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L’azienda rappresenta un insieme di risorse (persone e mezzi materiali e immateriali) che svolgono
un’attività coordinata rivolta alla produzione di beni e/o servizi, partendo dall’esistenza dei bisogni umani
che ne sono all’origine e dalla necessità di appagarli in condizioni economiche caratterizzate dalle regole
del mercato (dove possono coesistere prodotti estremamente differenziati per il medesimo bisogno o
viceversa). Tale accezione può essere interpretata sotto differenti punti di vista: sotto il profilo economico,
l’attività aziendale riguarda l’impiego di diversi fattori produttivi per la produzione di beni e servizi con la
prospettiva di efficienza economica (produrre il massimo possibile con il minor costo complessivo); sotto il
profilo tecnico, essa viene vista come un insieme di tecnologie che permettono lo svolgimento dell’attività;
sotto il profilo psico-sociologico, l’azienda rappresenta un insieme di dinamiche individuali o collettive,
mosse da motivazioni ed interazioni; infine, sotto il profilo giuridico l’azienda rappresenta una persona
giuridica contraddistinta da diverse caratteristiche quali la forma societaria, i contratti lavorativi, tutela dei
diritti e doveri dei lavoratori, responsabilità, rapporti con terzi ecc.
Il termine azienda, tuttavia, è generico, e non stabilisce delle caratteristiche ben delineate; a tal proposito
distinguiamo unicamente:
Aziende di erogazione, soddisfano direttamente i bisogni di soggetti ben determinati
Aziende di produzione per il mercato, soddisfano indirettamente i bisogni dei soggetti attraverso
l’intermediazione del mercato
Caratteristiche comuni a tutte le aziende sono i sistemi di obiettivi e sub-obiettivi, detti prospettive:
Eccellenza dei processi, ovvero l’efficienza (rapporto tra risorse impiegate e prodotti realizzati) e
l’efficacia (rapporto tra quantità e qualità dei prodotti immessi nel mercato) dei processi operativi
riguardanti l’intera attività aziendale
Equilibrio economico-finanziario, ovvero il mantenimento di una condizione economica efficiente
ed efficace, per la quale la differenza tra i costi di produzione e i ricavi ottenuti continui a generare
un risultato economico positivo (profitto, in caso contrario si parla di perdita)
Customer satisfaction, ovvero il mantenimento di un feedback positivo tra i beni e servizi erogati e
le attese dei clienti e/o dell’utenza (a seconda che si tratti di impresa privata o azienda pubblica)
Sviluppo organizzativo, ovvero l’adeguatezza quali-quantitativa delle risorse umane impiegate e
dell’organizzazione del lavoro all’interno del sistema aziendale
Il concetto di sistema aziendale sottolinea il rapporto di interdipendenza che si instaura tra gli elementi che
la costituiscono, poiché la realizzazione dei processi produttivi richiede l’impiego di diverse e specifiche
abilità e risorse. Nello specifico, nell’attuazione dei processi della gestione aziendale possiamo riconoscere
tre principali funzioni:
1. Innovazione, attività di ricerca e progettazione di nuovi prodotti
2. Marketing, attività di analisi dell’evoluzione delle tendenze e delle richieste del mercato in modo da
soddisfarle con prodotti ‘su misura’
3. Produzione, attività di realizzazione materiale dei prodotti
Nel rapporto sistemico aziendale, potremmo dire che queste tre funzioni sono perfettamente
interconnesse: il marketing permette di ottenere preziose informazioni circa il mercato e le preferenze dei
clienti attraverso la pubblicità e la comunicazione; tali input vengono rielaborati dagli addetti
all’innovazione, trasformandoli in idee e progetti concreti appetibili per la commercializzazione; infine, il
reparto di produzione provvederà a verificarne la fattibilità tecnica e successivamente alla loro
realizzazione.
Dunque, la visione sistemica dell’azienda si fonda su un processo di scomposizione delle singole parte che
caratterizzano l’attività aziendale. Tuttavia, anche l’azienda nel suo insieme fa parte di un macrosistema,
ovvero l’ambiente, con il quale si relaziona (in un rapporto di feedback) sotto differenti aspetti:
Politico-legislativo, ovvero il rapporto tra l’azienda e l’assetto istituzionale ed amministrativo del
paese (o paesi) in cui viene operata l’attività aziendale, ad esempio l’insieme di norme che
disciplinano il diritto societario (costituzione, funzionamento, amministrazione ed estinzione
aziendale), la normativa fiscale (es. titoli di borsa) e la disciplina giuridica dei rapporti lavorativi
vigente (es. normativa sulle tipologie di contratto). In tal senso, l’ambiente politico-legislativo è
ancora più complesso nel caso in cui il paese in cui si esercita un’attività fa parte di macrosistemi
(es. Unione europea)
Economico, ovvero l’insieme di grandezze macro-economiche di un paese, che fungono da
indicatori, quali il PIL, rapporto tra PIL e debito pubblico, livelli di inflazione, tassi di cambio con
valute estere e lo spread (divario tra rendimento di titoli di stato nazionali con titoli analoghi di altri
paesi assunti a modello, ad esempio il rapporto tra i BTP italiani e i Bund tedeschi)
Socio-culturale, ovvero l’insieme di caratteristiche riguardanti la società sotto l’aspetto demografico
(rapporto tra popolazione giovane e anziana, rapporto tra popolazione maschile e femminile, ecc.),
sociologico (stratificazione sociale, livello di istruzione ecc) e culturale (rapporto con il potere,
individualismo, ‘mascolinità’, ecc)
Tecnologico, ovvero l’insieme di conoscenze, competenze tecniche, strumenti e prodotti
immateriali (software) per svolgere l’attività aziendale e perfezionare l’innovazione dei prodotti.
Distinguiamo tecnologie di base (basilari per operare attivamente, es. macchinari specifici),
tecnologie strategiche (forniscono un reale vantaggio competitivo poiché migliorano di livelli di
efficienza), tecnologie complementari (forniscono un potenziale vantaggio economico a seconda di
specifiche condizioni che si sviluppano gradualmente, es. riduzioni di consumi ed emissioni per
autoveicoli) e tecnologie emergenti (allo stadio iniziale e ancora in via di sviluppo, ma
potenzialmente in grado di ridimensionare e sostituire quelle attuali, es. digitalizzazione nei sistemi
di scrittura, fotografia, grafica ecc)
Riconosciamo inoltre un vero e proprio ambiente specifico aziendale, costituito da:
Mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi, ovvero l’insieme di fattori che competono alla
produzione, quali il personale, le materie prime, le immobilizzazioni tecniche (impianti, macchinari,
fabbricati ecc), utenze (telefono, elettricità, gas, ecc), risorse immateriali (marchi, software,
brevetti), servizi ausiliari di vario genere
Mercati di vendita dei prodotti, ovvero l’insieme di fornitori, clienti, concorrenti attuali, concorrenti
potenziali e produttori di beni e servizi sostitutivi. Ciascuno di questi soggetti è in grado di operare
una certa ‘forza’ sul sistema aziendale: fornitori e clienti esercitano una forza verticale, poiché
interagiscono direttamente con l’azienda che è quindi in grado di gestire la situazione in modo
ottimale; le aziende concorrenti, invece, esercitano una forza orizzontale in quanto le loro azioni
non possono essere controllate dall’azienda, che in questo caso deve cercare di adattarsi alle nuove
minacce del mercato (es. mercati dei paesi emergenti, prodotti concorrenti a basso costo e
commercializzazione di prodotti sostitutivi a prezzi competitivi) e rivalutare le proprie strategie
L’economia aziendale è la disciplina che studia l’organizzazione e la gestione delle aziende di ogni specie,
attraverso l’individuazione di relazioni significative tra i fenomeni che compongono la vita aziendale e
l’osservazione delle realtà costituite da aziende concrete, considerate nella varietà di condizioni gestionali,
organizzative ed ambientali. In quest’ottica, la gestione rappresenta l’attività in cui si estrinseca il
comportamento aziendale per la realizzazione di un oggetto ed il conseguente raggiungimento di obiettivi
(progettazione dei prodotti, reperimento dei materiali, produzione, vendita, contabilità, ecc), nonché
l’attività mediante la quale l’azienda pianifica a lungo termine (gestione strategica) o seguendo le scelte di
business nel breve periodo (gestione corrente); l’organizzazione, invece, riguarda l’attività di suddivisione
delle attività lavorative legate alla gestione in diversi ruoli e organi (reparti, direttori di reparto, ecc),
nonché la distribuzione del potere manageriale interno (management e leadership).
Le rilevazioni quantitative (contabili ed extra-contabili) rappresentano gli strumenti più importanti per
produrre dati ed informazioni utili per le attività di gestione; esse si dicono consuntive se riguardano
fenomeni già avvenuti (es. bilancio d’esercizio), preventive se riguardano fenomeni futuri (es.
stanziamento del budget).
Per quanto riguarda l’organizzazione, molto importanti sono le discipline del management, vere e proprie
chiavi di lettura per l’analisi aziendale; distinguiamo:
Analisi per funzioni, ovvero l’analisi aziendale in riferimento ad insiemi di attività omogenee dal
punto di vista tecnico-economico relative all’area commerciale (vendita e rapporti con i clienti), alla
produzione (reperimento materiali, realizzazione materiale e distribuzione) e all’amministrazione
(contabilità)
Analisi per processi, approccio più sistemico per “leggere” l’azienda relativo all’analisi di attività
omogenee dal punto di vista degli obiettivi perseguiti (es. il processo di material management
riguarda l’insieme di attività rivolte all’economicità, in termini di efficacia ed efficienza, della
commercializzazione dei prodotti, convergendo ogni attività dal reperimento delle materie prime
alla realizzazione finale e la distribuzione)
Circa le aziende pubbliche, il primo approfondimento da fare concerne l’individuazione delle diverse
configurazioni dei soggetti operanti nel settore pubblico, mediante l’utilizzo di due approcci distinti:
Metodologia economico-statistica, che definisce le aziende pubbliche sulla base dell’impostazione
contabile del Sec95 (sistema europeo dei conti nazionali e regionali), ovvero lo schema di
riferimento nelle determinazioni di contabilità nazionale; infatti, negli ultimi anni il settore pubblico
è stato oggetto di una serie di provvedimenti legislativi atti a fornire un costante monitoraggio e
revisione della spesa pubblica (spending review), con l’obiettivo di rispettare certi standard
qualitativi e quantitativi nell’erogazione di servizi pubblici ai cittadini (pur non essendo spinti da
motivazioni di profitto). In tal senso, l’ISTAT è responsabile della redazione annuale dell’elenco
generale delle istituzioni appartenenti al settore delle AAPP, considerando le varie tipologie di
amministrazione, tra le quali amministrazioni centrali (organi di stato, agenzie fiscali, ecc),
amministrazioni locali (enti locali, università, camere di commercio, asl) ed enti nazionali di
previdenza (INPS e INAIL)
Prassi del diritto amministrativo, secondo cui è possibile individuare due diverse tipologie di
soggetti: enti pubblici territoriali, ovvero enti che trovano nel territorio il limite dell’efficacia dei
propri atti di natura amministrativa (tra cui enti pubblici nazionali ed enti pubblici locali); enti
pubblici non territoriali, ovvero enti che al contrario non trovano nel territorio un limite effettivo
all’efficacia della propria attività istituzionale – tra essi distinguiamo: enti pubblici economici, che
esercitano un’attività di impresa avvalendosi di strumenti privatistici pur mantenendo una natura
pubblica per gli atti di pubblico dominio (es. bilancio), tra cui gli enti tramutati in società per azioni
(Eni, Enel, ecc.) o privatizzati (es. Ente Tabacchi Italiani); enti pubblici non economici, ovvero tutte le
realtà non riconducibili alle categorie economiche, ad esempio gli istituti di stato che svolgono
funzioni di supporto ed assistenza tecnica all’attività di amministrazioni e altri imprese (es. Istat) e
gli enti di servizio che erogano servizi a favore dei cittadini avvalendosi di finanziamenti di natura
contributiva (es. INPS e INAIL)
Il secondo tema di approfondimento circa le aziende pubbliche riguarda i loro caratteri distintivi, in
funzione di 5 aspetti:
La presenza di un sistema di governo a diversi livelli, con un governo “politico istituzionale” e una
“dirigenza amministrativa”
L’orientamento all’innovazione dettato dai processi di e-government per la produzione di servizi
per il cittadino
L’utilizzo della contabilità finanziaria
La specificità dei sistemi di finanziamento
Il sistema di tesoreria
In riferimento al primo aspetto, possiamo dire che il governo “politico istituzionale” corrisponde a quello
che fa capo ai soggetti politici che rivestono il loro ruolo in forma di mandato elettorale ed esprimono le
strategie politiche di orientamento della gestione; la “dirigenza amministrativa” rappresenta invece
l’insieme di organi tecnici del governo aziendale, che svolgono il loro ruolo su base meritocratica senza
accreditamenti elettivi.
In riferimento al secondo aspetto, possiamo dire che l’orientamento verso l’innovazione nel settore
pubblico ha portato alla creazione di neologismi come appunto “e-government”, termine che fa
riferimento all’utilizzo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) per
l’ammodernamento del’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche. Attualmente, in Italia le attività di
e-government sono regolate dal codice dell’amministrazione digitale e vengono coordinate da Digit PA,
ente che si occupa della progettazione della PA.
L’e-government può configurarsi in modi diversi in riferimento alla multicanalità attuale, ovvero la capacità
di combinare diversi canali e strumenti comunicativi per un approccio sistemico all’attività di
comunicazione interaziendale. Affiancate alle attività di e-government troviamo inoltre:
M-government (mobile government), ovvero l’insieme di servizi erogati in forma mobile, ovvero
fruibili dall’utenza in qualsiasi momento e in ogni luogo (es. servizi di telefonia, reti internet ecc)
T-government, ovvero la configurazione di servizi relativi alle piattaforme tecnologiche della
televisione digitale terrestre
In riferimento al terzo aspetto, possiamo dire che la contabilità finanziaria rappresenta uno strumento
importante per meglio comprendere le finalità dei diversi modelli contabili:
Nelle imprese private viene impiegata la partita doppia, in quanto tale strumento facilita
l’individuazione del reddito
Nelle aziende pubbliche viene impiegata la partita semplice, in quanto per le finalità portate avanti
dalle AAPP è sufficiente verificare l’equilibrio finanziario tra risorse disponibile e risorse impiegate
In particolare, negli ultimi anni sono state attuate diverse riforme che hanno integrato maggiormente la
contabilità finanziaria con quella economico-patrimoniale, permettendo quindi anche nel settore pubblico
di implementare un maggior sistema di controllo e gestione capace di rispondere alle tipiche domande del
mercato, ad esempio:
Quanto costa produrre un determinato bene o servizio?
Il suo costo è uniforme in tutto il territorio?
Che differenze ci sono, in termini qualitativi, tra i servizi offerti dal settore pubblico e quelli offerti
da imprese private?
Le aziende pubbliche sono inoltre obbligate per legge a formulare il cosiddetto bilancio preventivo, ovvero
ciò che presso i privati viene definito budget, con la distinzione che quest’ultimo è un documento
orientativo redatto all’interno dell’azienda e non prevede obbligo di divulgazione né tantomeno l’obbligo
di attenersi fermamente ai dati in esso contenuti; viceversa, i bilanci preventivi delle aziende pubbliche
devono essere obbligatoriamente resi noti al pubblico e presentano l’obbligatorietà di attenersi
esclusivamente agli stanziamenti di spesa indicati.
In riferimento al quarto aspetto, possiamo dire che le aziende pubbliche traggono i propri finanziamenti
mediante fonti proprie e derivate.
Tra le fonti proprie troviamo:
Tributi, derivanti dal potere impositivo di alcuni enti territoriali, ovvero dall’imposizione del
pagamento di una determinata somma in tributi (es. IMU, IRPEF, ecc)
Tasse, ovvero le prestazioni richieste per usufruire di un servizio sotto specifica richiesta (es. ticket
sanitario)
Contributi diretti, al contrario delle tasse, sono esazioni coattive per servizi offerti indistintamente
alla collettività (es. contributo al servizio sanitario incluso nei premi di assicurazione)
Proventi diversi, tra cui le entrate per servizi relativi ad attività a contenuto commerciale (ovvero
operando nella forma del libero scambio), i dividendi delle società partecipate, i proventi dei beni
patrimoniali e le contravvenzioni stradali
Disinvestimenti, ovvero la cessione di beni appartenenti al patrimonio dell’azienda (immobili,
terreni, marchi ecc)
Per quanto riguarda invece le aziende non profit, come già analizzato rappresentano una particolare forma
aziendale che si colloca a metà tra il settore pubblico e i privati, operando nella sfera del soddisfacimento
dei bisogni sociali ma adoperando forme giuridiche caratteristiche delle imprese private. Tra i principali
settori di sviluppo del settore no profit abbiamo la sanità (specialmente in riferimento a particolari
patologie), l’assistenza sociale, l’educazione di minori e adulti, la promozione della cultura, la tutela dei
diritti ecc. Talvolta l’attività non profit si colloca nella sfera del volontariato e della filantropia.
Si differenziano sia dalle aziende pubbliche che dalle imprese private poiché tali istituti aziendali non sono
emanazioni dello stato o sue componenti, bensì la loro nascita è collegata ad una libera e volontaria
iniziativa di persone che prefissano una “mission” da perseguire, generalmente legate ad attività poco
efficienti o addirittura inesistenti sia nel contesto pubblico che privato. La particolarità di queste aziende,
come suggerito dal nome, è l’assenza dello scopo di lucro: infatti, la ricchezza prodotta in termini
economici dall’attività svolta deve essere esclusivamente reinvestita nella stessa azienda per il supporto di
nuove attività e non può essere suddivisa in dividendi tra i soggetti che la costituiscono. Non a caso, la
maggior parte delle aziende non profit trae la propria ricchezza maggiore non sotto l’aspetto economico,
bensì sotto quello sociale e culturale, favorendo la diffusioni di valori etici coerenti con la propria mission
all’interno della comunità.
