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Riassunto Culture e Linguaggi della Comunicazione in Lingua Francese

Storia del Francese: Il francese è una lingua romanza come l’italiano ed è il risultato della
contaminazione subita dal latino volgare, dalla lingua celtica (ad esempio i suoni nasali) e
dal francone occidentale oltre alle altre lingue del ceppo germanico parlate dai Franchi. Da
questa contaminazione sono nate:
- La lingue d’oil parlata al nord della Loira;
- La lingue d’oc parlata a sud della Loira
- La lingua franco provenzale parlata nella zona geografica che comprende Svizzera,
Valle d’Aosta ecc.
Le lingue d’oc e d’oil verranno utilizzate come lingue volgari durante il Medioevo, in
particolare la lingue d’oc verrà utilizzata dai cantastorie che giravano la Francia e che
contribuirono alla diffusione della cultura cavalleresca francese e dell’affermazione del
francese sul latino.
Il primo testo letterario francese risale al 878. §La lingua francese ha subito numerose
contaminazioni a partire dalla conquista dell’Inghilterra da parte dei Normanni, tanto che
l’anglonormanno sostituì l’anglosassone ormai utilizzato solo dal popolo. Nacque il
cosiddetto Medio-inglese, una lingua che aveva il lessico formato da termini di origine
francese e latina. Con l’affermazione di Parigi come centro culturale, politico e commerciale
si affermò il cosiddetto franciano, una variante della lingue d’oil. Durante il Medioevo lan
gue d’oil e d’oc coabitarono fino alle Crociate, che portarono alla distruzione delle corti
provenzali e al dominio della lingua francese. Tuttavia, il latino continuava ad essere la
lingua della cultura accademica e dei decreti reali. Solo nel 1539, Re Francesco I impose
l’utilizzo del francese come lingua dei decreti ufficiali e da questo momento diventò lingua
ufficiale. Durante il Rinascimento vi furono diverse correnti di pensiero: il Petrarchismo
francese che prevedeva l’utilizzo di termini latini di origine colta nel francese e i sostenitori
della Clarté, chiarezza, che volevano eliminare i cosiddetti barbarismi dalla lingua francese.
Nel XVII secolo, con le politiche espansionistiche di Luigi XIV, il francese si affermò al di
fuori della Francia. È in questo periodo che nasce l’Academie Francais, un ente culturale di
grande importanza per la francofonia, che promuove e controlla l’uso della lingua francese
con lo scopo di renderla lingua della diplomazia internazionale, utilizzata da persone di
nazionalità diverse. Viene scritto il primo Dictionnaire de l’academie Francaise, che anticipa
l’Encyclopedie scritta da Diderot e D’Alambert; dizionario che decretò la nascita del
francese come lingua ufficiale all’interno dei confini nazionali. Nel XIX secolo, con la
conquista di Oceania, Asia e Africa ci fu la definitiva consacrazione del francese e una
ulteriore diffusione del francese. La lingua francese resta una lingua piuttosto conservatrice,
perché restii ad accogliere termini presi da altre lingue (computer=ordinateur), oggi però gli
anglicismi sono più frequenti grazie ai social.

Il francese standard viene definito francais international, presenta delle caratteristiche quali
la r uvulare e il rafforzamento della pronuncia nasale della n. Esistono molte varianti,
arricchite dalle contaminazioni delle lingue e delle culture dei paesi colonizzati. Ad
esempio, abbiamo per la lingue d’oil il vallone e il normanno, o per la lingue d’oc il
provenzale. In Europa il francese è parlato in Belgio dove subisce le contaminazioni del
fiammingo, in Svizzera, dove è utilizzato come lingua ufficiale col tedesco, italiano e
romancio, in Valle d’Aosta. A Parigi ci sono diverse varianti, influenzate dalla lingue d’oil.
Le zone francofone più importanti sono:
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- Africa: in Maghreb (Tunisia, Algeria, Marocco) il francese è affiancato dall’arabo. È
utilizzata come lingua ufficiale anche dopo l’indipendenza perché permette la
comunicazione tra etnie diverse, diventa una lingua neutra.
- Asia: la decolonizzazione ha provocato una brusca cancellazione del francese, ora si
parla in alcune regioni del sud est asiatico e in paesi del vicino oriente.
- America: Il francese viene introdotto nel XVII secolo dopo la colonizzazione del
Canada, dei Caraibi e degli Stati Uniti. Oggi è parlato in Québec, Ontario, Louisiana
e Antille. Emblematico è il caso del Québec. Qui il francese ha un’importanza
particolare: viene utilizzato per mantenere la sua autonomia dal Canada e dagli Stati
Uniti, ma anche dalla Francia stessa. La lingua è quindi un mezzo per mantenere
l’autonomia. Il francese quebeccoise ha contaminazioni sia dal francese arcaico
dell’Ottocento, sia dall’inglese infatti il lessico quebecchese viene definito joual, dal
francese jouer perché riprende l’idea di gioco lessicale. Il francese quebecchese è
passato dall’essere una lingua del popolo fino a diventare, con la Revolution
Tranquille degli anni Sessanta del Novecento, chiamata così perché è una rivoluzione
di tipo culturale, lingua ufficiale. Con la Revolution Tranquille i quebecchesi
prendono coscienza della loro diversità linguistica e tentano di farla valere nel
quotidiano. Nel 1977 viene istituita la Charte de la langue francaise che riconosce
appunto la lingua francese come lingua ufficiale. Anche Haiti ha un forte legame col
francese. Colonizzata dai francesi e resa indipendente con la rivoluzione degli schiavi
neri guidata da Touissant Louverture. Haiti diventò dittatura negli anni ’70 con
Francois Duvalier Duval Papa Doc e successivamente col figlio. Ad Haiti si parla
creolo, la lingua del posto mentre il francese è lingua ufficiale.

Francofonia: La francofonia è una caratteristica di tutti quei paesi, ex colonie francesi, che
hanno la lingua francese come lingua ufficiale. È possibile studiare la francofonia da più
punti di vista:
- Punto di vista geografico: l’espansione della lingua francese in tutti e 5 i continenti.
- Punto di vista linguistico: la lingua francese come seconda lingua più insegnata
dopo l’inglese;
- Punto di vista istituzionale: nasce come escamotage per mantenere i rapporti,
prettamente commerciali, con le ex colonie. Negli anni ’60 nacque il systeme-
operative franc-afrique, le ex colonie prevedevano i sistemi di istruzione basati sul
modello francese che quindi creava una dipendenza culturale con la Francia. De
Gaulle ipotizzò una Communauté francaise, un legame che associava Parigi ai paesi
oltremare, idea che decadde con l’indipendenza dei paesi sub sahariani e quindi
nacque l’idea di una cooperazione basata appunto sulla lingua, sulla omogeneità
linguistica. Nonostante la decolonizzazione, la Francia continuò a svolgere la
missione civilizzatrice, portando a definire il francese come Langue de civilisation,
termine che verrà sostituito da Langue de culture legando così la Francia a valori di
emancipazione. In questi anni nasce il movimento della negritude, che prenderà come
punto di riferimento il presidente senegalese Senghor. Lui diceva di utilizzare il
francese per poter esprimere le proprie idee. La nascita della francofonia istituzionale
vene proprio dalle élite intellettuali africane e canadesi. Il Québec, in particolare, si
batteva per introdurre il francese all’interno dell’istruzione, nelle scuole. Preme
molto per la creazione della comunità francofona. La prima organizzazione nasce nel
’61, l’union africaine et malgache, tra paesi africani francofoni. Nel ’65 diventa
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Organisation commune africaine e malgache (OCAM), e negli anni ’70 diventò
Agence de cooperation culturelle et technique (ACCT), prima struttura francofona
che aveva il compito di diffondere le culture di tutti gli stati membri per promuovere
solidarietà e avvicinamento tra stati di culture diverse. Tutti i paesi africani, eccetto
Algeria e Guinea, aderirono. Senghor tentò di allargare la cooperazione al Belgio,
Svizzera e Canada, invogliando la Francia ad aiutare i paesi africani. La Francia
accettò ponendo Parigi come centro dell’organizzazione per poter controllare le
operazioni. Con l’inizio dei Sommets de la francophonie sorse un problema: il
Québec era ancora gestito dal Canada. Solo con l’intervento del presidente francese
Mitterand, il Québec ebbe l’autorizzazione dal Canada. Da quel momento i Sommets
si riuniscono ogni due anni per discutere del raggiungimento degli obiettivi di pace,
democrazia e per sostenere l’educazione. L’ACCT, assume le fattezze di una
organizzazione internazionale, con un segretario generale che rappresenta la
francofonia nei contesti internazionali. Negli anni 2000 viene emanata la
Declaration de Bamako, un testo normativo che presenta il piano di intervento della
francofonia per lo sviluppo democratico all’interno delle colonie francesi, unite da
una lingua comune. L’ACCT assume una dimensione politica e viene emanata anche
una Carta della francofonia. Da questo momento l’ACCT prende il nome di OIF:
Organisation Internationale de la Francophonie che ha un segretario generale e un
consiglio permanente costituito dai rappresentanti di Stato e di governo dei paesi e
assume una dimensione politica, economica. Ha anche una emittente televisiva (Tele
cinq monde) e una università intitolata Université Senghor. L’obiettivo principale,
latente, è di bloccare l’espansione della lingua inglese e mantenere vivo l’uso del
francese.

