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ELEMENTI DI ANTROPOLOGIA CULTURALE: 1) PARTE PRIMA – GENESI E

NATURA DELL’ANTROPOLOGIA CULTURALE

CAPITOLO 1 ORIGINE E SIGNIFICATO DELL’ANTROPOLOGIA:

1. Antropologia signi ca…


Antropologia signi ca “studio del genere umano” > de nizione vaga (molte scienze si occupano
dello studio dell’uomo) e imprecisa (non dice quale aspetto di esso studia). Antropologia > culturale
> è lo studio del genere umano dal punto di vista delle idee e dei comportamenti espressi dagli
esseri umani in tempi e luoghi distanti tra loro, tenendo sempre conto che gli esseri umani si
rivelano estremamente differenti in relazione all’ambiente in cui vivono.
1.1 Le condizione della comparsa dell’antropologia Origini dell’antropologia > non facilmente
databili, quelle più lontane risalgono ad Erodoto, tuttavia egli non parla mai di “antropologia”.
Radici più vicine > Umanesimo europeo > dibattiti aperti dopo la scoperta del Nuovo Mondo e dei
suoi abitanti. Umanesimo > condizioni per lo sviluppo di una ri essione sul genere umano, al centro
della ri essione loso ca, artistica, letteraria. Con la scoperta del Nuovo Mondo > nuovi popoli
scoperti suscitano curiosità > con l’espansione coloniale crebbero a dismisura i contatti con i popoli
indigeni ed anche le descrizioni dei loro costumi e delle loro istituzioni sociali. Fine ‘700 > loso
e gli scienziati naturali cominciarono ad elaborare una teoria unitaria del genere umano > unica
specie, individui dotati delle stesse facoltà. Antropologia > grande sviluppo grazie al colonialismo,
ma gli antropologi si sono distinti dai conquistatori per la volontà di stabilire rapporti di reciproca
comprensione con le popolazioni studiate.
BOX 1: Antropologia culturale, etnologia, antropologia sociale > quasi sinonimi > tutti nella stessa
area disciplinare.
BOX 2: Parigi 1799 – Société des observateurs de l’homme > illuministi, tentativo di una scienza
del genere umano fondata sull’osservazione diretta dei popoli > progetto non realizzato.

1.2 Cosa fanno gli antropologi?


All’inizio gli antropologi si sono occupati di popolazioni contemporanee geogra camente lontane,
diverse da quelle europee, studiando religione, riti, istituzioni, tecniche, arte. Fino a pochi decenni
fa, gli antropologi si sono occupati di popoli de niti “selvaggi” o “primitivi”, considerati
rappresentanti di fasi arcaiche della storia del genere umano. Oggi tutte le popolazioni sono oggetto
di studio. Fine ‘800 > svolta importante > gli antropologi cominciarono a recarsi personalmente
presso le popolazioni da studiare > pratica della ricerca sul campo, una rivoluzione, da qui non si è
più tornati indietro. Studi antropologici > osservazioni dei colleghi + contatto diretto con ambienti
diversi da quello di provenienza.

1.3 I “primitivi” e il mondo modern


Prima > antropologia = “scienza delle società primitive”. Oggi quest’idea è svanita > quelle società
indicate come primitive non esistono più o hanno cambiato stile di vita (cambiamenti non sempre di
miglioramento). Pochi popoli hanno mantenuto continuità con le forme di vita sociale e culturale
del passato, grazie a associazioni che si sono battute per i loro diritti. Oggi molti popoli nativi
collaborano con gli antropologi per il recupero e la conservazione del loro patrimonio culturale. 1.4
Un nuovo contesto per il mestiere di antropologo Sfruttamento degli esseri umani in aumento.
Ricerca antropologica contemporanea > applicazione della disciplina in contesti di povertà, malattia
e guerra.
BOX 3: Lewis Henry Morgan > studio e conoscenza diretta delle società native americane >
Irochesi (Nord America), ‘800.

2. Quante sono le antropologie?


L’antropologia non è frutto esclusivo della cultura occidentale, ma spesso è proprio presso
popolazioni semplici e sprovviste di istituzioni che possiamo trovare le più affascinanti visioni
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dell’uomo e del cosmo. Alcuni antropologi escludono l’idea che il discorso sul genere umano sia il
prodotto soltanto di una determinata cultura ed epoca. L’antropologia “occidentale” sviluppatasi
sarebbe, di conseguenza, solo una delle tante antropologie elaborate in tempi e luoghi diversi.
L’antropologia analizzata qui > contesto preciso: società in grado di esercitare un politico, militare
ed economico su molte altre società del pianeta. L’antropologia culturale > opera criticamente su se
stessa.
BOX 4: Antropologia in Italia > metà ‘800 > Mantegazza, Vignoli, Pitrè.

CAPITOLO 2 OGGETTI E METODI DELL’ANTROPOLOGIA CULTURALE

1. È possibile de nire la “cultura”?


La “cultura” è un complesso di idee, simboli, comportamenti e disposizioni storicamente
tramandati, acquisiti, selezionati e largamente condivisi da un certo numero di individui, con cui
questi ultimi si accostano al mondo in senso pratico e intellettuale. Oggetto privilegiato
dell’antropologia sono le differenze tra idee e comportamenti tra le varie comunità umane, cioè le
differenze tra le varie culture.

2. Le origini del concetto antropologico di cultura


Tylor > prima de nizione del concetto di cultura: “...insieme complesso di conoscenze, credenze,
arte, morale, diritto, costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto
membro della società.” Signi ca che la cultura si manifesta nelle singole società come cultura
speci ca di coloro che nascono in quella determinata società, ma anche che essa è un tratto
universale, sviluppato dall’intero genere umano.
BOX 5: Darwin > L’Origine della Specie > spinta per la nascita dell’antropologia moderna.

3. La cultura e la sua “natura”


Il genoma umano non contiene le informazioni indispensabili per poter far fronte al mondo
circostante, un uomo nasce incompleto. Il modo di disporsi al mondo viene insegnato all’uomo dal
gruppo in cui è vissuto > frutto di una lunga storia di rapporto con l’ambiente. Nei pensieri e negli
atti, gli esseri umani sono determinati perché per vivere in mezzo ai loro simili, devono adottare
codici di comportamento pratico e mentale riconoscibili e condivisi da altri. Gli antropologi hanno
messo in evidenza alcune caratteristiche della cultura che riguardano il modo in cui essa è
organizzata al proprio interno, la sua natura strumentale e le sue capacità di adattamento e di
trasformazione

3.1 La cultura come complesso di modelli


La cultura presenta forme interne di organizzazione > modelli culturali diversi che orientano
comportamenti diversi, introiettati attraverso l’educazione, implicita od esplicita. Modelli per > in
quanto guida al pensiero e al comportamento; modelli di > in quanto determinano come è o
dovrebbe essere qualcosa. Senza tali modelli, gli uomini non sarebbero tali.
BOX 6: Neonati > necessità di essere accuditi dagli adulti più a lungo delle altre specie.
Sopravvivenza senza guida > rarissima > caso del “ragazzo selvaggio dell’Aveyron”.

3.2 La cultura è operativa


Senza i modelli culturali gli uomini non potrebbero agire, pensare, sopravvivere > qualunque atto o
comportamento umano nalizzato ad uno scopo, materiale o intellettuale, è guidato dalla cultura. La
cultura è “operativa” perché mette l‘uomo nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi
adattandosi all’ambiente naturale, sociale e culturale che lo circonda. Habitus > sistema durevole di
disposizioni risultato dell’interiorizzazione di modelli comportamentali elaborati nella cultura in cui
si vive.

3.3 Selettività della cultura


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La cultura è un complesso di modelli tramandati, acquisiti e selezionati > generazioni successive


ereditano i modelli delle generazioni precedenti e li integrano con dei nuovi in base alla propria
esperienza nel mondo in mutamento o per l’in uenza di modelli di altre culture. Principio di
selezione > per accogliere elementi culturali che si accordano con i modelli in vigore + per bloccare
modelli incompatibili. Processi selettivi > rivelano le culture aperte e chiuse contemporaneamente.
Non esistono culture totalmente aperte o chiuse. Nel corso della storia > sono stati imposti modelli
con la violenza > danni irreparabili (ex: colonialismo).

3. 4 Dinamicità della cultur


Culture > non entità statiche e sse, bensì prodotti storici, risultato di incontri e selezione.
Dinamica interna o esterna > le culture si trasformano sia per logiche proprie sia per elementi di
provenienza esterna. Tutte le culture hanno una storia > origine: impossibilità di rimanere identica a
se stessa > cambiamento continuo.
BOX 7: ‘800, antropologi evoluzionisti > teoria di una cultura in continua evoluzione, progresso
continuo.

3.5 La cultura è differenziata e strati cata All’interno di ogni singola cultura > diversi modi di
percepire il mondo, di rapportarsi agli altri, di comportarsi. Cause > posizione sociale, circostanze,
convinzioni religiose, istruzione… Modelli culturali di riferimento di una società > spesso diversi a
seconda del grado di istruzione, della ricchezza, della religione... In passato > dislivelli interni a una
sola cultura facevano parlare di cultura colta e cultura popolare. Spesso sono gli interessi e la
cultura dei soggetti socialmente più forti a prevalere > “cultura egemonica” e “cultura subalterna”
(Gramsci). Kessing > comportamenti tipici di una cultura derivano dalla classe prevalente >
“controllo culturale”. Egli de nisce la “distribuzione della cultura” il modo in cui il sapere è
ripartito tra i diversi gruppi sociali, tra individui di generazioni diverse e tra categorie sessuali
diverse.

3.6 Comunicazione e creatività


La cultura non esiste nella mente degli esseri umani > esiste nella capacità che essi hanno di
comunicare. La dimensione comunicativa è centrale in ogni tipo di processo culturale. I modelli
devono essere riconoscibili da tutti > comunicabili. La cultura esiste come sistema di “segni”
riconoscibili > questi non sono ssi e ripetibili all’in nito ma possono essere combinati secondo
sequenze riconoscibili ma innovative, capaci di creare nuovi signi cati. Natura creativa della
cultura grazie a due caratteristiche del linguaggio umano > universalità semantica (tutte le lingue
possono produrre informazioni relative a tempo e spazio) e produttività in nita (il seguito di una
frase è imprevedibile). Creatività > può riorganizzare i modelli culturali.

3.7 La cultura è olistica


I modelli culturali interagiscono sempre con altri modelli > il loro coniugarsi in un insieme
complesso dà vita alla “cultura”. Continuo integrarsi e coniugarsi di modelli diversi e nuovi rispetto
a quelli esistenti > “cultura olistica” cioè integrata e complessa, formata da elementi che stanno in
un rapporto di interdipendenza reciproca.

