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secolo)
di Gastone Breccia
vit atque restituit, Lugduni Batavorum, apud Ioannem Balduinum, impensis Ludovici Elze-
virij, 1612 (riprodotta in PG 107, coll. 669-1094). MS = MAURICIUS, imp., Strathgikovn
(Strategikon). Edizione: Das “Strategikon” des Maurikios, hrsg. von G.T. DENNIS, Wien,
Verlag der Öst. Akademie der Wissenschaften, 1981 (CFHB 17). SS = [SYRIANUS], Peri;
strathgivaV (De re strategica). Edizione: G.T. DENNIS, ed., Three Byzantine Military Treati-
ses. I. Anonymous Byzantine Treatise on Strategy, Washington, D.C., Dumbarton Oaks Re-
search library and Collection, 1985 (CFHB 25), pp. 1-135. VE = FLAVIUS VEGETIUS, Epito-
ma rei militaris. Edizione: VEGETIUS, Epitoma rei militaris, recognovit… M.D. REEVE, Ox-
ford-New York, Oxford University Press, 2004 (“Scriptorum Classicorum Bibliotheca
Oxoniensis”).
2. Cfr. G. BRECCIA, “Salus Orientis. Il nuovo sistema militare romano-orientale alla pro-
va, 379-400”, in Rivista di studi bizantini e neoellenici, n.s. 41, 2004, pp. 3-72.
3. A quanto sembra un alto funzionario civile, probabilmente comes sacrarum largitio-
num (una sorta di ministro delle finanze) di Teodosio I, cui inizialmente venne commissio-
nato solo un opuscolo sull’addestramento dei soldati, che incontrò un certo successo e venne
ampliato fino a comprendere i quattro libri a noi noti (cfr. da ultimo G. BRECCIA, a cura di,
L’arte della guerra. Da Sun Tzu a Clausewitz, Torino, Einaudi, 2009, pp. 103-105).
pi tanto difficili, di adottare una condotta bellica prudente. All’indomani
della disfatta di Adrianopoli, del resto, era chiaro a tutti – anche a un non
specialista come Vegezio – come la battaglia campale comportasse rischi
eccessivi per l’indebolito apparato militare imperiale: dunque, come viene
più volte fatto rimarcare nell’Epitoma rei militaris, “i buoni comandanti
non combattono mai in battaglia campale se non spinti da un’occasione
propizia o costretti dall’estrema necessità4.
Per ciò che riguarda più da vicino il nostro tema, un primo e duraturo
merito di Vegezio fu quello di segnare l’inizio di un rapporto che potrem-
mo definire rispettosamente utilitaristico con le fonti antiche:
anche se per questa mia modesta opera non sono necessarie eleganza di stile o acu-
tezza d’ingegno, ma un lavoro scrupoloso e attento, per l’utilità dei Romani cer-
cherò di raccogliere quanto è sparso e si cela, misto ad altri temi, in differenti stori-
ci e precettori di argomenti militari5.
la conoscenza dell’arte militare accresce l’ardimento dei soldati: nessuno abbia ti-
more di eseguire ciò che è sicuro di avere bene appreso. Infatti nelle battaglie un
piccolo esercito ben addestrato è pronto alla vittoria più di uno numeroso, ma roz-
zo e inesperto, che è invece sempre esposto alla sconfitta6.
E ancora:
dunque, chi desidera la pace, prepari la guerra; chi desidera la vittoria, istruisca con
cura i soldati; chi aspira a eventi favorevoli, combatta con arte, non a caso. Nessu-
no osa provocare o assalire chi ritiene essergli superiore in combattimento7.
4. VE 3, 26.
5. VE 1, Prol.
6. VE 1, 1.
7. VE 3, Prol.
co della reale situazione dei reparti, degli armamenti e delle tattiche dell’e-
sercito romano alla fine del IV secolo, perché lo sguardo di Vegezio rimane
quello di un erudito, ostinatamente fisso su tempi ormai lontani e, per di
più, privo di una vera capacità di analisi critica delle fonti. Se vi sono otti-
me ragioni per dubitare dell’effettiva utilità dell’Epitoma per gli ufficiali
superiori di età teodosiana, l’importanza culturale del trattato difficilmente
potrebbe essere sopravvalutata: in esso vengono gettate le basi sia dell’edu-
cazione militare bizantina, affermando la necessaria complementarietà di
letteratura tecnica e storiografia. Qui vengono definiti i principi-guida del-
l’arte della guerra della Nuova Roma, sottolineando il bisogno di guada-
gnare, di mantenere un margine di vantaggio sul nemico grazie alla supe-
riorità tecnica e all’addestramento e quello di gestire con prudenza le limi-
tate risorse disponibili attraverso una grande strategia difensiva, basata sul-
l’uso di ogni mezzo disponibile. Il vecchio bellum iustum della tradizione
diventava così, nell’ottica tardoantica e poi bizantina, un bellum utile, da
condurre consapevolmente tenendo a mente soltanto la salvezza dello Stato
romano-cristiano.
