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Benevento 1943: Cronaca di una città martoriata

Lo scritto in esame vuole essere una ricostruzione dei difficili momenti che
attraversò la cittadina beneventana nel 1943, distrutta e pugnalata nel suo punto vitale
, il centro storico, dai tristi apparati metallici degli Alleati, che nella loro discesa non
risparmiarono donne o bambini, giovani o anziani, tesori d’arte o vie di
comunicazione, trascinando ogni cosa nelle fiamme della morte e della distruzione,
ma non dell’oblio. Infatti come soleva ripetere Cicerone ‘’Memoria est thesaurus
omnium rerum et custos’’, la memoria è tesoro e custode di tutte le cose, e tale
memoria deve essere esercitata nella speranza di non ripetere o subire eventi di tale
tragicità.

Mazzeo Emilio
Benevento 1943: Cronaca di una città martoriata

La seconda guerra mondiale, il più grande conflitto armato della storia, costò all’umanità sei anni di
sofferenze, distruzioni e massacri per un totale di 55 milioni di morti. Le popolazioni civili si
trovarono, infatti, direttamente coinvolte nel conflitto a causa dell'utilizzo di armi sempre più
potenti e distruttive, spesso deliberatamente indirizzate contro obiettivi non militari. L’ Italia, in
particolare, dopo aver rafforzato i rapporti con la Germania di Hitler, mediante il Patto d’acciaio del
22 maggio 1939, entrò in guerra contro le forze dell’Alleanza il 10 giugno 1940. Da allora
numerose città del nostro paese sperimentarono direttamente e a caro prezzo gli orrori del conflitto
con tutte le sue nefaste conseguenze, che con un climax ascendente spaziano dalla povertà, alla
carestia, fino alla morte e alla totale distruzione. Duramente colpita e provata dagli orrori della
guerra fu la città di Benevento, sulla quale è mia intenzione soffermarmi.

Benevento, per la sua centralità nelle comunicazioni ferroviarie fra Roma e Puglia, fu scossa in
maniera durissima dai bombardamenti angloamericani nel 1943. Infatti il 21 agosto gli Alleati
cominciarono a bombardarla per stanare i tedeschi e spingerli a risalire la Penisola: il primo
obiettivo centrato fu la stazione ferroviaria.

L'8 settembre 1943 fu firmato l'armistizio di Cassibile, ma per la città non ci fu tregua: arrivò un
nuovo bombardamento degli angloamericani, questa volta nella zona intorno al Ponte Vanvitelli. I
bombardamenti continuarono nei giorni 11 e 12 settembre. Il quindici fu il giorno più funesto per la
città: cinque ondate di bombardamenti spianarono per intero Piazza Duomo e Piazza Orsini.

Duemila morti tra la popolazione civile, l'apparato industriale della zona ferrovia quasi azzerato,
5.000 vani distrutti, quasi 4.000 fortemente danneggiati, fu il tragico bilancio delle incursioni aeree.
Qualche settimana dopo, il 2 ottobre 1943, i tedeschi lasciarono la città. Per il comportamento della
cittadinanza in queste difficili circostanze, nel 1967 la città sarebbe stata insignita della medaglia
d'oro al valor civile.

Esaurito il quadro storico, riporto le principali e più rappresentative testimonianze, che possono
assurgere a cronaca di una città martoriata.

Drammatico e carico di άè il resoconto di Ferdinando Grassi, inerente il bombardamento del


21 agosto 1943 e contenuto in Storia di Benevento e dintorni di Gianni Vergineo.

‹‹- Ore 14:30, 21 Agosto 1943- Dense colonne di fumo si alzarono dalla stazione ferroviaria, era il
primo bombardamento, era la guerra in casa, il terrore, nella città scossa e svegliata dagli urli
d’allarme. Anch’io vidi i feriti del primo bombardamento adagiati nei corridoi del vicino ospedale
Fatebenefratelli. L’arcivescovo Mancinelli è presente, sono presenti le autorità, sono accorsi i
medici e i sanitari. Una bimba di forse sette anni giace senza un lamento con le gambe asportate;
accetta anche un confetto dai pietosi che la guardano piangendo. Otto giorni dopo il sabato 28
agosto, bersaglio sempre la stazione ferroviaria››.

Testimonianza ancor più cruda e realistica è lo scritto Benevento nel turbine della guerra di
Salvatore de Lucia, che con minuzia di particolari descrive la situazione del capoluogo sannita dal
21 agosto all’8 ottobre. Ivi i passi più rilevanti.

