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GLOSAS EMILIANENSES
Le glosas emilianenses rappresentano la prima attestazione di diglossia: ricordiamo,
infatti, che nell’XI secolo il territorio ispanico era occupato a sud dagli arabi e a nord
dai cristiani. Da quest’ultima zona proviene l’attestazione, perché è solo qui che
viene parlato il latino classico; il volgare era invece parlato in tutta la penisola
iberica.
“Glossa” letteralmente vuol dire “breve spiegazione”.
Le glosas emilianenses erano glosse trovate nel monastero di San Millan de Cogolla
(Logroño) e si chiamano emilianenses dal nome del Santo del monastero. Esistono,
però, anche le glosas silenses, custodite nel Monastero di Santo Domingo de Silos
(Burso).
In questo periodo il libro si scriveva a mano dall’amanuense, il quale copiava e
trascriveva libri (allora non esisteva la stampa). I libri si scrivevano su pergamena,
che era fatta da pelli di animali trattate che diventavano le pagine dei libri.
I codici all’interno dei quali compaiono le glosas sono libri che contengono
preghiere, testi agiografici, vite dei santi legati alla religione cristiana; sono scritti in
latino classico lontano dal volgare e dalla quotidianità.
Le glosas sono la traduzione di termini dal latino classico al volgare (sono paroline,
spiegazioni che traducono le parole dal latino classico alla lingua parlata in quei
secoli, il latino volgare, il romance, che sta evolvendo sempre più verso lo spagnolo).
Perché le “glosas emilianenses” sono importanti? Per due motivi:
- a livello linguistico, ci permettono di capire l’evoluzione della lingua (ci sono delle
parole in latino e delle parole in spagnolo).
- queste sono prodotte in un monastero e ciò spiega la fortissima influenza della
religione sulla letteratura. Il monastero era il centro di irradiamento della cultura,
che non è per tutti perché:
• la pergamena costa
• gli amanuensi impiegano molto tempo per scrivere
Da ció se ne deduce che la cultura scritta non è alla portata di tutti; esiste anche una
cultura orale della quale sappiamo poco.
JARCHAS
Le jarchas sono brevi poesie composte da 2 o 3 versi e rappresentano la prima
manifestazione letteraria in ambito iberico.
Ci troviamo nel XIII secolo, un momento storico in cui la reconquista è assestata
(718-1492) e solo il regno di Granada non è stato conquistato; nel nord del regno di
Granada ancora vivono gli arabi e musulmani. Esiste quindi ancora quell’ibridismo
che dà vita a queste manifestazioni in caratteri arabi ed ebraici ma in lingua
iberroromanze. Lo stesso termine “jarcha” è la trasformazione in alfabeto latino e
pronuncia spagnola di una parola araba che significa “uscita”, “fine”, proprio perché
queste brevi poesie sono poste alla fine di altri componimenti poetici chiamati
“moaxajas”, la cui traduzione è “adornato con una cinta doppia”. Si tratta perciò di
componimenti molto carichi di bellezza, come dice il termine “adornati” dal punto di
vista retorico e linguistico. Le moaxajas sono quindi i componimenti mentre le
jarchas ne costituiscono la fine.
MOAXAJAS = COMPONIMENTI
JARCHAS = FINE
Moaxajas e jarchas possono, per questo motivo, considerarsi sia indipendenti che
legate:
*Ogni strofa della moaxaja è composta da cinque o sei versi; i primi quattro/cinque
versi rimano allo stesso modo (rima coerente). Per ogni strofa si ripete la stessa rima
alla fine di queste stesse strofe: gli ultimi versi delle strofe rimano sempre allo stesso
modo, creando così una coerenza tra le varie strofe. La rima finale di ogni strofa la
ritroviamo, poi, come rima della jarcha:
I strofa II strofa
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
yyyyy yyyyy
yyyyy amore yyyyy cuore
Fino agli anni 50-60 del secolo scorso nei libri di letteratura spagnola noi avremmo
trovato che le prime testimonianze sono le “cantigas galaico-portuguesas”, non le
jarchas (XI secolo). In realtà queste sono collocate attorno al XII secolo, quindi sono
la seconde testimonianze più antiche e sappiamo che sono prodotte in Galizia, nel
nord dell’attuale Portogallo. La scoperta delle jarchas ci sposta non solo
cronologicamente (dal XII all’XI secolo) ma anche geograficamente (le jarchas sono
prodotte a sud della penisola iberica)
I filologi hanno cercato delle strategie per datare il testo e per trovare, in maniera
scientifica, alcuni dati che esso non fornisce.
I dati ricercati dai filologi sono:
“Terminus ante quem”: È il termine prima del quale una poesia o un testo è
stato scritto: il componimento non può essere stato scritto dopo questa data.
es: nel caso di “tant’amare, tant’amare” il testo non può essere stato scritto
dopo il 1042 poiché in quell’anno è morto Ishaq, fratello di Semuel.
1042 = terminus ante quem
“Terminus post quem”: termine dopo il quale una poesia un testo è stato
scritto (non sempre è possibile trovarlo). Es: nelle “Coplas por la muerte de su
padre” conosciamo l’anno della morte del padre quindi sappiamo che il testo,
dedicato a lui, è stato scritto dopo
1476 = muore il padre di Jorge Manrique (terminus post quem)
1479 = muore Jorge Manrique
1476-1479 = scrive le “Coplas por la muerte de su padre” (terminus ante
quem)
Abbiamo detto che calila e dimna e sendebar furono due opere letterarie tradotte
durante il periodo di Alfonso X. Le opere sono legate tra loro, innanzitutto dal
periodo storico, intorno al XIII secolo, più precisamente Calila e Dimna nel 1251 circa
e Sendebar nel 1253; dall’autore, poiché la prima bene tradotta per volere di
Alfonso X mentre la seconda viene tradotta dal fratello di Alfonso X, Don Fadrique.
Il titolo completo dell’opera Sendebar è “libros de los enganos e asayamientos de las
mujeres” E questo mette in luce la misoginia, un aspetto che invade la letteratura
spagnola. Il Sendebar, come Calila e Dimna, è una raccolta di 13 racconti e ha come
tema principale la malignità della donna. Il libro narra la storia di un re che ha un
figlio da lui molto voluto che viene accusato ingiustamente da una matrigna di
violenza su di lei. Nei sette giorni seguenti mentre il principe attende il verdetto da
parte del re sette saggi racconteranno storie sulla malizia delle donne per
convincere il re. Ancora una volta notiamo quindi la struttura della storia nella
storia, presente anche in Calila e Dimna, nella quale vi è una storia che fa da cornice
(struttura narrativa esterna) + altre storie (racconti). È importante ricordare questa
struttura poiché tantissimi libri medievali la seguivano.
Marco (struttura esterna)
saggi
1 2 3 4 5 6 7
Re Alcos racconti
Vediamo che quindi in questa struttura da una parte vi è
• l’indipendenza dei racconti:
- dagli altri racconti
- dalla cornice
es: nel caso de “le mille e una notte” ogni storia ha una trama diversa e si
differenzia quindi non solo dalle altre storie, ma dalla cornice stessa.
ORIZZONTALE VERTICALE
1 ……… 2 ……cena ] emistichio 1 …….
3 ……… 4 ……piena 2 cena ] verso
3…….
4 piena
Questo spiega anche come si passa dall’anisosillabismo, tipico de cantar de gesta
(per esempio nel cantar de mio Cid, dove il numero di sillabe è variabile, di solito
sono circa 7, ma alcune volte 6, altre volte 8) verso l’isosillabismo (tipico dei
romances, ogni emistichio ha 8 sillabe, infatti i romances sono componimenti in
ottonari).
