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ECONOMIA

CIRCOLARE E IL
SETTORE FOOD

20 SETTEMBRE

TIROCINIO GIOVANI E IMPRESA


Autore: TUTTOLOMONDO ANGELA

1
ABSTRACT
Il pianeta terra è ormai caratterizzato da enormi problemi ambientali come la perdita di biodiversità,
l’inquinamento del suolo e delle acque, lo sfruttamento eccessivo del terreno e l’esaurimento delle risorse. È
necessario agire per poter porre rimedio al disastro ambientale causato dall’uomo in tutti questi anni, proprio
per questo motivo sta emergendo sempre con più importanza l’obiettivo di introdurre nuovi valori sociali e
nuove politiche che siano in grado di soddisfare le esigenze di tutti, riducendo però al tempo stesso gli impatti
ambientali.
"Il futuro di tutti noi", rapporto della Commissione Brundtland su ambiente e sviluppo, pubblicato nel 1987,
sottolinea come il nostro avvenire sia una sfida globale a cui si può rispondere soltando introducendo un nuovo
modello di vita sostenibile.
Il modello di economia lineare che ha caratterizzato gli ultimi centocinquanta anni, ha causato effetti ambientali
dannosi. In alternativa a ciò si è sviluppato il concetto di economia circolare cioè in grado di rigenerarsi da sola,
che mira a riscoprire i giacimenti degli scarti come fonte di materia, ridurre gli sprechi e fermare la morte
prematura della materia prodotta. A tal proposito sono stati condotti diversi studi che hanno lo scopo di
illustrare l’impatto ambientale e i metodi alternativi di recupero degli scarti, come la produzione di olio dai
noccioli delle olive, e l’utilizzo del collagene dagli scarti dei ricci marini. Ma studiare diversi metodi per riciclare
può non essere sufficiente, per completare questa transizione dal sistema lineare a quello circolare, è
necessario il contributo di tutti cittadini e imprenditori. L’azienda deve modificare il proprio business
rendendolo più stostenibile, utilizzando ad esempio il TLBMC. Ma anche i servizi ristorativi devono contribuire
per poter porre rimedio all’ingente quantità di scarti che viene quotidianamente prodotta nei locali, cercando di
riutilizzare i rifiuti ad esempio come concime per il terreno.
Pertanto tutta la comunità è chiamata a partecipare a questa importante e necessaria trasformazione della
società verso uno stile di vita sempre più sostenibile, che possa offrire all’ambiente circostante prospettive
migliori.

L’economia circolare: ridurre i rifiuti e le emissioni.


I primi a concrettizzare il concetto di economia circolare furono Walter Stahel e Genevieve Reday, che nel 1976,
in una rapporto presentato alla Commissione europea, "The Potential for Substituting Manpower for Energy”,
delinearono un’economia in grado di limitare gli sprechi, aumentare i posti di lavoro e garantire l'efficienza delle
risorse naturali. Successivamente due economisti, Turner e Pearce, definirono come le risorse naturali siano in
grado di influenzare l'economia nel fornire gli input per la produzione e il consumo e gli output nella forma di
rifiuti. Infatti a differenza del modello lineare, diretto alla creazione di beni di consumo il cui fine è l’utilità, in un
sistema circolare, i beni capitali sono temporanemente risorse, dopo diventano rifiuti e di conseguenza i rifiuti
possono essere ricilati in risorse, per un nuovo ciclo produttivo.
In realtà non tutti i rifiuti possono essere riutilizzati, per queso motivo anche l’economia circolare mostra dei
limiti. Uno dei problemi che potrebbe sorgere, secondo Georgescu-Roegen, è che il processo di riciclaggio
richiede ulteriore energia, e questo recupero non sarà mai totale poiché si produrranno ulteriori scarti. Pertanto
il problema principale è la dissipazione dei materiali che si perdono nell’ecosistema. A ciò però è possibile
rispondere utilizzando sempre una energia rinnovabile, come quella solore, anche se questa potrebbe
richiedere grandi investimenti e più lavoro.
Quindi tutt’oggi l’economia ciroclare rimane un argomento molto discusso e nonostante non sia ancora
diventuto il principale modello economico, poiché persistono dei limiti, già accennati, è un modello che ha
enormi benefici dal punto di vista economico, sociale e ambientale.
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Uno dei concetti chiave dell’economia circolare è la gestione dei rifiuti. Ma prima di tutto, che cosa si intende
per rifiuto?
Secondo le Direttive UE, si definisce rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto . . . cui il titolare rinuncia o intende o
è tenuto a disfarsi”. La Convenzione di Basilea del Programma per l'ambiente dell'ONU offre la seguente
definizione: “i rifiuti sono sostanze o oggetti che vengono smaltiti o destinati ad essere smaltiti o che devono
essere smaltiti dalle disposizioni della legislazione nazionale”.
Più precisamente un materiale diventa rifiuto quando perde la sua funzione primaria, ma è importante
sottolineare che questo può avere una funzione secondaria, che si potrà concretizzare attraverso il riutilizzo.