BOX 8: È sbagliato dire che gli animali sono guidati dall’istinto e gli uomini dalla cultura. Anche
gli uomini possono reagire d’istinto e anche alcuni animali hanno

3. Geni, lingue e culture


Fattori di distanziazione genetica tra popolazioni > casuali o adattivi (migrazioni, fattori culturali,
rivoluzioni agricole…). Distanza genetica e linguistica > nessuna corrispettiva distanza culturale.
Modelli culturali cambiano più velocemente di geni e lingue.

4. Le aree culturali e la globalizzazione


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Grande sviluppo delle ricerche etnogra che > idea di sistemare le conoscenze antropologiche
acquisite secondo delle aree culturali (regioni geogra che che comprendono elementi sociali,
culturali, linguistici relativamente simili) > da considerare non circoscritte e “immobili”. Rischio >
“essenzializzare” aree e società che ne fanno parte. Scegliere degli elementi socio-culturali come
tipici delle società in determinate aree > fa predominare un modello culturale rispetto ad un altro +
attribuisce una caratteristica di staticità.

CAPITOLO 2 FORME STORICHE DI ADATTAMENTO. LE SOCIETÀ “ACQUISITIVE”

2. Homo sapiens sapiens, il colonizzatore


Uomo “anatomicamente moderno” (sapiens sapiens) > lento e faticoso processo di adattamento.
Colonizzazione del pianeta > aree diversissime > strategie altamente diversi cate a seconda
dell’ambiente. Società “acquisitive” > “realizzano la propria sussistenza attraverso il prelievo di
risorse spontanee dall’ambiente” (Pavanello). Rivoluzione agricola e industriale > accelerazione
processi di adattamento

2. I cacciatori-raccoglitori: passato e presente


La caccia-raccolta > progressiva e radicale ritrazione di fronte all’incontenibile avanzata di altre
forme storiche di adattamento, in primo luogo l’agricoltura. Cacciatori-raccoglitori della preistoria
> gruppi stanziali e numerosi + sussistenza incentrata più sulla caccia. Cacciatori-raccoglitori
moderni > gruppi mobili e di poche persone + sussistenza incentrata sulla raccolta
BOX 1: !Kung > popolo africano studiato dall’antropologo Lee, i loro modelli culturali (caccia-
raccolta, abitazioni, abitudini) sono cambiati con l’arrivo di coloni agricoltori.

3. Caratteristiche delle società acquisitive


La caccia-raccolta > tecniche di sfruttamento delle risorse naturali e spontanee > non implica alcun
intervento dell’uomo sulla natura. Lavoro umano> attività a rendimento immediato. Il carattere
“spontaneo” delle risorse ha ripercussioni importanti sulle società stesse > sopravvivenza possibile
grazie ad un forte sentimento di cooperazione + mobilità. Rapporti tra uomini e donne più paritari.
Le conoscenze e le abilità non sono stabili quindi non sono trasmissibili da una generazione all’altra
> non si formano gruppi sociali differenziati (eccezioni).
BOX 2: Vezo > popolo stanziale che vive di pesca e di raccolta delle risorse disponibili. Non
possesso di beni di sussistenza (terreni) > sganciati da forme stabili di gerarchia sociale.
Conoscenza dei mercati locali > alimentazione ampliata.

4. Le società “acquisitive” oggi: residui del passato o moderni marginali?


Il confronto tra società acquisitive e società preistoriche è improprio> riduttivo e fuorviante ritenere
le prime dei residui del passato. I cacciatori-raccoglitori di oggi non vivono nell’isolamento. Alcuni
antropologi pensano che queste società non potrebbero sopravvivere se non si mantengono in
contatto con società basate su diverse forme di adattamento.

5. Destini speciali per società acquisitive speciali: le isole Maldive

Il destino di alcune società acquisitive è legato al contesto storico e alle relazioni con altre società.
Pescatori delle isole Maldive > turismo e pesca d’altura hanno trasformato profondamente la loro
economia, oggi industriale.

CAPITOLO 3 FORME STORICHE DI ADATTAMENTO. COLTIVATORI E PASTORI

1. Orticoltori e contadini
Le società acquisitive hanno rappresentato la forma di adattamento dominante a lungo. Ma il
domesticamento di piante e animali aprì scenari alimentari, demogra ci e politici dirompenti per

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quel tipo di società. Prime vere modi che sui processi di crescita e riproduzione di organismi >
modi ca delle condizioni di vita dell’uomo. Orticultura e agricoltura richiedono un investimento
lavorativo > attività a rendimento differito, non immediato. Le due attività sono molto diverse fra
loro. Teoria di alcuni antropologi > le società fondate sull’agricoltura (società contadine)
contengono in sé le premesse per la comparsa dell’autorità politica e della strati cazione sociale,
quelle fondate sull’orticoltura avrebbero forme di organizzazione sociale più egualitarie. Le società
contadine > sempre state parte di sistemi sociali complessi in funzione dei quali si sono sviluppate.
BOX 3: Yanomami > popolo di orticoltori (banane) e cacciatori (indole guerriera e violenta).
BOX 4: Mezzadria > istituzione longeva in Italia e in Europa > famiglie senza patrimonio, spesso in
condizioni di vita dif cili e costretti all’isolamento.

2. Popoli pastori e comunità “peripatetiche”


La pastorizia e l’agricoltura segnano il passaggio da un’economia acquisitiva e un’economia di
produzione propria > sviluppate più o meno contemporaneamente. Pastorizia > nasce in medio
oriente all’epoca della rivoluzione agricola. Riveste molte forme > ex: pastorizia nomade > forma
iper- specializzata di adattamento. Altre società nomadi > comunità “peripatetiche”, spesso in
condizioni precarie perché emarginate e perseguite.
BOX 5: Shammar > comunità araba, allevatori nomadi (deserto) > mentalità aperta e tolleranti.
Recentemente > stili di vita cambiati profondamente dalle nazioni moderne. 3)

PARTE TERZA – COMUNICAZIONE E CONOSCENZA CAPITOLO 1 ORALITÀ E


SCRITTURA

1. Comunicazione orale e comunicazione scritt


Oggi ogni società conosce la scrittura, ma la comunicazione ordinaria avviene oralmente. Anche la
scrittura condiziona la comunicazione orale > interiorizzazione della scrittura. Le culture con
scrittura diffusa > “culture a oralità ristretta”; no a non molto tempo fa esistevano “culture a oralità
primaria” > non conoscevano alcuna forma di scrittura (oggi scomparse). Nascita della scrittura >
III millennio a.C. In alcune culture la scrittura è conosciuta ma è marginale > “culture a oralità
diffusa”. Esame di alcune caratteristiche dello stile di comunicazione orale > utile per osservare
come esso si accompagna a certe modalità di pensiero. Stili di pensiero diversi tra chi maneggia
quotidianamente un alfabeto gra co e chi predilige la comunicazione solo orale. Società ad oralità
primaria > utilizzo di tecniche mnemoniche per la narrazione poetica, religiosa ecc... > formule che
cambiano poco nel tempo > si trasmettano quasi immutate di generazione in generazione.
Particolare rapporto tra scrittura o oralità > “regresso all’oralità” (società ricche e post-industriali) >
linguaggio televisivo e altre forme di trasmissione delle informazioni hanno portato ad una
regressione della ricchezza lessicale e delle conoscenze linguistiche.

2. Parola, corpo e percezione del mondo


Parole senza la scrittura > “eventi”, cose che “accadono”. Oralità e gestualità > spesso insieme,
anche inconsapevolmente. Jousse > culture “verbomotorie”. Malinowski > il linguaggio è un modo
dell’azione più che del pensiero > si ricollega al potere che i nomi hanno sulle persone. La parola è
un “potere” perché “nomina” delle cose, de nendole e classi candole agli altri, rendendole
pubbliche > alcuni popoli hanno una vera e propria “teoria della parola”.
BOX 1: “Griot” > termine francese > musici e cantastorie africane che tramandano le leggende.
BOX 2: Dogon > popolazione africana > culto della parola come proiezione della personalità
dell’uomo

3. Scrittura, oralità, memoria


Fondamentale differenza tra culture orali e culture con scrittura > tecniche di trasmissione del
sapere e di conservazione della memoria. La trasmissione orale delle conoscenze è basata sulla
memoria > “moduli mnemonici” ripetitivi usati per tramandare lunghe sequenze di informazioni >
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effetti “omoestatici”: si elimina tutto cioè che non ha interesse per il presente, però vengono perdute
molte conoscenze del passato.
BOX 3: Poche società > conservazione di tracce indecifrabili, signi cato di parole andato perduto >
funzione simbolica-formale > ex: Antemoro.

4. Oralità ed esperienza
Se il rapporto immediato tra parola ed esperienza viene meno > il signi cato della parola tende a
modi carsi o a perdersi. Pensiero fondato sulla comunicazione orale > carattere concreto piuttosto
che astratto. Vygotskij > pensiero come prodotto di processi psichici + sociali; Lurija > dinamica
psichica dipendente dal “contesto d’esperienza” > fondamentale per l’individuazione di un oggetto
e per la sua comprensione. Goody > scrittura come “domesticamento del pensiero”. I soggetti che
hanno interiorizzato la scrittura e soggetti che si muovono in contesti solo orali pensano in maniera
tendenzialmente diversa, ma tutti hanno le stesse potenzialità intellettuali. La scrittura consente
l’acquisizione di un pensiero più “ampio” di quello legato all’oralità > permette di entrare in
contatto con altri mondi, altri punti di vista e di confrontarli in maniera sistematica per elaborare
nuove posizioni.
BOX 4: In molte società a oralità diffusa la scrittura ha una forma di autorevolezza quasi sacrale >
conosciuta da pochi.

5. Scrittura e identità nel mondo globale


Scrittura e scolarizzazione > impatto globale. Molti popoli a oralità diffusa > sempre più necessità
di scrittura per usi politici (genealogie…), sociali, amministrativi. Alcuni popoli > scrittura per
potersi difendere dai dominatori, distinguersi dai popoli vicini e rivendicare la propria identità.
Anselle > studio del movimento N’Ko, rivendicazione dell’Africa da parte degli africani >
iniziativa “politica” > nuovo alfabeto.