Haiti: l’OIF promuove la ripresa economica del paese e garantisce ai cittadini l’accesso ai
servizi base come l’istruzione superiore, regolamenta i media del paese e ha attivato un
progetto per modernizzare il sistema giudiziario. Il merito più grande è quello di organizzare
l’insegnamento e di promuovere l’alfabetizzazione. Haiti è la nazione più popolosa e
popolata dei Caraibi, inizialmente colonizzata dagli spagnoli che si insediano nella attuale
Repubblica Dominicana, è stata colonizzata dai francesi (occuparono l’attuale Repubblica di
Haiti) che portarono gli schiavi africani per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero.
Raggiunge l’indipendenza solo nel 1804. La maggior parte dei cittadini è di origine africana,
solo l’1% è haitiano multirazziale e meno della metà parla correttamente il francese, che è
una lingua per l’élite, mentre il resto della popolazione parla creolo. Il creolo è una lingua
mista nata dalla fusione del francese con alcuni dialetti africani e una minima influenza
dello spagnolo e dell’inglese e ha delle varianti dialettali. La produzione letteraria è
pressoché in francese perché il creolo è principalmente una lingua orale, richiama molto le
immagini. Oggi, le nuove generazioni parlano anche inglese.

Letteratura francofona: per letteratura francofona si intende la letteratura scritta in


francese da scrittori sia francesi sia nati in ex colonie francesi e si sviluppa in contesti pluri-
linguistici e pluri culturali che la rendono unica. In Europa nasce da una base letteraria già
esistente, mentre quelle non europee vengono considerate emergenti perché nate di recenti e
sviluppatesi in paesi dove solo da poco è stata riconosciuta la possibilità di produrre una
propria letteratura e spesso imitano scrittori francesi legati alla madrepatria. Non sempre
sono scritti in francese perché in alcuni stati è utilizzata per motivi prettamente ci creazione
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letteraria o utilitaristici, per poter raggiungere un pubblico più vasto. Un esempio è Jalloun,
che ha scritto un romanzo in cui spiega alla figlia cos’è l’Islam che è stato ripreso dopo gli
attentati dell’11 Settembre per redimere in un certo senso la cultura islamica. Le scritture
francofone europee sono state assimilate alla letteratura francese, ad esempio Simenon o
Madame de Stael, Alcuni hanno utilizzato il fiammingo, ad esempio, per cercare di sfuggire
a questa assimilazione. In Valle d’Aosta sono nati i cosiddetti romans natioaux, romanzi di
ispirazione repubblicana. In America: gli scrittori francofoni sono concentrati soprattutto
nei Caraibi come Edouard Glissant e Jonassen, portavoce dell’identità caraibica. Glissant
utilizza un termine, RIZOMA una radice che cresce nelle profondità della terra e a seconda
dei vari strati del suolo, per descrivere cos’è la scrittura per un francofono, intesa come
stratificazione che prevede un substrato molto complesso costituito da tante variabili. Il
rizoma diventa un vessillo per la letteratura francofona, utilizzato anche da Deleuze e
Guattari. Il Québec utilizza il francese per affrontare la cultura anglosassone, ma molti testi
sono banditi dalla Chiesa perché non conformi ai canoni imposti, fino alla Revolution
Tranquille dove la letteratura quebecchese abusa della lingua francese inserendo dei
neologismi quebecchesi, violandone la sintassi e le regole grammaticali imposte fino a quel
momento. A partire da questo momento gli scrittori iniziano a ribellarsi utilizzando
l’intertestualità. Nascono partiti politici come Parti Pris e riviste quali La bord du jour,
espressione che indica all’alba in quebecchese, che diffonde il movimento femminista.

La letteratura francofona che si sviluppa nell’africa nera e nelle isole caraibiche nasce dalla
necessità di questi popoli di comunicare la loro identità spazzata dal colonialismo. La
questione della lingua, del francese, va ad intrecciarsi alla questione razziale del colore della
pelle. Tchicaya U Tam’si, scrittore della letteratura francofona africana, attraverso la lingua
francese tratta temi molto delicati quali la diffusione dell’AIDS nei paesi africani. Anche in
Giappone esiste una scrittrice francofona, Amelie Nothombe, una rarità in un paese
estremamente legato alle sue tradizioni.

Tema principale della letteratura francofona caraibica è la colonizzazione violenta da parte


dei francesi, soprattutto degli scrittori appartenenti al movimento della negritude. Il colore
della pelle si intreccia col problema linguistico e molti scrittori usano la letteratura per
comunicare la situazione della maggioranza nera che fino a quel momento era stata
dominata da individui non capaci, non educati a esprimersi e ad avere una propria identità.
Dagli anni ‘30 del ‘900, quindi, si sviluppa una letteratura caraibica francofona che nasce in
un contesto ibrido, l’ibriditè è un concetto molto diffuso, il non avere una cultura definita
data dall’intreccio di più culture, proprio per la necessità di passare da una letteratura di tipo
orale ad una scritta per fissare la storia complessa del proprio paese. Altro concetto
fondamentale per la letteratura francofona caraibica è la creolitè, l’ibridismo culturale che
diventa anche ibridismo linguistico, il creolo contaminato da altre lingue. Laferriere, infatti,
inserirà molte parole creole che restano tali, non tradotte, nel suo primo romanzo. Viene
pubblicato anche un manifesto dal titolo Eloge de la creolitè, un concetto di creolizzazione
non più solo geografico ma anche linguistico e culturale che culmina col testo La poetica
del diverso, di Eduard Glissant, filosofo martinicano. Questo testo propone una
rappresentazione delle culture caraibiche attraverso, appunto, la creolizzazione e definisce il
valore del meticcio, istituzionalizza il concetto del diverso rendendolo positivo e donandogli
dignità.

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Questo tipo di letteratura nasce a partire dai racconti creoli di origine africana, una
letteratura prettamente orale. Durante la deportazione, i neri cominciarono a sentire
l’esigenza di dare sfogo alla loro cultura e di trascriverla per timore di perderla. Indovinelli,
proverbi e racconti soprattutto sugli animali che avevano una forte valenza metaforica . Gli
animali sono creature ibride che vengono riprese dalle leggende primitive e che vengono
rappresentate nella loro bestialità, animalità e che appartengono al mondo schiavista. Sono
creature antropomorfe che impersonavano il colonizzatore bianco, il male, la mostruosità
del colonizzatore bianco.

Aimè Cesaire, per recuperare l’identità del popolo colonizzato inizia dall’interpretazione
degli animali, ad esempio: Bouqui e Ti-Malice, iena e coniglio (nomi degli animali in
creolo) rappresentano, nel territorio africano, due tipi psicologici umani: l’acutezza e la
stupidità. Nelle Antille, invece, questi sono portavoce delle amarezze alle quali il popolo
doveva rispondere perché costretto a vivere in situazioni di grande difficoltà. Queste opere
rappresentavano il dramma del popolo nero causato dall’impossibilità di potersi realizzare e
quindi diventano un modo per esistere e resistere al colonizzatore. Cesaire riprende il
discorso della ossessione della fame, della miseria, dell’oppressione e della paura. Il
racconto Conte colibrì è una rappresentazione del lato oscuro ma anche eroico dell’allegoria
animale della storia dei neri inseriti nella storia coloniale, i personaggi sono Bon Dieu che
rappresentava il colone bianco con i suoi tre servitori brutali, Crapaud il contadino antillese
e Colibrì, proprietario di un tamburo che sarà oggetto della rivolta e della libertà. Colibrì e
crapaud si opporranno a Bon Dieu facendo però una fine tragica. Un elemento della rivolta
viene metaforicamente rappresentato dal colibrì, un. Animale apparentemente debole e
indifeso ma sempre pronto a rivivere, come il popolo afrocaraibico, capace di far resuscitare
le sue tradizioni africane. Il colibrì ha un ruolo importante nella mitologia caraibica perché è
l’animale che accompagna il fondatore della nazione a conoscere Pere Lune che verrà
ricompensato con un piumaggio. Questi racconti subivano anche le influenze del contesto
letterario e culturale nel quale si inserivano, quello delle Antille. Fino a quel momento,
questa letteratura aveva tentato di rappresentare positivamente la società africana, ma,
adesso tenta di raccontare l’evento storico della schiavitù, i conflitti, la morte, la miseria e le
torture degli schiavi. Serviva per promuovere la sopravvivenza del popolo e della cultura
africana per opporsi al potere dell’uomo bianco. I racconti che rappresentavano gli animali
vengono quindi sostituiti da racconti che hanno per protagonisti gli umani e viene inserito
anche l’europeo.

Uno dei più famosi è Veilles Noires, di Damas, che raccoglie e recupera la cultura orale
popolare e la riscrive nella lingua del colonizzatore. Un processo definito traduzione
interculturale. Cerca in questo modo di recuperare il passato e col termine noir vuole
dimostrare la fierezza della negritudine che lo caratterizzava. Vuole quindi stabilire un
contatto culturale tra il suo paese, la Guyana, e quello dei colonizzatori per far accettare il
diverso. Usa il francese metropolitano mischiandolo al creolo usando anche parole della
lingua indigena e alterna il tondo al corsivo per evidenziare questo cambiamento di lingue.
Il secondo periodo della letteratura caraibica francofona è segnato dalla fine della memoria
del suo passato e dalla volontà di essere parte attiva, affermare la sua identità che nasce da
un metissage, un miscuglio razziale.

