
La riorganizzazione del personale è stata adottata da parte della metà delle imprese
che operano in ambito commerciale e nel settore del terziario, e in quest’ultimo, quelle
che svolgono attività bancarie e finanziaria, che erogano servizi informatici, e le
imprese impegnate nelle attività di ricerca e di sviluppo.
Di contro, le misure di espansione del personale riguardano soprattutto le imprese
che operano in quei settori che hanno dalla crisi pandemica hanno conseguito i
maggiori benefici, come quello farmaceutico e chimico, anche se in quest’ultimo caso
in misura più limitata, quelle che erogano servizi di assistenza sociale residenziale, e
servizi alla persona, come lavanderia industriale e pompe funebri 162.

Grafico 7. Tipologia di strategia occupazionale, per stato di apertura delle imprese


al 4 maggio 2020. Imprese che hanno adottato almeno una strategia. Valori
percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

161 Ibidem.
162 Ibidem.

88
3.7. Il ricorso allo smart work influenzato dalle caratteristiche dei settori
produttivi

La Cig/Fis è quella misura più diffusa nel comparto industriale, alla quale ha fatto
ricorso una percentuale tra l’83 e il 90% di imprese operanti nel settore tessile, in
quello dell’abbigliamento, del metallo, dell’automotive, della produzione dei mobili
e delle costruzioni 163.
Per quanto riguarda il settore terziario, livelli analoghi a quelli appena evidenziati
con riferimento al settore industriale si rilevano soltanto nell’ambito di quelle attività
che sono state colpite in misura maggiore dalle conseguenze dell’epidemia, quali il
trasporto aereo, le agenzie di viaggio e l’assistenza sociale non residenziale 164.
Anche il ricorso alle ferie obbligatorie è quella misura che è stata adottata in modo
più diffuso nei comparti industriali, in quanto riguarda circa la metà delle imprese
operanti in settori quali quelli di prodotti chimici, di forniture energetiche e di
investimento, soprattutto per quanto afferisce al settore dell’elettronica, dei
macchinari e degli autoveicoli.
A proposito di smart working si rilevano le principali differenze di settore in
considerazione della stretta connessione con la componente tecnologica e le modalità
organizzative dell’attività d’impresa, ma anche in ragione della novità di tale
modalità di organizzazione del lavoro e per le difficoltà connesse all’adattamento
dell’attività aziendale alle nuove condizioni di lavoro, radicalmente mutate in
conseguenza dell’adozione delle misure di contenimento dell’epidemia da Covid 19.
A tal proposito, il 78,1% delle imprese con un numero minimo di dipendenti ha
dichiarato la presenza del personale all’interno della sede di lavoro come una
necessità.
Nei mesi che hanno preceduto la crisi, vale a dire nel periodo compreso tra gennaio e
febbraio di quest’anno, 2020, se si escludono le imprese per le quali non è possibile
esercitare la prestazione di lavoro al di fuori dei locali dell’azienda, appena l’1,2% del
personale svolgeva l’attività lavorativa da remoto, mentre detta percentuale è
cresciuta considerevolmente e, precisamente, dell’8,8% nel periodo tra marzo e aprile,
coincidente, appunto, con l’inizio della crisi pandemica 165.
Dal punto di vista dimensionale, la percentuale di personale che svolge attività
lavorativa nella forma dello smart working arriva al 21,6% per quanto riguarda le
imprese di medie dimensioni, a fronte del 2,2% del bimestre gennaio-febbraio, mentre

163 Ibidem.
164 Ibidem.
165 Ibidem.

89
nelle grandi imprese, se tale percentuale nei primi due mesi dell’anno si attestava al
4,4%, nei due mesi successivi ha raggiunto il 31,4%.
I settori maggiormente interessati sono quelli dei servizi di informazione e
comunicazione, dove si è passati dall’appena 5,0% al 48,8%, delle attività
professionali, scientifiche e tecniche, passando dal 4,1% al 36,7%, dell’istruzione (da
3,1% a 33,0%) e, infine, della fornitura di energia elettrica e gas, con una percentuale
che se nel bimestre gennaio-febbraio era pari al 3,3%, nei mesi marzo aprile ha
raggiunto il 29,6%) 166.
Occorre peraltro rilevare che anche dopo la fine del periodo di lockdown la
percentuale di lavoratori che hanno continuato a svolgere l’attività lavorativa da
remoto, benché in declino, è rimasta comunque significativa, attestata in particolare,
al 5,3% 167.

