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- Carta d’Atene 1931: abitare, lavorare, divertirsi, spostarsi

- Luigi Piccinato, Enciclopedia Italiana, lemma Urbanistica (1937): studio generale delle condizioni,
delle manifestazioni, delle necessità di vita e di sviluppo della città. Il fine pratico è dettare norme
che regolino la qualità della vita urbana, cioè che sia bella, sana, comoda ed economica allo stesso
tempo. Questo fine pratico è raggiungibile attraverso il piano regolatore che impone regole, leggi
ed organizzazioni amministrative.
- + aggiornamento (1948): distingue i due concetti di pianificazione economica ed urbanistica, in
quanto spesso le sono state fatte coincidere. Piccinato argomenta che non per forza debbano
coincidere, in quanto la pianificazione economica non per forza deve essere risolta in una
pianificazione urbanistica.
- Giorgio Rigotti, Grande Dizionario Enciclopedico (1937): è arte e scienza che tendono ad
organizzare città e territori in funzione della vita di una collettività. L’urbanistica per raggiungere
degli scopi deve analizzare i fattori che entrano in gioco nel procedimento organizzativo: fattori
naturali, umani, economici, legislativi, ambientali, statistici.
- + Marcel Poete, Introduzione all’Urbanistica: arte e scienza, poiché non si basa solo su discipline
scientifiche ma anche discipline come quelle geografiche, storiche, economiche, sociali e culturali.
- Giuseppe Campos Venuti, Amministrare l’Urbanistica (1967): sembra addirittura grossolano dover
definire l’urbanistica come una disciplina per metà scienza e metà arte, in quanto l’urbanistica
potrebbe essere il chiaro esempio di una disciplina che appartenga ad un modo nuovo, senza
dividersi tra i due. Aggiunge che è ovviamente complesso definire i contenuti urbanistici in quanto
sussistono anche quelli culturali, politici, economici ecc. ma i contenuti urbanistici riflettono più o
meno gli altri contenuti, in quanto la città è il prodotto di scelte economiche, politiche, sociali e
culturali.
- Giuseppe Campos Venuti, Per un’urbanistica riformista: è stato un’importante urbanista
riformista.
- Giuseppe Campos Venuti, concetto di bello/brutto: equazione tra bello/brutto e
funzione/disfunzione.
- Same Umberto Eco: bello/brutto.
- Edoardo Salzano, Fondamenti di Urbanistica (1999): urbanistica come operazione complessa e
sintetica: è la ricerca della coerenza dell’insieme delle trasformazioni necessarie per utilizzare il
territorio come insieme di risorse fisiche e come recipiente per le attività che richiedono spazio;
complessa perché unione di diversi contenuti; sintetica perché riduzione ad un’unità di più idee;
coerente perché priva di squilibri.
- Patrizia Gabellini, tecniche urbanistiche (2001), Di cosa parliamo quando parliamo di urbanistica?
Tre modi di rispondere (2006), Le mutazioni dell’urbanistica (2018): secondo la Gabellini,
l’urbanistica è un sapere pratio applicato al progetto di trasformazione di uno specifico territorio
urbanizzato.
- Giovanni Astengo, Enciclopedia universale dell’arte – lemma urbanistica (1965): L'urbanistica è la
scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti avendo come proprio fine la pianificazione
del loro sviluppo storico, sia attraverso l'interpretazione, il riordinamento, il risanamento,
l'adattamento funzionale di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro crescita, sia
attraverso la riforma e la organizzazione ex novo dei sistemi di raccordo degli aggregati tra loro e
con l'ambiente naturale.

l'urbanistica deve anch'essa percorrere la sua metamorfosi: di orizzonti, di paradigmi, di strumenti e, non
secondariamente, di linguaggio. In questa "metamorfosi del mondo" si inserisce, con l'autorevolezza che
deriva dalla sapienza e dalla militanza, Gabriele Pasqui che nel suo prezioso Urbanistica oggi. Piccolo lessico
critico (Donzelli, 2017), invoca "una riflessione aperta, anche spietata, sui nostri saper dire e saper fare, la
situazione di vero e proprio discredito in cui è caduta l'urbanistica è dovuta anche ad un eccesso di
ambizioni destinato a produrre altrettante delusioni".

