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Ludo Cottini L’autismo a scuola

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l'autismo a scuola

10.2 . La matematica di Roberta è funzionale; il programma per usare


il denaro 289
10.3 . Omero viene visitato anche da Giuseppe 294

11. Metodologie di lavoro per allievi con sindrome di Asperger 303


11.1. L’insegnamento ad allievi con sindrome di Asperger:
alcuni richiami metodologici 304
11.2. Le strategie visive e Fuso di agende 311
11.3. Rendere esplicite le regole sociali 315
11.4. Le strategie di auto regolazione 321

Quarta parola chiave: compagni 327

12. Un "compagno per amico”: ovvero il percorso obbligato


per l'integrazione 329
12.1. Creare un clima inclusivo 330
12.2. Conoscere il deficit del compagno per ridurre le distanze 334
12.3. Prevedere programmi di alfabetizzazione emozionale 337
12.4. Sviluppare competenze assertive e prosociali 341
12.5. Utilizzare strategie didattiche che enfatizzano l’aiuto
e la collaborazione 345
12.6. L’integrazione: una risorsa per tutti 349

13. Conclusioni 351


13.1. Idee vincenti e perdenti per l’integrazione scolastica dell’allievo
con autismo 351

Bibliografia 353

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Introduzione

• Un allievo con bisogni tanto speciali e particolari, come quello affetto da distur­
bo autistico, può trovare nella scuola un ambiente idoneo perii suo sviluppo e la
sua integrazione sociale?
• Ha senso perseguire obiettivi di inclusione per un bambino che risulta assolu­
tamente poco attrezzato per vivere con gli altri, enfatizzando deficit a livello di inte­
razione sociale, comunicazione sociale, comportamento e tipologia di interessi?

Gli obiettivi del volume

Il volume vuol provare a fornire risposte a tali quesiti adottando un approccio


pragmatico e operativo. Sono convinto, infatti, che il modo meno utile e
proficuo per affrontare un argomento tanto complesso sia di adottare un
atteggiamento carico di retorica e pregiudizi ideologici, come quello che viene
messo in campo quando si fa semplicemente riferimento all’integrazione
come valore assoluto o al fette che in Italia si è fatta una scelta precisa in questa
direzione e che altre nazioni stanno cercando di seguirci nel nostro percorso.
Tutto vero, ma se il diritto dell’allievo con autismo a vedersi garantite le
stesse opportunità di tutti i suoi, compagni non si collega con un approccio
metodologico preciso, rigoroso e, nello stesso tempo, flessibile, si corre il
rischio che il diritto all’integrazione vada a collidere con quello all’istruzio­
ne (Micheli, 2004). Se la scuola non riesce a uscire dalla propria organizza­
zione tradizionale, se rimane sempre uguale a sé stessa, se viene lasciata sola
e non si stabiliscono le necessarie alleanze con le famiglie e con i servizi
specialistici, le prospettive di inclusione, almeno parziale, dell’allievo con
autismo finiranno ;per rimanere inespresse e l’atteggiamento sarà inevitabil­
mente quello di subire il problema e cercare di contenerlo nei limiti del
possibile in contesti separati.

11
l'autismo a scuola

Certamente la realtà dei fatti è molto diffìcile e complessa, ma non siamo


all’anno zero. Esiste un corpus dì conoscenze molto affinare sull’autismo,
sono stati sperimentati programmi di intervento che hanno ampiamente
dimostrato la loro efficacia e sono state documentate numerose esperienze di
qualità, nelle quali la prospettiva inclusiva si è coniugata con quella della
formazione di specifiche abilità.
Tutto questo ci porta nella direzione dell’integrazione possibile che, lo
diciamo da subito, deve essere reciproca per avere successo, senza pensare a un
semplice adattamento deli’aliievo con autismo al contesto sociale di riferimen­
to. L’esigenza, almeno all’inizio, è quella opposta, caratterizzandosi, di fatto,
con un tentativo di avvicinamento dell’organizzazione scolastica e degli attori
che la popolano al particolare universo dell’allievo con disturbo autistico.
Per poter programmare questo percorso bisogna prima di tutto capire il
nostro allievo, imparare a pensare come lui, conoscerlo nella sua dimensione
che non è quella della ricerca dell’isolamento, ma sovente della semplice
incapacità di stabilire connessioni significative.
In sintesi, favorire l’integrazione scolastica di questi bambini e adolescen­
ti è un obiettivo sicuramente complesso, ma nello stesso tempo irrinunciabi­
le e di grande valenza adatriva. Vivere in relazione con i coetanei, infatti, costi­
tuisce un’occasione pressoché unica non solo per ricercare apprendimenti
funzionali, ma anche per comprendere meglio il mondo con le sue regole, a
volte cosi oscure e illogiche per l’allievo con autismo e per generalizzare in
situazione degli apprendimenti specifici acquisiti in ambito riabilitativo.

Attualmente si sta assistendo a una sorta di ridefinizione del concetto di


integrazione in quello più articolato di inclusione, cercando, in sostanza, di
ampliarne la valenza sia per quanto riguarda i contesti sia per le persone inte­
ressate. In riferimento ai contesti, l’inclusione rappresenta il tentativo di
ricollocare l’idea di integrazione, saldando fra loro i vari processi formativi e
scolastici, quelli sociali e quelli delle politiche relative ai servizi: in questa
direzione l’integrazione scolastica acquista una nuova prospettiva in quanto
viene assunta come parte di un più. ampio intervento sull’integrazione socia­
le (Medeghini, 2.006). Anche per quanto riguarda le persone coinvolte si
assiste a un ampliamento dei riferimenti: infatti, se il processo di integrazio­
ne si indirizza ai bisogni delle persone con disabilità o, in una visione più
ampia, a quelle con bisogni speciali, l’inclusione rivolge la sua attenzione a
tutti coloro/^partecipano alla vita sociale. In ambito scolastico, quindi,

12
INTRODUZIONE

viene preso in carico l’insieme delle differenze, comprendendo gli alunni a


sviriippótipico, quelli con svantaggi socioculturali, quelli dotati ecc. In tale
dimensione il concetto normativo legato, ad esempio, alle certificazioni
viene superato per recuperare l’insieme delle espressioni e delle potenzialità
di tutti gli allievi. -, *

Il percorso verso l’inclusione effettiva degli allievi con autismo può dirsi
appena avviato, anche se un certo tragitto è stato sviluppato grazie a nume­
rose esperienze positive di integrazione scolastica, le quali, di fatto, possono
rappresentare una sorta di volano per favorire forme di generalizzazione
anche nel contesto sociale.

Quattro parole chiave per l'integrazione

Per perseguire gli obiettivi ambiziosi dell’integrazione scolastica e dell’inclu­


sione sociale, .quattro linee di lavoro -ci sembrano assolutamente strategiche.
• Programmare congiuntamente (fra insegnanti curricolari, di sostegno e le
altre figure di supporto) e in maniera rigorosa le attività didattiche, con una
precisa definizione delle procedure di valutazione, degli obiettivi, dei conte­
nuti e delle metodologie di lavoro. Gli educatori devono avere ben chiaro in
ogni momento cosa stanno insegnando, anche quando l’atdvità riguarda la
gestione dei perìodi di ricreazione, del pranzo, del gioco, della relazione
sociale ecc. Per facilitare il corretto e agevole espletamento di queste fasi di
lavoro nella prospettiva dell’inclusione dell’allievo con disturbo autistico
nella scuola, insieme ad alcuni collaboratori abbiamo recentemente elabora­
to un software, denominato Progress (Cottini, 2006). Si tratta di un
programma aperto che facilita l’elaborazione dei curricoli educativi e riabili­
tativi, che gestisce un articolato sistema per la valutazione, la conduzione e il
monitoraggio degli interventi e che permette di memorizzare tutte le attivi­
tà degli allievi e la loro evoluzione nel tempo (progetto di vita), anche attra­
verso un modello di portfolio informatico.
* Organizzare adeguatamente i tempi, gli ambienti dì lavoro, i materiali e,
rispondere ai bisogni molto speciali degli allievi
con disturbo autistico. Non è ammissibile che la risposta delle scuole sìa anco­
ra così frequentemente nel segno deU’impossibilità a gestire il rapporto in
assenza di condizioni dì “copertura” 0, meglio ancora, di separazione comple-

13
l’autismo a scuola

ta. Con quest’affermazione non si vuoi negare l’esigenza, assolutamente


centrale, dì prevedere l’insegnante specializzato per il sostegno con un rappor­
to i : i per allievi con autismo, ma si intende contrastare la tendenza a subire la
situazione e ad affrontarla solo con un atteggiamento orientato al contenimen- ‘
to del disagio. Sempre relativamente all’organizzazione e alla strutturazione
dell’ambiente, dei compiti e dei materiali per renderli adeguati e prevedibili b>
per l’allievo con autismo, esiste un’ampia letteratura a conferma. Quando l’al- |
lievo comprende veramente che cosa sta accadendo e che cosa ci si aspetta da
lui, l’apprendimento ne risulta favorito e i problemi di comportamento si atte- fi
nuano. Come sostengono Schopler e Mesibov (ipcjjb), l’insegnamento ad
allievi con autismo richiede un duplice intervento in cui, se da un lato il
bambino viene aiutato a sviluppare abilità e competenze, dall’altro si ricono- •.
sceia necessità di modificare alcuni aspetti dell’ambiente per.aumentare al
massimo Ì punti di forza e ridurre al mini mo i deficit.
• Fare riferimento a una didattica speciale di qualità, che si fondi sulle cono-
scenze disponibili circa l’efficacia di vari modelli di intervento, ma che non si
fermi ad essi. Infatti, se da un lato è necessario considerare resistenza di uria ;
serie di approcci strutturati che hanno abbondantemente dimostrato la loro >
efficacia, dall’altro si deve avere la consapevolezza che l’educatore non può -fi
trasformarsi in uno pseudoterapista, con il rischio di proporre solo modelli fi
di lavoro emarginanti. Questa perentoria affermazione non deve comunque
portare alla giustificazione di approcci centrati su una vuota ricerca di soda- ?
lizzazione in presenza. Come diremo in maniera dettagliata in seguito, la fi
frequenza del contesto integrato da parte dell’allievo con autismo, necessita, 3
molto più. di quanto avvenga per altre tipologie di deficit, di essere prepara- f
ta anche attraverso lavori individualizzati condotti fuori dalla classe, ma fi
l’obiettivo deve comunque rimanere quello dell’inclusione. fi
• Coinvolgere attivamente i compagni nella gestione dell’integrazione scola- j
stica dell’allièvo autistico. La risorsa “ compagni”jappresenU, infatti, una jr
condizione essenziale per far sì che si verifichi una reale inclusione in grado
di travalicare anche i confini scolastici, ma non sì attiva compiutamente in
assenza di particolari procedure che gli educatori devono conoscere e mette-
re in atto. Esistono varie linee operative che sono state a più riprese speri­
mentate (Cottini, 2004). Queste riguardano la creazione di un clima inclusi- "> ifi
yo nella classe,la conoscenza del deficit per avvicinare i compagni all’allievo <
con autismo, il lavoro sulle abilità assertive e prosociali,'le strategie del tuto-) ,fi
ring e dell’apprendimento cooperativo. "fi . fi

s
INTRODUZIONE

/ / Programmazione, organizzazione, didattica speciale e compagni, quindi, ì


fZ .sono le quattro parole chiave alle quali riferirsi nella prospettiva di promuo- /
■ vere unjntefirazionc di qualità-dell’allievo conautismo nella scuola di tutti. /
Il presente lavoro è appunto organizzato intorno a questi concetti di
fondo. Dopo una sessione introduttiva dedicata all’inquadramento della
sindrome autistica, sono previste quattro parti articolate in vari capitoli, che
analizzano gli aspetti sottolineati (le quattro parole chiave) con un approc­
cio molto concreto e ricco di esemplificazioni operative.
Ogni capitolo è introdotto da alcune domande tipiche che gli insegnanti
si pongono quando sono chiamati a interagire con allievi tanto speciali e
complessi come quelli affetti da autismo. L’obiettivo, chiaramente, non è
fornire risposte esaustive a tutti gli interrogativi, ma indicare un percorso che
possa portare ad affrontare le diverse problematiche di tipo didattico con un
approccio ancorato alle metodologie di lavoro più affinate.

Facciamo la conoscenza dei protagonisti del nostro percorso

Come è stato più volte sottolineato, il lavoro persegue obiettivi eminente­


mente operativi, concentrandosi, di fatto, sulla descrizione di una serie di
itinerari metodologici sviluppabili nel contesto scolastico. Numerose
saranno le esemplificazioni concrete riferite a cinque allievi, che rappresen­
tano Ì protagonisti del nostro percorso: Marco, Luca, Filippo, Roberta e
Giuseppe.
Conosciamoli meglio prima di proseguire.