-Benevento, Sabato, 21 Agosto 1943-

‹‹ Ieri, da pochi minuti, ero tornato dal modesto desinare, quando, alle ore 13,40, son passati su
Benevento, in formazione completa, non pochi quadrimotori.

I forti e cupi rombi dei motori mi spingono verso il balcone, per semplice curiosità.

I quadrimotori, in formazione di tre a quattro, a quota relativamente bassa e ben visibili,


sorvolavano tranquilli e indisturbati. Io li stavo contando a voce un po’ alta, ed ero arrivato fino a
27…interrompo gridando: cadono le bombe! Cadono le bombe! Infatti, avevo notato un vero
grappolo luccicante nel sole. Mi sembra che cadano nel campo di aviazione… Ma, no, dalla
stazione ferroviaria centrale, sebbene lontana, di rimpetto, però al mio balcone, si alzano dense
colonne di fumo nerastro, mentre, giù nelle strade, gente in disordine che fugge urlando, da ogni
parte, senza sapere dove andare.

Calmatosi il primo panico, essendo io solo in casa, mi precipito nel Corso Vittorio Emanuele e mi
affretto, sempre correndo, a raggiungere il piazzale della stazione ferroviaria.

Più oltre, però non si può andare per le fiamme vorticose e per i continui scoppi che producono i
vagoni e parte del fabbricato, colpiti in pieno.
Tra gli accorsi, terrorizzati e allibiti, i quali chiamano, a voce alta i loro cari che potevano trovarsi
all’interno della stazione, scorsi l’Ecc.mo Arcivescovo Mons. A. Mancinelli, alcuni
Fatebenefratelli, vestiti di candido camice e parecchi Fratelli delle scuole cristiane, pronti a prestar
la loro opera di bene in quel tristissimo momento.

Intanto, passano i primi feriti gravi su ambulanze primitive, allo scoperto sui camions e su le
motociclette con traino.

I soldati, cercano di stendere i cordoni presso il ponte sul Calore e attraverso il viale Principe di
Napoli, ma inutilmente; la folla schiamazzando come pazza, rompe i cordoni, e passa.

I primi feriti gravi vengono portati alla vicina casa di salute del Sacro Cuore di Gesù, e parte
all’ospedale civile di S. Deodato.

Mi reco anch’io alla casa dei Fatebenefratelli, dove mi colpisce uno spettacolo raccapricciante e mai
visto! I feriti, una cinquantina, giacciono sopra sacchi o materassi per terra, tutti in condizioni
pietosissime e fasciati alla meglio. Due morti coperti da un lenzuolo stanno ancora là in mezzo,
mentre quei frati e i sanitari Dott. Bozzi e Frascone si prodigano ad apprestare i primi soccorsi.

Al collegio La Salle, trasformato all’improvviso in un vero Ospedale, vengono più tardi, portate
quattro donne e ventisette uomini.

Data la grande confusione, non mi è riuscito sapere il numero complessivo dei morti e dei feriti, la
maggior parte di essi forestieri ripronti a partire per i loro paesi.

La stazione semidistrutta ed incendiata.

Ho passato la notte tutta insonne, avendo sempre dinanzi agli occhi l’orrenda visione dell’infausto
pomeriggio di ieri››.

Domenica, 22 Agosto

‹‹ Verso le dieci, mi reco all’Ospedale di S. Deodato per una breve visita a quei poveri feriti. A
stento son riuscito a salire le scale per una folla enorme e compatta di uomini e donne; son quasi
tutti parenti ed amici delle vittime.

Ho ancora negli occhi, entrando nelle sale, lo spettacolo terrificante dei morti e dei feriti, tra cui la
povera sig.na Ester Miraglia, che, quasi dimenticando lo stato pietosissimo nel quale si trovava e lo
strazio che soffrivano le sue carni, chiamava il fratello Enrico, vicino a lei nel momento tragico››.

Sempre in questa tragica giornata De Lucia mette in risalto un episodio di grande filantropia e
magnanimità: l’avv. Cifaldi, rattristato per la penuria di medicinali, girò tutte le farmacie del centro,
raccogliendo, a sue proprie spese, tutte le fiale di siero per ipodermoclisi disponibili e in tal modo
qualche vita venne salvata.