Per ridurre al minimo la produzione di rifiuti si possono utilizzare due metodi, la gerarchia tradizionale e
l’approccio circolare. La prima si tratta di un modello basato su una forma gerarchica, che mira a trovare le
soluzioni migliori che producono benefici per l’ambiente. La seconda è basata su tre concetti: la vendita, lo
smaltimento, la preparazione. L’obiettivo dell’approccio circolare consiste nel ridurre gli sprechi e consentire
alle aziende di massimizzare i profitti, quindi creare una catena di approviggionamento green, vendendo gli
scarti alle aziende che si occupano del loro recupero.
Recentemente sono sempre più le iniziative dei governi che promuovono il miglioramento delle strategie di
gestione dei rifiuti. Infatti è uno dei punti che sono stati affrontati nel Settembre del 2015, quando è stata
redatta l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, cioè un programma d’azione per le persone, il pianeta e la
prosperità.
Un obiettivo tra quelli prefissati mira a garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, cioè “fare di più
con meno”, aumentando i benefici in termini di benessere, attraverso la riduzione dell’impiego di risorse e
dell’inquinamento di tutto il ciclo produttivo.
Più in dettaglio tra i traguardi che si propongono di raggiungere entro il 2030 rientrano:
• Dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori e
ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-
raccolto.
• Ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il
riutilizzo.

Inoltre è importante anche tenere in considerazione l’Accordo di Parigi, che stabilisce un quadro globale per
evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento cioè riducendo le emissioni.
Proprio a riguardo è stato condotto uno studio per determinare la necessaria decrescita nel settore alimentare
per limitare le emissioni, analizzando quattro scenari in un ciclo di vita nel tempo tra il 2020 e il 2040.
La metodologia combina la valutazione del ciclo di vita (LCA) con un approccio alla decrescita, puntando verso
una bioeconomia circolare, necessaria per costruire un futuro a emissioni zero. La strategia utilizzata è quella
suggerita da Latouche (2006) e Amate e González de Molina (2013), che è stata definita delle quattro R:
• ri-territorializzazione di produzione (P1), caratterizzata da un aumento dell’agricoltura biologica, che ha
effetti positivi sull’ambiente, sulla biodiversità e promuove la creazione di nuovi posti di lavoro;
• ri-vegetarizzazione della dieta (P2), analizzata da un confronto tra la dieta attuale e una dieta con una
riduzione del 25% di consumo di carne e pesce, alimenti che più comportano lo spreco di energia;
• rilocalizzazione dei mercati (P3), correlata ad una riduzione del 25% del trasporto marittimo
transatlantico, puntando sui mercati locali, poiché il settore dei trasporti risulta essere i l più difficile da
rendere sostenibile per via dei carburanti fossili utilizzati;
• ristagionalizzazione dei consumi alimentari (P4), caratterizzato da una sostituzione del 25% di frutta e
verdura di stagione.