Grafico 8. Quota di personale impiegato in compiti che possono essere svolti in


smart working, per sezione di attività economica. Anno 2020. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

3.8. Soluzioni per fronteggiare la crisi

Le soluzioni scelte da parte delle imprese italiane per tentare di fare fronte alla crisi
legata diffusione della pandemia sono diverse e variano dall’adozione di misure di
natura tecnico-operativo a strategie di maggiore proattività.

166 Ibidem.
167 Ibidem.

90
Dall’indagine in esame è emerso come secondo un’impresa su tre la reazione alla crisi
non necessita dell’adozione di alcuna misura strategia. Si tratta di un comportamento
diffuso in misura maggiore soprattutto tra le imprese di minore dimensione mentre
è più frequente tra quelle che hanno continuato a svolgere la propria attività durante
il periodo di lockdown 168.
Le azioni adottate riguardano innanzitutto la riorganizzazione degli spazi e dei
processi, per il 23,2% delle imprese, che contraddistingue quelle di maggiore
dimensione e operanti nell’ambito dei servizi: in particolare, per il 38,4% delle
imprese, nel settore dei servizi alla persona e per il 37,9% delle imprese nel settore
dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale.
Altra misura adottata da parte delle imprese durante il periodo emergenziale è data
dal differimento o dall’annullamento dei piani di investimento, misura questa
adottata soprattutto da parte soprattutto dalle imprese di medie e grandi dimensioni,
in particolare quelle che producono beni d’investimento, e quelle operanti in settori
connessi alle filiere internazionali della produzione e del commercio, della
produzione di automobili e di altri mezzi di trasporto (25,9%) 169.
Se si guarda la situazione dal punto di vista geografico, le imprese che hanno scelto
tale soluzione sono quelle operanti nel Nord est del Paese.
La riduzione sostanziale del numero dei dipendenti, corrispondente all’11,8% è tra le
diverse misure adottate durante il periodo preso in considerazione quella più
ricorrente tra le piccole e microimprese, soprattutto quelle operanti nel settore del
commercio, dei trasporti, dell’alloggio e della ristorazione.
Nelle imprese che non hanno sospeso la loro attività nel corso del lockdown si registra
una maggiore propensione verso l’adozione di misure di carattere strategico, tra le
quali l’accelerazione del processo di transizione digitale ed un maggiore utilizzo di
connessioni virtuali verso interno ed esterno.
Al fine di fare fronte alla crisi generata dalla diffusione della pandemia hanno scelto
di intraprendere il percorso di transizione verso il digitale alcune imprese operanti
nel terziario, quali quelle che erogano servizi professionali e altri servizi alle
imprese, con percentuali rispettivamente del 29,8% e 22,2%, ma anche quelle che
svolgono attività di realizzazione di prodotti farmaceutici (24,8%) e la
fabbricazione di computer, prodotti di elettronica, orologi e apparecchi
elettromedicali (16,7%) 170 .

168 Ibidem.
169 Ibidem.
170 Ibidem.

91
Il ricorso al credito bancario connesso al fabbisogno di liquidità derivante dalla crisi
pandemica rappresenta quello strumento scelto da parte del 42,6% delle imprese, con
una percentuale maggiore tra quelle di piccolissime e piccole dimensioni,
rispettivamente 42,6% e 43,6% 171.