8. MS, Prol.; cfr. BRECCIA, a cura di, L’arte della guerra, cit., p. 133.
dobbiamo adesso trattare degli schieramenti e delle caratteristiche di ciascun popo-
lo che può creare minacce al nostro Stato, in modo da permettere a chi abbia
l’incarico di condurre la guerra contro queste genti di prepararsi adeguatamente.
Non tutte le nazioni, infatti, combattono usando una stessa formazione e nello stes-
so modo, e non si può quindi utilizzare contro di loro la stessa tattica. Alcuni, la cui
baldanza è smisurata, combattono impulsivamente, mentre altri attaccano i loro
nemici in modo avveduto ed in buon ordine9.
9. MS 11, Prol.
10. Bisogna ricordare la curiosità etnografica di Erodono e la monografia di Tacito sui
Germani, ma si tratta di casi che restano al di fuori dell’ambito propriamente militare. Per
ciò che riguarda invece i secoli a noi più vicini, dopo l’opuscolo di Lampo Birago composto
all’indomani della caduta di Costantinopoli – su cui cfr. A. PERTUSI, “Le notizie sulla orga-
nizzazione amministrativa e militare dei turchi nello ‘Strategicon adversum Turcos’ di Lam-
po Birago (c. 1453-1455)”, in Studi sul medioevo cristiano offerti a R. Morghen per il 90°
anniversario dell’Istituto Storico Italiano (1883-1973), vol. II, Roma, 1974, pp. 669-700 –
dobbiamo attendere il genio di Raimondo Montecuccoli e i suoi Aforismi applicati alla
guerra possibile col Turco in Ungheria, del 1670 (ora integralmente riprodotti in BRECCIA, a
cura di, L’arte della guerra, cit., pp. 331-387) per uno studio approfondito del modo di far
guerra di un popolo nemico.
vuoto che sembra chiara testimonianza di una grave crisi dell’educazione
militare.
La situazione cambiò attorno alla metà del IX secolo con la stabilizza-
zione della situazione e la pace religiosa interna; la riapertura di una scuola
laica di studi superiori a Costantinopoli, nell’856, segnava l’avvio della ri-
nascenza che prenderà nome dalla dinastia imperiale di Basilio I il Mace-
done (867-886). Probabilmente proprio in quest’epoca un autore altrimenti
sconosciuto, il magistros Siriano, compose un’opera militare strutturata in
tre parti: un trattato dedicato alla guerra terrestre noto come De re strategi-
ca, un’antologia di “discorsi di guerra” costituita da excerpta tratti da autori
antichi (pubblicata separatamente a metà ’800 come Rhetorica militaris), e
un breve compendio di guerra navale (Naumachia), di cui nessuno nell’im-
pero si era più occupato da quasi cinquecento anni11. Il De re strategica, in
particolare, è un testo di grande interesse, anche se non privo di problemi
esegetici, a cominciare da quello assai discusso della sua effettiva datazio-
ne; come già in Vegezio, anche nel trattato del magistros Siriano si sottoli-
nea l’importanza della conoscenza delle fonti, sia tecniche che narrative12.
Accanto all’acquisizione di conoscenze teoriche, una notevole enfasi è po-
sta poi sull’addestramento, necessario a fortificare i corpi dei soldati e a
renderli sicuri delle loro azioni, sull’esperienza e la capacità di giudizio de-
gli ufficiali: “gli altri ufficiali superiori dovrebbero essere non da meno [dei
subalterni] per il loro coraggio e la loro forza fisica, e assai più dotati degli
altri di esperienza di guerra (empeirìa polèmou) e capacità di giudizio (frò-
nesis)”13.