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Figura 1
FONTE
(Introducing a Degrowth
Approach to the Circular
Economy Policies of Food
Production, and Food Loss and
Waste Management: Towards a
Circular Bioeconomy)

Secondo l’analisi degli studiosi, tra questi quattro punti, il percorso che risulta avere più effetti sulla riduzione
delle emissioni è la diminuzione di carne, pesce e frutti di mare, tale da eliminare il 78% delle emissioni totali,
molto superiori rispetto agli altri tre punti analizzati. Quindi per poter perseguire l’obiettivo dell’Accordo di
Parigi è molto importante la bioeconomia circolare.

Il concetto di economia circolare infatti risulterebbe incompleto senza la bioeconomia. Infatti, il nova-Institut in
un documento intitolato The “Circular Bioeconomy” – Concepts, Opportunities and Limitations scrive:
“L’economia circolare non è completa senza la bioeconomia e viceversa. Gli enormi volumi di rifiuto organico e
di flussi di scarti provenienti da agricoltura, silvicoltura, pesca, scarti organici di produzione di cibo e mangimi
possono essere integrati solo nell’economia circolare attraverso processi di bioeconomia. Allo stesso tempo la
bioeconomia trarrà enormi vantaggi da una maggiore circolarità”.
Questi due concetti, importanti per salvaguardare il pianeta, sono in simbiosi tra loro, infatti una bioeconomia
circolare può servirsi dei principi della circolarità e, allo stesso tempo, di tecniche e processi promossi dalla
bioeconomia.

Una visione circolare nel sistema alimentare implica diversi elementi, come una la riduzione della quantità di
rifiuti accompagnata dal riutilizzo degli alimenti e il riciclo dei nutrienti. Infatti nel caso del settore alimentare
viene sprecata la produzione di circa 1,3 miliardi di tonnellate all'anno, ciò include la perdita di cibo o sprechi.
Più in dettaglio con perdita e lo spreco di cibo (food loss and food waste, FLW) si intende una certa quantità di
cibo, sostanze nutritive, che intenzionalmente o anche involontariamente scompaiono dai sistemi.
L’enorme spreco alimentare, in una prospettiva di economia circolare ha un alto potenziale di riutilizzo. In
particolare, verranno proposti diversi casi studio che permetteranno di capire in modo concreto l’effetto di una
economia circolare sull’ambiente e sulla società.

1. Il settore di prodotti a base di olive e l’impatto ambientale


Un ambito interessante è il settore di prodotti a base di olive. Infatti la produzione di rifiuti è quattro volte
superiore a quella prodotta nell’ambito dell’estrazione. Per questo motivo è importante mirare ad una strategia
che permetta di valorizzare gli sprechi in modo da rendere la filiera sostenibile.
L’oggetto di studio è un’azienda in Iran che utilizza le olive in tre diversi modi:
• produzione di olio extravergine di oliva
• produzione per la tavola, olive denocciolate

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• produzione per sottaceti
Il principale elemento di scarto è quindi il nocciolo, che può essere utilizzato per produrre olio detto “la sansa di
olive”.
In questo studio è stata applicata la metodologia Life Cycle Assessment (LCA), per misurare la circolarità del
sistema di valorizzazione dei rifiuti, in particolare è analizzato il concetto “from cradle to gate: “dalla culla al
cancello”, cioè un’analisi LCA di un prodotto dalla fase di estrazione delle materie prime all’uscita dallo
stabilimento.
Dai dati raccolti e analizzati emerge che gli impatti ambientali della produzione di olio dal nocciolo di oliva sono
bassi perché per produrlo è stato utilizzato il nocciolo cioè un sottoprodotto degli scarti post-raccolta; quindi, gli
impatti ambientali della fase agricola non sono contabili nel sistema.

