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Paolo Biasioli <biasiolipaolo@gmail.

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Via dall’Argentina, petrolio, giornalisti in Messico


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Sudamericana - Internazionale <newsletter@internazionale.it> 4 febbraio 2022 10:49


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A: biasiolipaolo@gmail.com

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4 febbraio 2022

Sudamericana
La newsletter sull’America Latina a cura di Camilla Desideri

In cerca di opportunità Anat Procianoy aveva diciannove anni quando la sua


famiglia decise di lasciare l’Argentina per trasferirsi in Israele. Era il febbraio del
2002 e il paese sudamericano stava attraversando una delle crisi economiche
più gravi della sua storia: si erano alternati cinque presidenti nel giro di poche
settimane e le restrizioni all’accesso di conti correnti e casse di risparmio aveva
scatenato proteste violente, con le persone arrabbiate e ammassate davanti alle
banche che chiedevano a gran voce di poter avere accesso ai loro soldi. La
repressione delle forze dell’ordine era stata molto dura e in soli due giorni, tra il
19 e il 20 dicembre 2011, erano morte trentanove persone nelle manifestazioni.

Decine di migliaia di argentini lasciarono il paese in quel periodo, perché


avevano perso il lavoro o perché pensavano che avrebbero trovato maggiori
opportunità all’estero. Tra questi c’era anche la famiglia Procianoy. Qualche anno
dopo, quando la situazione politica ed economica si era abbastanza stabilizzata,
alcune persone decisero di tornare. Fu il caso anche di Anat, che rientrò in
Argentina nel 2011, quasi trentenne, e che oggi vive nei dintorni di Buenos Aires
con il marito e il figlio. Anche se la situazione economica nel paese è di nuovo
precaria – l’inflazione ha superato il 50 per cento – Anat ha detto a Bbc mundo
che non è pentita di essere tornata: finché ha un lavoro, resterà in Argentina.
Però negli ultimi tempi è stata testimone di un fenomeno preoccupante, che la
riporta al suo passato: molti amici se ne sono andati o si stanno organizzando
per farlo nei prossimi mesi.

Verso l’Europa Secondo i dati forniti dalla Direzione nazionale per le migrazioni,
tra settembre 2020 e ottobre 2021 circa sessantamila persone hanno lasciato il
paese, il che equivale a più di duecento persone al giorno. Ma i numeri
potrebbero essere più alti, visto che molti dichiarano di partire per motivi di
turismo o di studio. Ad andarsene oggi sono soprattutto argentini e argentine
della classe media e alta, con titoli di studio di secondo grado e lauree, stanchi e
sfiduciati dalle crisi economiche cicliche o con lavori sottopagati. Una differenza
rispetto a vent’anni fa, quando l’emigrazione era molto più eterogenea sia dal
punto di vista professionale sia da quello socioeconomico. E ancora: se nel 2001
e 2002 molti lasciarono il paese di fretta e con il poco che avevano – tanti
argentini avevano perso tutti i loro risparmi – oggi chi decide di partire lo fa
pianificando meglio il viaggio logisticamente ed economicamente. È un
fenomeno che nel suo piccolo ha potuto osservare anche Anat: amici con una
buona posizione economica hanno comunque deciso di partire per garantire un
futuro migliore ai loro figli. Un fattore che sicuramente ha influito è stata la
chiusura prolungata – più di un anno – delle scuole a causa della pandemia.

Una delle destinazioni preferite da chi lascia l’Argentina è la Spagna, per affinità
culturali e perché si parla la stessa lingua. Ma c’è anche l’Italia, dal momento che
in Argentina vive una numerosissima comunità di discendenti degli italiani
emigrati nel paese sudamericano all’inizio del novecento. Poi ci sono altre mete
scelte soprattutto per la vicinanza geografica: l’Uruguay e la sua capitale
Montevideo, ma anche il Paraguay, il Brasile e il Cile. Infine gli Stati Uniti sono la
destinazione scelta da chi già possiede un discreto capitale di partenza e vuole
ampliare un’attività commerciale o spera di aprirne una nuova. Partire non è mai
una scelta facile, ma tutti gli argentini che in questi mesi se ne stanno andando
ammettono di aver perso ogni speranza che le cose possano un giorno
cambiare.

