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LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

Nella scienza moderna confluiscono le ricerche naturalistiche degli ultimi scolastici. Questi
elementi sono integrati dalla scienza mediante la riduzione della natura a pura oggettività
misurabile.
Analizziamo lo schema concettuale della scienza moderna e delineiamo le caratteristiche della
“rivoluzione astronomica”, che consiste nell’abbandono della visione dell’universo ereditata da
Aristotele e da Tolomeo, a favore di un nuova immagine del cosmo, che gli studi di Niccolò
Copernico e le riflessioni filosofiche di Giordano Bruno iniziano ad abbozzare.
Ci soffermiamo su Galileo Galilei, figura fondamentale non solo per le sue scoperte fisiche e
astronomiche, ma soprattutto per la sua battaglia in difesa della scienza contro ogni dogmatismo.
Studiamo Francesco Bacone, che delinea un’immagine della scienza posta a servizio dell’uomo, allo
scopo di garantirgli, attraverso lo sviluppo della tecnica, il dominio sul mondo naturale.
LA NASCITA DELLA SCIENZA MODERNA
Si suole ormai comunemente denominare “rivoluzione scientifica”, l’ambito cronologico tra la data
di pubblicazione del capolavoro di Copernico Le rivoluzioni dei corpi celesti (1543) e quell’opera di
Newton I principi matematici di filosofia naturale (1687).
GALILEO GALILEI
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564, da genitori della media borghesia. Per volere del
padre si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pisa. Qui Galileo approfondì la
matematica sotto la guida di Ostilio Ricci, discepolo del celebre Tartaglia. Scoprì l’isocronismo
delle oscillazioni pendolari. Negli anni seguenti giunse a formulare alcuni teoremi di geometria e di
meccanica, che rese noti solo più tardi. Dallo studio di Archimede fu portato a progettare la
bilancetta per determinare il peso specifico dei corpi. Con la costruzione del cannocchiale (1609) si
aprì la serie delle grandi scoperte astronomiche, di cui diede l’entusiastico annuncio nel Sidereus
nuncius del 1610. Keplero riconobbe subito l’esattezza e l’importanza di tali scoperte, che
accrebbero la fama di Galilei. Ma proprio le scoperte astronomiche e le idee copernicane che Galilei
professava misero progressivamente lo scienziato pisano in urto con gli aristotelici e con le
gerarchie ecclesiastiche. Nel febbraio del 1616, infatti, un’ammonizione del cardinale Bellarmino lo
diffidò dal professare la nuova astronomia. Pochi giorni dopo, il 3 marzo, l’opera di Copernico
venne messa all’indice (dei libri proibiti). La sua opera principale è Dialogo sopra i due massimi
sistemi del mondo, il tolemaico e il copernicano. Il Dialogo fu stampato nel febbraio del 1632. Ma
già a settembre Galilei veniva citato dal papa a comparire dinnanzi al tribunale del Santo Uffizio di
Roma. Il processo durò fino al 22 giugno 1633 e si concluse con l’abiura di Galilei. Il carcere a vita
gli venne tramutato in confino, prima nel palazzo dell’arcivescovo di Siena, suo amico, e poi presso
la sua villa di Arcetri, dove fu assistito dalla figlia. L’8 gennaio 1642, Galilei chiudeva per sempre i
suoi occhi ormai ciechi.
GLI STUDI FISICI
La demolizione della tradizionale visione del cosmo, alla quale Galilei ha dato un basilare
contributo, è strettamente connessa ai suoi studi fisici di meccanica. Infatti il problema del moto
occupò la mente di Galilei per tutta la vita.
IL PRINCIPIO D’INERZIA. Per la fisica aristotelica la quiete era lo stato naturale dei corpi
sublunari, essendo il moto qualcosa di temporaneo, che viene meno non appena cessa
l’applicazione della forza che lo produce. I moti venivano divisi in due tipi: naturali e violenti.