La figura 2 illustra la proporzione degli input rispetto agli effetti ambientali della catena di noccioli di oliva.
Figura 2
Conseguenza
ambientale del
sistema di
produzione
dell'olio di
nocciolo d'oliva
in base a diverse
categorie di
impatto.
FonteRiferimenti

Il consumo di gas naturale è quello che ha un maggiore impatto rispetto le altre categorie indagate, infatti la
quota di gas naturale da emissioni fuori azienda sul global warming potential (GWP), nella sansa era dell’83%.
Questo perché durante il processo di trasformazione viene utilizzato molto il gas naturale. Secondo i risultati, la
produzione di 1 kg di olio dal nocciolo di oliva ha portato 5,29 × 10-7 DALY 1alla salute umana.
Alcuni studiosi hanno mostrato che è possibile ridurre l’impatto del 12% applicando strategie di agro
bioraffineria basate sull’olivo coltivazione.
Ci sono anche altri modi per valorizzare scarti della lavorazione delle olive, come la produzione di energia.
Alcuni studi mostrano come l’utilizzo di olio di nocciolo può portare ad una diminuzione delle emissioni di gas in
un processo di pirolisi mobile, altri hanno riportato i vantaggi ambientali derivanti dal suo utilizzo per
biocarburanti. Inoltre, la produzione di sansa potrebbe essere anche utilizzata negli allevamenti come elemento
della dieta degli animali.

In conclusione, i risultati mostrano che il sistema studiato è relativamente circolare, con conseguente basso
impatto ambientale, ma potrebbe essere reso più sostenibile con la valorizzazione dei rifiuti e soprattutto
gestendo in modo ottimale il consumo di fonti energetiche, come il gas naturale.

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DAILY è una misura della gravità globale di una malattia, espressa come il numero di anni persi a causa della malattia, per
disabilità o per morte prematura.
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1.1. Allevamento ovino sostenibile
La popolazione del mondo, come più volte sottolineato, è in costante crescita e di conseguenza la domanda di
carne e il latte aumenta; quindi, è necessario trovare una modalità che riesca a soddisfare la domanda della
popolazione e al tempo stesso riduca l’impatto ambientale causato dall’allevamento.
Questo studio analizza gli allevamenti di ovini che sono molto diffusi in Algeria, Marocco e Italia e lo scopo è
quello di realizzare una dieta per poter ottimizzare e riciclare i rifiuti organici agricoli.
L'inclusione dei rifiuti organici nella dieta di un animale è importante perché da una parte riduce l'impatto
ambientale, ricicla il materiale che deve essere altrimenti smaltito, dall’altra sfrutta il contenuto specifico degli
agrosottoprodotti utilizzati per la modulazione ruminale.
Uno dei sottoprodotti utilizzati come complemento nelle diete sperimentali è la sansa di olio d'oliva, questa
potrebbe essere una potente risorsa nell'alimentazione animale, grazie alla sua attività antimicrobica. Infatti
diversi studi mostrano come i polifenoli contenuti nella sansa possono interagire con il rumine microbiota e
possono essere utili per modulare il metabolismo ruminale. Questo comporterebbe, nelle pecore da latte, un
aumento della quantità di acidi grassi funzionali nel rumine, che possono essere trasferiti nella carne e nel latte
aumentandone la qualità. Pertanto, questa tipologia dieta porterebbe a ridurre i rifiuti organici dell'azienda
agricola utilizzando materiale organico di scarto. In particolare, la sansa è un sottoprodotto che completa una
dieta caratterizzata da erba medica, definita la “regina dei foraggi”, che ha un alto contenuto proteico ed è in
grado di resistere alle carenze idriche. In conclusione, da questo studio emerge non soltanto come i rifiuti
agricoli possano essere destinati ad un nuovo ciclo di vita, ma mette in evidenza che questi, considerati scarti, in
realtà hanno delle importanti proprietà che migliorano l’alimentazione degli animali e di conseguenza anche
quella della popolazione.