È importante specificare che non vi è una discendenza diretta tra il cantar de gesta e
i romances: ci sono una serie di elementi a livello formale, tematico…, che ci fanno
lanciare questa valida ipotesi. (Il romance de Cid non è direttamente imparentato
con il cantar de mio Cid, ma ci sono degli elementi comuni). Il cantar e il romance
non hanno una discendenza diretta, ma vi è comunque una dipendenza.
v.4-9:
In questi versi avviene l’incontro tra il conte e il marinaio. La galera, la nave, è una
nave speciale e il conte è fortunato nel vederla. In questa parte ci mettiamo dalla
parte del marinaio, visto come un essere speciale; questo incontro potrebbe essere
magico.
Abbiamo inoltre due tipi di piani: uno orizzontale, in cui si muovono il conte, dal
mare, e il marinaio dalla terra; poi c’è un piano verticale, in cui si muovono i pesci
dal basso verso l’altro e gli uccelli dall’alto verso il basso. La galera, la nave, è il
punto di attrazione, (ecco perché è così speciale) poichè sia i pesci che gli uccelli, nei
loro moti verticali e opposti, vanno verso di essa (acqua-pesci; aria-uccelli). Il mare
potrebbe essere anche quello che separa il mondo dei vivi da quello dei morti.
v.10-13:
Allì fablo: traccia dell’oralità come nel cantar, c’è bisogno di ricordare chi sta
parlando
- FONTE FRIDA
- POR EL MES ERA DE MAYO
Spesso Don Juan Manuel fa una lista di libri che ha scritto; questi ultimi parlano di
argomenti molto vasti e tra loro differenti come la guerra, ma possono avere anche
degli intenti didattici-moraleggianti (come Dalila e Dimna, raccolgono degli
exempla).
CONDE LUCANOR
In particolare il conde Lucanor, libro de los ejemplos del Conde Lucanor y de
Patronio, venne scritto nel 1335 e ha un intento didattico.
È spesso conosciuto come raccolta di racconti ma in realtà è composto da due
prologhi, e da 5 parti:
1 parte: nucleo centrale (composto da 51 exempla)
2 parte, composta da 100 proverbi, sentenze, detti “de fablar oscuro”
3 parte, composta da 50 proverbi, sentenze, detti ancora più oscuri
4 parte, composta da 30 proverbi, sentenze, detti
5 parte, che rappresenta un trattato sulla salvezza dell’anima (cosa que es muy
provechosa).
Il prologo rappresenta il primo nucleo, la seconda, terza e quarta parte, formata da
180 proverbi, rappresentano il secondo nucleo e la quinta parte rappresenta il terzo
nucleo. I proverbi del secondo nucleo vanno da una difficoltà minore a una difficoltà
sempre più maggiore e da un numero maggiore di proverbi a un numero sempre più
piccolo. Ma a noi interessa il primo nucleo, ovvero la parte maggiormente studiata e
pubblicata, composta da 51 exempla.
Trama:
È la storia di questo arciprete, l’io lirico, che dichiara di essersi innamorato e
racconta i suoi insuccessi amorosi. Cerca di contattate varie dame ma non ci
riesce. Ad un certo punto la storia cambia e si parla della storia d’amore di Don
Melon de la Huerta (Melone dell’orto) che cerca di far innamorare doña Endrina
(i due si sposeranno) e per farlo si fa aiutare da Trotaconvertos (antecedente
della Celestina). Quest’ultima è chiamata “alcahueta”, la tercera, la mezzana,
quella che mette in contatto 2 persone. Finita la storia di Don Melon de la Huerta
l’arciprete contatta a sua volta Trotaconvertos ma non riesce a raggiungere le
donne.
Struttura
- disavventure dell’arciprete 2 macrostorie + altri componimenti (canti goliardici,
loores, lotta tra Carnal e cuaresma).
- storia d’amore di don Melon
Scopo
In Europa tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo non era infrequente
che alcuni poeti o scrittori scrivessero opere come queste, costruissero
antologie, raccolte fatte di componimenti loro a cui cercavano di dare una
coerenza.
L’esempio più chiaro del periodo è “Vita nuova” di Dante, in cui ritroviamo la
fusione tra opera poetica in un quadro autobiografico (Juan arciprete), un po’
fittizio
In questo senso allora il Libro de buen amor non si presenta come un
esperimento fallito, all’interno c’è un filo, il perseguire il “buen amor”: BUEN = la
finalità è quella didattica-moraleggiante; AMOR = tema.
Il libro sembra volersi basare sullo scherzo, sull’ironia (addirittura si parlerà di
corna), ma in realtà il fine è quella di insegnare (insegnare dilettando).
- Nasce il tribunale della Santa Inquisizione, gestito dalla corona e dai gruppi
cattolici. Il suo compito era quello di scacciare i colpevoli
- Il 12 ottobre 1492 Colombo scopre l’America
- Nel 1492 venne pubblicato il Vocabulario latín-español, “lexicon”, ad opera di Elio
Antonio de Nebrija (il vocabulario è l’antenato del dizionario bilingue, e questo
dimostra un ulteriore passo avanti dal punto di vista linguistico)
- Nel 1492 esce la Càrcel de amor, di Diego di San Pedro.
Livello letterario
- Lirica cancioneril (quella che ci interessa di più)
- Libros de cavallerìas: libri in prosa che narrano le
3 espressioni che originano
vicende dei cavalieri; traggono la loro origine nel 300,
dallo stesso fenomeno:
l’indebolimento dei nobili. ma nel 400 questo diventa il genere per
antonomasia).
- Novela sentimental
Infatti il rapporto tra la nobiltà e la corona in questo periodo è molto difficoltoso,
fatto di equilibri che si spostano continuamente; l’avvento dei re cattolici è il punto
d’arrivo: questi infatti accentreranno il potere sulla corona e indeboliranno quello
della nobiltà.
La nobiltà durante il XV secolo vede venir meno dei ruoli che prima le erano
attribuiti, questo perché:
- sul piano militare cambia il modo di combattere (è un modo più simile a quello
della guerra moderna: si combatte tra truppe, non tra due persone, non c’è un
duello); per questo motivo i nobili che erano anche i cavalieri vedono venir meno del
loro ruolo all’interno delle azioni militari
- sul piano economico, si insinua una fascia nuova all’interno della società, la
borghesia e i commerciati, i quali hanno un’autonomia basata sul potere economico
- nasce e si sviluppa la burocrazia: i nobili non hanno più il peso che avevano nel
sistema feudale poichè l’accentramento statale elimina i loro poteri, che devono
essere da loro reiventati.
L’indebolimento dei nobili porta alla nascita della figura delle lettere, colui che
coltiva la letteratura (il motto era infatti il seguente: “le armi, le lettere”, poichè vi
era una fusione tra la guerra e le lettere).
INDEBOLIMENTO NOBILE FIGURA DELLE LETTERE
I nobili, attraverso la letteratura, guardano al passato, alle imprese con lo scudo e
con i cavalli con uno sguardo nostalgico: da questa base nascono i libri di cavalleria.
L’unione delle due corone, quella di Aragona e quella di Castiglia porta invece alla
nascita della lirica cancioneril
È importante puntualizzare che in questo periodo ci saranno dei rapporti altalenanti
col Portogallo, che è indipendente, frequenti lotte e battaglie che porteranno alla
rinuncia e all’abbandono del galaico-portugues e alla scelta sempre più frequente
del castigliano. Sotto le ceneri del galaico portugues nasce infatti nel 400 la lirica
cancioneril, tutta in castigliano, diventata la lingua ufficiale della Spagna.