Grafico 9. Principali strategie di risposta alla crisi causata dall’emergenza da


Covid-19, per classe di addetti. Valori percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

Dal punto di vista settoriale, a ricorrere con maggiore frequenza al credito bancario
sono le imprese che operano nell’ambito dell’attività di produzione di generi
alimentari e di beni di consumo.
La scelta di ricorrere all’indebitamento bancario risulta essere più frequente tra quelle
imprese nei mesi di marzo e aprile è calato drasticamente rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente.
Tra le misure rientranti nell’ambito degli strumenti non bancari per fare fronte alla
situazione creatasi per effetto della diffusione della pandemia vi sono la modifica
delle condizioni e il differimento dei termini di pagamento con i fornitori, soluzioni
queste adottate dal 25,3% delle imprese italiane, percentuale che arriva al 30,4% per
le imprese che hanno subito una maggiore riduzione di fatturato.

171 Ibidem.

92
Accanto a queste, esistono altre imprese le quali non hanno avuto necessità di fare
ricorso a tali strumenti in quanto sono riuscite a fronteggiare l’emergenza con le
risorse di cui disponevano 172.
Circa il 23,2% ha dichiarato che non ricorrerà ad alcuno dei suddetti strumenti per
fare fronte alla mancanza di liquidità; nella maggior parte dei casi si tratta di aziende
di grande e media dimensione, e precisamente in una percentuale rispettivamente del
34,7% e del 33,9%.
Tra le imprese che hanno fatto ricorso a tale misura, vi sono quelle operanti nel settore
dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale (34,9%) e della produzione di beni
d’investimento (28,0%).
La modifica delle condizioni e dei termini di pagamento con i clienti interessa le
imprese di dimensioni media e piccola mentre per quanto concerne l’aspetto
settoriale, ad avere optato in misura maggiore di tale misura sono le imprese operanti
nell’ambito delle attività di produzione di beni alimentari e di consumo mentre a
livello territoriale, le regioni nelle quali si è registrato il maggior numero di imprese
che hanno optato per siffatto strumento sono Molise e Calabria, con una percentuale
rispettivamente del 16,7% e del 16,3% 173.

Grafico 10. Strumenti per soddisfare il fabbisogno di liquidità per andamento del
fatturato del bimestre marzo-aprile 2020 sul bimestre dell’anno precedente. Valori
percentuali

Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese


nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

172 Ibidem.
173 Ibidem.

93
Per quanto riguarda un’altra misura, rappresentata dalla rinegoziazione dei contratti
di locazione, alla stessa ha fatto ricorso il 9,0% delle imprese, e a farvi ricorso sono le
imprese di medie e grandi dimensioni le quali operano in prevalenza nell’ambito dei
servizi, in particolar modo quelli legati al commercio, ai trasporti, al magazzinaggio,
alle attività di alloggio, di ristorazione e dei servizi professionali.
Infine, allo scopo di fare fronte al problema connesso alla liquidità, una piccola
percentuale di imprese ha fatto ricorso ad una modifica delle passività in termini di
equity: tra queste, in particolare, il 5,6% ha adottato strumenti di finanziamento
alternativi rispetto al debito bancario, mentre il 2,5% ha dichiarato di essere disposto
ad alterare la compagine sociale per il tramite di aumenti di capitale 174.
A livello territoriale, il maggior numero di imprese che hanno formulato domanda di
accesso al credito è collocato al Centro e nel Mezzogiorno, anche se spiccano anche
alcune regioni dell’area settentrionale del Paese, tra le quali la Liguria (49,4%) e la
Provincia autonoma di Trento (47,9%) 175.
Relativamente ai tempi di risposta, gli stessi sono alquanto lunghi; e, infatti, nel
periodo compreso tra l’8 e il 28 maggio, circa il 57,4% di coloro che avevano formulato
la richiesta era ancora in attesa dell’esito della domanda, il 35,1% ha ricevuto una
risposta positiva, il 6,2% l’ha vista accogliere solo parzialmente, e appena l’1,4% ha
avuto risposta negativa.
L’esito positivo delle richieste di accesso al credito è stato maggiore tra le imprese di
più piccole dimensioni, con una percentuale del 35,1% per quanto riguarda quelle
piccole e medie e del 22,8% per le imprese di grandi dimensioni e del 65,6% 176.