Le aziende non profit sono spesso costituite sottoforma di cooperative sociali, che possono essere di tipo A
(gestione di servizi socio-sanitari ed educativi) o di tipo B (svolgono altre attività al fine di inserire persone
svantaggiate nell’ambito lavorativo. Per quanto riguarda le modalità di finanziamento delle aziende non
profit, esse ricevano la maggior parte dei loro finanziamenti attraverso donazioni, contributi volontari ed
entrate derivanti da tariffe pagate dagli utenti per servizi specifici.
Importanti aziende non profit sono:
Greenpeace, che opera nella promozione di politiche alternative per contrastare i problemi
ambientali, la povertà e le guerre
Emergency, che opera nel settore medico-chirurgico (gratuitamente) per prestare soccorsi alle
vittime di guerra e della povertà nelle regioni più povere e devastate del pianeta
Nell’esercizio della sua attività, un’azienda si assume obblighi e acquisisce diritti da essa derivanti. Tali
obblighi e diritti si rifanno ad un soggetto specifico, denominato soggetto giuridico, che può essere una
singola persona fisica (attività svolta da una sola persona che si assume tutti i rischi di impresa) oppure un
soggetto collettivo (rischio di impresa assunto da più persone).
Quando si parla di forma giuridica dell’impresa si fa quindi particolare riferimento alla sua formazione e
alla determinazione del soggetto giuridico di riferimento: in particolare, possiamo distinguere a livello
prettamente generale le imprese individuali e le società (o imprese collettive); tale distinzione ci permette
di dare un’immediata definizione delle modalità di acquisizione dei fattori produttivi e della loro
remunerazione, nello specifico:
Fattori produttivi la cui remunerazione è stabilita al momento dell’acquisizione
Fattori produttivi la cui remunerazione è collegata al risultato economico
In quest’ultima categoria emerge la questione del rischio di impresa, ovvero l’eventuale incapacità dei
ricavi generati dall’attività di remunerare congruamente i fattori produttivi adoperati. Il nostro sistema
giuridico stabilisce che siano coloro che hanno apportato i fattori a decidere su come gestire l’intera
attività, seguendo quindi un connubio logico che nelle imprese individuali riguarda la singola persona fisica
titolare dell’impresa (che gestisce in forma autonoma e quindi si assume totalmente il rischio di impresa,
coinvolgendo eventualmente il proprio patrimonio personale esterno all’impresa), mentre nelle società il
rischio di impresa viene ripartito fra i soci secondo diverse modalità, a seconda della forma giuridica
assunta al momento della costituzione di impresa. Distinguiamo:
Società di persone, tra cui la società semplice (ss), la società in nome collettivo (snc) e la società in
accomandita semplice (sas)
Società di capitali, tra cui la società per azioni (spa), la società in accomandita per azioni (sapa) e la
società a responsabilità limitata (srl)
Società mutualistiche, tra cui la società cooperativa e la mutua assicuratrice
Nelle società di persone il fattore produttivo apportato dai soci può consistere nel lavoro svolto, nei
conferimenti in capitali o sottoforma di altri beni o ancora nel godimento di alcuni beni (esempio immobili
per svolgere l’attività). Per la costituzione del capitale sociale, nelle società di persone non vi è un limite
minimo da rispettare, quindi ogni socio può conferire ciò che viene pattuito al momento della costituzione
con la stipulazione dell’atto costitutivo, che determina non solo l’ammontare del capitale sociale e dei
singoli conferimenti, ma anche le modalità di amministrazione dell’azienda. In linea di massima, nelle
società di persone tutti i soci hanno pari diritto di amministrare la società, fatta eccezione per le società in
accomandita semplice dove distinguiamo tra:
Soci accomandatari, che hanno diritto e dovere di amministrare la società secondo le modalità
previste dall’atto costitutivo
Soci accomandanti, che non possono in alcun modo occuparsi della gestione dell’impresa
Le società di persone sono caratterizzate dalla autonomia patrimoniale (ovvero dalla titolarità di diritti e
obblighi da parte della società in funzione all’attività svolta) che viene definita imperfetta, poiché qualora
la società non fosse in grado con le sue forze di far fronti agli obblighi derivanti dall’attività, secondo il
principio della sussidiarietà saranno i soci a risponderne, rischiando non solo il fattore produttivo
apportato e la sua relativa remunerazione, ma anche il proprio patrimonio personale esterno all’azienda. In
tal senso, il rischio di impresa è massimo per i soci di una società di persone, fatta eccezione per i soci
accomandanti che sono invece obbligati a rispondere solo in funzione ai conferimenti apportati.
La presenza di più soci comporta la necessità di redigere un bilancio d’esercizio con cadenza generalmente
annuale: si tratta di un documento interno alla società, redatto dagli amministratori, che permette di
valutare l’operato aziendale e calcolare il risultato economico (che può tradursi in utile o perdita); in tal
senso, il bilancio rappresenta la base di partenza per procedere poi al calcolo di suddivisione degli utili tra i
singoli soci, in riferimento alle modalità di remunerazione indicate alla costituzione. Il bilancio, trattandosi
di un documento interno all’azienda, non obbliga quest’ultima a divulgarne i dati al pubblico, fatta
eccezione per alcuni operazioni come la dichiarazione dei redditi o l’accesso ad un credito bancario.
Tuttavia, è fondamentale per ogni società che produce beni o servizi rendere pubblica la propria identità
mediante l’iscrizione presso il registro delle imprese, dove vengono indicate le informazioni dettagliate
dell’istituzione aziendale:
Ragione sociale, ovvero il nome attribuito all’azienda, generalmente di fantasia ma
obbligatoriamente accompagnato dalla denominazione aziendale (es. snc) e dal nome di uno o più
soci illimitatamente responsabili (nelle società di persone)
Oggetto sociale, ovvero l’attività svolta
Sede legale, ovvero il luogo indicato dai soci come sede amministrativa dell’azienda ossia l’indirizzo
verso dove verranno recapitati tutti gli atti giuridicamente rilevanti (non è necessariamente
coincidente con quella operativa)
Identità dei soci, conferimenti apportati e modalità di ripartizione pattuite
Capitale sociale, ovvero il valore complessivo attribuito ai conferimenti dei soci, che rappresenta il
patrimonio aziendale iniziale; si distingue dal patrimonio netto poiché quest’ultimo viene dato dalla
differenza tra ciò che l’azienda possiede realmente (attività) e l’ammontare di debiti o impegni
(passività) in riferimento ad un preciso momento
Indicazioni circa i soci delineati come amministratori e le tipologie di atti permessi e le relative
modalità d’esecuzione; è molto importante definire in modo chiaro questa informazione, in quanto
nelle società di persone chi amministra attivamente la società ne è anche rappresentante, ovvero
mediante la sua firma ha modo di impegnare l’intera società
Eventuali modifiche dell’atto costitutivo, decretate dagli amministratori e formalizzate da un notaio
per permettere di depositare poi l’atto presso il registro delle imprese
Nelle società di capitali, invece, il fattore produttivo apportato dai soci può consistere unicamente in
denaro o beni valutabili; in tal senso, i risultati positivi ottenuti dalle aziende devo essere ripartiti
egualmente fra i soci in base ai conferimenti effettuati. Le società di capitali sono caratterizzate da una
autonomia patrimoniale perfetta, in quanti per gli obblighi contratti dalla società ne è responsabile
unicamente la stessa con il proprio capitale, dunque i soci non sono responsabili di tali obblighi neanche in
via sussidiaria. Tale autonomia patrimoniale perfetta viene assunta in funzione dell’attribuzione alla società
di capitali della cosiddetta personalità giuridica, che rende la società a tutti gli effetti una persona fisica
autonoma, titolare dunque di diritti e obblighi e completamente distaccata dai suoi soci.
La personalità giuridica aziendale e la conseguente autonomia patrimoniale perfetta portano a loro volta
alla:
Presenza di una pluralità di organi, tra cui: l’assemblea dei soci, organo che permette ai soci di
operare la loro amministrazione indiretta nei confronti della personalità giuridica aziendale
mediante riunioni di tipo ordinario con voto di maggioranza (nomina amministratori e organi,
approvazione del bilancio e divisione degli utili) o straordinario con quorum di votanti (modifica
dell’atto costitutivo e delle regolamentazioni pattuite); l’organo di gestione, ovvero il soggetto
designato dall’assemblea per amministrare la società (rinnovato ogni 3 anni) che può essere un
amministratore unico oppure un consiglio di amministrazione composto da due o più persone, che
si occupa della gestione prendendo ogni decisione a maggioranza o talvolta all’unanimità,
accertandosi della verbalizzazione degli atti e della loro pubblicità a carico del presidente del
consiglio di amministrazione (rappresentate legale), tuttavia il consiglio ha la possibilità di delegare
parte delle decisioni di gestione ad un nucleo più ristretto di individui, detto comitato esecutivo, o
addirittura ad una o più persone che operano disgiuntamente, detti amministratori legali; organo di
controllo, che può essere un sindaco unico oppure un collegio sindacale composto da tre persone,
che ha il compito di analizzare la legalità e la correttezza dell’operato degli amministratori,
occupandosi talvolta anche del controllo contabile (srl), funzione che nelle spa di grandi dimensioni
viene svolta da una società di revisione o revisore legale (controllo contabile approfondito)
Necessità di un capitale minimo, variabile a seconda del tipo di azienda (120.000 euro per le spa e
sapa; 10.000 per le srl)
Pubblicità sull’andamento aziendale, molto importante soprattutto per le grandi aziende di capitali
Spa: la forma giuridica principale delle società di capitali il cui nome deriva dal fatto che il capitale sociale
viene ripartito in parti esattamente uguali, dette appunto azioni. In funzione ai versamenti apportati al
momento della costituzione aziendale, ogni socio avrà un numero congruo di azioni. Le singole azioni
societarie possono essere tranquillamente acquistate e vendute secondo un prezzo di negoziazione
(determinato quotidianamente dai valori in borsa delle azioni quotate), ovvero un punto di incontro fra
domanda e offerta. Infatti, se da una parte un investitore ha la possibilità di sottoscrivere il capitale sociale,
dall’altra la somma conferita non è vincolata per tutta la vita aziendale: pertanto, l’azionista avrà sempre la
possibilità di cedere le sue azioni a nuovi investitori.
L’atto costitutivo delle società per azioni deve essere necessariamente redatto da un notaio, che dovrà
verificarne il contenuto e la rispondenza alla legge. L’atto deve contenere:
Identità dei soci con relativo numero di azioni e rispettivo valore nominale e modalità di emissione
e circolazione
Denominazione aziendale, comune e indirizzo relativo alla sede legale ed eventuali sedi secondarie
Oggetto sociale
Totale del capitale sociale sottoscritto
Valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura
Norme di ripartizione degli utili
Benefici accordati ai soci
Sistema di amministrazione adottato
Numero di componenti del collegio sindacale e nomina degli amministratori
Durata della società
Una volta valutata la conformità dell’atto, il notaio lo trasmette presso il registro delle imprese, decretando
quindi la definitiva costituzione aziendale nonché confermandone l’autonomia patrimoniale perfetta e la
personalità giuridica autonoma.
Sapa: la società in accomandita per azioni è una società per azioni a tutti gli effetti, caratterizzata però dalla
presenza di azionisti accomandatari, ovvero illimitatamente responsabili in via sussidiaria per gli obblighi
contratti dalla società.
Srl: si tratta di una società di capitali destinata alle imprese a ristretta base societaria. Si tratta di una
società meno rigida e più adattabile alla volontà dei soci rispetto alle spa, pertanto alcune
regolamentazioni sono quelle tipiche delle società di persone. Infatti, l’amministrazione di tali aziende può
essere assegnata ad un consiglio di amministrazione come nelle spa, così come può essere attribuita in
modo congiunto o disgiunto ad alcuni soci.
Infine, per quanto riguarda le società mutualistiche, si tratta di particolari società che hanno come
obiettivo quello di raggiungere il cosiddetto lucro soggettivo, ovvero un vantaggio economico ottenuto
attraverso lo svolgimento dell’attività aziendale; tale vantaggio può riguardare l’ottenimento di una
maggiore retribuzione rispetto a quella del comune dipendente (cooperative di lavoro), poter vendere i
propri prodotti a prezzi più alti (cooperative agricole, di pesca, ecc) oppure acquistare prodotti per se a
prezzi più competitivi. Nelle società mutue assicuratrici, invece, lo scopo è quello di disporre di
un’assicurazione sulla propria attività a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato. La forma giuridica delle
società mutualistiche può essere la spa o la srl, presentandone caratteristiche adattabili alla forma giuridica
adoperata. Il capitale sociale è variabile per favorire l’ingresso dei soci.
Come visto, l’azienda è interpretabile come un sistema di elementi tra loro coordinati al fine di generare in
modo duraturo beni o servizi destinati al soddisfacimento dei bisogni di soggetti che sono disposti a pagare
un prezzo. Tuttavia, in una visione più ampia, l’azienda rappresenta un sistema operante in un più ampio
contesto ambientale da cui derivano una serie di obblighi nei confronti di tutti gli altri soggetti coinvolti (sia
i soggetti interni all’azienda sia quelli esterni), ovvero una vera e propria responsabilità sociale dell’azienda
nei confronti dell’intero macrosistema in cui svolge la propria attività. Questa esternalità delle
responsabilità aziendali rappresenta un elemento significativo per le scelte del management, poiché le
scelte adoperate e messe in pratica dall’azienda coincidono con le scelte effettuate dalle persone poste al
comando dell’amministrazione, che sono quindi moralmente responsabili delle operazioni aziendali.
In particolare, tutti i soggetti che gravitano intorno al sistema-azienda e che interagiscono con essa sono
definiti stakeholders, ovvero letteralmente tutti coloro che hanno una “posta in gioco” e quindi corrono un
rischio in riferimento all’attività aziendale. Tali soggetti sono legati all’azienda tramite contratti legali (ad
esempio i dipendenti e gli investitori), legami non vincolati o “contratti impliciti” (ad esempio i clienti e i
fornitori) oppure mediante modalità non contrattuali e/o inconsapevoli (ad esempio i media a seguito di
eventi specifici che richiama l’attenzione dell’opinione pubblica positivamente o meno).
L’impresa è dunque considerabile anche come una rete di stakeholders, ognuno con i propri interessi ed
obiettivi legati più o meno strettamente all’azione aziendale mediante rapporti di influenza basati su:
Legittimità, ovvero la presenza o meno di un rapporto contrattuale, di un diritto legale o anche di
un diritto morale non necessariamente richiamato dalla legge
Potere, ovvero il grado di rilevanza degli stakeholders in funzione del loro apporto alla rete
aziendale
Urgenza, ovvero la tempistica con la quale gli stakeholders rivendicano l’attenzione del
management aziendale verso le loro istanze
Un elemento importante da considerare il rapporto tra i singoli interessi ed obiettivi dei diversi
stakeholders, che possono essere convergenti o talvolta contrastanti; in tal senso l’azienda deve cercare di
conciliare le relazioni con i diversi stakeholders sia sotto il profilo dei benefici economici che ne derivano
che sotto il profilo della “buona reputazione”, ovvero l’insieme di condizioni che va a costituire il “capitale
sociale” (inteso in questa accezione come l’insieme di elementi che garantiscono il valore dell’azienda nel
contesto sociale).
Dunque, il management aziendale circa le responsabilità sociali che assume si basa su:
Elementi organizzati, dai quali scaturiscono responsabilità, adempimenti e compiti
Elementi gestionali, dai quali scaturiscono operazioni di pianificazione e gestione delle risorse e
delle operazioni aziendali
Elementi cognitivi, dai quali scaturiscono informazioni rilevanti circa la sostenibilità
Dunque, in sintesi, l’elemento portante delle relazioni tra il sistema-azienda e tutti gli stakeholders
circostanti è la cosiddetta business ethics, o etica d’impresa, ovvero l’insieme di valori etici che sottendono
alle scelte che i proprietari e manager aziendali sono tenuti a prendere quotidianamente per la corretta
gestione aziendale. Il problema etico, tuttavia, può talvolta causare delle ambiguità, in quanto se da una
parte è vero che un’azienda assume un comportamento etico nei confronti dell’ambiente circostante se le
proprie azioni rispettano le leggi vigenti (può succedere addirittura che lo sfondo etico aziendale sia in
contrasto con la legge, causando quindi delle discrepanze), dall’altra potrebbero esserci ambiti disciplinari
solamente parzialmente regolati dalla legge o addirittura ignorati, portando dunque la responsabilità
aziendale ad affidarsi non più ad una guida giuridica, ma prettamente morale. Nella conduzione aziendale,
molto spesso le controversie di natura etiche vengono affrontate sulla base dell’equilibrio economico-
finanziari di riferimento, aprendo dunque la possibilità a quattro scenari distinti:
Assunzione di un comportamento etico seguito anche da un buon rendimento del sistema
aziendale (sulla base delle cosiddette soluzioni “win-win”, che realizzano un duplice risultato
esprimibile nel binomio efficienza produttiva/correttezza comportamentale)
Assunzione di un comportamento etico seguito però da un peggioramento delle condizioni di
equilibrio del sistema aziendale (ad esempio multinazionali che riequilibrano gli standard in termini
di tutela lavorativa verso tutti i propri dipendenti, anche in paesi dove la normativa sul lavoro
richiede regolamenti molto più contenuti, aumentando di fatto i costi di gestione delle risorse
umane)
Assunzione di un comportamento non etico seguito anche da un buon rendimento del sistema
aziendale (ad esempio la presenza di tempistiche dilazionate in modo esagerato per il pagamento
verso i debitori o i dipendenti, in assenza di accordi prestabiliti)
Assunzione di un comportamento non etico seguito da un peggioramento delle condizioni di
equilibrio del sistema aziendale (ad esempio la presenza di cattive condotte commerciali o
finanziarie che possono portare a veri e propri scandali, attirando l’attenzione pubblica e dei media
e quindi danneggiando la reputazione aziendale)
Cap.5 Le relazioni tra economia aziendale ed economia politica
Tra le principali teorie economiche dell’ultimo secolo vi sono per oggetto l’impresa e i rapporti tra
l’economia aziendale e l’economia politica, in particolar riferimento alla microeconomia.