Marco

Marco ha 4 anni e mezzo e solo da poco ha avuto la diagnosi di autismo


dopo un lungo peregrinare dei suoi genitori da specialista a specialista, È
davvero un bel bambino, con capelli nerissimi e grandi occhi scuri. Frequen­
ta la sezione Medi alla scuola dell’infanzia del suo paese e guardandolo si
stenta a credere che possa avere i problemi che invece manifesta.
Ha cominciatola camminare verso i 2 anni e ora deambula con una stra­
na andatura in punta dei piedi e passa tanto tempo a guardare le sue mani
mentre imprimono, movimenti rotatori a piccoli oggetti 0 a fili d’erba. È

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l'autìsmo a scuola

molto difficile incrociare lo sguardo di Marco, che, tra l’altro, spesso scuote
velocemente la testa anche per periodi prolungati.
Marco non utilizza il linguaggio verbale, se si eccettuano alcune vocalizza­
zioni che vengono pronunciate in maniera ripetitiva. La sua forma principale di
comunicazione avviene in maniera fìsica. Quando vuole qualcosa e non riesce a
prenderla, infatti, afferra la mano dell’adulto che sta vicino e lo guida all’ogget­
to desiderato. Se gli oggetti che desidera sono utilizzati dai suoi compagni non
esita a strapparli dalle loro mani, incurante delle reazioni che determina.
Marco manifesta una grossa difficoltà nell’accettazione di attività nuove;
solitamente quando vengono proposte le rifiuta piangendo e urlando.
Richiede con grande insistenza (arrivando anche a gettarsi a terra) attività di
suo interesse o già conosciute.
È molto bravo a realizzare torri ponendo cubetti uno sopra all’altro. È
sorprendente la precisione con cui li sistema fino a creare pile che raggiun­
gono la sua altezza. Quando la torre si rovescia perché troppo alta o perché
un cubetto viene sistemato in maniera irregolare, Marco senza alcun gesto o
atteggiamento di disappunto ricomincia la composizione.
Ama molto veder scorrere l’acqua dal rubinetto e porre sotto le sue mani.
Sta imparando a strofinarle autonomamente come si usa fare nel movimen­
to di lavarle.
I genitori raccontano che a casa è difficile interagire con luì, se non con
giochi fisici, come fingere di fere la lotta. Ha un rapporto complicato con il
cibo: sono poche, infatti, le cose che gli piacciono (principalmente pane,
formaggio grattugiato, carne di pollo e poco altro) e mangia solo quelle.
Da poco tempo hanno preso un cane a casa con la speranza che Marco
possa affezionarsi a lui. In realfe il bambino accetta che il cane gli vada vicino
e che gli lecchi le mani, anche se le iniziative di avvicinamento da parte sua
sono sporadiche e durano poco tempo. Comunque, le interazioni sembrano
aumentare.
Marco ha iniziato da alcuni mesi una riabilitazione basata su tecniche com­
portamentali, dopo vari tentativi fetti con approcci diversi. I genitori sembrano
soddisfatti dei progressi fetti registrare in poco tempo, soprattutto in relazione
allo stare seduto al tavolo di lavoro. Richiedono che lo stesso approccio possa
essere applicato anche a scuola e stanno operando per mettere in contatto il
personale specialistico, che opera in una città diversa, con gli insegnanti.
Malgrado la situazione difficile, i genitori di Marco nutrono buone speran­
ze per il futuro del loro figlio.

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INTRODUZIONE

Luca

Luca, è un bambino di 8 anni che frequenta la seconda classe della scuola prima­
ria. È molto carino, con capelli neri a spazzola e occhi grandi di colore verde.
Luca non parla. In alcune occasioni comincia a emettere urla improvvise e
si morsica la mano destra in maniera ossessiva, come fosse assalito da uno stato
d’ansia non controllabile. In altre situazioni, a dire il vero più rare, aggredisce
gli adulti che gli stanno vicino con graffi e pizzichi. Raramente si rivolge in
maniera inadeguata nei confronti dei compagni, ai quali anzi si avvicina spesso,
anche se non si riesce a capire bene con quale finalità. L’intenzione principale,
infatti, soprattutto con le bambine, è quella di annusare loro i capelli.
Spesso sfoglia un libro davanti agli occhi e ride da solo.
Ama molto andare e tornare da scuola con il pulmino. Sale da solo e
occupa il suo posto e anche nelle uscite scolastiche non ha mai dato partico­
lari problemi.
A Luca piace molto giocare con le macchinine. Ne ha una vera collezione.
Il suo gioco, però, si limita alla creazione di lunghe file ordinate di macchi­
nine messe a rovescio, ìn modo da poter far girare le ruote.
Saltella molto spesso facendo strane oscillazioni del busto. Questi
comportamenti che coinvolgono tutto il corpo si alternano a momenti in cui
batte le mani guardandole di traverso e saltellando sul posto.
Luca non ha abilità di scrittura
*
, i tentativi di fare in modo che copiasse
delle lettere sono risultati infruttuosi. La modalità di impugnare la penna e la
matita è comunque corretta. Quando gli viene dato un foglio e dei colori a
legno passa molto tempo a tracciare linee orizzontali utilizzando quasi
sempre i colori marrone e verde. Gli piace, comunque, effettuare alcuni
giochi che conosce bene al computer, riuscendo a usare il mouse in maniera
adeguata per ripetere i percorsi abituali.
I genitori raccontano che a Luca sembra piacere molto passeggiare con
loro su alcuni itinerari particolari della cittadina nella quale risiede, mentre
non gradisce ambienti troppo affollati o rumorosi. Trascorre molto tempo
in giardino, dove è stata montata un’altalena. Gli aspetti più problematici
che vengono segnalati riguardano l’alimentazione e il sonno. Luca è molto
selettivo e vuole sempre mangiare le stesse cose. In alcune occasioni è succes­
so che mettesse imbocca la terra e la sabbia ridendo e guardando Ì genitori.
Durante la notte dorme al massimo per due o tre ore, poi comincia a saltare
sul letto, a gridare, a camminare avanti e indietro per la stanza e ad emettere

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l’autismo a scuola

vocalizzi apparentemente senza senso. I genitori sono molto esasperati da


questo comportamento, che hanno provato a contenere con ogni mezzo,
senza apprezzabili risultati.
La mamma sottolinea, con soddisfazione e orgoglio, che Luca in alcune
occasioni si mostra molto affettuoso, soprattutto nei suoi confronti, avvici­
nandosi, annusandole a lungo i capelli e restando abbracciato senza comun­
que emettere alcun suono.
Luca non sembra avere una percezione dei pericoli legati all’utilizzo di
oggetti o a particolari situazioni; non è in grado di attraversare da solo la stra­
da, anche se non esce mai dal perimetro recintato del giardino, neppure
quando il cancello rimane aperto.
I genitori sono molto preoccupati della situazione del figlio che a loro dire
non sembra evolvere in modo favorevole e la loro angoscia aumenta quando
parlano del futuro. Qualche sollievo deriva dal contatto con altre famiglie
che condividono con loro un problema simile, anche se le frequentazioni si
sono ridotte negli ultimi periodi a causa degli impegni lavorativi del padre
che rendono difficili gli spostamenti.

Filippo

Filippo ha io anni e frequenta la quarta classe della primaria in una scuola


periferica di una città di medie dimensioni. Ha lineamenti molto delicati,
con capelli biondi e occhi chiari e appare più alto e formato dei suoi compa­
gni di classe. Quando i genitori o gli insegnanti parlano di lui il discorso cade
sempre sulle sue stranezze, che fanno fatica a essere interpretate. Sorprende,
infatti, da un lato per alcune competenze che dimostra nella sua area princi­
pale di interesse che sono Ì mezzi di trasporto e, dall’altro, per come sia in
difficoltà in situazioni sociali e per come non impieghi in maniera funziona­
le le sue capacità. Gli è stato diagnosticato un autismo ad alto livello di
funzionalità con sindrome di Asperger.
In concreto, Filippo è appassionato di tutti i mezzi di locomozione, cono­
sce alla perfezione ogni marca di auto e di camion, sa individuate dalle foto­
grafie o guardando la televisione anche le tipologie dì aereo. Pure i treni e gli
autobus lo interessano, tanto che corre alla finestra ogni volta che sente
passare un autobus in strada o un treno sui binari visibili da casa sua. Cono­
sce, inoltre, le distanze chilometriche fra le principali città italiane e fra le

18
ÌNTRODUZIONE

capitali europee. Stranamente, in confronto a quanto ci si potrebbe attende­


re, non ha mai richiesto di salire su alcun mezzo di trasporto ed è molto diffi­
cile fargli accettare di spostarsi con veicoli diversi dall’auto di papà.
Filippo usa il linguaggio verbale, anche se lo stesso risulta poco funziona­
le ai fini della comunicazione. Risponde in maniera adeguata alle domande
che gli vengono rivolte, ma non riesce a gestire una conversazione e, quando
parla liberamente, finisce sempre per dire cose poco connesse fra loro che
riguardano i mezzi di trasporto. Legge correttamente e scrive, ma anche in
questo caso, quando la situazione non è strutturata (rispondere a domande
precise, fare esercizi molto ben defìnid ecc.), finisce, per scrivere il nome di
marche di veicoli o di alcune loro componenti. E davvero molto abile a usare
il computer, il cellulare e altre strumentazioni elettroniche. Riesce agevol­
mente a fare ricerche in Rete, anche se le sue frequentazioni di Internet fini­
scono sistematicamente su siti che riguardano i suoi interessi assorbenti.
Disegna in maniera molto precisa ed è in grado di rappresentare luoghi
visti anche per tempi brevi con una grande ricchezza di particolari. La coor­
dinazione motoria generale, invece, è poco affinata, per cui si muove in
maniera abbastanza goffa e non è ancora riuscito ad acquisire buoni automa­
tismi motori funzionali (ad es. non sa andare in bicicletta).
Gli piace stare in classe, anche se la confusione eccessiva sembra infastidir­
lo e la vicinanza troppo stretta delle altre persone non sempre è ben tollerata.
Quando gli si richiede di lasciare le sue occupazioni preferite per effettua­
re attività diverse, magari le stesse che vengono svolte dai suoi compagni,
risponde spesso in maniera aggressiva, spingendo o tirando i capelli a chi gli
sta vicino, siano essi bambini o insegnanti.
Alla luce di questa situazione gli educatori, dopo aver tentato di coinvol­
gerlo con vari mezzi e modalità nelle attività didattiche previste, finiscono
per consentirgli di continuare a svolgere le sue occupazioni nello spazio per i
lavori individuali ricavato in classe.
A casa Filippo passa gran parte del tempo in camera sua, sfogliando rivi­
ste e libri sui mezzi di trasporto e osservando cartine geografiche. Ha una
grande collezione dì macchinine e altri mezzi di trasporto, che tiene disposti
in maniera precisa su degli scaffali e che non tocca quasi mai.
Una delle preoccupazioni maggiori dei genitori è legata alla ritrosia di Filip­
po a lasciare la propria abitazione per fare cose diverse dall’andare a scuola,
costringendo di fatto uno dei familiari a restare sempre a casa. In un’occasione
in cui la mamma sfera recata per pochi minuti nel negozio sotto casa, al ritor­

19
l'autismo a scuola

no si era trovata di fronte a uno spettacolo devastante, con piatti e bicchieri


lanciati contro il muro, vasi rotti e anche il divano tagliato con un coltello.
Un altro problema sorge se si cerca di tagliare i capelli a Filippo e soprattut­
to le unghie. Sembra provi paura e dolore, si dimena, cerca di fuggire, urla.
I genitori stanno richiedendo costantemente aiuto ai servìzi sociali perché
temono di non essere più in grado di sostenere il peso della situazione facen­
do appello soltanto alle loro forze.