6. I media, la cultura e la nuova “immaginazione globale”


Diffusione dei media su scala mondiale > soprattutto la televisione, divenuto un mezzo
culturalmente in uente. Media > produttori di cultura perché suggeriscono comportamenti, gusti,
politiche… non sempre accettati passivamente però. L’antropologia ha cominciato recentemente a
occuparsi dei media. Appadurai > “immaginazione di spostamento”, media che producono un’idea
> l’immaginazione orienta l’azione quotidiana (ex: migranti che immaginano l’Europa grazie alla
televisione). I media creano una “comunità di sentimento” (ex: persone di origini diverse in un
unico Stato, sentimenti comuni) > spazio in cui si producono nuove “sfere pubbliche” > aree di
opinioni di interesse pubblico (oggi blog, social ecc…). Studi antropologici + media > conoscenza
delle culture del mondo sempre maggiore > ma i media spesso costruiscono una certa idea, spesso
diversa da quella trasmessa dagli antropologi

CAPITOLO 2 PERCEZIONE E COGNIZIONE

1.Il pensiero “concreto” e il pensiero “astratto”


Contatto tra Europei e popoli de niti “primitivi” > differenze nei modi di descrivere i fenomeni
naturali. Spesso il pensiero dei popoli “primitivi” > più “astratto” di quello moderno, più
“concreto”. Lévi-Strauss > differenze tra il pensiero “primitivo” e moderno > anche quello
“primitivo” ha valenze speculative, teoretiche, ma sono esercitate in relazione a contesti
d’esperienza > “scienza del concreto”.

2. La percezione del mondo sico e gli stili cognitivi


La percezione del mondo sico > processi mediante i quali un individuo organizza le informazioni
di carattere sensoriale, ma può risultare differente tra un individuo ed un altro. Vygotskij > processi
cognitivi elementari (capacità universalmente presenti e formalmente identiche a tutti gli uomini >
astrazione, categorizzazione, induzione, deduzione) e sistemi cognitivi funzionali (prodotto del
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contesto culturale entro cui il soggetto attiva i processi cognitivi elementari). Le strategie cognitive
funzionali variano da un contesto culturale all’altro e anche da soggetto a soggetto nella stessa
cultura. Stili cognitivi > modo in cui individui di ambienti culturali diversi si rapportano al mondo
sul piano cognitivo > possono oscillare tra due estremi teorici: globale (si parte da una visione
generale del fenomeno e si arriva al particolare) e articolato (si parte dai singoli elementi per
giungere in seguito alla totalità del fenomeno).Un individuo non pensa con un solo stile cognitivo >
varia a seconda delle circostanze.

3. L’etnoscienza
Etnoscienza > studio di come le differenti culture organizzano le loro conoscenze del mondo
naturale. Mondo sico > regolare ma uido > l’uomo ha necessità di categorizzarlo > in relazione a
un prototipo , un oggetto-rappresentazione che rappresenta il punto di riferimento attorno al quale
vengono costruite categorie o classi. Classi cazioni > carattere culturale.
BOX 5: Diverse idee sulla carne a seconda della cultura > animali impuri o sacri, mangiati o non.

4. Dai prototipi agli schemi


I prototipi > modo di organizzare la percezione del mondo circostante, ma non consentono di
mettere concettualmente “in forma la realtà. Schemi > organizzano l’esperienza, individuano e
ordinano la realtà. Attività schematica > proprietà universale della mente umana + culturalmente
orientata.

5. La terminologia del colore. Universalismo percettivo e determinazione socio-culturale Brent


Berlin e Pual Kay condussero uno studio sulle terminologie dei colori in 26 lingue diverse >
numero dei termini presenti variabile. Questi termini fondamentali, (“di base”) > fenomeni di
percezione, non hanno bisogno di speci cazioni per essere compresi.
Tre conclusioni: 1. tutti gli esseri umani possono percepire 11 colori e le loro differenze > espresse
con termini diversi, o ricondotte ad altre categorie cromatiche; 2. la terminologia cromatica di base
si sviluppa secondo una linea precisa; 3. il numero di termini impiegati per designare i colori varia a
seconda della complessità culturale e tecnologica della cultura in questione (conclusione più
discutibile). Critiche al lavoro di Berlin e Kay > teoria che il sistema percettivo di una popolazione
sia in uenzato da fattori culturali > ex: i colori hanno signi cati diversi in base al contesto.
Variazioni nel signi cato dei colori > a causa do connotazioni che hanno ricevuto, che spesso
precedono le de nizione cromatica in senso stretto. Tutti gli esseri umani possiedono le capacità di
distinguere le differenze cromatiche, ma possono essere espresse per vie linguistiche diverse da
quella terminologia cromatica.

CAPITOLO 3 TEMPO E SPAZIO

1. Due categorie del pensiero umano


Caratteristiche del mito > ignora lo spazio e il tempo, sono presenti ma spesso distorti, usati senza
regole; si annullano le differenze tra regni, generi e specie; non vi è più differenza tra mondo
sensibile e invisibile; la natura viene antropomor zzata o agli uomini vengono attribuite
caratteristiche tipicamente animali. Questa comunanza tra esseri umani, spiriti, animali e cose >
situazione originaria di equilibrio cosmico e di unità, la cui ne avrebbe dato origine al mondo
attuale. Solitamente l’origine del mondo è il risultato di un processo di separazioni e allontanamenti
tra gli elementi dell’unità originaria. In tutte le aree del pianeta la rottura dell’equilibrio viene
attribuita ad un personaggio particolare > in antropologia denominato trickster, essere ambiguo nel
comportamento e nella personalità > preculturale.
BOX 4: In alcune culture alcuni individui hanno un ruolo di “buffoni rituali”. Ex: nella comunità
degli Zuñi > i Koyemshis emulano il comportamento del trickster af nché la società ne sia
consapevole e lo ri uti > funzione cognitiva e pedagogica.
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3. Le “funzioni” del mito


Mito > serie di funzioni pedagogiche, speculative, sociologiche, classi catorie > gli antropologi
cercano di argomentare ognuna di queste interpretazioni. Malinowski > mito come “autorizzazione”
per certi riti e “giusti cazione dell’ordine esistente” + qualcosa in cui leggere una “morale” che
ssa un codice di comportamento, di pensiero, di disposizioni. Radcliffe-Brown > studi sui miti dei
nativi australiani e nordamericani > storie di animali contrapposti, seguono un determinato
“principio strutturale” > comunicare le idee di “contrario” (sulla base di determinate caratteristiche)
e di “opponente” (relazione complementare all’interno della società) > specie sono in un rapporto di
“opposizione complementare”. Miti > funzione di rappresentare la realtà sociale nei suoi aspetti
complementari, funzionali e contraddittori.

4. Il pensiero che pensa se stesso?


Lévi-Strauss > come Radcliffe-Brown indaga il mito nella sua attività speculativa > ma senza tenere
conto dei legami che esso ha con la vita sociale e culturale di una popolazione. Il mito va analizzato
in termini di “struttura” e di mitemi > è composto da unità minime (mitemi) che rivestono un senso
solo se sono accostate ad altre dello stesso tipo. Lo stesso mitema assume sembianze diverse in miti
diversi, assumendo ogni volta funzioni diverse in base agli altri mitemi. Il mito è un ambito
speculativo in cui il pensiero umano è libero di immaginare anche ciò che non potrebbe esistere
realmente > ha il compito di risolvere le contraddizioni inserendo un “mediatore simbolico” di una
contraddizione irrisolvibile razionalmente. Il pensiero mitico > capacità di svincolarsi dal mondo
reale, naturale e sociale > pensiero libero che ha i propri limiti solo in se stesso: il mito sarebbe,
così, frutto di un “pensiero che pensa se stesso”

5) PARTE QUINTA – IL SÉ E L’ALTRO CAPITOLO 1 IDENTITÀ, CORPI, “PERSONE”

1. Dai con ni del Sé alla rappresentazione dell’Altro: identità e alterità


Attenzione umana nel tempo > non solo mondo naturale ma anche al “Sé” (l’umanità stessa) e
all’“Altro” > modo in cui individui o gruppi percepiscono la propria relazione con l’alterità umana.
Il problema di sapere “chi siamo noi” e “chi sono loro” è comune a tutte le culture. Appartenenza di
un individuo ad un gruppo > condivisione di determinati modelli culturali permettono di far parte di
un “Noi” che traccia con ni nei confronti degli “altri”. Appartenenza e distinzione > aspetti opposti
ma complementari. Identità > idea di appartenere ad un sé collettivo e di essere ciò che siamo come
individui > certezze fragili (esclusioni, alterazioni…). Certezze minacciate > si sviluppa la “retorica
dell’identità” > dimensione irriducibile dell’“Io” acuisce il senso del con ne tra sé e l’altro.
Intensi cazione dei contatti tra gruppi diversi > moltiplicazione dei con ni. “Incontri con la
differenza” sempre maggiori > producono barriere e esclusioni a livello individuale e collettivo. La
cultura occidentale enfatizza molto la dimensione dell’identità, soprattutto della propria
contrapposta alle altre.
BOX 1: Cibo > meccanismo di conservazione culturale > con la globalizzazione molte usanze
alimentari tendono a viaggiare, fondersi, scambiarsi...

2. Corpi Incorporazion
Gli esseri umani hanno esperienza del mondo attraverso il corpo, mediatore tra gli umani e il mondo
> conoscenza incorporata, non ri essiva o razionale > base dell’habitus, complesso degli
atteggiamenti psico sici mediante cui gli esseri umani “stanno al mondo” (Bourdieu). Questo “stare
al mondo” è di natura sociale e culturale > variabile. Il corpo è “culturalmente disciplinato” > le
tecniche di esso dipendono dai modelli culturali in vigore. Tutte le società “costruiscono” i propri
membri secondo il modello ideale di umanità > antropopoiesi, “fabbricazione dell’umano”
(Remotti). Corpo > veicolo privilegiato per manifestare la propria “identità”, sociale e individuale.

3. Corpi sani e corpi malati, Il corpo può essere strumento di “resistenza” e di “risposta” nei
confronti delle situazioni esterne. Evidente come alcuni individui “incorporano” il disagio sociale >
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vero e proprio “sapere incorporato” che si esprime in forma di patologie. Salute e malattia >
distinzione ben precisa in tutte le culture > ma diverse elaborazioni sociali e culturali, diversa cura e
spiegazione delle cause. Tutte le culture hanno “sistemi medici” > tentativo di spiegare e curare i
disturbi sici e mentali. L’antropologia ha posto in evidenza che non esiste medicina svincolata dal
contesto sociale e culturale nel quale viene praticata. In Occidente prevale il paradigma
“biomedico” > la malattia sica ha solamente cause di tipo organico; l’ef cacia di una cura dipende
solo da farmaci e terapia sulle zone del corpo interessate; “medicalizzazione del paziente”
(inquadramento del malato come soggetto “altro”, separato dalla comunità). In contesti extraeuropei
spesso la concezione occidentale della medicina entra in con itto con le medicine locali.
BOX 2: Esempio di relazione tra disagio sico e sociale. Popolo degli Ndembu > pratica dello
ihamba, rito di cura di gruppo. L’individuo che non ha osservato certe norme sociali viene af itto
dallo spirito di un suo antenato > il rito lo manderà via.