"Quando osserviamo le pratiche urbanistiche - scrive Pasqui - possiamo dunque riconoscere una pluralità di
policy tools, che con diverso grado di coerenza ed efficacia perseguono molteplici obiettivi". Tra questi
dispositivi di politiche iscrivo, appunto, la città aumentata che smonta i tradizionali meccanismi urbanistici,
essenzialmente regolativi, per rimontarli secondo un nuovo e più efficace codice che torni ad essere
generativo.

Dobbiamo essere in grado di costruire un ambiente urbano più efficiente, in grado di percepire quello che
accade e di reagire tempestivamente per tutti gli abitanti, e non solo per alcune categorie privilegiate.

Crescita e decrescita è una opposizione sui cui Gabriele Pasqui si sofferma con particolare sensibilità,
invitandoci a prendere sul serio l'eclisse del paradigma del nesso tra urbanistica e crescita". Abbiamo
dunque bisogno di una nuova urbanistica della "diversa crescita", "in grado di governare, utilizzando
criticamente i modelli e le tradizioni dell'urbanistica europea del XX secolo, gli effetti perversi e le
esternalità dei nuovi processi di urbanizzazione".

Secondo Patrizia Gabellini: Questo profondo cambiamento, che ho definito “mutazione”, all’interno della
disciplina genera la difficoltà di riconoscere una rotta da percorrere, all’esterno concorre a minare il
riconoscimento di competenza, autorevolezza, legittimità dell’urbanistica in quanto pratica anche
amministrativa.

“l’urbanistica, oltre a confermarsi come un’area interstiziale entro la quale possono coltivarsi, e di fatto si
coltivano, diversi punti di vista idonei a cogliere le tante dimensioni dell’urbano, si muove tra
convergenza e visione, tra passato presente e futuro, tra tecnica e politica, tra politica e amministrazione.
Proprio per questo la sua natura non può che rimanere discutibile e richiede un incessante
riposizionamento dei suoi cultori, pena un inconcludente e avvilente impoverimento delle pratiche a essa
connesse.”

Prof.ssa Patrizia Gabellini, Lei è autrice del libro Le mutazioni dell’urbanistica. Principi, tecniche,
competenze edito da Carocci: come è cambiata l’urbanistica negli ultimi decenni e con quali conseguenze?

L’urbanistica è cambiata molto e probabilmente la sua mutazione non è ancora del tutto compiuta. Come
si evince dal sottotitolo del libro, i livelli del cambiamento sono tanti e così profondi da far pensare che ben
poco resti dell’impalcato che si è costruito negli ultimi 150 anni per affrontare i problemi della rivoluzione
urbana prodotta dall’industrializzazione. Per le sue relazioni con i processi economici, sociali, culturali e
istituzionali che nel territorio trovano espressione materiale, l’urbanistica non può che risentire in
maniera profonda del grande cambiamento che investe tutte le sfere. Per questo mi sembra improprio,
perfino miope, parlare di crisi dell’urbanistica se non anche di morte, prescindendo da questo particolare
statuto disciplinare e dalle condizioni attuali. A questo proposito ho definito la crisi dell’urbanistica una
“derivata” che per essere compresa e affrontata comporta piena consapevolezza di quel che sta
accadendo e pazienza nel ritrovare un proprio spazio, accettando la sostituzione di sue componenti vitali.
Questo sta avvenendo, ma forse non c’è ancora piena consapevolezza, in particolare non si applica ancora
all’urbanistica quell’approccio resiliente che da più parti si invoca per attraversare questa (lunga) fase
“pellegrina”. Ciò vale in primo luogo per i cultori della materia. Per alcuni versi andrà recuperata la ragione
prima di questa attività (dare forma e organizzazione allo spazio fisico), per altri andrà incorporato tutto il
sapere che si è accumulato nel tempo sulle proprietà dello spazio e sui fattori che lo conformano.
Questo profondo cambiamento, che ho definito “mutazione”, all’interno della disciplina genera la difficoltà
di riconoscere una rotta da percorrere, all’esterno concorre a minare il riconoscimento di competenza,
autorevolezza, legittimità dell’urbanistica in quanto pratica anche amministrativa.