LIRICA CANCIONERIL
Tipo di produzione poetica raccolta nei cancioneros, che sono antologie, raccolte di
componimenti poetici spesso destinati al canto. Nei cancioneros grande valore viene
dato alla sonorità, al ritmo, alla musicalitá della parola. Si chiamano così perché una
delle strofe utilizzate è la canzone (il modello è quello petrarchesco).
Tratti tipici della lirica:
- Componimenti destinati alla messa in musica
- Grande valore alla sonorità
- Si fondando su opposizioni di concetti: si utilizzano concetti contrapposti
soprattutto in posizione rimica (poiché le parole finali sono quelle messe in
evidenza)
Temi:
- amore e odio
Tutto si fonda sull’opposizione di due cose
- ricordo e oblio
che non vanno d’accordo, poiché l’una
- presenza vs. assenza esclude l’altra.
Merito di Juan:
Aver richiamato l’attenzione sul dibattito riguardo a chi può fare poesia: solo chi è
toccato dall’amore può farlo.
CANCIONERO, struttura:
Esiste un altro prologo importante che però Baena lascia fuori dal cancionero e non
si sa perché: il Marques de Santillana (Iñigo Lopez de Mendoza)
MARQUES DE SANTILLANA (INIGO LOPEZ DE MENDOZA) (1398-1458)
Membro dell’alta nobiltá, partecipa alla vita di corte con l’operato di Juan II.
Affidatogli il titolo di marchese egli incarna la figura del poeta cortigiano; la sua
affinitá con il re spiega l’astio che aveva col suo privado. Questo rapporto turbolento
lo spingerá a scrivere le colpas contra Don Alvaro (tema del privado), un’opera
contro il privado il quale aveva fatto incarcerare alcuni uomini, tra cui un amico di
Marquez. Scrisse anche un’altra opera “Bias contra fortuna” (tema della fortuna, ma
non ce ne frega), come consolazione ad un uomo che aveva visto incarcerare suo
cugino ad opera del privado.
Scrive un prologo per dedicare un opera a Don Pedro de Portugal; in questo
prologo, insieme a quello di Juan, abbiamo il concetto di “fare poesia” (cos’è e qual
è la sua funzione).
CARVAJAL (O CARVAJALES)
Non ne sappiamo molto riguardo all’autore, in realtà non sappiamo bene neanche il
suo nome. Sappiamo che ha scritto le liriche negli anni 40-60 del 400.
Il tema della cerrana ha di solito temi cruenti “la donna offre l’amore all’uomo, ma
in realtà lo violenta e lo uccide” nelle tradizioni folcloristiche, è una leggenda. Nelle
sue opere, invece, la cerrana è stilizzata.
Chiudiamo il discorso sulla lirica. Abbiamo detto che i temi fondamentali sono:
MORTE
La morte può essere
• amorosa (rifiuto d’amore)
• fisica, intesa come morte vera e propria, la cessazione della vita negli aspetti
più concreti (infatti abbiamo immagini di putrefazione di corpi,
decomposizione).
In questo senso la morte è qualcosa di molto più concreto e più vicino alla vita di
ogni uomo del 400 perché ognuno di essi affronta questa esperienza più di una volta
nella vita: si pensi al fatto che prima la morte avveniva più spesso a causa delle
frequenti guerre o epidemie (ricordiamo nel 1368 la peste), o al fatto che si moriva
prima (morte livellatrice).
La presenza della morte la troviamo anche a livello iconografico, non solo nella
letteratura (non c’era il timore della censura).
<1245: per abbat, calcolta sulla base dell’anno 0 (il nostro 38 aC), dobbiamo quindi
toglier 38 e arriviamo al 1207>
XVI SECOLO
Apriamo un nuovo capitolo, un nuovo secolo, il XVI. Apriamo quindi anche un’epoca
nuova; ovviamente le date stabilite sono convenzionali poichè i processi cambiano
gradualmente: il 1492 è una data presa molto in considerazione, considerato come il
punto di snodo dal medioevo poiché sono successe talmente tante cose a livello
storico che possono essere considerate avvenimenti epocali, che marcano un prima
e un dopo.
Cosa succede all’inizio del secolo
A questo riguardo l’apertura sul 500 anche a livello governativo provoca un
cambiamento epocale: verso la fine del 1400, precisamente negli anni 70 del 400, si
stabilisce l’unione tra il regno di Aragona e il regno di Gradana, “i cattolicissimi”, e
da quest’unione nasce il regno spagnolo.
L’inizio del 500 stabilisce una nuova realtà politica (lo Stato spagnolo) che si
concretizza in avvenimenti importanti: all’unione delle due corone succederà la
nascita di Giovanna la pazza e ancor di più l’unione di quest’ultima e Filippo il bello
darà luce a Carlo I o (Carlo V, imperatore). Egli inizia a regnare dal 1518 sulla Spagna
e dal 1519 diventa anche imperatore del sacro romano impero.
Carlo I
E importante perché:
- Nasce nel 1500, anno in cui avviene il cambiamento epocale
- Nella sua figura confluiranno una serie di eredità territoriali che faranno sì che
da Carlo I in poi si dia vita a un vero e proprio impero (mai visto fino a quel
momento in Spagna); la Spagna passa da una unità territoriale ridotta (dagli
anni 70 del 400) ad una Spagna formata e che impèra sul mondo, al punto che
uno tra Carlo I o Filippo II, l’erede, (non si sa con precisione chi sia stato) dirà
“sul mio impero non tramonta mai il sole”. Tale affermazione sta ad indicare
che i possedimenti territoriali controllati dalla corona spagnola sono tanti e
tali da far sì che il sole non tramontasse mai sull’impero spagnolo, essendo
esso così vasto.
- Con Carlo I si dà il via, quindi, a un’reatà imperiale che la Spagna non aveva
mai visto e che non vedrà mai più che va dalla data di nascita di Carlo I (1500)
alla data di morte di Filippo (1598)
Non è un caso che quando parliamo dell’arco di tempo che va dal 1492 al 1681 (data
di morte di Pedro Calderòn de la Barca, autore di “la vida es un sueño”) come
SIGLOS DE ORO o EDAD DE ORO: in questo arco di tempo la Spagna raggiunge uno
dei periodi di maggiore splendore di tutta la storia
Come correnti artistiche in questo periodo abbiamo il rinascimento e il barocco (su
quest’ultimo ci soffermeremo l’anno prossimo).
Nel 1500, con l’unione di Giovanna la pazza e Filippo il bello e la successiva nascita di
Carlo I, la corona spagnola inizia le relazioni con un’altra corona, quella del sacro
romano impero germanico. Il padre di filippo il bello, Massimiliano D’Asburgo, ne
era l’imperatore; questo significa che Carlo I, in quanto figlio di Filippo il bello e
quindi nipote di Massimiliano D’Asburgo, non solo è l’erede del trono di Spagna, ma
anche del sacro romano impero germanico.
Territori di Carlo V
Considerando i nonni, Carlo V ereditò
• dalla nonna materna più o meno tutto il regno della Castiglia;
• a parte del nonno materno, Ferdinando D’Aragona, eredita il regno di Aragona
(compreso la Catalogna e il regno di Valencia) che aveva un controllo diretto anche
sul sud Italia
• aggiungiamo che, sempre da parte dei nonni materni, Carlo V comincia ad avere il
controllo sulle terre americane, si arriva addirittura alle attuali Filippine
• tornando all’Europa, oltre a controllare il sud Italia e tutta la Spagna tranne
Portogallo, per via del nonno paterno, Massimiliano D’Asburgo, a lui toccano tutti i
territori del sacro romano impero (Carlo I è l’imperatore della Spagna, Carlo V è
inteso come imperatore del sacro romano impero).