Roberta

Roberta è un ragazza di 14 anni iscritta alla seconda classe della secondaria di


primo grado della sua città ubicata nelle vicinanze della sua abitazione. È una
ragazzina con lunghi capelli castani e uno sguardo un po’ fìsso. Fa parte di
una famiglia composta da quattro persone (padre, madre e fratello sedicen­
ne) che vive in una palazzina di due piani, il primo dei quali è abitato dalla
nonna paterna che collabora attivamente, secondo le possibilità consentite
dall’età un po’ avanzata, alla cura e alla gestione della ragazza. I genitori di
Roberta sono entrambi laureati; mentre il padre è un affermato professioni­
sta, la mamma ha deciso subito dopo l’individuazione dei problemi della
figlia di dedicarsi a lei e rinunciare all’attività professionale.
La famiglia riferisce di uno sviluppo tipico della bambina con tappe evolu­
tive nella norma (lallazione, deambulazione, uso finalizzato delle parole e
gioco sociale) fino ai 18 mesi e di un “blocco” intorno ai 20 mesi, momento
nel quale la bambina ha cominciato a regredire, a non parlare più, a tendere a
isolarsi, a evitare gli altri bambini e a non girarsi se chiamata. Alcuni filmati
mostrati dai genitori sembrano confermare questa versione. La situazione che
si è venuta a creare lì ha subito insospettiti, soprattutto nel momento in cui la
regressione ha investito in maniera pesante il linguaggio, che è andato sostan­
zialmente a scomparire intorno ai 26 mesi di vita. Da qui ha avuto inizio un
lungo peregrinare della famiglia fra vari centri specialistici ubicati in diverse
regioni d’Italia. È stata da subito formulata la diagnosi di Disturbo dello spet­
tro autisico, anche se l’autismo, inizialmente indicato come “atipico”, ha fini­
to per essere definito di “forma classica” nelle relazioni più recenti.
È molto evidente la difficoltà di Roberta a interagire con gli altri, sia nelle
situazioni duali che in quelle di gruppo, anche se i contesti sociali non la
disturbano più come in passato. Presenta una discreta capacità di imitare

20
INTRODUZIONE

gestì e azioni e anche un certo contatto oculare, anche se lo sguardo viene


mantenuto sull'interlocutore per periodi dì tempo molto limitati.
Roberta è sostanzialmente non verbale, anche se in alcune occasioni
pronuncia delle parole (cinque o sei in tutto) non contestualizzate e non
indirizzate a produrre forme comunicative. La comunicazione con l’ambien­
te avviene principalmente attraverso modalità fìsiche; ad esempio, se si trova
in difficoltà nello svolgere un’attività richiede aiuto prendendo la mano di
chi gli sta vicino. La stessa cosa si verifica quando vuole cambiare ambiente o
desidera oggetti che non riesce a raggiungere. Da qualche mese, a seguito di
un programma di comunicazione aumentativa e alternativa nel quale è stata
coinvolta, ha cominciato a comunicare anche attraverso immagini (fotogra­
fie). Grazie a queste riesce, quando sollecitata, a comunicare i propri bisogni
e le proprie scelte inerenti gli interessi personali. Non è ancora in grado,
però, di servirsi di tale sistema di comunicazione in maniera spontanea.
Sicuramente pià adeguata risulta la comprensione del linguaggio verbale,
che permette a Roberta di capire semplici indicazioni e istruzioni, soprattut­
to quando riferite alla attività consuete che vengono svolte a scuola e in
ambiente domestico. È stata coinvolta in un programma di lettura funziona­
le, grazie al quale ha appreso a riconoscere varie parole, che incontra sovente
nell’ambiente scolastico e sociale.
Roberta possiede buone capacità fini-motorie, che le consentono di svol­
gere attività coordinate con le mani, come ritagliare, infilare oggetti su un
filo, incollare piccoli pezzi di cartoncini, fare dei mosaici, comporre puzzle.
Pur impugnando correttamente la penna e la matita, risultano carenti le
abilità grafiche; Roberta, infatti, riesce soltanto a colorare disegni Ì cui bordi
sono ben evidenti, rimanendo all'interno di essi in modo abbastanza preciso
solo se durante F esecuzione viene sollecitata associando il comando “Atten­
ta!” al gesto, altrimenti tende a essere frettolosa e a fuoriuscire dai margini.
Sono presentì, anche se in maniera meno eclatante del passato, alcune stereo­
tipìe della mani (tamburellare le dita e mettere le mani in bocca).
A partire dagli 11 anni circa si è avuto un certo miglioramento per quanto
concerne la tolleranza ai rumori rispetto al passato, tanto che Roberta riesce a
stare anche in ambienti affollati, purché non troppo caotici. Manifesta di
gradire la musica, richiedendo molto spesso l’ascolto dei suoi CD preferiti. Ha
acquisito discrete capacità di autonomia personale riferibili all’igiene, alla cura
della persona (vestirsi, svestirsi e gestione degli spazi personali), anche se deve
spesso essere sollecitata verbalmente per poter ridurre Ì tempi di esecuzione.

21
l'autismo a scuola

Pure a scuola la situazione può dirsi abbastanza buona. Viene seguita da un


insegnante di sostegno a tempo pieno e da un’assistente educativa. Il rapporto
con i suoi compagni è positivo, loro cercano di coinvolgerla nelle varie attività
quando possibile, la “stuzzicano” durante l’intervallo e la invitano spesso alle
varie feste extrascolastiche che organizzano (compleanni, carnevale ecc.).
Roberta, pur non riuscendo a lasciarsi coinvolgere fino in fondo, non sembra
mai infastidita dalla loro vicinanza che, anzi, spesso ricerca nei suoi modi parti­
colari (saltellando, ridendo apparentemente senza senso o toccando i capelli alle
ragazze e annusandoli).
Roberta frequenta anche un gruppo scout, un centro dì aggregazione giova­
nile nel pomeriggio due volte alla settimana e altre due volte va in piscina
sempre accompagnata dalla mamma o dall’assistente educativa messa a dispo­
sizione dal Comune (la stessa che la segue anche a scuola per alcune ore).
La famiglia di Roberta è sostanzialmente soddisfatta della rete che si è stret­
ta intorno a loro e che li supporta in una quotidianità non semplice, anche se
non nasconde la convinzione che la figlia abbia numerose competenze ancora
inespresse. La mamma passa molto tempo in Rete alla ricerca di metodologie
innovative, che richiede vengano poi adottate con la figlia, avvalendosi di
collaborazioni di vario tipo che lei stessa stabilisce. Questa incostanza nel piano
dì intervento e la mancanza di un riferimento locale autorevole e stabile non
sempre hanno dato buoni risultati per l’adattamento di Roberta.

Giuseppe

Giuseppe è un ragazzo di 17 anni iscritto alla seconda classe di una scuola


superiore di secondo grado (un liceo) che si trova in una città di provincia,
non distante dal suo paese di residenza. È un giovane alto, longilineo, dai
capelli biondo scuro, con occhi chiari che sfriggono allo sguardo degli inter­
locutori. Figlio unico, vive in una villetta con il padre impiegato e la madre
casalinga. La madre, per poter seguire il ragazzo in modo appropriato, ha deci­
so anni addietro di abbandonare il lavoro. La diagnosi clinica certifica:
Disturbo autistico con assenza del linguaggio verbale. Da molti anni il ragaz­
zo frequenta, due pomeriggi alla settimana, un centro che fornisce servizi di
riabilitazione specifici e trascorre qualche week-end all’interno di una strut­
tura idonea a ospitare persone con autismo (per gruppi omogenei) seguite da
un’équipe di operatori.

22
INTRODUZIONE

Dal suo ingresso a scuola, Giuseppe ha sempre beneficiato dì un docente


con funzioni di sostegno e di un educatore (quest’ultimo alle dipendenze del
centro da lui frequentato).
Nel primo periodo di frequenza della scuola secondaria si sono verificati
importanti comportamenti problematici; non riusciva a stare nella classe
individuale per oltre 5-10 minuti (non c’era modo di poterlo trattenere,
considerata anche la prestanza fìsica), andava nel corridoio dove faceva
lunghi salti, accovacciandosi sulle gambe e spiccando dei salti molto alti,
camminava e correva velocissimo, talvolta urtando chi gli passava vicino, lui
stesso spingeva in malo modo le persone che sostavano in quello che consi­
derava un “suo spazio”, urlava forte (singoli fonemi, per lo più la vocale A),
emetteva rutti molto rumorosi e lunghi.
Ora queste situazioni sono molto più rare e contenute, grazie al lavoro
compiuto in maniera integrata dalla scuola, dalla famiglia e dai servizi specia­
listici che seguono il ragazzo. Giuseppe mostra sovente la propria dolcezza;
spesso prende le mani di un docente o dell’educatrice e le porta alle guance,
in segno di volere una carezza.
Giuseppe ha detto la prima parola, “ciao”, all’età di 16 anni, a scuola, ora
dice anche “mamma”, “papà”, "papà è pronto” (quando la cena è in tavola),
“brioche” e pronuncia il nome dell’educatore e dei suoi insegnanti.
Riesce a lavorare al computer, ove esegue semplici esercizi, soprattutto
mettere in ordine grafemi per formare parole di oggetti raffigurati. I nuovi
argomenti vengono presentati sempre in forma visiva, per poi togliere
gradualmente le figure proposte e passare solo alla forma scritta (che però
non produce spontaneamente). Sa effettuare il completamento di parole
nelle quali mancano alcuni grafemi, segue le righe e non esce dai margini.
Non disegna, ma sa colorare, anche se non rispetta i bordi. Scrive in stampa­
tello maiuscolo. È in grado di effettuare semplici operazioni (addizioni e
sottrazioni) in colonna fino al numero 20 e con la calcolatrice effettua anche
moltiplicazioni con numeri fino a tre cifre. Non conosce l’uso del denaro.
Ha lettura funzionale del tempo. Sa scrivere la data e il tempo atmosferico
(se è una bella giornata, se piove o c’è nebbia). Sa riconoscere le stagioni in
base a caratteristiche specifiche dell’ambiente, cibi o tipi di abbigliamento.
Riconosce alcune figure geometriche piane, di cui sa calcolare il perimetro.
È autonomo per quanto riguarda la sua igiene personale e non ha proble­
mi motori di alcun tipo. Attualmente la sua permanenza in classe arriva
anche a un’ora e mezza al giorno, il gruppo classe si dimostra accogliente e

23
[.‘AUTISMO a scuola

positivo nei confronti di Giuseppe, spesso sono i suoi compagni che vanno
nell’aula individuale per accompagnarlo in quella comune.
Ai genitori di Giuseppe piace fare camminate in montagna o comunque
effettuare gite giornaliere nei giorni di festa, Giuseppe li accompagna sempre
e sembra gradire queste occupazioni. Durante tali uscite, il padre fa delle foto
che consegna agli insegnanti di sostegno. Quelle immagini sono la base per
attività didattiche che partono proprio dal vissuto del ragazzo e servono sia
per ricostruire le scansioni temporali sia per la trattazione di alcuni argomen­
ti storici (ad e$. feudalesimo-castelli) che per attività educativo-didattiche
che si riferiscono alla geografìa.
Certo si è ancora lontani da una generalizzazione del suo comportamento
di rispetto delle regole in ambienti diversi da quelli solitamente frequentati.
Succede infatti che alle volte, quando si reca con i familiari in un luogo pubbli­
co, quale potrebbe essere una pizzeria, non riesca a stare composto al tavolo e
manifesti comportamenti apparentemente bizzarri; ad esempio, se vede una
macchia o una briciola a terra, vuole assolutamente pulire il pavimento.
I genitori, comunque, sono contenti dell’andamento scolastico di Giusep­
pe, che si riflette anche sulla quotidianità e sono fiduciosi per il suo futuro.

Ringraziamenti

Il lavoro è il frutto dell’interazione e del confronto sviluppato con molti inse­


gnanti, educatori e clinici che quotidianamente interagiscono con allievi affetti
da Disturbi dello spettro autistico. Estremamente significativa è stata anche la
possibilità che ho avuto di conoscere numerose famiglie, apprezzandole profon­
damente nel loro percorso caratterizzato da una difficile quotidianità. Devo
molto a queste collaborazioni e alla possibilità che mi è stata concessa di dibat­
tere alcune questioni relative ai temi dell’inclusione di allievi così complessi.
Per l’elaborazione delle proposte operative è risultata molto fruttuosa la
collaborazione con il personale educativo (insegnanti ed educatori), anche per
la possibilità offerta di sperimentare concretamente le procedure e i materiali.
I contributi più. significativi a questo proposito mi sono stati forniti da Alessia
Domenighini, Serena Giusti, Cristina Maiurano, Claudia Menegaldo e, in
maniera particolare, da tre mie dirette collaboratrici con le quali lavoro da
molto tempo: Benedetta Bonci, Francesca Costa e Bruna Lani.
Grazie a tutte loro.

24
1. Chi è l’allievo con autismo:
conosciamo meglio Marco, Luca, Filippo,
Roberta e Giuseppe

• Alo è proprio vero che dell'autismo si conosce poco?

Nell’introduzione abbiamo fatto la conoscenza di Marco, Luca, Filippo,


Roberta e Giuseppe che ci accompagneranno nel nostro percorso. Come si è
visto, tutti gii allievi condividono la diagnosi di autismo, anche se per Filip­
po si parla di alta funzionalità con sindrome di Asperger.
Che cosa significa tutto questo?
Per cercare di portare alcuni elementi di chiarezza, in questo capitolo
facciamo una rapida carrellata sulle principali conoscenze disponibili, riferi­
te sia all’autismo che alla sindrome di Asperger.
La finalità eminentemente operativa di questo lavoro certamente non
consente di andare troppo in profondità, per cui su molti aspetti si rimanda
alla letteratura specìfica. Comunque, per inquadrare la situazione e poter
così sviluppare il tema dell’integrazione scolastica con i necessari supporti
conoscitivi, riteniamo necessario prendere in considerazione alcuni aspetti
preliminari riferiti a:
• evoluzione storica del concerto di autismo;
• classificazioni internazionali relative all’autismo e alla sindrome di
Asperger;
• principali modelli interpretativi che sono stati proposti nel tentativo di
spiegare la sindrome;
• incidenza dei disturbi dello spettro autistico;
• particolarità dello sviluppo nelle diverse aree.

