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LETTERATURA SPAGNOLA

La geografia della Penisola iberica


NORD EST: FRANCIA
La penisola iberica è bagnata dal mare tranne nel tratto in cui è collegata con resto
di Europa (più in particolare con la Francia). La Francia influenza molto la Spagna nel
corso del tempo. Es: nel 1981 con la riforma cluniacense si riforma lo statuto dei
benedettini: tutti i monasteri benedettini della Penisola iberica vennero dati ai
monaci francesi. Dal X secolo in poi, quindi, troviamo traccia della Francia in molti
ambiti, nella poesia, nella letteratura...
SUD: MAROCCO
La penisola iberica non subisce l’influenza soltanto dalla Francia ma anche dagli
arabi.
Sappiamo che lo stretto di Gibilterra è lo stretto che collega Spagna e in Marocco.
Questo separa e allo stesso tempo unisce la Spagna (e più in generale l’Europa) dai
paesi nordafricani. Questa vicinanza favorì l’invasione araba nella penisola iberica
che avvenne dalla 711 al 1492. Le prime testimonianze letterarie le troviamo scritte
in arabo in terra occupate dagli arabi, le cosiddette “jarchas” (brevi componimenti
poetici scoperti negli anni 60 del XX secolo).
Ancora oggi sentiamo parlare del “cammino di Santiago” che è il pellegrinaggio a
Santiago de Compustela, in Galizia, dove risiedono le reliquie di Santiago, in italiano
San Giacomo. Santiago de Compustela nell’800 d.C. era tutta conquistata dagli arabi
tranne che nel nord della penisola iberica. Inizialmente sono i testi, le poesie e le
canzoni orali a lasciare la traccia da cui trae origine tutta la letteratura spagnola.
EST: MAR MEDITERRANEO
La zona orientale è bagnata dal Mar Mediterraneo; ciò implica che la penisola
iberica sarà influenzato anche dall’Italia. In seguito vedremo che ci saranno
influenze da parte di grandi poeti italiani quali Dante, Petrarca.
OVEST: OCEANO ATLANTICO
Questa zona era considerata il plus ultra, le colonne d’Ercole da non varcare.
Sappiamo che poi nel 1492 Cristoforo Colombo conquisterà l’America.
NORD: INGHILTERRA
Non c’è una grandissima influenza in ambito letterario da parte dell’Inghilterra. A
partire dal XVI e XVII secolo ci saranno scontri politici ed economici tra Spagna e
Gran Bretagna.
2 lezione: “Come arriviamo al X secolo”
INVASIONE DEI ROMANI (218-19 a.C.)
Partiamo dall’invasione dei Romani nella Penisola iberica, che avvenne dal 218 a.C.
fino al 19 a.C. I Romani impiegarono 200 anni per conquistare tutto il territorio
iberico (romanizzazione) e a diffondere la propria lingua, il latino (latinizzazione).
Con i romani assistiamo dunque al processo di romanizzazione, l’occupazione
romana della penisola iberica, all’interno del quale vi è un ulteriore processo, la
latinizzazione, con il quale si diffuse il latino.
LINGUA
I romani portarono nella penisola il latino classico che nel tempo è andato
evolvendosi sempre di più verso il latino volgare, che era quello parlato dal volgo,
dal popolo. A quel tempo erano poche le persone che potevano permettersi di
imparare e di studiare il latino classico, e molte che invece parlavano il latino di tutti
i giorni, il volgare. Si assistette pertanto al fenomeno della diglossia, processo
secondo cui una lingua prende due strade diverse: più nello specifico il latino era sia
classico (conosciuto da pochi) che volgare (parlato da molti). Dal latino volgare si
arriverà poi a parlare di “romanze”, molto vicino allo spagnolo attuale.
CONQUISTA DI NUMACIA (133 a.C.)
Gli anni che i romani impiegarono per conquistare la Penisola furono molti, 200, a
causa della dura resistenza che gli spagnoli opponevano. Vi è un esempio particolare
che mostra la tenacia della popolazione spagnola, ed è la conquista di Numacia, una
roccaforte situata a pochi chilometri da Soria. Pur di non cedere all’assedio, la
popolazione della Numacia decise di suicidarsi in maniera collettiva (troviamo traccia
di ciò anche grazie a Miguel de Cervantes)
Nel 479 d.C si ha poi la caduta dell’impero romano D’Occidente.
PERIODO VISIGOTO (409-711 d.C.)
Ma al substrato romano dobbiamo aggiungerne un altro: quello visigoto, barbarico.
Infatti dal 409 fino al 711 d.C., arco di tempo noto come “periodo visigoto”, i barbari
invasero la penisola iberica.
I barbari dal punto di vista letterario lasceranno una traccia labile siccome parliamo
di un periodo in cui non vi sono fonti letterarie scritte, ma solo orali.
Durante il periodo visigoto si iniziano a diffondere alcune religioni quali il
cristianesimo e il cattolicesimo. Nel 587 Re Recardo si converte al cristianesimo.
Non solo in epoca romana, ma anche nel periodo visigoto vi è un evento collocato
nel 710/711, a ridosso della fine dell’invasione barbarica, che conferma ancora una
volta il carattere resistente della popolazione iberica: nel 710 Re Rodrigo, visigoto, si
innamora di una sua dama, Florinda, detta “la cava”, che rifiuta l’offerta amorosa.
Per vendicarsi Rodrigo violenta la fanciulla la quale è la figlia del conte don Juliàn,
governatore de la Plaza di Ceuta, cittadina strategica in possesso di Rodrigo e
affidata a don Julian. Quando quest’ultimo scopre della violenza sulla figlia da parte
di Rodrigo, si vendica e apre le porte alle truppe arabo-musulmane che da questo
momento invasero il territorio iberico. Questo avvenimento non è attestato, ma lo
troviamo spesso nelle fonti letterarie.
INVASIONE ARABO-MUSULMANA (711-718 d.C)
Quasi tutta la Penisola iberica venne conquistata dagli arabi in soli sette anni, nel
periodo denominato “conquista”; rimase solo un lembo di territorio non
conquistato nel nord. (Gli arabi arriveranno poi a conquistare anche la Francia).
Dall’anno zero fino al 700 sono passati solo 7 secoli e la Penisola iberica si è già
arricchita dal punto di vista culturale, letterario, linguistico. Dal 711 al 756 gli arabi
stabiliscono un vero e proprio emirato che dipende da Damasco. Dal 756 al 1031 vi è
il Califfato di Cordova (il califfo è il sovrano). Dal 1031 al 1492 vi è la cosiddetta fase
dei reinos de taifas; quest’ultima è più discendente dal punto di vista degli arabi
poiché il Califfato di Cordova si sgretola in tanti piccoli regni i quali pian piano
vengono conquistati dalle truppe cristiane, fin quando non viene conquistato
l’ultimo regno, Granada, nel 1492. È proprio questo l’anno in cui si completa il
processo di “reconquista”, che aveva avuto inizio nel 718. Questo processo fu
disomogeneo e duraturo poichè i cristiani impiegarono molti secoli per riconquistare
la Penisola iberica.
Conquista: 711-718 Reconquista: 718-1492
La situazione del X secolo era questa: a sud vi era il Califfato di Cordova che andava
pian piano sempre più sgretolandosi, mentre i cristiani stavano conquistando i vari
regni, soprattutto al Nord. Quest’ultima era sicuramente la zona in cui vi era il
maggior numero di cristiani, ma anche in altre zone della penisola vi erano persone
che si convertivano al cristianesimo, oppure persone conquistate che per rimanere
nel loro territorio dovevano pagare delle tasse: ciò avveniva a causa dell’incontro
scontro tra gli arabi e i cristiani. Era in atto, quindi, un’ibridazione non solo di
persone, ma anche di lingue, culture e letterature. Un esempio di ibridazione è la
divisione che vi è tra:
1 MOZAREBES: i cristiani che rimangono in territorio arabo
2 MULADIES si convertivano alla religione araba (islam)
Questa convivenza con gli arabi spiega come mai la lingua spagnola ha origini arabe.
EBREI (fino al 1492)
Al sostrato romano e visigotico dobbiamo aggiungerne un terzo: quello ebreo.
(ANDALUSIA deriva da AL ANDALUZ, termine ebraico). Gli ebrei rimangono in
territorio iberico fino al 1492, quando i re cattolici emanano l’editto del 31 marzo
con il quale gli ebrei e gli arabi sono tenuti a convertirsi al cristianesimo altrimenti
sono obbligatoriamente espulsi dalla Penisola. Gli spagnoli dovettero affrontare un
momento di difficoltà economica causato dalla perdita degli ebrei e delle loro
ricchezze che portarono con sé. Spesso invece vi era chi si convertiva al
cristianesimo ma professava di nascosto la propria lingua: furono chiamati così i
“conversos”, o cristianos nuevos, contrapposti ai cristianos viejos. Questa divisione
fece nascere la cosiddetta questione de la limpieza de sangre della quale troviamo
traccia in varie opere letterarie.

GLOSAS EMILIANENSES
Le glosas emilianenses rappresentano la prima attestazione di diglossia: ricordiamo,
infatti, che nell’XI secolo il territorio ispanico era occupato a sud dagli arabi e a nord
dai cristiani. Da quest’ultima zona proviene l’attestazione, perché è solo qui che
viene parlato il latino classico; il volgare era invece parlato in tutta la penisola
iberica.
“Glossa” letteralmente vuol dire “breve spiegazione”.
Le glosas emilianenses erano glosse trovate nel monastero di San Millan de Cogolla
(Logroño) e si chiamano emilianenses dal nome del Santo del monastero. Esistono,
però, anche le glosas silenses, custodite nel Monastero di Santo Domingo de Silos
(Burso).
In questo periodo il libro si scriveva a mano dall’amanuense, il quale copiava e
trascriveva libri (allora non esisteva la stampa). I libri si scrivevano su pergamena,
che era fatta da pelli di animali trattate che diventavano le pagine dei libri.
I codici all’interno dei quali compaiono le glosas sono libri che contengono
preghiere, testi agiografici, vite dei santi legati alla religione cristiana; sono scritti in
latino classico lontano dal volgare e dalla quotidianità.
Le glosas sono la traduzione di termini dal latino classico al volgare (sono paroline,
spiegazioni che traducono le parole dal latino classico alla lingua parlata in quei
secoli, il latino volgare, il romance, che sta evolvendo sempre più verso lo spagnolo).
Perché le “glosas emilianenses” sono importanti? Per due motivi:
- a livello linguistico, ci permettono di capire l’evoluzione della lingua (ci sono delle
parole in latino e delle parole in spagnolo).
- queste sono prodotte in un monastero e ciò spiega la fortissima influenza della
religione sulla letteratura. Il monastero era il centro di irradiamento della cultura,
che non è per tutti perché:
• la pergamena costa
• gli amanuensi impiegano molto tempo per scrivere
Da ció se ne deduce che la cultura scritta non è alla portata di tutti; esiste anche una
cultura orale della quale sappiamo poco.

JARCHAS
Le jarchas sono brevi poesie composte da 2 o 3 versi e rappresentano la prima
manifestazione letteraria in ambito iberico.
Ci troviamo nel XIII secolo, un momento storico in cui la reconquista è assestata
(718-1492) e solo il regno di Granada non è stato conquistato; nel nord del regno di
Granada ancora vivono gli arabi e musulmani. Esiste quindi ancora quell’ibridismo
che dà vita a queste manifestazioni in caratteri arabi ed ebraici ma in lingua
iberroromanze. Lo stesso termine “jarcha” è la trasformazione in alfabeto latino e
pronuncia spagnola di una parola araba che significa “uscita”, “fine”, proprio perché
queste brevi poesie sono poste alla fine di altri componimenti poetici chiamati
“moaxajas”, la cui traduzione è “adornato con una cinta doppia”. Si tratta perciò di
componimenti molto carichi di bellezza, come dice il termine “adornati” dal punto di
vista retorico e linguistico. Le moaxajas sono quindi i componimenti mentre le
jarchas ne costituiscono la fine.
MOAXAJAS = COMPONIMENTI
JARCHAS = FINE
Moaxajas e jarchas possono, per questo motivo, considerarsi sia indipendenti che
legate:

INDIPENDENTI MOAXAJAS JARCHAS


- Tematicamente Sono componimenti di Di impianto amoroso,
tipo elogiativo, esaltano la parlano quasi
figura di uno o più esclusivamente di amore
personaggi triste e doloroso
- Soggetto L’io lirico è maschile L’io lirico è femminile
(sono sempre dei
monologhi, ma possono
avere un interlocutore, di
solito una madre una
sorella, a cui il parlante si
rivolge)
- Lingua Scritti a caratteri arabi o Scritti a caratteri arabi o
ebraici ebraici ma tradotti
diventano iberorromance
(ciò ci da l’idea
dell’ibridazione)
DIPENDENTI MOAXAJAS JARCHAS
- Autore Sono pochi uomini, una Sono pochi uomini, una
decina, a scrivere e decina, a scrivere e
spesso in anonimo (le spesso in anonimo (le
donne non hanno ancora donne non hanno ancora
accesso alla cultura) accesso alla cultura)
- Ritmicamente Partono da un modello, La jarcha si collega alla
quello della “qasida”, moaxaja perché ne
forma poetica utilizzata riprende la rima degli
per il corano molto ultimi versi
elevata e presenta delle
connotazioni sacre. Si
organizzano in strofe*, in
nuclei di versi

*Ogni strofa della moaxaja è composta da cinque o sei versi; i primi quattro/cinque
versi rimano allo stesso modo (rima coerente). Per ogni strofa si ripete la stessa rima
alla fine di queste stesse strofe: gli ultimi versi delle strofe rimano sempre allo stesso
modo, creando così una coerenza tra le varie strofe. La rima finale di ogni strofa la
ritroviamo, poi, come rima della jarcha:
I strofa II strofa
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
xxxxx xxxxx
yyyyy yyyyy
yyyyy amore yyyyy cuore

Fino agli anni 50-60 del secolo scorso nei libri di letteratura spagnola noi avremmo
trovato che le prime testimonianze sono le “cantigas galaico-portuguesas”, non le
jarchas (XI secolo). In realtà queste sono collocate attorno al XII secolo, quindi sono
la seconde testimonianze più antiche e sappiamo che sono prodotte in Galizia, nel
nord dell’attuale Portogallo. La scoperta delle jarchas ci sposta non solo
cronologicamente (dal XII all’XI secolo) ma anche geograficamente (le jarchas sono
prodotte a sud della penisola iberica)
I filologi hanno cercato delle strategie per datare il testo e per trovare, in maniera
scientifica, alcuni dati che esso non fornisce.
I dati ricercati dai filologi sono:
 “Terminus ante quem”: È il termine prima del quale una poesia o un testo è
stato scritto: il componimento non può essere stato scritto dopo questa data.
es: nel caso di “tant’amare, tant’amare” il testo non può essere stato scritto
dopo il 1042 poiché in quell’anno è morto Ishaq, fratello di Semuel.
1042 = terminus ante quem
 “Terminus post quem”: termine dopo il quale una poesia un testo è stato
scritto (non sempre è possibile trovarlo). Es: nelle “Coplas por la muerte de su
padre” conosciamo l’anno della morte del padre quindi sappiamo che il testo,
dedicato a lui, è stato scritto dopo
1476 = muore il padre di Jorge Manrique (terminus post quem)
1479 = muore Jorge Manrique
1476-1479 = scrive le “Coplas por la muerte de su padre” (terminus ante
quem)