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Lo scrittore emblema di questa fase sarà Edouard Glissant col suo “Le quatrieme siecle”.
Vengono rappresentati due personaggi: uno proviene da una famiglia di schiavi fuggiti,
l’altro accetta la sua condizione di sottomesso. Quindi, da un lato troviamo la volontà di
recuperare il proprio passato, dall’altro inizia a crearsi l’idea di antillanità. In quest’opera
viene inserita per la prima volta anche l’elemento fondatore delle Antille, la nave negriera
che rappresenta sia la malignità poiché strappa gli africani dalla loro terra natale per
deportarli nel novo mondo, sia un luogo benigno perché coltiva la memoria degli africani e
li accoglie. Con la morte dello schiavo legato al, passato che combatteva per recuperarlo
viene rappresentata la fine della negritude. Glissant scrive un’opera, Les Indies, incentrata
sulla terra che abitavano gli indiani, i veri abitanti delle Antille che condividono con gli
scrittori antillesi la violenza subita dal colonizzatore. Touissant Louverture, colui che
conduce la rivoluzione di Santo Domingo e che ebbe molta risonanza ad Haiti tanto da
spingere gli haitiani nel raggiungimento dell’indipendenza, è un personaggio molto
rappresentato in letteratura ed è citato da Glissant nell’opera Les Indies. È spesso raffigurato
come colui che sacrifica sé stesso per la sua razza e per la patria, porta gli schiavi al
riconoscimento della loro dignità umana.
La letteratura haitiana nasce anche dai racconti di chi ha visitato quei luoghi come il padre
missionario Labat che scrive un’opera dal punto di vista di un viaggiatore europeo al suo
impatto con l’America. La sua intenzione era quella di far conoscere l’universo che il
processo di colonizzazione aveva eliminato. Include aneddoti, racconti molto dettagliati
delle varie specie animali presenti nelle Antille, delle vere e proprie schede tecniche in cui
descrive anche le abitudini alimentari. Scrive di ricette tipiche delle Antille e di Haiti,
dell’abitudine di mangiare carne di lucertole e lasciare le carni di scarsa qualità ai neri.
Etichetta i neri col termine negre marron, colui che vive selvaggiamente. Con questo
racconto, Labat permetteva al viaggiatore europeo di conoscere il rapporto dell’uomo con la
natura delle Antille e il rapporto dell’uomo col dominato, un rapporto mai equo, mai
reciproco.

La letteratura haitiana è paradossale perché, ancora oggi, ad Haiti, vi è una forte


percentuale di analfabetismo. La prima letteratura scritta haitiana si ha intorno al XX secolo,
letteratura scritta in lingua creola da autori francofoni. Scelgono la lingua creola perché più
comprensibile tra il popolo e quindi permetteva una maggiore diffusione delle opere. Gli
autori haitiani mettono per iscritto tutte le esperienze negative vissute, in ogni ambito della
loro vita, e raccontano una realtà forgiata sull’idea e sull’ideale di patria e cultura
applicabile a tutta l’America Latina. L’obiettivo principale della letteratura haitiana è quello
di rappresentare per iscritto quella cultura che per anni è stata presente solo in forma orale e
caratterizzata dalla diglossia, scritta una volta in francese e una volta in creolo. Nasce nel
periodo coloniale intorno al 1600 ma si diffonde realmente nel 1800 ed è pressoché una
imitazione della letteratura francese. Abbiamo tre fasi della letteratura haitiana:
- Prima fase che va dal 1804, anno di indipendenza di Haiti, fino ai primi del ‘900 ed è
una letteratura di resistenza, di creazione o ri-creazione dell’identità di coloro che
vengono annientati dalla colonizzazione dei bianchi.
- La seconda fase va dal 1915, anno della ricolonizzazione americana, fino alla fine del
‘900.
- Terza fase va dal 1944, anno dell’inizio dell’alfabetizzazione del popolo haitiano, ad
oggi.

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Da un periodo in cui si scriveva solo in francese arriviamo a un periodo di indigenismo in
cui si parlava in maniera diglotta, francese/haitiano, fino agli anni ’50 in cui si metterà del
tutto in discussione l’uso della lingua francese dando vita a una letteratura prettamente
haitiana. Il 1804 è l’anno dell’indipendenza dalla Francia e quindi il paese deve scegliere tra
il francese, lingua della civilizzazione scritta, e il creolo che è una lingua solo orale. Questa
esigenza porta al desiderio di creare una propria letteratura che esprimesse l’identità
haitiana. L’iniziativa di scrivere in creolo arrivò proprio dai coloni francesi perché il creolo
aveva come base il francese e influenze africane soprattutto nella sintassi. Nonostante la
volontà di scrivere in entrambe le lingue, alla fine prevalse il francese. Una scelta
prettamente di opportunità perché il creolo non aveva una vera e propria ortografia. Nel
1915 Haiti subisce una nuova colonizzazione da parte degli americani, un’esperienza non
più traumatica e la letteratura del periodo rappresenta proprio questa nuova realtà. Poesie
piene di malinconia che seguono i canoni del romanticismo francese. Il romanzo Les Dix
Hommes Noires che parla del suicidio collettivo di 10 uomini per motivi razziali segna una
svolta: con la diffusione del romanzo di diffonde l’uso della lingua creola. L’elemento di
distinzione nei romanzi successivi alla seconda colonizzazione è che non descrivono più
l’haitiano come nero latino mezzo europeo e mezzo africano, ma come africano che si è
trasformato trasferendosi in un contesto culturale americano quindi africano americano. Il
nuovo haitiano si identifica di più nel nero americano, non è più il colonizzato, e lo scrittore
usa le sue tradizioni, la sua lingua per affermare la sua identità haitiana tralasciando il
problema della colonizzazione e della razza. Il problema dell’uso della lingua creola
francese è il problema più evidente perché si nota la commissione tra le due lingue, la
prevalenza prima di una e l’esistenza poi dell’altra. Questo passaggio da un linguaggio
violento nei confronti del colonizzatore che rappresentava il risentimento del popolo
haitiano, a un linguaggio più mitigato col passaggio a una lingua collettiva (dall’io al noi)
per raccontare la storia di un popolo, non più del singolo.

Laferriere è uno scrittore contemporaneo post-moderno, termine usato per la prima volta da
Lyotard. Questo implica il superamento dell’idea di modernità. Caratteristica della post-
modernità è l’intertestualità, una continua citazione di altri testi di altri autori mentre
l’intratestualità è l’autocitazione. Laferriere le utilizza entrambe, è un continuo riferimento
alla letteratura soprattutto americana (Bukowski, Borges, Hemingway, Roumain che è uno
scrittore haitiano che scrive Gouverneurs de la rosee che tratta della questione di classe e di
razza con la diglossia francese e haitiano col tentativo di abolire la divisione drastica tra i
due paesi). L’analisi dei colori in Gouverneurs de la rosee rende noto il passaggio dal colore
nero al colore rosso, entrambi presenti nella bandiera haitiana, rappresentano il primo il
francese e il secondo Haiti. Questa oscillazione dal nero al rosso simboleggia il passaggio
dall’uso del francese all’haitiano. Anche il passaggio dal nero al bianco, da nulla
all’esistenza. Il termine nég vuol dire nero ma in haitiano vuol dire essere umano, individuo.
Laferriere utilizzerà questo termine in modo provocatorio, racconterà la storia di Negro
giocando sulla doppia valenza del termine.

Roumain tenterà di abolire questo equivoco con la diglossia e porta avanti una idea
identitaria basata sul concetto di identità ibrida con le tradizioni della cultura haitiana e
quella ricevuta dal colone francese e americano evidenziando questo col plurilinguismo
inteso però come utilizzo di più voci col passaggio da un narratore diegetico a uno
extradiegetico (da uno interno al romanzo a uno esterno). Fa di tutto per evidenziare
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l’identità ibrida dell’haitiano usando frasi tipiche della lingua orale haitiana, usa frasi
incompiute, monologhi e dialoghi scritti per intero senza essere virgolettarti per mantenere
intatta l’identità dei personaggi. Usa molto il discorso diretto perché esprime al meglio
l’individualità dei personaggi, usa termini creoli, proverbi. Con questa tecnica mimetizza il
narratore con i personaggi e abolisce la gerarchizzazione interna del romanzo abolendo
anche la gerarchia tra colone e colonizzato. Questi scrittori prendono spunto da una
narrazione europea caratterizzandola con l’ibridità. Roumain usa il francese e l’haitiano o
espressioni tipicamente francesi tradotte in haitiano perché ritiene che l’uso esclusivo del
francese annulli l’identità emotiva degli haitiani, quindi, inizia questo percorso di
contaminazione linguistica che porterà alla creazione di un francese creolizzato o un creolo
francesizzato in cui il francese dà forma grafica al creolo. Ad esempio: la parola paix-là in
francese significa pace, in creolo significa silenzio, usano il grafema francese per esprimere
il pensiero creolo. Un francese deformato che diventa quasi grottesco. All’interno dei testi
troveremo francese standard, creolo puro o francesizzato, haitiano, neologismi africani usati
in riferimento alle cerimonie voodoo. Il creolo puro comprende termini della lingua
popolare haitiana che il francese non conosce quindi è necessario l’uso del creolo. Quindi,
Roumain usa il francese all’interno del romanzo per dare voce al creolo, trasforma il
francese per i suoi scopi.