Figura 3 , FONTE:
(Alfalfa for a Sustainable Ovine Farming
System: Proposed research for a New
Feeding Strategy Based on Alfalfa and
ecological Leftovers in Drought
Conditions, 2021)Riferimenti

2. Il mercato dei ricci


2.1. Ottimizzare gli sprechi
Un ulteriore settore che necessita dell’utilizzo dell’economia circolare è quello ittico.
Negli ultimi due decenni, la produzione e la domanda globale di prodotti ittici è cresciuta costantemente. Infatti,
la pesca globale è aumentata da 19 milioni di tonnellate nel 1950 a più di 97 milioni di tonnellate nel 2018. Tra
questi in particolare i pesci appartenenti alla classe degli Echinoidei, come i ricci di mare, producono un
notevole quantità di rifiuti, per questo motivo la FAO incoraggia ad attuare strategie di prevenzione tra le quali:
la cooperazione tra produttori per evitare la sovrapproduzione e le indagini di mercato per poter indirizzare la

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produzione in base alla domanda, in modo da ridurre l’accumulo di merce invenduta. Nonostante ciò, però la
crescente richiesta provoca non pochi danni, poiché l’accumulo di scarti risulta essere sempre maggiore.
Per affrontare questo problema sono stati condotti diversi studi, cercando di trovare un modo alternativo di
utilizzo degli scarti dei prodotti ittici. Da questi studi emerge come rifiuti di ricci di mare possono essere
riutilizzati per nuove innovazioni nei settori della biomedicina, farmaceutica e cosmetica. In particolar modo
negli ultimi anni, molti ricercatori hanno studiato e sperimentato il collagene marino come biomateriale ed è di
importante utilizzo perché questo è molto simile al collagene presente in tessuti umani, come ossa, vasi
sanguigni, legamenti.
Normalmente a livello industriale, il collagene viene estratto dalla pelle e dalle ossa di vitello, che però può
risultare pericolosa per i rischi legati alla trasmissione di malattie infettive. Viceversa, è stato dimostrato che il
collagene marino è un biomateriale sicuro e a differenza dei collageni animali, questo non ha un odore. La
maggior parte di collagene marino si ottiene dopo idrolisi, processo che “distrugge” parzialmente la struttura
molecolare, ma la particolarità del collagene di riccio di mare è che lo è ottenuto senza la necessità di metodi
distruttivi e questo permette di preservarne integrità strutturale e quindi prestazioni meccaniche. Quindi è un
biomateriale promettente per la biomedicina e questo rappresenta un importante punto di partenza per un
futuro più sostenibile nella gestione dei rifiuti, derivanti dai ricci marini.
Viene utilizzato in odontoiatria e soprattutto da aziende cosmetiche. Infatti, grazie alle proprietà riparatrici, è
molto utile contro le ferite cutanee. Inoltre, è utilizzato per la realizzazione di prodotti contenenti ingredienti
bioattivi e estratti di collagene marino, in grado di rimediare al foto invecchiamento della pelle.
Il riutilizzo dei rifiuti di ricci di mare è, quindi, un chiaro esempio di economia circolare, in grado di realizzare
profitti e riciclo dei rifiuti, valorizzando la gestione dello spreco alimentare e la promozione di nuovi prodotti da
destinare in diversi mercati promettenti.
2.2. Adottare un business sostenibile
Per questi motivi, le aziende dovrebbero considerare gli effetti dei prodotti sull’ambiente e sulla società e
dovrebbero adottare un diverso business sostenibile. In questo caso la prestazione dell’azienda deve assumere
una triplice natura indirizzata verso la performance economica, ambientale e sociale e deve cercare di
mantenere un equilibrio tra le diverse macro-aeree. Il TLBMC è uno strumento prezioso per le aziende per
poter pianificare in modo ottimale la produzione di prodotti innovativi, secondo un modello di economia
attento all’impatto sociale e ambientale.
Lo strato ambientale, come illustrato nella figura è caratterizzato dalle seguenti voci: supplies and outsourcing,
production, materials, functional value, end-of-life, use phase, distribution, environmental impacts,
environmental benefits.
Il suo nucleo principale è dato da:
• Functional value, secondo Pardalis, il valore funzionale “descrive ciò che un prodotto o servizio offre in
termini di quantità fisiche”. Ad esempio, nell’ industria di ricci di mare l’unità funzionale è equivalente a
55 g, cioè il prodotto contenuto in un unico vasetto di polpa di ricci di mare, mentre il valore funzionale
è il totale di questo contenuto moltiplicato per il numero di clienti che hanno consumato questo
prodotto per un certo periodo di tempo.
• Environmental impacts, considera e quantifica il costo ecologico delle attività svolte. Gli impatti
ambientali possono essere valutati utilizzando una LCA approccio, come visto in precedenza.
• Environmental benefit, analizza quelle azioni intraprese dall’azienda che mirano a ridurre l’impatto
sull’ambiente. Le principali finalità da perseguire sono: l’uso eco-efficiente delle risorse in modo da
ridurre gli sprechi e il consumo di energia, l’innovazione dei prodotti per limitare la perdita di
biodiversità, il riutilizzo dei prodotti di scarto.