Di fronte a un impero potremo dire universale gli altri stati (specialmente Francia e
Inghilterra e lo Stato pontificio) cominciano ad avere dei timori per la quantità dei
governi che Carlo I possiede.
Si dà l’avvio ad un epoca dorata che può essere così schematizzata
LOS AUSTRIA
Genealogia de los austria,
Carlo I, o Carlo V (1519-1556) provengono dalla casata degli
Filippo II (1556-1598) Asburgo (ricordiamo Massimiliano
D’Asburgo): durerà fino al 700
Felipe III (1598-1621) quando in seguito ad una lotta di
Felipe IV (1621-1665) successione si istituirà la casata dei
Borbone (attualmente re di spagna)
Carlos II (1665-1700)
Eventi storici e letteratura
Tutti gli avvenimenti storici hanno delle ricadute sulla letteratura:
Un esempio lampante è Miguel de Cervantes, autore del Don Chisciotte, il quale era
chiamato “el manco de Lepànto” perché egli aveva partecipato alla battaglia di
Lèpanto per contrastare l’avanzata del regno ottomano come soldato perdendo
l’uso della mano sinistra. Egli, inoltre, affronta il tema del cautivèrio, del personaggio
che viene fatto prigioniero dai pirati (Miguel si identifica con lui poiché gli successe
la stessa cosa di ritorno dalla guerra)
Ma probabilmente l’esempio migliore che testimonia il punto di contatto tra storia e
letteratura è la figura di Garcilaso de la Vega:
Siamo nel 1526: si stanno celebrando a Granada dei festeggiamenti per le nozze di
Carlo V, sono stati invitati i rappresentanti delle potenze amiche. Durante
quest’occasione avviene l’incontro tra due uomini, Andrea Navagero (ambasciatore
veneziano in Spagna, uomo di cultura) con Juan Boscàn Almogàver (uomo della
corte di Carlo, poeta). In questo incontro i due si mettono a parlare e Navagero
sottopone una questione letteraria a Juan. Egli dice di apprezzare la letteratura e la
poesia spagnola ma che potrebbe essere interessante se gli spagnoli dessero
un’occhiata a quello che stava accadendo in Italia a livello letterario già da tempo: in
particolare si riferiva al tipo di forme strofiche (terzina dantesca, sonetto, canzone
petrarchesca) e alle forme metriche, come l’endecasillabo. Ciò ebbe un’importanza
fondamentale nell’evoluzione della letteratura spagnola del 500.
Juan porge la questione a sua volta a un amico, Garcilaso de la Vega
Poeta e cortigiano (fa coincidere arti militari e letterarie) nasce agli inizi del 500
(1502-3 non si sa) si fa conoscere perché riassume in sè il perfetto ideale del
cortigiano, che nel 1528 Baldassarre Castiglione aveva riassunto in un opera
intitolata “il cortegiano” (l’opera comprende 4 libri in cui si espongono tutte le
regole che bisogna rispettare per essere considerati un perfetto uomo o doma di
corte: come la provenienza da origini nobili, buon ingegno e aspetto, abilità nell’uso
delle armi e delle lettere)
Perché menzioniamo Baldassare?
- Le date sono molto ravvicinate (1526-1528)
- Nel 1534 Boscan traduce il cortegiano in spagnolo (tradotta perché
considerata importante)
Tutto questo brulicare di cose, esperienze, traduzioni è importante perché da qui
parte la cosiddetta rivoluzione poetica Garcilasiana
Rivoluzione poetica Garcilasiana
L’influenza italiana, sia diretta (presenza di Navagero in Spagna, l’esistenza del
“cortigiano” tradotta in spagnolo), sia indiretta (presenza degli autori come Dante
Petrarca, Boccaccio) influisce sull’esperienza spagnola
‣ È garcilasiana perchè per quanto sia Juan ad avere l’incontro con Navagero (e
quindi con l’ambiente italiano) sarà Garcilaso colui che porterà a compimento la
rivoluzione
‣ È una rivoluzione, ma ancora di più un’evoluzione: si passa dal medioevo al
rinascimento.
‣ È poetica perché avviene in questo campo e vi è l’abbandono di certe forme e la
sperimentazione di altre (forme metriche e strofiche).
Juan Boscàn Almogaver
Dell’incontro ce ne parla lo stesso Boscan, poeta che spesso viene messo in ombra
dal più importante Garcilaso, ma anche lui va ricordato perché:
1 Grazie a lui abbiamo il punto iniziale della rivoluzione (senza lui non sarebbe stato
possibile tutto ciò)
2 Egli pubblicherà le opere di Garcilaso post mortem unendole alle sue.
Endecasillabo prima di Garcilaso
Prima di Garcilaso in realtà c’erano stati autori che avevano sperimentato
l’endecasillabo come forma metrica: il Marques de Santillana aveva pubblicato
alcuni sonetti. Anche all’interno della lirica precedente a Garcilaso ci sono dei
tentativi di introdurre questo metro (squisitamente italiano). Eppure tutti gli
esperimenti precedenti sono falliti: la rivoluzione di Garcilaso consiste nell’essere
riuscito ad addomesticare alla lingua spagnola l’endecasillabo, essere riuscito ad
adattare gli accenti, la musicalità e le regole dell’endecasillabo alla lingua spagnola,
cosa che gli altri non erano riusciti a fare.
Ricordiamo che Iñigo Lopez de Mendoza (o Marques de Santillana) scrisse 42
“sonetos fechos al italico modo”, composti prima di Garcilaso. Quindi Garcilaso non
ha la fama per essere il primo ad averlo sperimentato, egli fu il primo che ci riuscì.
San Juan si spinge oltre l’esperienza garcilasiana sulla cui base però si fonda. Il
“càntico espiritual” presenta, infatti, un dialogo con la tradizione garcilasiana e con
le tradizioni precedenti, superate, perché c’è l’intento di superamento di tutto
quello che si è detto prima: questo perchè l’obiettivo è nuovo e diverso, c’è la
necessità di parlare di qualcosa di cui prima non si era mai parlato, e cioè
dell’unione anima e Dio.
Egli opera quella che si chiama la “vuelta a lo divino”: trasformazione (anche nel
sonetto di Garcilaso abbiamo trovato il verbo “volver”, che stava ad indicare la
trasformazione di darne in alloro) in forma divina, su di un piano divino e religioso.
Ma trasformazione di cosa? Della tradizione amorosa precedente, quella
garcilasiana. La tradizione poetica garcilasiana San juan la trasforma, la vuelve a lo
divino, in qualcosa di divino. Dove prima c’era l’uomo che amava la donna, e
viceversa, ora c’è l’anima che ama Dio, l’uomo (essere umano) che ama Dio (essere
spirituale)
Prima c’era la religio amoris con la quale la donna rappresenta la divinità, l’oggetto
della donna si trasforma in reliquia, vi è la trasfigurazione dell’uomo amato. Ora
questi elementi, che facevano parte della sfera religiosa, dell’ambito religioso,
tornano utili perchè si vuole parlare veramente di religione. In questo modo San
Juan riesce a trasformare il linguaggio poetico che parla del profano in linguaggio
poetico che tenti di parlare del divino.