Naturale è il moto con cui un corpo si dirige verso il suo “luogo naturale”, violento è il moto che lo
conduce fuori dal suo luogo naturale. Invece, con l’intuizione teorica del principio d’inerzia,
secondo il quale un corpo tende a conservare in definitivamente il proprio stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme, finché non intervengano forze esterne a modificarne tale stato. Il principio
d’inerzia, valido per la dinamica terrestre, si rivelava utile anche in sede astronomica, in quanto
spiegava perché il movimento dei pianeti e della Terra potesse continuare in definitivamente.
LE LEGGI SULLA CADUTA DEI GRAVI. La fisica aristotelica pensava che la velocità di caduta dei
corpi fosse direttamente proporzionale al peso dei corpi che cadono e che essa venisse accelerata
dalla spinta che l’aria comunica al moto. Galilei, con un ragionamento teorico pervenne invece a
risultati diversi. Se due corpi dello stesso peso- argomenta lo scienziato- cadono insieme, e durante
la caduta si uniscono, essi costituiranno un corpo unico, che avrà peso doppio rispetto a ogni
singolo corpo, ma che si muoverà con la medesima velocità. Ciò significa che tutti i corpi,
qualunque sia il loro peso, cadono con la stessa velocità. E se l’esperienza immediata sembra
confutare tale legge- tipico l’esempio della pietra e della piuma, che paiono smentirla
clamorosamente- ciò è dovuto alla resistenza del mezzo, ossia, in questo caso, dell’aria. Nel vuoto la
legge si realizza invece nella sua purezza.
IL SECONDO PRINCIPIO DELLA DINAMICA. In tale contesto di studi Galilei pervenne alla
basilare scoperta del cosiddetto “secondo principio della dinamica”- che è un altro dei suoi
contributi decisivi alla meccanica moderna-, ossia al principio secondo il quale le forze applicate ai
corpi determinano in essi non delle velocità bensì delle accelerazioni, che risultano proporzionali
alle forze che le hanno prodotte. Ciò gli permise di determinare il concetto di accelerazione come
variazione di velocità e il concetto di massa di un corpo, come rapporto di proporzionalità tra le
forze a esso applicate e le accelerazioni prodotte da tali forze.
LA DISTRUZIONE DELLA COSMOLOGIA ARISTITELICO-TOLEMAICA. La messa in crisi della
fisica aristotelica = negazione della diversità di natura tra moti rettilinei e moti circolari.
LE SCOPERTE ASTRONOMICHE. Tradizionalmente si riteneva che la Luna, analogamente agli
altri corpi celesti e a differenza della Terra, fosse rivestita di una superficie liscia. Invece le
osservazioni telescopiche di Galilei mostrarono come molte delle macchie scure di essa, visibili a
occhio nudo, fossero ombre proiettate dalle montagne lunari.
Aristotele credeva che soltanto la Terra, essendo immobile, fosse centro di molti centri astrali.
Invece Galilei scoprì i quattro satelliti di Giove, battezzati «pianeti medicei», che compiono attorno
a esso movimenti analoghi a quelli che la Luna compie attorno alla Terra. Secondo Galilei nulla
vieta di pensare che anche la Terra, con il suo satellite, possa ruotare intorno al Sole.