4. La “persona” e il “soggetto” “Bioetica” > studio degli atteggiamenti e delle idee che sono
implicite nel nostro modo di trattare il corpo umano nella sua relazione con la sfera della persona,
della dignità dell’individuo, della sua libertà, del suo diritto alla vita, ecc…
Culture diverse hanno bioetiche diverse. Individuo > ricettacolo di motivazione ed affetti, soggetto
capace di capire e interpretare il mondo. Mauss > sottolinea che l’individuo come soggetto
svincolato dal contesto è un’idea astratta occidentale + in alcune culture è riconosciuta la
dipendenza dell’individuo dalla società. Nozioni di individuo e persona > molto diverse >
individuo: unico, singolo esemplare; persona: rinvia al modo in cui un individuo entra in relazione
con il mondo sociale , “persona” come insieme di elementi costitutivi, di natura materiale e
spirituale, dotati di una certa capacità di “integrazione”.
BOX 3: Samo > essere umano costituito da nove componenti “naturali” (sangue, ombra…) che
possono individuare la presenza di una persona a cui si aggiungono componenti “sociali” (nome…)
> individualità del soggetto.

CAPITOLO 2 IL SESSO, IL GENERE, LE EMOZIONI

1. Femminile e maschile
Con ne identitario più netto in tutte le società > tra “maschile” e “femminile”, a cui vengono ridotti
oggetti e fenomeni della realtà. Recentemente in Europa (ma non ovunque) la distinzione netta è
stata contestata > accettazione di omosessualità ecc… > nuovo modo di considerare le differenze
sessuali e di genere. Realtà sempre esistite > solo in alcuni paesi occidentali al centro di discussioni
comuni e di provvedimenti legislativi a sostengo. Alcuni studiosi > differenza tra “maschile” e
“femminile” come “ultimo limite del pensiero”. Héritier > l’opposizione tra maschile femminile
oppone “l’identico al differente” ed è presente in tutti i sistemi di pensiero. L’universalità
dell’opposizione maschile/femminile non implica che in tutte le culture si abbiano rappresentazioni
analoghe delle relazione tra i sessi > risultato di una “costruzione sociale”.

2. Il sesso e il genere l’identità “sessuale” di un individuo può anche non corrispondere al suo sesso
anatomico > fatti socialmente costruiti, riconosciuti e approvati.
Per distinguere identità sessuale “anatomica” e identità sessuale “socialmente costruita” >
rispettivamente termini sesso e genere. Le differenze sessuali > caratteristiche anatomiche; le
differenze di genere > diverso modo di concepire “culturalmente” la differenza sessuale. Nelle
nostre società > educazione “di genere” differente > si arriva a pensare che il comportamento di
genere appropriato sia una conseguenza diretta della loro identità sessuale. Oggi l’educazione e il
comportamento di genere sono cambiati. Tratti della femminilità o della mascolinità > diversi tre le
culture > “costruiscono” rappresentazioni sociali e culturali dell’identità sessuale.

3. Il sesso, il genere e le relazioni sociali


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Una delle prime rappresentazioni sociali della differenza di genere > donne preposte alla
riproduzione. In realtà > la riproduzione umana non è naturale > partorire, allattare, accudire i gli
sono tutti atti culturalmente determinati. Controllo della capacità riproduttiva delle donne >
elemento cruciale di tutti i sistemi sociali > comparsa di certe forme di potere. Si generano
complesse rappresentazioni sociali, comunicative, educative e di comportamento tra individui di
sesso differente > per lo più implicite, ma anche oggetto di norme giuridiche. La separazione,
l’esclusione, la distinzione tra i sessi > realizzate mediante la messa in opera di simboli, pratiche e
attribuzioni di ruoli, tanto reali quanto immaginari. Molte società insistono su aspetti della
personalità femminile > tutti tratti connessi con l’uso del corpo, specialmente in pubblico. In molte
società si ritiene che donne e uomini abbiamo “personalità” diverse > errore. Margaret Mead >
dimostrazione che in molti popoli il carattere maschile o femminile è determinato più
dall’educazione e dai modelli culturali appresi che da una predisposizione naturale. BOX 4: “Velo
islamico” > traduzione sbagliata della parola hijab, letteralmente “protezione” > in realtà ha
funzioni molto diverse nelle differenti culture > nascondimento, protezione, rivendicazione,
contestazione…

4. Le emozioni Studio delle emozioni > settore di ricerca sviluppato solo recentemente
dall’antropologia > nasce dall’interesse per la costruzione del Sé in relazione al mondo.
Gli stati d’animo fanno parte di una più generale sfera dell’“interiorità” > non è sempre facile
distinguere tra emozioni, sentimenti e sensazioni. Sentimenti > concetti che una cultura possiede di
un determinato stato d’animo. Problemi dello studio antropologico delle emozioni > gli stati
d’animo non sono universali, non sono espressi ovunque alla stessa maniera > sono piuttosto
espressi da “soggetti culturali”, cioè in base ai modelli culturali interiorizzati nell’infanzia e nel
corso della vita. Emozioni > insieme di stati d’animo e sentimenti (termine che in molte culture non
esiste) > in uenzate da una complessa serie di fattori. Studi antropologici > tentativo di mettere in
risalto il rapporto delle emozioni con il sistema delle interazioni personali e delle relazioni sociali.
Emozioni > non irrazionali, ma espressione della dimensione corporea.

CAPITOLO 3 LE CASTE, LE CLASSI, LE ETNIE

1. Le caste
Il termine casta viene oggi utilizzato in maniera generica in riferimento a gruppi sociali ritenuti
superiori o inferiori ad altri che per questo tendono a condurre una vita separata. “Casta” è un
termine portoghese che signi ca “casata”, “stirpe” > applicato in India dai Portoghesi quando vi
arrivarono > entità sociali ripiegate su se stesse, chiuse. Non è consentito ai membri delle caste
superiori entrare in contatto con quelli delle caste inferiori > rigida gerarchia fondata sul criterio di
purezza rituale > per alcuni esempio di un’estrema “strati cazione sociale”. Per alcuni antropologi
> sistema delle caste sarebbe il frutto della tendenza umana alla strati cazione sociale; per altri >
sistema basato su criteri strettamente socio-economici; per altri > stesso principio del totemismo
(tendenza di associare individui a animali o piante). Il sistema castale distingue gli esseri umani
sulla base di un elemento culturale > le differenze tra i vari gruppi occupazionali vengono
assimilate a delle differenze naturali (nascita).

2. Le classi
Nozione di “classe” sociale > strettamente legata alla tradizione della loso a e dell’economia
politica europea.
Marx > analisi della società industriale e delle relazioni tra le classi sociali. Oggi > utile a livello
storico (fenomeni economici e di emarginazione sociale). Le distinzioni di classe si ri ettono sul
piano della “cultura” che ogni classe elabora ed esprime. Subalternità culturale > non sempre
cosciente > si può esprime sotto forma di “folklore di contestazione”.

3. Gli studi culturali


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“Studi culturali” > questioni sulla divisione in classi tipica della cultura occidentale. Hoggart >
Centre of Contemporary Cultural Studies > necessità di ripensare al rapporto tra identità e cultura.
La cultura venne ripensata come discorso che si costruisce socialmente intorno ai diversi gruppi, e
come rappresentazione della loro esperienza nel mondo. Nozione di agency (“agentività”, Stuart
Hall) > capacità dell’uomo di investire di signi cato eventi e rappresentazioni. L’appartenenza di
classe non è “ascrittiva” > non vieta la possibilità di ascendere socialmente. Le classi non
coincidono con i gruppi occupazionali (caste) > più gruppi occupazionali possono ritrovarsi nella
stessa classe > osmosi. Laddove non esiste coscienza di classe (forma di autopercezione nata dalla
contrapposizione con altri gruppi sociali) non sarebbe legittimo parlare di classi sociali.
Applicazione del concetto di classe > trova limiti nella presenza di altri fattori, simbolici,
determinanti nella de nizione dei rapporti tra gruppi e comunità > ex: l’etnicità.

4. Le etnie e le etnicità
Antropologia > termine “etnia” per indicare un gruppo umano che condivide la stessa cultura,
lingua, tradizione e territorio.
4.1 I signi cati del termine “etnia”
Durante il ‘900 > tendenza a rivedere l’uso del termine “etnia”. Barth e altri > forte critica
dell’equazione cultura=lingua=territorio perché troppo legata all’idea di un’origine comune
(comunità di sangue, di stirpe) > sentimento identitario che dà per scontato un carattere assoluto,
statico, eterno del gruppo di riferimento. Etnicità > sentimento di appartenenza a un gruppo
culturalmente, linguisticamente e territorialmente de nito in modo rigido > ma non esistono gruppi
così in senso assoluto. Gruppi umani > prodotto di un processo di interazione con altri.
4.2 L’uso politico dell’etnicità
Contrapposizione etnica > volontà di enfatizzare gli elementi differenziali. Scopo dello scontro
etnico > negazione dell’altro e annullamento sico. Il fattore etnico > anche utilizzato per ottenere
vantaggi economici per alcuni gruppi di interesse. Cohen > due gruppi che entrano in contatto in
situazioni “dif cili” > due situazioni possibili: 1. se il divario economico è troppo presente in
entrambi i gruppi, la comparsa del fattore etnico è impedita > si crea una società fondata sulle
differenze di classe; 2. se invece lo scontro avviene su base etnica, l’etnicità dei due gruppi si
rafforza e impedisce la creazione delle differenze di classe > si svilupperanno identità molto forti su
base etnica. Etnicità e coscienza di classe si escludono a vicenda > ma il sentimento di etnicità può
prevalere anche all’interno di società strati cate, divise in classi.

7.2 Cugini incrociati e cugini paralleli


Secondo alcuni antropologi per determinare con precisione gli individui “consentiti” e “vietati” >
distinguere tra cugini incrociati ( gli di fratelli germani di sesso differente) e cugini paralleli ( gli
di fratelli germani dello stesso sesso). Questa differenza ha senso solo se si è in presenza di gruppi
unilineari esogamici > il quelli endogamici sono vietati entrambi.