Tra le principali teorie ricordiamo:
Teorie sulla natura dell’impresa e delle competenze imprenditoriali nell’economia di mercato; si
tratta di un filone teorico elaborato da Knight negli anni 20 del 900 secondo cui l’impresa risiede in
particolari caratteristiche delle competenze imprenditoriali, che rappresentano una risorsa unica
per la quale non può esistere un mercato di riferimento; tale teoria si contrappone alla teoria
economica neoclassica che vede l’imprenditore pure capace di risolvere ogni rapporto attraverso il
mercato, ovvero senza definirsi un perimetro d’azione e di competenza che riguarda l’impresa
stessa
Teorie sui confini dell’attività di impresa; si tratta di un prolungamento degli studi di Knight da parte
di Coase, che definisce come il mercato può effettivamente aiutare l’imprenditore puro a risolvere i
rapporti interni all’azienda, in conseguenza alle rivoluzioni tecnologiche che hanno di volta in volta
ridisegnato i parametri aziendali e non solo. In particolare per l’aziende vengono tagliati una serie di
costi di transizione, derivanti da problemi di informazione asimmetrica tra le parti; tali costi sono
quindi “internalizzati” (es. outsourcing o insourcing aziendale)
Teorie sul comportamento concreto dei soggetti interni all’impresa; questi filoni teorici analizzano il
comportamento dei soggetti interni all’impresa sul principio della razionalità limitata, secondo il
quale i diversi soggetti operano in condizioni di soggettività, con una molteplicità di obiettivi e di
informazioni e meccanismi decisionali propri
Teorie sulla separazione fra proprietà e controllo di impresa; questi filoni teorici analizzano la
divisione di obiettivi ed interessi tra la proprietà (azionisti) e il management, in riferimento da un
lato al mercato, che definisce i risultati economici e dunque la differenzi tra costi e ricavi e la
massima estensioni di questi ultimi, dall’altro alla teoria del “principal and agency”, uno schema
concettuale che prevede una relazione tra due individui o gruppi, dove uno (principal) delega parte
del proprio potere all’altro
Teorie sui rapporti fra impresa e settore di appartenenza; tale teoria si basa sul concetto di
“dipendenza settoriale”, secondo cui i mercati e i risultati economici di un’azienda derivino dal
settore di attività piuttosto che dalle singole scelte aziendali; d’altro canto, invece, altre teorie
inquadrano questo rapporto al contrario, ovvero definiscono come siano proprio le scelte del
management a modellare nel tempo i settori (mutevoli in funzione ad alcuni fattori come
l’evoluzione tecnologica) e soprattutto i mercati di riferimento
Teorie sistemiche; tali filoni teorici tendono ad identificare l’azienda, come visto, come un insieme
di portatori di interessi diversi (stakeholders) che a seconda della loro importanza nell’economia
aziendale generale possono definirsi primari o secondari
Teorie sull’etica di impresa; questo filone teorico inquadra il rapporto tra l’espressione di
comportamenti etici da parte dell’azienda e la conseguente creazione di valore dell’azienda con la
soddisfazione degli stakeholders
Per quanto riguarda il rapporto tra economia aziendale e microeconomia, possiamo fare riferimento a tre
punti chiave:
Differenze epistemologiche: l’economista aziendale si colloca dentro all’impresa e cerca di
assumere lo stesso punto di vista del decisore, caratterizzato da razionalità limitata; dunque al
centro dell’interesse vi è una sequenza rigorosa di operazioni che parte dalla definizione degli
obiettivi da raggiungere e arriva alla pianificazione delle migliori strategie per raggiungerli e
ottenere i risultati stimati; tale processo epistemologico comporta un monitoraggio della gestione
aziendale nella sua interezza, verificandone la coerenza, facendo anche riferimento al cosiddetto
metodo dei casi, che permette di facilitare le pratiche e le soluzioni metodologiche; la
microeconomia, di contro, partendo da un patrimonio di conoscenza teorica più o meno vasto per
giungere a postulare relazioni fra variabili diverse, facendo stretto riferimento alla quantificazione e
alla generazione di ipotesi verificabili
Differenze dal punto di vista empirico: mentre il focus dell’economista aziendale è dentro l’azienda
e i dati impiegati per la sua attività sono spesso insufficienti a disegnare un quadro generale
(esprimibile quindi unicamente entro i limiti dell’azienda), il focus della microeconomia si basa
sull’analisi di dati cross-section, ovvero sull’analisi dei dati di più imprese o mercati
Creazione di valore economico: in tal senso assistiamo ad una fusione dell’economia aziendale e
della microeconomia, in quanto l’allargamento del campo di analisi dell’economia aziendale ha
permesso di disporre di un contesto quantitativo rigoroso con il quale legare l’ottica annuale
dell’economia aziendale (rappresentata dal bilancio) e quella pluriennale della microeconomia
(pianificazione) in riferimento alla creazione di valore.
PARTE 2 – Gli equilibri della gestione e il bilancio d’esercizio
Cap.6 Gli equilibri economico-finanziari della gestione
Al momento della costituzione di impresa, sia che si tratti di impresa individuale che di società, vi è un
conferimento di capitale (spesso sottoforma di capitale liquido) da parti dei soggetti fondatori; tali
conferimenti sono destinati allo svolgimento ottimale dell’attività aziendale, ovvero all’acquisizione dei
fattori produttivi, tuttavia a volte il conferimento iniziale può risultare insufficiente a far fronte agli
investimenti necessari, pertanto l’impresa può aver bisogno di ricorrere a prestiti bancari (capitale di terzi).
L’aspetto patrimoniale, ovvero il rapporto tra gli investimenti effettuati e le modalità di finanziamento
adottate relative ad uno specifico momento storico, è esaminabile in qualsiasi momento; l’aspetto
patrimoniale ci permette di analizzare l’attività di impresa in due ottiche distinte a tra loro complementari,
ovvero quella economica (in funzione ai ricavi conseguiti e ai costi sostenuti) e finanziaria (in funzione alle
entrate e alle uscite monetarie).
L’aspetto economico della gestione rappresenta il quadro complessivo delle operazioni svolte dall’impresa
nell’esercizio della propria attività, ad esempio l’acquisto di materie prime, servizi, macchinari e impianti di
lavoro, capitali e altri fattori produttivi; le attività di natura economica comportano per l’impresa il
sostenimento di un costo (acquisizione di fattori produttivi) o il conseguimento di un ricavo (vendite dei
beni/servizi prodotti sul mercato ad un dato prezzo generato dalle dinamiche del mercato di riferimento),
cui corrispondono movimentazioni di natura finanziari, ovvero rispettivamente flussi in uscita di
disponibilità liquide per far fronti ai costi (immediata o futura, tramite dilazione temporale) e flussi in
entrata di disponibilità liquide relative ai ricavi conseguiti (anche questi immediati o futuri). Anche se
l’attività di impresa viene svolta senza soluzione di continuità, periodicamente le aziende realizzano un
prospetto economico completo per confrontare l’ammontare complessivo dei costi sostenuti con
l’ammontare dei ricavi conseguiti: tale periodo di attività viene detto periodo amministrativo
(convenzionalmente dal 1 gennaio al 31 dicembre) e tale prospetto permette di generare un reddito netto
di esercizio (o risultato economico di esercizio) che può essere un utile o una perdita (generando di
conseguenza anche movimentazioni finanziarie). Tuttavia, è necessario ricordare che nella realizzazione del
prospetto economico alcuni fattori produttivi non vengono considerati per competere all’ammontare dei
costi sostenuti o dei ricavi conseguiti: si tratta, ad esempio, di materie prime che sono entrate nelle
disponibilità dell’impresa durante l’esercizio ma non hanno ancora generato un utilizzo, che avverrà
nell’esercizio successivo; oppure, può trattarsi di un’immobilizzazione il cui utilizzo non è da considerarsi al
singolo esercizio, ma per più esercizi.
L’aspetto finanziario della gestione rappresenta invece il quadro complessivo delle movimentazioni di
liquidità derivanti dalle operazioni aziendale di natura economica (es. acquisizione fattori produttivi). La
differenza netta tra i flussi di entrate e i flussi di uscita viene denominato autofinanziamento e rappresenta
la metodologia più naturale plausibile per un’azienda funzionante, ma non è l’unica: infatti, molte aziende
per svolgere la propria attività necessitano di capitali liquidi per far fronte ai costi di gestione in modo
immediato, poiché precedono in modo netto il conseguimento dei ricavi (es. un’impresa industriale
necessita di molte liquidità immediate per acquisire fattori produttivi e operare correttamente nella fase di
produzione dei beni per poi ricevere i ricavi solamente dopo il lancio(immissione del prodotto nel mercato
dei consumatori). Si parla quindi di fabbisogno di capitale, ovvero la necessita da parte dell’azienda di
disporre di capitale liquido nell’immediato; in tal senso, oltre alle risorse finanziarie accumulate grazie
all’attività di gestione, l’azienda può finanziarsi mediante capitale proprio (conferimenti di soci o azionisti
con obbligo di remunerazione dei fattori produttivi e suddivisione dei dividendi), capitale di terzi (prestiti
bancari con obbligo di restituzione e obbligo di remunerazione mediante versamenti di interessi) o
disinvestimenti (cessione e vendita di immobilizzazioni obsolete o ritenute inutili). Nel momento in cui si
redige il prospetto finanziario aziendale è possibile individuare tutte le voci nei flussi di entrata ed uscita,
potendo così compiere un’analisi completa e generare il flusso di cassa di esercizio, ovvero la differenza tra
flusso di entrate e flusso di uscite, che può determinare, ovviamente, un incremento della liquidità o
viceversa un suo decremento, a seconda del risultato economico conseguito.
Un altro aspetto particolare è quello patrimoniale, che riguarda il patrimonio, ovvero la ricchezza di cui
l’impresa è titolare in un determinato momento storico. La misurazione del patrimonio aziendale,
generalmente, viene redatta con il bilancio di esercizio al termine del periodo amministrativo (stato
patrimoniale) dove vengono raccolti gli investimenti e i finanziamenti compiuti durante l’esercizio; con la
redazione dello stato patrimoniale è possibile quindi individuare l’ammontare di attività aziendali
(investimenti) e l’ammontare delle passività (capitale proprio e capitale di terzi), generando il patrimonio
netto, ovvero la differenza tra attività e passività.
L’aspetto economico, l’aspetto finanziario e l’aspetto patrimoniale della gestione sono dunque
strettamente legati tra loro, in quanto ogni operazione aziendale di natura economica (flussi di costi e
ricavi) genera a sua volta altre operazioni di natura finanziaria (ovvero flussi di uscita o entrata) andando di
fatto ad incidere, infine, sul prospetto patrimoniale dell’azienda al termine dell’esercizio, in quanto il
patrimonio netto aziendale alla fine di ogni esercizio sarà influenzato dal risultato economico sostenuto.
Risulta quindi molto importante per l’azienda mantenere l’equilibrio su tutti e tre i fronti:
Equilibrio economico, dato dalla relazione tra il flusso dei costi e il flusso dei ricavi, si presenta
quando l’impresa riesce a fronteggiare durevolmente i costi di gestione con i flussi di ricavi generati
dalla propria attività, garantendo la remunerazione adeguata dei fattori produttivi e dei soggetti il
cui compenso è ancorato al risultato d’esercizio; un equilibrio economico soddisfacente richiede
non solo che il risultato economico sia positivo, ma che sia in grado di perdurare nel tempo facendo
riferimento solo alla normale attività aziendale (e quindi non frutto di attività eccezionali). Quando
un’azienda è in grado di mantenere durevolmente un buon equilibrio economico si parla di
economicità
Equilibrio finanziario, dato dal rapporto tra flussi in entrata e flussi in uscita, si presenta quando il
flusso di entrate dell’impresa risulta costantemente in grado di fronteggiare le uscite monetarie;
dunque, un corretto equilibrio finanziario per l’azienda richiede che le liquidità attive siano sempre
superiori rispetto al capitale di credito; in caso contrario, l’azienda si troverebbe in uno “stato di
insolvenza”, non potendo far fronte agli impegni finanziari contratti. Quando un’azienda è
durevolmente in grado di fronteggiare tempestivamente necessità finanziarie di gestione, si parla di
stato di liquidità
Equilibrio patrimoniale, dato dalla relazione delle diverse fonti di finanziamento impiegate, si
manifesta quando l’impresa è in grado con la propria attività di gestione di garantire in modo
pluriennale l’equilibrio costante tra il patrimonio netto e l’ammontare del capitale di credito.
Quando un’azienda presenta durevolmente un patrimonio netto equilibrato con l’ammontare del
capitale di credito, si parla di stabilità patrimoniale; le aziende in stabilità patrimoniale sono molto
più indipendenti dal punto di vista finanziario e possono usufruire di una maggiore libertà d’azione,
viceversa si presenta un forte grado di dipendenza
Un aspetto particolare dell’economicità è dato dalla redditività, ovvero dalla capacità di produrre in modo
stabilizzato nel tempo redditi sufficienti a remunerare i portatori di capitale proprio dopo aver remunerato
tutti i gli altri apportatori di fattori produttivi. Alternativamente, la redditività viene considerata come a
capacità di produrre reddito d’esercizio, tuttavia è necessario scomporre l’attività aziendale in diverse
aree, tra cui:
Area tipica o caratteristica, ovvero l’insieme di operazioni che soddisfano direttamente gli obiettivi
di gestione legati all’oggetto caratteristico dell’attività economica svolta
Aree extra-caratteristiche, tra cui l’area atipica (operazioni estranee all’oggetti tipico dell’attività),
l’area finanziaria (operazioni di esercizio legate alle politiche di finanziamento e alla gestione delle
liquidità), l’area straordinaria (attività di natura tipica o atipica, ma di carattere eccezionale), area
tributaria (relativa agli oneri tributari come l’IRAP)
Combinando i risultati ottenuti dalle singole aree è possibile individuare il reddito operativo di esercizio
(contrapposizione di ricavi e costi dell’area caratteristica) e il reddito netto di esercizio (contrapposizione di
tutti i ricavi e di tutti i costi di competenza dell’esercizio considerato). Più specificatamente, si parla di
redditività operativa e redditività globale:
Redditività operativa, ovvero la capacità dell’impresa di rendere proficui gli investimenti nell’area
operativa, ossia acquisire ed impiegare efficientemente le risorse necessarie alla gestione aziendale
e allo svolgimento dell’attività e gestire efficacemente le relazioni con i mercati mostrando
competitività nella collocazione dei propri prodotti. La redditività operativa ha come requisiti
l’attività e l’elasticità: l’attività riguarda la dimensione e la struttura dell’attività economica, in
particolare quella caratteristica, vertendo sui punti “cosa produrre” (derivante dalle tendenze di
mercato e dai bisogni palesati dai clienti, rintracciabili grazie ad apposite indagini di mercato) e
“quanto produrre” (derivante dalla capacità dell’impresa di specializzarsi nella produzione di
prodotti specifici e di ottimizzare l’oscillazione tra le dinamiche del mercato e il proprio equilibrio
economico-finanziario); l’elasticità riguarda invece il rapporto tra la rigidità della struttura aziendale
(relativo alla presenza o meno di immobilizzazioni) e la rispettiva elasticità di gestione. La redditività
operativa viene sintetizzata dall’indice ROI (return on investment) che viene dato dal rapporto tra
l’ammontare del reddito operativo e l’ammontare degli investimenti aziendali.
Redditività globale, ovvero la capacità dell’impresa di remunerare congruamente il capitale proprio
dopo aver remunerato tutti gli altri fattori produttivi, presentando dunque una tendenziale
attitudine a produrre risultati economici positivi. La redditività globale è sintetizzata dall’indice ROE
(return on equity) che viene dato dal rapporto tra il reddito netto di esercizio ed il patrimonio netto
individuato
Per concludere, quando un’imprese riesce a garantire durevolmente equilibrio su tutti i fronti della
gestione si può parlare di vitalità economica, data dalla capacità di generare extra-redditi per remunerare i
fattori produttivi e soprattutto il fattore capitale proprio, incrementare la solidità del patrimonio netto
riducendo il rischio di erosione ed incrementare l’autofinanziamento. A seconda della capacità delle
aziende di mantenere questi equilibri distinguiamo tre tipologie di imprese:
Imprese economicamente autosufficienti, dotate di redditività operativa e globale nel lungo
periodo e molto solide ed equilibrate su tutti i fronti della gestione; si tratta di soggetti
oggettivamente durevoli ed indipendenti
Imprese prive di vitalità economica, non dotate di redditività e neppure della possibilità di usufruire
della garanzia di terzi soggetti in grado di accollarsi i risultati negativi; si tratta si soggetti
oggettivamente non durevoli, ma indipendenti
Imprese a vitalità economica riflessa, non dotate di redditività, ma capaci di trasferire i loro risultati
negativi a terze economie; si tratta di soggetti oggettivamente durevoli, ma dipendenti
Il bilancio d’esercizio rappresenta il più importante strumento per reperire informazioni, in termini
quantitativi e qualitativi, circa l’andamento economico-finanziario di un’azienda. Si tratta infatti di un
documento contabile di sintesi che permette di valutare gli equilibri aziendali di gestione (economico,
finanziario e patrimoniale) e assolve a tre funzioni principali:
Conoscitiva, poiché esprime i risultati ottenuti dalla gestione durante l’esercizio appena chiuso
Controllo, poiché gli amministratori aziendali, tramite la consultazione dei prospetti del bilancio,
possono verificare i risultati ottenuti in funzione delle decisioni prese durante l’esercizio,
rendendone conto ai proprietari dell’azienda
Informativa, poiché il bilancio è un documento che garantisce a terzi soggetti (più in generale a tutti
gli stakeholders) tutte le informazioni necessarie circa l’attività aziendale, la sua situazione ed i suoi
equilibri
Il bilancio è generalmente costituito da quattro sezioni separate, con riferimento a dati e valori oggettivi
che racchiudono sinteticamente tutta l’attività aziendale dell’esercizio di riferimento:
Stato patrimoniale, il prospetto principale del bilancio che evidenzia, a fine esercizio, l’ammontare
delle attività (ovvero gli investimenti attivi in quel momento) e l’ammontare delle passività e del
patrimonio netto (ovvero le modalità di finanziamento di tali investimenti); dunque, tale prospetto
indica sinteticamente le fonti del capitale aziendale (la sua provenienza mediante passività e
patrimonio netto) e gli impieghi (il suo utilizzo tramite investimenti)
Conto economico, prospetto del bilancio che contrappone tutti i ricavi e i costi di gestione di
competenza dell’esercizio in chiusura, permettendo dunque di andare a determinare il risultato
economico d’esercizio, che può tradursi in un incremento del patrimonio aziendale (utile) o
viceversa (perdita)
Rendiconto finanziario, prospetto del bilancio che mette in evidenzia i flussi finanziari in entrata e in
uscita di competenza dell’esercizio, permettendo dunque di definire la liquidità aziendale e di
conseguenza il suo equilibrio finanziario; l’equilibrio della liquidità è molto importante per
un’azienda per far fronte all’ammontare di investimenti durante l’esercizio
Nota integrativa, si tratta della sezione “qualitativa” del bilancio, che ha il compito di spiegare
dettagliatamente al lettore il contenuto dei tre prospetti precedenti mediante l’inserimento di note
e ragguagli atti a snocciolare gli eventuali dubbi sulle voci del bilancio e sulla stima dei dati forniti
Si distinguono inoltre tre tipologie di bilancio: bilanci ordinari (d’esercizio o infrannuali), bilanci straordinari
(redatti per situazioni straordinarie come fusioni o scissioni) e bilanci preventivi (detti anche budget).