25
l'autismo a scuola

1.1. L’evoluzione storica degli studi sull’autismo

Con la pubblicazione nei 1994 del dsm-iv, il disturbo autistico è stato inse­
rito fra i Disturbi generalizzati dello sviluppo, ossiatra quei disturbi caratte­
rizzati da una grave e generalizzata compromissione in diverse aree dello
sviluppo. L’inclusione dell’autismo in questa categoria diagnostica e i model­
li di riferimento per l’intervento didattico possono essere meglio compresi
ripercorrendo a ritroso l’evoluzione storica degli studi sulla sindrome.
Il termine “autismo” venne utilizzato per la prima volta nel 1908 daBleuler,
psichiatra svizzero sostenitore della teoria psicoanalitica, per riferirsi a una
particolare forma di ritiro dal mondo, causata dalla schizofrenia.
Si deve attendere, comunque, il 1943 per registrare un interesse riferito
all’età evolutiva. In quell’anno, infatti, Kanner parlò di “autismo infantile
precoce” per illustrare un complesso di sintomi presenti in un gruppo di 11
bambini, 9 maschi e 2 femmine.
Come sostengono Barale e Ucelli (2006), l’aggettivo “infantile”, che di
fatto Ìndica l’esordio della patologia, ha contribuito a una forte ambiguità della
nozione. L’autismo, infatti, non è la forma infantile della schizofrenia, come a
lungo si è pensato, né cambia strutturalmente con l’età adulta. Si tratta, al
contrario, di una condizione che perdura per tutta la vita. Queste evidenze
giustificano il fatto che l’aggettivo sia scomparso nelle recenti versioni del DSM.
Tornando al contributo originario di Kanner, i bambini da lui descritti
mostravano una varietà di sintomi e comportamenti unici, tra i quali figura­
vano una notevole abitudinarietà (modificazioni anche lievi delle loro routi­
ne e del loro ambiente provocavano agitazione e sofferenza); lo sviluppo
anormale del linguaggio, con ritardi nel parlare o produzione linguistica
limitata alla ripetizione di parole altrui; il rifiuto del contatto sociale, con una
tendenza marcata a stare da soli. Kanner osservò che il comportamento di
questi bambini differiva da ogni altra sindrome che era stata in precedenza
riscontrata da psichiatri e psicologi. In quel suo fondamentale articolo, egli
utilizzò la parola “autistico” per descrivere l’incapacità di rapportarsi con gli
altri e il desiderio di essere lasciati soli; inoltre, descrisse i genitori di questi
bambini come freddi ed eccessivamente intellettuali, anche se concludeva il
suo articolo del 1943 affermando che la causa del disturbo era probabilmen­
te di natura congenita. L’etichetta di "genitori frigorifero”, coniata proprio
da Kanner, ha pesato per anni sulle spalle di tante madri e padri, ricorrendo
in modo assolutamente infondato anche in tempi recentissimi. Va sottoli­

26
1. CHE È L'ALLIEVO CON AUTISMO

neato come la longevità di questo studioso e, soprattutto, la sua onestà intel­


lettuale lo portarono a rivedere questa posizione.
Un aspetto die Kanner mise in evidenza nella sua descrizione originaria
riguardava l’esistenza di “isole di abilità” nei bambini considerati, cioè di
competenze di buon livello inserite in un contesto connotato da deficit gene­
ralizzati. Queste riguardavano soprattutto l’ambito delle abilità visuospazia-
li, la capacità di memoria automatica, una buona predisposizione per la
musica, per il disegno o per la matematica in alcuni. Questa constatazione
portò Kanner a ritenere che i bambini fossero comunque dotati di buona
intelligenza e che la loro evoluzione potesse essere positiva.

Asperger, quasi contemporaneamente a Kanner ma indipendentemente da


lui, utilizzò il termine autìstichen psychopathen per definire un disturbo che
interessava una determinata popolazione infantile con sintomatologia in gran
parte simile a quella descritta da Kanner, ma con capacità cognitive netta­
mente superiori e senza alterazioni del linguaggio, se si esclude la funzione
pragmatica dello stesso. In altre parole, Ì bambini descritti (inizialmente quat­
tro con età compresa tra 6 e 11 anni) non presentavano difficoltà di tipo fono­
logico, grammaticale, sintattico e semantico, ma a essere alterata era la capa­
cità di comunicare, di iniziare e gestire una conversazione, di utilizzare
un’adeguata prosodia e di accompagnare e supportare la produzione verbale
con gesti espressivi. L’autore sottolineò le difficoltà nell’adattamento sociale
dei suoi soggetti e osservò i loro interessi isolati. Come Kanner dedicò parti­
colare attenzione alle stereotipie motorie e linguistiche di questi bambini, cosi
come alla marcata resistenza al cambiamento; entrambi gli autori furono
impressionati da occasionali e stupefacenti prestazioni intellettuali dei loro
soggetti, in aree però molto ristrette. I soggetti di Asperger erano caratterizza­
ti da una forma di pensiero concreto, dall’ossessione per alcuni argomenti,
dall’eccellente memoria e spesso da modalità comportamentali e relazionali
eccentriche. Sul piano affettivo il quadro descritto da Asperger evidenziava
una difficoltà generalizzata nel riconoscimento e nella gestione adeguata delle
emozioni, carenza di empatia, incapacità di regolare gli scambi interpersona­
li. Ancora più decisamente di Kanner, egli prefigurava comunque una
prognosi assai favorevole per i suoi soggetti, prevedendo che la spiccata origi­
nalità, anche se associata a carenze sociali, affettive e comunicative, avrebbe
garantito buoni margini di successo nella vita. Le evidenze successive,
purtroppo, smentirono decisamente queste previsioni ottimistiche.

27
l'autismo a scuola

Oggi si parla di sindrome di Kanner per definire i casi di autismo più vici­
ni alle classiche caratteristiche di isolamento, ripetitività, disturbo della
comunicazione e di sindrome di Asperger per soggetti meno compromessi,
con una buona comunicazione verbale, un soddisfacente livello intellettivo
e un consistente disturbo dell’interazione sociale reciproca. Esiste, a questo
proposito, un dibattito ancora irrisolto circa l’opportunità di considerare la
sindrome di Asperger come specifica e distinguibile dall’autismo ad alta
funzionalità (sulla base delle maggiori competenze linguistiche e cognitive e
del livello più accentuato di disturbo motorio), anche se, come sostiene
Wing (1996), per la progettazione degli interventi educativi tali distinzioni
sono meno importanti di una comprensione generale delle caratteristiche
associate a queste condizioni e di una valutazione individualizzata e comple­
ta dei punti di forza, dei deficit e degli interessi degli allievi.

Nel ventennio successivo alle osservazioni di Kanner e Asperger, anche grazie


all’impostazione teorica del primo di questi autori (le argomentazioni di
Asperger, pubblicate in tedesco, ebbero una diffusione molto limitata nella
comunità scientifica del tempo), le teorie psicodinamiche furono il princi­
pale punto di riferimento nello studio dell’autismo. Gli autori di imposta­
zione psicoanalitica indirizzarono Ì loro sforzi per indagare la possibilità che
la sìndrome autistica fosse dovuta a un’alterazione del rapporto madre-figlio,
Bettelheim fu uno dei primi a interessarsi a quest’argomento, sviluppando U
concetto di “madre frigorifero” per descrìvere un tipo di rapporto caratteriz­
zato da carenza di contatto fisico, pratiche alimentari anormali, difficoltà nel
linguaggio e/o nel contatto oculare con il figlio. Dal punto di vista dell’au­
tore il bambino, percependo nella madre un desiderio, reale o immaginario,
di annullamento, verrebbe colto dalla paura di annientamento da parte del
mondo, dal momento che questo è rappresentato proprio dalla madre, dalla
quale si difenderebbe con l’autismo. L’autismo sarebbe perciò, in quest’otti­
ca, un meccanismo di difesa estrema rispetto a contesti relazionali vissuti
come situazioni altrettanto estreme, simili a quelle dei campi di concentra­
mento. Il libro più famoso di Bettelheim, Lafortezza vuota, del 1967, parla­
va di percentuali elevatissime di bambini autistici guariti grazie a un approc­
cio residenziale e globale, in grado di rimetterne in moto l’intero
funzionamento psichico, compromesso dall’atteggiamento dei genitori. I
dati di Bettelheim si dimostrarono assolutamente infondati, elaborati sulla
base di discutibili processi diagnostici e probabilmente anche falsificati per

28
1. CHI È L’ALLIEVO CON AUTISMO

giustificare ì cospicui finanziamenti ottenuti (si veda Barale, Ucellì, 2006,


pp. 62-9). Contribuirono comunque ad alimentare un approccio all’autismo
che ha condizionato numerosissimi operatori. Lo stesso Kanner in un’appas­
sionata conferenza tenuta all’assemblea della National Society for Autìstic
Children nel 1969, nella quale, tra L’altro, espresse il suo rammarico per l’in­
fondata colpevolizzazione dei genitori di bambini autistici, ebbe a definire
Lafortezza vuota come “il libro vuoto” (Silverman, 2005).
Frances Tustin (1972,1981) sosteneva che l’autismo sarebbe legato sia a
un difetto delle cure da parte della madre, sia a un’incapacità di fare buon
uso della figura materna da parte del bambino. Si verificherebbe così una
rottura troppo precoce del legame madre-bambino, in un’epoca in cui il
bambino non è in grado di fronteggiare tale separazione, vissuta come una
rottura della continuità corporea o addirittura come una perdita di una parte
del proprio corpo. Il bambino utilizza allora delle protezioni manipolatone e
reattive, non concettualizzate e basate essenzialmente sulle sensazioni del
proprio corpo per costruirsi un bozzolo protettivo.

Con il passare degli anni, la considerazione dell’autismo come meccanismo


di difesa subì delle modifiche in relazione ai sempre crescenti indizi che
sembravano implicare un substrato biologico nella sindrome. Già nel 1959
Goldstein propose di considerare l’autismo come un meccanismo di difesa
secondario a un deficit organico. L’interpretazione psicoanalitica perse
progressivamente di significato nel tempo, sulla scorta di una serie di speri­
mentazioni che evidenziarono in maniera sempre più nitida il determinismo
biologico alla base della sindrome. Nelle storie delle famiglie di persone auti­
stiche non vi è in sostanza nulla di differente e nulla di specifico rispetto alle
storie di tutti i possibili gruppi di controllo, siano essi costituiti da persone a
sviluppo tipico, con altre patologie o con altre disabilità. Questo almeno dal
punto di vista psicologico, mentre diversa è la questione sul piano biologico.
A partire dagli anni sessanta del secolo scorso le critiche all’interpretazio­
ne psicodinamica si fecero sempre più forti, soprattutto accusando questo
modello di colpevolizzare ingiustamente i genitori dei bambini con autismo,
i quali, come già detto, non mostravano tratti patologici o di personalità
significativamente diversi da quelli dei familiari di bambini non affetti dalla
sindrome.
Il primo a sostenere in modo sistematico che la causa della sindrome auti­
stica non fossero Ì genitori, ma che il disturbo avesse una base organica, è

29
l'autismo a scuola

stato Rimland (1964); per questo autore, infatti, l’autismo era causato da
alterazioni morfologiche e funzionali a base organica.
Verso la fine degli anni sessanta cominciarono ad affermarsi le posizioni di
due figure che hanno portato contributi davvero rilevanti, sia per la conoscen­
za della sindrome autistica sia, soprattutto, per l’individuazione di modelli di
intervento in grado di superare l’approccio psicoanalitico: si tratta di Lovaas e
di Schopler, dei quali parleremo diffusamente anche nei capitoli successivi.
Si deve a Lovaas e ai suoi collaboratori la delineazione dì un modello di
intervento rivolto a bambini autistici, elaborato secondo i principi delT^n/z-
lisi comportamentale applicata. Tale programma di intervento, pur essendo
andato incontro a una serie di critiche (come, del resto, tutte le applicazioni
educative, riabilitative e terapeutiche del comportamentismo), ha comunque
fornito risultati documentati estremamente significativi, consentendo anche
ad alcuni bambini di arrivare ad avere una vita discretamente adattata.
Secondo rinterpretazione della teoria comportamentista, l’autismo sarebbe
una sindrome su base neurologica, che si oggettivizza in particolari modalità
comportamentali, le quali possono essere soggette a cambiamenti in seguito
a interazioni specifiche con l’ambiente. Il bambino autistico non riesce facil­
mente ad apprendere dal proprio ambiente se non vengono predisposte,
almeno all’inizio del trattamento, adeguate modalità di facilitazione promos­
se non solo dai terapisti, ma anche da insegnanti e genitori.
Il lavoro di Schopler e dei suoi collaboratori dell’Università della Carolina
del Nord ha consentito di mettere a punto il programma teacch (Treatment
and Education of Autistic and Communication Handicapped Children), il
quale riscuote ancora oggi grande interesse a livello internazionale. Il
programma, che comprende numerose attività di tipo educativo da effettua­
re con bambini affetti da autismo, venne sperimentato per un periodo di
cinque anni con l’aiuto dell’ufficio all’educazione e dell’istituto nazionale
della sanità della Carolina del Nord; in considerazione dei risultati estrema-
mente positivi raggiunti, dagli anni settanta venne ufficialmente adottato e
finanziato dallo Stato della Carolina del Nord. Dagli Stati Uniti, il program­
ma si è diffuso anche in Europa e in Italia, grazie soprattutto alla traduzione
dei lavori di Schopler e collaboratori, all’attivazione di corsi di formazione e
all’opera di diffusione effettuata dall’ANGSA (Associazione nazionale genito­
ri soggetti autistici). U programma teacch persegue la finalità di favorire
l’adattamento della persona con disturbo autistico nel proprio ambiente di
vita, attraverso precise modalità organizzative e specifiche strategie educative