CANTIGAS GALAICO PORTUGUESAS


Abbiamo detto che cronologicamente dopo le jarchas abbiamo le cantigas galaico
portuguesas; infatti la scoperta delle jarchas spostava sia cronologicamente che
geograficamente (dal Nord al Sud) il territorio delle prime testimonianze scritte.
Le cantigas galaico portuguesas si verificano in Gallego portuguesa, cioè in Galizia,
nel Nord del Portogallo. Le cantigas sono delle manifestazioni poetiche “cantate”,
come dice appunto la parola. Esse sono quindi composte di note e testo, scritte per
essere cantate con strumenti usati a quel tempo, quali il liuto e la viola. Ci troviamo
tra la fine del XII secolo e la metà del XIV secolo, dopo la comparsa delle jarchas
come già detto; in quest’epoca la lingua che si sta sviluppando è il “galaico
portuges” da cui poi scaturiscono:
- il gallego, parlato in Galizia
- il portoghese, parlato in Portogallo
Possiamo dividere le cantigas in tre filoni principali:
1) CANTIGAS DE AMIGO:
Sono dei componimenti con una tradizione molto antica ed hanno elementi in
comune con le jarchas
• somiglianze:
- L’io lirico è femminile: le cantigas de amigo sono componimenti poetici cantati da
donne;
- L’io lirico, che abbiamo detto essere femminile, canta l’assenza e la distanza
dell’amato.
- Il tema è amoroso
• differenze:
- Nelle cantigas de amigo è presente l’elemento paesaggistico e marittimo, del tutto
assente nelle jarchas. Es: uno dei componimenti più noti è “Ondas do mar do Vigo”
(Vigo è la città)
- La jarcha è poetica ma ha una radice popolare, si parla quindi di un amore più
carnale e passionale, nelle cantigas de amigo l’amore è più stilizzato, non è un
sentimento fisico. Queste ultime sono quindi più colte e meno popolari.
- Le cantigas de amigo si sviluppano in ambienti più raffinati e più colti come palazzi,
fortezze.
Nonostante gli elementi che accomunano le jarchas e le cantigas de amigo, alla base
non vi è la stessa radice poiché le cantigas de amigo discendono dalla canzon de
amor provenzale
2) CANTIGAS DE AMOR
- L’io lirico è maschile
- L’io lirico canta il dolore provocato da una donna senza pietà
- Il tema è amoroso
Nella cantigas de amor è presente il codice dell’amor cortese secondo il quale la
donna è una contessa, è nobile ed è sposata o già impegnata; l’uomo si trova in una
posizione di inferiorità rispetto alla donna che non lo considera ed è completamente
asservito a lei; l’uomo contempla la donna e, per questo motivo, si parla di religio
amoris: l’uomo la venera come una dea, una divinità, a cui essere fedele (questo
concetto lo troveremo anche nella Celestina)
3) CANTIGAS DE ESCARNHO E MALDIZER
- componimenti di tipo satirico
- fatti per attaccare una persona (del potere, personaggi di dibattiti poetici)
- Il modello di riferimento sono le cantigas de amor, ma si parla di difetti fisici, si
prendono in giro i personaggi e se ne fanno delle critiche
Martin Codax è uno dei più menzionati.
Abbiamo detto che la lingua utilizzata per comporre le cantigas è il galaico
portugues. Inizialmente era diffusa solo nel nord del Portogallo, poi si diffuse anche
nella Castiglia. Infatti alcuni castigliani iniziarono a comporre in galaico portugues,
che divenne la lingua utilizzata per la poesia. Questo perché il castigliano si stava
sviluppando in altri ambiti (politici, economici...) invece il galaico portugues, il quale
presentava suoni più dolci che non esistevano in castigliano, viene utilizzato per i
componimenti poiché considerato più adatto. Lo stesso re Alfonso X quando doveva
comporre una lirica lo faceva in questa lingua. Quindi le cantigas non sono di certo la
prima testimonianza scritta sul territorio iberico (quelle sono le jarchas), ma sono
molto importanti perché vennero usate anche dai castigliani.
CANTAR DE MIO CID
CONTESTO (XI secolo, Reconquista):
Ci troviamo nel periodo della riconquista in cui avviene la creazione di alcuni regni,
quello di Aragón (XI secolo), la Castiglia...
Le vicende storiche ci dicono che il re di Castiglia, Leon Fernando I, muore nel 1065.
Alla sua morte il regno si suddivide nei suoi cinque figli. Rispettivamente la Castiglia
va a Sancho II, Leon ad Alfonso VI, La Galicia a Garcia, il regno di Zamora a Urraca e il
regno di Toro ad Elvira. Questa suddivisione comporta però delle conseguenze:
dividere significa indebolire, creare attriti non solo tra i regni, ma anche tra i re e le
regine. In particolare ricordiamo Zamora che è strategicamente importante e crea
un particolare attrito; infatti nella guerra di Zamorra Alfonso si scontra contro il
fratello Sancho che viene ucciso. Questo è tutto ciò che storicamente è stato
attestato. Ma con il “cantar de mio Cid” ci sono pervenuti anche degli avvenimenti
non attestati storicamente e quindi probabilmente inventati: Alfonso VI si
impossessa del regno di Castiglia costruendo la Castiglia Leon. Per uccidere il fratello
si è avvalso di un traditore quindi Castiglioni, per ottenere una prova della sua
fedeltà e per essere sicuri di essere governati da un buon re, esigono un giuramento,
a quel tempo fondamentale perché considerato la prova definitiva. Questo
giuramento è conosciuto come la “jura de Santa Gadea”, in cui Alfonso deve giurare
di non avere nulla a che fare con la morte del fratello.
Questa relazione che intercorre tra realtà e finzione che si fondono mette in
difficoltà il lettore e anche lo studioso che ha difficoltà a ricavare cioè che è vero e
ciò che è finto dalle varie fonti, le quali spesso sono poche, sperse o sporche a causa
dell’umidità. Inoltre in quel periodo vi era una continua mescolanza tra realtà e
finzione poiché non esisteva ancora la storiografia nella quale l’autore si sente
costretto a dire sempre la verità.
IL CID
Per il giuramento viene scelto Rodrigo (Ruy) Diaz de Vivar. Per l’appunto era di Vivar,
in provincia di Burgos, e lo conosciamo come “mio Cid” o “Cid/Campeador” (“mio”
sta a significare “nostro eroe” in modo affettivo, un eroe collettivo). Nato tra il
1040/1050 e morto nel 1099, Cid Campeador è la mescolanza tra due parole: Cid
deriva dall’arabo “saiddi”, che significa “mio signore”; Campeador deriva da una
costruzione latina “campi doctoris” che vuol dire “dottore del campo di battaglia”, e
cioè “militare laureato”, bravo in lotta. Ecco che ancora una volta si verifica la
mescolanza tra le due culture, quella araba e quella spagnola: il Cid ne è la
manifestazione perfetta. Cid è uno dei conquistatori più importanti, in particolare
viene ricordata la riconquista di Valencia, avvenuta nel 1094.
Cid si troverà spesso a combattere contro nemici valorosi chiamano quindi anche
tratti positivi; questo perché c’è molto più valore lo sconfiggere uomini forti e
valorosi piuttosto che nello sconfiggere uomini impavidi e deboli.
Il cantar de mio Cid rappresenta quindi la proiezione per tutti cristiani di un ideale di
un progetto. Si sviluppa dopo la morte di Rodrigo e diventa l’inno per tutti.
INCIPIT
Il racconto inizia con l’esilio del Cid da parte di Alfonso VI perché egli aveva chiesto
al re di giurare di non avere nulla a che fare con la morte del fratello, e una tale
richiesta fatta a un Re è considerata grave. Così il Cid deve abbandonare la regione e
non può stare nè in terra cristiana nè in terra musulmana (altra conferma del fatto
che non vi è una netta frontiera che divide le due culture).
In realtà ci è giunta un’altra versione dell’incipit della storia da un altro libro: alcuni
nobili vicini al re, invidiosi della fama di Rodrigo, muovono delle accuse false, lo
accusano di malversazione, di non aver quindi versato al re tutte le tasse; il re ci
crede e lo esilia.
Il testo è acefalo: quella che è giunta a noi è la prima carta poiché il primo vero
foglio dell’opera è andato perduto, abbiamo quella che quindi sarebbe la seconda
pagina del libro. Sono andati persi all’incirca 50 versi poiché in questa prima carta
Rodrigo si trova già in esilio: sta lasciando casa sua ma non sappiamo il motivo,
contenuto nella parte perduta. Possiamo dire che quindi l’incipit è in medias res,
non vi è il prologo.
I GIULLARI
È importante puntualizzare che questo testo è stato scritto per essere cantato,
performato e messo in scena. Erano questi, infatti, testi cantati dai giullari, i
“juglares”. Questi erano uomini di spettacolo che offrivano musica, danze, spettacoli
e giochi di prestigio. Sebbene noi tendiamo a considerare i giullari come uomini buffi
questi non lo erano e nè tantomeno scrivevano testi divertenti: i giullari erano
artisti, professionisti dello spettacolo. Il loro compito era quello di informare,
spiegare ció che avveniva attorno a quel determinato contesto storico; ecco che
allora questi testi assumevano un forte valore informativo, funzionavano come
gazzettini, telegiornali. In questi testi era presenti una base di avvenimenti certi +
una narrazione che non sempre era veritiera poichè a volte veniva inventata. I testi
che i giullari imparavano a memoria erano circa una trentina poi, partendo da quella
base, da quella struttura fissa, i giullari si trovavano spesso poi a improvvisare.
A differenza delle glosas, il cantar de mio Cid era più alla portata di tutti poiché vi
erano i giullari che lo cantavano oralmente.
POESIA EPICA
Secondo la suddivisione aristotelica è l’”imitazione di gesta nobili”; la poesia epica
ha una tendenza alla ciclicità: ci sono più testi imperniati su una stessa figura o
avvenimento e organizzati attorno a cicli tematici.
La poesia epica:
- nacque con un intento informativo (“noticiero” in spagnolo). Infatti sostituisce il
giornale che allora non esisteva.
- si rivolge a un grande pubblico
- in molti casi non è solo “informativo”, ma anche “formativo”, nel senso che forma
un’identità; il cantar de mio Cid, per esempio, è un modello al quale gli spagnoli
potevano ispirarsi. È un esempio il paradigma per l’uomo medievale (proposta
didattica).
Perché il testo è formativo:
- Il Cid possiede tutte le qualità e le caratteristiche del perfetto vassallo, del perfetto
uomo medievale;
- Dal punto di vista religioso, il Cid è il migliore cristiano che possa esserci
- Dal punto di vista geopolitico si assiste alla creazione di un’identità nazionale, Che
si crea dalla contrapposizione tra NOI (i cristiani) e LORO (i musulmani).
QUESTIONE DELL’ORALITÀ
La questione dell’oralità è fondamentale: innanzitutto l’oralità è nemica della fissità,
motivo per il quale non abbiamo testi di questo tipo; il Cantar de mio Cid è l’unico
che ci è pervenuto;
L’oralità tocca anche il punto di vista formale dell’opera:
- il testo è organizzato in lasse, cioè strofe in spagnolo “tiradas”, di lunghezza
variabile poiché spesso i giullari si trovavano ad improvvisare e non avevano il
tempo di rispettare sempre la stessa lunghezza. Infatti possiamo trovare lasse da 9
versi o addirittura lasse da 100 versi.
- le strofe sono organizzate in versi, divisi in due emistichi; ogni emistichio è
oscillante a causa dell’improvvisazione (in genere abbiamo 7+7 sillabe, ma sono
presenti molte variazioni); è presente quindi un anisosillabismo: il numero delle
sillabe che compone ogni verso è variabile.
- ogni strofa è accomunata dalla rima o assonanza (si ha quando, in due o più versi,
le parole terminali contengono le stesse vocali a cominciare da quella accentata,
mentre le consonanti sono diverse, ma per lo più di suono simile, es: "fame-pane");
ogni volta che cambia l’assonanza cambia la strofa.
- è molto presente la struttura anaforica parziale (l’anafora è la ripetizione della
stessa parola all’inizio del verso). Questa struttura è parziale perché qualche parola
può essere diversa (“Sospiró” mio Cid, “Fabló” mio Cid), ed è una tecnica utilizzata
dai giullari per ricordare il testo più facilmente. Inoltre i giullari hanno spesso
bisogno di nominare chi parla, chi sta agendo in quel momento, poiché non è un
testo, una poesia scritta, ma è orale e c’è spesso bisogno di puntualizzare o ricordare
di chi si sta parlando.
- altre tecniche molto utilizzate sono “la simmetria”, “il parallelismo”, tutte legate
alla necessità di memorizzare al meglio il testo. Inoltre il giullare crea delle varianti
per non ripetere sempre “mio Cid”. Queste formulazioni, sintagmi indicatori del sito
sono chiamati “epiteti epici” es: “el que en buen hora nació”, “el de la barba
complida”, il cavallo Babieca è anche “el caballo que bien anda”
FILOLOGIA
Il testo è sicuramente orale ma scritto su pergamena. È un prodotto dell’oralità
scritto su cui il giullare avrebbe poi improvvisato. Quella che c’è pervenuta e che
stiamo studiando e quindi una trascrizione, un testo che un giullare recita, un
classico che qualcuno ha scritto.
Il compito del filologo è quello di riorganizzare i vari “testimoni”, cioè le fonti giunte
e ricavare dei dati storicamente attestati. Qui il testimone è unico, poichè ci è giunto
un unico testo; inoltre il testo è molto antico, sporco e con macchie di umidità. La
mancanza di altre testimonianze rappresenta un problema abbastanza serio circa
l’individuazione della veridicità dei fatti.
Nell’ultimo foglio, però, troviamo delle informazioni: “Per Abbat lo scrisse nel mese
di maggio en era de mil y c.c. XL, V. anos”. In realtà il cantar è anonimo, Per Abbat
non è l’autore di questo testo, ma il trascrittore. Noi non sappiamo nulla riguardo
Per Abbat, quindi probabilmente fu colui che lo mise per iscritto, non colui che lo
scrisse. È il compilatore, trascrittore, copiatore. Inoltre questo è un testo che circola
di bocca in bocca, perciò sarebbe assurdo fissarne un autore. Si potrebbe quindi
piuttosto parlare di una catena di autori, ma allo stato attuale questo testo è
anonimo.
Inoltre c’è un altro problema, quello dell’epoca: c’è scritto “mese di maggio del
1245” dell’era ispanica, ma per noi è il 1207 dell’era cristiana. Il loro 38 a.C. per loro
è l’anno 0. Gli studi paleografici, L’analisi della scrittura collocherebbero questo
testo nel XIV secolo, non nel XII. Tra il “CC” e il “XL” c’era una raschiatura una
cancellatura fatta una lama, forse l’anno era “CCC”; in questo modo ci saremmo
trovati al XIV secolo come ci aspettavamo, data l’usanza di quel tempo di usare quel
determinato tipo di scrittura. Purtroppo è stato scientificamente verificato che in
quello spazio non c’era nulla; È stato ipotizzato che Per Abbat stesse copiando un
altro testo (l’antigrafo) del 1207 e avesse rispettato quella data.
TERMINUS POST QUEM = 1099, morte di Rodrigo Diaz
TERMINUS ANTE QUEM = 1207
1099-1207 = scritta in un centinaio d’anni
Alcuni studiosi sono riusciti a spostare avanti il terminus post quem al 1110 (deriva
da un’ipotesi di uno studioso “Ramón Menèndez Pidal”.
STRUTTURA
Il cantar de mio Cid è strutturato in 3725 versi, suddiviso in 3 sezioni (questa
suddivisione non la troviamo però nel manoscritto):
1 CANTAR DEL DESTIERRO (vv.1-1084), è la parte in cui è tratteggiato il punto più
basso della sfortuna dell’eroe in quanto esiliato: in questa parte Rodrigo Diaz è
esiliato, ha due figlie e una moglie che ha sistemato in un convento al sicuro. Da qui
in poi guadagnerà sempre più meriti e sempre più stima da parte di Alfonso VI; alla
fine del poema infatti avremo la restaurazione della posizione iniziale di Rodrigo.
2 CANTAR DE LAS BODAS DE LAS HIJAS DEL CID (vv.1085-2277), avviene il momento
del recupero del credito di Rodrigo presso il re e la società (da ricordare che però
non vi è mai un processo lineare delle avventure e delle sventure). Questa parte
narra le nozze delle figlie, Sol y Elvira, date in sposa a due infantes de Carrion, due
nobili figli di un conte. Gli infantes si dimostrano infami perché invidiosi di Rodrigo il
quale si era dimostrato impavido in un episodio precedente in cui si era ritrovato di
fronte a leone che aveva saputo ammaestrare, a differenza dei due infantes che,
impauriti, si erano dati alla fuga. I due infanti, così, si vendicano del Cid toccando le
figlie, nell’”afrenta del robledo de corpes” che da l’avvio alla 3 sezione
3 CANTAR DE LA AFRENTA DEL ROBLEDO DE CORPES (vv.2278-3725)
In questa sezione vi è l’affronto e l’umiliazione che avviene nel Querceto de Corpes: i
2 infantes conducono le amate lì e le abbandonano denudandole. Da questo punto
di caduta seguirà la vittoria del Cid: infatti due dei suoi delegati sfideranno a duello
gli infantes e vinceranno; le figlie si sposeranno con 2 principi e il Cid “restaurato”,
considerato un eroe, rientrerà in Castiglia.
A conclusione possiamo dire che il tema fondamentale è la reconquista, tutto si basa
su quello. È una reconquista:
- del territorio
- dell’onore: Rodrigo si trova, inizialmente, in una condizione di sfavore e di
inferiorità:
• rispetto al re perché esiliato; nel corso della storia Rodrigo deve recuperare il suo
rapporto con il re, tanto è vero che dopo le vittorie gli invia i regali.
• rispetto agli infantes, che sono figli di un conte, Rodrigo è in una condizione
sociale inferiore, poichè lui è un soldato; alla fine della storia gli infantes sono in una
condizione inferiore poichè denudano le figlie di Rodrigo e la loro condizione di
onore va recuperata.

Reconquista dei territori


Reconquista dell’onore
Mester de cleresia vs Mester de juglaria
MESTER DE JUGLARIA (es: “Cantar de mio Cid)
La maggior parte delle testimonianze è indiretta, una sola opera è diretta ed è il
“Cantar de mio Cid” (ecco perché è così importante)
Caratteristiche:
- L’andamento è anisosillabico, cioè il numero delle sillabe è fluttuante, gli
emistichi sono composti dalle 2 alle 12/13 (e più) sillabe
- La strofa (la lassa, o tirada in spagnolo) è composta da un numero di versi
fluttuanti.
- L’io, il giullare, non partecipa mai, non vi è la presenza del poeta che parla in
prima persona singolare (rapporto 1:1)
- Uso di deittici, epiteti epici e formulismi
- Le fonti erano contemporanee o di poco precedenti
MESTER DE CLERESIA (presenta delle caratteristiche del tutto opposte al Mester de
juglaria)
In questi componimenti sono gli autori stessi che mettono in evidenza le
caratteristiche che si contrappongono al Mester de juglaria
- L’andamento è isosillabico (7+7): il primo emistichio è composto da 7 sillabe,
il secondo da altre 7: il verso è alessandrino (4 versi da 7+7);
- Il verso è cesurato, come quello del mester de juglaria
- La strofa presenta una lunghezza fissa, e il tipo di strofa è chiamato “cuaderna
via”, chiamato anche tetrásforo (tetrastico, composto da 4 versi alessandrini
cioè di 14 sillabe) monorrimo (monorimato, con una sola rima). Quindi ogni
strofa è composta da 4 versi alessandrini composti da 2 emistichi di 7+7
sillabe. Nel Mester de cleresia l’elemento formale è molto evidente: la forma
è fissa (stesso tipo di verso e di strofa)
- L’io è sempre presente, non importa conoscere il nome dell’autore, l’io si fa in
ogni caso sentire (non vi è il rapporto 1:1).
- Vi è una diversa coscienza autoriale: l’autore sa di essere l’autore, egli parla,
si fa sentire nel componimento per la prima volta. Invece nel cantare d mio
Cid non vi è una riflessione meta poetica (meta: a se stesso). L’io in questi
componimenti parla di come, perché, cosa scrive. Quindi la diversa coscienza
autoriale si biforca in: • presenza dell’io • riflessione metapoetica
- Predilige le fonti colte, come quelle letterarie
Abbiamo visto come i due Mester, nonostante convivano per un certo periodo,
hanno delle caratteristiche del tutto opposte (infatti dal Mester de cleresia partirà
poi un nuovo filone).
Ma, sebbene i due Mester mostrino tante divergenze, sono presenti anche delle
caratteristiche simili: possiamo quindi parlare di un incontro-scontro nel quale vi è
un inevitabile contatto (come nel caso dei cristiani e degli arabi); oltre alla rottura, il
mester de cleresia prende spunto da alcuni elementi del mester de juglaria, che
sono:
1- chiamata al pubblico: il modo del poeta di rivolgersi al pubblico
2- stile/tono narrativo orale: questi componimenti sono scritti, ma fatti per essere
letti (simile al caso del mester de juglaria)
3- richiesta di ricompensa (ma è solo un clichè, è ornamentale, il chierico che scrive
in realtà non è lì fisicamente a chiedere la ricompensa).
Nonostante ciò vi è un cambiamento epocale tra i mester, possiamo dire il più
importante:
MESTER DE JUGLARIA MESTER DE CLERESIA
Gli ascoltatori (recettore) e Il poeta (l’emissario non è
il giullare (emissario) si trovano più mescolato all’interno
sullo stesso piano (rapporto 1:1) degli ascoltatori (recettore
es: “se fossimo stati lì avremmo l’io è uno solo “io scrivo
visto…” (giullare + ascoltatori) questo libro e se lo volete
leggere…”
(poeta/ascoltatore)
Cosa vuol dire cleresia?
A quei tempi la parola “cleresia” aveva un’accezione più laica rispetto ad oggi.
Questi componimenti venivano scritti in centri religiosi che non erano costituiti da
preti ma da persone che si muovevano attorno le cleresie, persone che non erano
state ordinate preti o sacerdoti.
Il contesto, l’ambiente, rende il contenuto del testo colto. Infatti rispetto al mester
de juglaria viene meno il carattere informativo, cioè quello di raccontare cose
contemporanee, a favore di un uso maggiore di fonti letterarie. Mentre il giullare
usava fonti storiche o a lui contemporanee, qui invece il poeta predilige le
auctoritates, fonti letterarie, spesso testi che traggono spunto da personaggi storici
classici o letterari.
Un altro tipo di fonti sono quelle cristiane agiografiche: si usava anche la patrologia,
ovvero lo studio delle fonti dedicate ai padri della chiesa.
Quindi abbiamo visto come cambia molto anche l’ambiente, il contesto più colto
rispetto al mester de juglaria dove il giullare non è detto che sappia leggere e
scrivere poiché il suo compito è quello di cantare oralmente.
LIBRO DE ALEXANDRE
Il testo di Alessandro può essere diviso in tre parti:
1. Gioventù di Alessandro
2. Imprese che vedono Alessandro scopritore
3. L’eroe cade
Questa tripartizione è moderna però è evidentissima. All’interno di questi tre blocchi
ci sono altre suddivisioni sempre in tre blocchi, e all’interno di questi tre blocchi ci
sono altri tre blocchi. Il numero tre suddivide sempre di più il testo. Questo è un
tratto molto comune nelle opere medievali perché c’è una simbologia piuttosto
evidente nei numeri. Non solo per quanto riguarda il numero tre. 7 indica il
completo (sette giorni della creazione) 5 è il numero delle lettere del nome di Maria.
GONZALO DE BERCEO
Gonzalo de Berceo (prima metà del XIII secolo) è uno dei primi autori di cui
conosciamo il nome e le opere da lui scritte. Considerato uno dei primi poeti della
letteratura spagnola, egli è conosciuto per il suo carattere fondante in quanto egli
fonda le caratteristiche della produzione poetica spagnola. Si muove come chierico
(mestier de cleresia) nell’ambito di un monastero, il monastero San Millan de la
Cogolla (quello delle glosas emilianenses). Sappiamo che successivamente si firmerà
anche come diacono in un documento del 1221. Fu probabilmente anche copista, di
lui ci è giunto un corpus di opere, raggruppate in 3 grandi gruppi:
1. OPERE AGIOGRAFICHE, nelle quali vengono descritte le vite dei santi e sono “Vida
de San Millan de la Cogolla”, “Vida de Santo Domingo de Silos”, “Vida de Santa
Oria”...
2. OPERE MARIANE, nelle quali, come ci dice il termine “mariane”, viene descritta la
vita e miracoli di Maria, in particolare nei “milagros de nuestra senora” vengono
raccontati i 25 miracoli della madonna (tutti en cuaderna via).
3. OPERE DOTTRINALI che sono più tecniche, poiché parlano di aspetti legati alla
somministrazione della messa da parte del prete.
MILAGROS DE NUESTRA SENORA
Nei milagros de nuestra senora vengono descritti i 25 miracoli che fece la madonna:
sono 25 racconti di 25 apparizioni della vergine con relativa risoluzione dei problemi
che capitano gli uomini. Di questi 25 racconti, 24 hanno una tradizione precedente
mentre il 25esimo forse non è ad opera di Gonzalo. 25 è un numero che spesso
compare: innanzitutto 25= 5x5, e 5 è il numero di lettere che compongono il nome
“Maria”. Ecco di nuovo presente il concetto secondo il quale la forma (25 racconti)
ha a che fare col contenuto (Maria).
Ma la tradizione mariana non fu aperta da Gonzalo de Berceo: a lui dobbiamo
l’operazione di raccolta e l’iscrizione dei racconti (già esistenti) all’interno di una
cornice (non si tratta di plagio, si tratta di amalgamare meglio delle fonti già
esistenti).
Il cappello introduttivo dell’opera è molto importante: Gonzalo cammina sul
giardino e improvvisamente cade in un sonno profondo. Egli cade metaforicamente,
come simbolo della caduta di Adamo ed Eva; da questa caduta seguono i 25 miracoli
con i quali l’uomo viene aiutato da Maria.
Los milagros furono scritti in un momento di crisi economica dei 2 monasteri che
decisero di firmare due contratti (uno dei quali venne firmato quando Gonzalo era
ancora in vita) tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo per stabilire un aiuto
reciproco tra i monasteri impoveriti a causa della mancanza di pellegrinaggio. Allora
i Milagros vennero scritti sì per insegnare ma anche per incentivare i pellegrinaggi
verso i monasteri. I pellegrini infatti se venivano a conoscenza che in quei monasteri
si verificavano dei miracoli allora erano portati ad andare in quei luoghi (ció dava un
aiuto economico). Ma, ovviamente, l’obiettivo più importante della scrittura dei
Milagros era quello di dimostrare che Maria funge da intercessore tra Dio (che era
un Dio iracondo, quello del vecchio testamento) e l’uomo.
Per capire ancora meglio l’importanza che Gonzalo de Berceo attribuiva ai numeri
possiamo prendere in considerazione l’opera “Vida de Santo Domingo de Silos”,
composta da 777 strofe scritte in versi. Il sette è un numero fondamentale, che
compare molto spesso nella bibbia poiché
- Gesù disse “Perdonare fino a 70 volte 7”
- Il numero 7 rappresenta il simbolo della perfezione, della compiutezza
Individuazione del tipo di verso:
● Nel-mez-zo-del-cam-min-di-nos-tra-vi-ta (11 sillabe) è endecasillabo perché la
decima sillaba è l’ultima sillaba tonica (accentata)
● La-ma-ña-na-de-san-Juan (7 sillabe) è ottonario perché la settima sillaba è l’ultima
sillaba tonica (accentata). Anche se la frase è formata da 7 sillabe non vuol dire che
essa sia un settenario, poiché esso si ha quando l’ultima sillaba tonica è la sesta; in
questo caso invece l’ultima sillaba tonica è la settima, quindi siamo in presenza di un
ottonario.
LA PROSA
Fino ad ora abbiamo parlato esclusivamente di poesia (il cantar, le jarchas, le
cantigas...). Questo perché le prime manifestazioni nella penisola iberica sono testi
scritti in poesia e non in prosa. Questo può sembrarci strano siccome la prosa può
apparentemente sembrare più naturale e meno complicata; in realtà le ragioni per
cui venne utilizzata la poesia e non la prosa sono legate alla ritmicità e alla sonorità
dei versi: il ritmo è legato al lavoro dei campi, un lavoro in cui si raccoglie il riso, il
grano, un lavoro che richiede un certo ritmo. Nel mondo degli agricoltori e degli
artigiani si sviluppano così filastrocche, poesie e canzoni orali come
accompagnamento dell’attività fisica. Inoltre si è dimostrato scientificamente che
l’unità minima di significato di una frase è di 7/8 sillabe: attorno a questa misura si
sviluppa la poesia.
La prosa invece è inizialmente legata alla produzione di tipo archivistico, legislativo,
storiografico, ma non a quella letteraria. Infatti dobbiamo aspettare il XIII secolo per
avere attestazioni di tipo letterario in prosa. Esse però sono il frutto di un lungo
processo che parte già dall’XI secolo, precisamente nell’anno 1085, (comunque
convenzionale, non possiamo saperlo con precisione) anno della riconquista della
città di Toledo, situata al centro della Spagna. In questa città, grazie al re Alfonso VI
e a tutta una serie di sovrani, si stabilisce la “escuela de traductores de Toledo”.
Essa non è una “escuela” vera e propria ma è una corrente culturale, una serie di
iniziative intraprese da parte dei sovrani per tradurre libri di vario genere. Da dove
provenivano questi libri? Ecco che qui ritorniamo a quel famoso discorso
dell’incontro-scontro che avviene tra cristiani e gli arabi. Infatti i libri provenivano
dalle biblioteche dei musulmani che fino a quel momento risiedevano a Toledo e
che i cristiani troveranno ma mano che conquisteranno pezzi del territorio.
I libri possiedono dunque una lunga tradizione medio orientale, orientale; sono
scritti in greco, aramaico, indi, georgiano, persiano e vengono successivamente
tradotti. Alcuni di questi sono libri letterari, o più specificamente sono trattati di
filosofia, geografia, astronomia, astrologia, medicina, agronomia, biologia,
matematica e così via.
Ciò porta ad un arricchimento su due fronti:
- CULTURALE: per esempio la filosofia fino a quel momento non c’era in Spagna;
anche la letteratura nasce come traduzione dei testi arabi, greci
- LINGUISTICO: la lingua fa un salto per tradurre, si attrezza di molti termini per
tradurre testi di un determinato ambito (es: Per tradurre il trattato di economia il
castigliano deve munirsi di termini tecnici). Il salto e quindi sia qualitativo che
quantitativo (nascono tante nuove parole più specifiche).
De la “escuela de traductores de Toledo” distinguiamo 2 fasi:
1 Fase: LINGUA DI PARTENZA  ROMANCE  LATINO
Dalla lingua di partenza il testo veniva tradotto da un primo traduttore, che
conosceva sicuramente le prime due lingue ma forse il latino no, in romance;
successivamente un secondo traduttore, che conosceva le ultime due lingue e
non quella di partenza, ritraduceva il testo dal romance al latino.
Perché proprio in latino? Questa era l’unica lingua autorizzata per i testi classici,
quelli scritti.
Nel XIII secolo, con Alfonso X il saggio abbiamo poi:
2 Fase: LINGUA DI PARTENZA  ROMANCE
Dalla lingua di partenza si traduce direttamente in spagnolo.
Nel XIII secolo con il re di Castiglia Alfonso X (1221-1284) si ha un periodo di
traduzione di molte opere. Di lui ricordiamo “El sabio”, opera che si sviluppa
attorno ai 3 grandi filoni: storiografia; attività giuridica e legislativa; astronomia,
astrologia e giochi.
Alfonso X non fu l’autore di queste opere, ma una sorta di mecenate, il promotore
dell’attività di traduzione. Queste sono opere in cui il romance acquista una propria
autonomia:
- STORIOGRAFIA (in particolare 2 grosse storie che Alfonso fece scrivere)
1. Estoria de España (Primera Cronica General – Menendez Pidal). Tratta del
periodo che va dalle origini della Penisola Iberica fino al XIII secolo. Scritta
in castigliano, è la narrazione dei momenti salienti della storia del territorio
(non è comunque detto che tutto ciò che è scritto sia vero).
2. General Estoria: parte dalle origini della storia del mondo, da Adamo ed
Eva (non sempre sono presenti avvenimenti storici realmente accaduti,
prima la cultura era pervasa anche dai miti, vicende bibliche).
- ATTIVITÀ GIURIDICA E LEGISLATIVA
1. Siete Partidas: un libro suddiviso in 7 volumi che contiene le norme, le
leggi per gestire il rapporto tra i Re e i vassalli.
- ASTRONOMIA, ASTROLOGIA E GIOCHI (movimenti dei pianeti, posizione delle
stelle che influenza il corso della vita, il destino, giochi intesi come gli scacchi,
la caccia, lo sport della falconeria)
Tutti questi sono quindi libri che accrescono il valore culturale ma soprattutto
linguistico dello spagnolo. A ciò dobbiamo aggiungere delle opere letterarie
tradotte, che sono:
- Calila e Dimna, fatto tradurre da Alfonso X, narra la storia di due animali, le
linci, che sono solo due dei personaggi presenti nel libro: questa è infatti una
raccolta di racconti, di favole, che hanno come protagonisti gli animali
(influenza esopica). La maggior parte delle favole derivano da una raccolta
indu di racconti, la “Panchatantra”.
La struttura tipica utilizzata che deriva dalla panchatantra era la storia nella
storia: il protagonista, che aveva una propria storia, che fa da cornice, si
trovava spesso costretto a raccontare altre storie. Un esempio lampante è “le
mille e una notte”, nel quale la principessa ha l’obbligo di raccontare ogni
giorno al re delle storie per non venire uccisa.
- Sendebar (libro degli inganni delle donne, attorno al 1251)

