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Le mura di L’Aquila: restauro e valorizzazione

J. Benedetti, S. Di Martino

abstract:
La cinta muraria aquilana, completata nel 1316, ha segnato per più di sei secoli
il margine, fisico e simbolico, del capoluogo abruzzese. Solo a partire dalla se-
conda metà del secolo scorso, un incontrollato sviluppo edilizio ha trasformato
le mura da limite a parte del tessuto urbano. Sono quindi seguiti decenni di
incuria e di abbandono di larga parte del tracciato murario; il sisma del 2009
ha solo localmente aggravato una situazione già compromessa. Obiettivo dei
progetti di restauro e valorizzazione delle mura di L’Aquila è stato quello di riu-
scire a garantire la conservazione del monumento, e al contempo di rivitalizzare
i vicini spazi urbani, ricostruendo, attraverso un percorso pedonale variamente
modulato, la continuità del tracciato ossidionale.
La scelta di non musealizzare il complesso monumentale, ma di restituirlo alla
città come sua parte viva, si fonda sulla speranza di poter nuovamente rendere
le mura un elemento di identità e di orientamento nel tessuto urbano.

The urban enceinte of L’Aquila, completed as early as 1316, has marked for over six centu-
ries both the physical and symbolic border of the city. Starting in the late 1950’s, the sudden
growth of the city’s outskirts incorporated the city walls in the urban fabric. In the following
decades, a large part of the defensive perimeter was neglected and abandoned; the 2009 seism
locally worsened an already compromised situation. The goal for the restoration and develop-
ment projects for the city walls of L’Aquila, was, on the one side, to ensure the conservation
of the monument, and, on the other, to revitalize the neighboring urban spaces, through a
continuous pedestrian trail along the whole of the urban enceinte, that constantly adapts itself
to its surroundings.
The proposed design tries not to convert the walls into an open-air museum, but rather to turn
them into a living part of the city, a tangible sign of the local identity and an orientation
landmark within the urban fabric.

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Fig. 1 – L’Aquila, sezioni storiche della città fortificata al 1700 e al 2008: le mura, da margine, divengono parte
del tessuto urbano.

L’Aquila nasce nel XIII secolo nella valle dell’Aterno, un territorio che in età classica ospitò
importanti centri urbani (si ricordano, tra questi, Amiternum, Forcona e Pitinum, tutti sede
di diocesi), ma che già dall’Alto Medioevo appariva costellato solo da piccoli insediamenti
sparsi. La città venne fondata in località Acculi o Acquili1 (toponimo dovuto alla presenza di
numerose sorgenti d’acqua) là dove la vallata si raccoglie, quasi a formare una strettoia, e
dove la via Claudia Nova - direttrice della transumanza tra i pascoli estivi abruzzesi e quelli
invernali nel Tavoliere delle Puglie - veniva tagliata trasversalmente dai più importanti assi
viari di collegamento locale.
Il desiderio antifeudale delle popolazioni della piana, da un lato, e dall’altro la volontà
dell’impero svevo di dotarsi di una nuova roccaforte di frontiera in un punto di grande im-
portanza strategica, furono le ragioni politiche della fondazione della civitas nova.
Il vero tratto distintivo del caso aquilano fu però da sempre il suo stretto rapporto con
le terre di provenienza dei nuovi cittadini, il cosiddetto comitatus. La città di fondazione si
costruì difatti come volontaria aggregazione di piccoli agglomerati, rurali o fortificati, inclusi
in una vasta porzione di territorio, che travalicava i confini della piana aquilana per abbrac-
ciare le comunità montane a nord e a sud della valle. Ogni comunità extra moenia aveva un
corrispettivo locale intra moenia, una propria chiesa - i cui caratteri stilistici e dimensionali
richiamavano spesso quelli della chiesa madre nel paese di appartenenza - e una posizione
relativa, all’interno del tessuto edilizio della nuova città, che rispecchiava l’originaria di-
stribuzione geografica degli insediamenti. Proprio in ragione di questa inedita, fortissima