Grafico 11. Richieste di sostegno alla liquidità per regione. Valori percentuali

174 Ibidem.
175 Ibidem.
176 Ibidem.

94
Fonte: Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Situazione e prospettive delle imprese
nell’emergenza sanitaria Covid-19, 2020, il documento è consultabile al sito:
https://www.istat.it/it/files/2020/06/Imprese-durante-Covid-19.pdf

3.9. Conclusione

Lo studio dell’Istat riportato in queste pagine ha certificato le difficoltà che le imprese


sono state chiamate a far fronte a causa dell’avvento della pandemia, le soluzioni
adottate per cercare di sopravvivere e rimanere nel mercato e gli investimenti e gli
sforzi compiuti per adeguare spazi lavorativi, metodologie produttive e ambienti di
vendita agli standard predisposti dal governo che mirano a limitare, quanto più
possibile, il contagio da coronavirus.
Tanto le piccole e medie imprese, quanto i grandi brand sono chiamati a gestire una
nuova situazione determinata dall’avvento della pandemia che ha modificato anche
i modi di approcciarsi al consumatore. Tuttavia, come emerge dal lavoro svolto fino
a qui, è possibile riscontrare delle differenze nei modi di gestire l’emergenza sanitaria
da parte delle piccole e medie e imprese e da parte dei brand, differenze determinate
dalle loro caratteristiche riguardanti le dimensioni, il fatturato, la presenza sui mercati
e così via.
Le piccole e medie imprese hanno dovuto letteralmente reinventarsi, consapevoli che
proprio dalla buona riuscita di queste iniziative dipendeva la loro stessa
sopravvivenza sul mercato, e in alcuni casi sono dovute ricorrere alle misure messe a
disposizione dal governo e dagli istituti di credito per poter continuare ad esistere,
pur lamentando enormi difficoltà nel processo di adeguamento agli standard di
sicurezza dei locali e degli ambienti di lavoro e di vendita.
I grandi brand hanno ugualmente dovuto far fronte a difficoltà di questo genere
seppur in scala minore, forti di un profitto che, seppur ridimensionato, costituisce
oggi un’ancora di sopravvivenza, poiché inteso come prodotto della loro immagine
sul mercato e del legame fidelizzato che sono riusciti a costruirsi con la clientela che,
fino a questo momento, li ha preferiti a tutti i competitors.
Il brand activism, che è stato analizzato nelle pagine precedenti, e che si è
concretizzato oggi con l’impegno di numerosi brand che hanno dato il loro contributo
alla lotta del contagio da Covid-19, rappresenta una delle strategie attuate
prevalentemente da questi grandi brand che hanno adeguato le loro campagne
pubblicitarie ai contenuti che caratterizzano l’attuale emergenza sanitaria, prime fra
tutte le raccomandazioni del governo a seguire pedissequamente quanto stabilito nei
vari Decreti al fine di limitare il contagio e sconfiggere il virus.

95
Tali strategie non vengono attuate dalle piccole e medie imprese per via della loro
natura e delle loro dimensioni: a loro va riconosciuta non solo la possibilità di
accedere alle altre misure “salva mercato” o “salva imprese”, ma soprattutto la loro
creatività nel trovare espedienti (come ad esempio speciali politiche di sconto) per
sopravvivere a questa emergenza che si è rivelata, oltre che sanitaria, anche
economica.