Quali novità sono state introdotte nella modalità di composizione dello spazio e la forma dei piani?

La composizione dello spazio parte ora dall’esistente, dalla trasformazione con vari gradi di profondità di
quel che già esiste. Non si tratta più di dare forma ex-novo, di “colonizzare” lo spazio agricolo o naturale
componendo i materiali urbani secondo forme create dal nulla. Questa condizione compositiva, sulla quale
si sono costruite l’architettura e l’urbanistica moderne con la messa a punto di modelli, è diventata
residuale, benché dominante in altre parti del mondo. Da quei modelli possiamo ancora attingere, ma
parzialmente, attraverso un processo che mette al centro l’interpretazione dell’esistente, l’individuazione di
logiche, regole più o meno esplicite, spesso fuse e confuse, da rilavorare: composizione come messa
insieme di parti anche eterogenee che non possono essere piegate a un modello unico, a un’armonia
astratta (in questo senso “città arcipelago”). La cultura del riciclo e dell’ibridazione è fondamentale nella
composizione dello spazio contemporaneo.

Ovviamente la forma canonica dei piani si deforma, in particolare la raffigurazione della città futura non
riesce a essere un’immagine composta e omnicomprensiva. Si può tentare di dare forma ad alcune parti, di
selezionare alcuni interventi con buona probabilità di attuazione e che abbiano effetti sinergici, sui quali
scommettere per un riordino (nel libro per spiegare questo uso il termine “figure”). La forma dei piani
cambia anche perché deve confrontarsi con l’incertezza; quindi, non può confidare su dimensionamenti e
proiezioni che hanno bisogno di serie di dati coerenti; neppure può confidare sugli standard, ovvero su
rapporti stabili tra dotazioni di servizi e attrezzature e popolazione, in quanto presuppongono andamenti e
struttura demografica relativamente omogenei. Il piano deve fare congetture su quel che potrebbe
capitare, anche introducendo scenari diversi. Poi, ancora, deve lavorare sulla tipologia delle norme,
includendo indirizzi, linee guida, raccomandazioni e consigli, tutte regole variamente “flessibili” in quanto
prevedono interpretazioni e declinazioni nel tempo da parte di soggetti diversi.

In che modo sono mutati i postulati relativi all’interpretazione della città e alla prospettiva temporale di
piani, programmi e progetti?

La crescita abnorme della città, quella che si suole indicare come diffusione o dispersione, ha rotto in
maniera definitiva il chiaro limite tra città e campagna, la distinzione netta tra l’urbano e il rurale, ha eroso
l’idea della compattezza e i principi (indimostrati) che la città e la campagna siano due opposti, che la città
debba avere una forma compiuta (in realtà già l’idea di città giardino aveva incrinato questi postulati). Ora,
semplicemente, non è più possibile coltivare quell’idea, muoversi secondo quei principi. La città si è
sfrangiata, non cresce ma si trasforma all’interno e ha bisogno di spazio: per affrontare gli effetti dei
cambiamenti climatici riorganizzando il ciclo dell’acqua e ampliando le aree vegetate, per realizzare un
sistema di produzione energetica da fonti rinnovabili, per bonificare e trattare i rifiuti, per includere
un’agricoltura di prossimità. Non solo la porosità è data, ma è necessaria e in parte va recuperata.

Per quanto riguarda il tempo, un altro postulato è caduto: che il piano debba occuparsi del tempo lungo,
del futuro. Nel libro ne tratto prendendo in considerazione l’antinomia tra strategia e tattica che percorre
la riflessione disciplinare. Il presente, il contingente, il quotidiano, che il piano solitamente non
considerava o sottaceva, oggi si impone e rischia di accantonare il futuro. Il tempo breve sembra
vincente, ma il tempo medio-lungo non può essere esorcizzato ed è sul tempo medio-lungo che possono
affrontarsi i problemi ambientali e sociali. Il piano, che su questa dimensione si è costruito, deve riuscire
a intercettare il presente, a stabilire dei ponti tra quello che si può/deve fare oggi per rispondere a
domande e necessità del presente, e la prospettiva. Tattica e strategia non sono nell’ordine gerarchico di
tipo militare, ma forse non sono neppure in antitesi. Comunque, considerarle entrambe diventa
ineludibile. E il piano deve includere programmi e progetti, con le loro differenti temporalità, accettando
di deformarsi.