Abbiamo detto che calila e dimna e sendebar furono due opere letterarie tradotte
durante il periodo di Alfonso X. Le opere sono legate tra loro, innanzitutto dal
periodo storico, intorno al XIII secolo, più precisamente Calila e Dimna nel 1251 circa
e Sendebar nel 1253; dall’autore, poiché la prima bene tradotta per volere di
Alfonso X mentre la seconda viene tradotta dal fratello di Alfonso X, Don Fadrique.
Il titolo completo dell’opera Sendebar è “libros de los enganos e asayamientos de las
mujeres” E questo mette in luce la misoginia, un aspetto che invade la letteratura
spagnola. Il Sendebar, come Calila e Dimna, è una raccolta di 13 racconti e ha come
tema principale la malignità della donna. Il libro narra la storia di un re che ha un
figlio da lui molto voluto che viene accusato ingiustamente da una matrigna di
violenza su di lei. Nei sette giorni seguenti mentre il principe attende il verdetto da
parte del re sette saggi racconteranno storie sulla malizia delle donne per
convincere il re. Ancora una volta notiamo quindi la struttura della storia nella
storia, presente anche in Calila e Dimna, nella quale vi è una storia che fa da cornice
(struttura narrativa esterna) + altre storie (racconti). È importante ricordare questa
struttura poiché tantissimi libri medievali la seguivano.
Marco (struttura esterna)
saggi
1 2 3 4 5 6 7

Re Alcos racconti
Vediamo che quindi in questa struttura da una parte vi è
• l’indipendenza dei racconti:
- dagli altri racconti
- dalla cornice
es: nel caso de “le mille e una notte” ogni storia ha una trama diversa e si
differenzia quindi non solo dalle altre storie, ma dalla cornice stessa.

• dipendenza dei racconti:


- dalla cornice (essi influenzano l’andamento della vicenda)
es: nel caso de “le mille e una notte” i racconti incidono sull’andamento della
storia perché fanno guadagnare tempo alla donna.
EXEMPLA
Siamo attorno al XIII secolo quando vennero tradotte queste due opere. Prima di
parlare di questo secolo andiamo a vedere cosa successe, dal punto di vista
religioso, durante il IX secolo. In questo periodo ci fu il concilio di Tours, dopo il
quale si decise di celebrare la messa in lingua volgare piuttosto che in latino in modo
tale che le persone non acculturate potessero capirla. Il prete iniziava quindi a usare
nei sermoni degli exempla (al singolare “exemplum”), che erano storie, favole,
parabole, aneddoti per illustrare un’argomentazione dottrinale e per farla meglio
comprendere al pubblico.
In Spagna si iniziarono così a raccogliere all’interno dei libri gli exempla più famosi.
La struttura più utilizzata per descriverli era quella della storia nella storia: ancora
una volta assistiamo quindi a quell’incontro-scontro tra la cultura orientale e quella
occidentale, poiché non solo gli spagnoli avevano iniziato a tradurre i libri arabi,
indu..., ma di questi ne trassero anche la struttura da riproporre nei loro libri, una
nuova tecnica narrativa. Questa è in genere nota come letteratura sapienzale, o
gnomica (non solo prendono i temi ma anche la struttura).
Possiamo notare ancora una volta quanto le due culture erano connesse tra loro con
il libro “la vida es sueño”: narra la storia di un principe rinchiuso in una torre, poiché
il re il giorno prima che nascesse il figlio aveva consultato le stelle le quali avevano
predetto un figlio cattivo. Da allora il figlio viene rinchiuso fin quando per una serie
di avvenimenti venne fatto uscire.
Questo episodio venne preso come riferimento nel ‘600 da Calderon, che ne fa
un’opera. In realtà si vide che attorno al 400 venne fatta la traduzione di un libro che
era sua volta la traduzione di un altro libro e così via fin quando non si risalì al testo
originario, che era la storia di Siddhartha, il Buddha, testo più antico indù.
1300, SECOLO XIV
Fu un secolo di forte instabilità politica che ebbe delle ripercussioni pratiche sulla
letteratura. In questo periodo abbiamo due figure di riferimento da prendere in
considerazione, che sono:
- Juan Manuel (1282-1348)
- Juan Ruiz, arcipreste de Hita (attorno alla prima metà de XIV secolo), che
scrisse il libro de buen amor
In questo periodo sorgono i romances, non nell’accezione che fino ad ora abbiamo
analizzato e che indica la lingua volgare che pian piano evolverà verso il castigliano,
ma indicante il componimento poetico.
CONTESTO STORICO
In quel periodo vi fu la lotta per la successione dopo Alfonso X che vide scontrarsi da
un lato i pretendenti per il primogenito di Alfonso dall’altro lato i pretendenti per il
secondo figlio. Il vincitore è Sancho IV, “el bravo” (che non significa bravo ma
“coraggioso”).
In questo contesto Juan Manuel sarà molto importante poiché nipote di Alfonso X e
cugino di Sancho VI. Egli, insieme all’altro autore prima accennato, sarà molto vicino
al potere e scriverà opere sapienziali (raccolte di exempla per istruire il lettore,
chiamate specula principis, testi quindi dove potersi specchiare e da cui
apprendere).
I romances non sono però influenzati dalla vita politica; essi sono i componimenti
poetici tradizionali, le manifestazioni più antiche della poesia
Di questi andiamo a considerare tre accezioni:
1. lingua romance
2. strofa/componimento: tipo di strofa di lunghezza indeterminata che deve
rispettare solo due condizioni:
- versi ottosillabici, componimento in ottonari
- versi assonanzati in sede pari (nell’insieme dei versi, il verso 2-4-6-8-10...
devono avere un legame di assonanza)
- relazione amorosa
Andiamo a vedere la seconda accezione: perché in sede pari? Perché in ottonari?
Innanzitutto questa è una poesia tradizionale che si dirama in tutti gli strati della
società: fino a questo momento l’autore componeva o per far leggere o per leggere
egli stesso l’opera. Egli era l’autore di un’ora immodificabile; il lettore era un agente
passivo, subiva l’opera sentendola.
Il romance nasce dal popolo, soprattutto tra i ceti più bassi, corre di bocca in bocca,
è prettamente orale e a tanti autori che lo cantano o lo recitano. Possiamo dire che
è quindi una poesia composta da un popolo e tramandata oralmente senza che ci
sia una fissazione scritta. L’ascoltatore in questo caso è attivo, poiché egli può
ricantarla diventando lui stesso l’autore. Questa cosa e oggi per noi pericolosissima
poiché ciò che è orale non è fissato e sappiamo che i filologi non riescono a seguire
la traccia dell’oralità. Comunque ciò che noto è che in questo periodo nasce un
grande corpus di romances, costituito da decine di migliaia di testi.
Ma, a questo punto, sorge spontanea una domanda: come sappiamo della loro
esistenza se sono orali?
Ovviamente questi testi a un certo punto verranno fissati su carta; ma noi ne siamo
a conoscenza poiché nel 500 (XVI secolo), con la nascita della stampa, proprio questi
testi saranno stampati poiché famosi e comprensibili da parte di tutta la popolazione
(infatti si tendeva a stampare ciò che era più noto più famoso e più comprensibile al
pubblico). In particolare vennero stampate queste raccolte di romances, chiamate
“romanceros”.
A un certo punto, però, nel 700-800 si perdono un po’ le tracce del romances. Nel
1900 (anno preciso) sarà poi Menendez Pidal, un filologo, insieme a sua moglie
Maria Goyri, a capire che in realtà il romance non era scomparso. Infatti i due
facendo un giro per la Castiglia Udirono una signora a cantare una canzone mentre
faceva il bucato. Il testo era in romance antico e non era mai stato sentito da
nessuno. Ecco che allora capirono che i romances erano sopravvissuti oralmente
poiché trasmessi da generazione in generazione.
Possiamo riassumere quindi che il romance è sopravvissuto nei secoli grazie a
quest’opera di etnomusicologia, con la quale i testi venivano tramandati oralmente.
Certamente non siamo sicuri che il testo che ci è pervenuto sia quello originale,
poiché sappiamo che l’oralitá a differenza della scrittura è nemica della fissitá.
Abbiamo detto che i romances sono dei componimenti della tradizione orale, non
scritti. Questi vengono ricordati dal primo verso: il titolo corrisponde quindi al primo
verso.
Siamo nel 300 (XIV secolo)
Il romance pur essendo anonimo e pur non avendo attestazioni scritte che ci
garantiscano la datazione ha delle caratteristiche che ci permettono di lanciare una
valida ipotesi circa il secolo in cui i componenti venivano scritti.
Innanzitutto ha una caratteristica molto simile al mester de juglaria:
- carattere informativo (noticiero): questa è proprio una caratteristica tipica
della poesia epica, infatti ne abbiamo parlato nel mester de juglaria. I
romances raccontano un evento storico recente; in questo senso c’è quindi un
modo per datarli:
I romances più vecchi parlano di eventi storici che sono vicini al periodo in cui essi
vennero scritti. Più precisamente possiamo collocarli nel XIV secolo grazie al criterio
interno in base al quale ricaviamo dei dati da quello che ci dice il testo.
Un esempio è il testo che riguarda la morte di Don Fernando, un re, avvenuta nel
1312. La presenza di un dato interno (l’anno) unita al fatto che i romance hanno un
valore informativo fa sì che sia possibile datare la composizione del romance poco
dopo quell’anno, attorno alla prima metà del XIV secolo. Infatti siccome questi erano
testi informativi, paragonabili all’attuale giornale o telegiornale, non ci sarebbe stato
motivo di parlare della morte di un re avvenuta molti anni prima: ha molto più senso
ipotizzare che il pubblico dovesse essere informato di una morte avvenuta
recentemente. Questo del re Fernando non è l’unico esempio ma certamente uno
dei più antichi.
È importante ricordare questa frase che al meglio riesce a spiegare il carattere del
romance: “el romance vive en variantes”, il romance vive in varianti, variazioni:
tante sono le varianti quante le persone che lo trasmettono. Per spiegare questa
frase possiamo ritornare al testo di Don Fernando: di questo romance esistono varie
versioni e in ognuna di queste cambia soltanto il nome del monarca. Infatti i vari
autori lasciavano il testo invariato cambiando il nome del re con quello odierno, per
narrare della sua morte.
Abbiamo detto che la prima attestazione scritta di un romance si ebbe con la nascita
della stampa, attorno agli inizi del 500. Ma in realtà ci furono dei manoscritti prima
del 500 in particolare nell’anno 1421. Questa data è fondamentale poiché è l’unica
certa attribuibile a un determinato romance. Il romance in causa venne scritto da
Jaume de Olesa, il quale stava studiando diritto a Bologna. Egli appuntava sul suo
taccuino un romance (allo stesso modo in cui noi scriviamo i testi delle canzoni sul
nostro diario). Si tratta di un incontro tra un uomo e una donna durante il quale la
donna fa un’offerta d’amore all’uomo che la rifiuta. [La “mesura” è una caratteristica
tipica anche di Rodrugo]. Di questi due personaggi non ne sappiamo molto; inoltre il
finale è inconcluso, questo perché una delle caratteristiche fondamentali dei
romances è la “frammentarietà”.
ARRIVIAMO ALLA SECONDA CARATTERISTICA: QUALI SONO LE ORIGINI?
Questi romances, come il “Valasme ...”, non sono trascritti in colonna come quelli
del 500, ma in orizzontale. Questa caratteristica ha a che fare con le origini: secondo
un’ipotesi molto accreditata di Pidal, l’origine da cui provengono i romances è da far
risalire ai “cantares de gesta”. Secondo Pidal la poesia epica in voga prima della
nascita dei romances è l’antenato di questi: i cantares de gesta sono l’antecedente
perché alcuni poemi epici sono il nucleo da cui si sono staccati i frammenti che
avrebbero costituito i primi romances. Esistevano quindi molti cantar, composti
secondo il mester de juglaria, e di questi veniva preso un frammento più
significativo, quello che più piaceva al pubblico e iniziava circolare da solo,
indipendentemente dal resto del componimento. Questo è normale se si considera
che il pubblico non avrebbe mai ricordato tutto il componimento, ma solo un pezzo
(quest’ultimo è come il ritornello di una canzone).
A livello strutturale riusciamo a spiegare anche perché i versi sono a sono
assonanzati in sede pari:
- se andiamo a considerare la collocazione in orizzontale i primi due versi li
possiamo considerare due emistichi di uno stesso verso; in questo caso
l’assonanza è in tutti i versi
- se andiamo a considerare la collocazione in verticale (tipica dei romances), i
due emistichi corrispondono a due versi diversi i quali sono assonanzati in
sede pari.

ORIZZONTALE VERTICALE
1 ……… 2 ……cena ] emistichio 1 …….
3 ……… 4 ……piena 2 cena ] verso
3…….
4 piena
Questo spiega anche come si passa dall’anisosillabismo, tipico de cantar de gesta
(per esempio nel cantar de mio Cid, dove il numero di sillabe è variabile, di solito
sono circa 7, ma alcune volte 6, altre volte 8) verso l’isosillabismo (tipico dei
romances, ogni emistichio ha 8 sillabe, infatti i romances sono componimenti in
ottonari).
È importante specificare che non vi è una discendenza diretta tra il cantar de gesta e
i romances: ci sono una serie di elementi a livello formale, tematico…, che ci fanno
lanciare questa valida ipotesi. (Il romance de Cid non è direttamente imparentato
con il cantar de mio Cid, ma ci sono degli elementi comuni). Il cantar e il romance
non hanno una discendenza diretta, ma vi è comunque una dipendenza.

CIFRA STILISTICA (vedi meglio)


La frammentarietà inizialmente ereditata dal fatto che i romances sono parti,
pezzetti di cantares più ampi diventa successivamente un modo di essere intrinseco
dei romances stessi. Infatti non tutti derivano dai cantar; i romances divengono un
vero e proprio genere letterario caratterizzato dalla natura frammentaria, intrinseca
del genere stesso.

1 romance: CONDE ARNALDOS


La grandezza di quest’opera si evince in vari ambiti:
- linguistico: c’è una ricerca della perfezione
- stilistico: La cornice non è statica, c’è una sorta di dialogo tra cornice ed exempla
È presente una struttura tripartita:
1 richiesta e domanda del conte
2 racconto dell’exemplum e consiglio
3 formulazione di una sentenza finale e morale
È proprio questa struttura a far dialogare cornice e racconti. Ogni exemplum è
strutturato nello stesso identico modo e i personaggi cornice (conte e consigliere)
sono sempre gli stessi, mentre quelli dei racconti variano e possono essere uomini o
animali.
In questo brano possiamo notare l’aspetto tipico dei romances: la frammentarietà.
Qui è molto evidente dall’inizio del brano, quando vengono introdotti i due
personaggi dei quali non si sa nulla. Ma è proprio questo aspetto, la frammentarietà,
che caratterizza e rende unico il romance: il brano in pochi versi riesce a darci degli
elementi, da interpretare, dei segnali utili e delle informazioni importanti. Questo
racchiudere in pochi versi e in poco spazio molte informazioni è una caratteristica
nota come “concinnitas”.
Possiamo suddividere il brano in parti:
v.1-3:
All’inizio vengono introdotti due personaggi: il conte, Arnaldo, e il marinaio. Il fatto
che al conte venga assegnato un nome ci colloca già dalla sua parte data
l’importanza che viene attribuita al nome e al fatto che le cose importanti debbano
essere chiamate per nome. Arnaldo è poi un conte e con questo dato possiamo già
figurarcelo nella nostra mente. Si parla poi del suo falco, quindi possiamo
immaginare che vada a caccia. Arnaldo ha avuto una grossa fortuna, cosa che gli
conferisce una connotazione positiva. Quando si parla di Arnaldo si parla di acqua,
che è simbolo sia di fertilità che di movimento. Inoltre siamo nel giorno di San
Giovanni, giorno connotato magicamente in cui c’è il solstizio.

v.4-9:
In questi versi avviene l’incontro tra il conte e il marinaio. La galera, la nave, è una
nave speciale e il conte è fortunato nel vederla. In questa parte ci mettiamo dalla
parte del marinaio, visto come un essere speciale; questo incontro potrebbe essere
magico.
Abbiamo inoltre due tipi di piani: uno orizzontale, in cui si muovono il conte, dal
mare, e il marinaio dalla terra; poi c’è un piano verticale, in cui si muovono i pesci
dal basso verso l’altro e gli uccelli dall’alto verso il basso. La galera, la nave, è il
punto di attrazione, (ecco perché è così speciale) poichè sia i pesci che gli uccelli, nei
loro moti verticali e opposti, vanno verso di essa (acqua-pesci; aria-uccelli). Il mare
potrebbe essere anche quello che separa il mondo dei vivi da quello dei morti.
v.10-13:
Allì fablo: traccia dell’oralità come nel cantar, c’è bisogno di ricordare chi sta
parlando

Di questo brano possiamo riconoscere 4 livelli di interpretazione:


- 1 livello, letterale
Vi è un semplice incontro tra il conte e il marinaio, che gli canta una canzone (questa
interpretazione può essere data specialmente dei versi 1-3)
- 2 livello, magico
Vi è un incontro magico tra il conte e il marinaio, il conte è fortunato nel vedere la
nave, che è speciale, dalla quale viene il marinaio, che può essere visto come un
essere speciale (questa interpretazione può essere data specialmente dopo aver
letto i versi 4-9)
- 3 livello, religioso
Il conte Arnaldo può essere visto come un fedele che vede arrivare sulle acque un
uomo (mistico) che dice di saper controllare l’acqua, i pesci
- 4 livello, amoroso
San Giovanni è una giornata speciale anche perché carica sessualmente ed
eroticamente (in particolare la mattina viene vista così).