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Lo strato sociale è caratterizzato invece da queste voci: social value, employees,governance, local communities,
societal culture, scale of outreach, end-users, social impacts and social benefits. Il suo nucleo è formato da;
• Social value, che descrive principalmente la missione dell’azienda nel cercare di creare benefici per gli
stakeholder e per la società;
• Local Communities, rappresentano una rete di relazioni tra gli stakeholder presenti nell’azienda.
Un’azienda di successo deve instaurare un rapporto sulla fiducia con il territorio e stabilire relazioni di
collaborazione e amicizia con i cittadini, con le istituzioni sociali.
• Social Impacts, comprendono una serie di componenti che hanno un impatto negativo sulla società.
Alcuni sono quelle azioni che violano le norme, i diritti dei lavoratori e i diritti dell’ambiente.
• Social benefit, è il valore sociale positivo che produce benefici alla società, ad esempio la creazione di
nuovi posti di lavoro
In conclusione, è necessario che ogni azienda modifichi la sua mission rendendola più sostenibile e trovi il modo
migliore per dare una nuova vita al materiale di scarto dei diversi processi, realizzando così un’economia
circolare.

Figura 4, Tela del modello di business del ciclo di vita ambientale. (From Waste to Product: Circular Economy Applications from)

Figura 5, Tela Stakeholder sociali (From Waste to Product: Circular Economy Applications from)