Finalmente un accordo Nel frattempo, dopo mesi di negoziati intensi ed


estenuanti, il 25 gennaio il presidente peronista Alberto Fernández ha annunciato
di aver raggiunto un accordo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) per
ristrutturare 44,5 miliardi di dollari di debito che risale al prestito di 57 miliardi di
dollari chiesto nel 2018 dall’allora governo di Mauricio Macri (destra) per evitare
l’insolvenza. Anche se ancora non si conosce il testo definitivo dell’intesa, il
ministro dell’economia Martín Guzmán ha dato qualche anticipazione e ha
assicurato che non ci sarà una svalutazione brusca del peso, né privatizzazioni
di aziende pubbliche e che non si prevedono nemmeno riforme pensionistica e
del lavoro. Non ci saranno ulteriori aumenti delle tariffe del gas e della luce oltre
al 20 per cento già annunciato. I futuri pagamenti delle rate del debito saranno
congelati per quattro anni e mezzo. Uno dei punti più discussi dell’accordo è
l’impegno dell’Argentina alla riduzione graduale del deficit fiscale primario (cioè il
deficit al netto degli interessi sul debito) dal 2,5 per cento del pil attuale allo 0,9
per cento nel 2024.

Una bambina che raccoglie e poi rivende cartone a Buenos Aires, 27 gennaio 2022. (Rodrigo Abd,
Ap/LaPresse)

Attualità
Brasile Il 19 gennaio il governo di Rio de Janeiro ha lanciato Cidade integrada,
un nuovo progetto definito di “occupazione sociale” nelle favelas della città.
L’operazione è cominciata all’alba con più di mille poliziotti e militari che hanno
occupato la zona di Jacarezinho, nel nord della città. Nel maggio del 2021 un
intervento della polizia nella stessa favela aveva provocato 28 vittime, il bilancio
più grave nella storia dello stato. Sempre il 19 gennaio più di cento agenti hanno
occupato la favela di Muzema. “Le operazioni di oggi sono solo l’inizio dei
cambiamenti che vanno al di là della questione della sicurezza”, ha scritto su
Twitter il governatore Cláudio Castro, un alleato del presidente Bolsonaro.
Secondo le autorità, l’obiettivo è riconquistare territori controllati dalle milizie, ma
molti analisti sono critici perché in passato operazioni del genere, come la
“pacificazione” lanciata prima dei Mondiali del 2014, hanno solo causato più
violenza e peggiorato la vita degli abitanti dei quartieri poveri.

Le alluvioni e le frane provocate dalle forti piogge il 30 gennaio hanno


causato la morte di almeno diciannove persone nello stato di São Paulo
costringendo circa cinquecentomila persone a lasciare le loro case inagibili.
Molte strade sono rimaste bloccate. Dopo aver sorvolato la zona, il
governatore João Doria ha annunciato che destinerà 15 milioni di real (2,5
milioni di euro) alle città e ai municipi più danneggiati dalle alluvioni. Lo stato
di São Paulo è il più popoloso del Brasile, ci vivono circa 46 milioni di
persone.

Uruguay Migliaia di donne e di collettivi femministi il 28 gennaio hanno


manifestato a Montevideo contro la cultura della violenza dopo che una donna di
trent’anni aveva denunciato il 23 gennaio di essere stata stuprata da un gruppo
di uomini. La donna aveva conosciuto un ragazzo in un locale, era andata a casa
sua e aveva cominciato ad avere un rapporto consenziente con lui. Ma dopo
poco altri tre uomini (di cui uno minorenne) erano entrati nella camera e avevano
cominciato ad abusare sessualmente di lei. “La cultura dello stupro”, si legge
nella convocazione della protesta, “è continuare a sostenere che gli uomini
hanno ‘necessità’ o ‘impulsi sessuali’ che non possono controllare. Tutti i giorni ci
scontriamo con discorsi che alludono alla paura, al dubbio, al silenzio”. Le donne
chiedono azioni più concrete da parte dello stato, così come maggiore
educazione sessuale nelle scuole, a partire dalla materna fino all’università. Il 25
gennaio il presidente Luis Lacalle Pou ha dichiarato che “per questi atti aberranti
che non sono propri né del genere umano né del genere maschile la pena dovrà
essere esemplare”.