Venerdì, 27 Agosto

‹‹ Ieri, verso l’imbrunire, successe un pandemonio, giù al Rione Triggio, il più popoloso della città,
per la prepotenza di alcuni soldati tedeschi che pretendevano, chissà che cosa, da quei cittadini. Ma
ne ebbero la peggio per le tante batoste che ricevettero sul groppone››.
Sabato,28 Agosto

‹‹ A distanza di otto giorni, si è rinnovato il bombardamento sulla nostra città. Erano le ore 13,20 di
ieri. Mi trovavo in mezzo al corso Garibaldi, quando avvertivo il caratteristico rumore degli aerei.
Alzo gli occhi e scorgo una formazione di uccelloni bianchi e lucenti; quindi, un’altra squadriglia
sulla stessa rotta, ed altre ed altre. Dopo pochi secondi, una detonazione orrenda e squarci di aria
fanno tremare i fabbricati e tintinnare i vetri.

Corro verso casa mia e mi fermo nel portoncino socchiuso, aspettando il cessare del
bombardamento.

Sento il gridare ed il piangere forte delle donne del vicinato, alcune delle quali vengono da me
mentre io cerco di incoraggiarle dicendo che tutto era finito e che il bombardamento si era svolto
lontano. Tornata la calma, sono uscito, di nuovo, recandomi al corso Vittorio Emanuele ed ho visto,
di lontano, sul ponte Calore, un cordone di soldati che impediva il passaggio a chiunque.

Mi sono rassegnato a non andare più oltre. Però, dalle informazioni assunte dai vigili del fuoco, ho
appreso che due erano i morti e quattro i feriti, qualche casa del rione delle abitazioni antisismiche
crollata e la stazione centrale centrata in pieno dalle bombe più numerose e potenti…››.

Martedì. 31 Agosto

‹‹ Benevento si va spopolando di giorno in giorno, anzi ora per ora. Io non ci penso neppure. Sarà
quello che sarà… Sarà una fatalità? Non lo so…

Gli all’ armi sono, per lo meno, due al giorno e, spesso, anche tre. Uno mai manca. Quello cioè, fra
le 12 e le 13, con passaggio immancabile di apparecchi.

I giornali rari. L’osservatore Romano da quindici giorni non arriva. L’acqua non è tornata ancora.
Alla radio, i comunicati di guerra non parlano che di bombardamenti. Tutti i nodi ferroviari
interrotti. Da Roma a Benevento quasi un giorno intero››.

I giorni dal 1 al 7 Settembre sono caratterizzati dall’ insorgere del mercato nero per
l’approvvigionamento dei viveri e da una calma relativamente surreale, foriera di una prossima
sciagura.

Mercoledì, 8 Settembre

‹‹ Dalle 21,30 alle 23,15 di ieri sera, furono tre ore tremende! E chi potrebbe descriverle? Sento,
ancora, nelle orecchie quegli scrosci terribili che facevano scuotere dalle fondamenta la mia casa e
tintinnare forte forte i vetri dei balconi.

Verso le 21, il cielo di Benevento s’imbianca, d’improvviso, di luce vivissima, si distinguono


palazzi, case, vie, tutto come di giorno. Sono i razzi luminosi degli Alleati, mentre le sirene
continuano a dare l’allarme.

I primi scrosci delle bombe sensibilissimi. E giù a intermittenza… Gli scrosci sinistri sempre più
aumentano, con gli urli della gente pazza dal terrore. Io sempre giù secondo il solito, nel mio
portone, dove conveniva parecchie gente del vicinato. Spenta la luce, spenti i razzi, sembra un
finimondo…

Quando l’inferno cessa, risalgo le scale, e scorgo, verso la stazione, un grande incendio. E’ stato,
forse, colpito il deposito delle macchine o qualche altra cosa d’infiammabile.

Più tardi, alcuni altri apparecchi che sganciano, e si allontanano. Mi si è detto, stamane, che non vi
furono vittime, solo pochi feriti. I danni, di nuovo, alla stazione, alla Aeronautica Sannita ed al
palazzo dei ferrovieri.

Mentre scrivo queste poche note, e sono le 20:40 , sento un gridio per il corso Garibaldi; mi affaccio
al balcone, e veggo, qua e là, gruppi di cittadini, che parlano animatamente, mentre una folla
enorme e compatta scende giù, forse, da piazza Roma, dove si è raccolta, come per fare una
dimostrazione. Domando la causa di tutto questo, e mi si dice che l’Italia ha firmato l’armistizio con
le Nazioni Unite. Ha comunicato questa eclatante notizia la radio inglese delle 19,30 e la radio
italiana delle 20,30.