96
Conclusioni

L’analisi condotta all’interno del presente lavoro di tesi ha permesso di evidenziare


la centralità del branding nelle strategie di comunicazione e di marketing
contemporanee, così come la sua rilevanza in tempi di crisi sanitaria ed economica.
Se per il consumatore il brand rappresenta uno strumento di fidelizzazione, per
l’azienda esso costituisce uno strumento per costruire la propria identità e
distinguersi sul mercato, nonché una risorsa il cui valore deve essere gestito
consapevolmente e diffuso in tutto il mondo.
Negli ultimi anni, è stato possibile riscontrare un’importante evoluzione del
tradizionale ruolo dei brand presenti sul mercato: se fino a qualche decennio fa, essi
si concentravano esclusivamente sui dati relativi all’andamento economico e
finanziario, perché i portatori di interesse nei loro confronti richiedevano solo questo
tipo di informazioni, oggi prevale un interesse generale, che si riferisce, non solo ai
singoli stakeholders, ma all’intera collettività.
In effetti, i brand devono rispondere anche alla responsabilità sociale, che va oltre i
risultati puramente economici e che deve qualificarsi come un obiettivo da
raggiungere al pari del profitto: essere socialmente responsabili permette ai vari
marchi di qualificarsi come “istituzioni sociali”, dotate di una propria identità e di
rapporti diretti con gli stakeholders, il cui giudizio positivo non fa altro che
aumentare il loro prestigio e il loro valore sociale.
La tendenza a conseguire obiettivi sociali per il brand oggi si sostanzia nel brand
activism, tradotto convenzionalmente come “attivismo del marchio”, l’oggetto di
studio del presente lavoro di tesi.
Le aziende, oggi, hanno compreso che esprimere un fine ben preciso, prendere una
posizione in merito ad una problematica, o dare il proprio contributo in merito a
un’emergenza (come quella che stiamo vivendo oggi), in alcuni casi assume più
valore del prodotto stesso, per lo meno in relazione alla percezione della clientela: per
i brand, infatti, diffondere un’opinione su politica, società, economia o ambiente
giova non solo all’immagine ma anche ai profitti.
In questo modo, il brand activism si qualifica come strumento capace di assicurare
valore aggiunto che garantisce competitività al brand in questione.
Attività di questo genere permettono al brand di incentivare il legame con il territorio
e con la comunità di riferimento, garantendo, al tempo stesso, maggiore solidità della
reputazione dell’azienda stessa e dando il proprio (piccolo o grande che sia)
contributo per assicurare il miglioramento della qualità della vita dei membri della
società.