1. L’originario borgo di Acculi o Acquili, primo nucleo insediativo della città di L’Aquila, viene iden-
tificato con l’attuale area della Rivera, nota per la monumentale fontana delle Novantanove Cannelle.
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relazione tra città e territorio, Pierre Lavedan descrisse L’Aquila, nel suo L’urbanisme au Moyen
Age, come «uno dei più grandi successi della creazione urbana in Europa occidentale», una
città-territorio ante litteram2.
Le mura civiche, realizzate tra il 1270 e il 1316, sono la più evidente testimonianza di
questo speciale carattere aquilano: nei loro circa cinque chilometri di sviluppo, furono infatti
aperte, in più fasi, sedici porte civiche3, talvolta orientate verso le direttrici viarie territoriali,
talvolta dedicate agli abitanti di un particolare locale e idealmente orientate verso il territorio
di origine di quella comunità, talvolta, come nel caso di alcune delle porte di più recente
apertura, in corrispondenza di nuove polarità esterne alle mura.
La cinta urbana aquilana ha assolto pienamente, tra il 1316 e il 1530, alla propria funzio-
ne primaria di difesa; si può risalire, infatti, a numerosi documenti che testimoniano come
questa fosse stata periodicamente riparata per resistere a diversi assalti, talvolta ricorrendo a
espedienti come l’imbertescamento delle torri, la scarpatura delle cortine o lo scavo di fos-
sati. A partire dal 1530, fino al secolo scorso, le mura, ormai divenute inutili come apparato
difensivo a causa delle mutate condizioni politiche del centro Italia, ebbero solo funzione
daziale (come, del resto, testimoniato dalla costruzione di casette doganali in corrisponden-
za delle principali porte urbane - se ne ha notizia certa per porta Barete e porta Castello).
Il rapporto con la città, e soprattutto con il territorio, rimase comunque invariato fino alla
prima metà del Novecento. Nonostante demolizioni e rinterri ne avessero profondamente
mutato l’aspetto, in particolar modo negli anni Trenta4, la ragione urbana del monumento,
quella di margine fisico e simbolico della città, rimaneva valida allora come al tempo della
fondazione. Fu solo dal secondo dopoguerra in poi, in particolar modo dalla seconda metà
degli anni Cinquanta, che lo sviluppo dell’Aquila superò, per la prima volta in oltre seicento
anni di storia, il confine delle sue mura (fig. 1): queste si trasformarono così da limite a parte
del tessuto urbano, la città fortificata si perse in una tentacolare città diffusa (fig. 2).
A questo fondamentale cambiamento nella tipologia urbana, seguirono, per la cerchia mu-
raria medievale, anni di incuria e di abbandono, di degrado diffuso e di demolizione incon-
trollata. Si contrastò questa pericolosa evoluzione soltanto con parziali, seppur spesso attenti,
interventi di restauro succedutisi negli anni fino all’ultima campagna dei primi anni 20005. Il
sisma del 2009 ha puntualmente aggravato una situazione, che era però già fortemente com-
promessa. Allo stesso modo, la diaspora degli abitanti dalle aree maggiormente colpite della
città e delle frazioni, le cosiddette zone rosse, ha solo contribuito a consolidare irreparabil-
mente una forma urbana il cui destino era già stato segnato da anni di incontrollato attivismo.
L’azione combinata di espansione periferica della città e di degrado materiale del monu-
mento (fig. 3) - fatta eccezione per alcuni tratti di limitato sviluppo, ancora conservati e ben

2. «Fredéric II passe pur le crêateur de l’Aquila des Abruzzes, une des plus grandes réussites de la
création urbaine en Europe occidentale» in Lavedan Hugueney 1974, p. 105.
3. Le sedici porte delle mura aquilane non furono mai aperte contemporaneamente; nell’impianto
storico desunto dalle piante del Fonticulano (1575) e del Lauro (1600) si contano dodici porte. Solo
con la realizzazione del Forte Spagnolo verrà aperta porta Castello, mentre porta Napoli e porta Stazio-
ne sono aggiunte ottocentesche al perimetro murario.
4. Al 1931 risalgono numerose opere di riassetto urbanistico e viario nella città: si pensi, ad esem-
pio, alla fontana Luminosa e alle vicine aree dei campi sportivi, complesso realizzato demolendo o
interrando parte del quadrante nord-orientale delle mura e l’importante porta Paganica; o anche al
completamento di via XX Settembre, che ridusse porta Barete ad accesso di secondaria importanza.
5. L’ultima campagna di restauri, condotta per la Soprintendenza da A. Di Stefano, riguardò
le aree di porta Leoni, porta Tione, porta a Roio, porta di Bagno, porta Rivera e porta Stazione.
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Fig. 2 – L’Aquila, da città fortificata a città diffusa: rielaborazione su base IGM e CTR del perimetro urbaniz-
zato della città al 2008; più scuri, gli agglomerati storici del capoluogo e delle frazioni.