7.3 Il principio di reciprocità


L’esogamia, in relazione ai gruppi di discendenza unilineari > può essere un meccanismo per
instaurare relazioni di cooperazione e alleanza tra gruppi diversi. Sistemi elementari di scambio
matrimoniale > “scambio di donne” fondato sul principio di reciprocità per formare relazioni
privilegiate con altri gruppi (Lévi-Strauss).
BOX 4: Scambio delle sorelle > utilizzato anche da società prive di gruppi di discendenza che però
riconoscono il principio della discendenza > creazione di “sistemi a sezione”.
7.4 Scambio allargato e scambio differito Lo “scambio delle donne” può assumere forme allargate
(coinvolge più di due gruppi) o differite (il gruppo che cede una donna ne riceve una in cambio
nella generazione successiva).
7.5 Gruppi di discendenza endogamici In certe società prevale la tendenza a instaurare unioni
matrimoniali endogamiche rispetto al lignaggio o al gruppo di discendenza. Ex: matrimonio tra
cugini paralleli ( gli di due fratelli maschi, quindi due discendenze patrilineari) > modello di unione
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preferenziale, non obbligatorio. Endogamia del lignaggio > può controllare la funzione riproduttiva
delle donne o annullare potenziali con ittualità. BOX 5: Probabile origine della diffusione del
matrimonio endogamico nel mondo musulmano > antiche comunità nomadi beduine > necessità di
unione per la difesa del gruppo.

CAPITOLO 2 LE TERMINOLOGIE DI PARENTELA

1.Terminologie di “parentela” o terminologie di “relazioni”?


La terminologia di parentela è il complesso di termini di cui una società dispone per designare gli
individui in relazione di alleanza e consanguineità. Per evitare errori di “traduzione culturale” è
meglio parlare di “terminologie di relazioni” > in alcune culture individui potrebbero essere
designati con termini che noi riteniamo di parentela ma che in realtà non indicano quel legame.

2. I tre assunti di Morgan Lewis Henry Morgan > studio della terminologia di parentela del popolo
degli indiani Irochesi > fondata su principi di coerenza logica e razionalità assoluta.
Elaborazione di tre assunti che stanno alla base della natura delle terminologie di parentela: 1.
“Legge di coerenza interna dei reciproci”: le terminologie di parentela costituiscono dei sistemi in a
ogni termine usato da un individuo verso un parente ne esiste uno opposto che il parente usa verso
l’individuo > sistemi di parentela; 2. I sistemi di parentela rientrano in poche categorie
fondamentali; 3. Sistemi molto diversi possono trovarsi in regioni geogra camente vicine mentre
sistemi molto simili possono trovarsi lontanissimi.

3. I sei sistemi terminologici di parentela


Antropologi > isolamento di sei tipi principali di sistemi terminologici > hawaiano, eschimese,
omaha, crow, irochese e sudanese. Si possono raggruppare in tre categorie > sistemi non lineari
(bilaterali); lineari e descrittivi.
3.1 Sistemi non lineari o bilaterali: hawaiano ed eschimese
Non c’è distinzione terminologica tra parenti paterni e materni > criterio della non biforcazione >
stessa importanza a entrambe le linee. Sistema hawaiano > solo principi di generazione e del sesso.
Sistema eschimesi > distinzione dei consanguinei in linea diretta (famiglia nucleare) da tutti gli altri
(il sistema “italiano” ne è una variante).
3.2 Sistemi lineari
Sistemi presenti in società con gruppi di discendenza unilineari > vengono distinti i cugini paralleli
da quelli incrociati e i parenti consanguinei paterni e materni > principio della biforcazione. Però
“fondono” i parenti dello stesso sesso e della stessa linea di discendenza > terminologie a fusione
biforcata. Sistema irochese, crow e omaha > sistemi lineari a fusione biforcata. 3.3 Sistemi
descrittivi Uso di un termine differente per ogni parente > sistemi a “massima distinzione
terminologica” > sistema sudanese. La diffusione geogra ca di tale sistema fa pensare a un legame
con la conquista arabo-islamica nella storia.

CAPITOLO 3 LA PARENTELA COME PRATICA SOCIALE


1.La parentela è una relazione con persone sia viventi che non.
Nella società occidentale > mutazione dell’idea di parentela (novità come omosessualità,
convivenza senza matrimonio ecc…) > sempre più importante la scelta individuale e la relazione. 1.
La parentela in azione Modernizzazione e globalizzazione premono su gruppi umani con concezioni
di relazioni sociali e parentali molto diverse da quelle a noi note > una parte dell’umanità che è in
grande espansione demogra ca. I diversi modi di intendere le parentele si ripercuotono sulla
terminologia ma anche sulle sue funzioni pratiche > la parentela agisce diversamente in diversi
contesti culturali, storici e pratici (aspetti della vita sociale > economico, religioso, politico…).

2. La parentela nelle società unilineari (patri e matrilineari)


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Gruppi di discendenza unilineari > vantaggio di stabilire con facilità i membri passati, presenti e
futuri del gruppo o lignaggio + spesso possesso collettivo di risorse. Sul piano pratico > notevoli
differenze tra le società patrilineari e matrilineari. 2.1 Gruppi patrilineari Gruppi studiati più
frequentemente dall’antropologia. Ipotesi > gruppi di discendenza patrilineare nati soprattutto a
causa della prevalente residenza patrilocale e dell’esogamia femminile (donne cedute in
matrimonio, allontanate). Necessità di formare gruppi corporati > garantire lo sfruttamento
collettivo di risorse e la trasmissione di queste (impossibile quindi per cacciatori-raccoglitori).
Alcuni vedono la patrilinearità come prodotto della divisione del lavoro in una comunità. Più i
principi di patrilinearità e patrilocalità si sovrappongono più il gruppo di discendenza svolge un
ruolo importante nella vita pratica degli individui > funzione “avvolgente”
BOX 6: Tibetani del Nepal > varie forme di unione. La più diffusa > una donna che sposa tanti
fratelli > poliandria “adel ca”. Ragioni > economico-ambientali > possibilità di trasmettere la
proprietà a un gruppo di gli che sposeranno tutti la stessa donna.
2.2 Il controllo della progenitura
Avere gli maschi che assicurino la discendenza > preoccupazione centrale per ogni gruppo di
discendenza patrilineare. Molte culture enfatizzano la gura maschile, esaltando la sua superiorità
sulla donna > tratto tipico delle società a discendenza patrilineare (non tutte però). Accentuato stile
“patriarcale” Le società patrilineari hanno istituzioni e regole nalizzate all’acquisizione di prole
maschile > necessità di controllo delle facoltà riproduttive delle donne > levirato e sororato.
Levirato > scopo di conservare l’appartenenza della progenitura di un uomo defunto al gruppo di
discendenza di questi; Sororato > scopo di rimpiazzare la fertilità di una donna defunta mediante
l’unione della sorella di quest’ultima al vedovo.
2.3 La compensazione matrimoniale
Il controllo della progenitura e della fertilità delle donne ha comportato la nascita di vari sistemi di
scambio matrimoniale > sviluppo di “stabilizzare” il sistema per rendere gli scambi prevedibili e
non casuali. Tra queste istituzioni > “prezzo della sposa” o “compensazione matrimoniale” >
quantità di beni che il gruppo del futuro sposo cede al gruppo della futura sposa. Non vero e proprio
acquisto > il gruppo della donna conserva la possibilità di intervenire in caso di contrasti o di
maltrattamenti ai danni della donna o della prole. Il principio dell’endogamia funziona da
ammortizzatore contro la perdita dei diritti della donna nei confronti del marito.
BOX 7: Con lo svilupparsi dell’economia globale > la compensazione matrimoniale in alcuni casi è
cambiata (ex: nomadi d’Arabia); in altri casi no > elaborazione di meccanismi “bloccanti” (ex:
Nuer).
2.4 Gruppi matrilineari
Gruppi di discendenza matrilineari > non speculari a quelli patrilineari > potere e autorità non delle
donne. La discendenza è trasmessa per via femminile e l’autorità per via maschile. Spesso la
discendenza patrilineare è associata alla residenza avuncolocale (nei pressi del fratello della madre
dello sposo).
BOX 8: Le prime culture matrilineari scoperte > teorie su un’evoluzione dell’umanità avvenuta
nella storia > da una dominanza femminile a una maschile. Sostenitore delle teorie > Bachofen > “Il
Matriarcato”.
2.5 L’avuncolato
Complesso di elementi culturali (residenza, autorità, eredità...) che caratterizzano la relazione tra un
individuo e il glio di sua sorella. Malinowski > attenzione all’avuncolato > comunità delle isole
Troiland > lo zio materno provvede al sostentamento della famiglia della sorella e esercita l’autorità
sui suoi gli maschi ai quali trasmette i beni, le conoscenze e le eventuali cariche.
2.6 Residenza o discendenza?
Il dilemma delle società matrilineari Uno dei maggiori problemi delle società a discendenza
matrilineare > come risolvere la tensione tra potere e discendenza. Centro della tensione > fratello
della donna VS marito > si contendono il controllo sulla prole della donna stessa. Tale tensione si
manifesta soprattutto in relazione alla scelta del modello di residenza.

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BOX 9: Lévi-Strauss > de nizione di “atomo di parentela” > con gurazione di quattro individui
(marito, moglie, fratello di lei e glio) > unità minima parentale. Il fratello è simbolo della parentela
come alleanza tra gruppi.
2.7 Il destino delle società matrilineari
Nel tempo > progressiva riduzione delle società matrilineari > la causa sembra essere l’espansione
coloniale. Le società matrilineari si trovano quasi tutte nelle aree del mondo che hanno subito di più
la colonizzazione > i problemi già presenti sono stati acutizzati (dilemma autorità-discendenza) +
particolarmente danneggiate sul piano demogra co + imposizione del diritto europeo.
2.8 La condizione delle donne nelle società matrilineari
Matrilinearità non signi ca matriarcato. Non esiste una posizione della donna ricorrente in tutte le
società matrilineari > si può valutare la sua posizione in base all’autorità esercitata su di lei dal
marito e dal fratello. Sembra che la condizione della donna sia migliore quando l’autorità del marito
e del fratello sono pari > si bilanciano consentendo alla donna di appoggiarsi ora all’uno ora
all’altro.