30
1. CHI È L'ALLIEVO CON AUTISMO

personalizzate. Si incentra su due linee di azione integrate: da un lato il


potenziamento delle capacità dell’individuo, soprattutto relativamente alla
comunicazione e all’interazione sociale; dall’altro la modifica dell’ambiente
secondo le specifiche caratteristiche del bambino autistico. Viene smentita
una qualunque responsabilità della famiglia nella genesi dell’autismo: non
solo i genitori sono considerati la fonte più attendibile di informazioni sul
proprio bambino, ma vengono anche coinvolti nel programma di trattamen­
to con il ruolo di partner degli educatori e dei tecnici.
Verso la fine degli anni settanta Rutter (1978) specificò ulteriormente il
quadro descritto da Kanner, individuando, attraverso uno studio comparato
di bambini autistici e bambini con altri tipi di disturbo, alcuni sìntomi tipi­
ci dell’autismo infantile. Questi comprendevano: un’incapacità a sviluppare
rapporti sociali; una particolare forma di ritardo nello sviluppo del linguag­
gio con presenza di ecolalia e inversione pronominale; vari fenomeni rimali
e compulsivi. Rutter, inoltre, rilevava che circa i tre quarti dei bambini con
autismo avevano anche un ritardo mentale.
Nello stesso periodo Wing e Gould (1979) distinsero tre diverse tipologie
di persone affette da autismo:
• gli isolati, che risultano abbastanza simili ai pazienti di Kanner;
• i passivi, con comportamenti di indifferenza nei confronti dell’ambiente
circostante;
• i bizzarri, che sono socialmente attivi, ma con comportamenti incon­
gruenti e inconsueti.

Dallo studio di questi autori è emerso che disturbi della socializzazione, della
comunicazione e dell’immaginazione hanno tendenza ad apparire insieme
piuttosto che in maniera isolata. Dal momento che questa caratteristica è
particolarmente evidente nell’autismo, da allora si preferì diagnosticarlo in
base a queste tre aree sintomatiche.
E quindi attorno alla fine degli anni settanta che la National Society for
Autistic Children formula una definizione ufficiale, ricavata dai sintomi tipi­
ci presenti entro ì primi 30 mesi di vita inerenti a: ritardi o regressioni evolu­
tive, disturbi della comunicazione e del linguaggio, condotte inadeguate,
improprie, finalistiche ecc.
Sul finire degli anni ottanta fu proposto anche un modello cognitivo basa­
to sulla teoria delia mente, proposta da un gruppo di studiosi inglesi (Lesley,
Frith e Baron-Cohen). Gli autori ipotizzarono che nell’autismo la disfunzio­
l'autismo a scuola

ne cognitiva da cui deriverebbero gli altri sintomi consìsta in un’incapacità di


rendersi conto del pensiero altrui; sarebbe, cioè, carente o assente.proprio la
teoria della mente. Tale deficit cognitivo sarebbe alla base della drammatica
compromissione nell’autismo della capacità dì attribuire alle altre persone
stati mentali, quali desideri, credenze, pensieri e intenzioni e di prevedere e
spiegare il comportamento sulla base di tali inferenze. Per queste ragioni i
bambini autistici sono descritti come “bambini bellissimi, ma distanti”,
“chiusi in una torre d’avorio”, chiamati “bambini della luna”, per la loro
distanza dagli altri, o “bambini pesci”, per il loro silenzio, definiti “affascinan­
ti e inquieti” per il mistero che li circonda (Frith, 1589).

Negli ultimi anni è stata sviluppata una serie di studi che ha cominciato a
mettere in discussione il fatto che la carente costruzione di una teoria della
mente nell’autismo sia il risultato di un deficit originariamente di tipo cogni­
tivo. È stato messo in evidenza il ruolo giocato dalla simulazione mentale
legata al funzionamento dei cosiddetti neuroni specchio (mirrar neuroni',
Gallese et al., 1996; Rizzolatti et al., 1996), che porta il bambino a riconosce­
re e a manifestare gli stati mentali ed emotivi attraverso l’imitazione degli
adulti e la condivisione con loro di pensieri ed emozioni. Questa attivazione
sembrerebbe carente nei bambini con autismo.
Oltre a ciò, è stato messo in risalto come le persone siano naturalmente
orientate a rispondere in maniera preferenziale a stimoli di natura sociale e
che, sulla scorta di questo, la cognizione sociale si costruisce partendo
dall’azione sociale (prospettiva definita mente enattivd), H gruppo di ricerca
che fa riferimento a Klin (Klìn et al., 2004) ha sviluppato varie sperimenta­
zioni che sembrano documentare come Ì soggetti autistici tendano a presta­
re maggiore attenzione a elementi poco significativi per la decodifica della
situazione sociale.

1.2. L’autismo tipico e la sindrome di Asperger: classificazioni


e principali caratteristiche

Sintetizzando l’evoluzione storica del concetto di autismo descritta nel


paragrafo precedente, si può mettere in evidenza come lo stesso abbia subi­
to notevoli modifiche nel corso di oltre sessantanni, passando di fette da
uriunica sìndrome, che poteva variare lungo un continuum di gravità

32
1. CHI È L'ALLIEVO CON AUTISMO

crescente, a uno spettro di disturbi indicante manifestazioni di sintomi


molto diversi. Oggi l’autismo è considerato una sindrome neurobiologica
(o forse un insieme di sindromi, come sostengono Gillberg, Coleman,
2.000), di estensione globale sulla persona e con implicazioni durature, che
coinvolge l’intera personalità e il suo sviluppo: pertanto è assunto come
Disturbo generalizzato dello sviluppo. Includere l’autismo in questa catego­
ria di disturbi permette in ogni caso di sdrammatizzare l’ineluttabilità della
sindrome e di focalizzare l’attenzione sulla compromissione del processo di
crescita del bambino, senza sviluppare vissuti di cronicità, impotenza e
immodificabilità, ma nello stesso tempo senza alimentare aspettative di
guarigioni prodigiose.
In questo paragrafo cerchiamo di portare ulteriori elementi alla presenta­
zione più precìsa delle caratteristiche dell’allievo con autismo, con Ì suoi defi­
cit particolari che non vanno intesi solo a livello quantitativo, ma anche
qualitativo, come modalità significativamente diverse di orientarsi di fronte
alle stimolazioni dell’ambiente. Tale presentazione sarà completata nel para­
grafo 1.5, conclusivo di questo capitolo, nel quale saranno analizzati in
maniera più specifica i punti di forza e di debolezza degli allievi con autismo
e sindrome di Asperger.
Esula invece dalle finalità di questo lavoro l’analisi degli studi che hanno
indagato l’ambito genetico, neurofìsiologico e biologico con l’obiettivo di
individuare le cause alla base dell’autismo. Tali studi, pur non avendo defi­
nito un quadro unitario e condiviso, hanno messo in evidenza chiaramente il
determinismo organico della sindrome, sgombrando U campo, come già
sottolineato, da interpretazioni di tipo psicodinamico.
Per approfondimenti su questi aspetti rimandiamo alla letteratura speci­
fica, disponibile con significative rassegne anche in italiano (Cohen,
Volkmar, 1997).

1.2.1. Conosciamo meglio l'allievo con autismo

Le principali classificazioni internazionali, il dsm-iv-tr e l’iCD-10, descri­


vono l’autismo facendo riferimento alla triade di sintomi (sul modello di
Wing e Gould) riguardanti la relazione con gli altri, la comunicazione e il
repertorio di comportamenti, interessi e attività ristretti, ripetitivi e ste­
reotipati. p

33
L'AUTISMO a scuola

Il DSM-IV-TR, come già detto, è una classificazione diagnostica e statisti­


ca curata dall’American Psychiatric Association (2000), giunta alla sua quar­
ta edizione, che riguarda soprattutto i disturbi mentali dell’adulto e ha una
parte dedicata a quelli che insorgono nell’infanzia e nell’adolescenza. L’icd-
10 (Organizzazione mondiale della sanità, 1992) rappresenta la decima revi­
sione della Classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichi­
ci e comportamentali pubblicata dall’organizzazione mondiale della sanità
nel 1984. Per ciascun disturbo, Picd-io riporta una delineazione delle prin­
cipali caratteristiche cliniche, nonché alcuni aspetti associati, rilevanti ma
non specifici. Il testo fornisce anche indicazioni diagnostiche per formulare,
al meglio, una diagnosi attendibile.
Va fatto risaltare che sia il dsm-iv-tr che I’icd-io non prendono in
considerazione le cause del disturbo: essi forniscono semplicemente delle
griglie di osservazione che gli specialisti possono seguire per la definizione
della sindrome.

Di seguito vengono riportati i criteri previsti dal dsm-iv-tr per la definizio­


ne del disturbo autistico.
1. Compromissione qualitativa dell’interazione sociale (per la diagnosi di auti­
smo devono essere presenti almeno due elementi tra quelli che seguono):
a] marcata compromissione nell’uso di svariaci comportamenti non
verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corpo­
ree e i gesti che regolano l’interazione sociale;
b) incapacità di sviluppare relazioni con i coetanei adeguate al livello di
sviluppo;
c) mancanza di ricerca spontanea nella condivisione di gioie, interessi od
obiettivi con altre persone (ad es. non mostrare, portare, né richiamare
l’attenzione su oggetti di proprio interesse);
d) mancanza di reciprocità sociale ed emotiva.
2. Compromissione qualitativa della comunicazione sociale (per la diagnosi di
autismo deve essere presente almeno un elemento tra quelli che seguono):
«) ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non
accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alterna­
tive di comunicazione come gesti o mimica);
b) in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della
capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
c) uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;

34
1. CHI È L'ALLIEVO CON AUTISMO

tì) mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei o di giochi di


imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
3. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereoti­
pati (per la diagnosi di autismo deve essere presente almeno un elemento tra
quelli che seguono):
d) dedizione assorbente a uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati
anomali o per intensità o per focalizzazione;
b} sottomissione del tutto rigida a inutili abitudini o rituali specifici;
c) manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere 0 torcere le mani o
il capo, o complessi moviménti di tutto il corpo);
di) persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.

Possiamo trovare questi criteri praticamente in ogni testo scientifico riguar­


dante l’autismo che sia stato pubblicato negli ultimi anni; di fatto, nonostan­
te non esista ancora accordo né sui fattori eziologici né sul modello paroge­
netico, i criteri diagnostici del dsm (e delfico), basati su indicatori
comportamentali, hanno introdotto un’omogeneità che facilita la comuni­
cazione tra ricercatori, clinici, riabilitatori, educatori e genitori.
Alcuni autori di matrice anglosassone parlano di spettro autistico riferendo­
si alla concezione della Wing per indicare l’estrema variabilità individuale che
si cela sotto un’etichetta diagnostica: il disturbo autistico viene interpretato,
in questo prospettiva, come un continuum all’interno del quale i limiti era le
varie patologie sono assai sfumati. Barale e Ucelli (2006) ritengono che sia più
corretto un riferimento maggiormente restrittivo rispetto all’espressione
“spettro autistico” (o dsa, Disturbi dello spettro autistico), intendendo con
essa l’insieme di patologie caratterizzate da sintomi autistici che sono elenca­
te dal dsm tra i Disturbi pervasivi dello sviluppo (Disturbo autistico, Distur­
bo di Asperger, Disturbo di Retr, Disturbo disintegrativo dell’infanzia).
In sintesi, si può dire che la conoscenza dei tratti comuni connessi alla
sindrome è sicuramente molto importante, ma pensare a condizioni stan­
dard sarebbe deleterio sia per la comprensione della realtà individuale sia per
la strutturazione di percorsi di aiuto e sostegno allo sviluppo. Al contrario, è
necessario un approccio che enfatizzi la dimensione clinica, non intesa nel
senso medicalizzante, ma in quello etimologico di incontro con la persona
singola. L’adozione di questa prospettiva porta a vedere nell’intervento
educativo, che si rivolge alla persona, al bambino e non solo al suo deficit, la
strada più feconda e promettente.