Rapporto dal punto di vista letterario di Haiti con l’America e con l’Africa. Nel XIX
secolo molti americani di colore, giornalisti, politici, intellettuali, si trasferiscono ad Haiti
non partecipando alla letteratura haitiana ma contribuendo a levare un iniziale grido di
dolore contro l’imperialismo americano denunciando le mire espansionistiche dell’America.
Inizialmente la letteratura resta indifferente, con l’occupazione degli americani però, le cose
mutano e gli haitiani decidono di esprimersi in francese come forma di resistenza
all’imperialismo americano. Lo stesso accade in Québec nei confronti del Canada e degli
stati uniti. A partire dagli anni ’60 si sviluppa una letteratura diasporica perché molti haitiani
migrano in esilio in America a causa della dittatura di Duvalier. Questa diaspora degli
scrittori haitiani dà una visione più obiettiva dell’America, introducono termini
inglesi/americani nei romanzi contaminando la lingua francese. Nasce una nuova forma di
diglossia: non più francese-creolo ma francese-inglese e da qui nascono opere che hanno
come tema principale l’esilio e che usano il monologo che ha il compito di ricostruire
l’identità dello scrittore. La letteratura haitiana ha molte similitudini dal punto di vista
antropologico con gli africani poiché sono storicamente accomunate dalla violenza e
oppressione subita. Tuttavia, nella letteratura africana la lingua continua ad essere il
francese per una sudditanza ancora molto forte nei confronti dell’ex colonizzatore. La
letteratura haitiana invece, tenderà a esprimersi in haitiano e manterrà il suo folklore e le sue
tradizioni orali.
La dittatura di Duvalier è un tema ricorrente in molte, se non tutte, le opere haitiane. Phelps
nelle sue opere “Moins l’infini” e “Memoire en colin-maillard” descrive la repressione
operata dal regime che lo porterà ad essere imprigionato e costretto all’esilio. Il primo
romanzo racconta di un gruppo di oppositori al regime che si rivoltano contro usando le
armi. Durante la rivolta, la moglie di un oppositore viene uccisa e lui, da quel momento,
vivrà con l’ossessione di un buco nero dentro la sua casa, che si espande sempre di più fino
a immaginare che inghiottirà la sua casa e la sua vita. il buco nero rappresenta
metaforicamente la dittatura che prima o poi inghiottirà tutta la casa, la famiglia del
protagonista. Nel secondo romanzo, il personaggio narratore ha una forte alienazione
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mentale che gli causa allucinazioni, causato sempre dalla violenta repressione del regime.
Torturato perché si era opposto al regime, viene sottoposto a una tortura mentale perché ha,
in un certo senso, tradito i suoi compagni di lotta. I romanzi sono intrecciati dalla presenza
di alcuni nomi di vittime del regime: nel primo troviamo una dedica fatta a loro, nel secondo
vengono inseriti all’interno di un contesto storico e acquisiscono identità e funzione
narrativa. Fondamentale è il tema della follia, vissuta dai personaggi a causa
dell’oppressione. Nel primo romanzo c’è una netta divisione tra la follia del personaggio e
l’ambiente reale; nel secondo rappresenta il reale, non c’è stacco tra follia e realtà.

Il primo autore a parlare di letteratura migrante è Pierre Nepveau nel suo saggio
“Ecologie du reel”. In questo saggio, l’immaginario di del Québec si è definito in un
contesto negativo fatto di esilio psichico, nell’idea di mancanza e di paese assente e
incompiuto e qui si sviluppa l’immaginario di migrante plurale e cosmopolita. Il Canada
accoglierà tutta una serie di popolazioni attratti dalle migliori possibilità di vita e di riuscita
di sopravvivenza. Questi popoli mettono in crisi l’identità quebecchese, già in crisi perché
deve difendersi dall’egemonia soprattutto economica degli Stati Uniti. Il primo scrittore
nazionale in Québec è Gaston Miron col suo “l’homme rapaillè”, l’uomo rappezzato.
Simboleggia l’uomo quebecchese che ha un’identità rappezzata. Miron fonda una casa
editrice quebecchese dal nome Exagon, l’esagono forma della Francia. Questa è una
provocazione, diventa la casa editrice dove tutti possono pubblicare finalmente in Québec e
non più in Francia. Questo succede negli anni ’60, quando la letteratura quebecchese
comincia ad essere attraversata da tante identità di autori anche loro sempre in movimento e
nasce e si sviluppa quella che Glissant chiamerà identità ibrida. Questi scrittori creano una
mescolanza di lingue, di luoghi, di riferimenti culturali e porteranno alla nascita di una
letteratura quebecchese ibrida e verranno riconosciuti come scrittori quebecchesi. Negli anni
’80 nasce la rivista Derives, fondata da scrittori haitiani migrati in Québec che ne promuove
il pensiero. Ora non esiste più perché gli scrittori rimasti in Québec sono perfettamente
integrati e perché Haiti è libera dalla dittatura. L’ibridità si ha anche in campo politico e
sociale, infatti gli scrittori politicamente impegnati si legano agli scrittori della Revolution
Tranquille. Tuttavia, lamentano l’assenza di una vera e propria integrazione letteraria perché
non sono legittimati ufficialmente dal sistema educativo quebecchese, anzi, vengono
neutralizzati dalla critica quebecchese e vengono definiti neo-quebecchesi, una sorta di
sottogruppo della scrittura quebecchese. Alcuni si sentono in trappola, sentono un grande
disagio per la mancanza di integrazione con la cultura quebecchese. Phelps definisce la
scrittura quebecchese “pure laine”, a differenza della scrittura migrante. Non accettano
l’epiteto scrittori migranti. Lo scrittore migrante haitiano prende spunto dal suo paese,
racconta la vita del suo paese, però lo fa nel paese di arrivo creando una lingua che è sempre
in movimento. Instabilità voluta dagli scrittori haitiani che vogliono prendere le distanze dai
pure laine ma allo stesso tempo integrarsi tra loro mantenendo la singolarità. Questi scrittori
porranno le basi per quella che Nepveau definirà transcultura, una osmosi reale tra le
culture, cultura di arrivo che influenza quella di origine e viceversa. Quindi, l’homme
rapaillè di Miron non esisterà più perché si crea un prodotto omogeneo. Le tematiche
comuni tra i romanzi haitiani della prima ondata di immigrazione e i romanzi quebecchesi
sono:
- La precarietà dell’esistenza collettiva;
- L’idea di identità fragile;
- Le sconfitte storiche.
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La differenza tra gli scrittori haitiani e quebecchesi sta nella rappresentazione della memoria
del loro paese: i quebecchesi rappresentano una ricerca del loro paese che serve a recuperare
memoria storica, per dare un aspetto eroico. Il recupero delle radici diventa un espediente
per dare peso a una realtà difficile e l’esilio è un esilio utopico, ironico. Raccontano l’idea
dei soprusi da parte dell’egemonia americana-statunitense-canadese in modo più epico,
ironico, carnevalesco. Gli scrittori haitiani rappresentano un esilio che è fisico e mentale,
reale, e lo ricordano attraverso la memoria e il recupero della repressione e dei soprusi
subiti. Hanno difficoltà nel ricomporre la loro identità e adattarla al presente. La soluzione è
una narrazione nostalgica e compensativa, lo scrittore haitiano ha una vera e propria rottura
col paese di origine e la denuncia con un linguaggio estremamente violento. La differenza
sta proprio nel non raccontare, da parte degli haitiani, un passato mitico. I personaggi come
l’orco cannibale e lo zombie rappresentano metaforicamente Duvalier.

Lo scrittore migrante racconta un nuovo topos, l’arrivo nella nuova città, la finzione
monrealese ovvero la coesistenza di due identità minoritarie: gli scrittori migranti e i
quebecchesi di origine rurale insediati all’interno del Québec. Gli haitiani arrivati in
Québec, a Montreal in particolare, sono il primo gruppo di immigrati americani di
discendenza africana che invadono il nord con le loro tradizioni. Nasce una scrittura che
autorizza la rappresentazione di una migrazione naturale, mettono in scena riappropriazioni
immaginarie dello spazio urbano con ironia. L’ironia sarà presente spesso anche in
Laferriere, un elemento tipico del post-modernismo. Il sud quindi invadeva il nord, lo spazio
quebecchese. Montreal diventa il centro di arrivo, luogo di immigrati che cercano di
recuperare la loro identità ma anche il paese dove esisteva una vera e propria
contaminazione, ibridazione, perché a Montreal tutte le identità erano riconosciute e
riconoscibili. Nei romanzi di Etienne troviamo proprio l’immagine di un haitiano e di un
quebecchese che entrano in contatto riconoscendosi l’uno con l’altro nel pieno delle loro
identità e culture creando un legame interculturale. Nei suoi scritti è evidente la rivolta nei
confronti dell’autorità oppressiva, di una Montréal quasi haitianizzata, troviamo un rimando
alla convivenza pacifica tra quebecchesi e haitiani e della reciproca contaminazione. Nel
romanzo “La pacottille” Etienne rappresenta quella che definisce bestia haitiana, il ricordo
delle origini dello scrittore haitiano che ritorna ogni notte come un’ossessione e che lo
tormenta. Etienne promuove, quindi, l’ibridazione tra quebecchesi e haitiani. Jonassaint era
contrario all’ibridazione e propenso al divago tra le culture per dare singolarità a ogni
cultura.

Negli anni ’80 entra in scena Dany Laferriere che col romanzo “Comment faire l’amour”
lotta contro gli stereotipi etnici nord americani creando una confusione di ruoli, perché
all’interno del romanzo inserisce neri che discriminano altri neri, personaggi che ambiscono
al successo del bianco americano. Nel contempo, il protagonista del romanzo lotta anche
contro gli stereotipi etnici che ritengono i neri una razza inferiore ai bianchi soprattutto
sessualmente parlando. Infatti, Vieu dirà che l’uomo bianco è sessualmente morto. Questo
romanzo integra l’alterità nera e quebecchese per promuovere un universo transculturale
aperto al recupero di qualsiasi identità culturale. Ollivier, lo scrittore della diaspora in
Québec, ritiene che lo scrittore migrante dovesse preservare la propria identità haitiana
senza annullarla, conservandola e utilizzandola come valore aggiunto.