11. Si è a lungo pensato che il trattato De re strategica fosse stato composto da un ano-
nimo autore all’inizio del VI secolo: questa tesi – sostenuta anche dal suo più recente edito-
re, Gorge Dennis – è stata autorevolmente messa in dubbio da C. ZUCKERMAN, “The mili-
tary compendium of Syrianus magister”, in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik, 40,
1990, pp. 209-224; cfr. anche S. COSENTINO, “The Syrianos’ ‘Strategikon’: a 9th Century
source?”, in Bizantinistica. Rivista di studi bizantini e slavi, s. 2, 2, 2000, pp. 243-280 e PH.
RANCE, “The Date of the Military Compendium of Syrianus Magister (Formerly the Sixth-
Century Anonymus Byzantinus)”, in Byzantinische Zeitschrift, 100, 2007, pp. 701-737. La
nuova attribuzione al magistros Siriano è convincente, e la data più verosimile è quella pro-
posta da Salvatore Cosentino. L’antologia di discorsi si può leggere tuttora solo nell’edizio-
ne di H. KÖCHLY, Opuscula Academica, vol. II, Anonymi Byzantini Rhetorica militaris, Lip-
siae, sumptibus Guilelmi Engelmann, 1856; la Naumachia è stata invece pubblicata nel re-
cente, ottimo J.H. PRYOR, E.M. JEFFREYS, The Age of the ???. The Byzantine Navy ca. 500-
1204, Leiden, Brill, 2006 (“The Medieval Mediterranean”, 62), pp. 455-481.
12. SS 14, 1-2: “La tattica è una scienza (epistème) che permette di organizzare e mano-
vrare un gran numero di uomini armati in modo ordinato”.
13. SS 15, 90-92. L’espressione viene ripresa nel trattato attribuito a Niceforo Ouranos
(Taktikon, 26, 8), un alto ufficiale attivo sul fronte balcanico alla fine del X secolo, durante
il regno di Basilio II: cfr. “Campaign Organization”, in DENNIS, Three Byzantine Military
Treatises, cit., pp. 241-335, p. 314.
Il magistros Siriano mostra di saper combinare empeirìa e frònesis –
ovvero di possedere gli elementi essenziali dell’arte della guerra. Un solo
esempio può bastare per illustrare il suo metodo: l’intero diciannovesimo
capitolo è un’attenta disamina delle difficoltà relative all’attraversamento di
un corso d’acqua in presenza del nemico. L’esperienza diretta dell’autore si
combina con una serie di esempi storici, a testimonianza della sua notevole
cultura letteraria: Siriano parla, infatti, del grande ponte galleggiante forti-
ficato costruito da Apollodoro di Damasco per traghettare le truppe di Tra-
iano in Dacia nel 104-105, dell’assalto condotto personalmente da Alessan-
dro attraverso il guado del Granico nel 334 a.C. e della deviazione delle ac-
que di un fiume da parte di Ciro il Giovane – avvenimenti citati rispettiva-
mente da Procopio di Cesarea, Arriano e Senofonte14. Il magistros Siriano
sembra anche ben consapevole delle difficoltà che si incontrano quando bi-
sogna attuare operazioni militari complesse, apprese dai libri di testo e ap-
parentemente assai ben congegnate, ma in realtà difficili da eseguire sul
campo: descrivendo una tattica d’attacco che prevede l’avanzata soltanto di
alcuni reparti della linea principale di combattimento, mentre altri a loro
vicini restano arretrati rispetto al cuore dell’azione, Siriano raccomanda di
informare preventivamente gli uomini dello scopo della manovra, in modo
che non abbiano a diffondersi tra i ranghi timori immotivati15.
Non bastano studio, applicazione, addestramento: un buon comandante
deve sapere che guida in battaglia degli uomini, con la loro psicologia e le
loro inevitabili debolezze, e che per ottenere da loro il meglio deve stabilire
un rapporto di fiducia reciproca non solo con l’esempio, ma con la condivi-
sione degli obiettivi e dei modi scelti per conseguirli.
14. Cfr. SS 19, passim; luoghi citati: PROC. De aedif. 4, 6; ARR. Anab. 1, 14-15;
SENOPH. Cyrop. 7, 5, 9-20.
15. SS 33, 33-35.
te della guerra possediamo però quello che fu senza dubbio il suo frutto
maggiore, ovvero le Tacticae constitutiones dell’imperatore Leone VI detto
il Saggio (886-912)16.