Quali saranno le conseguenze? La serata non è passata in silenzio. Son continuati, fino a tardi le
dimostrazioni di gioia, mentre spari di bombe-carta scoppiavano da per ogni dove, nella città e nei
sobborghi››.

Le conseguenze di cui parla De Lucia non tarderanno a presentarsi, infatti nei giorni seguenti i
tedeschi cagioneranno al popolo beneventano non poche sofferenze, provocando risse e sparatorie
di non lieve entità. Un avvenimento esemplificativo si verificò il 9 settembre quando all’ altezza di
via Capitano Rampone, uno degli automezzi tedeschi, che defluivano per il medesimo corso, aprì
improvvisamente il fuoco di mitragliatrici contro un piccolo reparto di militari del Distretto, che, al
Comando del Ten. Fiorenzo Corrado, si recava a Porta Rufina, e nel conflitto perse la vita Raffa
Adriano di S. Giorgio del Sannio.

L’ 11 Settembre si verificò un altro violento bombardamento; ecco le parole con cui l’autore
descrive le infauste conseguenze: ‹‹ La zona che va dal Duomo alla Madonna delle Grazie è quasi
tutta rasa al suolo. Anche la casa di mia proprietà, in vico IV Bagni, è distrutta… Povero mio sacro
patrimonio!... Chi sa se qualche mio inquilino sia stato colpito o morto!...

Quasi tutti i palazzi del corso Vittorio Emanuele, a sinistra di chi scende al ponte sul Calore, sono
interamente abbattuti.

Intanto, si dice, che moltissimi abitanti di quel popoloso rione saranno rimasti sotto le macerie, non
allontanatisi perché non si pensava che, dopo l’armistizio, venivano sganciate ancora bombe sulla
città››.

Il giorno seguente alle ore 13,25 si verificò una nuova incursione che colpì gli edifici adiacenti al
Duomo e distrusse in parte l’imponente edificio, simbolo di una città indifesa e abbandonata.

Martedì, 14 Settembre

‹‹ Mentre i profughi affluiscono sulle strade ingombre di carri e di altri mezzi di trasporto, i villici,
anche di paesi lontani, vengono nella città per far bottino, come se ne avessero il diritto, in tutte le
case beneventane, tra un bombardamento e l’altro. Alcuni di questi razziatori sono stati sorpresi
dalle bombe, ed hanno pagato, con la vita, il fio.

La maggior parte dei magazzini, lungo il corso Garibaldi, sono stati sul far dell’alba completamente
svaligiati, e diversi anche incendiati. Alle 10, un altro bombardamento ha causato ingenti danni in
piazza Orsini e lungo la via Gaetano Rummo. Alle ore 22, alle ore 3 e alle ore 4 circa, del giorno
15,altri bombardamenti, causando rovine e distruzioni alla parte alta del Triggio. Tranne i razziatori,
la città è letteralmente vuota. Solo pochissime famiglie ritardatarie, per impellenti necessità, sono,
ora costrette a lasciare la casa, tutto, e andare, sotto la minaccia delle incursioni aeree, in cerca
febbrilmente di uno scampo, di un riparo qualsiasi.

Spesso, lo trovano soltanto a chilometri e chilometri lontano dalla cerchia delle loro conoscenze e
tra gente che non ha nemmeno essa il necessario per vivere.

Altre famiglie dormono all’addiaccio e con magre provviste. Che sarà domani, quando si esaurirà
quel poco che hanno?›› .

Parole, queste, che ben esprimono le tristi condizioni di vita e l’incertezza per il domani dei
beneventani, che si trovarono per giorni senza pane e acqua, costretti al razionamento. Ma proprio
in tali deprecabili condizioni emerse lo spirito di socialità e condivisione dell’ indomito popolo
sannita. Di seguito un episodio che ebbe per protagonista lo stesso De Lucia.

‹‹ -Venerdì 17 Settembre- Uscendo dalle Pastene, son fatto segno di un gentilissimo episodio. Una
signora ed una signorina, Gaetana ed Ines Pignataro, madre e figlia, mai viste ed avvicinate a
Benevento, e qui sfollate, mi vengono incontro, e , con modi così affabili, mi tolgono di mano due
piccoli fagotti, e mi pregano di accettare la loro compagnia per un tratto di strada. Tutto ciò mi
commuove, e ricorderò sempre questo atto di squisita gentilezza››.