Fig. 3 – L’Aquila, montaggi fotografici dello stato ante operam delle mura; dall’alto in basso: le aree di porta
Brinconia, viale XXV Aprile, porta Stazione.
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Fig. 4 – L’Aquila, suddivisione in tratti e sub-tratti omogenei del perimetro murario.

visibili - ha fatto sì che negli ultimi decenni si arrivasse addirittura a perdere la consapevolezza
dell’esistenza della cinta monumentale: le cortine, le torri, le porte ancora presenti venivano
lette come isolati lacerti di un sistema difensivo ormai scomparso. Le mura civiche medievali
rischiavano di scomparire dalla memoria di quegli stessi cittadini aquilani che proprio entro
il confine ossidionale avevano trovato, qualche secolo prima, la propria identità comune.
Questa era la situazione da affrontare, iniziando a collaborare con la Direzione Regionale
per i Beni Culturali ed Ambientali dell’Abruzzo, nei primi mesi del 2013, ai progetti coordi-
nati di restauro e valorizzazione per le mura aquilane. I fondi impegnati in questa difficile im-
presa di conservazione e rivitalizzazione del complesso monumentale erano in parte di prove-
nienza europea (POR-FESR), in parte nazionali (CIPE), e avevano tutti scadenze molto rav-
vicinate. I rigidi vincoli temporali obbligarono il gruppo di progettazione, sotto la guida del
Direttore Regionale, Fabrizio Magani e la supervisione scientifica di Giovanni Carbonara, a
preparare tempestivamente gli elaborati progettuali prima, e le gare d’appalto e i cantieri poi,
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scandendo il lavoro in segmenti operativi omogenei sui quali poter operare separatamente. Il
gruppo di progettazione era composto dagli architetti Antonio Di Stefano, progettista inter-
no incaricato, con la collaborazione di Alessandro Mazza, dal responsabile unico del procedi-
mento Claudio Finarelli, e dai quattro componenti dello studio Spazi Consonanti architet-
tura, Giuseppe (detto Mao) Benedetti, Jacopo Benedetti, Sveva Di Martino, Vania Gianese.
Prima di poter ragionare sulla rivitalizzazione della cinta aquilana e sulla sua reintegrazio-
ne nel tessuto urbano, era necessario assicurare la conservazione materiale del monumento.
La prima necessità che si manifestò nell’affrontare questi delicati temi di progetto, fu di
restituire un quadro generale delle diverse condizioni nelle quali versavano le mura (fig. 4),
suddividendone lo sviluppo in tratti omogenei, scanditi da segnate discontinuità in relazione
alla giacitura del monumento, alla geometria delle sue sezioni, allo stato di conservazione
della struttura e delle superfici murarie, alle fasi storiche di realizzazione, di aggiunta o di
modifica delle mura, alle condizioni urbane degli spazi limitrofi e all’andamento altimetrico
della cinta difensiva sul terreno. Questa operazione interpretativa, resa possibile da un’estesa
campagna di documentazione fotografica e di rilievo6, da numerosi sopralluoghi e dallo stu-
dio integrato di fonti documentali e cartografiche, costituì la prima e indispensabile base per
ogni ragionamento che guardasse al monumento organicamente, nella sua interezza.
Proprio sulla base di questo primo studio si poté infatti procedere ad articolare il progetto
di conservazione del monumento, modulando l’invasività degli interventi di restauro sugli
effettivi stati di degrado e dissesto locali. Si decise di limitare, ove possibile, gli interventi
a una manutenzione straordinaria, alla pulitura, cioè, dei paramenti murari accompagnata
da contenute opere di consolidamento, di sostituzione degli inerti o di reintegrazione dei
leganti; solo per parti limitate della cinta difensiva si rese necessaria una decisa azione di
consolidamento per evitare danni irreparabili o crolli localizzati.
Le mura aquilane, per tutto il loro sviluppo, sono costituite da piccole pietre, a volte ap-
pena sbozzate, a volte ben squadrate, concorrenti a formare una sorta di muratura a gettata
di discreto spessore (originariamente circa m 1,80 - sei palmi - per m 10 di altezza - cinque
canne), secondo la tecnica costruttiva tipica delle zone montane dell’Abruzzo, il cosiddetto
‘apparecchio aquilano’7. La presenza di un’unica tipologia di paramento e di struttura mu-
raria, indirizzò, nella progettazione dell’azione conservativa, a individuare un numero con-
tenuto di interventi ricorrenti, e a riassumerli quindi su dettagliate schede descrittive, defi-
nendo così la metodologia operativa da adottare sull’intero sviluppo del monumento (fig. 5).
Coerentemente con quanto fatto per le operazioni di restauro conservativo, la valoriz-
zazione della cinta aquilana e degli spazi limitrofi è stata realizzata in relazione sia con il
carattere unitario delle mura, sia con la loro attuale frammentazione, dovuta all’azione, nei
secoli, di natura e uomo. Sarebbe stato difatti difficile pensare a un progetto di fruizione e
presentazione della cinta difensiva senza elementi ricorrenti, riconoscibili, senza invarianti
compositive che richiamassero l’originaria unità d’impianto delle mura, ma allo stesso modo