3. I rifiuti nel settore della ristorazione


Da quanto rilevato nelle ricerche precedentemente espresse, è importante che la società in primis si attivi per
introdurre un nuovo stile di vita sostenibile, prestando sempre più attenzione all’ambiente.
Nell’ambito della ristorazione la produzione di rifiuti è molto alta. Un'attività di ristorazione, infatti, non è che
una catena logistica, in cui le materie prime alimentari si trasformano attraverso delle lavorazioni. Questi
processi aggiungono valore e creano, allo stesso tempo, rifiuti.
È pertanto necessario attuare un miglioramento nell’organizzazione. Infatti, un ostacolo alla sostenibilità nel
campo ristorativo sono la mancanza di conoscenza da parte dei ristoratori di metodi sostenibili e soprattutto la
mancanza di conoscenze tecnologiche adeguate alla riduzione dello spreco.
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Alcuni studi mostrano come sia molto efficiente attuare una analisi per comprendere in quale fase vengono
prodotti scarti, in modo da rimediare. Il metodo che viene utilizzato per l’analisi dei rifiuti è il metodo di
modellazione funzionale, cioè vengono individuate le funzioni e viene realizzata una gerarchia che permette di
valutare l'ordine di importanza delle funzioni. In particolare, viene applicato il modello polivalente di tecnologia
e gestione dei rifiuti TEWAMAR.
Nel caso della ristorazione, l’applicazione del modello TEWAMAR inizia attraverso l’individuazione delle attività
che in base alla funzione che svolgono possono essere:
• Operazioni meccaniche: stoccaggio, misurazione, trasporto, A1
• Operazioni fisiche: selezione, macinatura, setacciatura, A2
• Operazioni chimiche, A3
• Operazioni biochimiche: maturazione, fermentazione. A4
Tutte le operazioni producono profonde trasformazioni che sono accompagnate da perdite quantitative. Ad
ogni fase delle operazioni vengono associati dei rifiuti, così da creare una gerarchia dei rifiuti, espressa nella
FIGURA
I rifiuti si differenziano in:
• W1: materiali di natura organica/involucri e
altri.;
• W2: errori nella stima della domanda/
superamento dei ritardi di conservazione;
• W3: rifiuti di produzione dovuti a
perdite/sprechi materiali dovuti a
contaminazioni o preparazioni di rifiuti/sprechi
di sovrapproduzione o errori di comunicazione
con l'organizzazione clienti;
• W4: sprechi nel processo di servizio a causa di
contaminazioni/ rifiuti del cliente /cancellazione
tardiva degli eventi programmati.
FIGURA 6 Le fasi di comparsa dei rifiuti nell'area
tecnologica e gestionale dell'attività di ristorazione.
(Reducing Environmental Risk by Applying a Polyvalent
Model of Waste Management in the Restaurant Industry, 2021)

Successivamente vengono individuati gli stadi tecnologici:


• Fase1: ricezione e di elaborazione primaria;
• Fase2: congelamento e stoccaggio;
• Fase3: scongelamento e cottura;
• Fase4: manutenzione e montaggio su piastra;
• Fase5: servizio, sparecchiare il tavolo e incasso.
Così viene creato il diagramma del modello polivalente

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PPP: perdita da
campioni di cibo;
WR—rifiuti da
piatti scartati;
RC: avanzi di
consumo;
TW—rifiuti totali;
TC—totale
costi.
FIGURA 7, IL MODELLO
POLIVALENTE
FONTE: (Reducing
Environmental Risk by
Applying a Polyvalent
Model of Waste
Management in the
Restaurant Industry,
2021)

La ricerca dimostra che applicando il modello polivalente si hanno effetti positivi sulle possibilità di ridurre al
minimo gli sprechi fisici e di conseguenza per ridurre i costi e per creare valore aggiunto, riutilizzando e
riciclando le materie prime alimentari. Ad esempio, questo modello era stato utilizzato in un caso di studio, nel
quale esaminando la preparazione dell’arrosto di manzo con le verdure, la quantità totale di scarti di carne
bovina riutilizzata al mese è aumentata al 33,4% e il riciclo dei rifiuti è salito al 41,1%.
Questo modello quindi risulta molto utile, soprattutto se si pensa che in un ristorante si producono in media da
25.000 a 75.000 libbre di rifiuti all'anno, e solo il 14,3% del cibo avanzato viene riciclato, l'1,4% donato e l'84,3%
viene buttato.

È di primaria importanza che si diffonda quindi nella società, soprattutto nella ristorazione, una cultura della
sostenibilità, che coinvolga tutti. In particolare, si fa riferimento al modello di un eco-città, cioè una città
progettata con considerazione per l'impatto ambientale, sociale ed economico, in modo da non produrre più
rifiuti di quanto possa assimilarne o riciclarne per nuovi usi.