Guatemala Il 24 gennaio la corte suprema del paese ha condannato cinque ex


paramilitari a trent’anni di prigione per aver stuprato decine di donne indigene di
etnia achí negli anni ottanta, durante la guerra civile. Gli uomini condannati
facevano parte delle Pattuglie di autodifesa civile (Pac), una milizia creata
dall’esercito guatemalteco. All’epoca dei fatti, le donne che hanno subìto violenza
avevano tra i 12 e i 52 anni. Durante il conflitto civile guatemalteco, tra il 1960 e il
1996, circa duecentomila persone sono scomparse o sono state uccise. Molte
appartenevano a gruppi indigeni presi di mira dalle milizie paramilitari e
dall’esercito con l’accusa di sostenere i gruppi guerriglieri di sinistra. “La giustizia
è arrivata dopo quarant’anni”, scrive il sito indipendente Plaza Pública. “Durante
il processo i giudici hanno sottolineato in varie occasioni che lo stupro fu usato
come arma di guerra da parte dello stato”.

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El Salvador Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha chiesto il 25 gennaio al
governo di revocare l’adozione del bitcoin come valuta nazionale, mettendo in
guardia contro i rischi per i consumatori e per la stabilità e l’integrità finanziaria. Il
7 settembre 2021 il Salvador è diventato il primo paese al mondo ad adottare il
bitcoin come valuta nazionale. L’obiettivo del presidente Nayib Bukele era attirare
gli investitori stranieri e permettere agli emigrati salvadoregni di spedire soldi a
casa più velocemente e a costi più bassi. “L’adozione di una criptovaluta come
moneta di corso legale comporta rischi gravi per l’integrità finanziaria e di
mercato, la stabilità economica e la protezione del consumatore”, ha sottolineato
l’Fmi. A novembre un’inchiesta del sito indipendente El Faro aveva rivelato i piani
di Bukele per finanziare lo stato salvadoregno senza ricorrere agli organismi
multilaterali. Ne ha parlato in modo più approfondito la scorsa settimana
Alessandro Lubello nella sua newsletter Economica.

Honduras Il 27 gennaio Xiomara Castro, del partito di sinistra Libertà e


rifondazione (Libre), si è insediata come presidente, prima donna nella storia del
paese. Alla cerimonia era presente Luis Redondo, che Castro riconosce come il
presidente legittimo del parlamento. Il 21 gennaio alcuni dissidenti del partito
Libre avevano votato un presidente del parlamento alternativo, Jorge Cálix, con il
sostegno dell’opposizione di destra. La giornata era degenerata in una rissa tra i
deputati di Libre e i dissidenti dello stesso partito, accusati di essere dei
“traditori”. “Indebolita ancora prima di insediarsi come presidente”, racconta
Jacobo García in un reportage sul País, “Castro si è dovuta riunire con Cálix e
offrirgli un posto nel suo governo. Oltre alle divisioni politiche, la presidente dovrà
affrontare i problemi di un paese povero e in piena crisi economica, dominato
dalla violenza e dal narcotraffico.

Giornalisti in Messico
Durante la manifestazione a Città del Messico per chiedere al governo azioni concrete per la sicurezza dei
giornalisti, 25 gennaio 2022. (Daniel Cardenas, Anadolu Agency/Getty Images)

Migliaia di persone – cittadini e molti giornalisti e professionisti dell’informazione