La redazione del bilancio è regolata da una normativa caratteristica riconducibile alle norme del codice
civile, ai principi contabili (sia nazionali che internazionali) e alle norme fiscali circa le imposte sui redditi.
In base al codice civile, a partire dall’articolo 2423 vi sono le regolamentazioni previste per quanto riguarda
la redazione del bilancio nelle varie tipologie di azienda; i principi contabili internazionali (IFRS) sono
associati generalmente alle imprese che operano anche all’infuori dei proprio confini nazionali e obbligano
queste ultime a redigere un bilancio consolidato, ovvero una particolare forma di bilancio relativa alle
grandi imprese che esercitano una funzione di controllo su altre imprese più piccole, dive però i prospetti
devono rappresentare sinteticamente la situazione economica-finanziaria della singola entità economica
complessa, impiegando la nota integrativa come strumento per segnalare eventualmente la competenza di
alcuni voci all’azienda principale o ad una delle aziende subordinate.
Pertanto, il bilancio redatto secondo i principi civilistici è tipico di contesti aziendali governati da pochi
azionisti che ne detengono la maggioranza del capitale sociale, preferendo far ricorso all’indebitamento
verso le banche; viceversa, il bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali è tipico di contesti
aziendali molto grandi e ad azionariato diffuso, preferendo il finanziamento mediante borse valori.
L’art. 2423 del codice civile dispone l’obbligatoria dei prospetti relativi allo stato patrimoniale e al conto
economico, nonché la nota integrativa; il rendiconto finanziario, nonostante rappresenti un documento
molto importante, non è attualmente obbligatorio da redigere.
Per la redazione dei due prospetti del bilancio civilistico bisogna tener conto di alcune caratteristiche:
Rigidità della struttura degli schemi
Suddivisione, raggruppamento, aggiunta e adattamento delle voci
Confronti con l’esercizio precedente
Divieto di compensazione di partite
Per quanto concerne lo stato patrimoniale, la struttura adottata è quella dei grandi raggruppamenti in due
sezioni distinte delle attività (sinistra) e delle passività (destra), dove le voci sono indicate:
I macro raggruppamenti di voci (primo livello) sono indicati con le lettere alfabetiche maiuscole
I sotto-raggruppamenti delle voci di primo livello (secondo livello) sono indicati con numeri romani
I sotto-raggruppamenti delle voci di secondo livello (terzo livello) sono indicati con numeri arabi
I sotto-raggruppamenti delle voci di terzo livello sono indicati con le lettere alfabetiche minuscole
Per quanto invece riguarda il conto economico, la tipica forma impiegata è quella a forma scalare “a costi e
ricavi della produzione effettuata”. Le voci presenti nel conto economico sono disposte secondo l’art.
2425, dove troviamo macro raggruppamenti segnati da lettere alfabetiche maiuscole, sotto-
raggruppamenti di primo livello indicati da numeri arabi e sotto-raggruppamenti di secondo livello indicati
da lettere alfabetiche minuscole. La struttura scalare del conto economico civilistico permette di ottenere
una disposizione gerarchica dei costi e dei ricavi di gestione dell’esercizio, rendendo più semplice anche
l’individuazione dei tre risultati parziali del conto economico, che risultano fondamentali per meglio
comprendere i flussi di generazione del risultato economico complessivo; tali risultati parziali sono:
Reddito operativo, ovvero la differenza tra il valore complessivo della produzione ed i costi di
produzione
Risultato prima delle imposte, ovvero il risultato economico conseguito prima di sottrarre
l’ammontare delle imposte previsto
Risultato economico (utile o perdita), ovvero il reddito netto emergente dall’analisi di bilancio
Per quanto riguarda la nota integrativa, la sua redazione è obbligatoria ai sensi dell’art. 2423 del codice
civile, con l’obiettivo di illustrare in modo dettagliato il contenuto dello stato patrimoniale e del conto
economico e i criteri di valutazioni e principi contabili impiegati. Le funzioni della nota integrativa sono
dunque quella:
Descrittiva rispetto alle voci riportate nei prospetti
Esplicativa rispetto alle decisioni assunte dagli amministratori
Informativa ed integrativa rispetto ai dati non direttamente esplicabili all’interno dei prospetti
precedenti
Infine, il bilancio civilistico dispone anche l’indicazione di eventuali altri documenti, tra i quali la relazione
scritta sulla gestione, il rendiconto finanziario, allegati relativi alla redazione, allegati relativi ad eventuali
altri imprese controllate, ecc.
Per quanto riguarda i principi contabili, essi sono norme considerate valide per la predisposizione del
bilancio in quanto assicurano omogeneità e chiarezza nella formulazione dei criteri di valutazione dei fatti
di gestione, al fine di realizzare una migliore trasparenza nel bilancio e uniformità di redazione. Tali principi
sono predisposti da organismi nazionali quali l’OIC (organismo italiano di contabilità) o internazionali quali
lo IASB (International accounting standard board), in riferimenti ai principi IFRS (International financial
reporting standard); tali principi internazionali prevedono la redazione di alcuni documenti obbligatori e
altri raccomandati (relazione degli amministratori e allegati secondari).
Come visto, l’azienda rappresenta un sistema costituito da più elementi interdipendenti inserito a sua volta
in una macro-sistema, ovvero l’ambiente. Trattandosi di un sistema di elementi distinti, ma tra loro
interconnessi nello svolgimento dell’attività aziendale, per poter analizzare concretamente ed in modo
efficace la struttura aziendale e le sue modalità di lavoro occorre effettuare una scomposizione seguendo
due chiavi di letture: l’analisi per funzioni e l’analisi per processi.
L’analisi per funzioni, che si è sviluppata fortemente a partire dagli anni 80, considera la gestione
organizzata dell’impresa come entità scomponibile in attività omogenee dal punto di vista tecnico ed
economico, definite appunto funzioni (approvvigionamento, ricerca, produzione, marketing, ecc) e si tratta
dunque di un’analisi verticale, in quanto l’attenzione ricade sulle singole funzioni e sulla loro rispettiva
specializzazione; l’analisi per processi rappresenta invece un approccio orizzontale, in quanto l’attenzione
viene posta sulla suddivisione dei compiti da svolgere attribuibili ai diversi settori e organi aziendali in
relazione allo svolgimento di un insieme di attività, ovvero operazioni che richiedono il consumo di risorse
con differenti caratteristiche fisico-tecniche ed economiche atte alla realizzazione di un output comune.
Per quanto riguarda l’analisi funzionale dell’azienda, è possibile definire diverse aree funzionali, ovvero
insiemi di operazioni omogenee da un punto di vista tecnico ed economico, ossia che per essere realizzate
necessitano di conoscenze, competenze e risorse omogenee nelle loro caratteristiche. L’analisi funzionale
rappresenta un approccio semplice ed intuitivo, in quanto risulta molto semplice individuare i compiti da
eseguire, chi sono gli addetti ad eseguirli e le modalità e parametri di realizzazione; dunque l’approccio per
funzioni si dimostra efficace sia dal punto di vista della gestione (cosa e come svolgerla), da quello
organizzativo (chi dovrà realizzarla e come sarà coordinato il lavoro) che da quello informativo (quali sono i
requisiti per procedere alla realizzazione). Nell’analisi funzionale possiamo quindi individuare tre macro
categorie di aree funzionali:
Aree funzionali caratteristiche, che costituiscono il nucleo caratterizzante dell’attività economica
dell’impresa, ovvero ne riflettono l’oggetto principale e sono finalizzate direttamente al
perseguimento degli obiettivi aziendali
Aree funzionali integrative, che svolgono funzioni strumentali indispensabili per realizzare gli obietti
aziendali
Aree funzionali di pianificazione, che svolgono funzioni similari a quelle integrative, di carattere non
operativo rispetto a quelle caratteristiche
Le aree funzionali integrative e di pianificazione sono anch’esse strettamente interconnesse con le aree
funzionali caratteristiche, a dimostrazione della sinergia aziendale che si sviluppa tra le diverse aree
funzionali riconducibile alla struttura organizzativa pluri-funzionale, con a capo un nucleo direttivo che
rappresenta gli interessi di tutti gli stakeholders e organizza in modo omogeneo il lavoro di tutte le altre
aree, portando vantaggi importanti (ottimizzazione delle esperienze settoriali e delle risorse disponibili),
ma anche ad alcuni svantaggi (perdita del focus sull’output aziendale con conseguente enfasi posta sulla
specializzazione funzionale, portando a volte a generare una burocratizzazione dei comportamenti e ad un
distacco troppo ampio tra le diverse aree aziendali.
Per quanto riguarda l’analisi per processi, è fondamentale prima di tutto fornire una definizione di
processo: si tratta di un insieme di attività che, utilizzando risorse di varia natura, dato un certo input
iniziale, porta alla realizzazione di un output, che funge come oggetto di scambio per il mercato esterno
(clientela) o come prodotto interno utilizzato all’interno dell’azienda (clientela “interna”). Le attività che
costituiscono i processi sono, a loro volta, insiemi di operazioni elementari, aggregabili in modo differente,
che hanno un contenuto operativo o manageriale, sono sviluppate nelle varie unità organizzative che
agiscono in azienda e sono co-finalizzate al perseguimento di un determinato obiettivo. Ogni processo
aziendale viene attivato da input, ovvero da eventi che danno origine ad una serie di varie attività: ad
esempio, l’ordine di uno o più prodotti o servizi da parte di un cliente mette in moto una serie di
meccanismi molto complessa e articolata, dove il lavoro di ciascuna area aziendale deve essere ottimizzato
al massimo per raggiungere pienamente gli obiettivi aziendali; il risultato finale di tutte queste singole
operazioni viene detto output, che può rappresentare, ad esempio, il completamento della realizzazione
dei beni o servizi richiesti e la loro fornitura al cliente finale.
Per quanto riguarda i clienti, distinguiamo i clienti esterni all’azienda (fornitori e clienti finali) e clienti
interni all’azienda (ad esempio altre aree aziendali).
Possiamo inoltre distinguere differenti livelli di aggregazione delle attività, tra cui:
Sub-processo, ad esempio la distribuzione è il sub-processo dell’attività di vendita
Segmento, ad esempio nel sub-processo della distribuzione si possono individuare segmenti relativi
a specifici canali distributivi
Macro-attività, ad esempio il segmento relativo ad uno specifico canale distributivo può essere
articolato a sua volta in base a caratteristiche quali l’area geografica di riferimento
Per poter ottimizzare l’analisi per processi occorre procedere alla loro mappatura: per mappatura dei
processi, infatti, si intende l’insieme delle tecniche che vengono impiegate per identificare e rappresentare
tutte le componenti dei processi (input, output, attività, procedure, ecc) al fine di rappresentare
sinteticamente il business aziendale (sotto il profilo decisionale, operativo-gestionale, organizzativo e
amministrativo), chiarire le responsabilità di ciascuna attività legata ai processi e ottimizzare il sistema di
controllo (grazie anche allo sviluppo di soluzioni informatiche). Un tipico esempio di mappatura dei
processi è riscontrabile nell’industria automobilistica, che opera in un settore dove è necessario sviluppare
con continuità nel tempo nuovi prodotti sempre più innovativi per sostituire quelli ormai obsoleti; in
questo senso, il processo di sviluppo del business prende avvio dal mercato, tramite la funzione del
marketing e le relative indagini sui mercati di sbocco e sulle esigenze dei clienti, passando poi dalla
funzione di ricerca e sviluppo che, coordinandosi con l’area di produzione e logistica e soprattutto con
l’area della finanza (fondamentale per quantificare gli investimenti necessari a sostenere il processo),
progetta nuovi prodotti da lanciare sul mercato, facendo così rientrare in gioco l’area marketing per la
promozione e la vendita. Un fattore fondamentale per la buona riuscita del processo riguarda
l’ottimizzazione dei costi e il mantenimento di condizioni di redditività adeguate: infatti, quello che
fondamentalmente è l’obiettivo principale di ogni azienda è la creazione di valore, inteso come:
Valore economico, ovvero ottimizzare i processi aziendali in modo da arricchire il capitale a
disposizione e garantire quindi successo e sopravvivenza a lungo termine (valore per gli
azionisti/soci portatori di capitale di rischio)
Vantaggio competitivo, ovvero il raggiungimento della piena soddisfazione e fiducia del cliente circa
i prodotti proposti sul mercato e l’assistenza fornita, in termini di costi, qualità e servizi
L’eccellenza dei processi dunque è raggiungibile perseguendo questi due obiettivi, ovvero
efficacia/efficienza economica e la soddisfazione totale del cliente, generando valore per l’intera azienda
nel proprio settore di mercato rispetto ai competitors.
Per concludere, per quanto riguarda la classificazione dei processi si può far riferimento a due dottrine:
Catena de valore (Porter), che scompone l’azienda in attività generatrici di valore, classificandole in
primarie (logistica, produzione, marketing, ricerca e innovazione) e di supporto e/o infrastrutturali
(approvvigionamento, gestione delle risorse umane e materiali, ecc)
Processi interni di business di Kaplan e Norton, tra cui i processi di innovazione (ricerca, sviluppo,
gestione e lancio di nuovi prodotti), i processi di customer management (sviluppo di soluzioni
efficaci per il cliente, consulenze, ecc), i processi di supply chain management (acquisizione e
gestione degli ordini, approvvigionamento, gestione del magazzino e produzione in senso stretto), i
processi regolatori e ambientali (salute, sicurezza, responsabilità sociale e ambientale) e i processi
di supporto generale o infrastrutturale (amministrazione, finanza, pianificazione e controllo,
gestione del personale, comunicazione d’azienda)
Come visto, le funzioni aziendali si concretizzano in una serie di attività omogenee dal punto di vista
tecnico ed economico (ad esempio il marketing raggruppa tutte le decisioni relative i mercati di sbocco, il
design del prodotto, ecc). Nella prospettiva dell’amministrazione economica aziendale vi è tuttavia un
insieme di decisioni che non si identifica in una funzione specifica, ma definiscono il profilo competitivo
complessivo dell’azienda; si tratta della strategia di business (o appunto strategia competitiva), che si
occupa principalmente delle scelte più importanti per realizza l’oggetto aziendale e garantire la durata
dell’azienda nel tempo e una collocazione stabile nel mercato di riferimento, ovvero:
Cosa produrre, cioè scegliere quali prodotti collocare sul mercato e determinarne le caratteristiche
e le peculiarità (design, qualità dei materiali, ecc) da offrire ai clienti
Per chi produrre, cioè definire con chiarezza i mercati di vendita dove verranno collocati i prodotti,
individuando in particolare i segmenti specifici da servire (ad esempio, nell’industria
dell’abbigliamento ci sono aziende specializzate in abbigliamento casual e altre specializzate invece
in abbigliamento formale, ecc)
Come produrre, cioè definire da una parte se si tratta di un’integrazione verticale dei processi
aziendali (prodotti progettati, realizzati e collocati sul mercato dall’azienda stessa) oppure di
un’integrazione orizzontale (con il sostegno di terzi per la produzione, il finanziamento ecc),
dall’altra definire la struttura organizzativa della produzione e le tecnologie impiegate per realizzare
i prodotti
La strategia di business è interconnessa in maniera indissolubile con quella finanziaria, che si occupa di
definire le fonti di finanziamento per sostenere le scelte di business, le politiche sulla ripartizione dei
dividendi, le proporzioni tra capitale proprio e capitale di credito, le politiche fiscali/tributarie ecc. Dunque,
la stabilità della gestione finanziaria permette di conseguenza di realizzare la strategia competitiva,
tenendo comunque presente che le scelte di business devono essere progettate in modo da permettere
successo all’azienda nel lungo periodo, assicurando quindi un buon posizionamento nei mercati di
competenza e flussi economici-finanziari adeguati a mantenere viva l’attività aziendale, senza dunque
compromettere la liquidità (disponibilità finanziarie nel breve periodo) e la solidità patrimoniale.
Possiamo individuare diversi livelli della strategia di business: corporate, business in senso stretto e di
funzione.
La strategia corporate riguarda l’azienda nel suo insieme e racchiude le scelte, operate dalla direzione, in
riferimento a:
Portafoglio business, ovvero l’insieme di aree strategiche d’affari in cui opera l’azienda, definendo
le relazioni tra le varie aree e le implicazioni che ne possono derivare in termini di potenziamento,
ridimensionamento, ingresso/uscita dei settori. In tal senso è molto importante trovare un punto di
equilibrio tra i diversi business, soprattutto in un’ottica posta sul lungo periodo che tenga conto del
ciclo vitale dei settori coinvolti (ad esempio, concentrarsi su settori tutti in fase di sviluppo può
richiedere all’azienda sforzi notevoli in termini di investimenti, ponendo quindi il rischio di non
riuscire a compensare le uscite con entrate adeguate)
Creazione di sinergie tra i vari business e le economie di scala, ovvero la condivisione di risorse
comuni (clienti, processi, assets, ecc) e di economie legate alle grandi dimensioni (produzione,
approvvigionamento ecc)
Gestione efficace ed efficiente dei processi comuni dell’azienda nel suo insieme, ad esempio i
processi amministrativi, finanziari, legali, ecc.