3. Gruppi a discendenza doppia


L’individuo appartiene a due linee di discendenza > stabilite una dal patrilignaggio e una dal
matrilignaggio. Convenzionalmente, entrambe le linee danno origine ad altrettanti gruppi corporati
> visione troppo rigida > perché: 1. i gruppi a discendenza doppia sono possibili solo perché
ciascuno ha delle funzioni differenti da quelle dell’altro; 2. la discendenza doppia non sembra
evocare nella mente dell’individuo rappresentazioni delle due linee con lo stesso peso. Società a
discendenza doppia > rare e con varie differenze tra loro.

4. Gruppi di discendenza cognatica


Gruppi che tracciano la propria linea di discendenza da un antenato attraverso individui di sesso sia
maschile che femminile > si fondano su gruppi di discendenza corporati. Un individuo può far parte
di linee differenti ma queste non possono avere la stessa importanza per l’individuo in questione.
BOX 10: Boas > ricerche sul popolo dei Kwakiuti > organizzazione sociale basata sulla “casa” o
“casata” (numayam) > gruppo di individui imparentati per via cognatica che possiede determinati
beni e privilegi > trasmessi ai discendenti per via patrilineare

5. Nuove prospettive
Nel tempo la considerazione degli antropologi del concetto di parentela è cambiato > attenzione
spostata dalla struttura socialmente riconosciuta alle forme di relazione non istituzionalizzate. Per
molte società infatti non è la discendenza biologica a dominare.

7) PARTE SETTIMA – ESPERIENZA RELIGIOSA E PRATICA RITUALE CAPITOLO 1


CONCETTI E CULTI

1. Cos’è la religione
La nozione di religione può sembrare scontata > sembra riferirsi a un complesso di credenze che si
fondano su dogmi (le verità della fede) e su riti, cerimonie e liturgie > scopo di avvicinare i fedeli a
delle entità soprannaturali. Si pensa subito anche a “specialisti” e a luoghi sacri particolari. Tuttavia
è facile trovare popoli che non condividono uno o più di questi elementi > ma si trovano sempre
esseri umani che immaginano una vita dopo la morte, che pensano il corpo come “animato” da una
forza vitale ecc... Alcuni studiosi > sottolineato che l’idea di religione formata da credenze, divinità,
templi e sacerdoti > volontà degli europei di “ritrovare” qualcosa di simile alla loro idea anche
altrove. Una religione non è comprensibile al di fuori della considerazione del rapporto tra potere e
verità (rapporto tra coloro che possono proclamare il “vero” e coloro che devono rispettare tale
autorità). Potere, autorità e verità > strutture e concetti relativi, non possono essere tutti ricondotti
ad un unico denominatore valido ovunque e in qualunque epoca. Spostando l’attenzione
dell’antropologia sugli aspetti motivazionali della religione > visione unitaria possibile. Linea

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generale > religione come un complesso più o meno coerente di pratiche e di rappresentazioni che
riguardano i ni ultimi e le preoccupazioni estreme di una società > trova un garante in una forza
superiore all’essere umano. De nizione che tocca due dimensioni > del signi cato (nei valori che
esprimono i “ ni ultimi” e le “preoccupazioni estreme”) e del potere (idea di un’autorità superiore
che giudica). La religione deve spiegare l’importanza indiscutibile di quei valori, affermarli e
ribadirli > duplice funzione: 1. funzione integrativa (difende la bontà e la verità di quei valori e
protegge gli individui dalle loro incertezza);

2. funzione normativa (tiene sotto controllo chi non si attiene ai principi che essa indica
appropriati).
Rapporto molto stretto tra religione e cultura > spesso i valori della religione sono “congrui” con
quelli della società. BOX 1: L’antropologia culturale mostrò subito interesse per la religione >
contesto storico preciso > scontro tra positivismo scienti co e dogmi biblici della creazione. Due
prospettive adottate dall’antropologia > “intellettualista” (esame della religione come frutto della
ri essione umana sul mondo – Tylor) e “sociologica” (religione come fattore socialmente coesivo,
esistente per la conservazione e il benessere della società – Smith). 2. Alcune nozioni
antropologiche relative alla religione Esistono diversi termini e nozioni speci ci dello studio
antropologico della religione.
2.1 I culti individuali
Culti praticati dal singolo individuo ma sempre all’interno di un codice culturalmente e socialmente
condiviso (preghiere, offerte…).
2.2 I culti sciamanici
Culti tipici delle società in cui il contatto con le potenze invisibili è assicurato da una gura
particolare, lo sciamano > personaggio con un ruolo religioso particolare, dotato della facoltà di
avere visioni del mondo soprannaturale. Solo occasionalmente riveste questo ruolo. Ha la facoltà di
entrare in trance e di entrare in contatto con i poteri soprannaturali.
2.3 Possessione
Possessione > idea diffusa in molte culture ma con manifestazioni diverse > inde nite forse
sovrumane che prendono il controllo di un individuo per parlare e agire attraverso esso. Individui
posseduti > predisposti, spesso “instabili” > diventano ponti tra il mondo umano e il mondo
soprannaturale. Casi di possessione studiati dagli antropologi > culti vudu; morso della tarantola…
Esistono anche casi di possessione istituzionalizzata > individui con un’identità sociale speci ca
danno luogo a manifestazioni socialmente approvate.
2.4 Mana
Nelle culture malesiane e polinesiane > sostanza, medium invisibile che gli uomini cercano di
procurarsi presso gli antenati morti, gli spiriti e gli dèi. Nella lingua dell’Oceania > verbo che
signi ca “essere ef cace”, frutto di una benedizione.
2.5 I culti comunitari
Pratiche religiose a cui partecipano gruppi di individui riuniti temporaneamente > organizzati per
età, rango... Spesso ni terapeutici. Processo favorito dai media > diffusione immediata di immagini
e rappresentazioni culturali > rischio di identi care una cultura con una religione.

4. Il fondamentalismo religioso
Fondamentalismo religioso > stile di pensiero e di comportamento religioso che prospetta un
“ritorno” ai fondamenti di una certa religione > testi sacri, letti e interpretati in maniera letterale e
dogmatica. Contraddistinto per un’interpretazione rigida e ideologica della tradizione religiosa +
atteggiamento intollerante verso chi ha idee religiose differenti. Ultimamente si sono diffusi
fondamentalismi ovunque > minaccia alla libertà di pensiero, di espressione e di scelta > origine del
terrorismo.
BOX 10: Mondo contemporaneo > proliferazione della religione mediatica > radio/tele-chiesa.
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8) PARTE OTTAVA – CREATIVITÀ CULTURALE ED ESPRESSIONE ESTETICA CAPITOLO
1 LA CREATIVITÀ CULTURALE

1.La creatività come aspetto costitutivo della cultura


Creatività culturale > strettamente legata a una caratteristica fondamentale del linguaggio umano, la
produttività in nita > consente agli uomini di produrre sequenze comunicative non predeterminate,
anche se parzialmente prevedibili. Creatività > capacità di produrre novità mediante combinazione e
trasformazione di pratiche culturali già esistenti > presente in tutte le società.
BOX 1: Esempio di creatività culturale > popolo dei Papua (Nuova Guinea) > colonizzati per quasi
un secolo > effetti di disgregazione e decadenza culturale > anche per le attività artistiche. Dopo la
liberazione > nascita di espressioni identitarie nuove (alfabetizzazione, prodotti europei,
missionari…) > rinascita culturale, nuova produzione artistica > storyboards, tavole incise e dipinte
con scene di vita quotidiana o mitologiche.

2. La festa come dimensione creativa


Vi sono forme di attività in cui le combinazioni di pratiche e signi cati inediti sono più evidenti che
in altre > una è la festa. Tratto universalmente diffuso > mette in moto comportamenti improntati
sulla dimensione collettiva e segna una rottura rispetto al corso ordinario della vita. In alcune
culture le feste possono diventare marcatori temporali di rilevante importanza (ex: Olimpiadi).
Differenza tra rito e festa > il rito ha un centro che dirige tutto; la festa tende a moltiplicare i centri,
presenza di gruppi e sottogruppi, punti di aggregazione autonoma che sviluppano la festa in modo
casuale. La festa, complesso di atti che si staccano dalla vita quotidiana > terreno culturalmente
creativo. I partecipanti sperimentano la dimensione comunitaria (Turner > communitas) > si
sentono coinvolti in un processo collettivo in cui non esistono più differenze tradizionali tra persone
> libertà d’azione e d’espressione. Alcuni studiosi > feste come un evento collettivo per rinsaldare
periodicamente il senso di appartenenza a una comunità (Durkheim); altri studiosi > feste come
modo per neutralizzare la negatività della vita; altri > festa come modo per rappresentare la
gerarchia e i valori sociali. Una festa è creativa quando in esse si compiono accostamenti simbolici
inediti o insoliti > possibile trasmettere concetti e stati d’animo dif cilmente esprimibili in altro
modo.
BOX 2: Naven > festa degli Iamtul della Nuova Guinea > rito e festa di travestimento > scambio
dei sessi.

CAPITOLO 2 L’ESPRESSIONE ESTETICA

1. L’espressione estetica e l’“arte”


Sfera dell’attività umana a cui ricolleghiamo immediatamente l’idea di creatività > “arte”. Dif cile
stabilire cosa sia arte e cosa no. Ripartizione delle arti > visive (arti plastiche e gra che) e non
visive (musica, poesia, canto…). Classi cazione strumentale che non coglie né le intenzioni
espressive né le motivazioni culturali all’origine dei prodotti chiamati “artistici”. Un tratto
universale dell’umanità è l’espressione estetica > l’arte è un prodotto di questa. Percezione estetica
> sia soggettiva che culturale > in continuo cambiamento (ex: moda).