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Gli scrittori italiani in Québec: Gli italiani immigrati in Québec danno un apporto
culturale molto forte. Scelgono di andare in Canada, a Montreal, perché negli anni ha
sviluppato una politica multiculturale attenta alle singolarità etniche. Il confronto con la
lingua diventa ancora più complesso perché passa dalla lingua originale all’inglese e al
francese. Scrivere in francese è un manifesto politico e Micone, migrante famoso italiano,
decide di scrivere la rappresentazione scenica di “Gens du silens” in francese, opera che
racconta della solidarietà di classe e dell’origine operaia degli immigrati e dei quebecchesi
mettendoli a confronto ma creando un legame. Sosteneva che non esisteva una cultura
inferiore o un individuo inferiore, esiste però una cultura dominante che è imposta da un
gruppo di individui dominanti che hanno il potere economico e politico. La comunità
italiana, con quella haitiana, è quella numericamente più importante in Canada dopo quella
anglofona e francofona. Le comunità che migrano in Québec ne trasformano profondamente
il tessuto sociale. Con la legge 101 degli anni ’70, si stabilì la frequenza obbligatoria delle
scuole in lingua francese per i bambini immigrati o nati da immigrati. I bambini
apprendevano il francese avvicinandosi anche alla cultura quebecchese francofona e, grazie
al sistema educativo, vi è una demistificazione dell’immagine dello straniero e una vera e
propria integrazione. La letteratura quebecchese è molto aperta a livello culturale anche
verso lo straniero e la diversità e questa è un tema centrale nelle scritture emergenti. Marco
Micone e Fulvio Caccia furono i primi scrittori a ricavarsi uno spazio nella letteratura
quebecchese e gli antesignani di una scrittura post-moderna all’interno della cultura
quebecchese. Questi scrittori fondano la rivista Viceversa, che segna una nuova fase della
letteratura quebecchese. Nata nel ’83, pubblica in francese, italiano e inglese, tentando di
sdrammatizzare la tensione tra francese e inglese e vuole introdurre la comunità italiana
come partner attivo nella costruzione della cultura del Québec. Inizialmente il pubblico
accoglie con freddezza, con diffidenza, la rivista perché ha come obiettivo, appunto, quello
di ridefinire l’identità quebecchese. La rivista si pone come obiettivo quello di ridefinire e
definire l’etnicità migrante, intesa come una deriva di etnia, nell’accezione di natura, razza e
cercando all’interno di essa un nuovo umanesimo. Questa identità rafforza il concetto di
identità quebecchese perché gli italiani si sentivano parte integrante della comunità. Per il
Québec quindi, risolvere il problema dell’immigrato significava sbarazzarsi della cosiddetta
Maladie Wuebec, la mancanza di identità e appunto ridefinirla. Viceversa cerca proprio di
risvegliare una ricchezza culturale inespressa introducendo più lingue e smorzando la
polarizzazione francese-inglese. Il vero dialogo tra culture si ha però con la citazione di altri
testi, opere che appartengono a altre culture ad esempio, uno dei testi più famosi di Micone,
manifesto di questa etnicità migrante, è “Speak what” che riprende il testo “Speak White”.
Con questo testo elabora un grido di rivolta del popolo colonizzato che voleva diventare

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artefice del suo destino, un appello alla tristezza di coloro che vogliono abitare in Québec e
riprende quello fatto con “Gens du silence”, che erano i migranti il popolo silenzioso.

Il problema della lingua è ancora al centro dell’attenzione perché è centrale come strumento
di comunicazione e allo stesso tempo mezzo di esclusione, ricordando ai quebecchesi di
quando dovevano tacere anche loro di fronte al padrone inglese e il francese è un vettore
indispensabile per instaurare un dialogo tra i popoli. I quebecchesi pure laine vedono il testo
Speak What come un affronto alle battaglie che il Québec aveva fatto e Micone risponderà
col testo “il palinsesto impossibile”. Testo che rinvia a due possibilità: il palinsesto in
letteratura è impossibile perché lo scrittore si nutre dii tutto ciò che lo ha preceduto; fa
allusione a una impossibilità costruita da una certa cultura quebecchese che non accetta
l’integrazione degli immigrati. Viceversa diventerà un laboratorio di transcultura in
Québec, il luogo della affermazione di un nuovo concetto di identità e nasceranno i termini
Interpreture e Accomodement raisonnable, che indica il tentativo delle società moderne
di tenere conto delle esigenze delle diverse minoranze all’interno della società civile.
L’aggettivo transculturale definisce perfettamente la rete di rapporti non solo linguistici
ma culturali attraverso questa idea di passaggio che non è unilaterale. Caccia e D’Alfonso
rivendicano il concetto di alterità, della differenza, prendendo in prestito il concetto di
litterature mineure, definendo lo statuto degli intellettuali di origine italiana in Québec come
minoritario all’interno di una minoranza, a cavallo tra culture e altrettante lingue. Micone
però mira all’assimilazione della scrittura migrante all’interno della letteratura quebecchese,
D’Alfonso mira al mantenimento della alterità e alla nascita di una letteratura italica. L’idea
di transcultura viene utilizzata per simboleggiare una ferita che si crea nell’affermazione
dell’identità, cercando di creare un equilibrio sulla tentazione di fuggire dal proprio passato
o di soccombervi usando termini tipici della post-modernità quali impuretè, etnicità
sfuggente, devenir mineure.

Precedente a Viceversa è Quaderni culturali, fondata negli anni ’80 sempre da intellettuali
di origine italiana come organo dell’associazione di cultura popolare italo-quebecchese e si
rivolge proprio a questa comunità di italiani. I primi numeri trattano argomenti politici
mentre gli ultimi due segnano il passaggio a una cultura a tre lingue: i titoli delle sezioni
saranno scritti in italiano, inglese e francese. L’ultimo numero annuncia la trasformazione di
Quaderni culturali in Viceversa. Tassinari trasforma Viceversa in un giornale transculturale
sottolineando la frattura tra coloro che volevano conservare l’aspetto politico e sociale del
vecchio periodico e chi invece accettava questo nuovo trilinguismo con l’intento di far
uscire gli italiani dal ghetto e quindi di rivolgersi a tutta la società. Cambierà anche
graficamente, più astratta e concettuale. D’Alfonso crea una casa editrice, Guernica,
destinata alla pubblicazione di autori italiani e stranieri, in particolare anglofoni e pubblica
due testi fondamentali: “Quetes. Txtes d’auteurs italo-quebecois” e “sous le signe du
phenix”, in cui gli iautori raggruppano le testimonianze non solo di scrittori ma di tutti i
campi artistici di origine italiana che scrivono in inglese e francese. L’idea di fenice rimanda
al concetto dell’identità italo-quebecchese in via di trasformazione e si sottolinea
l’appartenenza a una comunità, la promozione sociale di alcuni discendenti di emigrati,
spesso poveri, che sono diventati protagonisti della vita culturale del Québec. La fenice
rinvia alla metamorfosi alla quale è sottoposta la cultura, soprattutto quella meticcia del
migrante e Caccia suggerirà con questa figura, che non è solo il migrante a mutare ma tutta
la comunità ed è una mutazione che non cambia mai.
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La traduzione è vista come un tradimento perché il lavoro del traduttore è una riscrittura
dell’opera, infatti, molti autori negli anni ’80 si auto traducono perché non è semplice
cogliere il senso di quello che vuole dire lo scrittore. Micone si auto traduce, in inglese o
dall’italiano al francese e poi in inglese. Per questo possiamo definire la scrittura di Micone
attraversata dal senso di non tranquillità, che porta Gauvin a definire le letterature
francofone periferiche litterature de l’intranquillitè.

Marco Micone: emigra dal Molise e si avvicina al Parti quebecois, partito che difendeva
l’essere quebecchese. Nella trilogia teatrale che pubblica mette in scena non soltanto i
rapporti difficili tra le diverse comunità ma anche le relazioni conflittuali all’interno delle
famiglie di immigrati perché in queste avviene un vero e proprio scontro generazionale. I
genitori sono ancorati alla cultura di origine, parlano la lingua d’origine; i figli parlano
francese, vengono attraversati dalla cultura del paese di arrivo. Questo parlare lingue diverse
diventa una barriera insormontabile che in un certo senso impedisce il dialogo tra
generazioni. Lo scontro è anche con i nonni perché parlano in dialetto quindi lo scontro
linguistico è dialetto-italiano-francese-inglese. Le pièce teatrali della trilogia: Gens du
silence, Addolorata, Dejà l’agonie. Evocano in un certo senso il mutismo, l’esperienza
dello sradicamento geografico familiare e linguistico dell’immigrato. Successivamente
pubblica le Figuier Enchante, narrazione in prima persona.
- Gens du silence: racconta la storia di Antonio, parte per l’America per assicurare il
sostentamento economico alla sua famiglia che rimane in Italia. Questa partenza è
causa di grande sofferenza perché Antonio non riesce a instaurare una relazione
positiva con la moglie e i figli. Lavora in Canada dove impara i termini che fanno
parte dell’autorità della sua nuova patria e ripresenta queste parole nella relazione
con la famiglia che diventa la vittima di Antonio. Antonio è vittima delle autorità del
paese di arrivo mentre moglie e figli sono le sue vittime. I figli vengono fagocitati
dalla babele di Montréal, intesa come moltitudine di lingue, che dimostra però una
vera e propria povertà culturale. La figlia dirà che in quel momento storico è
importante rimpiazzare la cultura del silenzio con quella immigrata affinché
l’immigrato non si senta più immigrato ma parte interante del Québec. Micone con
quest’opera dà voce a tutti gli immigrati sospesi tra identità del passato e la promessa
dell’avvenire privi però di una lingua che appartenga loro veramente.
- Addolorata: racconta l’abbandono del marito di Addolorata, Gianni, che non tollera
più l’incomprensione e la mancanza di dialogo tra i due. Questo silenzio apre in
Gianni una ferita, l’abbandono del padre al momento della sua emigrazione.
- Deja l’agonie: pubblicata inizialmente col titolo Bilico, rappresenta la terza
generazione di immigrati, l’adolescente Nino che accompagna suo padre dai nonni
tornati al paese d’origine in Italia dopo un lungo periodo in Québec. Nino, integrato
perfettamente in Québec, scopre una realtà totalmente diversa da quella montrealese
e scopre che i nonni decisero di emigrare dopo la violenza subita dalla nonna Maria
da parte di uno squadrone fascista. Micone evidenzia che le motivazioni delle
emigrazioni degli italiani sono dovute a cause e motivazioni esterne, storiche e
sociali. Il titolo dell’opera diventa Migrances, migrazioni, che viene ripensata da
Micone per indicare l’esperienza migratoria e come questa esperienza obblighi
l’individuo ad appropriarsi di un percorso multiplo: deve avere più voci, più lingue e
una realtà stratificata. Questo cambiamento del titolo avviene dopo che Micone si
auto traduce in italiano e poi nuovamente in francese. Questa esperienza di auto
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traduzione lo porta a una nuova riflessione sui rapporti tra lingua e identità perché
questo movimento di linguaggi scatena un processo di revisione del testo originale
che subisce molte trasformazioni dovute anche al cambiamento delle situazioni
sociali del Québec e della situazione dell’essere migrante.
Gens du Silence diventa Silences, Deja l’Agonie diventa Migrances e Addolorata diventa
Una Donna. Con questi termini vuole universalizzare l’esperienza migratoria.