35
2. Progettare l’integrazione:
questione di alleanze e di metodologia

• Chi deve occuparsi dell’integrazione di Marco, Luco, Filippo, Roberta e Giuseppe?


* Quale collaborazione si deve stabilire fra scuola, famìglia, servizi specialistici e
altri enti?
• Nella scuola, programmare con precisione le attività didattiche ed essere flessibili
sono esigenze conciliabili?

Quando allievi così speciali come Marco, Luca, Filippo, Roberta e Giuseppe
entrano a scuola nulla può restare com’era: l’organizzazione, la didattica, le
relazioni devono modificarsi, perché ogni forma di adattamento degli allievi
al contesto dipende primariamente da quanto coordinamento e quanta fles­
sibilità vengono messi in campo.
In primo luogo va posto in evidenza con grande rilievo come esperienze
qualitative di integrazione si possano costruire solo a partire dallo stabilirsi
dì alleanze e da precise assunzioni di responsabilità. Detto in altre parole, se
a occuparsi degli allievi sono solo gli insegnanti di sostegno e gli assistenti
educativi e se tra scuola, famiglie, servìzi specialìstici ed enti locali non sì atti­
vano profìcue interazioni, le prospettive di successi formativi si riducono
drasticamente. “Alleanza” è sicuramente la parola chiave che deve regolare la
collaborazione fra le diverse agenzie che condividono, seppure con ruoli
specifici, la responsabilità di progettare e realizzare l’integrazione dei nostri
allievi. Parlare di progettare l’integrazione in questo contesto vuol dire
mettere in atto da parte della scuola una serie di iniziative che investe il piano
organizzativo, quello delle finalità generali, fino a quello più prettamente
didattico.
A quest’ultimo livello la progettazione, come messo in evidenza nella
presentazione a questa prima parte del lavoro, si concretizza con la prassi

85
L'AUTISMO A SCUOLA

della programmazione, la quale considera i processi di insegnamento-


apprendimento che devono essere attivati fin dal primo giorno di frequenza
scolastica dei nostri allievi con autismo.
Predisporre forme adeguate di programmazione didattica rappresenta
anche la condizione essenziale per assicurare la necessaria flessibilità al
processo educativo, il quale può essere adattato alle esigenze mutevoli della
situazione solo partendo da un preciso canovaccio di riferimento, specie
quando si interagisce con allievi cosi particolari come quelli con autismo.

Alla luce di queste premesse, per cercare di rispondere ai quesiti iniziali nel
presente capitolo saranno presi in considerazione sìa Ì rapporti interistituzio­
nali necessari per la messa in campo proficua di tutte le risorse, sia le proce­
dure prettamente didattiche connesse al momento della programmazione,
della conduzione e della verifica delle attività educative. Nel dettaglio, l’in­
teresse sarà concentrato sui seguenti aspetti:
• le alleanze che si devono stabilire fra scuola, famiglia, servizi specialistici e
altri enti e associazioni;
• la programmazione didattica analizzata alla luce dei diversi modelli
esistenti;
• un’esemplificazione di programmazione didattica per un allievo con au-
ismo;
• l’analisi dì uno strumento informatico che può risultare molto importan­
te per programmare, condurre e monitorare interventi educativi.

Un’esigenza preliminare, che sarà trattata in modo specifico nel prossimo


capitolo, è quella di programmare le azioni didattiche congiuntamente fra
insegnanti curricolari e di sostegno. Si tratta dì una condizione fortemente
enfatizzata a livello di normativa, ma non sempre praticata in modo corret­
to nel quotidiano, con gravi ripercussioni sulla qualità delle procedure e
sull’efficacia dei processi di integrazione e inclusione.

2.1. Alleanze per l’integrazione

Il focus della nostra attenzione rivolto in questo lavoro in maniera prevalen­


te, o addirittura pressoché esclusiva, verso la scuola non deve far dimentica­
re neanche per un attimo che l’azione educativa, per essere efficace, non può

86
2. PROGETTARE t'INTEGRAZIONE: QUESTIONE Di ALLEANZE E DI METODOLOGIA

non cenere conto del nucleo educativo primario che è la famiglia, con i biso­
gni, ma anche con le potenzialità che essa è in grado di esprimere. La fami­
glia, infatti, non può essere considerata né come entità disfunzionale intrap­
polata perennemente nella crisi (Favorini, Bocci, 2008; Favorini, 2009), né
in una posizione di subordine e inferiorità. Al contrario, in molte situazioni
si tratta di un “soggetto” che ha affinato la propria capacità di osservazione,
ha sperimentato e validato nella quotidianità dell’esperienza alcune strategie
efficaci di intervento e che ha accumulato saperi e competenze.
Chiediamoci innanzitutto, quindi, in che modo la dialettica scuola-fami­
glia possa raggiungere quella positività turt’altro che agevole da conquistare,
necessaria però perché il progetto di integrazione trovi le condizioni miglio­
ri per realizzarsi.
L’ostacolo alla proficuità del rapporto è dato dalla radicalizzazione delle
posizioni: da un lato, il non vedere nel progetto della scuola la risposta
competente che ci si attende; dall’altro, il privilegiare un approccio mera­
mente normativo-burocratico anziché progettuale.
In concreto, la famiglia rivolge sostanzialmente due tipi di richiesta alla
scuola, che a prima vista potrebbero apparire antitetiche (Sapucci, 1999):
• che la scuola si organizzi perché il proprio figlio sìa accolto in modo tale
da vìvere pienamente l’esperienza di vita nel gruppo con i coetanei;
• che la scuola affronti la situazione specifica del figlio con tecniche e meto­
dologie di lavoro tali da consentire di apprendere le competenze tipicamen­
te scolastiche.

La verifica concreta di questi due aspetti si realizza su momenti precisi della


vita scolastica: lo stare all’interno della classe e l’usufruire dell’intervento
dell’insegnante di sostegno. La qualità del rapporto scuola-famiglia dipende­
rà fortemente dalla perentorietà con cui verranno formulate le richieste (in
relazione alle effettive possibilità di metterle in pratica) e dal tipo di risposta
che la scuola riuscirà a fornire alle stesse. L’istituzione scolastica, infarti, può
privilegiare due tipi di approccio al problema; quello normativo-burocratico
e quello progettuale.
In chiave normativa, la scuola può essere portata a far prevalere le istanze
burocratiche che si concretizzano nel rispetto della norma, con una richiesta
continua di spazi,.attrezzature, sussidi e docenti per far fronte a una situazio­
ne che viene sostanzialmente solo subita.
In chiave progettuale, invece, accogliere un bambino in situazione di dìsa-

87
l'autismo a scuola

bilità significa considerare l’alunno come un elemento naturale e strutturale


della popolazione scolastica, il quale va mantenuto in evidenza e al centro
dell’attenzione nella messa a punto del progetto educativo e organizzativo
della scuola, del plesso, della classe. Nel caso della frequenza del bambino
autistico il rischio di cadere nel primo tipo di approccio è molto forte, in
quanto i sintomi così particolari (e, in molti casi, così gravi) si prestano assai
bene a giustificare risposte di impossibilità a gestire il rapporto in assenza di
condizioni di copertura o, meglio ancora, di separazione. Si tratta di difficol­
tà oggettive, che sicuramente giustificano la richiesta di risorse aggiuntive, le
quali, però, avrebbero ben poco significato se interpretate nell’ottica della
risposta di semplice autoprotezione, senza un aggancio a un progetto di inte­
grazione. La collocazione del piano educativo individuale all’interno del
progetto educativo generale è una condizione essenziale perché la scuola (e il
suo progetto) sia credibile agli occhi delle famiglie, le quali, una volta soste­
nute in maniera adeguata, rappresentano interlocutori assolutamente fonda­
mentali. Sono, infatti, i migliori conoscitori dei bisogni dei loro figli, gli
interpreti più. affidabili e sofisticati delle espressioni comportamentali, gli
orientatoti delle scelte opportune in ambito di programmazione delle attivi­
tà. Eloquenti, a questo proposito, le parole di Schopler (1995, trad. it. p. 45)
quando afferma: «Nel momento in cui Bettelheim predicava che i genitori
imponevano stress estremi ai loro figli, io sempre di più mi convincevo che i
genitori erano la loro principale fonte di aiuto». Perché questo possa avveni­
re, devono essere non solo informati sui contenuti delle attività scelte, ma
anche operativamente coinvolti nel processo formativo.

Oltre al rapporto con la famiglia, grande rilevanza riveste la collaborazione


che si riesce a stabilire con i servizi specialistici territoriali e con gli enti loca­
li. Lo strumento che dovrebbe essere utilizzato sono gli accordi di program­
ma. Tali accordi interistituzionali per la promozione e la costruzione di un
progetto di vita e di integrazione della persona in situazione di disabilità
devono contenere misure che prioritariamente sostengano la qualità della
presenza a scuola dell’allievo con difficoltà, il suo orientamento scolastico­
professionale, la continuità formativa; che permettano di utilizzare al meglio
le risorse disponibili, intese sia come attrezzature tecnologicamente avanzate
che come specifiche competenze professionali; che favoriscano un coordina­
mento operativo in grado di permettere un’ottimizzazione del rapporto
costi-benefìci rispetto alle risorse impiegate.

88
2. PROGETTARE L’iNTEG RAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGIA

In. realtà, gli accordi di programma non sono riusciti a decollare nel modo
dovuto e auspicato, bloccati da carenze nei finanziamenti o da ristrettezze di
organico della sanità o dalla mancanza di un organo di reale coordinamen­
to, in grado di raccordare i diversi attori del progetto integrato a favore della
persona in situazione di disabilità.
Questa constatazione, però, non può rallentare l’impegno orientato a
tessere e coltivare rapporti e collaborazioni, che vadano oltre gli adempi­
menti normativamente sanciti (definizione della diagnosi funzionale, del
profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato), per
diventare una reale prassi di lavoro congiunto. SÌ devono prevedere, a
questo proposito, incontri periodici che vedano sempre la presenza dei geni­
tori e che consentano di raccordare gli interventi relativi ai diversi contesti
di vita del bambino: casa, scuola, riabilitazione, attività ricreativa, sportiva
ecc., al fine di discutere gli obiettivi educativi, i contenuti, le modalità di
presentazione e di verifica utilizzate, per indirizzare ì diversi interventi verso
mete comuni e per condividere una filosofia progettuale di fondo (Farci,
2005).
La scheda 2.1 riporta alcune azioni preliminari messe in arto dalla scuola
primaria che sarebbe stata frequentata da Luca nell’anno successivo, finaliz­
zate al tentativo di attivare le positive collaborazioni di cui si è detto sopra.