Nelle sue opere spesso troviamo una voce poetica femminile, la donna che esprime
un lamento per un amore che va cercando, quello di Dio. Con San Juan, ancora più
che con Garcilaso, questo dialogo con le tradizioni aumenta esponenzialmente
perché egli è all’esasperosa ricerca di tutto quello che gli può servire per esprimere
l’inesprimibile. Le tradizioni che ritroviamo nelle sue opere sono numerose, e sono:
- Poesia garcilasiana
- Riferimenti biblici
- Poesia petrarchista
- Poesia tradizionale
- Jarchas
- Mitologia
FIGURE RETORICHE
Uno degli atteggiamenti che dimostrano la sua disperata ricerca di qualcosa che
possa permettergli di parlare dell’esperienza mistica è l’utilizzo di figure retoriche; in
particolare una delle più utilizzate è l’ossimoro (consistente nell'accostare, nella
medesima locuzione, parole che esprimono concetti contrari, es. un giovane
vecchio) per cercare disperatamente di sviscerare tutto quello che la lingua
imperfetta può dire sulla perfezione. Ma vi è anche l’utilizzo di metafore,
allitterazioni, onomatopee. Sono tutti figure portate all’estremo: vi è una ricerca
spasmodica di qualcosa che non si può descrivere (anche più estrema di quella di
Garcilaso).
Avendo analizzato la produzione di Garcilaso e San Juan è meglio rimanere nel XVI
secolo e parlare del Lazarillo de Tormes piuttosto che della Celestina:
LAZARILLO DE TORMES
Andiamo ad analizzare il lazarillo de tormes tenendo conto che riassumere in poco
tempo tutto ciò che stato osservato su di esso è un’impresa difficile, quasi
impossibile.
Il lazarillo de tormes è un testo che ha raggiunto grossa fama, tanto è vero che è
entrato nel pantenone della letteratura spagnola.
È un romanzo tanto breve quanto ricco di informazioni da più punti di vista al punto
da permettere di dire tanto su di esso, di avere sostanzialmente 2-300 anni di critica
su questo testo. Sono così tante le cose sulle quali è stata fatta ricerca che
sorprende il fatto di non possedere, ancora oggi, alcune informazioni.
È un’opera anonima, da sempre e probabilmente è destinata a rimanerlo; sono
avanzate delle ipotesi ma fino ad oggi non è possibile attribuire il testo a un
personaggio specifico. Si comincia a parlare già nel XVI secolo del lazarillo de tormes,
esso suscita interesse già dal momento di pubblicazione. Infatti, già nel 1554 escono
4 edizioni (vedi dove) e ciò ci fa capire la fortuna che questo testo ebbe fin da
subito. La fortuna editoriale la possiamo misurare avvalendoci del numero di
edizioni e di ristampe diverse di un testo. È importante questo dato, perché non
succede mai se non c’è una grossa ricerca commerciale (DOMANDA = OFFERTA)
Sono 4 le edizioni del 1554. Ma non furono le prime e questo lo possiamo dire con
certezza. La collatio, la comparazione tra questi 4 testi hanno permesso agli studiosi
di giungere alla conclusione che queste derivino da alcune edizioni precedenti. Quali
e quando è difficile capirlo, ma sicuramente queste 4 edizioni non furono la prima
edizione, ce ne furono con certezza altre prima, e questo dato è un’ulteriore
conferma dell’importanza del lazarillo de tormes.
3 di queste 4 edizioni vengono stampate in Spagna, 1 viene stampata ad Anversa,
nelle Fiandre (attuali Paesi Bassi, possesso territoriale spagnolo con Carlo V
imperatore). Notiamo quindi come la produzione letteraria si diffonda anche in
questi paesi (come le Fiandre, il sud Italia)
Oltre al fatto che un’opera avesse molte edizioni ci rendiamo conto dell’importanza
di un testo anche tenendo in considerazione le continuazioni, le seconde parti di
esso. Se si scrivono delle seconde parti vuol dire che lo stesso autore o qualche altro
autore volle cavalcare il successo. Con il lazarillo succede esattamente questo: nel
1555 esce una seconda parte. Il fatto che qualcun altro decida di continuare le
fortune e le avversità del protagonista è il segno del grande successo (anche nel Don
Chisciotte succede, un altro autore pubblica un’altra parte apocrifa).
La sua fortuna durò per anni, ma nel 1559 il testo finisce nell’indice dei libri proibiti.
Il tribunale della santa inquisizione, in particolare Valdès, un inquisitore, lo inserisce
nell’indice (tutto ciò avviene in pochissimi anni, per sottolineare ancora una volta
che il successo dell’opera è immediato), ma ciò non arresta la sua fortuna, poichè ci
sono delle copie in giro che circolano (la domanda, a livello commerciale, si
mantiene alta)
Nel 1573 uscirà una versione purgata, “il Larazillo De Tormes castigado”: in questa
versione vengono censurate ed eliminate della parti del testo originale, considerate
poco opportune per la Santa Inquisizione e il libro viene rimesso in circolazione in
una versione epurata.
Perché è stato oggetto di attenzioni del tribunale dell’inquisizione?
Nell’opera c’è un forte anticlericalismo, nel testo vi è un trattamento ironico,
caustico e sarcastico di figure appartenenti al clero come preti, sacrestani, venditori
di indulgenze, frati, arcipreti, tutta una serie di figure che gravitano attorno al
mondo del clero. La forte critica è una delle motivazioni che spiegherebbero
l’anonimato dell’opera: in questo periodo l’autore di solito compare, poiché c’è la
stampa e il nome dell’autore viene inserito (ciò, per esempio, accade nella
Celestina). La ragione dell’anonimato è diversa dal fatto che il nome non era
un’informazione importante da scrivere (in epoca medievale era cosi), ma è una
scelta precisa e voluta dall’autore che maschera e occulta il proprio nome: il grande
grado di anticlericalismo all’interno del testo sarebbe il motivo per cui l’autore non
si manifesta. Nel 1559 infatti finisce nei libri proibiti, e questa ne è la conferma.
AUTORE
Sono state fatte delle proposte dell’ipotetico autore, ma non ci sono conclusioni
scientificamente attendibili. Possiamo però fare una ricostruzione di un’immagine di
questo autore, anche se è un’immagine molto poco chiara, sfumata.
L’autore:
- Ha l’intenzione esplicita di criticare, di muovere una critica alla società, il
clero. Questo ci porta in 2 direzioni:
1 che l’autore fosse legato al clero cattolico, che facesse parte di questo mondo e
decidesse da dentro di criticarlo. La cosa non ci sorprende, ci sono altri esempi di
questo tipo.
2 visto questo anticlericalismo, potrebbe essere che questo uomo (è sicuramente
un uomo perché le donne non si occupavano di lettere in quel periodo)
appartenesse alla religione ebraica (che fosse quindi uno giudeo converso
obbligato a convertirsi al cristianesimo) e in forma anonima criticasse il clero
dell’epoca in varie sfaccettature
- Non si tratta di un uomo come il protagonista, l’autore non si sovrappone alla
sua figura, come era successo in altri casi come nel “libro de buen amor”, nel
quale Juan Ruiz è un personaggio, e ha lo stesso nome dell’autore, o nella
“carcer de amor”. Nel lazarillo l’autore non ha niente a che fare con la figura
che ritrae all’interno dell’opera, l’autore infatti non era un povero disgraziato,
di umili origini. Per quanto la narrazione sia autobiografica l’autore non si
identifica mai con il personaggio, egli non è umile come il protagonista, ma è
un uomo colto che aveva avuto accesso a un tipo di istruzione riservato ad
una parte della società ancora ristretta. Ciò può essere dedotto da alcune
citazioni che l’autore fa di autorità latine, come Cicerone, Orazio, Plinio. La
narrazione è condotta con uno stile elevato, con un’attenzione linguistica,
strutturale, narrativa e formativa che tradiscono un autore colto.