Fulvio Caccia: preferisce il termine letteratura di immigrazione a letteratura migrante.


Caccia è più teorico e la sua idea di letteratura di immigrazione si rifà all’idea di letteratura
minore che viene teorizzata da Deleuze e Guattari, minore intesa come in minoranza, meno
diffusa.
Gobard fa una distinzione tra lingua vernacolare, la lingua moderna che ha origine rurale e
designa l’ici, ovvero il qui; la lingua veicolare, la lingua urbana, commerciale che è una
lingua parlata ovunque e opera un primo movimento di de-territorializzazione; una lingua
referenziaria che è la lingua della cultura e del là bas, laggiù; infine, una lingua mitica,
religiosa che è la lingua dell’aldilà. LINGUA VERNACOLARE: i diversi dialetti regionali
dell’immigrazione; LINGUA VEICOLARE: l’inglese usato come lingua del commercio e
burocratica; LINGUA REFERENZIARIA: in Québec è il francese, la lingua della cultura;
LINGUA MITICA: per gli italiani è l’italiano. Questi concetti sono ripresi da Caccia. Lo
shock che subiscono gli italiani è lo shock dell’adattamento, il dolore della lontananza dalla
madre patria che si manifesta nella lingua. Tema ricorrente per Caccia è la perdita del paese
di origine e il conflitto di valori nel paese ospitante e la madrepatria. La lingua è molto
importante sia sul piano drammatico sia sul piano tematico perché l’immigrato non ha una
sua lingua diventando vittima di un’avventura che non ha scelto, che è obbligato a vivere.
L’immigrazione diventa un processo che cambia la visione di sé stessi. Tassinari, infatti,
adatta un termine greco alla realtà dell’immigrato italiano, Meteco, l’italiano diverso,
straniero, residente.

La letteratura quebecchese si divide in 5 fasi:


- La prima inizia nel 1837 e si conclude nei primi del ‘900. Il clero ha una enorme
influenza sulla società quebecchese e decide cosa pubblicare, inoltre, in Québec non
ci sono editori, biblioteche pubbliche che possano aiutare gli autori ad essere
pubblicate. Il romanzo è considerato dannoso. Successivamente il controllo del clero
si attenua e iniziano a diffondersi i cosiddetti romanzi neri, romanzi gotici e i
romanzi storici o di avventura che servono ad acculturare la classe popolare;
- La seconda va dagli anni 30 del 900 e dura fino alla Seconda guerra mondiale, si ha
il massimo sviluppo del romanzo, soprattutto dei romanzi popolari agricoli che
diffondono l’idea che i canadesi-francesi possono salvare la loro terra e la loro lingua
lasciando il commercio agli inglesi. Col romanzo iniziano a contrapporsi la fazione
francofona e anglofona. In questi anni vi è una lotta politica tra poeti che lodano il
mondo rurale e quelli che sono di più libera ispirazione. I primi raccontano del
Québec, delle storie degli antenati, quindi poesia delle cose vecchie. I secondi
sostengono il disimpegno dalla causa nazionale e prendono le distanze dalla moralità
della religione e del patriottismo;
- La terza va dalla fine degli anni 40 del 900 agli anni 70: si guarda al diverso e
all’aspetto colonialista che vive il canadese-francese. In questi anni pubblicano i
teorici della colonizzazione, si diffondono i romanzi sui costumi urbani e sulla
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descrizione dei quartieri poveri delle città. Sono anni di grande sviluppo delle
metropoli come Montreal. Il romanzo però diventa un genere che richiama alla
consapevolezza. Di questi anni è L’homme rapaille di Miron, l’uomo rappezzato che
rappresenta il quebecchese che è un patchwork a livello identitario, metafora
dell’uomo del Québec. Miron crea la prima casa editrice, l’Exagon.
- La quarta fase: è il passaggio definitivo dal romanzo della terra a quello della città.
Con la creazione del partito quebecchese, il nazionalismo si sgretola e si prende
coscienza che è necessario essere proiettati al futuro. Alcuni scrittori sfidano i valori
della società tradizionale, la religione, la famiglia, che vengono visti come
impedimenti alla vita e si diffondono temi quali prostituzione e omosessualità. Questi
romanzi denunciano anche gli inglesi e promuovono la libertà di costumi. In. Questo
contesto si inserisce Laferriere e si diffonde la volontà di unirsi alla propria infanzia,
triste o allegra che sia, per esorcizzare il passato.
- La quinta e ultima fase: quella contemporanea, l’infanzia è il tema utilizzato per
appropriarsi di una vera e propria indipendenza del Québec. Anni segnati
dall’emancipazione delle donne che creano un famoso giornale le bord du jour,
l’aurora in quebecchese.

Oggi, la letteratura quebecchese presenta una grande ricchezza tematica, ha autonomia


politica ed è anche sperimentale e ribelle, mette in discussione il concetto di identità
nazionale perché è ormai una letteratura meticcia, ibrida, che si fonda sull’incontro di più
culture e lingue. Dal 2008 in poi le opere quebecchesi sono finanziate da sovvenzioni statali
facendo rifiorire la letteratura quebecchese, la diffusione avviene oggi anche tramite social
media o in luoghi pubblici e questo permette una diffusione su larga scala delle opere
quebecchesi. C’è una vera e propria proliferazione delle edizioni letterarie autoctone di
espressione francese e un recupero di argomenti intimi che diffondono l’incapacità e la
contrarietà dei quebecchesi a sottoporsi alla egemonia. Viene messo in scena un
personaggio migrante che ritrova sé stesso nel rapporto con la terra, secondo l’ecologia del
qui, dell’ici, ripreso da Nepveau che definisce un progetto di eliminazione
dell’inquinamento, dell’impurità intesa metaforicamente come la situazione del migrante
che in sé per sé è un soggetto ibrido e impuro. Il processo ecologico consiste nel fargli
recuperare il suo qui, i luoghi in cui ha vissuto e che per necessità è stato costretto a
cambiare: con questi racconti recupera il suo sé e l’identità quebecchese anche attraverso
l’identità di più culture. Gli autoctoni pubblicano quasi esclusivamente poesie e teatro
perché riescono a far conoscere le tradizioni e i miti della loro cultura. Queste opere servono
a riequilibrare i rapporti tra cultura dominante che è ormai quella quebecchese e le culture
marginali, spesso oppresse dalla cultura egemone. Viene fatto ora ciò che i migranti hanno
fatto sin dal Secondo Dopoguerra, in particolare ora sono i quebecchesi pure laine a operare
questo processo.
La figura dello scrittore francofono quebecchese: secondo Gauvin anche lo scrittore
quebecchese ha una subcoscienza linguistica, la questione della lingua è intrinseca nella
coscienza dello scrittore che vive un continuo disagio a causa della presenza di diverse
lingue. Questa questione era già stata affrontata dalla rivista Parti Pris che sosteneva l’uso
del joual, il dialetto del Québec, innovazione perché in realtà è una non lingua e mai
nessuno aveva pensato al suo utilizzo come lingua scritta e come lingua letteraria.

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Numerose sono le riviste (Viceversa, Derive) che promuovono il dibattito della transcultura
e inseriscono termini quali: eterotopia e eterofonia. Dimostrano come la cultura
quebecchese sia aperta alla pluralità, alterità. Inizia una disputa su carattere fonologico,
endogeno della letteratura e chi promuoveva l’ibridazione della cultura. Alcuni vedono la
letteratura degli scrittori migranti come una minaccia nei confronti della letteratura
quebecchese. le strategie di scrittura utilizzate per far dialogare le varie culture sono l’inter-
discorsività e l’intertestualità: la prima è quella modalità narrativa secondo la quale i testi
possono essere attraversati da più lingue, da più voci e troveremo lingue che appartengono a
dialetti diversi provenienti da mondi e da persone di origine diversa; la secondo consiste nel
mettere in relazione due o più opere citando l’una nel testo dell’altra. Altro concetto che
evidenzia la transcultura all’interno delle opere è l’eteroglossia, l’interazione tra più lingue.