IL DIALOGO SOPRA I DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO. Come si è accennato, nel 1632,
durante il pontificato di Urbano VIII, Galilei, fiducioso in un nuovo corso della Chiesa, pubblica
quel capolavoro scientifico letterario che è il Dialogo sopra i due massimi del mondo, il tolemaico e
il copernicano, in cui, con il pretesto di voler presentare imparzialmente i due maggiori modelli
cosmologici della storia, espone in realtà argomenti decisivi a favore del copernicanesimo. Per
presentare la teoria geocentrica Galilei sceglie Semplicio, un pedante della mentalità conservatrice
e tradizionalista, attaccato al ‘’senso comune’’ e all’ ‘’autorità’’ di Aristotele. Per difendere la teoria
copernicana sceglie Salviati (un nobile fiorentino storicamente esistito, amico di Galilei), che
incarna l’intelligenza chiara, rigorosa e anticonformista del nuovo scienziato. Nella parte di
neutrale moderatore viene posto Sagredo (un nobile veneziano amico di Galieli, anche lui
personaggio storicamente esistito), che rappresenta un tipo di personalità non oppressa dai
pregiudizi, e quindi tendenzialmente portata a simpatizzare con le dottrine recenti. Come si vede,
già dalla scelta dei personaggi risultano evidenti, al di là di ogni prudente tattica opportunista, le
preferenze e gli scopi di Galilei.
Il Dialogo è diviso in quattro giornate, nella prima delle quali Galilei pone sotto accusa la
distinzione aristotelica tra il mondo celeste e quello terrestre.
La seconda giornata, la più vivace, è dedicata alla confutazione degli argomenti tipici, antichi e
moderni, contro il moto della Terra.
Nella terza giornata del Dialogo viene dimostrato il moto di rotazione della Terra ed esaltata la
concezione copernicana, capace- secondo Galieli – di fornire spiegazioni di fenomeni altrimenti
inspiegabili e di chiarire con rigore e matematica ‘’semplicità’’ problemi inutilmente complicati e
‘’sofisticati’’ dal sistema tolemaico.
Nella quarta giornata Galilei espone la sua dottrina delle maree.
L’USO SCIENTIFICO DEL CANNOCCHIALE. Nel Saggiatore Galilei scrive che, venuto a
conoscenza del fatto che un olandese aveva presentato un «occhiale» mediante cui «le cose lontane
si vedevano così perfettamente come se fossero state molto vicine», aveva proceduto, grazie a
deduzioni teoriche, a costruirne uno per proprio conto, all’inizio poco capace, e poi così potente,
rispetto alla vista naturale, da riuscire a ottenere oltre trenta ingrandimenti lineari. La discussione
sulla paternità storica del cannocchiale è tuttora aperta tra gli studiosi. La grandezza di Galilei non
consiste tanto nell’aver costruito il cannocchiale, ma nell’averlo usato scientificamente.
I DUE MOMENTI DEL METODO. Galilei tende ad articolare il metodo della scienza in due parti
fondamentali: il momento risolutivo, o analitico, e quello compositivo, o sintetico.
a) Il primo consiste nel risolvere un fenomeno complesso nei suoi elementi semplici
quantitativi e misurabili, formulando un’ipotesi matematica sulla legge da cui dipende.
b) Il secondo risiede nella verifica e nell’esperimento, attraverso cui si tenta di riprodurre
artificialmente il fenomeno, in moto tale che, se l’ipotesi supera la prova, risultando
verificata, essa venga accettata e formulata in termini di legge, mentre, se non supera la
prova, risultando smentita o falsificata, venga sostituita da un’altra ipotesi.
FRANCIS BACON (FRANCESCO BACONE)
Francesco Bacone nacque a Londra il 22 gennaio 1561 da Sir Nicola Bacone. Studiò a Cambridge e
poi trascorse alcuni anni a Parigi. Di ritorno in patria, volle intraprendere la carriera politica. Il
parlamento incolpò Bacone di corruzione accusandolo di aver ricevuto doni in denaro nell’esercizio
delle sue funzioni. Bacone si riconobbe colpevole. Fu condannato allora a pagare un’ammenda e fu
escluso da tutte le cariche dello Stato. Il re condonò a Bacone l’ammenda e la prigionia. Bacone si
ritirò a Gorhambury e trascorse lì i suoi ultimi anni di vita. Morì il 9 aprile 1626.
L’IDEA DI UNA SCIENZA AL SERVIZIO DELL’UOMO. Quest’uomo ambizioso e amante del
denaro e del fasto ebbe un’idea altissima del valore e dell’utilità della scienza a servizio dell’uomo.