Come si è sviluppata la prossimità ideologica alla sinistra dell’urbanistica?

La prossimità si è costruita alle origini dell’urbanistica moderna. L’idea più accreditata e più radicata
nell’immaginario disciplinare è che l’urbanistica trovi la sua ragione nell’utopia e comunque nella critica e
nella volontà riformatrice che, a partire dalla città, si riverbera sulla società e l’economia. Una idea che ha
trovato una traduzione nel welfare materiale, in un progetto di riforma economica e sociale che ha
caratterizzato il Novecento europeo e che ha visto come interpreti i partiti della sinistra. Il Neoliberismo e
con esso l’onda lunga di una diversa visione del mondo ha investito anche l’urbanistica. Ma non è solo
questo motivo di scollamento. La difficoltà dei partiti della sinistra di fare propria la questione ambientale
(per sua natura trasversale) e di ridiscutere in positivo il sistema del welfare, una loro trasformazione
interna che, perso il cemento ideologico, non ha saputo costruire un diverso cemento programmatico
(condizione indispensabile per aggregare la domanda sociale), un rapporto oscillante e irrisolto con le
competenze, sono tutti fattori che hanno rotto un sodalizio di fatto, che è durato alcuni decenni e ha
trovato un terreno importante nell’amministrazione dell’urbanistica.

Quale futuro per l’urbanistica?

Nonostante sia la domanda che ha dato ragione al libro, non riesco a dare una risposta univoca. Da un lato,
come ho cercato di argomentare, ritengo ci sia una necessità sostantiva dell’urbanistica perché le città sono
investite da un’altra rivoluzione ed è l’urbanistica a occuparsi di forma e organizzazione urbana. Quindi un
futuro di grande responsabilità e suggestione. Dall’altro, le difficoltà nelle quali si trova, non solo per la
necessaria mutazione del proprio statuto, ma anche per condizioni generali di cui risente fortemente data
la sua componente politica, alimentano una profonda preoccupazione. Osservando quel che avviene in
Europa, sembra confermarsi una situazione molto varia, per cui a città e territori che grazie anche
all’urbanistica stanno costruendo il loro futuro, si contrappongono città e territori che non se ne servono
affatto e la ritengono inutile se non dannosa.

In definitiva, il futuro dell’urbanistica è una scommessa che si gioca su più piani, e che comunque vede
nella formazione/educazione, nell’approfondimento conoscitivo dei fenomeni, nell’ascolto di chi abita e
nell’osservazione di come si abita alcune fondamentali carte da giocare.

La materia dell’Urbanistica è sempre stata complessa, infatti nei diversi anni, è stata centro di forte
discussione sulla propria definizione. Partendo dal principio, il termine urbanistica deriva dal latino “urbs”,
città; infatti, è una disciplina che studia la città e il territorio, ovvero regolamenta l’uso del suolo e le sue
trasformazioni. Nel tempo, questa materia si è evoluta notevolmente, poiché comprende diversi aspetti,
come quelli sociali, culturali, economici e politici che fanno parte di un territorio e che devono essere perciò
presi in considerazione. Riguardo la definizione di urbanistica, alcuni urbanisti diedero la propria
interpretazione. Ma per capirle, prima è importante analizzare uno dei capisaldi dell’Urbanistica, ossia la
Carta d’Atene: prodotta nel 1933 al IV CIAM in viaggio da Marsiglia ad Atene, è stata fondamentale per
architetti e urbanisti. Il documento si compone di 95 punti in cui sono enunciati e fissati i principi
fondamentali della città contemporanea, si promuove la teoria della zonizzazione, cioè la suddivisione dei
quartieri e la diversificazione degli edifici in base alle funzioni che le persone svolgono all'interno della città,
che vengono ridotte a quattro: abitare, lavorare, divertirsi, spostarsi.