Nei giorni successivi dal 17 al 29 Settembre si susseguirono con cadenza matematica diverse
incursioni che danneggiarono ulteriormente la povera cittadina, già quasi del tutto distrutta.

Giovedì, 30 Settembre

‹‹ Stamane, mi son levato per tempo. Veggo dalla finestra del corridoio, Benevento e tutta la zona
della valle del Sabato e del Calore affogata nella nebbia molto densa, da sembrare un vasto placido
lago; solo qualche cima di colle, come un’isola, appare qua e là.

Indi a poco, cannonate e scoppi di mine frequenti.

Verso le 11, in una stanza dell’ultimo piano del convento, il dott. A. Capozzi, con un suo collega, ha
amputato il braccio destro ad un bel fanciullo, Bozzo Antonio di Gabriele, ferito con il padre e la
madre alle ore 16 di ieri in un orto della contrada Palata, presso Benevento. Il padre ferito e portato
all’ ospedale, mentre la madre morta sul colpo (in questa incursione e sul medesimo posto sono
morte 7 persone appartenenti alle famiglie Tretola, Bozzo, Ievolella ed Intorcia ; anche qui rifugiate
e parecchi feriti gravi). E’ un vero caso pietosissimo…

Il poverino ha trovato qui, nei figli di S. Alfonso, padre e madre che desidererebbe vedere attorno al
suo letto di dolore…Ma, la mamma la rivedrà nel Cielo e nei suoi sogni dorati di fanciullo!
Circa le ore 13, si inizia un altro bombardamento all’americana, si protrae fin verso le ore 14,30 ed
a più riprese. Sempre Benevento e strade limitrofe è il bersaglio.

Verso tardi, abbiamo saputo che il seminario Regionale è stato colpito da quattro bombe, con
l’immancabile saccheggio degli sciacalli unni, e che gli Alleati sono a S. Giorgio del Sannio; e, fra
poco, arriveranno presso Benevento. Così potrà chiudersi presto, per la nostra città, la terribile
tragedia.

Intanto, i tedeschi continuano a far brillare mine sotto i ponti della ferrovia Benevento – Avellino
( son ben 18), come hanno fatto già crollare altri ponti sulla via di Napoli. […] ››.

Lunedì, 4 Ottobre

‹‹ Ben presto, è incominciato stamane, il feroce duello fra le due opposte artiglierie, i colpi ci fanno
scuotere molto il sistema nervoso, già alquanto depresso. Cannonate, cannonate, cannonate, in
continuazione: è una canzone abbastanza lunga, noiosa, e pericolosa. Pericolosa perché i tedeschi,
allontanatisi di poco, tirano contro l’artiglieria Alleata nascosta presso la via dei Maccabei, presso il
viale degli Atlantici ed altrove.

Nel pomeriggio, poi, una dolorosa, straziante notizia mi ha lacerato il cuore e mi ha fatto piangere
come un bambino. Una giovinetta quindicenne, Tonina Ferrelli, figlia prediletta di mia cugina,
Adula Voccola, un fiore di primavera fragrante di purezza, di intelligenza, di bontà, ieri verso le 14,
soggiacque reciso il capo da scheggia di granata tedesca tra il padre Umberto e lo zio Camillo, e
sotto gli occhi esterrefatti della mamma sua, della sorella Isa e di altri parenti, in un podere della
contrada di Cretarossa. Quale non fu la visione terrificante di quel tristissimo momento!

Mi son ritirato nella mia stanzetta, dopo aver comunicato la fatale nuova a S. E. l’Arcivescovo, e
non ne sono uscito per nulla tutto il resto della giornata, neanche per la cena. Mi si è detto, pure, che
la povera vittima ha avuto provvisoria sepoltura nel giardino della villa dello zio Del Donno››.

Benevento, dopo una serie continua di bombardamenti che si protrassero per oltre un mese era
ormai ridotta ad un cumulo di macerie, mentre solo pochissimi quartieri non erano stati colpiti dalla
pioggia infernale di bombe. Ecco le parole di rammarico e amarezza di De Lucia, che rivelano
l’impotenza del singolo uomo di fronte ad un evento di tale portata.