Quando nella Nuova Atlantide, pubblicata postuma nel 1627, volle dare l’immagine di una città
ideale, ricorrendo al pretesto, già adoperato da Tommaso Moro nell’Utopia, della descrizione di
un’isola sconosciuta, Bacone immaginò un ‘’paradiso’’ della tecnica, in cui fossero portati a
compimento le invenzioni. L’isola è descritta come un enorme laboratorio sperimentale.
Bacone realizzò poi il Nuovo Organo, pubblicato nel 1620.
LA NUOVA LOGICA DELLA SCIENZA
Il Nuovo Organo consiste in una logica del procedimento tecnico-scientifico che viene
polemicamente contrapposta alla logica aristotelica.
- L’anticipazione della natura prescinde dall’esperimento e passa immediatamente dalle cose
particolari sensibili ad assiomi generalissimi. Questa è la via di cui si serve la logica
tradizionale, che si limita a sfiorare l’esperienza, per approdare a verità generalissime.
- L’interpretazione della natura, invece, si addentra con metodo e con ordine nell’esperienza
e ascende senza salti e per gradi dal senso e dalle cose particolari agli assiomi, giungendo
solo da ultimo a quelli più generali.
I PREGIUDIZI DELLA MENTE
Il compito preliminare di Bacone è l’eliminazione delle anticipazioni, alla quale è dedicato
sostanzialmente il primo libro del Nuovo Organo. Questo libro mira a purificare l’intelletto da
quelli che Bacone chiama idòla e stabilisce una triplice critica: delle filosofie, delle dimostrazioni e
della ragione umana.
Le anticipazioni che dipendono dalla natura umana sono quelle che Bacone chiama idòla tribus e
idòla specus: gli idòla tribus sono comuni a tutti gli uomini, gli idòla specus sono propri di ciascun
individuo.
L’intelletto umano è portato a supporre nella natura un’armonia di molto maggiore rispetto a
quella realmente esistente, a dare importanza a certi concetti che ad altri. Inoltre è impaziente, vuol
procedere sempre al di là di ciò che gli è dato, e pretende che la natura si adatti alle sue esigenze,
respingendo di essa ciò che non gli conviene. Tutte queste disposizioni naturali dell’intelletto
umano determinano gli idòla tribus, la cui fonte principale è l’insufficienza dei sensi.
Gli idòla specus invece dipendono dall’educazione, dalle abitudini e dai casi fortuiti.
Oltre a queste due specie naturali di idoli, ci sono quelli avventizi o provenienti dal di fuori: idòla
fori e idòla theatri. Gli idoli della piazza derivano dal linguaggio, cioè dalle convenzioni rese
necessarie dai rapporti tra gli esseri umani. L’ultimo genere di pregiudizi è quello degli idòla theatri
che derivano dalle dottrine filosofiche del passato o da dimostrazioni errate.
IL METODO INDUTTIVO
Se l’intelletto per suo conto non produce che nozioni arbitrarie e infeconde e se i sensi dall’altro
lato non danno che indicazioni disordinate e inconcludenti, la scienza non potrà costituirsi come
conoscenza vera e feconda di risultati se non in quanto imporrà all’esperienza sensibile la disciplina
dell’intelletto e all’intelletto la disciplina dell’esperienza sensibile. Il procedimento che realizza
questa esigenza è, secondo Bacone, quello dell’induzione.
Il metodo di Bacone, globalmente considerato, non vuole essere né una semplice raccolta di fatti
(empirismo), né un astratto ragionamento (razionalismo), bensì una razionale interpretazione e
selezione dei dati. Assimilando gli empirici alle formiche (che «accumulano» soltanto) e i
razionalisti ai ragni (che «ricavano da se medesimi la loro tela»), Bacone paragona il proprio
metodo a quello delle api, che succhiano il nettare dei fiori, ma poi lo lavorano trasformandolo in
miele.

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