– sono scese in piazza il 25 gennaio in più di quaranta città del Messico per
protestare contro la violenza che colpisce tutto il paese e in particolare i
giornalisti. L’hashtag della mobilitazione nazionale è stato #PeriodismoEnRiesgo,
giornalismo a rischio. Da alcuni anni il Messico è uno dei paesi più pericolosi del
mondo per i giornalisti e l’impunità è altissima, aggressioni, minacce e omicidi
rimangono senza colpevoli. Le intimidazioni e la paura costringono molte testate
e molti cronisti ad autocensurarsi, per paura delle ripercussioni. Il 2022 è
cominciato con un bilancio grave per la stampa: tre giornalisti sono stati uccisi in
meno di un mese, due dei quali a Tijuana, città alla frontiera con gli Stati Uniti. Il
direttore del sito Inforegio, José Luis Gamboa, è stato ucciso il 10 gennaio a
Veracruz mentre il 17 gennaio il fotoreporter Margarito Martínez è stato
assassinato vicino alla sua casa di Tijuana, nel nordovest del paese. Martínez,
che aveva 49 anni, si occupava prevalentemente di criminalità organizzata e
aveva subìto delle minacce il mese scorso. Poi, il 24 gennaio, la procura
generale dello stato della Bassa California ha annunciato che la giornalista
Lourdes Maldonado López era stata assassinata il giorno prima a Tijuana. Oltre
che per la sua lunga carriera, in città Maldonado era conosciuta per tre motivi: la
sua lingua tagliente, il modo diretto e scomodo di denunciare le ingiustizie e la
sua macchina rossa. Era consapevole del rischio che correva con il suo lavoro e
nel 2019, durante un incontro con il presidente Andrés Manuel López Obrador,
aveva detto: “Temo per la mia vita”. Secondo l’organizzazione indipendente
Committee to protect journalists, dal 1992 a oggi in Messico sono stati uccisi
sessanta giornalisti per motivi legati al loro lavoro e quindici sono scomparsi.
Ambiente
Petrolio in mare Il 22 gennaio le autorità del Perù hanno dichiarato novanta
giorni di emergenza ambientale dopo che alcune onde anomale causate
dall’eruzione di un vulcano sottomarino vicino all’isola di Tonga, avvenuta il 15
gennaio, hanno provocato una fuoriuscita di petrolio dalla raffineria La Pampilla,
di proprietà dell’azienda spagnola Repsol, sulle coste del Pacifico a nord di Lima.
Il presidente Pedro Castillo ha detto che si tratta del peggior ecocidio mai
avvenuto sulle coste del paese: sono state contaminate più di venti spiagge e
cinque riserve naturali, e uccelli e altri animali marini sono morti. Più di tremila
persone – pescatori, commercianti e artigiani – sono rimaste senza lavoro. Le
autorità del Perù hanno aperto un’indagine per stabilire se la Repsol ha preso
tutte le misure necessarie a mitigare le conseguenze del disastro ambientale. Se
fosse giudicata colpevole, la compagnia potrebbe pagare un massimo di 35
milioni di dollari di sanzione, cioè l’1,8 per cento del totale delle vendite nel 2020,
uno dei suoi anni peggiori.

Lontano da Lima “Quello che è successo in Perù sarebbe uno scandalo


internazionale e starebbe sulle prime pagine di tutti i giornali spagnoli se non
fosse avvenuto in un paese del Sudamerica e a causa di una potente azienda
petrolifera abituata a ‘pulire’ la sua immagine sulla stampa”, afferma la scrittrice e
giornalista Gabriela Wiener in una column sul Diario.es. Secondo il giornalista
Joseph Zarate, quest’ecocidio è solo l’ultimo episodio di una serie di catastrofi di
cui non si parla, che avvengono lontano da Lima, nelle montagne e nelle foreste,
provocando morti, malattie e sfollati interni. Dal 2000 al 2019 ci sono state quasi
cinquecento fuoriuscite di petrolio nell’Amazzonia peruviana, la maggior parte
causate da condutture vecchie ed errori operativi delle aziende. Il 28 febbraio il
ministro dell’ambiente Rubén Ramírez ha reso noto che il disastro è più grave di
quanto si pensasse inizialmente: nell’oceano si sono riversati dodicimila barili di
petrolio, non seimila.
Un lavoratore durante le operazioni di pulizia nella spiaggia di Ancón, 25 gennaio 2022. (Pilar Olivares,
Reuters/Contrasto)