Scheda 2.1. II progetto dì accoglienza per Luca: i contatti preliminari

Circa sei mesi prima della conclusione dell'anno scolastico che dovrà portare Luca
a lasciare la scuola dell’infanzia per approdare alla primaria si cominciano a piani­
ficare le azioni per facilitare una positiva accoglienza. I genitori manifestano molta
preoccupazione perché nel contesto della scuola dell'infanzia si erano create posi­
tive sinergie tra insegnanti e familiari, con una collaborazione significativa degli
specialisti. È assolutamente fondamentale che queste positive interazioni si
mantengano, ma la prospettiva di fermare ancora un anno Luca viene scartata, in
quanto è stata già adottata nell'anno precedente e una sua riproposizione farebbe
perdere il contatto con ì compagni e accentuerebbe in maniera eccessiva il divario
di età e di sviluppo fisico fra i bambini.
Bisogna preparare il passaggio alla scuola primaria. Prende l'iniziativa, come è
fondamentale che sia, il dirigente scolastico. Per prima cosa individua in un'inse­
gnante di ruolo di sostegno la figura che sarà incaricata di seguire Luca. In questo
modo è certo che pofrà essere assicurata la necessaria continuità didattica, senza

89
l'autismo a scuola

quelle nefaste variazioni di docenti specializzati (a volte anche non specializzati} che
si verificano quando l’incarico viene affidato a dei supplenti annuali.
Organizza poi un incontro fra gli insegnanti della scuola primaria (tre insegnanti che
lavoreranno in modulo sulle due classi prime e l’insegnante dì sostegno} e di quella
dell'infanzia nella sede della scuola dell'infanzia. In questo modo i docenti possono
rendersi conto dell'organizzazione didattica che è stata prevista e prendere visione
della documentazione disponibile (valutazioni effettuate, lavori del bambino ecc.}.
Partecipa all’incontro anche il dirigente e un'assistente educativa incaricata dall'ente
locale che continuerà a seguire Luca anche nella scuola primaria. Durante questa
prima interazione gli insegnanti della scuola primaria hanno la possibilità di prende­
re contatto con il mondo di Luca e di vederlo anche all’opera (l'incontro infatti, che si
svolge in un pomeriggio nel quale la scuola dell'infanzia è aperta, comincia prima della
conclusione dell’orario per poi continuare dopo l’uscita dei bambini}. Gli insegnanti si
incontrano poi in maniera informale con un esperto del servizio sanitario che ha in cari­
co Luca, per confrontarsi su alcune linee programmatiche di fondo. In seguito, gli inse­
gnanti avviano uno studio personale e partecipano ad alcuni incontri formativi.
Esaurita questa fase, il dirigente convoca un incontro fra scuola, famiglia, servizi
sanitari ed ente locale. Viene invitato anche un pedagogista dì un servizio speciali­
stico che Luca frequenta nel pomeriggio per il potenziamento delle sue capacità
comunicative.
Tutti vengono informati del percorso conoscitivo sviluppato dalla scuola fino a quel
momento e dell'organizzazione che vorrebbe prevedere. Naturalmente la finalità
dell’incontro è quella di condividere una progettazione preliminare, raccogliendo
idee e suggerimenti da parte di tutti. Il dirigente è però molto preciso sull’obietti­
vo di fondo che desidera venga da subito perseguito: “Dal primo giorno di scuola
dobbiamo avere ben chiaro che cosa fare con Luca e perché”.
Si sviluppa una discussione molto proficua, che porta alla delineazione di alcune
linee di riferimento dell’azione educativa e a una precisa assunzione di responsa­
bilità da parte di tutti. I genitori, entrambi presenti, portano contributi molto impor­
tanti perla conoscenza del bambino e alla fine approvano e si riconoscono nel lavo­
ro che si ha intenzione di sviluppare. Si prevede un ulteriore incontro prima
dell’inizio dell’anno scolastico per concordare in maniera più precisa il progetto
educativo, che sarà poi monitorato e aggiornato con sistematicità.

Molti lettori si chiederanno a questo punto che cosa è stato fatto di partico­
lare, da rimarcare con tanta enfasi. Si tratta, in realtà, di azioni che fanno
parte della routine dei rapporti interistituzionali.

90
2. PROGETTARE L'INTEGRAZIONE: QUESTÌONE Oi ALLEANZE E 01 METODOLOGÌA

Nulla dì speciale, infarti, anche perché non sono richieste azioni sensazio­
nali per organizzare opportunamente rincontro con i nostri allievi in situa­
zione di disabilità, anche quando i loro bisogni sono molto specifici, come
avviene nel caso dell’autismo.
Alcuni aspetd, comunque, vanno fatti risaltare.
Innanzitutto il coinvolgimento del dirigente scolastico che, quando svol­
ge per intero il suo ruolo di coordinamento e di organizzazione, pone le
condizioni per la definizione di un proficuo progetto territoriale. Si tratta dì
ima variabile di grande rilevanza per U successo dell’integrazione, alla quale
non sempre viene data la giusta rilevanza.
In secondo luogo la scuola si documenta preliminarmente e assume tutte
le informazioni necessarie per poter essere preparata e credibile nelle intera­
zioni. Troppo spesso rincontro con la famiglia e con i servizi specialistici
viene affrontato con un approccio passivo da parte dell’istituzione scolastica,
ponendosi in un atteggiamento di semplice richiesta agli altri relativamente
al “cosa fare”. È chiaro che in questo modo si viene a essere percepiti come
l’anello debole dell’organizzazione, un mero elemento esecutivo di un
progetto pensato altrove, che ripeta magari quanto già viene sviluppato nel
contesto riabilitativo. Non si può fare a meno dei-contributi di tutti, ma la
didattica è una specifica competenza degli insegnanti e, come tale, deve esse­
re da questi esercitata opportunamente. Non va chiaramente solo rivendica­
ta, ma costruita quotidianamente attraverso un approccio da “professionista
riflessivo” (Schòn, 1993).
Altro elemento significativo è la disponibilità all’ascolto e al confronto,
attribuendo a tutti, e in particolare alia famiglia, il ruolo importante di cui si
è detto in precedenza. Un progetto condiviso e approvato dai genitori e con
questi monito rato e aggiustato in itinere contiene le migliori prospettive per
potersi generalizzare anche a contesti esterni a quello scolastico.
La ricerca di una significativa interazione con i servizi specialistici e con
quelli sociali, poi, è una condizione di rilevanza tale che non necessita di
essere ulteriormente sottolineata. Un aspetto mi sembra debba essere fatto
risaltare in questa dinamica: la scuola pone un obiettivo subito visibile
(“Dal primo giorno dobbiamo sapere che cosa fare”) e questo orienta il
rapporto in maniera diversa da quanto spesso avviene. Infatti, in tal modo
si pongono le condizioni per poter adottare quell’approccio progettuale di
cui si diceva in precedenza, che deve essere sviluppato senza alcun indugio
dalla scuola, con la disponibilità a fare per intero la propria parte in un

91
l’autismo a scuola

contesto di rete. Il percorso è sicuramente molto complesso, ma l’esperien­


za dì ogni giorno dimostra come possano essere raggiunti risultati molto
significativi.

2.2. Programmare a scuoia

La programmazione didattica si oggettivizza, da un lato nella delineazione e


nella conduzione di una serie di azioni didattiche finalizzate a perseguire
specifici obiettivi e, dall’altro, nella verifica circa il concreto raggiungimento
di tali obiettivi in funzione del successo formativo. Questa procedura, come
sottolineato a più. riprese, rappresenta uno snodo essenziale in grado di carat­
terizzare la professionalità degli insegnanti e la qualità dell’azione educativa,
in particolare quando si interagisce con i bisogni speciali.
In un recente lavoro (Cottini, zoo8b), è stato messo in evidenza come
esistano una pluralità di modelli di programmazione, che si differenziano sia
per le teorie di riferimento che per le procedure didattiche a cui rimandano.
Non è certamente questa la sede per affrontare nel dettaglio tali argomenta­
zioni. Ci limitiamo a presentare le linee essenziali di tre tipologie di
programmazione che sembrano risultare più significative per pianificare
azioni didattiche riferite ad allievi con autismo:
• la programmazione per obiettivi, che rappresenta sicuramente il modello
principale di riferimento in relazione al suo alto grado di sistematicità e
controllabilità;
• \&programmmazione per concetti, che può essere un ausilio interessante
per allievi ad alta funzionalità e con sindrome di Asperger;
• la programmazione per sfondi integratori, attraverso la quale progettare
situazioni didattiche adatte soprattutto alla scuola dell’infanzia.

2.2.1. La programmazione per obiettivi

La programmazione per obiettivi si fonda su un’organizzazione dell’insegna­


mento in funzione dei traguardi di apprendimento che si intendono perse­
guire (gli obiettivi appunto), i quali vengono fìssati preliminarmente in
maniera precìsa. Il riferimento di fondo è all’idea dì currìcolo, che rappresen­
ta un percorso coerente e sistematico di insegnamento-apprendimento,

92
2. PROGETTARE L’INTEGRAZIONE: QUESTIONE Of ALLEANZE E DI METODOLOGIA

costruito sulla base di obiettivi ritenuti significativi, nel nostro caso, per lo
sviluppo degli allievi con autismo, da implementare considerando anche
l’esigenza di promuovere forme di interazione con i compagni e, più in gene­
rale, con il contesto di riferimento.
Agli insegnanti è richiesto di predisporre, secondo una precisa logica, le
varie situazioni di apprendimento, dotandosi anche di strumenti per accerta­
re con quale stabilità gli apprendimenti stessi si vanno consolidando negli
allievi. In questo modo, i docenti assumono realmente il ruolo di protagoni­
sti, affiancandosi dalla posizione di meri consumatori dì programmi. I risul­
tati conseguiti dagli allievi diventano così occasione per ridefinire costante-
mente le lìnee della programmazione e per adattare i curricoli o le fasi di
implementazione degli stessi.
Vista in questi termini la programmazione per obiettivi non è certa­
mente accusabile, come da più parti viene fatto, di essere un modello rigi­
do e caratterizzato da una serie predeterminata di azioni didattiche che si
succedono in modo lineare. Tale modello di programmazione, infatti, è
sicuramente portatore dell’esigenza di proporre azioni intenzionali e siste­
matiche, ma, nello stesso momento, non risulta assolutamente inconcilia­
bile con la flessibilità, l’imprevedibilità e la duttilità dei percorsi formativi.
Affermare questo sarebbe ingiusto e irriguardoso nei confronti della spon­
taneità e creatività che mettono in evidenza insegnanti e allievi quando la
didattica per obiettivi viene adeguatamente programmata, condotta e mo­
nitorata.

Venendo alle fasi che caratterizzano la programmazione per obiettivi, si


possono individuare le seguenti in un approccio circolare e riflessivo:
• l’analisi della situazione iniziale (valutazione predittiva);
• l’individuazione degli obiettivi educativi e didattici;
• la previsione dei contenuti da privilegiare;
• l’articolazione delle strategie didattiche di cui si decide di avvalersi;
• l’inventario delle risorse e degli strumenti ritenuti necessari per lo svolgi­
mento del lavoro didattico;
• l’indicazione delle modalità di misurazione e registrazione degli apprendi­
menti che si conta di adottare, sìa in itinere (valutazione formativa) che ai
termine del percorso (valutazione seminativa);
• l’eventuale correzione degli obiettivi, la revisione delle procedure, l’indi­
viduazione di ulteriori e più affinati strumenti.

93
l'autismo a scuola

Nel prossimo paragrafo viene riportata un1 unità di apprendimento riferi­


ta all’area sociale, che è stata programmata per Roberta avvalendosi del
modello proposto nel testo precedentemente citato (Cottini, zoo8b).

2.2.2. La programmazione per concetti

Questa forma di programmazione persegue lo scopo principale di mettere in


comunicazione Ì contenuti da apprendere, organizzati attraverso specifici
concetti all’interno delle discipline, con le strutture psicologiche dell’allievo.
Il nucleo centrale di questo approccio didattico è il processo di concettualiz­
zazione che gli allievi mettono in atto nel momento in cui tendono a orga­
nizzare le informazioni con le quali vengono a contatto, che rappresentano,
di fatto, parte di un sistema di conoscenze strutturate. Tali sistemi di cono­
scenze sono organizzati mediante concetti e relazioni tra concetti (a livello
scolastico all’interno delle discipline), per cui l’obiettivo dell’insegnamento
coincide con l’acquisizione dei concetti formali, partendo dalle forme inizia­
li di concetti posseduti dagli allievi, Ì quali possono essere a volte ingenui e a
volte addirittura errati.
Dal punto di vista metodologico, come sottolinea Damiano (1994), che
più di ogni altro ha contribuito alla diffusione della didattica per concetti in
Italia, la programmazione si articola nelle seguenti fasi:
• l’elaborazione della mappa concettuale, che evidenzi l’insieme dei concet­
ti e delle loro relazioni interne che caratterizzano l’argomento sul quale si
ardcolerà il processo di insegnamento-apprendimento;
• l’indagine, attraverso una conversazione clinica, del livello di concettualiz­
zazione spontanea degli allievi intorno ai concetti della mappa {matrice
cognitiva)-,
• la predisposizione, sulla scorta delle risultanze della conversazione clini­
ca, della rete concettuale, che rappresenta l’ordine delle operazioni da seguire
per presentare e far apprendere Ì concetti della mappa.

La mappa concettuale, riferita a uno specifico contenuto che gli insegnan­


ti intendono affrontare, consiste in una rappresentazione spaziale delle rela­
zioni che intercorrono tra Ì concetti, il loro ordine logico e le loro funzioni.
Effettuato il lavoro di organizzazione concettuale degli argomenti da
presentare sì procede, mediante una fase di conversazione clinica, all’identi­

94
2. PROGETTARE l'INTEGRAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGIA

ficazione della matrice cognitiva dei soggetti a cui è indirizzata l’azione didat­
tica. In altre parole, si tratta di accertare quali sono i concetti che gli allievi
hanno spontaneamente sviluppato su certi argomenti, in quanto i concetti
specifici della disciplina, per poter essere assimilati, devono agganciarsi con
quelli già posseduti.
A questo punto l’insegnante dispone, da un lato, della mappa concettua­
le che rappresenta ì concetti sistematici che saranno oggetto di insegnamen­
to e, dall’altro, della matrice cognitiva degli alunni, ossia la rappresentazione
dei concetti spontanei relativi allo stesso ambito conoscitivo. L’analisi degli
elementi di continuità e di discontinuità tra questi due strumenti permette
di decidere il compito di apprendimento, cioè di definire quali concetti è
necessario costruire, quali ristrutturare, quali relazioni fra i concetti cercare
di stabile e quali riorganizzare ecc.
La costruzione della rete concettuale, ultima fase di questa programma­
zione, consiste nell’identificazione del percorso che dovrebbe consentire agli
allievi di cogliere, all’interno della mappa, i concetti e le relazioni connessi al
compito di apprendimento. A ogni unità di apprendimento corrisponde
l’acquisizione di un determinato reticolo concettuale. Per far ciò l’insegnan­
te si serve di mediatori didattici capaci di trasferire conoscenze: mediatori
attivi (esplorazioni, esperimenti ecc.), mediatori iconici (disegni, schemi
ecc.), mediatori simbolici (discussioni, narrazioni, riflessioni ecc.).