‹‹ […] Dio mio! Dicevo tra me, dopo aver permesso la distruzione delle più belle e storiche chiese,
non pochi tesori d’arte di cui i beneventani andavano orgogliosi, le nostre case, i ricordi nostri più
cari. Voi avete afflitti, feriti, lacerati tanti cuori di padri, di madri, di sposi, di fratelli, di sorelle, di
amici per tante vittime di questa guerra spaventosa, terribile, diabolica, maledetta nei secoli, e, fra
queste, la povera innocente Tonina, mentre pregava e si stringeva al petto la sua Madonnina. […]

Scendendo per il corso Garibaldi fino a piazza Duomo, di tanto in tanto, si veggono molti palazzi
rovinati e non pochi abbattuti, fra cui la mia povera casa piena dei più cari ricordi, e dove esalarono
in pace il loro respiro i genitori miei.

Ma, dalla torre campanaria al ponte sul Calore, è una visione orribile, raccapricciante. Chi, superato
il ponte, fatto saltare dai tedeschi, e rimarginato in questi giorni dagli Alleati con un ponte
solidissimo in ferro ed una passerella di tavole da un lato, e , dopo aver notato le rovine sul Viale
Principe di Napoli, si volga indietro, può vedere soltanto cumoli di macerie che impressiona in
modo straordinario.

Non si riesce a trovare le strade, non per transitarle, ma per ubicarle. Come pure del rione a sinistra
del Duomo, cioè via Dacomario S. Gaetano ecc. non esiste più. Tutta la zona da piazza Duomo a
Porta Rettore, distrutta. Il ponte di ferro della Benevento – Avellino sembra un gigante abbattuto da
una forza misteriosa, spezzato, rabbiosamente irto di punte, col ferro schiantato e contorto, sino al
livello delle acque, come per dissetarsi in esse nell’estrema agonia.

La via Gaetano Rummo più non si distingue. Buona metà del convento delle Orsoline è sparita. La
parte alta del Triggio anche in rovina. Della chiesa metropolitana, del grandioso tempio, il più
splendido dell’Italia meridionale, carico di storia, di gloria, di arte da tanti secoli non resta che la
torre campanaria, qualche parte del portale, la porta di bronzo squinternata e mancante di diverse
formelle […] ››.

Il povero capoluogo sannita, quindi, fu profondamente colpito dal conflitto, pur essendo pressoché
indifeso e privo di obiettivi militari, ad eccezione del nodo ferroviario. Ma nonostante ciò i
bombardieri Alleati si accanirono sadicamente contro questa povera città seminando rovine, morte e
distruggendo tanti tesori d’arte che, da secoli, ‘splendevano come fari luminosi di civiltà e di
progresso’. La giustificazione addotta fu la necessità di impedire il passaggio ai tedeschi, ostruendo
le vie per bloccarli nella stessa città, ma in questo gli Alleati non riuscirono e i tedeschi passarono
ugualmente.

Come Augusto soleva ripetere, dopo l’orrenda strage delle legioni romane nella foresta di
Teutoburgo: ‹‹Varo, rendimi le mie legioni!››, così, la Regina del Sannio, fasciata di lutto,
additando le sue rovine, piangendo i suoi quasi tremila morti, sembrava che dicesse: crudeli,
rendetemi ciò che avete, senza scopo, sacrificato.

Piazza Orsini in una cartolina dei prima anni del secolo (ed.
Campassi e Diena - Torino). Gli edifici sullo sfondo, molto caratteristici, furono distrutti durante i
bombardamenti del 1943 e non più ricostruiti.
Il Duomo di Benevento negli anni Venti; nella piazza antistante si notano
le carrozzelle. Il palazzo sulla destra sarà distrutto unitamente al Duomo durante i bombardamenti
del settembre '43.

I RESTI INFORMI DEL


DUOMO ( Foto Intorcia)
La ragazza beneventana
decapitata da una scheggia di granata tedesca
Piazzetta e Chiesa dell’Abbazia
di S. Lupo (Chiesa distrutta)
Bibliografia: Benevento nel turbine della guerra di Salvatore De Lucia, Storia di
Benevento e dintorni di Gianni Vergineo.

Quadro storico desunto da Dentro la storia: eventi, testimonianze e interpretazioni ( 3


volume) di Zeffiro Ciuffoletti, Umberto Baldocchi, Stefano Bucciarelli e Stefano
Sodi.

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