L’opera è una rielaborazione dello Strategikon attribuito a Maurizio. I
“metodi strategici” sono annoverati tra i fondamenti del giusto ordine
dell’impero (eutaxìa); l’istruzione militare degli ufficiali deve basarsi sia
sugli scritti di arte militare che sulle opere storiografiche; la scelta degli
uomini fisicamente più adatti, il loro addestramento costante, la disciplina e
l’esperienza sono le pietre angolari di un esercito efficiente; lo studio dei
caratteri dei nemici – tra cui compaiono due nuovi popoli, Magiari e Arabi
– è parte essenziale della preparazione professionale di un comandante; la
prudenza, l’accorta gestione delle risorse disponibili, l’uso di ogni mezzo,
anche “indiretto”, per ottenere lo scopo della salvezza dello Stato sono ripe-
tutamente incoraggiati.
Leone VI afferma di aver dato alla propria trattazione militare la forma
di un prochiron nomou, ovvero di un manuale di legge: il testo viene dun-
que per la prima volta esplicitamente concepito come normativo, e non sol-
tanto come fonte manualistica, ancorché privilegiata, per l’educazione degli
ufficiali superiori. Nel proemio si trovano esposte molte delle idee-guida:
l’arte della guerra viene posta tra i fondamenti del giusto dominio cristiano,
parte dell’armonioso ordine del mondo, a cui fare ricorso per sconfiggere
gli aggressori e restaurare la pace; ma è un’arte che necessita cure costanti,
e anche Leone VI non può fare a meno di lamentare la recente decadenza
degli ordinamenti militari imperiali. Lo stile è quello solenne dei testi legi-
slativi:
[per le macchinazioni del diavolo, nemico del genere umano, è necessario] che gli
uomini ricerchino la salvezza attraverso l’arte militare, e grazie ad essa si manten-
gano al sicuro dai nemici che li aggrediscono. […] E dunque tutto ciò che riguarda
la guerra e che è stato tramandato dai Romani, attraverso un non breve spazio di
tempo e nell’ambito del giusto ordine delle cose, è bene che non cessi di essere il
divino sostegno del potere, mantenuto unito al detto giusto ordine dallo sforzo dei
migliori, in modo da aggiungere un maggior splendore alla vittoria. Ma oggi la
16. Dell’opera non esiste tuttora un’edizione critica completa più recente di quella ap-
parsa nel 1612 grazie al van Meurs e al Lamy (riprodotta nel volume 107 della Patrologia
graeca). Anche se non si può certo escludere che la grande enciclopedia compilata sotto gli
auspici di Costantino VII – di cui sopravvivono i trattati sull’amministrazione dell’impero,
sulle cerimonie di corte e sulle nuove province militari, i temi, introdotte a partire dal VII
secolo – comprendesse un più agile manuale di arte della guerra, certamente le Tacticae
constitutiones di Leone VI costituirono il punto d’arrivo della tradizione precedente e la ba-
se su cui rifondare l’istruzione militare bizantina nel X secolo.
tecnica di ordinare le schiere e l’arte del comando sono state trascurate da lungo
tempo – e non dico di più – al punto di essere cadute nell’oblio più completo17.
come una nave oneraria non può essere condotta in alto mare senza conoscere la
tecnica della navigazione, così nemmeno le guerre possono essere combattute sen-
za tattica e strategia, grazie alle quali non solo sconfiggeremo – con l’aiuto di Dio
– un avversario della nostra stessa forza e pari di numero, ma anche una massa di
nemici di gran lunga maggiore. Per questo motivo abbiamo promulgato per voi
questa trattazione come fosse un manuale di leggi, come si è detto, e vi ordiniamo
di uniformarvi ai suoi precetti con attenzione e con fatica18.