Il libro rappresenta una novità letteraria inedita, senza precedenti.
UN EROE DIVERSO
A partire dal tema esso si occupa di un eroe, o meglio un antieroe. Il lettore medio
dell’epoca, ad esclusione della Celestina, aveva sotto gli occhi novelas sentimentales
(eroe disgraziato che vive una stroria d’amore che lo conduce alla morte) libri di
pastori, egloghe di Garcilaso, libri cavalleria. Prima l’io, l’eroe di tutte queste forme
era eroico, infortunato o disgraziato era comunque un eroe positivo. Con il lazarillo
abbiamo l’antieroe per eccellenza:
1 Ha delle origini umilissime (anche nei libri di cavalleria inizialmente c’è una
situazione analoga, ma poi si scopre che il protagonista è figlio di un re). Qui il
protagonista nasce sulle rive del fiume perché i suoi genitori sono di origini umili (la
madre, morto il padre, si accasa con un uomo di colore e da quest’unione nascerà
un figlio di colore);
2 Le avventure che vive il nostro protagonista sono umili, lo vedono attraversare
momenti difficilissimi in cui patisce la fame, prende delle botte, viene tradito dalla
moglie…
I lettori non erano abituati a tutto questo: dall’eroe si passa all’antieore che
comporta una novità senza precedenti e che dà il via ad una nuova visione
nell’ambito della letteratura: la nascita di Lazaro all’interno del panorama letterario
spagnolo, fa sì che da ora in poi la letteratura si misuri con dei personaggi diversi,
che saranno assimilabili a Lazarillo. Con lui Nasce l’antieroe, l’umile. Nessun autore
lo aveva mai fatto. La novità è questa, e ha a che fare anche con il genere letterario:
da questo momento in poi si inzia a parlare di “novela picaresca”
LA NOVELA PICARESCA
La Novela Picaresca si forma non tanto a partire dal lazarillo (il prodromo), ma si
compirà con il Guzmán de Alfarache; ci sono alcuni elementi del lazarillo che
maturando daranno vita alla novela picarecsa
Elementi:
La presenza di un giovane di umili origini che vive una vita di stenti intento a
sopravvivere in un mondo di bassi fondi e che andrà a servizio di vari padroni con la
volontà di risalire nella scala sociale; l’attitudine è antieroica. Questi elementi si
ritroveranno poi nella novella picaresca. Tutto ciò c’è in Lazaro, ma non è giusto è
considerare che la novela picaresca nasca con il lazarillo.
STRUTTURA
Il testo è costituito da un prologo e da 7 trattati
Prologo
Ci dà l’idea da subito e la misura di come non sia possibile identificare l’autore
identificarlo come un uomo come Lazaro. Già nel prologo la seconda frase fa
riferimento a Plinio, a Cicerone, e ci sono all’interno di tutto il prologo e nei 7 trattati
vari riferimenti, varie citazioni sia dirette che indirette. Ciò vuol dire che l’autore è
conscio di utilizzare determinate strategie retoriche e vuole dimostrare tutta la sua
bravura retorica. Nel presentare nel prologo la propria opera vuole mostrarvi tutta
la sua sapienza.
Del prologo ci interessa soprattutto l’ultimo paragrafo dove dice “suplico a…”.
Questo paragrafo racchiude una miriade di significati, allusioni, critiche (è breve ma
dice tanto): sul piano più superficiale potremmo dire che Lazaro supplica con una
strategia retorica che si chiama captatio benevolentia (“presentazione di un’opera
consegnata nelle mani del suo dedicatario”, non è inedita del lazarillo) di ricevere il
romanzo che ha scritto; già nell’egloga 1 di Garcilaso altri autori dedicavano opere
ad altre persone che le mettevano in mano ai dedicatari. Ciò che è nuovo è il modo
in cui l’autore utilizzi la strategia, con altri fini: il dedicatario, a differenza
dell’egloga, è anonimo. Non sappiamo chi è vossignoria, al punto che alcuni critici
hanno pensato che si trattasse di una donna, non un uomo. Non ci sono dati, quello
che possiamo dire è che è un dedicatario anonimo.
Oltre a questo c’è una frase del paragrafo, la seconda che è molto importante
perchè spiega, all’interno della finzione letteraria, la ragione per cui ha scritto
questo romanzo: il romanzo non è frutto dell’iniziativa del protagonista, di Lazaro. È
stato questo “vuestra merced” a scrivere per primo chiedendo che Lazaro scrivesse
e raccontasse la sua storia.
1 C’è un ribaltamento: non è più l’autore che per primo scrive, ma è l’autore
che risponde alla richiesta di scrivere;
2 All’interno della finzione vuestra merced non ha chiesto a Lazaro di scrivere
un libro a caso, ma la richiesta è relativa alla scrittura di un caso, IL CASO.
Esiste un solo caso, un tema, un avvenimento. L’obiettivo è avere “entera
noticia” di me persona, notizia totale su di me, informazione completa.
Questa parola “el caso” la ritroviamo esattamente uguale alla fine del testo,
quando Lazaro riesce a sistemarsi, a trovare lavoro e una moglie, che però è
oggetto di dicerie, in quanto si dice che abbia dei rapporti con l’arciprete.
Lazaro chiede conto alla moglie di queste dicerie e lei reagisce cominciando a
maledire a piangere e a dare in escandescenze; ella giura di non aver niente a
che fare dal punto di vista erotico con questo arciprete finché Lazaro dice “ho
promesso di non tornare più su questa cosa”. (ovvero sul fatto che correvano
voci di cui Lazaro chiede conto alla moglie) ed è proprio qui che utilizza questa
parola, poiché dice “sobre el caso”, decide di non affrontare più la questione.
Scopriamo così che vuestra merced è amico dell’arciprete che, date le dicerie
su di lui, chiede a Lazaro di scrivere per esteto la storia; il caso a cui si fa
riferimento è quello relativo al possibile tradimento da parte della moglie di
Lazaro. Si cela una forte circolarità, perchè si parla all’inizio e alla fine della
stessa cosa, si chiude un cerchio, si crea coerenza all’interno della struttura
del testo. Durante tutta la lettura li lettore non sa quale sia questo caso,
poiché all’inizio si menziona ma non si dice cos’è; solo alla fine il lettore lo
scoprirà. Questa è un’ulteriore conferma della forte presenza di una critica al
clero: arciprete è accusato, perché viene meno al voto di castità. Si veda come
anche all’interno di un solo paragrafo noi troviamo una serie di riferimenti che
irradieranno durante tutto il testo.
L’opera è strutturata così, in modo sapiente con la volontà di avere dei
collegamenti tra varie parti, di stabilire circolarità, ricorrenze, dei temi che
ritornano. Il nostro autore anonimo lo fa con un uso magistrale di alcuni
espedienti:
- I trattati sono 7 come i padroni (7 trattati = 7 padroni)
- C’è una prima parte relativa alla narrazione delle umili origini di Lazaro, che
nasce all’interno del rio Tormes. Dopo questa prima parte introduttiva sulle
origini, la mamma, affida Lazaro ad un cieco, per sfamarlo. Con il primo
aneddoto si ha l’inizio del rapporto tra Lazaro e il cieco: “salimos de
salamanca…”, “simplemente”: sempliciotto. Lazaro ci dice che in quell’istante
gli sembrò di risvegliarsi. “Pareciome que en aquel…” primo aneddotro, “toro
e statua di…” una gran calabasada” da questo momento lui si risveglia dalla
sua giovinezza, dall’essere bambino, condizione in cui si era addormentato, a
diventare un uomo grazie al cieco.