Il Québec è sempre stato molto attento al problema linguistico tanto che la scelta di scrivere
in francese per il migrante è una scelta importante. Una parola centrale nella letteratura
quebecchese è babele poiché racchiude un luogo in cui convivono più lingue, lingue diverse
fra loro. Fondamentale è il testo Babel opera che usa l’arrivo di immigrati in Canada come
espediente per parlare della creazione di una babele fraterna dove ogni individuo potrà
sopravvivere all’interno di una comunità parlando la propria lingua e utilizzando le proprie
regole nel rispetto della lingua e delle regole altrui. Testo emblematico della eteroglossia è
la quebecoite di Regine robin, che associa al termine quebecchese la nozione del silenzio
riferendosi al silenzio i cui i migranti come lei avevano vissuto. Le identità di migrante e
quebecchese iniziano a fondersi e si parla di quebecoite. L’eteroglossia si esprime al
massimo soprattutto col teatro perché mette in risalto le differenze tra i vari dialetti e le
varie lingue e la rappresentazione della possibile convivenza nella diversità. Importante
anche l’eterofonia intesa come creazione di una relazione tra più voci che provengono da
paesi diversi, mentre l’eterologia è la relazione tra più discorsi e più culture.

Laferriere: Il Québec che accoglie Laferriere negli anni ’70 è un paese alle prese con lo
sviluppo dell’interculturalità e deve quindi difendere la sua identità da tutti coloro che
stavano scardinando il concetto di identità quebecchese e da coloro che avevano l’obiettivo
di accettare l’altro, il diverso. La poetica dello scrittore haitiano-quebecchese è quella di uno
scrittore nomade, che vaga da un paese all’altro che utilizza anche parole nomadi cioè che
hanno perso l’identità specifica di un territorio e che sono divenute opache. Questa
letteratura si fonda sull’idea che il luogo interiore haitiano si può fondere con quello
quebecchese. Haiti è sempre presente negli scrittori che precedono Laferriere e ha una
doppia funzione: luogo della assenza, luogo in cui nasce l’esigenza di scrivere ma nasce
anche l’esigenza di fuggire e sarà il luogo della presenza, dove si esplicita la necessità di
teorizzare l’identità haitiana. Tutti gli scrittori usano il francese perché serviva a ricordare le
tracce coloniali su cui si era forgiato il creolo e come opposizione agli Stati Uniti. Quando
arriva in Québec è già in atto una politica aperta al dialogo e al diverso, alla convivenza di
più culture, in piena evoluzione. Gli scrittori che lo avevano preceduto mettono in atto un
recupero delle tradizioni, del loro paese attraverso appunto la letteratura. Laferriere fa parte
di quegli scrittori che hanno firmato nell’ottobre 2007 il manifesto Pour une literature
monde en francais: cercano di identificare la lingua francese col francese parlato in tutti i
paesi francofoni e ora il centro della produzione letteraria francofona era ovunque nei
quattro angoli del mondo. Laferriere si definisce uno scrittore americano che scrive in
francese e non è possibile classificarlo come scrittore haitiano o caraibico o francofono.
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Nasce nel ’53 a Port au Prince, capitale di Haiti, e trascorre la sua infanzia con la nonna che
lui chiama DA, figura che caratterizza la sua giovinezza. A 23 anni circa uno dei suoi più
cari amici, Raimond, viene freddato dal regime e, distrutto e spaventato da questo evento,
decide di fuggire a Montreal. Laferriere arriva in Québec come scrittore esiliato, fa il
lavapiatti, stesso lavoro del protagonista Vieu, di Comment faire l’amour. Compra una
Remington 22, oggetto protagonista del romanzo, da un antiquario con i primi guadagni e
decide di scrivere un romanzo. Questo romanzo, pubblicato ne ’85, racconta un po’ la vita
di Laferriere arrivato a Montreal, una vita povera nei quartieri più poveri, e ha un enorme
successo. Viene tradotto in inglese che permise una diffusione mondiale. Laferriere ha
sempre considerato Montreal patria intellettuale degli scrittori della diaspora haitiana. il
problema principale di questa città è però il clima estremamente freddo ed è per questo che
sceglierà di trasferirsi a Miami che gli ricorda, per il clima, Haiti. Secondo Laferriere la
società montrealese crede di essersi liberata dei legami colonialisti e razziali, ma in realtà
funziona ancora secondo i vecchi miti.

Il primo romanzo denuncia questi miti mettendo in scena relazioni sessuali tra uomini di
colore e donne bianche che vengono tradizionalmente percepite come luogo di trasgressione
e di conflitti di razza. Nel 85’ nasce quindi Comment faire l’amour avec un negre sans se
fatiguer, un romanzo molto forte per il linguaggio utilizzato, di rottura, colloquiale e
volgare, e per come viene rappresentata Montreal. Il suo intento, come dichiarerà dopo il
suo ingresso nell’Academie Francais, è quello di diventare un ponte tra America e Africa.
Negli anni ’80 si sviluppa la postmodernità e la scrittura post-moderna in Québec. I testi di
Laferriere sono testi a metà tra due luoghi, due isole e da questi spazi emergeranno una serie
di incontri tra più mondi dove l’identità sarà sempre plurale e l’appartenenza culturale
ibrida. Metterà in pratica tutto ciò che aveva teorizzato Glissant. Dopo il successo di
Comment fair l’amour verrà chiamato dalla rete televisiva Quatre Seasons per condurre il
meteo: evento che provocherà un ulteriore shock nel Québec, un nero che annuncia la neve
con molto humor, elemento tipico della postmodernità. Sceglie di andare a Miami anche per
scappare dalla celebrità, non più compatibile col silenzio interiore fondamentale per uno
scrittore. Per Laferriere vale la definizione di spazio di Glissant, uno spazio privo di
contorni e confini per questo lo spazio americano è perfetto, perché talmente vago da essere
indefinibile. Spazio non filosofico ma reale, abita lo spazio, se ne appropria e la sua
concezione di spazio si riferisce a un continente. Usa questa concezione di spazio all’interno
dei suoi romanzi per demolire i cliché legati allo spazio e ai pregiudizi di cui l’America è
preda. È l’America a dover cambiare, non lui. Per questo la sua scrittura è libera, non legata
a una corrente letteraria o pensiero filosofico. È una scrittura molto concreta, ancorata alla
realtà anche quella più cruda.

Prende spunto dalla realtà, anche quella che gli appartiene e per questo spesso si parla di
autobiografia. In questo romanzo descrive infatti la sua situazione di nero a Montreal ed è
metanarrativo perché racconta di uno scrittore che scrive, altra caratteristica della
postmodernità. Parte da situazioni vere ma crea finzione. Con la postmodernità vi è una
scissione tra narratore e autore: l’autore pensa a cosa scrivere, il narratore in questo caso
Vieux, non è Laferriere: è pensato da lui ma non è lui. Non è semplice inserire questo
romanzo in un genere letterario, i creoli creano un neologismo, lodyans (l’audience) una
forma, un genere legato alla cultura haitiana e che ripropone ciò che fa Laferriere:
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raccontare una realtà vera e molto cruda e renderla finzione. La realtà è aggiustata, crea
fiction. Una verosimiglianza che ricorda il lavoro fatto da Manzoni con I Promessi Sposi.
Verosimiglianza è tipica della cultura creola. Con questo espediente scardina il concetto di
autobiografia, ereditato da Anglade che sosteneva che non solo bisogna aggiustare la realtà
ma essere critici sull’attualità. Vuole stimolare la riflessione nel lettore. Ciò che è chiaro
nella scrittura di Laferriere è che non esistono frontiere per lui, intese come non solo
geografiche ma anche sociali e linguistiche e per questo non accetta di essere etichettato e
firma il manifesto nel 2007 perché ha una idea di letteratura transnazionale che segna la fine
della francofonia perché secondo lui anche le frontiere geografiche sono fluide.

Laferriere usa tutti gli espedienti tipici della postmodernità unendoli agli elementi del
racconto della razza, del genere e della migrazione. Con lo stile e che è molto colloquiale e
il ritmo cerca di mantenere alta l’attenzione dello spettatore. Nella terza opera
dell’antologia americana dal titolo “l’odore del caffè” si evince uno degli elementi che
connota Laferriere come scrittore haitiano: la presenza del caffè che gli ricorda Haiti che,
cresciuto con la nonna, stava sempre sul terrazzino dal quale proveniva l’odore del caffè che
preparava sua nonna per gli ospiti. Elemento sì, autobiografico, ma che ha tanti altri
elementi tratteggiati in modo tale da renderli fiction. Pur essendo molto legato alla Francia,
si sente americano perché l’America è sinonimo di libertà e presente che gli dà la
connotazione dei luoghi, della sua presenza in quel momento. Fondamentale per lui perché è
un nomade a tutti gli effetti, caratteristica degli scrittori nomadi dove lo scrittore non si
identifica con dei luoghi specifici e per questo il tempo si confonde con lo spazio. Lui parla
sempre al presente che gli permette di rendere quello spazio in cui scrive eterno. Altro
elemento che lo accomuna agli scrittori americani è l’uso di immagini concrete, semplici e
precise. L’essere nomade gli permette di dimostrare che cis i può reinventare
continuamente, a seconda dei luoghi che si abitano e delle genti che si incontrano, senza mai
dimenticare il passato. Anche questo è un elemento della postmodernità. Laferriere non ha
scopi politici o voglia di scatenare una reazione reale sulle azioni dei suoi lettori, usa la
scrittura per conoscere sé stesso e capire dove è approdato. La sua è una letteratura
mondiale, praticando il decentramento e dichiarerà di non avere un paese di riferimento ma
di appartenere al paese dei suoi lettori. La concezione di altro, d’ici e l’ailleurs (qui e
altrove), la binarietà dello scrittore viene distrutta perché vi sono più identità presenti in
continua evoluzione. La narrazione ludica è sempre frammentata e l’humor è un escamotage
per fuggire dalla disperazione e dalla malinconia. Nell’opera “Questa granata nelle mani
di un giovane Negro è un’arma o un frutto?”, una riflessione sull’America dove fa un
bilancio dei suoi 20 anni in Québec, si chiede come il vivere in territorio nord-americano
abbia cambiato la sua vita mettendo in discussione il suo essere scrittore e quindi dichiarerà
di non essere più uno scrittore negro ma americano, ha separato quell’elemento di diversità.
In Comment dichiara che l’essere nero ha due sfaccettature:
- Il nero come creazione del bianco;
- Il recupero del nero che per rendere positivo il suo essere nero, si definisce nero per
liberare il nero in America.