6. La campagna di rilievo ha interessato l’intero sviluppo della cinta aquilana (circa km 5,5) ma
con modalità differenti. Risultavano, infatti, disponibili rilievi accurati, elaborati costituiti da nuvole di
punti e raddrizzamento fotografico, per una parte limitata dello sviluppo delle mura; questi sono stati
quindi autonomamente integrati con la tecnica del fotoraddrizzamento a partire da misure note.
7. Le mura cittadine vengono così descritte da Anton Ludovico Antinori negli Annali delle Cronache Aqui-
lane, raccolti da Angelo Leosini: «Le mura come si ha dal privilegio di Federico non doeano superar l’altezza
di cinque canne ... sono esse larghe ben sei palmi con 86 torrioni, corrono intorno alla città quasi per quattro
miglia e in sul principio aveano dodici porte che poi furono ridotte a quattro», in Leosini 1888, p. 24.
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Fig. 5 – L’Aquila, esempio di analisi del degrado, del dissesto e individuazione degli interventi sugli apparecchi
murari: porta Brinconia.

sarebbe risultato incompleto ogni progetto che non avesse risposto, variando, alle differenti
condizioni reali del monumento e dei contesti urbani limitrofi.
A questo bisogna aggiungere che la progettazione delle aree che insistono sulle mura
diventava un vero e proprio atto di ripianificazione della città, di disegno del margine - di
attualissimo valore figurativo e urbano - tra città storica e prima periferia. Questo presup-
poneva di intendere il progetto non come mera musealizzazione del monumento, ma come
occasione per rivivificarlo, attraverso una costruzione di equilibri puntuali con i diversi con-
testi urbani.
Nel caso aquilano, poi, queste considerazioni dovevano essere estese non solo alla città
attuale, ma, anche e soprattutto, alla futura città ricostruita. È stato quindi, necessario,
prima di poter dare sensata struttura al progetto di presentazione del complesso monu-
mentale, studiare a fondo la grande mole di documenti d’intenti e strumenti pianificatori,
proposti o entrati in vigore dal 2009 a oggi. Soltanto attraverso quest’analisi si è potuto
avere un quadro chiaro di quali nuovi progetti, o indirizzi di pianificazione, fossero pre-
visti nelle aree che interessavano il tracciato murario. Si pensi, ad esempio, ai nuovi pro-
getti strategici su iniziativa privata o pubblica che insistono direttamente sulla pertinenza
delle mura8, o ai nuovi percorsi di trasporto pubblico di interesse territoriale le cui fer-
mate si trovano in stretta relazione con punti notevoli della cinta difensiva, così come ai
nuovi parcheggi operativi interrati, che sarebbero potuti diventare un’occasione per risco-
prire parti del complesso monumentale scomparse o nascoste9. O si pensi anche ai nuo-
vi percorsi meccanizzati pedonali, che proprio dalle periferie devono fisicamente con-
durre ai margini della città storica, nuovi ‘accessi’ privilegiati che era necessario mettere

8. I progetti strategici a iniziativa pubblica e privata sono il braccio operativo del Piano Strategico
di L’Aquila, approvato nel 2012.
9. Le proposte di nuovi parcheggi operativi, nuove linee di trasporto pubblico e risalite meccanizza-
te alla città storica, fanno parte del Piano Urbano della Mobilità (prima stesura, 2009; revisione, 2012).
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Fig. 6 – L’Aquila, quadro d’unione del percorso di fruizione delle mura.