- FONTE FRIDA
- POR EL MES ERA DE MAYO

DON JUAN MANUEL


Ci troviamo ancora attorno al 300 (XIV secolo), come col romancero.
VITA E PIANO POLITICO
Don Juan Manuel nacque nel 1282 e morì nel 1348. Egli fu un grande autore che
spiccò nella letteratura spagnola del XIV secolo. Di lui conosciamo la data precisa
della nascita, della morte e i titoli delle sue opere poiché si tratta di un uomo
importante: egli apparteneva all’alta nobiltà poichè proveniva da una famiglia reale
e fu molto attivo nella vita politica. Nipote di Alfonso X (lo zio) e di Fernando III (il
nonno), Don Juan era un uomo di corte e in quanto tale crebbe in quest’ambito. Ciò
fece di lui un uomo molto colto. Come già detto, egli partecipò in modo attivo alla
vita politica della Castiglia, soprattutto dopo la morte di Sancho IV, con la quale si
ebbe il problema della successione al trono. Anche Don Juan prende parte alla lotta
per la successione e con Alfonso XI avrà il carico di reggente, essendo il re troppo
giovane per regnare da solo. La partecipazione attiva da parte di Don Juan alla vita
politica spiega il tipo di opere da lui composte (non sono autobiografiche, ma spesso
ci sono libri che trattano di guerra).
PIANO LETTERARIO
La produzione di Don Juan è piuttosto ampia e ben conosciuta; questo perché
- era un uomo molto importante (si vedano i rapporti di parentela con i nobili di
quel tempo)
- vi è una forte presenza dell’autore nelle sue opere, egli ha una forte coscienza
autoriale (potremmo dire 2.0, perché l’abbiamo già trovata nel Mester de cleresia,
ma qui è resa ancora più esplicita e più raffinata). Ecco perché possiamo dire con
certezza che la composizione delle sue opere risale alla 2 parte della sua vita (tra il
1325 e il 1335). Queste sono opere scritte tutte in prosa.
Don Juan Manuel fu il primo scrittore ad avere una chiara consapevolezza del suo
lavoro e di quanto questo sarebbe stato importante in futuro.
La coscienza autoriale va oltre quella di cuaderna via: se in quei volumi vi era la
coscienza, la presenza dell’autore ma comunque di quest’ultimo nella maggior parte
dei casi non era conosciuta l’identità, con i volumi di Don Juan non solo è presente
la continua coscienza dell’autore, ma inoltre l’autore si manifesta, si esplicita con il
nome di Don Juan. Inoltre non abbiamo soltanto la sua presenza, ma in particolare
nei paratesti (parti attorno ai testi), nei prologhi, nelle introduzioni, è presente la
coscienza autoriale con una spiccata attenzione o sensibilità filologica: infatti Don
Juan sottolinea continuamente, in maniera quasi maniacale, che il testo che sta
componendo è QUELL’opera che deve essere trasmessa adeguatamente. Egli stesso
dice: “Nelle mie opere non ci sono errori e se doveste trovarli sappiate che
nell’originale non ci sono poiché sono probabilmente errori del copista”. L’opera di
Don Juan doveva non solo essere priva di errori, ma anche priva di modifiche.
Questo è un aspetto fondamentale siccome sappiamo che in quel periodo molta
letteratura veniva trasmessa oralmente e spesso il testo cambiava a seconda di chi
lo raccontava. Questa invece rappresentava un’opera chiusa che non poteva essere
modificata.

Spesso Don Juan Manuel fa una lista di libri che ha scritto; questi ultimi parlano di
argomenti molto vasti e tra loro differenti come la guerra, ma possono avere anche
degli intenti didattici-moraleggianti (come Dalila e Dimna, raccolgono degli
exempla).

CONDE LUCANOR
In particolare il conde Lucanor, libro de los ejemplos del Conde Lucanor y de
Patronio, venne scritto nel 1335 e ha un intento didattico.
È spesso conosciuto come raccolta di racconti ma in realtà è composto da due
prologhi, e da 5 parti:
1 parte: nucleo centrale (composto da 51 exempla)
2 parte, composta da 100 proverbi, sentenze, detti “de fablar oscuro”
3 parte, composta da 50 proverbi, sentenze, detti ancora più oscuri
4 parte, composta da 30 proverbi, sentenze, detti
5 parte, che rappresenta un trattato sulla salvezza dell’anima (cosa que es muy
provechosa).
Il prologo rappresenta il primo nucleo, la seconda, terza e quarta parte, formata da
180 proverbi, rappresentano il secondo nucleo e la quinta parte rappresenta il terzo
nucleo. I proverbi del secondo nucleo vanno da una difficoltà minore a una difficoltà
sempre più maggiore e da un numero maggiore di proverbi a un numero sempre più
piccolo. Ma a noi interessa il primo nucleo, ovvero la parte maggiormente studiata e
pubblicata, composta da 51 exempla.

CONDE LUCANOR, I NUCLEO: 51 exempla


Il Conde Lucanor è composto da un “marco”, una cornice, all’interno del quale vi
sono gli exempla. Don Juan, l’autore del libro, si prefigge come scopo quello di unire
l’insegnamento al divertimento (l’utile e il dilettevole). I protagonisti della cornice
sono un conte, Lucanor, e il suo consigliere, Patronio. Lucanor chiede consigli a
Patronio che è la sua guida su questioni molto pratiche e quest’ultimo racconta
delle storie da cui il protagonista può trarre insegnamento. La cornice fornisce una
continuità agli exempla, infatti vi è sempre uno stesso schema fisso che si presenta
all’interno degli episodi. (vedi anche il disegno sul pdf)
Possiamo sintetizzare lo schema in questo modo:
- frase introduttiva che riguarda i protagonisti
- quesito esposto dal conte al consigliere
- risposta del consigliere tramite exemplum
- inizia l’exemplum
- finisce l’exemplum e si torna alla cornice, in cui si applica l’exemplum: “così come è
successo nella storia, anche tu conte devi...”
- finita l’applicazione dell’exemplum si ha un altro salto narrativo verso l’esterno:
interviene Don Juan (“poichè Don Juan ha visto che era un buon esempio, lo ha
scritto”). Quest’ultima frase è solitamente rappresentata da un distico, cioè da un
paio di versi che riassumono l’insegnamento (questo distico è l’unica traccia poetica
dell’autore, conosciuto come scrittore di opere in prosa).
I personaggi degli exempla sono esseri umani (uomini generici, conosciuti, di grande
fama, conosciuti per appartenenza geografica), animali...

IL CONTRIBUTO ALLA LETTERATURA


Con il Conde Lucanor Don Juan Manuel si è accaparrato del merito di aver aiutato:

- La lingua spagnola ad evolversi (per esempio “tarbardie” che è un


neologismo). Già con suo zio, Alfonso X, il castigliano aveva raggiunto un
livello di indipendenza e di identità molto alto. I trattati di giurisprudenza,
filosofia avevano sicuramente contribuito a migliorare la lingua (per tradurli si
necessitavano i termini adatti), ma la terminologia di queste discipline rimane
comunque tecnica e quindi unica, riservata solo a quel tipo di trattato; è la
letteratura la disciplina che è più in grado di migliorare una lingua, giocando
con le parole e creandone di nuove. Essa spesso, nel corso della storia, si trova
a combattere contro determinati meccanismi (per esempio si scaglia contro la
religione), ed è l’unica ad avere piena libertà sulle parole.
Lingua e società poi vanno avanti e si intrecciano tra loro

- La lingua letteraria: la struttura (cornice, 1 livello,2...) prevede un continuo


salto tra descrizioni, discorso diretto, indiretto, interventi del narratore; ciò
contribuisce ad arricchire la lingua. Inoltre questo libro è una summa di
insegnamenti, quindi la lingua, per parlare di questi ultimi, deve possedere
una dignità letteraria. La lingua poi, con Don Juan Manuel, deve esprimere
anche le emozioni e i sentimenti contenuti negli exempla (“il re spera in una
soluzione”) e in questo si nota un evoluzione e un salto rispetto al secolo
precedente: mentre con i libri precedenti come Calila e Dimna gli exempla
rappresentavano racconti “piatti”, “bidimensionali”, i quali non si
addentravano nei sentimenti dei personaggi, ma ne venivano descritte solo le
azioni, qui i personaggi sono in rilievo e vi è un profondo interesse per i loro
sentimenti.
JUAN RUIZ
Ci troviamo nel XIV secolo. Rappresentante del ceto religioso, arciprete di Hita
(Castilla - La Mancha), è un uomo di chiesa. La sua opera più importante è il
“libro de buen amor”. Non abbiamo molte notizie sull’autore (egli infatti non era
importante quanto Don Juan Manuel): sappiamo che dal 1315 non è più
arciprete; forse era di Alcala de Hanares, ma si deduce da una strofa del libro de
buen amor, quindi non ne siamo sicuri. Infatti nel libro de buen amor
distinguiamo un Juan Ruiz autore e un Juan Ruiz narratore/personaggio, e non
riusciamo a distinguerli e a sapere con certezza chi tra questi è di Alcala de
Hanares.
LIBRO DE BUEN AMOR
Il libro de buen amor racconta le disavventure amorose di Juan Ruiz
(personaggio, non autore, poichè quest’ultimo è un prete) che cerca di
intrattenere relazioni amorose con varie donne.
Questo libro è stato scritto in gran parte in carcere, ma non si sa se il carcere sia
un topos letterario (potrebbe anche essere una metafora, forse non è vero che
sia andato in carcere). Ci sono vari esempi in questo secolo in cui si parla di
carcere: anche nei milagros Gonzalo dice che si trova in un “giardino”
(metaforicamente) e cade in un sonno profondo.
Di questo libro ci sono pervenute due redazioni:
1 redazione = 1330
Il periodo è lo stesso del Conde Lucanor
2 redazione = 1343
Nel libro c’è un’apparente disomogeneità: sembra ci sia un insieme disorganico
di cose (anche nel Conde Lucanor abbiamo la stessa sensazione, ma in minor
misura). Sembrerebbe un’opera ibrida, che non si possa incasellare in nessun
genere del tempo.
Quest’opera è scritta in cuaderna via, ma non solo (si vede già dalla metrica).
Gonzalo scrive anche dei loores “lodi” che troviamo nel libro e che non sono
scritti in cuaderna via. Poi ci sono anche le canzoni goliardiche.

Schematizzando, nel libro troviamo:

• dal punto di vista formale • dal punto di vista dei


contenuti:
- cuaderna via
- amore (profano, sacro)
- loores
- trama disorganica
- canti goliardici

Trama:
È la storia di questo arciprete, l’io lirico, che dichiara di essersi innamorato e
racconta i suoi insuccessi amorosi. Cerca di contattate varie dame ma non ci
riesce. Ad un certo punto la storia cambia e si parla della storia d’amore di Don
Melon de la Huerta (Melone dell’orto) che cerca di far innamorare doña Endrina
(i due si sposeranno) e per farlo si fa aiutare da Trotaconvertos (antecedente
della Celestina). Quest’ultima è chiamata “alcahueta”, la tercera, la mezzana,
quella che mette in contatto 2 persone. Finita la storia di Don Melon de la Huerta
l’arciprete contatta a sua volta Trotaconvertos ma non riesce a raggiungere le
donne.
Struttura
- disavventure dell’arciprete 2 macrostorie + altri componimenti (canti goliardici,
loores, lotta tra Carnal e cuaresma).
- storia d’amore di don Melon
Scopo
In Europa tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo non era infrequente
che alcuni poeti o scrittori scrivessero opere come queste, costruissero
antologie, raccolte fatte di componimenti loro a cui cercavano di dare una
coerenza.
L’esempio più chiaro del periodo è “Vita nuova” di Dante, in cui ritroviamo la
fusione tra opera poetica in un quadro autobiografico (Juan arciprete), un po’
fittizio
In questo senso allora il Libro de buen amor non si presenta come un
esperimento fallito, all’interno c’è un filo, il perseguire il “buen amor”: BUEN = la
finalità è quella didattica-moraleggiante; AMOR = tema.
Il libro sembra volersi basare sullo scherzo, sull’ironia (addirittura si parlerà di
corna), ma in realtà il fine è quella di insegnare (insegnare dilettando).

Riassunto eventi più importanti del 300:


- Romances
- Don Juan Manuel
- Juan Ruiz
- Nascono le 1 manifestazioni dei libri di cavalleria (questo
fenomeno si svilupperà però maggiormente nel 400)
IL 400 (XV secolo)
Parleremo prima del piano politico, sociale per poi vedere come esso si collega a
quello letterario
Livello politico
All’inizio del 400 troviamo in Castiglia una situazione analoga a quella che abbiamo
trovato all’inizio del 300: la Penisola è invasa da lotte clandestine, i monarchi non
riesco a governare correttamente; vi è un conseguenziale indebolimento della
corona e una crescita sempre maggiore della nobiltà (si stabilisce quasi
un’oligarchia). Il 50% delle rendite dello stato va alla nobiltà; soltanto i re cattolici
(Isabella e Ferdinando) riusciranno a porre fine a queste ingerenze dei nobili.
In questa situazione di caos si susseguono alcuni re:
- Juan II (1406-1454): con lui ha avvio la tradizione del “valido/privado” (favorito dal
re), una figura, un ministro che affianca il re nella gestione del governo. In teoria era
così, in pratica questa figura sostituirà quella del Re [in particolare Alvaro de Luna
(1453), importante perché riuscirà ad acquistare molto potete, entrerà a che fare
con la letteratura. In secondo luogo le sue fortune/sfortune (cade in disgrazia)
innesteranno un tema tipico del periodo: la “fortuna”].
- Enrique IV (1454-1474), affiancato dal valido Beltán de la Cuerva. Il re venne
nominato “el impotente”, perché non poteva avere figli, ma a un certo punto nasce
Juana, denominata la “beltraneja”: infatti sembra sia stato Beltran ad aver concepito
questa bambina con la regina. Questo comprometterebbe l’ascesa al trono di Juana.
Chi sarà allora nel 1474 il successore di Enrico IV? Abbiamo:
JUANA  prende parte alla guerra appoggiata dal Re di Portogallo (si creano quindi
tensioni tra la corona di Aragona e quella portoghese).
ISABELLA “Isabel la católica”, de Castiglia  prende parte alla guerra appoggiata da
Fernando de Aragon (il marito).
Situazione di Isabella
Nel 1468, con in tratado de los Toros de Guisando, Isabella accetta di sposare una
persona che poteva piacere al re, in cambio avrebbe ottenuto il trono (“do ut des”).
Nel 1469 Isabel si sposa con Fernando de Aragon rompendo così il patto con il re
siccome il marito di Isabel non era ben visto dal re essendo di Aragona. Si scatena
così la lotta per la successione (1474-1479) che viene vinta da Isabella e Fernando i
quali uniscono il regno di Castiglia e di Aragona: si crea così la Spagna.
• 711/718 (VIII secolo) inizia l’invasione araba
• 1479 termina la lotta per la successione
• 1492 si conclude quest’epoca

IL 1492 (ANNUS MIRABILIS): ha inizio il medioevo


Riunificazione territoriale-geografica
- A gennaio del 1492 si conclude la Reconquista (regno di Granada)
Riunificazione religiosa
- Il 31 marzo del 1492 i re cattolici emanano l’editto con il quale si danno 4 mesi di
tempo agli ebrei per uscire dal territorio spagnolo (cacciata degli ebrei).
Questo perché a un’unica corona deve corrispondere un’unica fede.

UNICA CORONA ---- UNICA FEDE

- Nasce il tribunale della Santa Inquisizione, gestito dalla corona e dai gruppi
cattolici. Il suo compito era quello di scacciare i colpevoli
- Il 12 ottobre 1492 Colombo scopre l’America
- Nel 1492 venne pubblicato il Vocabulario latín-español, “lexicon”, ad opera di Elio
Antonio de Nebrija (il vocabulario è l’antenato del dizionario bilingue, e questo
dimostra un ulteriore passo avanti dal punto di vista linguistico)
- Nel 1492 esce la Càrcel de amor, di Diego di San Pedro.
Livello letterario
- Lirica cancioneril (quella che ci interessa di più)
- Libros de cavallerìas: libri in prosa che narrano le
3 espressioni che originano
vicende dei cavalieri; traggono la loro origine nel 300,
dallo stesso fenomeno:
l’indebolimento dei nobili. ma nel 400 questo diventa il genere per
antonomasia).
- Novela sentimental
Infatti il rapporto tra la nobiltà e la corona in questo periodo è molto difficoltoso,
fatto di equilibri che si spostano continuamente; l’avvento dei re cattolici è il punto
d’arrivo: questi infatti accentreranno il potere sulla corona e indeboliranno quello
della nobiltà.
La nobiltà durante il XV secolo vede venir meno dei ruoli che prima le erano
attribuiti, questo perché:
- sul piano militare cambia il modo di combattere (è un modo più simile a quello
della guerra moderna: si combatte tra truppe, non tra due persone, non c’è un
duello); per questo motivo i nobili che erano anche i cavalieri vedono venir meno del
loro ruolo all’interno delle azioni militari
- sul piano economico, si insinua una fascia nuova all’interno della società, la
borghesia e i commerciati, i quali hanno un’autonomia basata sul potere economico
- nasce e si sviluppa la burocrazia: i nobili non hanno più il peso che avevano nel
sistema feudale poichè l’accentramento statale elimina i loro poteri, che devono
essere da loro reiventati.
L’indebolimento dei nobili porta alla nascita della figura delle lettere, colui che
coltiva la letteratura (il motto era infatti il seguente: “le armi, le lettere”, poichè vi
era una fusione tra la guerra e le lettere).
INDEBOLIMENTO NOBILE  FIGURA DELLE LETTERE
I nobili, attraverso la letteratura, guardano al passato, alle imprese con lo scudo e
con i cavalli con uno sguardo nostalgico: da questa base nascono i libri di cavalleria.
L’unione delle due corone, quella di Aragona e quella di Castiglia porta invece alla
nascita della lirica cancioneril
È importante puntualizzare che in questo periodo ci saranno dei rapporti altalenanti
col Portogallo, che è indipendente, frequenti lotte e battaglie che porteranno alla
rinuncia e all’abbandono del galaico-portugues e alla scelta sempre più frequente
del castigliano. Sotto le ceneri del galaico portugues nasce infatti nel 400 la lirica
cancioneril, tutta in castigliano, diventata la lingua ufficiale della Spagna.
LIRICA CANCIONERIL
Tipo di produzione poetica raccolta nei cancioneros, che sono antologie, raccolte di
componimenti poetici spesso destinati al canto. Nei cancioneros grande valore viene
dato alla sonorità, al ritmo, alla musicalitá della parola. Si chiamano così perché una
delle strofe utilizzate è la canzone (il modello è quello petrarchesco).
Tratti tipici della lirica:
- Componimenti destinati alla messa in musica
- Grande valore alla sonorità
- Si fondando su opposizioni di concetti: si utilizzano concetti contrapposti
soprattutto in posizione rimica (poiché le parole finali sono quelle messe in
evidenza)
Temi:
- amore e odio
Tutto si fonda sull’opposizione di due cose
- ricordo e oblio
che non vanno d’accordo, poiché l’una
- presenza vs. assenza esclude l’altra.

- fiducia vs. sfiducia (instabilità amorosa)


Quasi sempre, però, il tema principale è l’amore che può essere
a) compiuto, desiderato e realizzato
b) incompiuto, impossibile
In questo modo si costruisce una rete di immagini condivise tra i vari autori i quali
utilizzano le stesse metafore, quelle dell’amor cortese che si basano su dei cliché:
• la donna lancia delle frecce e l’uomo, attraverso lo sguardo, viene “attaccato”,
“sconfitto”, “fatto prigioniero”. La donna risulta così vittoriosa, mentre l’uomo le
mostra il suo amore come se fosse un fedele (religio amoris)
• C’è una stilizzazione del mondo cortese-cortigiano: attraverso la poesia si
costruisce un sistema di immagini della guerra (es: “la donna è come un castello che
non si lascia assediare”). Questi nobili hanno visto perdere la loro figura a livello
militare e la trasportano nel mondo letterale
MONDO REALE —> MONDO LIRICO
Livello formale
La canzone è la forma più utilizzata, ma ce ne sono altre che prevedono un
meccanismo di rime piuttosto fisso.
Nel mondo dei nobili si contrappone alla prosa precedente, più semplice e orale,
quella colta, più difficile e scritta. Inoltre si utilizza:
- la rima consonante (non solo assonante)
- sistema di parti fisse/variabili
Ció comporta una conseguenza inevitabile: questo tipo di poesia non è appannaggio
di tutti e ció aiuta i cavalieri a mantenere quel senso di esclusività.
QUESTIONE IN TERMINI TEORICI
Il tratto tipico che diversifica il cancionero dagli altri componimenti è la presenza di
una riflessione teorica su “cosa significhi fare poesia” (nello specifico nel cancionero
de baena). Non vi sono più solo piccoli cenni di meta-poesia (fare poesia nella
poesia), ma è presente un vero e proprio prologo in cui si parla della gaia scienza.
CANCIONERO DE BAENA (ca. 1430)
Il nome del cancionero viene da Juan Alfonso de Baena (ca.1373- ca.1434)
Egli era uno giudeo converso, aveva quindi la possibilità di circolare nella corte (il
cancionero infatti gli viene commissionato da Juan II).
Nel cancionero egli raccoglie svariate composizioni del periodo che vanno dal 1379
al 1430 ca.
La sua particolarità non è nemmeno il cancionero ma il PROLOGO in cui:
- vi è la dedica al Re
- captatio benevolentiae (e altre cose)
- riflessione su cos’è la poesia
Quest’ultima questione è la più importante perché rappresenta la prima vera
riflessione teorica su cos’è la poesia, la gaia scienza (abilità e tecniche necessarie per
fare poesia)
- giustifica il fatto di aver composto l’antologia:
• perché servirà in futuro
• perché è un atto formativo: dover comporre versi, stare all’interno di una gabbia
metrica contribuisce alla formazione del nobile, innalzandolo e facendolo diventare
sempre più colto

Funzione formativa + migliorativa (arricchisce lo spirito, poiché parlare d’amore


migliora l’uomo).