97
Ciò suggerisce l’importanza che il brand activism può assumere per la società di
riferimento soprattutto in un momento come questo, in cui l’Italia sta affrontando una
emergenza sanitaria che ha fortemente condizionato non solo l’andamento dei
mercati ma anche l’immagine dei brand agli occhi dei consumatori e la percezioni che
hanno questi ultimi dell’impegno che le varie aziende stanno spendendo attualmente.
L’attuale emergenza sanitaria, derivante dall’avvento del virus Covid-19, ha costretto
numerose aziende a ripensare al loro ruolo e ha rivedere alcune dinamiche interne
riguardanti la produzione, l’erogazione dei servizi, la gestione degli store e la
conduzione dei rapporti con la clientela: ciò emerge principalmente dalla ultime
rilevazione Istat dal titolo “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza
sanitaria Covid-19”.
Mediante la suddetta indagine, l’istituto nazionale di statistica ha inteso verificare gli
effetti prodotti dalla pandemia da Coronavirus nelle imprese italiane, tanto dal punto
di vista economico che finanziario e occupazionale.
La ricerca ha fatto emergere alcune criticità che le aziende hanno dovuto affrontare
nel corso di questa pandemia, criticità che non hanno conosciuto ancora una
risoluzione e che, nella maggior parte dei casi, si sono tradotte in termini di perdite
fatturato: l’Istat, infatti, ha certificato che sono soprattutto le piccole imprese a
risentirne degli effetti di questa emergenza sanitaria (soprattutto quelle facenti parte
dell’ambito dell’edilizia e dei servizi), ma in generale tutte le realtà imprenditoriali
hanno subito una considerevole perdita di fatturato, che le ha spinte a rivolgersi ad
istituti bancari per ottenere del credito e far fronte alle perdite e ai debiti contratti.
Tali imprese hanno dovuto compiere significativi investimenti per adeguare i loro
servizi e i loro punti vendita agli standard richiesti dal governo, predisponendo i
dovuti dispositivi di sicurezza per il personale per limitare il contagio e garantire al
cliente una esperienza di acquisto sicura: anche suddetti investimenti, che hanno
richiesto un ripensamento ed un adeguamento degli spazi lavorativi e si sono,
conseguentemente, tradotti in spese che le aziende hanno dovuto, inevitabilmente,
sostenere.
Anche i grandi brand hanno dovuto modificare alcuni fattori inerenti alla loro
produzione e vendita e sono dovuti intervenire, primariamente sugli store, ma non
solo. Secondo quanto è emerso dallo studio compiuto nel presente lavoro di tesi, i
brand più famosi hanno anche visto nella pandemia in atto un’occasione per dare il
proprio contributo e mettersi al servizio della società: sono un esempio, alcuni marchi
molto famosi (soprattutto quelli di moda) che hanno modificato la propria
produzione scegliendo di produrre mascherine ed altri dispositivi di sicurezza, o in
alcuni casi anche camici per il personale infermieristico e medico; oppure vi sono stati
brand che hanno messo a disposizione il proprio patrimonio industriale e la propria
tecnologia per realizzare dispositivi medicali utilizzate nelle terapie intensive, oppure

98
ancora brand che hanno scelto di fare delle ingenti donazioni ai vari ospedali
italiani.
Questo è il quadro che è emerso dal presente lavoro di tesi e che permette di affermare
che le iniziative messe in atto oggi dai brand che sono scesi in campo e hanno dato il
proprio contributo per aiutare la società, la classe medica e i cittadini in generale a
combattere il virus e limitare il contagio.
Sia per le aziende di medie e piccole dimensioni che per i grandi brand l’emergenza
Coronavirus da crisi sanitaria si è trasformata anche in crisi economica, a causa del
lockdown, ma anche a causa dell’avvento di blocchi a catena dell’attività provocati
da un repentino cambiamento dello scenario sociale, politico ed economico.
Nonostante la pandemia, tuttavia, i brand si sono impegnati nel sociale, non solo per
avere ricadute economiche del loro operato, ma per mantenere un legame con il
consumatori, che mantiene vivo il valore di una brand anche in momenti di crisi.

99
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Ogilvy Italia, COVID-19: i brand e le persone. Come le Scienze Comportamentali ci aiutano


a comunicare al meglio quando il mondo sembra impazzire, 2020, il documento è
consultabile al sito:
https://www.ogilvy.it/doc_din/OC_COVID19_BrandPersone_200409.pdf

Olivieri F., Covid-19 e i brand sui social media: dati e tendenze della prima fase, 2020, il
documento è consultabile al sito: https://www.franzrusso.it/social-media-
2/covid19-socialmedia-dati-tendenze/

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Poma L., Brand Activism – il delicato rapporto tra Aziende e temi sociali, 2019, il
documento è consultabile al sito: https://archivio.lucapoma.info/csr/aziende-e-
buone-prassi/brand-activism-il-delicato-rapporto-tra-aziende-e-temi-sociali/

Settore Moda e Covid-19 Scenario, impatti, prospettive, 2020, il documento è consultabile


al sito: https://assets.ey.com/content/dam/ey-sites/ey-com/it_it/generic/generic-
content/ey-settore-moda-e-covid-19-v5.pdf

Zanna R., Brand e comunicazione: la creatività al tempo della pandemia, 2020, il documento
è consultabile al sito: https://www.digitaldictionary.it/blog/brand-
comunicazione-creativit%C3%A0-coronavirus

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