Per esempio, per quanto riguarda la funzione dell’abitare, si cerca di assicurare degli alloggi che
garantiscano l’aria, la luce e lo spazio di cui ogni abitante ha bisogno, in quanto costituiscono condizioni
essenziali per la vita. Oppure per il lavoro, saranno organizzati luoghi in modo da considerare il lavoro come
attività che nobilita l’uomo e non che lo schiavizzi. Lo stesso concetto vale per attività del divertimento e
dello spostamento; lo scopo è quindi poter rendere migliori le attività primarie dell’uomo.

La Carta d’Atene rappresentò la roccaforte di architetti, ingegneri ed urbanisti anche per altri punti
contenuti in essa: l’idea di città, l’idea di società e l’idea di spazio abitabile.

Per quanto concerne l’idea di città, il documento non propone un modello formato e compiuto, ma
piuttosto dei principi e regole per una città futura funzionale. Sarà questo infatti, successivamente a vari
piani “sbagliati”, il vero scopo perseguito dagli urbanisti attraverso piani e strumenti, ossia dettare regole
per controllare le varie trasformazioni del suolo osservando lo stato di fatto della città esistente.

Il concetto di società invece, si esplica attraverso la distinzione della città fisica e la città sociale, ovvero gli
uomini sono infelici perché abitano città disumane; dunque, il fine ultimo è cercare di soddisfare i bisogni
biologici degli uomini per poter creare una società che funzioni e che sia realizzata.

Come vediamo, già nel 1933 alcuni precetti dell’Urbanistica erano stati già ampliamente discussi e assodati.
Ma nel 1937, autori come Luigi Piccinato e Giorgio Rigotti scrissero rispettivamente “Enciclopedia Italiana” e
“Grande Dizionario Enciclopedico” esponendo la propria definizione di Urbanistica.

Piccinato descrive questa disciplina come “lo studio generale delle condizioni, delle manifestazioni e delle
necessità di vita e di sviluppo delle città”. Si deduce anche quale sia per l’autore il fine ultimo
dell’urbanistica, ossia dettare regole per l’organizzazione della vita urbana e sottolinea l’importanza del
Piano Regolatore che lo pone come mezzo per raggiungere tale scopo. Nel 1948, Piccinato fa un
aggiornamento della precedente edizione: tende a precisare che i concetti di pianificazione economica ed
urbanistica spesso li sono stati fatti coincidere, seppur sbagliando, in quanto è pensabile una “pianificazione
economica che non si risolva in una pianificazione urbanistica”, ovvero i due ambiti seppur complementari,
non sempre lo sono.

Passando a G. Rigotti, egli, come Marcel Poete, definisce l’urbanistica come un connubio tra “arte e scienza
che tende ad organizzare città e territori in funzione di una collettivà. Per raggiungere gli scopi
dell’urbanistica, secondo Rigotti, bisogna tener conto che sussistono diversi fattori come quelli naturali,
economici, umani, legislativi, ambientali e statistici.

Questa definizione, dell’urbanistica come sintesi di diversi ambiti non solo urbanistici, mette d’accordo
anche altri urbanisti. Ad esempio, G. Astengo nel 1965 scrive l’Enciclopedia Universale dell’Arte, in cui lui
sottoscrive l’urbanistica come riassunto di componenti geografiche, economiche, politiche ecc. Importante
in questo libro è anche l’idea di città che egli esprime, dove cita anche Patrick Geddes, intrepretando la città
come “dramma nel tempo” e non come “luogo nello spazio”, intendendo la città come “processo di
sviluppo dinamico”, cioè come organismo le cui trasformazioni sono in continua evoluzione, come la
crescita demografica, cambiamenti naturali del territorio che vanno regolamentati durante il proprio corso,
senza far previsioni azzardate.

(Secondo G. Campos Venuti, importante urbanista riformista, sembra approssimativo definire l’urbanistica
per metà scienza e metà arte, ovvero potrebbe essere una disciplina che appartiene ad un modo nuovo.
Ammette sia complesso definire i contenuti urbanistici in quanto esistono anche quelli culturali, politici,
economici, ma gli aspetti urbanistici riflettono gli altri contenuti poiché la città è il prodotto di scelte
economiche, politiche, sociali e culturali.)

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