- 2 aneddoto: rubare l’acino d’uva
- 3 aneddoto: la salsiccia che Lazaro ingoia e che il cieco gli fa sputare
- 4 aneddoto: Lazaro ruba del vino dal contenitore in cui era custodito
praticando un forellino e tappandolo con la cera
- Ultimo aneddoto, verso la fine del 1 trattato: Lazaro e il cieco devono
attraversare un ruscello. Il cieco chiede di essere indirizzato in un punto in cui
esso si faccia più stretto per saltare e non bagnarsi: il cieco si mette nelle mani
di Lazaro, gli “accecò l’intelligenza” (questo è un gioco sapiente tra la cecità
vera e quella metaforica della ragione). Lazaro lo mette di fronte a una
colonna di pietra e si mette dietro come chi attende un toro che lo sta
investendo. Il cieco si fida e da con la testa contro la colonna che risuona “con
una gran calabasa, una grande zucca”. Il cieco cade a terra con la testa
spaccata (gioco tra “ole” annusare, “ol” urrà). Cosi come si era aperta
l’esperienza col cieco così si chiude, con una zuccata, che all’inizio dà Lazaro e
alla fine il cieco. Ciò segna un evoluzione: Lazaro è diventato uomo, si è
risvegliato. Qui abbiamo la prova che egli è cresciuto e ne sa una più del cieco
(non del diavolo, come dice il cieco). Questo episodio mostra sia la circolarità
sia l’ironia.
- A proposito di circolarità e ironia all’interno del 1 trattato nella prima parte
Lazaro introduce la figura della madre vedova che si congiunge con un
“negro” e fa un figlio, l’espressione “mi viuda madre, como sin marido y sin
abrigo se viese” “arrimarse a los buenos” fare parte dei buoni. La decisione è
quella della madre, è un’espressione non di uso comune, che può rimanere
negli occhi dei lettori. Ritroviamo questa stessa espressione alla fine del
Lazarillo, nel trattato 7 che riporta un dialogo diretto con il suo padrone a cui
dice “senor, le dije, yo determinè de arrimarse a los buenos”. Ciò si riferisce a
Lazaro, che alla fine del suo percorso duro e fatto di sacrifici, è arrivato a una
posizione scomoda in cui ha il sospetto che sua moglie lo tradisca. Ma,
nonostante ciò, egli decide di stare dalla parte dei buoni e di accettare la
condizione. Questa frase si ripete e ciò ci dà conto della circolarità tra la
madre e il figlio: nulla si modifica, Lazaro, rappresentante della sua famiglia,
non può raggiungere un livello superiore rispetto alle origini da cui prende le
mosse. È come se ci fosse una sorta di logica deterministica che fa sì che il
personaggio giri in circolo. È come se non potesse mai uscire dalla condizione
di partenza. In ciò l’autore mostra una critica forte alla società, descrive un
personaggio che per quanti sacrifici faccia non può migliorare la propria
condizione e decide di stare dalla parte dei buoni, cioè di accettare un
compromesso, di accettare che la moglie potrebbe tradirlo. Allo stesso modo
la madre rimasta vedova accetta una sorta di compromesso, quello di stare
con un’altra persona, di condurre una vita fuori dagli schemi della società.
- 2 trattato: Lazaro va a servizio di un clerico dopo aver abbandonato il cieco.
Qui possiamo vedere di nuovo questo anticlericalismo, perché il prete che
dovrebbe dimostrare una serie di qualità come la carità, la generosità è un
prete che ha una serie di caratteristiche sia comportamentali che morali
esecrabili: è crapulone, gli piace mangiare, è avaro. Lazaro riassume questa
evoluzione dal 1 al 2 padrone in “escapuè del trueno y di en el reis” “di male
in peggio: se con il cieco qualcosa sotto i denti si riusciva a mettere, con il
clerico no. L’argomento dell’intero trattato (già presente nel 1 trattato) è
quello della fame. C’è anche l’arca, l’oggetto del desiderio, un baule nel quale
il nostro prete conserva il cibo. Il trattato intero si svolge, ruota, attorno a
quest’arca. Dobbiamo immaginare Lazaro fisicamente che gira attorno al
baule cercando di rubare di volta in volta qualche pietanza al prete. La fame è
tale che egli arriva addirittura a sperare che la gente muoia così che possa
mangiare ai funerali.
Dal 1499-1501 abbiamo quindi 3 edizioni. A questi dati aggiungiamo altre edizioni
del 1502, anche se non si sa se tutte queste furono realmente stampate durante
quest’anno. Ma sappiamo con certezza che rispetto a quelle precedenti, nelle
edizioni di Salamanca e di Toledo l’autore modifica il titolo da “Comedia…” a
“Tragicomedia de Calisto y Melibea” (in queste edizioni l’autore si mette nel mezzo e
definisce il libro sia tragico che comico); in un’ulteriore edizione cambia ancora il
nome a “Libro de Calisto y Melibea y de la puta vieja Celestina” (qui a Calisto e
Melibea si aggiunge la Celestina, quella che probabilmente è la vera protagonista del
libro).
● 1502: “Tragicomedia de Calisto e Melibea” + ”Libro de calisto y Melibea y de la
puta vieja Celestina”
Già dalle edizioni possiamo non solo notare il successo dell’opera ma anche e
soprattutto parlare di una certa instabilità, o oscillazione, del testo che poi vedremo
presente sotto vari aspetti (qui abbiamo visto l’oscillazione delle edizioni e
dell’attribuzione del genere tragedia/commedia).
OSCILLAZIONE TITOLO
Anche nel titolo abbiamo un’oscillazione, poiché l’autore lo modifica. Ce lo spiega lui
nella lettera che scrive a un amico, e più in particolare al lettore (“Poiché ho notato
un’oscillazione tra commedia e tragedia, ho deciso di cambiare il testo in
tragicomedia”)
Inoltre Calisto e Melibea, che sono personaggi importanti, devono fare i conti con la
presenza sempre più ingombrante della mezzana, la Celestina. Ella acquisterà
sempre più importanza e centralità tanto è vero che la nostra edizione porta il titolo
di Celestina (Calisto e Melibea sono messi un po’ più in secondo piano).
Il testo è in continua evoluzione:
- 1499-1500-1501: cambiamento voluto dall’autore. Ci sono alcuni testi para
testuali (che contornano il libro) che vengono aggiunti nelle quali si
specificano alcune cose (1499-1501). Gli atti sono 16.
- 1502: cambiamento sempre volito da lui ma nella ricezione, che studia come
le opere vengono recepite, il rapporto del lettore con l’opera. Nell’ultima
edizione abbiamo l’aggiunta testuale di 5 atti in più (da 16 a 21 atti)
OSCILLAZIONE AUTORE
In realtà dobbiamo fare un’ulteriore suddivisione:
(1+15) +5
Dove i 16 atti sono la continuazione di un primo capitolo di cui non sappiamo
l’autore da lui trovato a Salamanca e da lui continuato. Ciò risulta vero perché si
nota la differenza di stile dal primo atto agli altri (è questo un’ulteriore elemento che
si conferma il movimento del libro, ecco perchè non lo possiamo considerare
statico: Fernando voleva prolungare il piacere nel lettore e decide quindi di
continuare il testo).