Per poter comprendere meglio le modalità attraverso le quali sia possibile il cambiamento, verranno esposti i
risultati di uno studio condotto sul campus universitario della città di Turku in Finlandia, chiamato "LessWaste,
More Recycling" ("LeRe"). I principali obiettivi del progetto riguardano la riduzione del livello di spreco nei
ristoranti e il riciclo dei nutrienti, che hanno effetti benefici per l’ambiente.
È stato molto rilevante durante l'esperimento intraprendere una campagna informativa e persuasiva,
attribuendo una maggiore importanza anche alle opinioni dei ristoratori e consumatori su modi efficaci per
ridurre lo spreco alimentare.
In particolare, i consigli del personale di cucina professionale su come ridurre gli sprechi alimentari riguardano:
• Il monitoraggio regolare della perdita di cibo (cosa, dove, perché e quanto)
• La riduzione delle dimensioni del piatto

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• La rimozione di piatti di insalata separati
• La limitazione del numero di piatti
• L’utilizzo di frutta e verdura intere nei piatti.
I consigli dei clienti su come prevenire lo spreco invece sono:
• Inserire il pranzo avanzato in offerta
• Inserire un’etichettatura chiara degli ingredienti alimentari
• Informare attivamente i clienti sull'importanza di ridurre gli sprechi alimentari e premiarli se si
raggiunge l’obiettivo
• Rimuovere le restrizioni alimentari: cioè se una regola impone ai clienti di prendere non più di 6
polpette, ne prenderanno sei invece di prendere le importo che sarebbe sufficiente per loro
• Aggiungere la possibilità di acquistare il cibo che a fine giornata viene lasciato
• Tenere in considerazione i feedback dei clienti
• Realizzare un ambiente da pranzo confortevole e tempi di coda più brevi
• Inserire una “penalità per spreco alimentare” a carico dei clienti.

Da ciò emerge quindi che la sensibilizzazione della società è un punto essenziale verso la sostenibilità.
Inoltre, un altro aspetto importante dello studio riguarda l’iniziativa di utilizzare i resti dei ristoranti come
concime per il terreno. Infatti, in un sistema alimentare circolare, i rifiuti inizialmente vengono elaborati per
poterne recuperare i nutrienti, dopo si aggiungeranno al terreno per arricchirlo, e ciò riduce il consumo di
energia e acqua nella produzione alimentare. Infatti, è stato scoperto che i nutrienti ottenuti dai rifiuti di cucina
nel corso di un anno sarebbe sufficiente per coprire la fertilizzazione con azoto di circa 1-2 ettari di carote
invernali.

Sarebbe molto utile diffondere i risultati del progetto in modo che possa essere replicato a livello globale e
incoraggi ad utilizzare le buone pratiche sul campo dei sistemi alimentari circolari e dell'agricoltura urbana
sostenibile.

CONCLUSIONI
Finora l'economia ha sempre operato secondo un modello lineare di “produzione-consumo-smaltimento”
legato al concetto di “fine vita” di un prodotto. Adesso è tempo di promuovere una trasformazione verso una
economia circolare, cioè come viene definita dalla Ellen MacArthur Foundation come “un’economia pensata per
potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado
di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera”.
Le sfide ambientali che l'uomo deve affrontare sono molte ed è necessario il contributo di tutti verso il
cambiamento, verso una società più sostenibile, verso un mondo in cui si ha cura dell’ecosistema.

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References
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Cycle Assessment; Refining Oil from Olive Kernel.
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research for a New Feeding Strategy Based on Alfalfa and ecological Leftovers in
Drought Conditions.
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Towards a Circular Bioeconomy.
Federico Zilia 1, J. B. (s.d.). From Waste to Product: Circular Economy Applications
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Romulus Gruia 1, 2. G.-I. (2021). Reducing Environmental Risk by Applying a
Polyvalent Model of Waste Management in the Restaurant Industry.

https://docenti.unimc.it/maria.zifaro/teaching/2017/17858/files/presentazioni-
lavori-di-gruppo-economia-circolare
https://economiacircolare.com/bioeconomia-circolare/
https://uomoeambiente.com/economia-circolare-nel-settore-agroalimentare/
https://www.un.org/sustainabledevelopment/

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