Nella tarda estate del 960 un potente esercito arabo, guidato dall’emiro
hamdanida di Aleppo Sayf al-Dawla, superava le montagne del Tauro e pe-
netrava in Cappadocia, saccheggiando il tema di Charsianon. Le guarnigio-
ni locali si rivelavano incapaci di contrastare l’incursione; da Costantinopo-
li si correva allora ai ripari, facendo affluire rinforzi dalla penisola balcani-
ca, guidati da uno dei più esperti ufficiali disponibili, il domestikòs Leone
Foca. L’8 novembre 960 i reparti al suo comando riuscivano ad intercettare
la più numerosa armata araba al passo di Kylindros, ormai sulla via del ri-
torno dopo la razzia compiuta nel cuore dell’Asia Minore: nell’imminenza
dello scontro, come voleva una tradizione più che millenaria, Leone radunò
Miei commilitoni […] vi esorto ad affrontare [il nemico] dopo aver studiato il mi-
glior modo di agire. Poiché le guerre di solito sono vinte non grazie ad una batta-
glia campale, ma ad una pianificazione prudente [PROC. 2, 16, 7], e le vittorie con-
quistate con l’uso dell’astuzia al momento opportuno. Vedete chiaramente lo schie-
ramento dei nemici: qui dispiegati in campo aperto, appaiono tanto numerosi da
non potersi contare. […] Quindi, proprio perché siamo Romani, dobbiamo predi-
sporre una linea d’azione adatta […] e scegliere uno stratagemma piuttosto che una
condotta pericolosa. E dunque: non lanciamoci a testa bassa verso un disastro sicu-
ro, in un assalto sfrenato e con imprese azzardate! Poiché un atto di coraggio non
meditato di solito lascia chi lo compie in mezzo ai pericoli, mentre un’attesa frutto
della ragione può salvare le vite di coloro che vi ricorrono [PROC. 2, 19, 10]. Per
questo, uomini, vi esorto a non mettere inutilmente a repentaglio le vostre vite at-
taccando a fondo i barbari in campo aperto, ma di appostarvi pronti all’imboscata
in queste zone scoscese, aspettando che arrivino e le attraversino; allora attaccateli
con vigore e combattete con coraggio. […] Il nemico viene infatti battuto, di solito,
grazie ad attacchi di sorpresa [PROC. 3, 15, 25], e il suo atteggiamento insolente e
arrogante verrà verosimilmente scosso da un’aggressione inaspettata [VEG. 3, 26,
15]19.
19. LEO DIAC. 2, 3; cfr. G. BRECCIA, “Grandi imperi e piccole guerre. Roma, Bisanzio e
la guerriglia. II”, in Medioevo greco, 8, 2008, pp. 49-131, p. 108. Le citazioni dall’opera di
Procopio (già segnalate dagli editori del testo di Leone Diacono) sono davvero rivelatrici: il
momento decisivo per la trasformazione della teoria militare bizantina era stato infatti pro-
prio il VI secolo: Belisario ne era stato il principale responsabile e Procopio aveva dato ri-
salto alle novità strategiche e tattiche emerse durante le guerre di Giustiniano, trasformate in
un sistema coerente pochi decenni dopo dall’autore dello Strategikon attribuito all’imperato-
re Maurizio. Leone Foca non è quindi un innovatore, ma il consapevole campione di una
tradizione ormai secolare.
toria bizantina, che segnò una svolta decisiva nella lunga guerra di frontiera
con gli emirati arabi di Siria.
I principi fatti propri da Leone Foca nel suo discorso dell’ottobre 960
trovarono una loro compiuta esposizione nell’anonimo Metodo della guer-
riglia, un testo composto da un anonimo alto ufficiale e dedicato a un altro
esponente della stirpe cappadoce dei Foca, l’imperatore Niceforo II (963-
969), fratello del domestikòs Leone20. È un opuscolo tecnico, privo sia di
ambizioni letterarie che di riferimenti dotti; non è nemmeno un trattato di
arte della guerra paragonabile ai precedenti di Vegezio, Maurizio o Leone
VI: è, piuttosto, il primo esempio di manuale specialistico, destinato a chi
avrà la responsabilità di praticare un tipo particolare di guerra di frontiera,
definita dall’autore paradromé – ovvero “guerra condotta su vie seconda-
rie”, affidata soprattutto a reparti a cavallo, non troppo numerosi ma ben
addestrati, capaci di sfruttare al meglio le caratteristiche del terreno e di uti-
lizzare tattiche aggressive basate sulla rapidità e la sorpresa. Ne è ben con-
sapevole l’autore, che nel proemio arriva addirittura ad augurarsi che i suoi
sforzi, all’indomani delle vittorie ottenute sugli Arabi di Siria, possano ri-
velarsi inutili – attribuendosi quasi un eccesso di zelo nell’aggiungere al
grande edificio della cultura militare bizantina un elemento che appare or-
mai, per buona sorte, superato:
Vogliamo proporre qui un metodo della guerriglia: anche se, nella situazione attua-
le, potrebbe non trovare più molta possibilità di applicazione pratica nelle regioni
orientali. Cristo, il nostro vero Dio, ha infatti in gran parte infranto la potenza e la
forza dei discendenti di Ismaele, ed ha respinto i loro assalti. Ma il tempo ci porta a
dimenticare quanto abbiamo appreso: per impedire che possa cancellare comple-
tamente queste utili nozioni, abbiamo deciso di affidarle alla scrittura.