OSCILLAZIONE TEMI
Il dinamismo di questo testo lo ritroviamo anche guardando all’interno del testo:
Fernando si abbevera di tutta una serie di fonti precedenti e del suo tempo, e
prende da queste dei tratti, dei canoni, presenti per esempio nella novela
sentimental (che, a differenza della Celestina è statica). Nonostante ciò, il testo
presenta dei risvolti del tutto inediti e innovativi, come il dinamismo o il fatto che i
personaggi sono in continuo movimento.
OSCILLAZIONE TEMA DELL’AMORE E DEI PERSONAGGI
Se ci mettessimo nei panni di un lettore dell’epoca e aprissimo il libro penseremmo
di trovarci di fronte all’ennesimo romanzo sentimentale, leggendo il primo dialogo.
Si parla, infatti, di una religio amoris: Calisto si mostra dato all’amata, utilizza
concetti come quello della ricompensa, della bellezza della donna paragonata a
quella di Dio. Da questo momento in poi, però, tutto prenderà una strada inedita
poiché non si parlerà di adorazione dell’amata che non può essere toccata, alla
quale ci si può avvicinare solo tramite una lettera: qui Calisto pensa subito a un
modo per conquistare l’amata fisicamente e per farlo si avvale di una mezzana, che
non è il solito deuteragonista, ma è una vecchia prostituta (di lei si ricordino le
origini nell’atto 1 in cui Pàrmeno la chiama “vecchia puttana” (ecco dove sta
l’innovazione)
Inoltre la concessione dell’oggetto da parte di Melibea era considerato un gesto di
favore se consideriamo i canoni dell’amor cortese. Qui invece la Celestina dà a
Calisto un pezzo di corda perché lui le ha promesso una ricompensa, del denaro.
Quindi, seppur si riprendano degli elementi appartenenti alla tradizione precedente,
questi poi vengono rivoltati in maniera del tutto innovativa.
Tutto viene ridotto a istinti:
► In Celestina, Pàrmeno e Sempronio, l’istinto è quello di adoperarsi per ricevere in
cambio del denaro (nel caso dei due schiavi la Celestina ha promesso loro oltre che
parte del denaro anche delle prostitute); questi personaggi fanno parte del mondo
basso, perché il loro desiderio è materiale
► In Calisto l’istinto che c’è è la ricerca dell’amore, ecco perchè fa parte del mondo
alto; ma più che amore spirituale di cui si parla nella novela sentimental, Calisto è
alla ricerca di un amore carnale; il corteggiamento che attua è solo un mezzo per
arrivare a un fine: godere sessualmente di Melibea. Ecco un’ulteriore svolta:
l’effettiva realizzazione carnale non si era mai vista prima, è del tutto inedita.
L’attrazione erotica sicuramente c’era prima, ma l’obiettivo non si raggiungeva mai;
qui ciò accade, ed è un’ulteriore degradamento rispetto alla tradizione: la tensione
finisce quando si concretizza l’attrazione.
OSCILLAZIONE TEMA DELLA MORTE E LO SPAZIO
Ci sono tutti una serie di morti che hanno portato l’autore a ridefinire il testo da
commedia a tragicommedia.
Atto 12
Celestina dopo esser stata pagata da Calisto in seguito alla riuscita della prima
incursione a casa di Melibea ruba il cordone e Calisto paga Celestina che dovrebbe
dividere con i suoi servi il denaro ricevuto (1/3 alla Celestina, 1/3 a Pàrmeno e 1/3 a
Sempronio), ma ella si rifiuta di pagarli. Così i servi la uccidono e la sua morte
(orizzontale) dà l’avvio a una catena discendente di morti. Melibea e Calisto si
parlano attraverso una fessura e si danno appuntamento per consumare questo
amore. I servi uccidono Celestina (morte orizzontale).
Atto 13
Scopriamo che i servi vengono trovati e giustiziati sulla pubblica piazza a causa della
loro cupidigia, il volere sempre più denaro (ecco altri due morti orizzontali)
○ Morti orizzontali (Celestina, Pàrmeno e Sempronio): avvengono senza una caduta,
sono violente e le riconduciamo a uno strato sociali basso (i personaggi sono di
bassa estrazione sociale)
○ Morti verticali (Calisto e Melibea): muoiuono il primo scivolando da una scala (da
un punto alto a un punto più basso) e la seconda, assistendo alla morte del suo
amato, decide di suicidarsi lanciandosi dalla stessa torre (dall’altro verso il basso). Le
loro sono morti verticali, poiché i personaggi sono nobili e cadono dall’alto verso il
basso.
La simbologia dello spazio orizzontale e verticale e la caduta verso la morte non
possono non farci pensare all’intento morale dell’opera, che è un'altra delle cose
anticipate nel prologo (“per ammonire i giovani e per metterli sull’avviso delle pazzie
d’amore”): aver perseguito un amore carnale e un bene del tutto materiale (il
denaro) hanno portato a questo
[A questo proposito io ho fatto una domanda: “Il fatto di rappresentare il
movimento su un piano orizzontale e su uno verticale, potrebbero ricondurci anche
a un intento morale dal punto di vista religioso? Cioè magari il piano orizzontale ci fa
pensare a una visione terrena e il piano verticale ci dà modo di vedere una visione
ultraterrena”]
Lo spazio
Atto 1, pag. 26-27
Lo spazio viene rappresentato attraverso le parole: “Dove si è cacciato quel
maledetto?”. Esso è nascosto dietro quelle che si chiamano le didascalie (parti di
testo che gli attori non recitano e che indicano le posizioni da compiere, lo spazio in
cui si svolge la scena) implicite (attraverso i dialoghi in modo silenzioso l’autore ci fa
capire quali sono gli spazi, ce li fa immaginare). Sono le parole che ci descrivono lo
spazio in cui si inscrive la scena.
Il tempo
Atto 1, pag. 41-46
Normalmente quando si bussa alla porta si chiede chi è e si apre, il tutto nell’arco di
pochi minuti; qui invece il tempo è dilatato e dura 5 pagine, solo alla fine di esse la
Celestina dice di sentire dei passi.
Quando i personaggi si spostano da un luogo all’altro noi troviamo la possibilità di
comprimere o dilatare il tempo, far durare più tempo un azione di quanto non
durerebbe normalmente o viceversa.
Se rapportiamo la Celestina alla novela sentimental possiamo notare in quest’ultima
la staticità attraverso il protagonista che non fa nulla per migliorare il rapporto con
la sua amata, anzi prova piacere nel sentimento di pena, tristezza, compassione e lo
scambio di lettere non fa che aumentare questo stato d’animo. A tutta questa
staticità si contrappone il dinamismo e la tridimensionalità della Celestina (già il
fatto che la Celestina si presenta come dialogo che potrebbe essere recitato ce lo fa
notare). A tutto ciò si aggiunge la questione linguistica.
LINGUA
Uscendo da una certa staticità precedente e ponendosi come punto di svolta la
Celestina rappresenta dei personaggi che possono cambiare completamente
registro linguistico, non sono fissi e cristallizzati all’interno del proprio personaggio.
Nei libri di cavalleria il protagonista non poteva mai farsi scappare un’imprecazione,
non poteva mandarlo a quel paese, maledirlo. Il protagonista proprio perchè
incarnazione di quel paradigma parlava coerentemente con quel paradigma; ciò
appiattiva completamente il personaggio. Qui invece i protagonisti possono riferirsi
a Seneca, Petrarca e utilizzare quindi un registro più alto, ma anche lasciarsi sfuggire
delle maledizioni, utilizzando, in questo caso, un registro più basso: si mostrano
come persone a tutto tondo (tipo nell’atto 1 pag.26)