2. La natura culturale dell’espressione estetica


L’estetica è un dato universale perché tutte le società producono un qualche oggetto o eseguono una
qualche performance che generano una reazione estetica. Modelli estetici > introiettati e condivisi
da un certo numero di individui > produzione estetica di una certa cultura > collegata in qualche
modo ai valori, alla visione del mondo ecc… di quella certa comunità. Prima di classi care una
produzione come “opera d’arte” > questioni per determinare i signi cati che riveste all’interno della

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cultura in cui è stata prodotta. L’arte > mai disgiunta dal contesto sociale, politico, culturale ed
economico in cui viene prodotta > importanza fondamentale. L’atteggiamento verso l’arte può
cambiare con le epoche.
BOX 3: Esempio dei problemi di interpretazione dell’espressione estetica nelle altre culture >
pitture rupestri. Numerose ipotesi sulla motivazione alla base di questa arte > scopo rituale-
propiziatorio, scopo celebrativo, riti iniziatici… Indubbio > i soggetti raf gurati hanno un legame
stretto con lo stile di vita di quelle popolazioni.
2.1 “Arti”, pratiche sociali e signi cati culturali
Nelle culture preistoriche > varie forme d’arte (gra ca e plastica) > particolarmente affascinanti
sono le pitture parietali. Non tutte le culture sviluppano allo stesso modo le arti > l’espressione
estetica può concentrarsi su una o alcune di esse e ignorare completamente le altre > “selezione
estetica”. L’arte di un determinato luogo può essere molto varia a seconda della varietà di motivi
culturali presenti (ex: la così chiamata “arte africana”). I Kalabari della Nigeria vedono le loro
sculture come dimore degli spiriti > una scultura è considerata buona o cattiva, in base alla sua
capacità di “attrarre gli spiriti” a stabilirvisi. Gli Yoruba producono due tipi di maschere, uno sacro
e uno profano > stessa attività, diverse nalità. I Lega > stesse sculture dei Kalabari ma signi cati
culturali diversi. Deduzione > non esistono canoni estetici universali. Più esatto > è universale la
capacità di esprimersi esteticamente, ma la forma di espressione estetica nelle diverse culture
dipende da molti fattori > la funzione del prodotto, i valori a cui esso rinvia, l’uso che se ne fa, il
destinatario, la motivazione e l’ispirazione dell’artista.
BOX 4: Esempio attuale del signi cato dell’espressione “motivazione e ispirazione dell’artista” >
writing, arte gra ca simile ai murales, incentrata sulle scritte. “Arte povera” e forma di “ribellione”
> protesta e denuncia del malessere, del disagio.

CAPITOLO 3 L’ARTE “TRIBALE” NEL CONTESTO OCCIDENTALE

1. I musei e le arti “primitive”


Nel corso del XIX secolo > musei di arte antropologici ed etnologici vennero moltiplicandosi >
enorme quantità di oggetti rilevati nei mondi “primitivi” e “arcaici” grazie all’opera di viaggiatori
studiosi, commercianti, esploratori ed etnologi . Nei musei > gli oggetti scoperti venivano catalogati
ed esposti illustrando le teorie antropologiche dell’epoca + venivano raggruppati in categorie
omogenee e in ordine di “complessità crescente”. Dopo > raggruppamenti per aree culturali. Dopo
la seconda guerra mondiale > tecniche espositive sempre più af nate. 1.1 Arte moderna e “oggetti
selvaggi” Prima ragione dell’inserimento della produzione estetica “primitiva” nella categoria di
arte > artisti dell’avanguardia europei si interessarono a manufatti di origine africana, americana e
oceaniana > li denominarono “oggetti selvaggi”. Questi artisti > spinti dal bisogno di opporsi alla
frantumazione sociale dovuta alla modernità industriale > recupero di modelli non competitivi,
armonici, sottratti al usso della modernità stessa. Corrente “primitivista” > maggior esponente:
Gauguin. In seguito > sviluppate anche altre tendenze (ex: “modernismo”).

2. Il mercato dell’arte “tribale”: come un oggetto “selvaggio” diventa un’opera d’arte


Seconda ragione dell’inserimento di oggetti “esotici” nel sistema estetico occidentale > mercato
dell’arte. Negli ultimi decenni del Novecento > l’arte “tribale”, “primitiva” o “etnica” aveva
cominciato ad avere un mercato proprio. Inizialmente richiesti dai musei etnogra ci > poi si
sviluppa anche un mercato privato (collezionisti, galleristi, riviste…). Ciò che determina il valore
economico di questi oggetti > ora possono essere legittimamente giudicati “arte”. Nella
determinazione di un certo oggetto come opera d’arte entrano coppie di nozioni > autentico/
inautentico, capolavoro/artefatto, originale/seriale, ecc… Il mercato d’arte tribale ha anche bisogno
di rifornirsi di novità > inglobati anche oggetti che prima non sarebbero stati considerati arte >
conseguenza del fatto che molti oggetti oggi non vengono più riprodotti (scomparsa delle nalità
originarie). Può capitare che delle opere vengano rivendicate dalle culture da cui provengono. Si
parla spesso anche di “patrimonializzazione dei beni culturali”.
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3. Arte e politiche dell’identità
Oggi > contrasti intorno alla gestione delle opere e del patrimonio culturale. Musei occidentali e
popoli nativi; orgoglio di popoli locali in un unico paese; motivi identitari.

4. Il patrimonio culturale Patrimonio culturale oggi > tutto ciò che appartiene alla cultura materiale,
artistica e culturale in senso antropologico a cui un certo gruppo o società guarda come a elementi
del proprio passato, della propria “identità”. In ogni paese possono coesistere molte tradizioni
culturali (ex: Italia). Sempre più spesso gli Stati tentano di ottenere un riconoscimento uf ciale (da
organismi internazionali come l’Unesco) > inserimento nella lista dei beni “patrimonio
dell’umanità”. Molti interessi ruotano intorno a questo riconoscimento > economico (turismo);
rafforzamento del senso identitario; aumento del prestigio del Paese ecc… Nel corso del ‘900 >
corsa alla patrimonializzazione. Il patrimonio culturale può anche non essere “materiale” > beni
“intangibili” (ex: festa, canto, ricetta di cucina…).

5. La nascita del concetto di patrimonio culturale


Origine dell’idea di patrimonio culturale > Inghilterra di metà Ottocento > cultural heritage.
Tentativo di far fronte a profonde mutazioni causate dalla rivoluzione industriale > sconvolgimento
dell’ambiente e delle condizioni di vita. Riformisti > sentirono il bisogno di “ ssare” degli
ancoraggi per la memoria del paese > affermare una certa continuità culturale. Un patrimonio
comune che affermava la loro unità e la continuità della comunità sociale di allora > nozione di
cultural heritage.

9) PARTE NONA – RISORSE E POTERE CAPITOLO 1 POTERE DELLE RISORSE E RISORSE


DEL POTERE

1. Risorse del potere: un’inscindibile relazione


Lo studio della produzione e della gestione delle risorse > competenza dell’antropologia
economica; lo studio della costituzione e dell’esercizio del potere > competenza dell’antropologia
politica. Tuttavia è necessaria una visione più unitaria > la disponibilità e il controllo delle risorse
sono inseparabili dall’esercizio del potere e viceversa. Relazione tra risorse e potere > si è plasmata
e modi cata nel corse delle epoche.
1.1 Risorse materiali e risorse simboliche
Risorsa > sia tangibile, concreta (acqua, denaro ecc…) sia intangibile (conoscenza, sapere…) > di
natura materiale o simbolica. L’acquisizione e la disponibilità di una risorsa > possibilità per un
individuo o un gruppo di acquisire un potere (imporsi o prevalere su altri individui e gruppi).
1.2 Economia e politica
Società industriali e post-industriali > solo da poco tempo si riconosce che le risorse possono essere
sia di tipo materiale che simbolico. Resta radicata l’idea che tutto ciò che riguarda produzione,
gestione, scambio, distribuzione e controllo delle risorse materiali > interesse dell’economia;
mentre tutto ciò che riguarda le relazioni tra individui e gruppi sociali mossi da progetti o interessi
diversi > campo della politica. Nel mondo occidentale economia e politica risultano distinte >
esistenza del sistema di mercato da un lato e delle istituzioni politiche dall’altro.

1.3 Oggetti di prestigio e beni di consumo


Sviluppi dell’etnogra a > divenne evidente che anche gli altri popoli avevano vari modi di produrre
risorse, farle circolare e ssare criteri di accesso ad esse > controllarne l’utilizzazione. Discussione
sulla distribuzione sociale delle risorse in quelle “società primitive” > Malinowski > studi
antropologici sulle economie “arcaiche”.
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1.4 La “vita” e la funzione degli oggett


In alcune popolazioni gli oggetti di scambio portano un nome proprio e una loro storia > considerati
segni di relazioni durature tra gli individui. Scambi accompagnati da discorsi rituali > riaffermano
la relazione di scambio rituale ed economico > visione della memoria incorporata dagli oggetti
come portatrice di una fama “imperitura” per coloro che avevano partecipato agli scambi. Gli
oggetti di scambio sono vere e proprie risorse > permettono di far parte dei circuiti di scambio >
possibile a pochi > conferisce prestigio e quindi potere. Se un circuito si disgrega > degli individui
possono entrare in nuovi circuiti con nuovi oggetti, mentre altri ne restano fuori per sempre.
Cambiando circuito > beni con lunghe storie alle spalle possono vedere azzerata la propria
“memoria” e perdere valore.
1.5 La moltiplicazione delle risorse e le trasformazioni dello scambio
Sistemi di scambio “arcaici” possono vedere gli oggetti entrare e uscire di continuo dal circuito >
con la colonizzazione sono stati introdotti anche nuovi oggetti europei. Queste trasformazioni dei
sistemi provano che le istituzioni economico-cerimoniali sono in uenzate da eventi storici +
l’istituzione è stata ed è oggetto di continue manipolazioni e nuove strategie. Sempre più spesso >
popolazioni che prima si dedicavano a forme di scambio cerimoniali sono in uenzate dalla presenza
del denaro e dal concetto di proprietà privata > pressioni “globali”.
BOX 1: In molte società esistono le “sfere di scambio” > spazi separati di circolazione di beni di
natura differente.