• perché è un esercizio mentale e spirituale poiché bisogna sottostare alla regole e


muoversi attraverso di esse per raggiungere un buon risultato che ti eleva. La poesia,
inoltre, è appannaggio di poche persone: il poeta non è chiunque

Merito di Juan:
Aver richiamato l’attenzione sul dibattito riguardo a chi può fare poesia: solo chi è
toccato dall’amore può farlo.

Tensione del poeta nel


fare poesia

Nel riuscire a dire qualcosa


Legata alla strofa e ai
di nuovo, un esercizio
temi “alti”
poetico mai sentito prima

CANCIONERO, struttura:

- prologo (merito più grande)


- componimenti (raggruppati e organizzati a seconda del tipo di
componimento: alcuni sono di Juan, altri sono i componimenti più
rappresentativi del tempo)

Esiste un altro prologo importante che però Baena lascia fuori dal cancionero e non
si sa perché: il Marques de Santillana (Iñigo Lopez de Mendoza)
MARQUES DE SANTILLANA (INIGO LOPEZ DE MENDOZA) (1398-1458)
Membro dell’alta nobiltá, partecipa alla vita di corte con l’operato di Juan II.
Affidatogli il titolo di marchese egli incarna la figura del poeta cortigiano; la sua
affinitá con il re spiega l’astio che aveva col suo privado. Questo rapporto turbolento
lo spingerá a scrivere le colpas contra Don Alvaro (tema del privado), un’opera
contro il privado il quale aveva fatto incarcerare alcuni uomini, tra cui un amico di
Marquez. Scrisse anche un’altra opera “Bias contra fortuna” (tema della fortuna, ma
non ce ne frega), come consolazione ad un uomo che aveva visto incarcerare suo
cugino ad opera del privado.
Scrive un prologo per dedicare un opera a Don Pedro de Portugal; in questo
prologo, insieme a quello di Juan, abbiamo il concetto di “fare poesia” (cos’è e qual
è la sua funzione).

CARVAJAL (O CARVAJALES)
Non ne sappiamo molto riguardo all’autore, in realtà non sappiamo bene neanche il
suo nome. Sappiamo che ha scritto le liriche negli anni 40-60 del 400.
Il tema della cerrana ha di solito temi cruenti “la donna offre l’amore all’uomo, ma
in realtà lo violenta e lo uccide” nelle tradizioni folcloristiche, è una leggenda. Nelle
sue opere, invece, la cerrana è stilizzata.

JUAN DE MENA (le ruote della fortuna)


Autore che vive nella prima metà del 400 (1411-1456), è importante per il tema
della fortuna. Non sappiamo molto della sua vita, forse era uno giudeo converso
(ebreo convertito, questo elemento è spesso ricorrente: se abbiamo poche notizie
riguardo all’autore l’ipotesi più accreditata è che sia un ebreo convertito). Riesce a
gravitare attorno alla corte di Juan II, il suo protettore, tanto da diventare un suo
mecenate come Juan Alfonso de Baena; diventa cronista reale di Juan II.
Ma lo menzioniamo per un’opera, il “laberinto de fortuna” (o “las Trecientas”):
questo é un poema di 300 strofe (dare un’occhiata alla struttura) allegorico, cioè su
avvale di allegorie. Queste allegorie sono dovute all’influenza che ebbe da parte di
Dante che nella sua opera descrive 3 mondi (inferno, purgatorio, paradiso); in
parallelo Juan De Mena descrive anche lui 3 mondi: passato, presente e futuro.
Il componimento racconta di un viaggio compiuto dall’autore attraverso i palazzi
della fortuna, che rappresentano 3 grandi ruote, rispettivamente quella del passato,
che ormai è andata via, quella del futuro, della quale non si può sapere niente, e
quella del presente, la quale non smette di girare e non si sa in che direzione va. Qui
ci sono molti personaggi tra cui anche Alvaro de Luna e Juan II.

Chiudiamo il discorso sulla lirica. Abbiamo detto che i temi fondamentali sono:

- L’amore Questi 3 temi sono costanti in


- La fortuna tutta la produzione lirica
cancioneril. Essi appaiono
Ma ce n’è anche un altro, molto importante:
mescolati: l’amore mette in
- La morte (Jorge Manrique atto simboli come “guerra
è il più menzionato di tutta la letteratura spagnola d’amore”, oppure ci permette
riguardo a questo tema). di evocare metaforicamente
“la morte d’amore”.

MORTE
La morte può essere
• amorosa (rifiuto d’amore)
• fisica, intesa come morte vera e propria, la cessazione della vita negli aspetti
più concreti (infatti abbiamo immagini di putrefazione di corpi,
decomposizione).
In questo senso la morte è qualcosa di molto più concreto e più vicino alla vita di
ogni uomo del 400 perché ognuno di essi affronta questa esperienza più di una volta
nella vita: si pensi al fatto che prima la morte avveniva più spesso a causa delle
frequenti guerre o epidemie (ricordiamo nel 1368 la peste), o al fatto che si moriva
prima (morte livellatrice).
La presenza della morte la troviamo anche a livello iconografico, non solo nella
letteratura (non c’era il timore della censura).

Assume una serie di sfaccettature che si collegano a temi, declinazioni, che


provengono dalla bibbia e che saranno continuamente utilizzato per questo tipo di
produzione:
- morte livellatrice (la morte è una livella, un momento di uguaglianza tra tutti
gli uomini poichè nessuno si sottrae alla morte)
- corruzione dei beni
“Vanitas vanitatum (et omnia vanitas)”, citazione biblica dal libro delle
Ecclesiastiche, “vanità delle vanitá e tutto è vanità”: poichè alla morte non ci
si può sottrarre tutte le cose terrene sono cose vane poichè con la morte
saranno abbandonate.
- corruzione del corpo: si descrivono corpi in decomposizione, si
rappresentano scheletri, figure morte (già Juan Ruiz nel libro de buen amor
descrive la morte di Trotaconvertos)
- “Ubi sunt?”, “dove sono?”: domanda retorica che l’autore rivolge a se stesso
o al lettore per riflettere sulla vanitá delle cose (es: “che fine fa il corpo dopo
la morte?” “Che senso ha accumulare i beni quando poi perderemo tutto?”)
- “De comptemptu mundi”, “il disprezzo del mondo”: le cose del mondo sono
vane e quindi vanno disprezzate, le cose spirituali vanno invece apprezzate.

JORGE MANRIQUE (1440 ca.-1479)


Non abbiamo moltissime notizie di lui; sappiamo che vive nella seconda metà del
400 e che è un nobile imparentato con l’alta nobiltà: il padre, Rodrigo Manrique è
un ufficiale superiore dell’ordine di Santiago, del quale fa parte anche il figlio (la
orden de Santiago). Anche Jorge è quindi uno di quei nobili che mescolano le armi
(uomo militare che prese parte ad alcune campagne e appoggió anche la regina
Isabella) e le lettere (poeta).
Egli fu autore di liriche cancioneriles oltre che di colpas.
Sappiamo che il padre, Rodrigo Manrique, al quale vennero dedicate le coplas, morì
nell’autunno del 1476. È importante sapere ciò perché in questo modo possiamo
stabilire:
- TERMINUS POST QUEM = 1476 (muore il padre e inizia a scrivere le coplas)
- TERMINUS ANTE QUEM = 1479 (muore Jorge Manrique).

La novità e l’abilità di Jorge Manrique sta nella disposizione, nell’organizzare in


modo innovativo e originale temi già esistenti e ricorrenti.
Già con Cicerone noi sappiamo che la retorica prevede 5 fasi:
- inventio (l’autore idea i contenuti di cui vorrà parlare, è una ricerca mentale)
- dispositio (disposizione e ordine degli elementi giá esistenti)
- elocutio
- memoria Queste ultime 3 non ci interessano molto
- actio
Il valore dell’opera sta tutto nella “dispositio”, nel fare una costruzione armoniosa di
elementi classici solitamente utilizzati.
I LIBRI DI CAVALLERIA (libros/libro de caballerias)
Nel 300 affonda le sue radici, ma è nel 400 che avviene il momento di massimo
splendore di questo genere che avrà una grandissima importanza per la proiezione
anche a livello europeo che si avvertirà in tutta la produzione successiva (soprattutto
nel 600 con Don Chisciotte).
Con i libri di cavalleria si viaggia nello spazio e nel tempo: esse sono narrazioni in
prosa di avventure cavalleresche che prevedono uno spostamento continuo nello
spazio geografico del protagonista.
Sono narrazioni di gesta, imprese eroiche, chiamate “hazagnas (fazagnas)”, da parte
di cavalieri che rappresentavano l’altra faccia della medaglia che via via si stava
perdendo: quella del cavaliere che indossava un’armatura e andava a compiere
delle imprese sul suo cavallo. A mano a mano che questa realtà quotidiana si andava
affievolendo, rarefacendo, sorgeva la narrazione di queste gesta. La nobiltà, infatti,
si sentiva costretta a ridefinire il proprio ruolo all’interno della società: in questo
contesto sorgono, quindi, i libri di cavalleria che sono la rappresentazione di un
mondo che si sta perdendo.
La finzione, elemento tipico di questo genere, permette di narrare cose che non
sono accadute, come
- Imprese eroiche inverosimili
- Presenza del fantastico
- Gesta che prevedevano scontri con draghi, esseri mostruosi, maghi, streghe
Libro del caballero Zifar
Il 1 libro (non ne parleremo) che sorge in Castiglia è il “Libro del caballero Zifar”, che
costituisce il prodromo del genere dei libri di cavalleria (primo rappresentante), il
modello di riferimento. Non è databile con certezza, forse venne scritto nella prima
metà del XIV secolo (1320-1340 ca). In questo libro troviamo però ancora un
ibridismo con degli elementi presenti nelle vecchie produzioni:
- In parte vi sono elementi nuovi, dei libri di cavalleria (storia e narrazione delle
imprese di Zifar)
- In parte elementi caratteristici di altri generi (inserimento di exempla,
proverbi, insegnamenti che potessero essere utili per il lettore nobile, che ci
ricordano il Conde Lucanor, il libro de buen amor, gli specula principis, la
letteratura gnomica-sapienzale come il calila e dimna e il sendebar)
Non ne parleremo, ma ricordiamo che al di fuori della penisola ispanica stanno
avvenendo dei processi storici, politici, sociali simili: ci sono le crociate, le leggende
Arturiche, la tavola rotonda, situazioni che portano a un interesse generale verso la
narrazione di gesta cavalleresche.
Il libro di Zifar è solo il punto di inizio: quello che ci interessa è un altro libro,
“L’Amadis de Gaula” (siamo verso la fine del XV secolo): con questo libro ci
troviamo di fronte ai paradigmi dei libri di cavalleria, gli elementi che ci sono qui
sono presenti in tutti i libri di cavalleria
Amadìs de Gaula
Nel 1508 abbiamo la pubblicazione (ricordiamo che in questo periodo la stampa
esiste)
L’autore è Garcia Rodriguez de Montalvo (1450-1505)
In questo libro troviamo tutte le caratteristiche che connotano tutti i libri di
cavalleria (un numero abbastanza alto di romanzi cavallereschi).
È importante conoscere gli elementi tipici dei libri di cavalleria poiché altrimenti non
potremmo capire il Don Chisciotte (parodia di questi libri).
Contenuto libri di cavalleria:
Si basa su 3 macroprove che il protagonista, in questo caso Amadis, deve sostenere:
1) IDENTITÀ: il protagonista non conosce quali sono le sue origini, non sa di chi è
figlio o quanto meno non lo sa fino alla conclusione del libro. Infatti,
attraverso dei segni di riconoscimento, il protagonista scoprirà le sue origini
(il padre di Amadis, per esempio, re del regno di Gaula decide di abbandonare
il figlio in una cesta che lascia lungo il fiume nella quale mette una lettera, un
anello e una spada che sono segni di riconoscimento che il protagonista
inizialmente non riesce a interpretare. Solo alla fine, grazie a questi segni,
scoprirà di essere figlio di un re). In realtà tutto il processo permette al lettore
di dimostrare che l’identità del protagonista, pur non sapendolo, è da sempre
stata regale, principesca; solo grazie all’agnizione, al riconoscimento, degli
oggetti il cavaliere riconoscerà la sua vera identità.
DIMOSTRAZIONE DELL’IDENTITÀ REGALE
2) RELAZIONE AMOROSA: proprio la non conoscenza della sua naturale identità
regale porta il protagonista ad avere una relazione amorosa squilibrata a
livello sociale: il protagonista è innamorato di una principessa, una nobile
irraggiungibile per chi non sa di essere un nobile (nel caso di Amadis la donna
si chiama Oriana).
DIMOSTRAZIONE DELLA LA SUA IDENTITÀ REGALE ATTRAVERSO IL SERVIZIO
AMOROSO (ciò ci riporta all’amor cortese della lirica cancioneril): difesa della
donna, regali, il protagonista sostiene duelli per difendere o raggiungere la
donna.
Foto
Questa è l’immagine che si aveva in quel tempo del cavaliere: a cavallo, con la
spada, lo scudo e l’elmo
3) AZIONI MILITARI: vi è la dimostrazione da parte del protagonista di essere
degno di essere un eroe dal punto di vista, militare, delle azioni militari
(dimostrazione del coraggio, dell’abilità di essere un buon condottiero, di
saper condurre e vincere battaglie, di saper dirigere degli eserciti).
DIMOSTRAZIONE DELLA SUA IDENTITÀ REGALE ATTRAVERSO LE AZIONI
MILITARI
Si assiste, quindi, alla formazione progressiva di un protagonista (egli è già dall’inizio
quello che è di natura, ossia un principe, ma solo agli occhi del lettore: lui non lo sa).
Il fatto che Amadis scopra di essere un re e possa sposarsi con Oriana farà sì che, con
uno stratagemma, fatte le nozze dal matrimonio nasca un figlio che sarà l’erede e il
protagonista del successivo libro di cavalleria (questa situazione non si trova in tutti i
libri di cavalleria, ma spesso). Si ricomincia il ciclo (l’erede non conosce le sue origini,
si trova in una condizione di inferiorità sociale nei confronti della donna, compie
azioni militari); si mette in atto un gioco ciclico necessario in quel periodo, siccome
questi erano libri molto venduti e generavano un’aspettativa da parte del pubblico
che desiderava sempre più avventure da leggere: ecco perché parliamo di “cicli” e
non di libri.
Fin ora abbiamo parlato del verosimile, del possibile dell’epoca
Adesso parliamo dell’inverosimile, il meraviglioso, il fantastico.
Il meraviglioso può essere:
- Umano: vi è la presenza umana di maghi, streghe, fattucchiere, stregoni,
esseri meravigliosi, giganti. Questi personaggi possono essere sia
deuteragonisti (aiutanti) che antagonisti. Amadis, per esempio, deve lottare
contro una strega malvagia, “Urganda la desconosida” e questo costituisce
uno degli elementi più famosi dell’Amadis (anche il Chisciotte la citerà)
- Animalesco: vi è la presenza di animali fantastici che popolano questi libri,
come animali che suscitano il terrore, antagonisti contro i quali si scaglia il
protagonista (in un libro, “polindo”, si parla di questo mostro del quale ne
viene fatta una descrizione che lascia spazio all’immaginazione)
- Architettonico: vi è la presenza della descrizione di strutture architettoniche,
palazzi magici, meravigliosi, edifici, palazzi in cui vivono i vari protagonisti,
descrizioni di ponti, strade, che suscitano lo stupore.
Questi 3 elementi li troviamo in tutti i libri di cavalleria. La diffusione che hanno
questi libri verso la fine del 400 e per tutto il 500, pur non essendo facili da leggere,
è inedita, mai vista è prima.
Tutto questo meraviglioso, la lettura della presenza di maghi, animali strani,
strutture architettoniche, crea un rapporto nella mente del lettore tra realtà e
finzione che è piuttosto chiaro: si mescolano elementi del reale e del fantastico.
Questo rapporto viene messo in dubbio a partire dal 1492, quando Colombo
approda per la prima volta in terra americana. Inizia da quell’anno un periodo di
scoperta del territorio: le persone che vivono in quest’epoca sono imbevute di
queste letture e per loro scoprire che alcuni animali di cui nemmeno si sospettava
l’esistenza, strutture architettoniche e tipi di esseri erano reali era una cosa
sconvolgente. L’uomo europeo viene a contatto con un uomo diverso, quello
americano, che ha una pelle diversa, lingua diversi, vestiti diversi. Scopre animali che
non si conoscevano, tipi di uccello, rettili; scopre strutture architettoniche, le
piramidi, cibi come i pomodori, le patate.
NOVELA SENTIMENTAL (nel 400)
“Novela sentimental” significa “romanzo” o “finzione sentimentale”
Inizia dopo la nascita dei libri di cavalleria, il primo testimone di questo genere lo
troviamo intorno alla metà del XV secolo
1. “Siervo libre de amor”, Juan rodriguez del padron (1440 ca.), primo
testimone
2. “Proceso de cartas de amores”, Juan de segura (1548)
3. “La carcer de amor” (1492)
Tutti e tre questi libri testimoniano che l’amore è legato a qualcosa di difficoltoso:
nel primo libro vi è il servo d’amore; nel terzo libro vi è il carcere d’amore, la storia
d’amore che si conclude con la morte di uno dei protagonisti (a differenza dei libri di
cavalleria qui l’evoluzione è tragica; il carcere lo troveremo anche nel “carcel de
amor”); nel secondo libro ci sono le cartas, le “lettere”, che ci permettono di
ricollegarci a uno degli elementi tipici di questo genere:
- Elemento epistolare: ci sono delle lettere, messaggi, che si scambiano i
protagonisti (quello maschile che occupa una posizione sociale bassa e quella
femminile, che è una donna sdegnosa nobile che rifiuta l’amore)
Le novelas sentimentales sono circa 20-25
Essa è influenzata da tre generi e produzioni diverse e ad essa antecedenti:
1) Libro de caballeria
2) Lirica cancioneril
3) Narrativa amorosa italiana
La novela sentimental e i libri di cavalleria
C’è un filo diretto che lega i libri di cavalleria e la novela sentimental: i libri di
cavalleria contengono già in embrione alcuni elementi che saranno poi caratteristici
della novela sentimental: alcuni elementi presenti nella novela sono l’evoluzione di
alcuni elementi dei libri cavalleria.
Quindi, così come il romancero era un frammento distaccatosi da un componimento
più ampio, la novela sentimental potrebbe essere un frammento dei libri di
cavalleria (la parte amorosa dei libri di cavalleria, la storia d’amore di un uomo che si
trova a un livello sociale più basso rispetto alla sua amata)
Abbiamo detto che la novela sentimental era un tipo di narrazione che proveniva in
parte dalle narrazioni cavalleresche: le parti dei libri di cavalleria relative all’amore e
alla relazione che si stabilisce tra un uomo e una donna sono elementi che
ritroviamo nella novela sentimental. Tra i due protagonisti intercorre una relazione
disuguale, che vede una donna nobile, altolocata, amata da un uomo che non la
raggiunge dal punto di vista sociale ed è impossibilitato nel vedere realizzato
l’amore (si tratta quindi di amori impossibili, infatti molte di queste prose si
concludono con la morte dell’amante, spesso con un suicidio).
Ci sono anche due tradizioni letterarie che confluiscono nella novella sentimentale
La novela sentimental e la Lirica cancioneril
La Lirica cancioneril costituisce un antecedente e una suggestione che confluisce
nella novela per il tema dell’amore: prende spunto dalla base dell’amor cortese,
base anche della lirica cancioneril. Il periodo è lo stesso, quindi c’è un retroterra
estetico e tematico comune: entrambe si rifanno a un’idea dell’amor cortese
(precisamente alla relazione uomo-donna) comune. Ma da un terreno, però,
possono nascere frutti diversi: nella lirica cancioneril si coltiva il gusto per
trattazione del momento dell’incontro (tra uomo e donna, le loro sensazioni, il
momento in cui nasce l’amore). La novela sentimental fa un passo ulteriore: c’è più
spazio da dedicare non tanto al momento dell’incontro quanto a scandagliare tutte
le emozioni (difficoltà nel condurre questo rapporto) che scaturiscono dal momento
dell‘incontro.
La novela sentimental e la Narrativa amorosa italiana
Un altro genere che influenzò la novela sentimental fu la narrativa amorosa italiana
(o in latino): più precisamente alcune narrazioni fanno da base e da modello al quale
si ispira la novela sentimental. I modelli sono due testi in particolare:
- “L’elegia di madonna fiammetta” di Boccaccio, scritta negli anni 40 del XIV
secolo, tradotta solo alla fine del 400 in spagnolo (il testo ebbe molto successo
e lo testimonia il fatto che venne tradotto). Qui vi è un monologo della
protagonista, innamorata di Panfilo, la quale parla alle donne innamorate
attraverso una lettera. La comunicazione attraverso la lettera e quindi
attraverso la narrazione dei propri sentimenti è uno degli elementi
fondamentali della novela sentimental (l’utilizzo di lettere per approfondire i
propri sentimenti, in particolare quello d’amore)
- “Historia de duobus amantibus”, scritta da Enea Silvio Piccolomini nel 1444 (o
Pio II, perché diventa papa dal 1458 al 1464). Di questo libro ci furono più di
70 edizioni in meno di 60 anni, questo vuol dire che riscosse molto successo.
Venne tradotto in spagnolo verso la fine del 400.
La storia è quella di una donna sedotta e abbandonata dall’amante. Ella è
sposata con un uomo dall’autore definito “cornuto quasi cervo”. Il finale è
tragico: la donna si lascerà morire d’amore, struggendosi per la sorte che le è
toccata. Anche in questo componimento ricorrono elementi tipici del genere
della novela sentimental come lo scambio di lettere, l’impostazione di tipo
autobiografico (il personaggio parla di se in prima persona) e la concezione
patetico-amorosa (pathos) del sentimento amoroso.
Elementi caratteristici della novela sentimental:
- I libri hanno un impostazione di tipo autobiografico: il protagonista narra la
propria storia in prima persona, ma ciò non esclude il fatto che all’interno di
un brano ci possano essere più voci narranti (anche nel carcel de amor
succede, la prima parte viene narrata da un secondo narratore).
- Abbiamo una seconda strategia utilizzata per parlare di amore: uso della
lettera, dello scambio epistolare. Non tutte le opere ce l’hanno ma è comune
(nella carcel de amor succede). A scambiarsela sono spesso di solito i due
protagonisti. Perché viene utilizzata proprio la lettera? Si tratta di un
escamotage che era presente in alcune produzioni precedenti (come per
esempio nella narrativa amorosa italiana). Lo scambio di lettere, naturalmente
fittizio, all’interno di uno romanzo permette di esprimere sentimenti più
profondi: quando scriviamo una lettera noi riusciamo a presentare la faccia
più verace e sincera di noi stessi, specialmente se la lettera in causa è
d’amore. Lo facciamo in modo meditato e mettiamo a nudo tutti noi stessi.
Quindi la lettera è in primo luogo il mezzo che risolve il problema di
verosimiglianza: i due protagonisti non sono a contatto tra loro, la lettera
risolve il problema della lontananza; in secondo luogo i protagonisti mettono
in luce e in evidenza i loro sentimenti più profondi.
- La concezione patetico-amorosa (pathos) del sentimento amoroso (nel carcel
de amor è particolarmente visibile).
- Suicidio
- Carcere (vedi carcel de amor)
- I protagonisti sono due amanti cortesi perché si muovono nel codice
dell’amor cortese (la donna deve mantenere la verginità, l’uomo è asservito
sia alla donna sia al padrone, al signore). Per affrontare questi problemi la
lettera permette al protagonista di mettere in moto un flusso di coscienza che
mette a nudo i suoi sentimenti (nel carcel de amor Leriano scrive a Laureola).
- È presente un deuteragonista, un aiutante, un amico dell’uomo che deve
essere aiutato. Egli fa da Celestina, da tramite tra l’amante e l’amata. I
protagonisti sono sempre un uomo e una donna.
CARCEL DE AMOR
Scritto da Diego De San Pedro, pubblicato nel 1492.
Dell’autore non conosciamo molto (quando le origini non sono ben note sappiamo
che probabilmente era uno giudeo converso)
Questa data (1492) è molto importante perché sappiamo che fu l’anno in cui i re
cattolici emaneranno un editto con il quale espulsero dal territorio iberico gli ebrei
che non vollero convertirsi al cristianesimo
Nel 1491 l’autore pubblica un “tractado de amores de Arnalte y Lucenda”.
Egli è anche autore di una trentina di opere in versi, pubblicate in vari cancioneros,
in particolare nel cancionero general (raccolta del 1511in cui troviamo una trentina
du opere composte da Diego). Egli, quindi, scrive sia liriche cancioneriles che novelas
sentimentales e ciò spiega come non sia possibile scindere tutti gli elementi in
compartimenti stagni e stabilirne alcuni per una produzione e altri per l’altra.
Il carcel de amor ebbe una serie di edizioni e questo testimonia il fatto che divenne
molto acclamato tra il pubblico del tempo.
Trama
È la storia d’amore di un uomo, Leriano e la sua amata, Laureola, figlia di un re
(elemento del dislivello sociale). L’uomo sa che non potrà conquistare la principessa;
qui c’è l’intervento di un antagonista che si chiama Persio che rende ancora più
difficile la storia d’amore tra i due, che già dall’inizio era destinata a finire male.
Leriano, innamorato di Laureola, cerca di incontrarla ma Persio diffonde delle dicerie
per screditare la donna. Leriano, per difendere il nome e l’onore della donna si
scontra con l’antagonista e lo sconfigge per due volte ma ormai è troppo tardi: il
padre di Laureola da credito alle voci diffuse da Persio e condanna a morte la figlia.
Leriano, a questo punto, attacca la prigione in cui ella è custodita e fa ammettere ai
calunniatori che le accuse contro di lei erano false. Il padre di Laureola finalmente
perdona la figlia ma, ciononostante, ella non accetta l’amore di Leriano il quale si
lascia morire dopo aver ingurgitato i pezzettini di lettere scritte per Laurelia.