20. Il titolo dell’opuscolo significa letteralmente “della guerra condotta sfruttando le vie
secondarie”, ed è stato reso dagli editori recenti come Skirmishing (Dennis) o Traité sur la
guérilla (Dagron e Mihaescu); per parte mia preferisco il termine “metodo” (tratto dal testo),
mantenendo poi “guerriglia”, nonostante l’ovvio anacronismo. Il testo è ora in BRECCIA, a
cura di, L’arte della guerra, cit., pp. 169-216.
per la prima volta priva di qualsiasi riferimento agli ordinamenti e alle tatti-
che dell’età antica:
21. Barda Foca fu dapprima comandante (strategòs) dei temi di Cappadocia e degli Ana-
tolici in Asia Minore centrale, quindi dal 944 comandante in capo dell’intero fronte orientale
(“domestikòs dell’Oriente”); si ritirò dal servizio attivo nel 955, e venne poi onorato nel 963
con il titolo di cesare, una delle più alte dignità conferite ai membri della corte imperiale.
Morì nel 969, lo stesso anno dell’imperatore Niceforo II, suo parente.
22. Oltre al Metodo della guerriglia (spesso citato col titolo latino De velitatione), risal-
gono all’epoca e all’entourage di Niceforo II – se non direttamente a lui – altri due brevi
trattati, noti il primo come Praecepta militaria (che descrive l’organizzazione e la tattica di
un’armata d’urto impegnata in operazioni convenzionali in oriente), il secondo come De re
militari (dedicato invece alla campagna condotta da un esercito imperiale in un teatro di
guerra che ricorda da vicino le montagne balcaniche).
Consigli per intraprendere la carriera militare nello Strategikon di Ce-
caumeno (c. 1070)
contrary to what one might expect, [Nicephoros’ Tactica] is not a treatise on the
tactical, organizational and operational aspects of the army of his period, but rather
an overall compilation of military writings from the past. As in Leo’s Tactica, the
sources utilized by Nicephoros Ouranos are old, but the way they are arranged is
quite new 23.
Quando hai tempo libero e non sei occupato in servizi militari, leggi libri, opere
storiche, testi ecclesiastici. E non obiettare: “Quale vantaggio viene ad un soldato
dai dogmi e dai libri di Chiesa?” Ti saranno senza dubbio molto utili. Se stai bene
attento, potrai ricavarne non solo dottrine e racconti utili all’anima, ma anche pre-
cetti, norme morali e militari: tutto il Vecchio Testamento è infatti pieno di consi-
gli strategici, ma anche nel Nuovo Testamento la persona diligente coglierà precet-
ti e non in numero esiguo. Per parte mia, desidero che tu diventi tale da destare
l’ammirazione di tutti sia per il tuo coraggio, sia per la prudenza, per la cultura, per
il bel eloquio. Se segui e osservi questi precetti, sarai felice.
Questi consigli, che non si trovano in nessun altro trattato militare né in altro libro,
li ho raccolti per te: li ho messi insieme sulla base di una mia personale riflessione
e di una concreta esperienza. Ti saranno senz’altro utili. Studia, però, anche le tat-
tiche militari degli antichi, in quanto, pur se là non troverai di questi precetti, ne
troverai altri, migliori, straordinari e ricchi di sapienza25.
25. KS 2, 54.
primi i Turchi Selgiuchidi e i Normanni – i sovrani della dinastia dei Com-
neni furono costretti a far ricorso in misura sempre maggiore a mercenari
stranieri e alla flotta alleata della repubblica di Venezia, salvando momen-
taneamente lo Stato, ma spargendo comunque i semi della sua definitiva
rovina. Negli ultimi secoli di vita dell’impero, in una situazione in cui la
condotta delle operazioni era sempre più spesso affidata a soldati di mestie-
re estranei alla cultura bizantina, non può certo stupire di assistere all’inari-
dirsi di ogni riflessione originale sull’arte della guerra.
26. Esempi citati in J. HALDON, Warfare, State and Society in the Byzantine World 565-
1204, London, UCL Press, 1999, pp. 270-271. Forse la fonte più interessante sulle modalità
della promozione per merito resta tuttavia un discorso di Costantino VII (944-959); cfr. H.
AHRWEILER, “Un discours inédit de Constantin VII Porphyrogénète”, in Travaux et mémoi-
res, 2, 1967, pp. 392-404.