Da ascoltare
La grande notizia del 2021 in America Latina e a livello internazionale è stata
l’elezione di Gabriel Boric, ex leader studentesco, come presidente del Cile.
Boric ha vinto contro il candidato di estrema destra José Antonio Kast e nel
mezzo di un processo costituente nato dalle richieste del movimento sociale
del 2019. Cosa può insegnare il successo di Boric alla Colombia, dove
quest’anno si voterà per scegliere il successore di Iván Duque? Nel suo
podcast A fondo, la giornalista colombiana María Jimena Duzán ne discute
con lo scrittore cileno Patricio Fernández.

 
Radio Ambulante (un podcast di giornalismo narrativo che ogni settimana
racconta le storie dell’America Latina) ci porta in Brasile con la vicenda di
Carlos Henrique Raposo, detto Kaiser. Tra gli anni ottanta e novanta il suo
nome figurava nelle più importanti squadre di calcio brasiliane, come
Botafogo, Flamengo e Vasco da Gama. La sua fama ha superato i confini
nazionali fino a raggiungere l’Europa. Ma c’è un piccolo dettaglio: Kaiser non
ha mai giocato neanche una partita. L’episodio, in spagnolo e con una
traduzione in inglese, s’intitola Kaiser fútbol club.

Da leggere
La Companhia das Letras è forse il maggior gruppo editoriale brasiliano. Il
suo fondatore si chiama Luiz Schwarcz, ha 66 anni ed è nato a São Paulo.
Suo padre André era un ebreo ungherese che riuscì a scappare da un treno
diretto in un campo di concentramento mentre il nonno andò incontro al
destino di altri milioni di ebrei perseguitati. Schwarcz è nato e cresciuto a São
Paulo in un ambiente culturale segnato dal nonno materno, tipografo e anche
lui di origine ebrea, e nel 1986 fondò la sua casa editrice. In L’aria che mi
manca, che Feltrinelli pubblica con la traduzione di Roberto Francavilla,
Schwarcz racconta la storia della sua famiglia e della sua lunga depressione,
che afferma avere origine nel senso di colpa: la colpa dei vivi nei confronti dei
morti e il senso di colpa verso il padre, uomo silenzioso e sofferente. Il libro è
una toccante confessione che non arretra davanti alla descrizione della
malattia, e nello stesso tempo è un piccolo affresco, non così frequente nella
letteratura brasiliana, dell’emigrazione ebraica in Brasile del secondo
dopoguerra. Quella di Schwarcz è anche la storia di come il successo non
metta in salvo dai fantasmi e di come la cura, forse, sia da cercare nel
racconto e nella forza della sincerità. È il consiglio di lettura di Alberto Riva.

Su Internazionale
Sul sito

Un articolo dell’Afp sul disastro ambientale in Perù e le responsabilità


dell’azienda spagnola Repsol.

 
Vita, successi e lotte di una leggenda del samba. Le vicende personali e la
musica di Elza Soares raccontate da Daniele Cassandro. La cantante
brasiliana è morta a Rio de Janeiro il 23 gennaio 2022, all’età di 91 anni.

Sul settimanale

 
Nel numero che è uscito oggi in edicola c’è un reportage del sito peruviano
Sudaca dalle coste del Pacifico colpite dal disastro ambientale del 15
gennaio: pescatori e altri abitanti sono stati ingaggiati per pulire le spiagge
dal petrolio con compensi bassi e poche tutele per la salute. E in apertura,
una foto di Rodrigo Buendia della frana causata dall’alluvione a Quito, la
capitale dell’Ecuador.

 
Nelle pagine di attualità del numero 1445 abbiamo pubblicato un articolo di
Sylvia Colombo, corrispondente in America Latina della Folha de S.Paulo, sul
nuovo governo presentato dal presidente cileno Gabriel Boric. E poi un
reportage del Washington Post dalla Colombia, nel dipartimento di Meta,
dove il ritardo del governo nel realizzare la riforma agraria sta creando
conflitti tra le popolazioni native e i contadini.

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