in relazione con le mura, magari in modo tale da farli corrispondere con una delle anti-
che porte urbiche, rafforzando così il legame tra impianto storico e città contemporanea.
Il progetto di fruizione delle mura doveva essere però, soprattutto, un modo per riaffer-
mare il tracciato murario, per ridare peso a questo segno continuo di così grande valore urba-
no. Un percorso pedonale variamente articolato ma continuo, strutturato come passeggiata
nella natura, come riqualificazione o pedonalizzazione di strade, talvolta, invece, come cam-
minamento in aderenza alle masse murarie (fig. 6), avrebbe consentito, infatti, di riappro-
priarsi del monumento, di riconoscerne i diversi sviluppi nei secoli, di ridefinire la città sto-
rica e di capirne, seppur in modo parziale, la relazione originaria con il territorio circostante.
Un percorso così strutturato avrebbe fornito un fondamentale servizio alla città, offrendosi
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Fig. 7 – L’Aquila, il percorso di fruizione delle mura: parco lineare nel quadrante settentrionale della città tra
porta Brinconia e il complesso dell’ex-ospedale San Salvatore.

come sistema pedonale privilegiato, una sorta di esteso parco lineare disposto in posizione
strategica in modo da ricollegare, direttamente o indirettamente, le tante polarità urbane di
L’Aquila (fig. 7); ma sarebbe soprattutto divenuto una vera e propria infrastruttura di orien-
tamento per una città che sembrava aver perso, negli ultimi decenni, struttura e disegno.
I diversi tratti di questo percorso lungo le mura, che si poteva muovere, a seconda del
bisogno, dall’interno all’esterno del margine difensivo, avrebbero potuto raccontare aspetti
diversi della storia del monumento e dei suoi caratteri tipologici: dall’antico cammino di
ronda, ai due cortili d’armi di porta Bazzano e porta Barete10, dal rapporto tra mura e valle
dell’Aterno, ai resti delle caserme ottocentesche che insistevano sulla stessa cinta muraria.
Laddove ci fosse stato un ampio margine non costruito all’esterno delle mura, il percorso
si poteva distaccare dalla giacitura del perimetro difensivo, presentando il monumento da una
maggiore distanza e con una visuale più ampia. Il percorso di visita, leggermente incassato nel

10. Il cortile d’armi di porta Barete è ancora, in parte, visibile, come dimostrato da recenti scavi; per
quanto riguarda il cortile d’armi di porta Bazzano, invece, si hanno informazioni più limitate: la pianta
del Fonticulano (1575), la pianta del Lauro (1600) e la riedizione prospettica della pianta del Fonticu-
lano del Mortier (1680) ne mostrano gli approssimativi confini, ma non se ne possono riscontrare, ad
oggi, testimonianze fisiche.
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Fig. 8 – L’Aquila, il percorso in scavo, la presentazione delle mura e il loro rapporto con il terreno nell’area di
porta Brinconia.

terreno (fig. 8), avrebbe così fornito un punto di osservazione inedito su cortine, torri e porte,
mostrando l’originario rapporto dell’opera difensiva con il terreno brullo, sassoso della piana
aquilana (fig. 9). Un sistema d’illuminazione, appositamente studiato dall’artista Gianandrea
Gazzola, accompagnando il percorso avrebbe potuto inoltre rievocare, con dei fari orienta-
bili, l’originaria serrata scansione dei salienti oggi scomparsi o parzialmente crollati (fig. 10).
Il progetto di valorizzazione delle mura civiche di L’Aquila, è, per sua stessa natura, un
progetto di difficile e lenta realizzazione. L’impegno è di riuscire, in breve tempo, a com-
pletare alcuni primi significativi tratti, di particolare valenza storica, urbana e paesaggistica.
La manifesta speranza è che questi primi ‘squarci’ di un sistema organico di fruizione delle
mura, possano risvegliare l’attenzione della comunità sul complesso monumentale, e fun-
zionare da ‘motore’ per ulteriori aggiunte, per iniziative future, perché la cinta medievale
possa tornare ad avere un ruolo vitale nella città di L’Aquila, perché le mura possano tornare
nuovamente ad essere ‘contenitore’ e ‘magnete’11.

11. «...but once a town was encircled by a wall, other normal attributes of urban life would appear:
the container, re-established, became also a magnet» in Mumford 1961, p. 291.
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Fig. 9 – L’Aquila, il versante settentrionale delle mura, simulazione fotografica post operam: il percorso di fruizio-
ne; porta San Lorenzo e porta Brinconia, vista d’insieme.

Fig. 10 – L’Aquila, sistema di illuminazione lungo il percorso di fruizione; rievocazione con la luce di una torre crollata.

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