La strategia di business in senso stretto riguarda invece l’insieme delle scelte riguardanti i prodotti, i
mercati di sbocco e l’integrazione aziendale verticale. Essa si riferisce ad ogni singola business unit
aziendale e si concentra sull’analisi del posizionamento competitivo di ognuna di esse, in ordine:
Individuazione dei concorrenti, ovvero inquadrare il proprio mercato di riferimento e porsi in
prospettiva con i principali competitors di settore, ricercandone opportunità, minacce, punti di
forza e punti di debolezza
Individuazione del vantaggio competitivo, ovvero il risultato dell’analisi dei quattro fattori
precedentemente indicati, individuando un vantaggio concretizzabile in termini di costo (processi
aziendali più economicamente efficienti rispetto alla concorrenza, in base ad un’offerta di prodotti
omogenea con prezzi di vendita moderati) e di differenziazione (quando l’offerta aziendale ha per
oggetto prodotti in possesso di caratteristiche che i clienti percepiscono come uniche,
convincendoli anche a pagare prezzi di vendita più elevati, generando quindi un vantaggio
economicamente efficace rispetto alla concorrenza)
Costruzione della catena di valore, ovvero pianificare la strategia aziendale per concretizzare i
processi, definendo le aree di lavoro e individuando i fattori critici di successo, ovvero quegli
elementi che permettono all’azienda di ottenere, mantenere e rafforzare il proprio vantaggio
competitivo
Analisi delle risorse e delle competenze, ovvero l’individuazione di ciò che l’azienda è in grado di
fare concretamente con i propri mezzi, permettendo dunque una valutazione corretta dei punti di
forza e dei punti di debolezza dell’azienda in riferimento al mercato in cui opera e ai competitors
principali
Infine, la strategia di funzione è quella circoscritta alle singole aree funzionali; si tratta, quindi, di un livello
strumentale rispetto alla più ampia strategia di business in senso stretto, in quanto riguarda l’insieme di
scelte effettuate per gestire al meglio le singole funzioni aziendali, in particolari quelle operative
(marketing, produzione, ricerca e sviluppo) che sono quelle che mirano direttamente alla realizzazione
dell’oggetto aziendale e, di conseguenza, al conseguimento dell’intera strategia di business.
L’area funzionale del marketing (o are commerciale) è costituita da tutte le attività di studio del mercato di
sbocco e dei bisogni presenti e potenziali dei consumatori finali, della promozione, della vendita, della
distribuzione e dell’assistenza alla clientela. Una strategia di marketing efficace si articola in tre passaggi
fondamentali: segmentazione del mercato, selezione del target e il posizionamento.
La segmentazione del mercato consiste nella suddivisione di quest’ultimo in gruppi di consumatori (definiti
appunto segmenti di mercato) che possiedono diverse caratteristiche, diverso comportamento di acquisto
e diversi bisogni. L’obiettivo principale di questa fase è quella di raggruppare i consumatori in segmenti che
differiscano chiaramente l’uno dall’altro, ma che al contempo mostrino una omogeneità interna.
Segmentando il mercato, l’azienda è in grado di far fronte al vasto mercato eterogeneo che la circonda,
decidendo con precisione quali segmenti servire in maniera efficace e con il giusto prodotto. Essa può
avvenire in due modi:
Segmentazione basata sui benefici ricercati dai consumatori, ovvero ricercare quei segmenti di
mercato che più si avvicinano alle caratteristiche offerte dal prodotto aziendale
Segmentazione basata su caratteristiche osservabili dei consumatori, ovvero delineare i segmenti
sulla base di caratteristiche direttamente osservabili, come i dati demografici del consumatore, la
localizzazione geografica, ecc
Talvolta è possibile combinare le due metodologie di segmentazione, in modo da avere un quadro più
completo e dettagliato del mercato e soprattutto per definire meglio i sub-segmenti che possono
svilupparsi dal un segmento più ampio (ad esempio, se il prodotto aziendale soddisfa i bisogni di un
segmento piuttosto ampio che si dimostra però eterogeneo per ciò che riguarda alcune variabili come
l’età, può essere molto utile delineare sub-segmenti in modo tale da offrire al mercato una gamma
diversificata dello stesso prodotto, in modo tale da soddisfare pienamente il segmento di riferimento).
La selezione del target di mercato riguarda la valutazione dell’attrattività di ogni segmento individuato e la
selezione di uno o più segmenti da servire, ovvero la selezione di quei segmenti che più si avvicinano alle
caratteristiche del prodotto aziendale. In tal senso, l’attività di marketing si concentra sull’analisi dei
segmenti individuati, in modo tale da identificare il segmento o i segmenti che possono massimizzare i
profitti aziendali. La chiave del successo nel processo di selezione del target è comprendere il livello di
differenziazione sul mercato, ovvero analizzare attentamente l’operato dei principali concorrenti di settore
sulla base di alcune variabili significative, come l’abilità di progettazione di nuovi prodotti, l’abilità di
produrre, l’abilità di posizionamento sul mercato, ecc. I dati raccolti mediante questa analisi approfonditi
vengono successivamente inseriti all’interno di matrici, vere e proprie tabelle comparative che permettono
di confrontare in modo quantitativo i dati della propria azienda e quelli dei concorrenti, definendo quindi
empiricamente i segmenti più adatti per investire le risorse e gli sforzi aziendali.
Analizzando nel dettaglio i quattro elementi del marketing mix (prodotto/mercato, prezzo, distribuzione,
comunicazione)
La scelta del tipo di prodotto e di mercato nel quale investire risorse e sforzi aziendali rappresenta il
momento più importante che un’organizzazione imprenditoriale deve compiere, in quanto questa scelta
indirizza l’intera struttura aziendale verso un determinato ambiente economico, verso segmenti e target
specifici e verso sistemi tecnici specifici (impianti, tecnologie, ecc). Per definizione, il prodotto non è inteso
solo in senso materiale, ma anche in riferimento all’intero pacchetto di caratteristiche che il consumatore
ottiene acquistandolo (assistenza tecnica, garanzie, valore del marchio in termini di qualità e affidabilità e
valore “sociale” del marchio, ecc). Ad esempio, l’acquisto di un orologio Rolex non è soltanto sinonimo di
ottima qualità e affidabilità in termini materiali, ma anche una status symbol legato a diversi fattori, tra i
quali la preziosità del materiale impiegato per la produzione del bene (es. orologio d’oro), il suo valore
economico nel mercato ed il suo valore sociale (che si riconduce alla classe sociale di appartenenza del
consumatore); in tal senso, il prodotto assume un significato additivo rispetto alle sue caratteristiche
tecniche raggiungibile mediante un’efficace supporto comunicativo legato alla promozione del prodotto
stesso. Per quanto riguarda il mercato, esso rappresenta il luogo dove domanda e offerta si incontrano,
ovvero dove i consumatori ricercano prodotti utili a soddisfare i propri bisogni. Il mercato, tuttavia, non è
un’entità statica, bensì è in continua evoluzione in funzione di diversi fattori (l’avanzamento della
tecnologia, le evoluzioni demografiche, ecc). Per ciò che riguarda la segmentazione del mercato è
importante definirne le tre variabili principali:
Segmentazione demografica, ovvero in funzione di caratteristiche direttamente osservabili nella
popolazione dei consumatori, come l’età, il sesso, il reddito, il livello di educazione, l’occupazione
ecc, ovvero una serie di variabili che possono influenzare gli schemi di consumo standard
Segmentazione geografica, ovvero in funzione di variabili legate alla posizione geografica dei
soggetti coinvolti (siano essi consumatori, fornitori o altre aziende) relative ai processi logistici, di
produzione, di distribuzione ecc
Segmentazione sulla base di variabili psicografiche, ovvero in funzione di variabili legate allo studio
dei comportamenti tenuti dai singoli segmenti di consumatori (ad esempio il divario tra segmenti di
consumatori giovani e segmenti di consumatori in età più avanzata) che dimostrano caratteristiche
e bisogni diversi
Dunque, nella scelta del tipo di prodotto e di mercato nel quale competere, è fondamentale tenere conto
del valore assunto dal prodotto (sia in senso materiale sia in senso figurato), della potenziale crescita del
settore nel lungo periodo, dell’impegno nella ricerca di innovazioni tecnologiche di settore e/o di nuove
risorse impiegabili e la valutazione di adattamento all’evoluzione del mercato di competenza.
Il secondo elemento del marketing mix è il prezzo, ovvero il costo che il prodotto ha per il consumatore
finale nel momento dell’acquisto. Esso è determinato da diverse variabili:
Rapporto tra domanda e offerta, ovvero il risultato delle interazioni che si generano nel mercato tra
chi richiede determinate tipologie di prodotti e chi li offre; maggiore sarà la quantità di prodotti siili
offerta, minore sarà il prezzo di ognuno di essi, o viceversa
Costi di produzione dell’azienda, ovvero l’insieme di spese sostenute dall’azienda per generare
l’output della propria attività, relative al reperimento delle materie prime, degli impianti e dei
macchinari di produzione, del lavoro, della logistica ecc
Competizione, ovvero il risultato delle interazioni che si generano nel mercato tra le singole fonti
che offrono prodotti simili o mirati a soddisfare gli stessi bisogni; un modo per rendere più
attrattiva e competitiva la propria offerta rispetto agli altri soggetti nel mercato, pur facendo
lievitare in modo più o meno sensibile il prezzo finale, può riguardare la differenziazione del
prodotto (ad esempio l’ampliamento della gamma o la personalizzazione)
Potere di contrattazione dei consumatori, ovvero la disponibilità economica media dei consumatori
del proprio target di mercato in funzione dei prezzi offerti per soddisfarne i bisogni
Valore del prodotto, ovvero il valore economico del prodotto (valore materiale relativo alle sue
caratteristiche tecniche) ed il valore sociale (valore figurato relativo all’enfasi legata all’acquisto del
prodotto)
Il terzo elemento del marketing mix è la distribuzione, ovvero la forza di vendita dell’azienda legata alla
copertura geografica strutturata del mercato, relativa dunque all’insieme di relazioni che intrecciano
l’azienda ai fornitori, ai singoli componenti del sistema di distribuzione e ai consumatori finali.
Tra i componenti del sistema di distribuzione troviamo:
Venditori diretti, dipendenti dell’azienda
Agenti di vendita, operatori indipendenti che servono diverse aziende lavorando su commissione
Distributori, comprano ampie linee di prodotti da diversi fornitori, in modo da soddisfare i
consumatori che richiedono un basso numero di articoli immediatamente disponibili
Dettaglianti, ovvero i punti vendita che costituiscono generalmente piccoli esercizi (es.
supermercati, negozi di elettronica, ecc)
E-commerce, ovvero la dimensione digitale della distribuzione, legata alla semplificazione delle
relazioni tra l’offerta e i singoli consumatori, che hanno la possibilità di raggiungere i prodotti in
maniera più immediata nonché di ricercarne maggiori informazioni e recensioni
Per quanto riguarda i fattori di costo della distribuzione, è necessario tener conto di diversi fattori quali il
supporto del canale distributivo, la preferenza di una distribuzione di carattere selettivo piuttosto che una
di tipo intensivo, l’ampiezza della linea del prodotto distribuito, il grado di interdipendenza tra il fornitore e
il rivenditore, lo sviluppo delle dinamiche di domanda e offerta nel mercato ecc.
Infine, il quarto e ultimo elemento del marketing mix è la comunicazione. Si tratta forse dell’elemento più
importante, poiché è alla base del marketing e delle creazione di valore per il prodotto e per il brand.
L’attività comunicativa legata al marketing riguarda essenzialmente la promozione pubblicitaria, effettuata
tramite diversi media quali la stampa, la televisione, la radio, il telemarketing, internet e i social network,
nonché tramite attività fisiche quali fiere di settore, esposizioni promozionali nei punti vendita e
cartelli/insegne stradali. L’attività comunicativa ha come obiettivi:
Fornire informazioni sul prodotto, sottolineandone le caratteristiche peculiari e talvolta il prezzo
conveniente
Informare i potenziali acquirenti circa i punti vendita dove poter ottenere il prodotto
Suggerire idee sull’uso del prodotto (es. pubblicità di prodotti alimentari)
Stabilire familiarità con il brand, sviluppando interesse e identificandosi come punto di riferimento
per il proprio target di mercato
Come visto in precedenza, la produzione rappresenta una delle attività principali svolte dall’azienda,
fondamentale affinché essa possa raggiungere i suoi obiettivi, siano essi legati al soddisfacimento di bisogni
relativi a beni materiali oppure a servizi. Più precisamente, la produzione è quell’insieme di operazioni che
consentono di convertire materie prime, materiali grezzi e semilavorati (conoscenze e competenze
tecniche qualificate nel caso dei servizi) in prodotti finiti ad uno stato di maggior completezza ed
elaborazione. Naturalmente, per far si che ciò si verifichi è necessario che l’attività produttiva (di qualsiasi
tipo) sia adeguatamente progettata, organizzata e gestita, garantendo dunque una gestione corretta dei
processi e dei layout produttivi (e delle tecnologie ad essi legate) nonché il rispetto dei fattori di efficienza,
efficacia, qualità e redditività richiesti.
Per poter meglio definire l’intero processo produttivo, e quindi individuare le caratteristiche richieste dal
contesto operativo nel quale l’azienda opera, è molto utile affidarsi ad un particolare grafico definito
grafico di correlazione volume/varietà, che indica il rapporto tra il volume della produzione (quantità) e la
varietà dei prodotti realizzati (disponibilità di versioni differenti, varianti, optional, ecc). Dal grafico è
possibile ricavare una retta di correlazione, che indica come il volume di produzione sia sempre
inversamente proporzionale alla varietà del prodotto: ciò significa che maggiore è la quantità di beni o
servizi prodotti/offerti, minore sarà la possibilità di garantire la varietà del medesimo. Per quanto concerne
il rapporto tra costi e flessibilità della produzione, mediante lo schema di interdipendenza volume/varietà
è possibile notare come a fronte di volumi di produzioni bassi (dunque con un livello elevato di varietà) si
può avere una maggiore flessibilità dei processi produttivi a costi relativamente bassi, e viceversa. Un
esempio particolare è dato dai grandi gruppi industriali automobilistici, ad esempio il binomio Fiat-Ferrari:
nonostante siano marchi rientranti nel medesimo gruppo, la produzione delle autovetture dei due marchi
differiscono totalmente l’un l’altra, poiché da una parte verranno impiegati processi produttivi aventi
volumi elevati e dunque a scarsa varietà e flessibilità (adatti alla produzione in serie di utilitarie – Fiat),
dall’altra verranno invece impiegati processi produttivi aventi volumi bassi con elevata varietà e flessibilità
(adatti alla produzione di auto di lusso – Ferrari).