2. Le nature del potere


Le teorie del potere sviluppatesi in occidente hanno cercato di coglierne la sostanza > potere come
facoltà di sovrani delegati dal popolo, come espressione della volontà generale, come prerogativa
dei monarchi per grazia divina… Teorie più recenti > accento sul carattere pervasivo del potere,
sulla sua natura inscritta nelle relazioni stesse tra individui. Michel Foucault > teoria recente più
in uente > studio su come il potere funziona, agisce e costringe gli esseri umani a comportarsi in un
certo modo. Il potere è ovunque > nelle parole, nei discorsi, nel sapere… Egli analizza anche aspetti
come la morale sessuale, la disciplina, il trattamento della follia... Potere > può essere
un’istituzione, ma la sua ef cacia si realizza in maniera invisibile > entità pervasiva. Diventa
possibile analizzare la società culturale sotto il punto di vista del potere > presente nelle relazioni
sociali. Max Weber> concezione del potere diversa ma complementare > potere come facoltà di
imporre ad altri il proprio volere. Necessità di alcune caratteristiche > carisma, autorità spirituale,
coercizione... Il potere tende ovunque a produrre rappresentazioni di se stesso. Nelle organizzazioni
sociali più “complesse” > rappresentato dalle istituzioni stesse.
BOX 2: Il potere per imporsi può anche produrre “ironia di se stesso” > ex: Agni (Costa d’Avorio) >
alla morte di un re uno schiavo lo imita parodisticamente no a proclamare il successore.
Rafforzamento indiretto del potere stesso

2.1 Arena politica, attori politici e prospettiva processuale


Disporre di risorse > necessaria condizione per agire politicamente > “lotta per il potere”. Il potere
ottenuto conferirà il controllo su sempre più risorse. Studio antropologico del potere > attenzione
alle diverse modalità in cui, presso differenti culture, si crea la così chiamata arena politica > spazio
ideale occupato da tutti gli elementi che determinano il confronto politico (organizzazioni,
individui, valori, signi cati e risorse) > manovrati dagli attori politici nel loro confrontarsi per il
potere. Attori politici > coloro che si confrontano nell’arena politica, individui o gruppi d’interesse
(partiti, banche, associazioni, sindacati...). 2. Sistemi non centralizzati
2.1 La banda
Ritenuta dagli antropologi la forma più elementare di organizzazione “politica”, probabilmente la
più antica e sicuramente la meno diffusa. Caratteristica dei gruppi di cacciatori-raccoglitori nomadi.
Sono sottoposte a usso > continuo allontanamento dei membri di una banda e il loro riaggregarsi
ad un’altra. Aggregati fondamentalmente egualitari. “Struttura ristretta, informale e priva di
gerarchia decisionale”.
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2.2 Le società tribali
L’etichetta “tribale” è stata assegnata a quasi tutte le società studiate in passato da antropologi ed
etnologi. Tribù > preciso tipo di organizzazione socio-politica presso popolazioni prevalentemente
agricole e/o pastorali > presenza di più gruppi di discendenza. L’organizzazione politica deve essere
priva di un potere centrale permanente. Società “tribale” > grande enfasi sull’uguaglianza dei
gruppi che la compongono, sulla parità degli individui. Società instabili > suscettibili alla
formazione di una differenziazione sociale interna.
2.3 Lignaggi segmentari
Gruppi di discendenza unilineari costitutivi di una tribù > gruppi corporati che prendono il nome di
segmentari perché suscettibili al frazionarsi o aggregarsi in “segmenti”. I componenti del lignaggio
si riconoscono idealmente discendenti da uno stesso antenato > enfasi sulla parentela consanguinea.
Evocazione di idee di solidarietà e comunanza > ideologia egualitaria. Nella pratica > vi sono
lignaggi politicamente preminenti, specialmente se più numerosi, più ricchi, ritualmente più
importanti > tendenza a alleanze e/o scontri.
2.4 Strati cazione rituale
In molte società “tribali” > distinzione importante tra lignaggi > ri ette una funzione politico-
religiosa svolta da alcuni di essi. Alcuni individui possono incarnare un’autorità rispettata e
ascoltata senza che siano specializzati nelle funzioni politiche > considerati ricettacoli di potere
soprannaturale, elemento di “santità” > funzione di mediazione tra gruppi tribali.
2.5 Consigli di villaggio
Nelle popolazioni tribali insediate in villaggi permanenti ogni gruppo di discendenza ha propri
rappresentanti. Riunioni periodiche > “consigli di villaggio”: assemblee ristrette con potere
decisionale, consultivo e amministrativo (relazioni con altri villaggi o tribù).
2.6 Sodalizi, classi d’età, società segrete
Legami di parentela > principale criterio di regolazione dei rapporti politici > ma esistono anche
forme associative basate sul sesso e sull’età. Membri di diversi gruppi di discendenza possono far
parte di sodalizi > forme associative con la funzione di organizzare una parte della popolazione
secondo progetti speci ci (ex: sodalizi di guerrieri). Altra forma associativa che comprende diversi
gruppi > classi d’età > popolazione raggruppata per “fasce d’età”. Ripartisce diritti e doveri in base
al criterio dell’età “sociale” più che biologica. Società segrete > costituite da individui af liati
tramite riti di iniziazione > potenti centri di aggregazione e di potere > mantengono solidi i legami
tra comunità e la stessa cultura separate dalla creazione degli Stati nazionali.
2.7 Il “Big Man”
Capi di comunità prive di istituzioni politiche centralizzate > costante opera di ridistribuzione di
beni e di bene ci > supporto e assistenza nei confronti del proprio lignaggio. Figure politiche di
primo piano > “Big Man”. In società prive di lignaggi segmentari (non classi cabili come “tribali”)
> “grandi uomini” sono gure un po’ anomale. Il titolo e il seguito di cui godono sono il risultato
dell’abilità e dell’iniziativa personale > costretti a ridistribuire periodicamente le ricchezze
accumulate per mantenere il potere.
BOX 10: Nelle società “tribali” il potere può variare in maniera notevole > la gura del capo può
variare da tribù a tribù (più o meno generoso, più o meno ricco, certe qualità piuttosto che altre…).

3. Sistemi centralizzati
Tutto il terreno terrestre oggi è suddiviso in Stati Nazionali, istituzione nata in epoca moderna
diffusa ormai ovunque.
3.1 Un mondo di stati
L’organizzazione della vita delle popolazioni del pianeta avviene in riferimento agli Stati nazionali
> pretesa di legittimare la sovranità in base all’omogeneità delle popolazioni sotto la loro
giurisdizione > falso. Molti Stati nazionali comprendono società totalmente eterogenee (lingua,
religione, origini, cultura…) > soprattutto gli Stati Africani > con ni attuali come i con ni arti ciali
stabiliti in epoca coloniale. Inoltre in molti Stati > amministrazioni centrali che non hanno alcun
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controllo sulle aree che comprendono. In ne > numerose aree contese tra Stati. Lo Stato rimane
l’istituzione di governo uf cialmente riconosciuta > non in passato e forse in futuro cambierà.
3.2 Prima degli Stati: i potentati
Antropologia > interesse per le trasformazioni sociali e culturali > collegate alle trasformazioni
dell’organizzazione politica. Antropologi > forme di organizzazione politica precedente allo Stato >
chieftainship in inglese o chefferie in francese > “potentato” in italiano (traduzione vaga). Potentato
> sorta di condizione politica “ intermedia” tra tribù e Stato: esercizio del potere > più formale che
in una tribù; autorità del capo > non più basata sul consenso; funzioni politiche > cariche più o
meno stabili e ereditarie. Insieme di più insediamenti o segmenti > uno o più gruppi di discendenza
(di vario tipo). Potentato intratribale > origine in una tribù, perdita di coesione; potentato
sovratribale > struttura che ingloba comunità segmentarie e non, tribù o bande. Fattore comune tra
tribù e potentati > legami di parentela e anzianità come fattori regolativi dei rapporti sociali.
Differenze: 1. netto accesso differenziale alle risorse; 2. principio della ridistribuzione delle risorse;
3. evoluzione del capo da gura a vera e propria carica. [nello speci co nei prossimi paragra ]
3.3 Accesso differenziale alle risorse e strati cazione sociale
Nelle società “a potentato” > processo di differenziazione tra i gruppi di discendenza > la carica di
capo tende a essere trasmessa all’interno di uno stesso gruppo o lignaggio > comparsa dei lignaggi
aristocratici. I lignaggi tendono a disporsi in una gerarchia di rango a seconda della distanza con
l’antenato fondatore (ex: il gruppo di discendenza hapu polinesiano). Differenza di rango > diverso
controllo sulle risorse a seconda di esso.
3.4 Ridistribuzione
Nei potentati la circolazione dei beni è regolata dall’autorità centrale > due fasi: 1. parte dei beni
prodotti dai gruppi vengono dati al capo; 2. il capo li ridistribuisce quasi tutti attraverso feste,
banchetti ecc… > “ridistribuzione”. Vero e proprio “dovere morale” del capo verso i sottoposti e
viceversa > ideologia della solidarietà. Conclusione: con ni labili tra potentato e tribù.
BOX 11: Esempio di accesso differenziato alle risorse > caso degli Shahsevan (Azerbaigian) >
formazione graduale di una sorta di potentati > regolano l’equilibrio tra pastorizia e agricoltura.
3.5 Gli Stati Stato > forma di organizzazione politica dominante oggi.
Caratteristiche peculiari: 1. autorità altamente centralizzata; 2. apparato burocratico-amministrativo
sviluppato; 3. diritto esclusivo di emanare leggi; 4. monopolio della forza militare. Le società: 1.
accesso alle risorse molto differenziato; 2. strati cazione sociale accentuata; 3. criterio regolatore
dei rapporti sociali > non più parentela ma rapporti “impersonali” (religione, territorio,
economia…). Diverse interpretazioni di Stato nazionale > una si fonda sull’idea di omogeneità
linguistico-etnico-culturale della popolazione che vi abita > idea “nazionalistica”; un’altra si fonda
sull’idea di uno Stato nato da un “patto” tra diverse componenti culturali in cerca di una politica di
uguaglianza; altre interpretazioni stanno tra queste due idee. Un elemento le accomuna tutte > non
deve esistere alcuna autorità che si contrapponga allo Stato stesso (teoria, spesso in pratica non è
così > ex: ma a).
3.6 Lo Stato e le altre forme di organizzazione politica
Nello Stato > possibile incorporazione di potentati, tribù e bande. Molteplicità di situazioni che non
possono rientrare in categorie nette e ben de nite. Southall > studi sugli Alur (Uganda) >
espressione “Stato segmentario”: le varie dinastie riproducevano localmente la struttura del centro
politico > amministrazione delle zone periferiche lasciata ai “segmenti” (componenti delle dinastie
stesse). Oggi a molti Stati nazionali sfugge il controllo su parte del loro territorio > controllo
assunto da altri Stati o da “signori della guerra” locali (ex: forse militari di narcotraf canti in
Sudamerica).

4. Un racconto sulle risorse e sul potere


Mondo sempre più “globale”, con risorse sfruttate all'in nito spesso a vantaggio di una minoranza >
necessario ripensare al rapporto tra la gestione delle risorse e gestione del potere > futuro stesso del
genere umano. Il mito è spesso interprete della “condizione umana”. Un racconto degli Yanomami
(popolo che ha sofferto lo sfruttamento all’in nito delle risorse) potrebbe un giorno diventare un

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mito. Ri ette la lucida consapevolezza degli Yanomami a proposito del rapporto tra l’uso delle
risorse e il potere che le controlla. Storia dello spirito-vapore Xawara rilasciato dal sottosuolo
durante la ricerca di minerali. I “bianchi” fondendo i minerali (oro soprattutto) creano del fumo >
distruzione per tutta l’umanità, la natura, gli animali, il cielo stesso.
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