Al bianco conviene che esista il nero, ma anche al nero conviene perché diventa elemento di
liberazione da una schiavitù psicologica nei confronti del bianco. Per gli haitiani, infatti, la
negritude diventa elemento di liberazione nazionale. Il Québec, a differenza dell’America, è
riuscito a sconfiggere il razzismo e definisce i quebecchesi neri d’America perché sono loro
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ad essere emarginati dal punto di vista economico dagli Americani. La negritude di
Laferriere è più ludica, postmoderna, fondata sulla decostruzione degli stereotipi e per
questo l’America è funzionale, qui le identità si confondono e gli permette di allontanarsi
dallo sguardo dell’altro.

Comment Faire l’amour avec un negre sans se fatiguer: è il primo dell’antologia


americana composta da 10 libri. La presenza femminile nel romanzo è stereotipata: bionde,
bianche, occhi azzurri, tutte studentesse della McGill University, università pensata per i
ricchi inglesi. Il romanzo si apre con il protagonista Negre detto Vieux, un nero qualsiasi
che frequenta solo donne bianche e anglofone della McGill perché, come dirà poi, mira al
potere economico e coloniale dell’America bianca. Usa la sessualità per conquistare questo
potere. L’eros diventa uno strumento per la lotta di classe all’interno della società e questo
romanzo diventa una guida per le donne bianche. Il protagonista, alle prese con una ragazza
bianca, ricca e sofisticata, una WASP: White American Anglo-Saxon Protestant" (Bianco
Americano Anglosassone Protestante), acronimo utilizzato per indicare i discendenti dei
primi emigrati nel New England e che detengono il potere all’interno del Paese. Il titolo
serve per richiamare l’attenzione del lettore e nel romanzo non c’è una risposta alla
domanda posta. Trama: mette in scena la storia di due intellettuali neri: Negre detto Vieux
e Bouba, il suo coinquilino. Vivono in un appartamento di una zona misera di Montreal.
Vieux è uno scrittore che dedica le sue giornate alla stesura di un romanzo (metanarrazione
tipica del postmodernismo perché Vieux scrive un romanzo intitolato “Paradiso di un neo-
conquistatore negro” e terminerà la scrittura alla fine del romanzo). La chiusura dei romanzi
è contemporanea e non si saprà mai se Vieux diventerà o meno uno scrittore di successo o lo
sogna semplicemente. Bouba è un musulmano nero che passa il suo tempo sul divano ad
ascoltare musica jazz, dormire e leggere Freud. Entrambi hanno rapporti sessuali con donne
bianche. Altro elemento destabilizzante è leggere di due neri che hanno una vasta
conoscenza del jazz, di letteratura e di psicanalisi. L’obiettivo dei romanzi di Laferriere è di
smontare ogni cliché legato a razza, sessualità, infatti mette in scena stereotipi dell’uomo
nero e della donna bianca inseriti nel contesto americano. Le donne sono sempre bianche,
bionde e con gli occhi azzurri, e l’uomo nero ha sempre un forte desiderio sessuale,
affamato non solo di sesso ma anche di cibo, aspetto fondamentale perché ad Haiti si muore
di fame. L’idea di fame metaforica paragona le donne al cibo di cui l’uomo nero è
insaziabile e con l’ironia, amplificandoli, li rende non più credibili, li decostruisce. A questi
due protagonisti si contrappongono i delinquenti del quartiere che appiccheranno un
incendio all’interno dell’appartamento dei protagonisti perché li credono, preda dei
pregiudizi, spacciatori che vogliono togliere loro la zona di spaccio. In questa scena risalta
molto Vieux che cerca, in un gesto eroico, di salvare la sua Remington 22 e il manoscritto.

Il romanzo è scritto dopo il referendum voluto dal partito quebecchese per ottenere
l’indipendenza dal Canada, ma fu un fallimento. La reazione dei quebecchesi fu di darsi al
divertimento più sfrenato per distogliere l’attenzione dal momento estremamente
drammatico e l’opera di Laferriere racconta questa frenesia. Montreal, la città che fa da
sfondo al romanzo, fa del divertimento un elemento fondamentale per dimenticare le
questioni razziste e colonialiste che riemergono in quegli anni in Québec. L’intertestualità in
Laferriere include riferimenti a Bukowski, la religione islamica, gli artisti del jazz. Lo stile è
immediato, sembra un giornale, un diario. È ina scrittura corporea e fitta di dialoghi,
inserisce anche giochi di parole, spesso grotteschi, che attirano l’attenzione del lettore.
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L’obiettivo di Vieux è di avere successo e di conquistare l’America, facendo confondere la
figura del narratore con quella dell’autore, infatti, non si capisce se è autobiografica o no.
L’uso del presente, dell’iper-realtà all’interno del romanzo fa dimenticare al lettore che in
realtà sta leggendo una fiction e usa la mimetizzazione per fare questo. Il romanzo viene
definito un diario perché Vieux racconta minuziosamente giorno dopo giorno la sua
quotidianità. Usa sempre il presente, monologhi, piccoli dialoghi e frasi brevi. Con questo
tipo di scrittura, avviene un coinvolgimento emotivo del lettore, sembra quasi volersi
confidare, rivelare i suoi pensieri più intimi. Con questo diario tenta di esplorare la sua
negritude e vuole creare empatia verso i personaggi, descrivendo luoghi squallidi e una vita
miserabile, sottolineando che entrambi Vieux e Bouba non cercano l’amore. Questi rapporti
sono il percorso di due neri alla ricerca della loro identità.

Nel romanzo compare una sola donna nera, una cantante jazz, e lo fa per proteggere la
donna nera. Le donne che vengono violate in modo consenziente dai due neri vanno con
piacere a casa loro, cucinano e puliscono per loro ribaltando così nell’atto sessuale la
situazione con l’uomo nero che mette in subordinazione la donna bianca. L’uomo bianco
non esiste, ma con l’ipersessualità dell’uomo nero l’uomo bianco è presente implicitamente
quando Vieux dice che l’uomo bianco è sessualmente morto, mantiene solo il potere
economico e non quello sessuale. Questa idea di sottomissione della donna bianca rimarca il
senso di potenza che il cittadino quebecchese francofono prova nei confronti degli
anglofoni. Vieux si renderà conto che il sesso non è il mezzo adatto per ricomporre la sua
identità ma può farlo solo con la scrittura e infatti verso la fine la scrittura diventerà
l’attività che gli darà piacere. Solo alla fine Vieux potrà passare dalla negritude all’essere
nero, dal negro al nero. Le varie ragazze che popolano l’appartamento, Miz Sophisticated,
Miz Letteratura, portano una situazione da affrontare e pongono nel lettore delle aspettative,
in una soluzione che non verrà mai svelata. Nonostante Laferriere dica di non avere obiettivi
politici o sociali racconta della triplice emarginità che vive l’immigrato di colore: è nero,
povero e francofono riunendo i tre poli identitari: canadese, haitiano e quebecchese.

La sessualità: è chiaro che Laferriere si rivolga ai quebecchesi perché utilizza tutti i simboli
della sua città: la McGill, la croce. Le ragazze tutte studentesse di quella università sono
inserite di consapevolmente perché in quel modo collega l’anticolonialismo nero al
sentimento anti-british del Québec francese. Nel romanzo successivo le amanti di Vieux non
saranno solo le WASP e il rivale, l’uomo bianco, non sarà più inglese perché sottolineerà lo
scarto tra la condizione dei neri d’America e dei quebecchesi francofoni dominanti
evidenziando che il potere sessuale dei neri accentua la loro povertà materiale e le
ineguaglianze sociali. La sessualità che mette in scena è uno strumento politico, di potere
sociale e razziale, è l’unico modo per Vieux di accedere a quel potere sull’uomo bianco.
Concetto ripreso da un testo che della soggiogazione razziale che analizza la negrofobia,
ovvero una psicopatia dell’uomo bianco per la corporeità dell’uomo nero, una paura del
potere sessuale dell’uomo nero. Laferriere con l’oppressione razziale giustifica in un certo
senso l’oppressione sessuale. La supremazia fa delle donne bianche degli oggetti che non
hanno voce o autonomia e che devono essere sottomesse. Il discorso sessista viene
accantonato in favore di un discorso antirazzista. È il filo conduttore su cui si sviluppa il
primo romanzo ma è presente anche in altri dove mette sempre in evidenza la morte sessuale
dell’uomo bianco che nonostante tutto continua a detenere il potere politico ed economico.

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Fu fatto un film che non ottenne un grande successo, mente il film sul romanzo Vers le Sud
vinse a Cannes.
Anche questo romanzo è ambientato ad Haiti e ha come protagoniste delle donne che vanno
lì per sfruttare im maschio nero haitiano e Laferriere ne cura la scenografia.

I romanzi di Laferriere vengono considerati letteratura femminile, non casualmente, perché


le donne nei suoi romanzi sono il motore e consentono di affrontare degli argomenti come la
fondazione dell’identità politica del soggetto trattando questi argomenti da un punto di vista
erotico che lo rendono quasi sempre politicamente scorretto ma che rendono la scrittura
efficace e funzionale alla causa.

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