Per comprendere meglio i sistemi di produzione è necessario effettuare una scomposizione che ne
individui le diverse componenti, ovvero:
Tipo di processo produttivo
Tipo di layout produttivo
Tecnologie impiegate
Specifiche attività di produzione
La scelta del tipo di processo produttivo deve rispondere alle richieste del mercato di riferimento in termini
di volume, varietà, qualità, efficienza ed efficacia produttiva. In tal senso, per rendere più chiara la
situazione può essere utile confrontare la matrice di correlazione prodotto-processo, che collocano i
diversi processi in funzione non solo del volume e della varietà produttiva, ma anche in relazione alle
competenze richieste per svolgere le mansioni necessarie e al flusso del processo, ovvero i ritmi legati alle
mansioni svolte. Possiamo individuare diversi processi:
Processi per progetto, riguardano la produzione di prodotti con volumi estremamente bassi,
generalmente “pezzi unici”; si tratta di processi che possono dunque essere fortemente
personalizzati in base alle richieste del cliente
Processi per reparti, simili ai processi per progetto ma caratterizzati da volumi più elevati e da
dinamiche lavorative più standardizzabili, con impiego di risorse comuni nei vari reparti impiegati
Processi per lotti, relativi alla produzione congiunta di più prodotti alla volta, adattabili sia a
produzioni di grandi volumi (in serie) sia a produzioni di piccoli volumi (su commessa)
Processi di massa, relativi alla produzione in massa di grandi volumi con varietà fortemente ristretta
e pianificata in seguito ad uno studio analitico del mercato e dei target di riferimento
Processi continui, relativi alla produzione in serie continua di grandi volumi, caratterizzati da varietà
quasi nulla e da dinamiche lavorative automatizzate
Tuttavia, definire il singolo processo produttivo non è sufficiente, poiché risulta molto importante definire
anche il layout di produzione, ovvero il contesto fisico dove l’attività viene svolta e la distribuzione degli
elementi che vi partecipano. In tal senso, la matrice di layout di processo risulta efficace per inquadrare il
layout migliore per il tipo di processo implementato; distinguiamo:
Layout di produzione a posizione fissa, che si adatta a situazioni dove il prodotto o il destinatario
del servizio risultano essere talvolta impossibili da spostare; ne sono esempi i cantieri edili o navali
(grandi produzioni materiali) e gli interventi chirurgici effettuati in sale operatorie attrezzate (servizi
personali)
Layout di produzione funzionale, che si adatta a situazioni dove risulta utile raggruppare e collocare
vicine le risorse che corrispondono ad una medesima categoria, mediante l’allestimento di reparti
tra loro interconnessi; ne sono esempi le grandi officine di lavorazione meccanica per automobili,
dove ad esempio i veicoli sono organizzati per categorie di intervento (carrozzeria, pneumatici,
meccanica interna, ecc) o i supermercati, dove i prodotti sono ben organizzati in reparti e corsie
dedicate in funzioni delle caratteristiche merceologiche
Layout d produzione a celle, simile al layout di produzione funzionale ma con la peculiarità che i
reparti (denominati celle) sono tra loro indipendenti
Layout di produzione per prodotto, che si adatta a situazioni dove viene richiesta la produzione in
serie a flussi continui di prodotti tra loro quasi identici, fatta eccezione per varianti minime e
strettamente pianificate in base alle esigenze di mercato; in tal senso, ogni prodotto, informazione
ed ogni cliente seguono un percorso prestabilito lungo una “linea” produttiva immutabile
Definiti processi e layout, è importante tener conto anche delle tecnologie implementate; in tal senso
distinguiamo tra tecnologie di processo, relative alle macchine e agli strumenti che contribuiscono
materialmente alla produzione, e le tecnologie di prodotto, relative invece alle tecnologie “incorporate”
nel prodotto finito che ne definiscono le caratteristiche, la funzionalità ed il valore. Mediante la matrice
delle dimensioni della tecnologia di processo è possibile individuare le tre dimensioni caratterizzanti di
quest’ultime:
Grado di automazione, ovvero il rapporto tra l’intervento umano necessario al suo funzionamento e
il lavoro automatizzato che riesce a produrre
Livello di scalabilità, ovvero la possibilità di passare a diversi livelli di capacità operativa; ad
esempio, un’azienda di trasporti può decidere di impiegare nella produzione del proprio servizio
pochi mezzi dotati di grandi dimensioni e servizi opzionali, pur limitando il numero di viaggi
programmati e la tabella oraria, oppure può disporre di più mezzi di dimensioni più ridotte,
tendendo così verso un servizio più dilazionato nell’arco della giornata (più viaggi e intermittenze
orarie più agevoli) ma decisamente più standardizzato per quanto concerne l’esperienza di viaggio
dei clienti; ancora, un ufficio può decidere di usufruire di un’unica grande stampante,
tecnologicamente avanzata e capace di compiere più operazioni, oppure di disporre di più
stampanti tradizionali. In quest’ottica un elemento molto importante di cui tener conto è l’analisi
dei rischi legati alla business continuity, in quanto (rifacendosi agli esempi appena presentati) un
guasto improvviso ad uno dei pochi mezzi di trasporto di grandi dimensioni, oppure alla stampante
unica dell’ufficio, può compromettere l’attività aziendale nella sua totalità; viceversa, disponendo di
più strumenti (più mezzi o pi stampanti), in caso di guasto di alcune unità il deficit produttivo sarà
comunque limitato, permettendo dunque all’azienda di continuare a svolgere la sua attività, anche
se temporaneamente non a pieno regime
Connettività, ovvero il grado di integrazione, offerto dalle tecnologie implementate, in funzione
delle diverse attività che ne fanno parte; le aziende che possiedono un’elevata connettività possono
assicurarsi elevata velocità di produzione, semplicità nei flussi di risorse e informazioni e una
migliore tracciabilità dell’operato (prodotti in uscita, distribuzione, ecc); tuttavia, anche in questo
caso i rischi sono maggiori, in quanto un’interferenza temporanea o permanente nelle tecnologie di
processo può bloccare totalmente l’attività aziendale
La progettazione delle attività e dei compiti di produzione riguarda il modo con cui le risorse umane sono
chiamate a contribuire alla produzione di beni e servizi. Tale contributo deve rispettare i principi dell’etica,
della sicurezza sul lavoro e dell’equilibrio e rispetto dei tempi di lavoro e di quelli di vita personale. La
progettazione del lavoro in attività di produzione varia, ovviamente, in funzione del rapporto tra volume e
varietà di produzione; a tal proposito, la matrice delle mansioni permette di identificare un altro fattore
importante, l’ampiezza delle mansioni, che riguarda il numero di compiti che una singola unità viene
chiamata a svolgere per il corretto funzionamento della macchina produttiva. Il lavoro delle risorse umane
viene generalmente organizzato secondi differenti schemi, inquadrabili come:
Job rotation, ovvero l’assegnazione periodica di nuovi compiti alle singole unità, in modo da
variarne l’attività
Job enlargement, ovvero l’assegnazione di più compiti alle singole unità
Job enrichment, ovvero l’assegnazione di più compiti alle singole unità richiedendo però maggiori
responsabilità e autonomia
Team working, ovvero l’organizzazione di determinate attività in collaborazione
Empowerment, ovvero il “potenziamento” delle responsabilità e dell’autonomia dei singoli
Per quanto riguarda il collocamento della produzione nell’intero sistema aziendale, essa fa sicuramente
parte di quelle che definiamo attività primarie, più specificatamente si rifà all’insieme delle attività
operative, nelle quali riconosciamo attività di supporto alla produzione quali la logistica,
l’approvvigionamento, il controllo qualità e la manutenzione.
La logistica rappresenta l’attività che consente di ottenere, produrre e distribuire materiali, prodotti e
servizi nei luoghi appropriati, nei giusti tempi e nelle giuste quantità. Distinguiamo la logistica interna,
relativa alle attività inbound, quali la movimentazione interna e l’approvvigionamento di materie prime e
risorse produttive presso i fornitori, e la logistica esterna, relativa alle attività outbound quali la
distribuzione dei prodotti finiti verso i consumatori finali o i centri distributivi (grossisti, dettaglianti, ecc).
Le attività legate alla logistica sono estremamente pianificate, in quanto sono basilari affinché l’intera
macchina produttiva possa funzionare correttamente, continuando a ricevere input (materie prime, risorse
e materiali in entrata) per trasformarli in output (beni e/o servizi da offrire al mercato di riferimento). La
pianificazione della produzione e delle attività logistiche richiede l’elaborazione contemporanea di una
grande mole di informazioni, per le quali occorre adottare alcuni servizi informatici capaci di leggere in
modo chiaro, pulito e veloce tali informazioni e soprattutto in grado di trasmetterle rapidamente verso gli
altri reparti e/o organi aziendali di riferimento; tra questi riconosciamo i sistemi ERP (enterprise resources
planning), i sistemi MRP (material requirement planning) e i sistemi MPS (master production schedule), che
hanno il compito di comunicare tra loro e trasmettere a chi di dovere informazioni relative alle richieste di
acquisto, di approvvigionamento di materie prime e risorse produttive, agli ordini di lavoro, alla
programmazione di produzione, alla logistica outbound verso i distributori e i consumatori finali,
all’allestimento e alla gestione del magazzino (fondamentale per aziende di carattere industriale che
producono beni materiali in grandi volumi), ecc.
Per quanto concerne il controllo della qualità nei processi produttivi, esso si riferisce alla verifica del
rispetto dei principi qualitativi programmati, ovvero al controllo della qualità del progetto (in termini di
efficacia ed efficienza economica) e delle qualità di conformità dei beni/servizi prodotti (l’aderenza a
specifiche caratteristiche designate nel progetto di produzione). Il mantenimento della qualità in un
sistema aziendale, tuttavia, presenta alcuni costi:
Costi di valutazione, legati alle attività di ispezione svolte da terzi soggetti
Costi di prevenzione, legati alle attività di individuazione delle cause di eventuali non conformità e
alla manutenzione degli elementi che competono alla produzione; in particolare, soprattutto nei
grandi impianti industriali, che lavorano quotidianamente grandissimi volumi di merce, la
manutenzione corretta dei macchinari impiegati è fondamentale affinché la lavorazione possa
mantenere gli standard qualitativi prefissati. La manutenzione può essere ordinaria (pianificata),
straordinaria (guasti improvvisi), correttiva (allo scopo di aumentare la longevità dei beni
strumentali), migliorativa (allo scopo di migliorare le prestazioni dei beni strumentali), preventiva
(allo scopo di prevenire avarie future)
Per concludere, possiamo osservare alcune metodologie e principi legati alla produzione:
Metodologia pull, produzione tirata dalle vendite e dal mercato in quanto si produce soltanto
quando e quanto richiesto
Metodologia push, produzione spinta verso le vendite e il mercato in quanto si produce con la
previsione di rivendere il proprio output al prezzo designato
Un principio molto importante legato alla pianificazione della produzione è il miglioramento continuo del
sistema aziendale, sotto ogni suo aspetto. Tale principio è stato portato in auge dall’ingegnere Ohno della
Toyota sin dagli anni ’40, basandosi su una vera e propria filosofia aziendale relativa all’organizzazione
ottimale e scrupolosa delle attività, l’ordine perfetto di tutte le componenti implementate, la pulizia del
luogo di lavoro, la standardizzazione delle procedure da seguire per raggiungere gli obiettivi prefissati ed
infine, non per importanza, la disciplina, ovvero il rispetto assoluto e continuo di tutti i principi
precedentemente elencati.
Cap.12 L’innovazione
L’innovazione rappresenta la funzione aziendale che spesso viene associata in modo disinformato alla
tecnologia; più in particolare, si può dire correttamente che la tecnologia è la molla e l’essenza stessa
dell’innovazione, tuttavia tale funzione non riguarda soltanto l’evoluzione tecnologica relativa ai prodotti
e/o ai processi produttivi, ma anche l’evoluzione dell’intero sistema aziendale in relazione alle
innumerevoli sfide che quotidianamente un’azienda è tenuta ad affrontare, rintracciabili nell’intero
scenario competitivo nel quale essa si colloca, in competizione con tutte le altre organizzazioni di settore
riguardo alla fidelizzazione della clientela, al miglioramento dell’offerta, all’ottimizzazione di fattori quali la
customer orientation e il time to market, alla riduzione complessiva dei costi e dei temi ecc. Dunque, fare
innovazione significa lavorare con costanza e dedizione, in relazione all’intero complesso aziendale, in
un’ottica strategica che preveda da una parte il miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi,
l’accrescimento positivo dell’immagine aziendale e il raggiungimento del massimo numero possibile di
clienti, dall’altra la riduzione dei costi, delle risorse e dei tempi di progettazione, produzione e lancio sul
mercato di nuove proposte e soluzioni per il mercato in continua evoluzione. In tal senso vi sono due
concetti di diversa natura, ovvero:
L’innovazione in funzione del mercato, vale a dire che i processi di innovazione sono innescati dalle
esigenze emergenti dei clienti
L’innovazione in funzione della ricerca e dell’invenzione, vale a dire che i processi di innovazione
sono innescati dall’attività stessa di ricerca e sviluppo svolta dalle organizzazioni, ricercando nuove
soluzioni o scrutando l’eventuale adattabilità di invenzioni nate in settori specifici verso i settori più
disparati (ad esempio, Internet e il GPS sono strumenti concepiti e realizzati inizialmente per
utilizzo esclusivamente militare, ma oggi tutti noi li utilizziamo mediante diversi dispositivi per le
ragioni più disparate)
Possiamo distinguere tre tipologie di innovazione: “innovazione del come”, “innovazione del che cosa” e
“innovazione per l’uso e l’adattamento all’innovazione”.
L’innovazione del come riguarda l’insieme di modalità e tecniche procedurali che portano alla realizzazione
dell’output aziendale, ovvero il rinnovamento dei processi adoperati e l’ottimizzazione delle relative
caratteristiche quali la riduzione dei costi e tempi di lavoro e produzione; ne sono esempi l’introduzione
della robotica nella chirurgia delicata, della tecnologia laser nel mondo manifatturiero e delle reti
informatiche nell’intero settore terziario.
Infine, l’innovazione per l’uso e l’adattamento all’innovazione riguarda l’intero complesso aziendale e la
sua predisposizione a rinnovarsi in modo tale da introdurre l’innovazione a livello sistemico, garantendo
così maggiore efficienza per i processi produttivi, per le attività funzionali e per l’output stesso. Si tratta, in
senso più ampio, di migliorare e/o espandere il business knowledge management, ovvero l’intero
complesso di conoscenze e competenze di cui l’azienda dispone per esercitare efficacemente la propria
attività; in tal senso, più o meno ogni azienda cerca di specializzarsi in una o più competenze specifiche,
definite core competence/ences, che diventano “parte integrante” del patrimonio aziendale e ne
rappresentano un fattore strategico distintivo da presidiare, valorizzare e garantire nel tempo (tali
competenze variano in un arco di attività molto ampio, dall’innovazione in senso stretto dei prodotti al
customer caring, ecc).
In conclusione, i requisiti per poter fare innovazione sia di processo che di prodotto sono:
Soddisfazione completa delle aspettative del cliente, ovvero scrutare attentamente la concorrenza,
i potenziali nuovi target di mercato e l’eventuale “lamentato” della clientela attuale, in modo da
riorganizzare il sistema aziendale e realizzare prodotti che soddisfino pienamente le loro attese in
fatto di funzionalità e gradimento
Gestione del time to market, ovvero l’ottimizzazione dei tempi che intercorrono dalla fase di
progettazione del prodotto alla sua concreta produzione e conseguente lancio sul mercato,
possibile grazie ad una simultaneous engineering che coordini in modo parallelo le varie funzioni
aziendali coinvolte nel processo di innovazione, garantendo pari vincoli e opportunità ad ognuna di
esse mettendo in condivisione comune dati, informazioni, competenze ecc.
Gestione del processo di sviluppo dell’innovazione, ovvero definire con chiarezza tutti i passaggi
fondamentali che permettono di passare dalla ricezione delle attese ed esigenze del cliente alla sua
soddisfazione con il lancio sul mercato dell’output aziendale; in tal senso, è opportuno tenere
presente il ciclo vitale di un’innovazione, che si articola in 5 fasi distinte: creazione e lancio sul
mercato, diffusione presso il mercato di riferimento, maturità (raggiungimento della massima
popolarità commerciale presso il proprio target di riferimento), revisione (osservazione analitica
delle caratteristiche del prodotto e dei suoi fattori di successo/insuccesso), declino/sostituzione
(fase dove l’avanzamento tecnologico spesso condanna una determina innovazione lanciata sul
mercato, salvo la sua sostituzione con prodotti al passo con i tempi o la revisione innovativa dello
stesso); questo ciclo vitale, tuttavia, varia a seconda del settore di riferimento: ad esempio, nel
mercato dell’elettronica la fase di declino tecnologico è inevitabile e spesso repentina, in quanto il
prodotto stesso è legato all’avanzamento tecnologico, viceversa in settori come il terziario o
l’industria alimentare la fase di declino viene spesso caratterizzata perlopiù da revisioni tecniche;
più nel dettaglio, la fase di creazione e lancio sul mercato si articola a sua volta in diverse sottofasi,
quali la concezione del prodotto analizzandone la fattibilità e le esigenze dei clienti, la sua
progettazione e ingegnerizzazione (passaggio da semplice bozza a progetto concreto),
l’industrializzazione, la distribuzione preso i consumatori finali (mediante la logistica) e la review,
ovvero il monitoraggio analitico dell’intero processo che vi è alle spalle, per assicurare la massima
qualità ed efficienza del prodotto in lancio sul mercato
La funzione finanza si occupa della gestione del fattore capitale, ovvero dell’acquisizione del capitale e del
suo impiego. Dunque, l’obiettivo principale di questa delicata funzione aziendale è quello di garantire un
buon equilibrio in primis tra le entrate e le uscite monetarie (tesoreria) e, conseguentemente,
un’equilibrata struttura finanziaria tra le fonti e gli impieghi di capitale. Tale struttura finanziaria pone
l’accento sul confronto tra le singole strutture delle fonti e degli impieghi, in maniera statica (es. bilancio) o
dinamica (es. analisi dei flussi); in particolare, tale struttura tiene conto in modo importante della
provenienza e della durata, rispettivamente delle fonti e degli impieghi, in modo da tracciare una
mappatura più completa e precisa della situazione finanziaria aziendale individuando alcuni fattori di
confronto significativi, come:
Capitale permanente, l’insieme di capitale a rischio e l’indebitamento a medio/lungo termine,
ovvero ciò che costituisce stabilmente in modo pluriennale l’effettivo capitale a disposizione
Capitale circolante lordo, ovvero l’insieme di impieghi che dovrebbero tradursi in entrate nel breve
periodo (rimanenze in magazzino, crediti esigibili, disponibilità immediate, ecc)
Capitale circolante netto, ovvero un indice importante per definire la reale presenza di equilibrio
finanziario e la conseguente capacità aziendale di far fronte agli impegni imminenti che
comporteranno uscite monetarie; può essere determinato o dalla differenza tra capitale circolante
lordo e i debiti correnti oppure dalla differenza tra capitale permanente e le immobilizzazioni
effettive
Margine di struttura, ovvero il fattore che riguarda la capacità aziendale di coprire le
immobilizzazioni con mezzi propri, dato dalla differenza tra capitale a rischio e le immobilizzazioni
Margine di tesoreria, ovvero il fattore che individua la competitività finanziaria dell’azienda, data
dalla differenza tra le liquidità immediate e differite e i debiti correnti (ovvero il rapporto tra
disponibilità in cassa/banca e flussi in entrata e i flussi in uscita a breve termine)
Per quanto concerne le fonti di finanziamento aziendale, esse rappresentano le modalità che permettono
all’azienda di fronteggiare il fabbisogno di capitale e gli impegni derivanti dalla gestione. Esse si
distinguono in:
Capitale proprio (a rischio)
Debiti a medio/lungo termine
Debiti correnti
Il capitale proprio è rappresentato dagli apporti effettuati dai soci interni per via diretta (conferimenti di
capitali all’atto costitutivo aziendale) o per via indiretta (conferimenti che costituiscono riserve di utili da
distribuire agli azionisti o reinvestire in azienda).
I debiti a medio/lungo termine sono a loro volta distinguibili in: prestiti obbligazionari, mutui e leasing.