<1245: per abbat, calcolta sulla base dell’anno 0 (il nostro 38 aC), dobbiamo quindi
toglier 38 e arriviamo al 1207>

XVI SECOLO
Apriamo un nuovo capitolo, un nuovo secolo, il XVI. Apriamo quindi anche un’epoca
nuova; ovviamente le date stabilite sono convenzionali poichè i processi cambiano
gradualmente: il 1492 è una data presa molto in considerazione, considerato come il
punto di snodo dal medioevo poiché sono successe talmente tante cose a livello
storico che possono essere considerate avvenimenti epocali, che marcano un prima
e un dopo.
Cosa succede all’inizio del secolo
A questo riguardo l’apertura sul 500 anche a livello governativo provoca un
cambiamento epocale: verso la fine del 1400, precisamente negli anni 70 del 400, si
stabilisce l’unione tra il regno di Aragona e il regno di Gradana, “i cattolicissimi”, e
da quest’unione nasce il regno spagnolo.
L’inizio del 500 stabilisce una nuova realtà politica (lo Stato spagnolo) che si
concretizza in avvenimenti importanti: all’unione delle due corone succederà la
nascita di Giovanna la pazza e ancor di più l’unione di quest’ultima e Filippo il bello
darà luce a Carlo I o (Carlo V, imperatore). Egli inizia a regnare dal 1518 sulla Spagna
e dal 1519 diventa anche imperatore del sacro romano impero.
Carlo I
E importante perché:
- Nasce nel 1500, anno in cui avviene il cambiamento epocale
- Nella sua figura confluiranno una serie di eredità territoriali che faranno sì che
da Carlo I in poi si dia vita a un vero e proprio impero (mai visto fino a quel
momento in Spagna); la Spagna passa da una unità territoriale ridotta (dagli
anni 70 del 400) ad una Spagna formata e che impèra sul mondo, al punto che
uno tra Carlo I o Filippo II, l’erede, (non si sa con precisione chi sia stato) dirà
“sul mio impero non tramonta mai il sole”. Tale affermazione sta ad indicare
che i possedimenti territoriali controllati dalla corona spagnola sono tanti e
tali da far sì che il sole non tramontasse mai sull’impero spagnolo, essendo
esso così vasto.
- Con Carlo I si dà il via, quindi, a un’reatà imperiale che la Spagna non aveva
mai visto e che non vedrà mai più che va dalla data di nascita di Carlo I (1500)
alla data di morte di Filippo (1598)
Non è un caso che quando parliamo dell’arco di tempo che va dal 1492 al 1681 (data
di morte di Pedro Calderòn de la Barca, autore di “la vida es un sueño”) come
SIGLOS DE ORO o EDAD DE ORO: in questo arco di tempo la Spagna raggiunge uno
dei periodi di maggiore splendore di tutta la storia
Come correnti artistiche in questo periodo abbiamo il rinascimento e il barocco (su
quest’ultimo ci soffermeremo l’anno prossimo).
Nel 1500, con l’unione di Giovanna la pazza e Filippo il bello e la successiva nascita di
Carlo I, la corona spagnola inizia le relazioni con un’altra corona, quella del sacro
romano impero germanico. Il padre di filippo il bello, Massimiliano D’Asburgo, ne
era l’imperatore; questo significa che Carlo I, in quanto figlio di Filippo il bello e
quindi nipote di Massimiliano D’Asburgo, non solo è l’erede del trono di Spagna, ma
anche del sacro romano impero germanico.
Territori di Carlo V
Considerando i nonni, Carlo V ereditò
• dalla nonna materna più o meno tutto il regno della Castiglia;
• a parte del nonno materno, Ferdinando D’Aragona, eredita il regno di Aragona
(compreso la Catalogna e il regno di Valencia) che aveva un controllo diretto anche
sul sud Italia
• aggiungiamo che, sempre da parte dei nonni materni, Carlo V comincia ad avere il
controllo sulle terre americane, si arriva addirittura alle attuali Filippine
• tornando all’Europa, oltre a controllare il sud Italia e tutta la Spagna tranne
Portogallo, per via del nonno paterno, Massimiliano D’Asburgo, a lui toccano tutti i
territori del sacro romano impero (Carlo I è l’imperatore della Spagna, Carlo V è
inteso come imperatore del sacro romano impero).
Di fronte a un impero potremo dire universale gli altri stati (specialmente Francia e
Inghilterra e lo Stato pontificio) cominciano ad avere dei timori per la quantità dei
governi che Carlo I possiede.
Si dà l’avvio ad un epoca dorata che può essere così schematizzata

LOS AUSTRIA
Genealogia de los austria,
Carlo I, o Carlo V (1519-1556) provengono dalla casata degli
Filippo II (1556-1598) Asburgo (ricordiamo Massimiliano
D’Asburgo): durerà fino al 700
Felipe III (1598-1621) quando in seguito ad una lotta di
Felipe IV (1621-1665) successione si istituirà la casata dei
Borbone (attualmente re di spagna)
Carlos II (1665-1700)
Eventi storici e letteratura
Tutti gli avvenimenti storici hanno delle ricadute sulla letteratura:
Un esempio lampante è Miguel de Cervantes, autore del Don Chisciotte, il quale era
chiamato “el manco de Lepànto” perché egli aveva partecipato alla battaglia di
Lèpanto per contrastare l’avanzata del regno ottomano come soldato perdendo
l’uso della mano sinistra. Egli, inoltre, affronta il tema del cautivèrio, del personaggio
che viene fatto prigioniero dai pirati (Miguel si identifica con lui poiché gli successe
la stessa cosa di ritorno dalla guerra)
Ma probabilmente l’esempio migliore che testimonia il punto di contatto tra storia e
letteratura è la figura di Garcilaso de la Vega:
Siamo nel 1526: si stanno celebrando a Granada dei festeggiamenti per le nozze di
Carlo V, sono stati invitati i rappresentanti delle potenze amiche. Durante
quest’occasione avviene l’incontro tra due uomini, Andrea Navagero (ambasciatore
veneziano in Spagna, uomo di cultura) con Juan Boscàn Almogàver (uomo della
corte di Carlo, poeta). In questo incontro i due si mettono a parlare e Navagero
sottopone una questione letteraria a Juan. Egli dice di apprezzare la letteratura e la
poesia spagnola ma che potrebbe essere interessante se gli spagnoli dessero
un’occhiata a quello che stava accadendo in Italia a livello letterario già da tempo: in
particolare si riferiva al tipo di forme strofiche (terzina dantesca, sonetto, canzone
petrarchesca) e alle forme metriche, come l’endecasillabo. Ciò ebbe un’importanza
fondamentale nell’evoluzione della letteratura spagnola del 500.
Juan porge la questione a sua volta a un amico, Garcilaso de la Vega
Poeta e cortigiano (fa coincidere arti militari e letterarie) nasce agli inizi del 500
(1502-3 non si sa) si fa conoscere perché riassume in sè il perfetto ideale del
cortigiano, che nel 1528 Baldassarre Castiglione aveva riassunto in un opera
intitolata “il cortegiano” (l’opera comprende 4 libri in cui si espongono tutte le
regole che bisogna rispettare per essere considerati un perfetto uomo o doma di
corte: come la provenienza da origini nobili, buon ingegno e aspetto, abilità nell’uso
delle armi e delle lettere)
Perché menzioniamo Baldassare?
- Le date sono molto ravvicinate (1526-1528)
- Nel 1534 Boscan traduce il cortegiano in spagnolo (tradotta perché
considerata importante)
Tutto questo brulicare di cose, esperienze, traduzioni è importante perché da qui
parte la cosiddetta rivoluzione poetica Garcilasiana
Rivoluzione poetica Garcilasiana
L’influenza italiana, sia diretta (presenza di Navagero in Spagna, l’esistenza del
“cortigiano” tradotta in spagnolo), sia indiretta (presenza degli autori come Dante
Petrarca, Boccaccio) influisce sull’esperienza spagnola
‣ È garcilasiana perchè per quanto sia Juan ad avere l’incontro con Navagero (e
quindi con l’ambiente italiano) sarà Garcilaso colui che porterà a compimento la
rivoluzione
‣ È una rivoluzione, ma ancora di più un’evoluzione: si passa dal medioevo al
rinascimento.
‣ È poetica perché avviene in questo campo e vi è l’abbandono di certe forme e la
sperimentazione di altre (forme metriche e strofiche).
Juan Boscàn Almogaver
Dell’incontro ce ne parla lo stesso Boscan, poeta che spesso viene messo in ombra
dal più importante Garcilaso, ma anche lui va ricordato perché:
1 Grazie a lui abbiamo il punto iniziale della rivoluzione (senza lui non sarebbe stato
possibile tutto ciò)
2 Egli pubblicherà le opere di Garcilaso post mortem unendole alle sue.
Endecasillabo prima di Garcilaso
Prima di Garcilaso in realtà c’erano stati autori che avevano sperimentato
l’endecasillabo come forma metrica: il Marques de Santillana aveva pubblicato
alcuni sonetti. Anche all’interno della lirica precedente a Garcilaso ci sono dei
tentativi di introdurre questo metro (squisitamente italiano). Eppure tutti gli
esperimenti precedenti sono falliti: la rivoluzione di Garcilaso consiste nell’essere
riuscito ad addomesticare alla lingua spagnola l’endecasillabo, essere riuscito ad
adattare gli accenti, la musicalità e le regole dell’endecasillabo alla lingua spagnola,
cosa che gli altri non erano riusciti a fare.
Ricordiamo che Iñigo Lopez de Mendoza (o Marques de Santillana) scrisse 42
“sonetos fechos al italico modo”, composti prima di Garcilaso. Quindi Garcilaso non
ha la fama per essere il primo ad averlo sperimentato, egli fu il primo che ci riuscì.

Cosa vuol dire adattare l’endecasillabo alla lingua spagnola (e viceversa)?


L’endecasillabo si costituisce per 11 sillabe metriche (non grammaticali, perché
ricordiamo che attraverso alcune strategie come la sinalefe riusciamo ad ottenere
una divisione delle sillabe diverse da quella grammaticale). Con i poeti prima di lui la
quantità sillabica viene mantenuta, ma non è la quantità che fa la differenza ma la
qualità. L’endecasillabo ha degli appoggi, degli accenti che devono essere rispettati
internamente al verso (per esempio non può avere un accenti in posizione 5, ma
oltre che in 10, che è la posizione che permette di identificarlo come endecasillabo,
deve averlo anche in 4 o 6 posizione); l’endecasillabo può avere inoltre variazioni:
oltre all’accento in 4 6 8 10 posizione possono esserci accenti anche in 1,2,3
posizione e ciò produce varianti diverse (variazioni di uno stesso tema). Ci sono
quindi alcune regole non scritte riguardo alla struttura dell’endecasillabo che
devono essere rispettate altrimenti non si coglie appieno l’essenza
dell’endecasillabo.
Garcilaso riesce a farlo sulla scorta della lettura e dell’assimilazione dei poeti italiani,
dell’esperienza italiana maturata precedentemente. Egli riesce a farlo in spagnolo,
adattando le esigenze italiane, le sue regole ad un nuovo codice linguistico, lo
spagnolo che ha delle sonorità diverse pur essendo simile all’italiano.
Elemento tipico del sonetto
Uso dell’enjambement, encabalgamiento: un verso ha bisogno di scavalcare con la
lettura, andare al verso successivo per completare il senso della frase. È un uso
molto naturale nella tradizione del sonetto e dell’endecasillabo italiano, ma nella
letteratura spagnola, fino a quel momento, era utilizzato poco poiché considerato
una forzatura. Senza l’enjambement, infatti, leggendo oltre il verso c’è la possibilità
di fare la pausa la quale mette molto in evidenza le rime (ciò si chiama “sticomitia”,
ed è una coniazione che la lirica tradizionale coltiva); con l’enjambement non c’è la
pausa e le rime si sentono di meno: per i tradizionalisti questo è considerato uno
snaturamento della poesia.
Quindi, se da un lato inizia ad essere frequente l’utilizzo dell’enjambement, dall’altro
lato però ci sono una serie di autori di fronte “tradizionalista” che censurano il
sonetto, avente secondo loro forme metriche straniere, diverse dalla tradizione
poetica spagnola. Gli innovatori vengono criticati dai tradizionalisti, addirittura c’è
un autore, Cristòbal de Castillejo, che scrive “reprensiòn contra los poetas españoles
que escriben en verso italiano” per fare un ammonimento agli autori che utilizzano
gli schemi italiani. In realtà questo non è uno scontro fisico, semplicemente ci sono
alcuni che preferiscono stare ai dettami tradizionali e altri sperimentare nuove
tecniche.
GARSILASO DE LA VEGA
La sua vita è importante perché influenza le sue opere.
Sulla data di nascita gli studiosi non si sono messi d’accordo, poiché le notizie che
abbiamo sono tutte indirette, ma si stima attorno agli inizi del 500 (1501 circa).
Quello che conosciamo con certezza è l’anno della sua morte, 1536. Vive una vita a
cavallo tra le armi e le lettere incarnando l’ideale rinascimentale di cortigiano. Si
tratta di un uomo che già nella sua epoca godeva di una certa fama, soprattutto
come poeta e uomo di lettere, ma le armi fanno parte integrante della sua vita.
Presta servizio in battaglie, combattimenti al servizio dell’imperatore (Carlo v).
Muore in seguito alle ferite avute durante un combattimento e la sua vita sarà
influenzata così come le sue opere dal rapporto con l’imperatore in quanto fu da lui
esiliato in seguito alla partecipazione di un matrimonio di un nobile antipatico al re.
Si guadagna cosi una condanna all’esilio, che trascorre almeno in parte a Napoli tra
il 32 e il 34 (questo dato è importante perché legato alla sua produzione). Viene così
a contatto non solo a livello letterario ma anche a livello fisico con la tradizione
poetica italiana: conosce vari umanisti, uomini di lettere italiani. La fase italiana si
vede anche nella sua produzione che pur non essendo sterminata costituisce una
vera e proprio rivoluzione in ambito spagnolo.
CORPUS LETTERARIO
38 sonetti
4 canzoni in stile petrarchesco
1 ode
3 egloghe, al modo classico
Queste opere hanno uno sguardo sulla tradizione classica e italiana. Garcilaso
compone però anche:
8 coplas in ottonari: anche se egli è ricordato come il fautore della rivoluzione
poetica garcilasiana, compose anche componimenti relativi alla tradizione letteraria
spagnola, le due cose non vanno viste in maniera staccata. Egli non segna una
cesura netta col passato, proviene anch’egli dal passato
VARIETÀ DI ENDECASILLABI
Sappiamo che l’endecasillabo è un verso molto ricco che si presta a variare di colore
a seconda degli accenti che vengono disseminati. A seconda di dove cadano gli
accenti principali dell’endecasillabo avremo tipi di endecasillabi diversi. Posto che in
6, o in 8, e in 10 posizione dobbiamo avere un accento altrimenti non avremmo un
endecasillabo, a seconda di come si distribuiscono gli accenti nella prima parte
dell’endecasillabo avrò realizzazioni diverse
Se avrò un accento forte:
- In 1 posizione (+ 6/8 e 10): endecasillabo enfàtico
- In 2 posizione (+ 6/8 e 10): endecasillabo heroico
- In 3 posizione (+ 6/8 e 10): melòdico
- In 4 posizione (+ 6/8 e 10): endecasillabo sàfico
Non sono solo queste le rappresentazioni possibili, ce ne sono molto di più poiché
possono essere miste. La tradizione fa sì che a un certo tipo di endecasillabo vada
associato un certo tipo di tema (come le coplas, un certo tipo di strofe riesce a
contenere un certo tema)
SONORITÀ  SIGNIFICATO
SAN JUAN DE LA CRUZ (1542-1591)
Questioni centrali della sua poesia
1 (base di tutta la sua esperienza poetica) Come dire l’indicibile, esprimere
l’inesprimibile, narrare l’ineffabile? Dire una cosa che non si può dire, questo è
quello che fa. Che cos’è l’indicibile? È l’esperienza mistica, il piano spirituale, vitale
della sua relazione con Dio. San Juan infatti è un uomo di chiesa (il suo nome è Juan
de Yepes Alvarez), diventerà un santo (nel momento in cui vive ancora non lo è) e
opererà una rivoluzione della riforma dell’ordine dei carmelitani scarsi, la cui
fondatrice è Santa Teresa di Gesù.
Perché sono importanti queste cose:
- Aspetto religioso, fondamentale nella sua vita
- Proprio la fondazione di un monastero e la rivoluzione gli procureranno
inimicizie all’interno del suo stesso ordine che gli varranno il carcere nel 1577,
dal quale riuscirà ad uscire solo dopo 9 mesi con l’aiuto di Santa Teresa. Le
persecuzioni non cesseranno se non in seguito ad una serie di declaraciones
per iscritto che l’inquisizione gli farà fare volte a giustificare le proprie opere.
Proprio le sue opere liriche in versi sono il punto di rottura di tutti i problemi che
ebbe con i confratelli e con la santa Inquisizione. Ecco perchè la sua biografia si
riflette sulla sua bibliografia.
Ma perché tanto accanimento contro le opere di San Juan? In un momento in cui il
linguaggio poetico ha al centro nevralgico il tema dell’amore (con Garcilaso
l’abbiamo visto) e il linguaggio poetico è giunto alla sua massima espressione, egli fa
suo questo linguaggio, utilizza tutti gli strumenti affinati dall’esperienza garcilasiana,
tutti gli elementi della rivoluzione poetica per fare poesia. San juan si basa in gran
parte sulla tradizione poetica di poco a lui precedente.
Ciò crea scandalo: il fatto che un uomo di chiesa parli d’amore utilizzando un
linguaggio in codice che veniva riservato alla trattazione di temi legati all’amore
profano, sessuale, carnale, passionale. Se leggiamo superficialmente le opere di San
Juan (così come, d’altronde, avevano fatto i suoi confratelli) potremmo considerare
l’amore di cui parla Juan come un amore erotico, ma è un errore che loro hanno
fatto e che noi non vogliamo ripetere. Egli utilizza sì il linguaggio poetico garcilasiano
(così come Garcilaso aveva “dialogato” con la tradizione precedente) ma lo fa non
per parlare di amore erotico, ma di un amore molto più alto, l’amore tra l’uomo e
Dio, tra l’anima dell’uomo e Dio. Egli cerca di esprimere attraverso il codice poetico
ciò che è inesprimibile, l’esperienza amorosa mistica di san Juan con Dio.
Mistica perchè San Juan è un mistico e noi sappiamo qual è la differenza tra asceta e
mistico, infatti:
- Asceta: colui che ricerca la solitudine e l’isolamento, per raggiungere una
quiete interiore (passiva)
- Mistico: va alla ricerca (attiva) dell’unione con Dio
Come si spiega l’esperienza mistica?
Le parole non possono esprimere compiutamente qualcosa che è perfetto (l’uomo,
l’imperfezione non può descrivere la perfezione, Dio). L’esperienza mistica può
essere solo provata ma non descritta, ecco perché Juan prova a intraprendere
questa impresa.
Ma esistono 3 fasi che il mistico deve attraversare per raggiungere Dio
1 la via purgativa che, come già ci dice il termine, prevede che il mistico si
“purghi” da tutti i beni superflui, che si liberi dalle cose superflue, allontanandosi
dalle cose materiali e futili che disturbano il cammino verso Dio. Questa strada
porta alla
2 via illuminativa che “illumina” il cammino che il santo, il mistico o l’uomo deve
compiere per arrivare a Dio. Questa strada porta alla
3 via unitiva, nella quale l’uomo (in questo caso il santo) raggiunge l’”unione”
Chiaramente stiamo parlando della religione cristiana
Quindi abbiamo due punti fondamentali:
- Il problema è cercare di raccontare, esprimere a parole questo cammino,
qualcosa che non si potrebbe esprimere.
- Ecco perchè la scelta della poesia, il verso permette di cercare di esprimere
l’esperienza mistica, il rapporto con l’anima e con Dio; la poesia è in grado di
prescindere da una serie di elementi che la prosa non può prescindere (es: la
sintassi ingabbia le parole nella prosa, nella poesia è possibile utilizzare
l’iperbato, e quindi dislocare elementi in modo diverso, facendo voli
metaforici anche estremi). Juan quindi si avvale di una serie di risorse che la
poesia mette a disposizione per il poeta