I prestiti obbligazionari sono una forma di finanziamento tipica delle società per azioni allo scopo di
finanziare attività fisse; più precisamente, le obbligazioni sono dei titoli che rappresentano quote del
debito d’impresa sulle quali la stessa si impegna a corrispondere un interesse ai sottoscrittori. Le fasi che
definiscono un prestito obbligazionario sono:
Emissione, ovvero l’emissione di obbligazioni aventi un prezzo di emissione (il prezzo versato dai
sottoscrittori all’emittente) ed un valore nominale (quota del debito relativa ad ogni singola
obbligazione, sulla quale vengono calcolati gli interessi; in tal senso, l’emissione si dice alla pari (se
prezzo di emissione e valore nominale sono uguali), sotto la pari (prezzo inferiore al valore) o sopra
la pari (prezzo superiore al valore)
Collocamento, ovvero le modalità attraverso le quali il prestito viene offerto, che può essere curato
direttamente dall’azienda (diretto) o da un terzo soggetto (indiretto) che può eventualmente anche
provvedere all’assunzione stessa del prestito per poi ricollocarlo
Rimborso, mediante un’unica soluzione oppure secondo un piano di ammortamento finanziario
I mutui rappresentano invece forme di finanziamento a medio/lungo termine che le imprese negoziano
con gli istituti di credito, in gran parte banche, allo scopo di ottenere una certa liquidità per far fronte agli
impegni imminenti. I mutui sono caratterizzati dalla definizione, da parte di chi sottoscrive, della
destinazione dei fondi concessi (es. acquisto di immobilizzazioni) e di particolari garanzie reali o personali
(ipoteche di beni specifici o fideiussione). Le fasi che definiscono un’operazione di mutuo sono:
Ottenimento de mutuo, subordinato ad un’indagine preliminare effettuata dall’istituto di credito
nei confronti di chi intende sottoscrivere un mutuo, verificandone la stabilità tecnica (efficacia ed
efficienza economica) e quella amministrativa e richiedendo talvolta alcune condizioni e clausole,
quali la definizione di garanzie reali o personali o l’adattamento dell’azienda ad un piano di
ridistribuzione degli utili che permetta maggiore sicurezza ne garanzie circa il rimborso
Pagamento degli interessi e rimborso, mediante un piano di ammortamento finanziario che
prevede il versamento mensile di una quota del capitale di debito maggiorata con gli interessi
relativi al periodo trascorso dall’ottenimento del mutuo; in tal senso, il mutuo può essere pattuito
a tasso fisso o variabile, generando conseguentemente un rimborso a quote decrescenti (quote di
capitale uguali con interessi decrescenti) o un rimborso a quote costanti (quote crescenti di
capitale con interessi sul debito residuo
Il leasing rappresenta un’operazione con la quale un’impresa locataria, che desideri disporre di un certo
bene senza però acquisirne la proprietà, ottiene in locazione tale bene da un’altra impresa definita
locatrice. Il corrispettivo per tale operazione è il versamento di canoni di leasing a epoche prefissate
(generalmente trimestrali) precedute dal versamento di un maxi canone iniziale (relativo ad una
percentuale di valore del bene richiesto), Le operazioni di leasing possono seguire due modalità:
Leasing operativo, assimilabile ad un semplice contratto di affitto tra l’impresa locatrice e l’impresa
locataria, dove generalmente sono garantiti servizi di supporto come l’assistenza tecnica da parte
dell’impresa locatrice, ma non vi è quasi mai l’eventuale diritto di riscatto del bene
Leasing finanziario, assimilabile ad una vera e propria forma di finanziamento mediata, dove spicca
la figura intermediaria della società di leasing, che per conto dell’impresa locataria si impegna
nell’acquisizione del bene necessario da parte delle imprese costruttrici/fornitrici per poi
concederne l’utilizzo in leasing, mediante il pagamento di canoni comprendenti una quota capitale
legata all’impiego, al costo e allo stato del bene, gli interessi maturati sul capitale investito e una
somma maggiorata circa le spese di gestione e il margine di utile della società di leasing,
garantendo tuttavia il diritto di riscatto del bene al termine del contratto stipulato
I debiti correnti (o a breve termine) sono distinguibili in: finanziamenti ottenuti da istituti di credito e
finanziamenti ottenuti da fornitori di fattori produttivi.
Tra i finanziamenti a breve termine ottenuti dagli istituti di credito troviamo: apertura di crediti in conto
corrente (maggiore elasticità di cassa), lo smobilizzo crediti, il prestito cambiario e i fidi di firma.
L’apertura di crediti in conto corrente rappresenta la forma di finanziamento corrente più diffusa e
consiste nella stipulazione di un accordo con un istituto di credito che si impegna a mantenere a
disposizione dell’impresa, a tempo determinato o indeterminato, una specifica somma di denaro. Tale
operazione comporta come costo fisso il versamento di commissioni passive, determinate dal
congelamento di tale somma di denaro, più una somma variabile relativi agli interessi passi maturati.
Le operazioni di smobilizzo crediti sono tipiche di situazioni particolari, dove un’impresa dimostra forte
necessità di incassare determinati crediti nel minor tempo possibile e/o un’altra azienda intende invece
dilazionare il più possibile il pagamento per gli acquisti effettuati. In tal senso, è possibile coinvolgere un
terzo soggetto (un intermediario finanziario) che acquisisce il credito liquidando la somma richiesta
all’impresa, che dovrà poi occuparsi di informare l’azienda debitrice il nuovo destinatario del debito
maturato. Tale operazione può coinvolgere anche eventuali altre aziende verso le quali si hanno dei debiti,
in modo da semplificare i flussi finanziari; un esempio particolare di trasferimento di crediti è dato dal
factoring, dove l’intermediario (factor) non è una semplice banca, ma una società specializzata proprio
nell’attività di acquisizione e riscossione dei crediti commerciali.
I prestiti cambiari consistono nello sconto di cambiali emesse dall’impresa direttamente a favore della
banca finanziatrice (generalmente sottoforma di pagherò). Tale operazione è assimilabile all’apertura di
credito in conto corrente, in quanto alla sottoscrizione è opportuno indicare alcune garanzie generalmente
reali (ovvero beni in pegno) che spesso fungono da merce di scambio per il completamento di questa
operazione finanziaria a breve termine.
Infine, i fidi di firma rappresentano forme di finanziamento volte a garantire gli impegni dell’impresa nei
confronti di terzi soggetti, da parte di altre imprese o di istituti di credito, dietro garanzie quali la
fideiussione (obbligazioni pecuniarie), l’avallo (garanzia certificata da parte di un’altra impresa) e
l’accettazione (garanzia certificata da un istituto di credito).
Per quanto invece concerne i finanziamenti ottenuti dai fornitori di fattori produttivi, essi spesso sono
meglio definito “debiti di fornitura”, ovvero sono forme di finanziamento legate all’acquisto di materiali,
beni o servizi e alla dilazione di pagamento ottenuta, posticipando dunque i flussi in uscita da parte
dell’azienda.
Tra i principali investimenti aziendali invece, ovvero l’impiego delle risorse finanziarie acquisite, abbiamo:
investimenti in beni strumentali e investimenti in circolante lordo.
Gli investimenti in beni strumentali riguardano gli esborsi monetari atti all’acquisizione di beni fisici che
garantiscano l’attività di impresa (macchinari, impianti, fabbricati ecc) e in tal senso distinguiamo quattro
diverse categorie:
Investimenti di sostituzione, effettuati per sostituire vecchi beni non più utilizzabili in seguito a
guasti tecnici o logorio
Investimenti di razionalizzazione e ammodernamento, effettuati per sostituire i vecchi beni con
nuovi modelli più tecnologicamente avanzati, garantendo migliori prestazioni ed efficienza
Investimenti di espansione, effettuati per ampliare la propria capacità produttiva mediante
l’ingresso in azienda di nuovi beni
Investimenti strategici, effettuati per perseguire obiettivi futuri e garantire lo sviluppo
dell’innovazione
Tra gli investimenti in circolante lordo riscontriamo: scorte di magazzino, crediti v/clienti e la gestione della
tesoreria.
Le scorte di magazzino sono l’insieme di materie prime, semilavorati e prodotti finiti che in un dato
momento della gestione sono in una situazione di stallo, ovvero sono in attesa di monetizzarsi
partecipando al processo di lavorazione o distribuzione. Le scorte si distinguono in:
Funzionali, collegate alla risoluzione della sincronizzazione tra i vari processi aziendali (acquisto,
trasformazione e vendita)
Speculative, collegate alle opportunità che maturano nei mercati di approvvigionamento, quando il
costo di determinate materie prime di necessità risulta particolarmente vantaggioso, acquistando
dunque in surplus
I crediti v/clienti, come per i debiti di fornitura, sono crediti che l’azienda matura nei confronti di chi ha
acquistato i suoi output; in tal senso, l’azienda può concedere alcune dilazioni di pagamento verso i propri
clienti, in base alle esigenze esistenti.
Infine, la gestione della tesoreria riguarda l’equilibrio nel tempo dei flussi di entrata e di uscita, che può
determinare un ammontare di disponibilità liquide o di scoperti di cassa (assenza temporanea di cassa).
In conclusione, la funzione finanza ha tra i suoi obiettivi quello di mantenere una serie di equilibri, di cui:
Equilibrio tra le diverse forme di finanziamento adoperate (ricorrendo a capitale proprio oppure a
capitale di credito), legato dunque all’indipendenza finanziaria
Equilibrio tra le tipologie di investimenti effettuati, legato al mantenimento di una certa liquidità
Equilibrio tra i fabbisogni aziendali e i mezzi di copertura impiegati
Gli elementi costitutivi di un’azienda, ovvero le persone e i mezzi tecnici adoperati per lo svolgimento delle
attività, devono essere tra loro armonicamente coordinati nel sistema produttivo, mediante regole e
processi che definiscono l’espletamento del fattore lavoro, la suddivisione delle mansioni e dei ruoli e gli
obiettivi da raggiungere. In particolare, la funzione di organizzazione e gestione delle risorse umane è un
elemento molto importante nel contesto aziendale, ed è presente in qualsiasi tipologia di azienda, dalle
piccole imprese alle grandi multinazionali, dall’industria manifatturiera alla ben più imponente industria di
produzione in serie e alle imprese di servizi; più nello specifico, tale funzione si occupa di definire i processi
di acquisizione e gestione delle risorse umane e della loro organizzazione in azienda, ovvero la suddivisione
delle diverse mansioni e attività e il loro coordinamento, rilevandone il valore strumentale (ordine e
razionalità del lavoro) ed il valore strategico (valorizzazione delle competenze e le professionalità che
emergono dai singoli o dal gruppo). Alcuni esempi caratteristici di organizzazione del personale sono dati
da: taylorismo, basato su un approccio organizzativo “scientifico” che predispone un coordinamento
interno gerarchico ed una divisione del lavoro netta, caratterizzando il lavoro esecutivo con compiti
semplici e ripetitivi ed il lavoro direzionale in funzioni altamente specializzate; lean organization, un
approccio “filosofico” di origine giapponese che ha come obiettivo quello di rimuovere tutti gli elementi
che possono intralciare o appesantire l’espletamento della produzione e del lavoro aziendale,
compromettendone l’efficienza; learning organization, approccio “pedagogico” che pone l’accento sulla
gestione della conoscenza e la sua diffusione interna all’azienda.
Uno dei compiti principali della funzione di organizzazione e gestione delle risorse umane è quello di
combinare le variabili organizzative, ovvero le diverse modalità di regolazione del fattore lavoro tese ad
influenzare il comportamento dei soggetti aziendali verso la generazione dei risultati auspicati. Esse si
distinguono in: struttura organizzativa, meccanismi operativi e stile di direzione e cultura aziendale.
La struttura organizzativa rappresenta l’ossatura che viene impostata per la suddivisione del lavoro
aziendale e il coordinamento delle attività; vi sono quattro tipologie:
Struttura funzionale, caratterizzata dalla presenza di un vertice aziendale che gestisce l’azienda nel
suo insieme, una serie di direzioni funzionali che amministrano specifiche funzioni aziendali e dalle
unità operative poste all’ultimo gradino della gerarchia aziendale; si tratta di un modello
organizzativo prevalentemente standardizzato e organizzato secondo una gerarchia decisionale
unicamente verticale
Struttura divisionale, caratterizzata dalla presenza aggiuntiva (rispetto alla struttura funzionale)
delle direzioni di divisione, che si occupano della gestione autonoma delle singole business unit;
tale struttura presenta un maggior decentramento decisionale, seguendo una gerarchia trasversale
nella suddivisione delle attività
Struttura a matrice, caratterizzata dalla presenza aggiuntiva dei responsabili di progetto, che
cooperano con le direzioni funzionali per curare le attività relative alla realizzazioni degli obiettivi
aziendali; anche questa struttura presenta un forte decentramento decisionale, poiché essa viene
generalmente applicata in aziende che lavorano per progetti/su commessa, ovvero situazioni dove
è necessario delegare potere decisionale a diverse figure intermediarie a capo delle diverse funzioni
operative e/o dell’espletamento dell’intero progetto
Strutture ibride, ovvero strutture caratterizzate dalla combinazione dei tre modelli precedenti,
cercando di trarne i punti di forza di ognuno, applicandoli a diverse situazioni
I meccanismi operativi rappresentano l’insieme di strumenti e processi con i quali le decisioni prese a
livello strutturale vengono realizzate e rese operative; tra i principali meccanismi vi sono:
Pianificazione strategica e controllo della gestione, che si occupa della definizione esplicita degli
obiettivi di gestione e delle verifiche in itinere delle attività svolte per il loro raggiungimento
Gestione e sviluppo delle risorse umane, che si occupa della selezione del personale
(coerentemente con le qualità e le quantità ricercate) e della gestione ed integrazione delle singole
unità nel sistema aziendale
Sistema di informazione e comunicazione, che si occupa di raccogliere, elaborare, archiviare e
diffondere le informazioni a vari livelli aziendali; tale sistema comprende le informazioni, l’insieme
di procedure che ne permettano la raccolta, l’elaborazione e la diffusione e i mezzi tecnici impiegati
per tale obiettivo. Si può distinguere il sistema informativo operativo (gestione di informazioni
legate alle attività primarie) ed il sistema informativo direzionale (gestione di informazioni legate al
general management aziendale)
Lo stile di leadership rappresenta il modo in cui viene intesa la gestione del potere all’interno
dell’organizzazione aziendale, ovvero le modalità con cui si sviluppano i rapporti tra ruoli gerarchicamente
diversi; ne distinguiamo tre tipologie principali:
Stile autoritario, caratterizzato da un forte accentramento del potere decisionale nelle mani della
figura del capo
Stile democratico, caratterizzato dalla negoziazione di decisioni mediante il confronto fra le diverse
parti costituenti l’azienda (consigli decisionali)
Stile permissivo, caratterizzato da un forte decentramento decisionale, con la possibilità di auto-
definire i propri compiti e le modalità di realizzazione
I caratteri distintivi che caratterizzano un leader efficace, generalmente, riguardano l’attitudine al coaching
(guida manageriale e professionale mirata al trasferimento attivo di conoscenze e competenze), la capacità
di percepire le esigenze altrui (empatia), l’orientamento al futuro (individuandone opportunità e rischi), la
capacità di promuovere l’innovazione personale e di gruppo, la capacità di empowerment dei talenti
emergenti.
Un altro elemento caratteristico legato allo stile di leadership è la cultura aziendale, ovvero l’insieme di
assunti, principi, idee, valori e atteggiamenti che sono interiorizzati all’interno dell’azienda e ne
rappresentano un’identità ben delineata all’interno del macro-sistema nel quale l’azienda opera.
Risulta molto importante soffermarsi sul meccanismo operativo concernente la gestione e lo sviluppo delle
risorse umane. Per quanto riguarda l’acquisizione delle risorse umane ed il loro conseguente inserimento
nel sistema aziendale ci sono quattro fasi distinte:
Pianificazione, fase dove l’azienda pianifica la volontà di integrare nuove unità nel proprio organico,
definendo i parametri qualitativi e quantitativi necessari
Reclutamento, fase dove l’azienda entra in contatto con i candidati per le posizioni aperte,
valutandone le qualità e confrontandole con i parametri inizialmente ricercati; l’attività di
reclutamento può avvenire in funzione di fonti interne (auto-candidature, concorsi interni) o
esterne (domande dirette, annunci sui media, career day presso le università, cc)
Selezione, fase dove l’azienda individua tra i candidati coloro che rispondono meglio alle esigenze
aziendali, per procedere poi con un’ulteriore fase di analisi mediante colloqui conoscitivi individuali,
test psico-attitudinali, assessment di gruppo, ecc
Accoglimento ed inserimento in azienda, due fasi distinte che però sono spesso intrecciate e
dunque identificabili come una sola, dove l’azienda si impegna ad inserire le nuove unità
selezionate nel sistema aziendale, fornendo informazioni di base sul funzionamento complessivo
dell’organizzazione e garantendo percorsi formativi atti all’educazione professionale delle risorse
Per quanto invece riguarda la gestione delle risorse, distinguiamo quattro livelli di analisi principali: sistema
di retribuzione, pianificazione delle carriere, sistemi di valutazione e la formazione.
Il sistema di retribuzione riguarda l’elaborazione del compenso economico devoluto alla singola risorsa per
il lavoro svolto in azienda, e prende in considerazione:
Livello retributivo, entità complessiva della retribuzione (in funzione delle contrattazioni, dei
mercati ecc)
Struttura della retribuzione, ovvero il valore attribuito ad essa in base ad una parte fissa ed
indipendente e ad una parte variabile correlata ai risultati ottenuti e alle prestazioni lavorative
Evoluzione della retribuzione, ovvero le dinamiche che portano alle eventuali variazioni nella
contrattazione e nel valore della retribuzione
La pianificazione delle carriere è un processo mediante il quale si allinea la posizione ed il ruolo del
personale con l’evoluzione attesa dall’azienda, ovvero si cerca di impostare la sequenze di mansioni, ruoli e
responsabilità legate alle singole unità con le previsioni riguardanti l’evoluzione futura aziendale. In tal
senso, la pianificazione delle carriere permette alle singole unità di entrare in un percorso di crescita
all’interno dell’azienda, puntando verso le mansioni di calibro maggiore in funzione delle proprie capacità
(competenze, titoli di studio, ecc); lo sviluppo di carriera può realizzarsi in modo funzionale
(specializzazione in una determinata funzione e/o posizione funzionale) o trasversale (sviluppo di
competenze e conoscenze che inquadrano l’intero assetto aziendale)
Infine, la formazione del personale è il processo che permette all’azienda di incanalare le proprie risorse
umane in percorsi formativi che ne garantiscano l’educazione professionale sia per l’inserimento in azienda
sia per la messa in pratica di dinamiche legate all’evoluzione della carriera; infatti, molto spesso il
progredire delle mansioni e dei ruoli occupati è strettamente legato al livello di formazione delle risorse,
valorizzabili mediante pratiche formative quali il coaching, il counseling e l’e-learning. La valutazione dei
risultati ottenuti dalle pratiche formative è molto importante, in quanto permette di ottimizzarle nell’ottica
di un mercato del lavoro in continua evoluzione; la valutazione dei risultati viene effettuata
prevalentemente mediante l’acquisizione di feedback sia da parte di chi apprende sia da parte di chi eroga
la formazione.