San Juan si spinge oltre l’esperienza garcilasiana sulla cui base però si fonda. Il
“càntico espiritual” presenta, infatti, un dialogo con la tradizione garcilasiana e con
le tradizioni precedenti, superate, perché c’è l’intento di superamento di tutto
quello che si è detto prima: questo perchè l’obiettivo è nuovo e diverso, c’è la
necessità di parlare di qualcosa di cui prima non si era mai parlato, e cioè
dell’unione anima e Dio.
Egli opera quella che si chiama la “vuelta a lo divino”: trasformazione (anche nel
sonetto di Garcilaso abbiamo trovato il verbo “volver”, che stava ad indicare la
trasformazione di darne in alloro) in forma divina, su di un piano divino e religioso.
Ma trasformazione di cosa? Della tradizione amorosa precedente, quella
garcilasiana. La tradizione poetica garcilasiana San juan la trasforma, la vuelve a lo
divino, in qualcosa di divino. Dove prima c’era l’uomo che amava la donna, e
viceversa, ora c’è l’anima che ama Dio, l’uomo (essere umano) che ama Dio (essere
spirituale)
Prima c’era la religio amoris con la quale la donna rappresenta la divinità, l’oggetto
della donna si trasforma in reliquia, vi è la trasfigurazione dell’uomo amato. Ora
questi elementi, che facevano parte della sfera religiosa, dell’ambito religioso,
tornano utili perchè si vuole parlare veramente di religione. In questo modo San
Juan riesce a trasformare il linguaggio poetico che parla del profano in linguaggio
poetico che tenti di parlare del divino.
Nelle sue opere spesso troviamo una voce poetica femminile, la donna che esprime
un lamento per un amore che va cercando, quello di Dio. Con San Juan, ancora più
che con Garcilaso, questo dialogo con le tradizioni aumenta esponenzialmente
perché egli è all’esasperosa ricerca di tutto quello che gli può servire per esprimere
l’inesprimibile. Le tradizioni che ritroviamo nelle sue opere sono numerose, e sono:
- Poesia garcilasiana
- Riferimenti biblici
- Poesia petrarchista
- Poesia tradizionale
- Jarchas
- Mitologia
FIGURE RETORICHE
Uno degli atteggiamenti che dimostrano la sua disperata ricerca di qualcosa che
possa permettergli di parlare dell’esperienza mistica è l’utilizzo di figure retoriche; in
particolare una delle più utilizzate è l’ossimoro (consistente nell'accostare, nella
medesima locuzione, parole che esprimono concetti contrari, es. un giovane
vecchio) per cercare disperatamente di sviscerare tutto quello che la lingua
imperfetta può dire sulla perfezione. Ma vi è anche l’utilizzo di metafore,
allitterazioni, onomatopee. Sono tutti figure portate all’estremo: vi è una ricerca
spasmodica di qualcosa che non si può descrivere (anche più estrema di quella di
Garcilaso).
Avendo analizzato la produzione di Garcilaso e San Juan è meglio rimanere nel XVI
secolo e parlare del Lazarillo de Tormes piuttosto che della Celestina:
LAZARILLO DE TORMES
Andiamo ad analizzare il lazarillo de tormes tenendo conto che riassumere in poco
tempo tutto ciò che stato osservato su di esso è un’impresa difficile, quasi
impossibile.
Il lazarillo de tormes è un testo che ha raggiunto grossa fama, tanto è vero che è
entrato nel pantenone della letteratura spagnola.
È un romanzo tanto breve quanto ricco di informazioni da più punti di vista al punto
da permettere di dire tanto su di esso, di avere sostanzialmente 2-300 anni di critica
su questo testo. Sono così tante le cose sulle quali è stata fatta ricerca che
sorprende il fatto di non possedere, ancora oggi, alcune informazioni.
È un’opera anonima, da sempre e probabilmente è destinata a rimanerlo; sono
avanzate delle ipotesi ma fino ad oggi non è possibile attribuire il testo a un
personaggio specifico. Si comincia a parlare già nel XVI secolo del lazarillo de tormes,
esso suscita interesse già dal momento di pubblicazione. Infatti, già nel 1554 escono
4 edizioni (vedi dove) e ciò ci fa capire la fortuna che questo testo ebbe fin da
subito. La fortuna editoriale la possiamo misurare avvalendoci del numero di
edizioni e di ristampe diverse di un testo. È importante questo dato, perché non
succede mai se non c’è una grossa ricerca commerciale (DOMANDA = OFFERTA)
Sono 4 le edizioni del 1554. Ma non furono le prime e questo lo possiamo dire con
certezza. La collatio, la comparazione tra questi 4 testi hanno permesso agli studiosi
di giungere alla conclusione che queste derivino da alcune edizioni precedenti. Quali
e quando è difficile capirlo, ma sicuramente queste 4 edizioni non furono la prima
edizione, ce ne furono con certezza altre prima, e questo dato è un’ulteriore
conferma dell’importanza del lazarillo de tormes.
3 di queste 4 edizioni vengono stampate in Spagna, 1 viene stampata ad Anversa,
nelle Fiandre (attuali Paesi Bassi, possesso territoriale spagnolo con Carlo V
imperatore). Notiamo quindi come la produzione letteraria si diffonda anche in
questi paesi (come le Fiandre, il sud Italia)
Oltre al fatto che un’opera avesse molte edizioni ci rendiamo conto dell’importanza
di un testo anche tenendo in considerazione le continuazioni, le seconde parti di
esso. Se si scrivono delle seconde parti vuol dire che lo stesso autore o qualche altro
autore volle cavalcare il successo. Con il lazarillo succede esattamente questo: nel
1555 esce una seconda parte. Il fatto che qualcun altro decida di continuare le
fortune e le avversità del protagonista è il segno del grande successo (anche nel Don
Chisciotte succede, un altro autore pubblica un’altra parte apocrifa).
La sua fortuna durò per anni, ma nel 1559 il testo finisce nell’indice dei libri proibiti.
Il tribunale della santa inquisizione, in particolare Valdès, un inquisitore, lo inserisce
nell’indice (tutto ciò avviene in pochissimi anni, per sottolineare ancora una volta
che il successo dell’opera è immediato), ma ciò non arresta la sua fortuna, poichè ci
sono delle copie in giro che circolano (la domanda, a livello commerciale, si
mantiene alta)
Nel 1573 uscirà una versione purgata, “il Larazillo De Tormes castigado”: in questa
versione vengono censurate ed eliminate della parti del testo originale, considerate
poco opportune per la Santa Inquisizione e il libro viene rimesso in circolazione in
una versione epurata.
Perché è stato oggetto di attenzioni del tribunale dell’inquisizione?
Nell’opera c’è un forte anticlericalismo, nel testo vi è un trattamento ironico,
caustico e sarcastico di figure appartenenti al clero come preti, sacrestani, venditori
di indulgenze, frati, arcipreti, tutta una serie di figure che gravitano attorno al
mondo del clero. La forte critica è una delle motivazioni che spiegherebbero
l’anonimato dell’opera: in questo periodo l’autore di solito compare, poiché c’è la
stampa e il nome dell’autore viene inserito (ciò, per esempio, accade nella
Celestina). La ragione dell’anonimato è diversa dal fatto che il nome non era
un’informazione importante da scrivere (in epoca medievale era cosi), ma è una
scelta precisa e voluta dall’autore che maschera e occulta il proprio nome: il grande
grado di anticlericalismo all’interno del testo sarebbe il motivo per cui l’autore non
si manifesta. Nel 1559 infatti finisce nei libri proibiti, e questa ne è la conferma.
AUTORE
Sono state fatte delle proposte dell’ipotetico autore, ma non ci sono conclusioni
scientificamente attendibili. Possiamo però fare una ricostruzione di un’immagine di
questo autore, anche se è un’immagine molto poco chiara, sfumata.
L’autore:
- Ha l’intenzione esplicita di criticare, di muovere una critica alla società, il
clero. Questo ci porta in 2 direzioni:
1 che l’autore fosse legato al clero cattolico, che facesse parte di questo mondo e
decidesse da dentro di criticarlo. La cosa non ci sorprende, ci sono altri esempi di
questo tipo.
2 visto questo anticlericalismo, potrebbe essere che questo uomo (è sicuramente
un uomo perché le donne non si occupavano di lettere in quel periodo)
appartenesse alla religione ebraica (che fosse quindi uno giudeo converso
obbligato a convertirsi al cristianesimo) e in forma anonima criticasse il clero
dell’epoca in varie sfaccettature
- Non si tratta di un uomo come il protagonista, l’autore non si sovrappone alla
sua figura, come era successo in altri casi come nel “libro de buen amor”, nel
quale Juan Ruiz è un personaggio, e ha lo stesso nome dell’autore, o nella
“carcer de amor”. Nel lazarillo l’autore non ha niente a che fare con la figura
che ritrae all’interno dell’opera, l’autore infatti non era un povero disgraziato,
di umili origini. Per quanto la narrazione sia autobiografica l’autore non si
identifica mai con il personaggio, egli non è umile come il protagonista, ma è
un uomo colto che aveva avuto accesso a un tipo di istruzione riservato ad
una parte della società ancora ristretta. Ciò può essere dedotto da alcune
citazioni che l’autore fa di autorità latine, come Cicerone, Orazio, Plinio. La
narrazione è condotta con uno stile elevato, con un’attenzione linguistica,
strutturale, narrativa e formativa che tradiscono un autore colto.
Il libro rappresenta una novità letteraria inedita, senza precedenti.
UN EROE DIVERSO
A partire dal tema esso si occupa di un eroe, o meglio un antieroe. Il lettore medio
dell’epoca, ad esclusione della Celestina, aveva sotto gli occhi novelas sentimentales
(eroe disgraziato che vive una stroria d’amore che lo conduce alla morte) libri di
pastori, egloghe di Garcilaso, libri cavalleria. Prima l’io, l’eroe di tutte queste forme
era eroico, infortunato o disgraziato era comunque un eroe positivo. Con il lazarillo
abbiamo l’antieroe per eccellenza:
1 Ha delle origini umilissime (anche nei libri di cavalleria inizialmente c’è una
situazione analoga, ma poi si scopre che il protagonista è figlio di un re). Qui il
protagonista nasce sulle rive del fiume perché i suoi genitori sono di origini umili (la
madre, morto il padre, si accasa con un uomo di colore e da quest’unione nascerà
un figlio di colore);
2 Le avventure che vive il nostro protagonista sono umili, lo vedono attraversare
momenti difficilissimi in cui patisce la fame, prende delle botte, viene tradito dalla
moglie…
I lettori non erano abituati a tutto questo: dall’eroe si passa all’antieore che
comporta una novità senza precedenti e che dà il via ad una nuova visione
nell’ambito della letteratura: la nascita di Lazaro all’interno del panorama letterario
spagnolo, fa sì che da ora in poi la letteratura si misuri con dei personaggi diversi,
che saranno assimilabili a Lazarillo. Con lui Nasce l’antieroe, l’umile. Nessun autore
lo aveva mai fatto. La novità è questa, e ha a che fare anche con il genere letterario:
da questo momento in poi si inzia a parlare di “novela picaresca”
LA NOVELA PICARESCA
La Novela Picaresca si forma non tanto a partire dal lazarillo (il prodromo), ma si
compirà con il Guzmán de Alfarache; ci sono alcuni elementi del lazarillo che
maturando daranno vita alla novela picarecsa
Elementi:
La presenza di un giovane di umili origini che vive una vita di stenti intento a
sopravvivere in un mondo di bassi fondi e che andrà a servizio di vari padroni con la
volontà di risalire nella scala sociale; l’attitudine è antieroica. Questi elementi si
ritroveranno poi nella novella picaresca. Tutto ciò c’è in Lazaro, ma non è giusto è
considerare che la novela picaresca nasca con il lazarillo.
STRUTTURA
Il testo è costituito da un prologo e da 7 trattati
Prologo
Ci dà l’idea da subito e la misura di come non sia possibile identificare l’autore
identificarlo come un uomo come Lazaro. Già nel prologo la seconda frase fa
riferimento a Plinio, a Cicerone, e ci sono all’interno di tutto il prologo e nei 7 trattati
vari riferimenti, varie citazioni sia dirette che indirette. Ciò vuol dire che l’autore è
conscio di utilizzare determinate strategie retoriche e vuole dimostrare tutta la sua
bravura retorica. Nel presentare nel prologo la propria opera vuole mostrarvi tutta
la sua sapienza.
Del prologo ci interessa soprattutto l’ultimo paragrafo dove dice “suplico a…”.
Questo paragrafo racchiude una miriade di significati, allusioni, critiche (è breve ma
dice tanto): sul piano più superficiale potremmo dire che Lazaro supplica con una
strategia retorica che si chiama captatio benevolentia (“presentazione di un’opera
consegnata nelle mani del suo dedicatario”, non è inedita del lazarillo) di ricevere il
romanzo che ha scritto; già nell’egloga 1 di Garcilaso altri autori dedicavano opere
ad altre persone che le mettevano in mano ai dedicatari. Ciò che è nuovo è il modo
in cui l’autore utilizzi la strategia, con altri fini: il dedicatario, a differenza
dell’egloga, è anonimo. Non sappiamo chi è vossignoria, al punto che alcuni critici
hanno pensato che si trattasse di una donna, non un uomo. Non ci sono dati, quello
che possiamo dire è che è un dedicatario anonimo.
Oltre a questo c’è una frase del paragrafo, la seconda che è molto importante
perchè spiega, all’interno della finzione letteraria, la ragione per cui ha scritto
questo romanzo: il romanzo non è frutto dell’iniziativa del protagonista, di Lazaro. È
stato questo “vuestra merced” a scrivere per primo chiedendo che Lazaro scrivesse
e raccontasse la sua storia.
1 C’è un ribaltamento: non è più l’autore che per primo scrive, ma è l’autore
che risponde alla richiesta di scrivere;
2 All’interno della finzione vuestra merced non ha chiesto a Lazaro di scrivere
un libro a caso, ma la richiesta è relativa alla scrittura di un caso, IL CASO.
Esiste un solo caso, un tema, un avvenimento. L’obiettivo è avere “entera
noticia” di me persona, notizia totale su di me, informazione completa.
Questa parola “el caso” la ritroviamo esattamente uguale alla fine del testo,
quando Lazaro riesce a sistemarsi, a trovare lavoro e una moglie, che però è
oggetto di dicerie, in quanto si dice che abbia dei rapporti con l’arciprete.
Lazaro chiede conto alla moglie di queste dicerie e lei reagisce cominciando a
maledire a piangere e a dare in escandescenze; ella giura di non aver niente a
che fare dal punto di vista erotico con questo arciprete finché Lazaro dice “ho
promesso di non tornare più su questa cosa”. (ovvero sul fatto che correvano
voci di cui Lazaro chiede conto alla moglie) ed è proprio qui che utilizza questa
parola, poiché dice “sobre el caso”, decide di non affrontare più la questione.
Scopriamo così che vuestra merced è amico dell’arciprete che, date le dicerie
su di lui, chiede a Lazaro di scrivere per esteto la storia; il caso a cui si fa
riferimento è quello relativo al possibile tradimento da parte della moglie di
Lazaro. Si cela una forte circolarità, perchè si parla all’inizio e alla fine della
stessa cosa, si chiude un cerchio, si crea coerenza all’interno della struttura
del testo. Durante tutta la lettura li lettore non sa quale sia questo caso,
poiché all’inizio si menziona ma non si dice cos’è; solo alla fine il lettore lo
scoprirà. Questa è un’ulteriore conferma della forte presenza di una critica al
clero: arciprete è accusato, perché viene meno al voto di castità. Si veda come
anche all’interno di un solo paragrafo noi troviamo una serie di riferimenti che
irradieranno durante tutto il testo.
L’opera è strutturata così, in modo sapiente con la volontà di avere dei
collegamenti tra varie parti, di stabilire circolarità, ricorrenze, dei temi che
ritornano. Il nostro autore anonimo lo fa con un uso magistrale di alcuni
espedienti:
- I trattati sono 7 come i padroni (7 trattati = 7 padroni)
- C’è una prima parte relativa alla narrazione delle umili origini di Lazaro, che
nasce all’interno del rio Tormes. Dopo questa prima parte introduttiva sulle
origini, la mamma, affida Lazaro ad un cieco, per sfamarlo. Con il primo
aneddoto si ha l’inizio del rapporto tra Lazaro e il cieco: “salimos de
salamanca…”, “simplemente”: sempliciotto. Lazaro ci dice che in quell’istante
gli sembrò di risvegliarsi. “Pareciome que en aquel…” primo aneddotro, “toro
e statua di…” una gran calabasada” da questo momento lui si risveglia dalla
sua giovinezza, dall’essere bambino, condizione in cui si era addormentato, a
diventare un uomo grazie al cieco.
- 2 aneddoto: rubare l’acino d’uva
- 3 aneddoto: la salsiccia che Lazaro ingoia e che il cieco gli fa sputare
- 4 aneddoto: Lazaro ruba del vino dal contenitore in cui era custodito
praticando un forellino e tappandolo con la cera
- Ultimo aneddoto, verso la fine del 1 trattato: Lazaro e il cieco devono
attraversare un ruscello. Il cieco chiede di essere indirizzato in un punto in cui
esso si faccia più stretto per saltare e non bagnarsi: il cieco si mette nelle mani
di Lazaro, gli “accecò l’intelligenza” (questo è un gioco sapiente tra la cecità
vera e quella metaforica della ragione). Lazaro lo mette di fronte a una
colonna di pietra e si mette dietro come chi attende un toro che lo sta
investendo. Il cieco si fida e da con la testa contro la colonna che risuona “con
una gran calabasa, una grande zucca”. Il cieco cade a terra con la testa
spaccata (gioco tra “ole” annusare, “ol” urrà). Cosi come si era aperta
l’esperienza col cieco così si chiude, con una zuccata, che all’inizio dà Lazaro e
alla fine il cieco. Ciò segna un evoluzione: Lazaro è diventato uomo, si è
risvegliato. Qui abbiamo la prova che egli è cresciuto e ne sa una più del cieco
(non del diavolo, come dice il cieco). Questo episodio mostra sia la circolarità
sia l’ironia.
- A proposito di circolarità e ironia all’interno del 1 trattato nella prima parte
Lazaro introduce la figura della madre vedova che si congiunge con un
“negro” e fa un figlio, l’espressione “mi viuda madre, como sin marido y sin
abrigo se viese” “arrimarse a los buenos” fare parte dei buoni. La decisione è
quella della madre, è un’espressione non di uso comune, che può rimanere
negli occhi dei lettori. Ritroviamo questa stessa espressione alla fine del
Lazarillo, nel trattato 7 che riporta un dialogo diretto con il suo padrone a cui
dice “senor, le dije, yo determinè de arrimarse a los buenos”. Ciò si riferisce a
Lazaro, che alla fine del suo percorso duro e fatto di sacrifici, è arrivato a una
posizione scomoda in cui ha il sospetto che sua moglie lo tradisca. Ma,
nonostante ciò, egli decide di stare dalla parte dei buoni e di accettare la
condizione. Questa frase si ripete e ciò ci dà conto della circolarità tra la
madre e il figlio: nulla si modifica, Lazaro, rappresentante della sua famiglia,
non può raggiungere un livello superiore rispetto alle origini da cui prende le
mosse. È come se ci fosse una sorta di logica deterministica che fa sì che il
personaggio giri in circolo. È come se non potesse mai uscire dalla condizione
di partenza. In ciò l’autore mostra una critica forte alla società, descrive un
personaggio che per quanti sacrifici faccia non può migliorare la propria
condizione e decide di stare dalla parte dei buoni, cioè di accettare un
compromesso, di accettare che la moglie potrebbe tradirlo. Allo stesso modo
la madre rimasta vedova accetta una sorta di compromesso, quello di stare
con un’altra persona, di condurre una vita fuori dagli schemi della società.
- 2 trattato: Lazaro va a servizio di un clerico dopo aver abbandonato il cieco.
Qui possiamo vedere di nuovo questo anticlericalismo, perché il prete che
dovrebbe dimostrare una serie di qualità come la carità, la generosità è un
prete che ha una serie di caratteristiche sia comportamentali che morali
esecrabili: è crapulone, gli piace mangiare, è avaro. Lazaro riassume questa
evoluzione dal 1 al 2 padrone in “escapuè del trueno y di en el reis” “di male
in peggio: se con il cieco qualcosa sotto i denti si riusciva a mettere, con il
clerico no. L’argomento dell’intero trattato (già presente nel 1 trattato) è
quello della fame. C’è anche l’arca, l’oggetto del desiderio, un baule nel quale
il nostro prete conserva il cibo. Il trattato intero si svolge, ruota, attorno a
quest’arca. Dobbiamo immaginare Lazaro fisicamente che gira attorno al
baule cercando di rubare di volta in volta qualche pietanza al prete. La fame è
tale che egli arriva addirittura a sperare che la gente muoia così che possa
mangiare ai funerali.

I primi 3 trattati costituiscono una sorta di struttura unita


Nel libro possiamo notare la presenza di 2 punti di vista:
1. Lazaro adulto che scrive ricordando
2. Lazaro giovane che vive queste vicende: assume questo punto di vista quando
racconta ciò che gli accade come se gli stesse accadendo in questo momento
La possibilità di saltare da un punto di vista all’altro e cambiare prospettiva è
esemplificata bene già nel 1 trattato:
TRATTATO 1
Tema principale: fame di Lazaro
Cosa succede: Lazaro ruba il vino dal cieco praticando un forellino sul fondo del
contenitore e, quando il cieco se ne accorge, scaraventa il contenitore sulla testa di
Lazaro rompendogli tutti i denti.
pag. : Lazaro riesce a rubare il vino
In questa scena possiamo notare il cambiamento della prospettiva e dei punti di
vista prima analizzati:
Da “y luego”… a “poder” a parlare è Lazaro giovane che sta vivendo la vicenda,
racconta in prima persona, in maniera autobiografico (2 punto di vista)
Successivamente è come se il narratore uscisse da Lazaro, e parlasse di lui
dall’esterno, in 3 persona (1 punto di vista). Ciò mostra la capacità da parte
dell’autore di utilizzare più puti di vista, di usare una visione tridimensionale
TRATTATO 2
Tema principale: la fame di Lazaro
Cosa succede: Il 2 trattato ruota tutto attorno alla fame che può essere soddisfatta
con l’oggetto del desiderio, l’arca. La figura del prete è dipinta in maniera negativa
Pag. 146 “pues, estando…”: il prete entra in contatto con il caldelario.
Il caldelario fornisce la soluzione definitiva per soddisfare la fame di Lazzaro in
quanto gli dà una copia della chiave del baule che contiene il cibo che Lazaro
nasconderà nella bocca; sarà il rumore della chiave che apre il baule a svelare il
trucco e a far sì che il prete lo cacci.
A livello linguistico si utilizza un certo tipo di lessico in un certo modo. Il linguaggio si
fa carico di espressioni, di termini, di immagini legate al cristianesimo; addirittura si
fa riferimento al concetto stesso della transustanziazione, cioè alla trasformazione
del corpo di cristo in pane: il pane che vuole Lazaro diventa il simbolo dell’ostia.
Oltre alla forte attenzione e alla visione strutturale ben costruita vi è anche
nell’aspetto microtestuale, specifico, linguistico una grande abilità, al punto da
indirizzare la scelta lessicale a una terminologia di radice religiosa. Da questi piccoli
segnali troviamo una forte ironia, una sorta di volontà dissacratoria dell’autore:
paragonare del semplice pane al volto di Dio per l’epoca è un azzardo, un punto
critico. Ecco uno dei motivi per il quale il libro venne censurato.
Pag. 148 il pane è definito paradiso panesco:
Il paradiso ha una grossa importanza per la religione cristiana e non si può ridurre
tutto a questo senso di fame che prova Lazaro.
TRATTATO 3
Tema principale: la fame di Lazzaro
Cosa succede: Lazaro entra in contatto con uno scudiero
È il terzo tassello dell’unità che vi è tra i primi 3 capitoli, prosegue questa
progressione, gradazione di male in peggio (dal 1 al 3 trattato)
Apparente ascesa sociale dei padroni:
Cieco -> prete -> scudiero;
Discesa della condizione di Lazaro:
Con il cieco qualche cosa sotto i denti riusciva a metterlo -> col prete la situazione si
fa difficile tanto che Lazaro deve mettere in atto degli stratagemmi -> con lo
scudiero non è il padrone che dà da mangiare al servo, ma è Lazaro che deve
sfamare il suo padrone.
Un altro tema fondamentale è la differenza tra apparenza esteriore e interiorità
Tema 2: interno vs esterno
Proprio per sottolineare come l’esteriorità possa essere diversa dalla realtà dei fatti,
dall’interiorità, il narratore decide di adattare il punto di vista dell’io giovane che
vive le vicende che narra: in questo modo noi lettori possiamo vivere le stesse
vicende che vive Lazaro senza saperne nulla di più (il narratore obbliga il lettore a
vivere le vicende così come Lazaro le ha vissute: non è onnisciente)
pag. 164: Dialogo scudiero e Lazaro
Inizialmente Lazaro è contento dello scudiero, perché quest’ultimo gli dice “sei stato
molto fortunato a incontrare me, sono un buon padrone”; non sa che in realtà lui è
un poveraccio, possiede meno di quel che ha Lazaro. Con il punto di vista di Lazaro
giovane che vive la situazione noi abbiamo modo di provare le stesse sensazioni del
protagonista che man mano scopre delle cose
Il rapporto esteriorità-interiorità si fa concreto: anche noi lettori sbattiamo il naso
contro la dura realtà, avendo creduto in un primo momento che Lazaro avrebbe
potuto migliorare la sua condizione.
L’autore mette tutta una serie di segnali testuali che ci fanno riflettere su questo
concetto, l’apparenza: non solo l’apparenza esterna del vestire, ma per esempio
l’apparenza esterna della casa che dall’esterno sembra piuttosto ricca ma all’interno
Lazaro si rende conto che non c’è assolutamente nulla
Pag. 168: descrizione della casa
Viene descritta la casa, la vacuità interna e interiore dell’edificio e l’autore fa sentire
la pesantezza della mancanza dicendo che “non si sentivano passi di nessuna
persona viva”, e sottolineando la mancanza di alcune cose nominandole (invece che
affermare solo che la casa è vuota; l’impatto in questo modo è maggiore). Si sente
persino il peso della mancanza di quello che prima almeno c’era (nel 2 trattato c’era
almeno il baule che per quanto chiuso conteneva del cibo). Andiamo verso un grado
sempre più desolante della situazione di Lazaro (la scala social sale ma la povertà
aumenta sempre di più).
Il narratore traspone questa contrapposizione anche su un altro piano, forse quello
più importante perchè base della critica sociale: esteriorità-interiorità a livello
sociale. Per farlo l’autore utilizza una strategia che rivela un’attenzione alta nella
costruzione del linguaggio narrativo: l’entrata della casa era lugubre e oscura. Il
linguaggio trattato nel 3 non ha più a che fare con la religione, perché il padrone è
uno scudiero, allora si utilizza una terminologia legata all’oscurità (oscuro, lugubre,
nero).
Pag. 186 da “yendo la calle arriba” a “ni beben”
Cosa succede: Lazaro a un certo punto sta passeggiano per la strada e vede arrivare
verso di se un corteo funebre. Pensa che la casa di cui parla la donna sia la casa in
cui vive, e lo va a riferire allo scudiero, che gli ride del fraintendimento. Ma è
importante soffermarsi sull’utilizzo di termini come “logobre y oscura”, già utilizzati
per descrivere inizialmente la casa. Il lessico non è più religioso ma legato ai colori,
in particolare quelli scuri.
Pag.176: Concetto dell’onore (per Lazaro è qualcosa di folle, per lo scudiero no)
Cosa succede: Lazaro scopre che la vita che sta conducendo lo scudiero è in povertà
pur avendo qualche possedimento nella terra di origine. Egli non torna perchè ha
avuto un litigio e per ragioni di onore non vuole tornare alla sua terra. Questo
discorso per Lazaro è totalmente folle, egli è fortemente concreto, non gli
importano le questioni etichetta.
Per parlare di queste questioni egli utilizza un aggettivo “negra”; ciò evidenzia la
critica sociale agli scudieri: i nobili ridotti sul lastrico erano molti in quel tempo, Don
Chisciotte sarà uno di questi. Lo stesso scudiero avrebbe potuto far fruttare i
possedimenti che aveva come terre di origine ma per la questione dell’onore non lo
faceva.
C’è un altro punto da mettere a fuoco Nei primi 2 trattati è Lazaro che abbandona il
suo padrone; in realtà con il 3 trattato la situazione si ribalta: lo scudiero riceve la
visita di alcuni creditori che chiedono l’affitto e lui fugge lasciando Lazaro solo in
questa situazione. Sembra essere arrivati al momento più basso
TRATTATO 4
Dal quarto trattato non c’è più come tema centrale la fame: da adesso in poi Lazaro
non ha più bisogno del cibo, può procurarsi da mangiare da solo
Il 4 trattato è molto breve
Cosa succede: ci narra come Lazaro diventa servo di un frate della mercede,
descritto in modo negativo, poiché la sua unica volontà è quella di mangiare.
Pag. : nella nota c’è un allusione velata a una possibile attrazione sessuale da parte
del frate nei confronti di Lazaro
TRATTATO 6
Anche il trattato 6 è molto breve. Come mai c’è questo apparente squilibrio?
Dobbiamo tornare al concetto del punto di vista. Qui abbiamo un Lazaro adulto che
scrive quello che gli è successo, gli eventi più salienti che danno “entera noticia”
(espressione già trovata nel prologo) della vicenda. C’è una sorta di filtro che
seleziona alcuni episodi, che costituiscono l’anima della narrazione, invece che altri.
La costruzione narrativa del testo a livello strutturale (sia macro che micro) fa del
Lazarillo un romanzo del tutto innovativo.
CELESTINA
L’introduzione è parte integrante del programma di esame.
Faremo un passo indietro rispetto al Lazarillo perché ci spostiamo di mezzo secolo
indietro. Se col Lazarillo abbiamo osservato alcune caratteristiche che fanno la loro
comparsa sullo scenario spagnolo per la prima volta, dobbiamo considerare che a
partire da mezzo secolo prima queste caratteristiche erano presenti già nella
Celestina.
FERNANDO DE ROJAS
Dell’autore ci sono giunte poche notizie; sappiamo che studiò a Salamanca e che era
originario di Montalbano. Si era ipotizzato che fosse uno giudeo converso perché si
nasconde sotto un acrostico (poesia iniziale), ma non ci sono dati scientifici e
definitivi che permettano di sostenere questa ipotesi. Sappiamo poco dell’autore
perché scrisse solo quest’opera. Egli infatti era un giurista, non si dedicava alla
scrittura di mestiere tranne in questo esercizio che mette in atto come se fosse un
gioco, come stesso lui specifica nel prologo.
EVOLUZIONE EDITORIALE
Sappiamo che del libro abbiamo diverse edizioni:
● 1499: “Comedia de Calisto y Melibea” (incunabulo, stampato prima del XVIII
secolo, è il primo testimone), a Burgos. Prevede un testo differente rispetto al
nostro, conta 16 atti, ed è anonimo, questo perchè non sono stati inseriti elementi in
cui si svela l’identità dell’autore e perchè è andato perso il primo foglio.

Compaiono alcuni elementi paratestuali: una lettera


● 1500 esce un edizione, a Toledo dell’autore a un amico e un acrostico che nasconde il nome
dell’autore (vedi all’inizio c’è una poesia in cui c’è scritta
● 1501, a Siviglia l’identità dell’autore “el bacillier Fernando De Rojas acabò la
comedia de…”)

Dal 1499-1501 abbiamo quindi 3 edizioni. A questi dati aggiungiamo altre edizioni
del 1502, anche se non si sa se tutte queste furono realmente stampate durante
quest’anno. Ma sappiamo con certezza che rispetto a quelle precedenti, nelle
edizioni di Salamanca e di Toledo l’autore modifica il titolo da “Comedia…” a
“Tragicomedia de Calisto y Melibea” (in queste edizioni l’autore si mette nel mezzo e
definisce il libro sia tragico che comico); in un’ulteriore edizione cambia ancora il
nome a “Libro de Calisto y Melibea y de la puta vieja Celestina” (qui a Calisto e
Melibea si aggiunge la Celestina, quella che probabilmente è la vera protagonista del
libro).
● 1502: “Tragicomedia de Calisto e Melibea” + ”Libro de calisto y Melibea y de la
puta vieja Celestina”
Già dalle edizioni possiamo non solo notare il successo dell’opera ma anche e
soprattutto parlare di una certa instabilità, o oscillazione, del testo che poi vedremo
presente sotto vari aspetti (qui abbiamo visto l’oscillazione delle edizioni e
dell’attribuzione del genere tragedia/commedia).
OSCILLAZIONE TITOLO
Anche nel titolo abbiamo un’oscillazione, poiché l’autore lo modifica. Ce lo spiega lui
nella lettera che scrive a un amico, e più in particolare al lettore (“Poiché ho notato
un’oscillazione tra commedia e tragedia, ho deciso di cambiare il testo in
tragicomedia”)
Inoltre Calisto e Melibea, che sono personaggi importanti, devono fare i conti con la
presenza sempre più ingombrante della mezzana, la Celestina. Ella acquisterà
sempre più importanza e centralità tanto è vero che la nostra edizione porta il titolo
di Celestina (Calisto e Melibea sono messi un po’ più in secondo piano).
Il testo è in continua evoluzione:
- 1499-1500-1501: cambiamento voluto dall’autore. Ci sono alcuni testi para
testuali (che contornano il libro) che vengono aggiunti nelle quali si
specificano alcune cose (1499-1501). Gli atti sono 16.
- 1502: cambiamento sempre volito da lui ma nella ricezione, che studia come
le opere vengono recepite, il rapporto del lettore con l’opera. Nell’ultima
edizione abbiamo l’aggiunta testuale di 5 atti in più (da 16 a 21 atti)
OSCILLAZIONE AUTORE
In realtà dobbiamo fare un’ulteriore suddivisione:
(1+15) +5
Dove i 16 atti sono la continuazione di un primo capitolo di cui non sappiamo
l’autore da lui trovato a Salamanca e da lui continuato. Ciò risulta vero perché si
nota la differenza di stile dal primo atto agli altri (è questo un’ulteriore elemento che
si conferma il movimento del libro, ecco perchè non lo possiamo considerare
statico: Fernando voleva prolungare il piacere nel lettore e decide quindi di
continuare il testo).
OSCILLAZIONE TEMI
Il dinamismo di questo testo lo ritroviamo anche guardando all’interno del testo:
Fernando si abbevera di tutta una serie di fonti precedenti e del suo tempo, e
prende da queste dei tratti, dei canoni, presenti per esempio nella novela
sentimental (che, a differenza della Celestina è statica). Nonostante ciò, il testo
presenta dei risvolti del tutto inediti e innovativi, come il dinamismo o il fatto che i
personaggi sono in continuo movimento.
OSCILLAZIONE TEMA DELL’AMORE E DEI PERSONAGGI
Se ci mettessimo nei panni di un lettore dell’epoca e aprissimo il libro penseremmo
di trovarci di fronte all’ennesimo romanzo sentimentale, leggendo il primo dialogo.
Si parla, infatti, di una religio amoris: Calisto si mostra dato all’amata, utilizza
concetti come quello della ricompensa, della bellezza della donna paragonata a
quella di Dio. Da questo momento in poi, però, tutto prenderà una strada inedita
poiché non si parlerà di adorazione dell’amata che non può essere toccata, alla
quale ci si può avvicinare solo tramite una lettera: qui Calisto pensa subito a un
modo per conquistare l’amata fisicamente e per farlo si avvale di una mezzana, che
non è il solito deuteragonista, ma è una vecchia prostituta (di lei si ricordino le
origini nell’atto 1 in cui Pàrmeno la chiama “vecchia puttana” (ecco dove sta
l’innovazione)
Inoltre la concessione dell’oggetto da parte di Melibea era considerato un gesto di
favore se consideriamo i canoni dell’amor cortese. Qui invece la Celestina dà a
Calisto un pezzo di corda perché lui le ha promesso una ricompensa, del denaro.
Quindi, seppur si riprendano degli elementi appartenenti alla tradizione precedente,
questi poi vengono rivoltati in maniera del tutto innovativa.
Tutto viene ridotto a istinti:
► In Celestina, Pàrmeno e Sempronio, l’istinto è quello di adoperarsi per ricevere in
cambio del denaro (nel caso dei due schiavi la Celestina ha promesso loro oltre che
parte del denaro anche delle prostitute); questi personaggi fanno parte del mondo
basso, perché il loro desiderio è materiale
► In Calisto l’istinto che c’è è la ricerca dell’amore, ecco perchè fa parte del mondo
alto; ma più che amore spirituale di cui si parla nella novela sentimental, Calisto è
alla ricerca di un amore carnale; il corteggiamento che attua è solo un mezzo per
arrivare a un fine: godere sessualmente di Melibea. Ecco un’ulteriore svolta:
l’effettiva realizzazione carnale non si era mai vista prima, è del tutto inedita.
L’attrazione erotica sicuramente c’era prima, ma l’obiettivo non si raggiungeva mai;
qui ciò accade, ed è un’ulteriore degradamento rispetto alla tradizione: la tensione
finisce quando si concretizza l’attrazione.
OSCILLAZIONE TEMA DELLA MORTE E LO SPAZIO
Ci sono tutti una serie di morti che hanno portato l’autore a ridefinire il testo da
commedia a tragicommedia.
Atto 12
Celestina dopo esser stata pagata da Calisto in seguito alla riuscita della prima
incursione a casa di Melibea ruba il cordone e Calisto paga Celestina che dovrebbe
dividere con i suoi servi il denaro ricevuto (1/3 alla Celestina, 1/3 a Pàrmeno e 1/3 a
Sempronio), ma ella si rifiuta di pagarli. Così i servi la uccidono e la sua morte
(orizzontale) dà l’avvio a una catena discendente di morti. Melibea e Calisto si
parlano attraverso una fessura e si danno appuntamento per consumare questo
amore. I servi uccidono Celestina (morte orizzontale).
Atto 13
Scopriamo che i servi vengono trovati e giustiziati sulla pubblica piazza a causa della
loro cupidigia, il volere sempre più denaro (ecco altri due morti orizzontali)
○ Morti orizzontali (Celestina, Pàrmeno e Sempronio): avvengono senza una caduta,
sono violente e le riconduciamo a uno strato sociali basso (i personaggi sono di
bassa estrazione sociale)
○ Morti verticali (Calisto e Melibea): muoiuono il primo scivolando da una scala (da
un punto alto a un punto più basso) e la seconda, assistendo alla morte del suo
amato, decide di suicidarsi lanciandosi dalla stessa torre (dall’altro verso il basso). Le
loro sono morti verticali, poiché i personaggi sono nobili e cadono dall’alto verso il
basso.
La simbologia dello spazio orizzontale e verticale e la caduta verso la morte non
possono non farci pensare all’intento morale dell’opera, che è un'altra delle cose
anticipate nel prologo (“per ammonire i giovani e per metterli sull’avviso delle pazzie
d’amore”): aver perseguito un amore carnale e un bene del tutto materiale (il
denaro) hanno portato a questo
[A questo proposito io ho fatto una domanda: “Il fatto di rappresentare il
movimento su un piano orizzontale e su uno verticale, potrebbero ricondurci anche
a un intento morale dal punto di vista religioso? Cioè magari il piano orizzontale ci fa
pensare a una visione terrena e il piano verticale ci dà modo di vedere una visione
ultraterrena”]
Lo spazio
Atto 1, pag. 26-27
Lo spazio viene rappresentato attraverso le parole: “Dove si è cacciato quel
maledetto?”. Esso è nascosto dietro quelle che si chiamano le didascalie (parti di
testo che gli attori non recitano e che indicano le posizioni da compiere, lo spazio in
cui si svolge la scena) implicite (attraverso i dialoghi in modo silenzioso l’autore ci fa
capire quali sono gli spazi, ce li fa immaginare). Sono le parole che ci descrivono lo
spazio in cui si inscrive la scena.
Il tempo
Atto 1, pag. 41-46
Normalmente quando si bussa alla porta si chiede chi è e si apre, il tutto nell’arco di
pochi minuti; qui invece il tempo è dilatato e dura 5 pagine, solo alla fine di esse la
Celestina dice di sentire dei passi.
Quando i personaggi si spostano da un luogo all’altro noi troviamo la possibilità di
comprimere o dilatare il tempo, far durare più tempo un azione di quanto non
durerebbe normalmente o viceversa.
Se rapportiamo la Celestina alla novela sentimental possiamo notare in quest’ultima
la staticità attraverso il protagonista che non fa nulla per migliorare il rapporto con
la sua amata, anzi prova piacere nel sentimento di pena, tristezza, compassione e lo
scambio di lettere non fa che aumentare questo stato d’animo. A tutta questa
staticità si contrappone il dinamismo e la tridimensionalità della Celestina (già il
fatto che la Celestina si presenta come dialogo che potrebbe essere recitato ce lo fa
notare). A tutto ciò si aggiunge la questione linguistica.
LINGUA
Uscendo da una certa staticità precedente e ponendosi come punto di svolta la
Celestina rappresenta dei personaggi che possono cambiare completamente
registro linguistico, non sono fissi e cristallizzati all’interno del proprio personaggio.
Nei libri di cavalleria il protagonista non poteva mai farsi scappare un’imprecazione,
non poteva mandarlo a quel paese, maledirlo. Il protagonista proprio perchè
incarnazione di quel paradigma parlava coerentemente con quel paradigma; ciò
appiattiva completamente il personaggio. Qui invece i protagonisti possono riferirsi
a Seneca, Petrarca e utilizzare quindi un registro più alto, ma anche lasciarsi sfuggire
delle maledizioni, utilizzando, in questo caso, un registro più basso: si mostrano
come persone a tutto tondo (tipo nell’atto 1 pag.26)

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