Cap.15 L’amministrazione
La funzione amministrazione si occupa di tutto ciò che riguarda la tenuta della contabilità aziendale ed i
relativi adempimenti di natura fiscale. Il suo compito principale è quello di produrre informazioni
economico-finanziarie rivolti ai terzi, ovvero a tutti gli stakeholders che interagiscono con l’azienda per
motivi differenti (banche, fornitori, clienti, altre aziende, ecc). Essa, inoltre, differisce dalla funzione di
controllo della gestione (analizzata nel capitolo successivo) poiché quest’ultima ha come obiettivo
fondamentale quello di produrre informazioni rivolte esclusivamente al management, dunque informazioni
rilevanti solamente per gli organi interni al sistema aziendale.
La rilevazione dei dati è la chiave principale della tenuta della contabilità, e consiste nel rilevare tutti quei
fatti amministrativi (legati cioè allo svolgimento dell’attività aziendale) che sono posti in essere con un
terzo soggetto (altre imprese, banche, ecc) e generano movimentazioni di natura finanziaria o economica;
tipici fatti amministrativi legati alla rilevazione contabilità sono l’acquisto di materiale dai fornitori, la
vendita di prodotti, spese interne relative al mantenimento del personale (retribuzione e contributi
previdenziali), operazioni di investimento o finanziamento. Le operazioni rilevate necessitano di essere
documentate mediante fatture, ricevute, assegni ecc. e per legge l’azienda è tenuta a tenere in costante
aggiornamento il libro giornale (raccolta di rilevazioni d’esercizio in ordine cronologico) e il libro mastro
(raccolta di rilevazioni d’esercizio organizzate in sistemi omogenei). Le procedure contabili si basano sul
principio dualistico della partita doppia, una tecnica amministrativa che prevede l’impiego di particolati
prospetti, i conti, dove le rilevazioni vengono registrate tenendo conto della sezioni DARE e AVERE (che
rilevano quantità di segno algebrico diverso tra loro).
La chiusura dei conti è un’attività necessaria al termine di ogni esercizio, in quanto in tal modo viene
decretata la fine del periodo amministrativo d’esercizio attuale, individuando dunque le grandezze
quantitative di natura economica, finanziaria e patrimoniale per procedere alla redazione del bilancio
d’esercizio, nei suoi diversi prospetti (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario).
Infine, per poter riprendere l’attività contabile in riferimento al nuovo esercizio in apertura, è necessario
procedere alla riapertura dei conti.
La pianificazione strategica viene intesa come il processo attraverso il quale le intenzioni strategiche di
business vengono tradotte in pratica, mediante l’elaborazione di piani pluriennali che generino un sistema
integrato di decisioni che attuano la strategia in senso concreto. La pianificazione strategica si articola in
cinque fasi:
Analisi della situazione di partenza e della sua prevedibile evoluzione futura, ovvero analizzare la
situazione aziendale nel momento in cui si pianifica e prevederne l’evoluzione nel periodo
prestabilito
Determinazione degli obiettivi di gestione, ovvero determinare i risultati che si intendono
raggiungere mediante la nuova pianificazione strategica
Formulazione delle intenzioni, ovvero definire chiaramente cosa si intende fare (es. produrre e
collocare sul mercato un bene o un servizio), per chi (designare il target di riferimento) e come
(modalità di realizzazione e collocamento del bene/servizio)
Formulazione delle iniziative e piani d’azione, ovvero definire i percorsi da intraprendere per
giungere alla realizzazione delle intenzioni, verificandone la fattibilità in termini di disponibilità di
risorse, tempi di esecuzione e responsabilità organizzative
Previsione dei risultati attesi, ovvero quantificare i risultati che si intendono raggiungere
Come detto precedentemente, il piano strategico rappresenta il documento che sintetizza la pianificazione
strategica, e rappresenta un documento di valenza pluriennale che ha la funzione di guidare le iniziative del
management per giungere alla realizzazione concreta delle aspettative del piano, in termini quantitativi e
qualitativi. Tale documento ha una duplice funzione, ovvero interna (esplicitare chiaramente le scelte di
gestione) ed esterna (documento presentabile a terzi soggetti, es. banche per l’ottenimento di
finanziamenti) e si basa su alcuni requisiti fondamentali quali la coerenza, l’attendibilità e la sostenibilità
dei progetti; per quanto concerne il contenuto del piano strategico, troviamo:
Presentazione della strategia realizzata in precedenza, che identifica la situazione di partenza
Esplicitazione delle intenzioni strategiche da perseguire
Identificazione delle iniziative strategiche da intraprendere
La previsione dei risultati di attesi
Uno strumento molto importate per la pianificazione strategica è il budgeting, ovvero la stesura di bilanci
preventivi (o budget) che permettono di indirizzare le operazioni di gestione verso percorsi che ne
permettano di realizzare le intenzioni.
Il controllo di gestione è un sistema direzionale (ovvero un insieme di principi, regole, strumenti) che
permette di produrre informazioni rilevanti di natura economico-finanziaria per destinatari interni, ovvero i
responsabili per l’intero management aziendale. L’attività di controllo di gestione si occupa principalmente
del monitoraggio dell’efficienza e dell’efficacia economica dei processi aziendali, mediante un
monitoraggio sia a livello globale sia a livelli più profondi della struttura aziendale, ovvero i sub-sistemi, ad
esempio il monitoraggio di specifiche aree di risultato in funzione ai prodotti, ai clienti, ai canali distributivi,
alle aree geografiche, ecc. Il controllo si distingue in tre fasi:
Controllo antecedente, ovvero un controllo preventivo che compete alla realizzazione dei budget
aziendali
Controllo concomitante, ovvero la verifica in itinere dei risultati ad epoche prestabilite (es. mensile,
trimestrale, ecc)
Controllo susseguente, ovvero il controllo consuntivo dei risultati effettuato al termine del periodo
prestabilito per il piano strategico
L’espressione corporate governance si riferisce al complesso di strumenti e meccanismi diretti a tutelare gli
interessi dei soci e azionisti (la proprietà aziendale) non direttamente coinvolti nei processi di gestione
rispetto all’operato degli amministratori (ovvero di chi viene delegato del management); più precisamente,
la corporate governance rappresenta l’insieme di caratteri di struttura e funzionamento degli organi di
governo e di controllo di un’azienda. I principali temi connessi a tale concetto riguardano:
Le diverse tipologie di governo aziendale
La definizione dei controlli esterni
La definizione dei controlli interni (consiglio di amministrazione, collegio sindacale, ecc)
I meccanismi che regolano la remunerazione del management
Per poter classificare le diverse tipologie di corporate governance esistenti è necessario tener presente due
fattori importanti, ovvero la composizione della compagine azionaria (che definisce la grandezza
dell’azienda) e la sua stessa stabilità (che definisce la politica decisionale applicata nell’azienda). Ci sono tre
principali tipologie di corporate governance:
Public company, un’impresa che ha come caratteristica principale quella di presentare una
compagine azionaria molto diffusa, evitando così che ci siano pochi azionisti che detengono un
ruolo più centrale della gestione aziendale; tuttavia, il principale rischio qualora dovesse succedere
ciò è che la distribuzione dei dividendi potrebbe essere parecchio limitata per soddisfare alcuni
privilegi di chi detiene quote aziendali maggiori
Impresa padronale, un tipo di governance praticamente opposta alla public company, poiché in
questo caso l’azionariato è ristretto (non a caso l’impresa famigliare ne è l’esempio principale) e
risulta dunque particolarmente stabile
Impresa consociativa, tipo di governance che si colloca a metà tra i due modelli precedenti, in
quanto l’azionariato, seppur abbastanza diffuso, viene generalmente in maggior parte detenuto per
lunghi periodi da un gruppo ristretto di individui (definito nocciolo duro), che detengono quote
omogenee, garantendo quindi l’impossibilità che vi sia un punto di riferimento ben evidente a capo
dell’azienda
Soffermandosi sul family business, ovvero l’azienda famigliare, si è visto come essa rientri nella tipologia di
governance dell’impresa padronale, dove un gruppo ristretto di individui (o uno solo) detiene il controllo
della gestione e funge da punto di riferimento, garantendo una certa stabilità dell’assetto aziendale
considerando il numero esiguo di componenti dell’azionariato. La family business è una tipologia d’azienda
ampiamente diffusa e spesso associata anche a grandissime realtà, quali ad esempio Benetton, Ferrero,
Barilla, Levi Strauss, ecc. Le imprese famigliare, solitamente, si configurano come aziende indirizzate
prevalentemente verso una visione di business nel lungo periodo, in quanto uno degli obiettivi
fondamentali è quello di garantire la sostenibilità economica dell’attività nel tempo e preservarne dunque
la stabilità (per quel che riguarderà il passaggio generazionale tra il fondatore e i suoi discendenti); dunque,
chi si occupa della pianificazione strategica nel family business dovrebbe cercare di coordinare fattori
chiave quali la generazione di valore economico nel lungo periodo e la graduale crescita aziendale.
In particolare, il family business è caratterizzato dall’interazione di due sub-sistemi, ognuno con i propri
valori, finalità e processi: il sistema famiglia e il sistema business. In tal senso, è possibile individuare due
approcci diversi che qualificano una family business:
Family oriented, approccio che pone l’accento più sulle dinamiche famigliari che su quelle aziendali,
forzando dunque l’attività d’impresa con scelte che derivano da obiettivi famigliari autonomi,
rischiando però di limitare e rallentare lo sviluppo economico dell’azienda
Business oriented, approccio che pone maggiormente l’accento sulle dinamiche aziendali che su
quelle famigliari, garantendo dunque una maggiore professionalità nell’espletamento dell’attività e
mostrando una maggiore apertura verso collaboratori esterni (manager, marketer ecc)
In realtà, i due approcci sono tra loro complementari in quanto, a grandi linea, vanno a definire due
momenti diversi della vita di una family business: nei primi anni di attività, un’impresa famigliare sarà
infatti maggiormente indirizzata verso un approccio family oriented, mettendo in piedi strategie che
raccolgano il consenso di tutti i membri del nucleo famigliare e garantiscano la stabilità aziendale nel
tempo; di contro, una volta ottenuta una certa stabilità molte family business decidono di affacciarsi in
modo più dinamico sul proprio mercato di riferimento, ampliando anche il proprio organico con soggetti
estranei al nucleo famigliare che però sono in grado di offrire prestazioni di qualità per promuovere la
crescita continua del business. I fattori che incidono sull’evoluzione di tale intreccio sono essenzialmente la
qualità famigliare (es. classe sociale, grado di istruzione ecc), le competenze offerte dai singoli e la struttura
famigliare (età media, numero di componenti, grado di parentela dei soggetti coinvolti ecc).
In tal senso, le family business possono essere classificate in:
Imprese a proprietà chiusa, ovvero imprese famigliari di piccole dimensioni che preferiscono
mantenere un approccio family oriented e gestire la propria attività in completa autonomia
Imprese a proprietà stretta, ovvero imprese famigliari che presentano una struttura solidamente
basata sul family oriented, tuttavia possono gradualmente aprirsi anche verso soggetti esterni
Imprese a proprietà aperta ed allargata, ovvero imprese famigliari che generalmente costituiscono
grandi realtà di business e perciò optano correttamente per un approccio business oriented, in
grado di promuovere strategie e comportamenti che garantiscano efficacia ed efficienza
economica, nonché stabilità
Per quanto riguarda i soggetti coinvolti nell’attività di una family business, troviamo soggetti attivi e
passivi: i soggetti attivi sono coloro che agiscono attivamente nell’attività aziendale famigliare e forniscono
una prestazione lavorativa esclusiva al suo interno, partecipando dunque anche alle dinamiche decisionali
a monte dell’azienda; i soggetti passivi sono invece coloro che non ricoprono un ruolo attivo nell’attività
aziendale famigliare, pur manifestando attese nei confronti dell’azienda in termini di remunerazione
periodica. In tal senso, per arginare gli inevitabili conflitti che potrebbero sorgere per diverse ragioni in un
contesto particolare come quello della family business, la formalizzazione della governance ha come
obiettivo anche quello di rassicurare tutti i membri del nucleo famigliare circa le proprie attese, nel rispetto
degli obiettivi di business prefissati; è dunque molto importante definire con precisione i ruoli di tutti i
membri coinvolti nell’attività aziendale (compresi gli eventuali soggetti esterni) e le attese di tutti gli
shareholders e stakeholders relativi all’azienda. La governance deve inoltre comunicare in modo chiaro le
dinamiche relative al passaggio generazionale, le strategie per garantire il problema della continuità e
stabilità e combinare armonicamente le diverse fasi di sviluppo aziendale, definire le priorità di intervento
e permettere a tutti i membri della famiglia di esplicitare i propri orientamenti professionali e dunque
mettere in gioco le proprie capacità al servizio dell’attività di business. La governance alla base di una
family business viene formalizzata mediante “accordi di famiglia” che vincolano formalmente i membri
coinvolti rispetto all’attività aziendale.
Per quel che concerne i controlli sull’attività aziendale, essi si distinguono in controlli esterni e controlli
interni.
I controlli esterni circa l’attività aziendale si concentrano essenzialmente sulla revisione del bilancio
d’esercizio, garantendone con ragionevole certezza la correttezza di redazione e la veridicità delle
informazioni espresse. In particolare, il revisore legale deve porre attenzione a due fattori congiunti: il
rischio di revisione la significatività. Infatti, nella valutazione della correttezza di un bilancio è molto
importante saper attribuire la giusta significatività, ovvero il giusto peso, alle singole voci espresse nei
prospetti, riducendo così ai minimi i rischi derivanti da una revisione errata: promuovere come corretto un
bilancio che presente alcune voci dubbie, infatti, rappresenta un errore molto grave nell’ottica del
controllo esterno sull’operato aziendale a favore di terzi soggetti. In tal senso, il processo di revisione
effettuato da fonti esterne prevede una fase di pianificazione (ovvero di programmazione delle procedure
di controllo) ed una fase di controllo effettivo, volta ad osservare l’esistenza reale delle voci di bilancio
(verificando, ad esempio, le fatture emesse e ricevute, gli assegni ecc), la loro competenza economica
rispetto all’esercizio (verificare se un costo o un ricavo compete effettivamente all’esercizio in chiusura) e
la valutazione espressa dai contabili dell’azienda (verificando che i costi non siano ridotti e i ricavi gonfiati,
ecc).
I controlli interni sono invece effettuati da organi predisposti dal sistema aziendale e inseriti nella struttura
di base dell’attività di business. Il principale organo di controllo interno è il consiglio di amministrazione, un
organo di governo aziendale costituito da un determinato numero di amministratori eletti dall’assemblea
di tutti i soci. Tali amministratori possono essere:
Esecutivi, ricoprono incarichi direttivi all’interno dell’azienda, gestendone l’operato a grandi linee
ed indirizzando l’attività aziendale secondo la volontà espressa dalla proprietà dell’azienda
Non esecutivi, non ricoprono incarichi direttivi e sono chiamati nel consiglio in virtù di particolari
competenze tecniche possedute; a loro volta si distinguono in non indipendenti (possono essere
soci o intrattenere rapporti di altra natura con l’impresa) e indipendenti (indipendenti rispetto alla
società a cui sono nominati a far parte del consiglio, con la funzione di portarvi all’interno
competenze e professionalità maturate in contesti diversi, ad esempio in merito alla
determinazione della remunerazione, supervisionare le strategie aziendali, vigilare sul
funzionamento dell’intero sistema aziendale, esercitare un controllo sulle singole attività funzionali,
ecc.). Gli amministratori non esecutivi sono coordinati da una figura intermediaria, ovvero il lead
indipendent director, che ha il compito di gestire la loro attività e monitorarne l’operato per conto
dell’intero consiglio d’amministrazione
Il consiglio, oltre a svolgere la sua normale attività, può instaurare anche altri meccanismi di ausilio
istituendo appositi comitati con funzioni consultive e propositive, tra i quali il comitato per la
remunerazione degli amministratori, il comitato per il controllo interno del consiglio ed il comitato per la
tutela delle nomine degli amministratori.
Il sistema di controllo interno risulta essere uno strumento di gestione molto importante per ridurre i rischi
di impresa, poiché un’attività di controllo eseguita secondo canoni corretti permette di garantire i
parametri di efficacia ed efficienza economica, l’attendibilità delle informazioni contabili in bilancio e la
conformità con le leggi vigenti. Il sistema di controllo interno coinvolge entrambe le nozioni di controllo
aziendale:
Ispettivo, ovvero la pianificazione di verifiche aziendali senza preavvisi, in modo da mantenere
sempre alta la qualità del lavoro svolto e dunque ridurre i rischi
Controllo come guida per il governo di impresa, ovvero la verifica ordinaria dell’attività in modo da
monitorare il graduale raggiungimento degli obiettivi aziendali
Altri organi che competono al controllo interno sono l’internal auditing e il collegio sindacale.
L’internal auditing è un organo (generalmente preposto in aziende di grandi dimensioni) che si concentra
sull’analisi e sulla verifica dei processi aziendali volti alla salvaguardia dell’efficacia e dell’efficienza di
gestione, ovvero l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse produttive. Le principali attività svolte da
questo organo sono l’individuazione dei rischi legati ai processi operativi, il controllo dell’efficacia delle
attività di controllo ed il monitoraggio della correttezza dello svolgimento dei processi aziendali.
Il collegio sindacale, invece, è un organo presente anche in aziende di piccole dimensioni, preposto
principalmente per effettuare operazioni di controllo circa l’osservanza delle leggi vigenti e dello statuto, il
rispetto dei principi di corretta amministrazione e l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo
e contabile.