Appare immediatamente evidente come l’utilizzo di una programmazione e,


conseguentemente, di un approccio didattico per concetti con allievi che si
collocano all’interno dello spettro autistico risulti possibile solo quando il
livello di funzionalità è molto alto e c’è presenza di linguaggio verbale o scrit­
to. L’indagine circa i concetti posseduti, infatti, viene condotta con questa
modalità e risulta diffìcilmente praticabile con altre metodologie (ad es.
attraverso forme di comunicazione visiva). Quando queste condizioni sussi­
stono, però, indagare con il singolo allievo le forme dì conoscenza possedu­
ta e l’organizzazione concettuale della stessa può fornire informazioni di
grande interesse sulle modalità di pensiero spontaneo degli allievi con auti­
smo, spesso cosi particolari e bizzarri. La costruzione di progetti didattici
può risultare sicuramente facilitata da queste conoscenze preliminari e orien­
tarsi in maniera specifica sugli aspetti metacognitivi, prima ancora che
sull’acquisizione dfspecifìche competenze.

95
l'autismo a scuola

2.2.3. La programmazione per sfondi integratori

La programmazione per sfondi integratori, diffusa soprattutto nelle scuole


dell’infanzia, prende lo spunto dal riconoscimento della complessità
dell’evento formativo, che viene ritenuto non canalizzatale in modelli di
programmazione tassonomica. Tale paradigma della complessità ha determi­
nato, a livello di riflessione didattica, una forte enfatizzazione del ruolo del
contesto, nelle sue espressioni organizzative-istituzionali, sociorelazionali e
comunicative. Chi apprende, infatti, a volte anche in maniera incidentale,
colloca un apprendimento su uno sfondo, dal quale può distinguere un
evento, un fenomeno o un problema emergente in primo piano. E lo sfondo
o contesto che consente di operare una distinzione e di attribuire significati.
I processi di apprendimento diventano maggiormente significativi é
pregnanti se la persona impegnata ha padronanza del proprio sfondo menta­
le e conosce lo sfondo sul quale struttura il processo apprenditivo.
Per poter conoscere, comprendere e dunque progettare e condurre consa­
pevolmente l’azione didattica, quindi, è necessario esaminarla e collocarla iti
relazione a uno sfondo, un contesto di significati, una rappresentazione che
attribuisca un senso a gestì, parole, fatti (Canevaro, 1993), dove il contesto
può essere definito un insieme di norme e relazioni che ne regolano il funzio­
namento e danno significato agli atti comunicativi e ai comportamenti che si
esplicitano al suo interno.
Quando Io sfondo dell’isrituzione educativa (scuola, servizio socioeducativo,
servizio di avviamento lavorativo ecc.) permette una connessione tra gli sfondi
mentali individuali, allora diviene “sfondo integratore” (Zanellì, 1986; Cane­
varo, Balzaretti, Rigon, 1996; Berlini, Canevaro, 1996). In altri termini, uno
sfondo integratore facilita la coordinazione reciproca tra soggetti che appren­
dono e quindi diventa una caratteristica importante perché anche le persone con
deficit trovino le condizioni facilitanti per l’adattamento al contesto.
Per l’allievo con autismo la strutturazione di uno sfondo istituzionale,
rappresentato ad esempio dallo scenario operativo della scuola, può risultare
molto importante. Infatti, rendere evidente l’organizzazione contestuale di
spazi, tempi e regole permette di facilitare la costruzione di possibilità relazio­
nali e di apprendimento significativo per l’allievo partendo dall’esistenza di un
contesto definito. Va messo in evidenza che programmare per sfondi non
significa rinunciare alla programmazione, per cadere in uno spontaneismo che
giustifica qualsiasi comportamento. Certamente il livello di direttività è meno
rilevante in confronto all’approccio per obiettivi, per privilegiare la flessibilità

96
2. PROGETTARE L’iNTEG RAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGIA

legata all’azione dei singoli allievi. Gli eventi imprevisti non vengono concepi­
ti come disturbi) ma come possibilità di dinamizzare il percorso) facendo evol­
vere il contesto educativo in modo che il nuovo evento venga integrato e
acquisti significato (Azzali, Cristallini, 1995). Tutto questo, se gestito adegua­
tamente, può essere un’occasione anche per favorire la conoscenza da parte
degli altri allievi della particolarità delle esperienze vissute dal compagno con
autismo e penetrare il suo mondo in modo da fornire aiuti significativi.

Dal punto dì vista operativo, programmare per sfondi significa mettere in


atto una serie di azioni, che possono essere riassunte nei seguenti punti:
• osservazione del contesto educativo per identificare Ì segnali espressi dai
bambini. Tale osservazione non è finalizzata a rilevare i prerequisiti in vista
della definizione di obiettivi, quanto al riconoscimento delle “tracce” (Cane­
varo, Balzaretti, Rigon, 1996), dei segnali che permettano di aprire una fine­
stra sul mondo motivazionale degli allievi;
• individuazione di una serie di obiettivi assolutamente flessibili e aperti
alla possibilità di modifica in itinere. Gli obiettivi non vengono mai consi­
derati separatamente dallo sfondo e il loro raggiungimento non avviene in
modo lineare o sequenziale, ma secondo itinerari delineati sulla base delle
risposte di ciascun bambino;
• costruzione dello sfondo, che possa favorire la strutturazione di profìcue
esperienze di apprendimento. Lo sfondo potrà essere di tipo istituzionale o
narrativo;
• realizzazione di unità dì apprendimento a maglie larghe, con ampia possi­
bilità di essere modificate a seguito dell’attività di monitoraggio. Si tratta, in
altre parole, di percorsi aperti e flessibili, in grado di modularsi costantemen­
te sui tempi, sui ritmi, sugli stili e sulle strategie di apprendimento dei
bambini e di strutturare, se opportuno, il nuovo e l’imprevisto come occa­
sioni per delineare nuovi itinerari;
• nuovo ciclo di osservazioni per valutare la qualità dei processi dì appren­
dimento e sviluppo raggiunti attraverso le esperienze proposte (Cottini,
2oo8b).

2.2.4. l-a dialettica fra individualizzazione e personalizzazione

Riteniamo che l’àttenta considerazione di questi due processi, i quali, pur


essendo complementari, hanno tratti sicuramente specifici e peculiari, rive­

97
l'autismo a scuola

sta un ruolo di grande importanza nella programmazione di attività didatti- '


che per i nostri allievi con disturbo autistico.
Facciamo un po’ di chiarezza su questi concetti. , <?
L’individualizzazione si pone come insieme di strategie didattiche che ■
intendono garantire a tutti gli allievi, tramite la diversificazione delle procedu- ’> -
re curricolari, l’uguaglianza nel raggiungimento degli esiti formativi essenziali. -
In altre parole, si tratta dell’adattamento dei contenuti, dei ritmi e dei materia- <<
fi di lavoro, delle strategie didattiche per consentire il raggiungimento di obiet-
rivi ritenuti essenziali per lo sviluppo e l’adattamento al contesto di vira. . f
Il concetto di personalizzazione, invece, raccoglie quelle strategie che
intendono promuovere lo sviluppo delle potenzialità elettive dì ogni allievo >' /
e che perseguono, pertanto, forme di potenziamento di quelle che sono le \
abilità e motivazioni più affinate di ognuno. ;'7:
Pensare ai nostri allievi con disturbo autistico in termini di diversità
qualitativa e non solo quantitativa ci deve impegnare sia nell’irrinunciabile Q/
ricerca di obiettivi formativi di base che nella facilitazione di quelle che /
possono essere le peculiari potenzialità. >
Quindi, da un lato, si deve prestare massima attenzione, quando si ;ir j
programmano le attività, a tutti gli obicttivi di base, come possono essere il f
raggiungimento di autonomie funzionali, la capacità di interagire in manie-
ra adeguata, la promozione di forme anche adattate di comunicazione, delle
strumentalità di base ecc. Per ottenere queste fondamentali mete è necessario
adattare i percorsi, anche attraverso forme dì insegnamento individualizzato \ ,
1 : t (si veda la terza parte del manuale dedicata alla didattica speciale).
Questo processo, però, non deve far dimenticare l’attenzione a quelle che \-
sono le specifiche motivazioni e competenze degli allievi, che vanno adegua-
tamente promosse e gratificate per facilitare forme di adattamento positivo. ■
Il riferimento principale è alle "isole di abilità”, ma anche ad altre attività nei , " f
confronti delle quali viene manifestata particolare motivazione. Queste :i-?-
possono diventare un elemento per rinforzare il lavoro su obiettivi diversi e
riempire il tempo non specificamente programmato con attività autonome
condotte anche in classe.

2.3. Un esempio di programmazione didattica

Nel lavoro sulla programmazione didattica più volte citato (Cottini, zoo8b) ;< ;
sono stati presentati una serie di modelli per programmare a scuola che sono

98
2. PROGETTARE L'INTEGRAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E Ot METODOLOGIA

in preparazione anche in formato software. Nella scheda 2.2 presentiamo un


esempio di programmazione per obiettivi di un’unità di apprendimento per
la seconda classe della secondarla di primo grado nella quale risulta inserita
Roberta, uno dei nostri allievi con autismo.

Scheda 2.2. Unità di apprendimento: "lo con gli altri"

Valutazione predittiva

La valutazione del profilo funzionale effettuata con la scala pep3 (si veda il paragrafo
5.1.1, per una presentazione del profilo) e attraverso l’osservazione in situazione ha
messo in evidenza le aree di abilità raggiunte, quelle emergenti e le competenze anco­
ra del tutto deficitarie.
Il punto di forza di Roberta sono sicuramente le abilità relative alla motricità fine e
globale.
Alcune significative abilità emergenti si rilevano nell'area della reciprocità sociale.
Roberta, infatti, resta volentieri in classe e accetta dibuongradoi gesti affettuosi di
alcuni dei suoi compagni, ma non ricerca mai una condivisione di un gioco 0 di un
semplice interesse, neanche se sono gli altri a proporlo. Se qualche volta si tenta di
inserire moderatamente un suo compagno nella sua attività 0 momento ludico,
Roberta lo allontana 0 se ne va lei stessa; se invece il soggetto è un adulto di sua cono­
scenza acconsente tale inserimento. Non sono presenti, comunque, comportamenti
problematici di alcun tipo (auto 0 eterodiretti), né stereotipie in grado di rendere
complessi ì processi di apprendimento.
Roberta possiede alcune abilità emergenti anche a livello di imitazione. La sua capaci­
tà di attenzione risulta molto limitata e anche la capacità di orientarsi nello spazio risul­
ta soddisfacente in riferimento all'ambiente familiare e scolastico, mentre appare del
tutto carente in altri contesti.
Fra le abilità particolarmente compromesse quella che risalta maggiormente è sicura­
mente legata al linguaggio verbale, che risulta quasi completamente assente. Rober­
ta, infatti, pronuncia solo poche parole senza particolari intenti comunicativi.

Classe e allievi coinvolti

L'unita di apprendimento (ua) si indirizza in maniera particolare a Roberta, anche se la


maggior parte delle attività si svolge all’interno della classe seconda media con il
coinvolgimento dei compagni.

99
l'autismo A scuola

Obiettivi di apprendimento Obiettivi didattici


(generali) (specifici)

il. Area socializzazione Effettuare a) Accettare la vicinanza dei compagni,


attività o giochi con i compagni (duali b) Consentire che I compagni utilizzino
o in pìccolo’ gruppo) rispettando i i suoi materiali.
turni. c) Utilizzare i materiali dei compagni
funzionali all’attività da svolgere.
d) Effettuare attività insieme ai compa­
gni rispettando il turno.

22. Area cognitiva Potenziare la a) Utilizzare il pecs per richiedere


comunicazione intenzionale rivolta ai oggetti ai compagni.
coetanei. b] Utilizzare il pecs per richiedere l’aiu­
to dei compagni nello svolgimento di
attività.
c) Utilizzare il pecs per manifestare
intenzioni ai compagni.

33. Area autonomia Acquisire auto­ 0) Memorizzare il percorso pedonale


nomia negli spostamenti brevi (casa- da casa a scuola e viceversa.
scuola). h) Percorrere il percorso da casa a
scuola e viceversa autonomamente con
un controllo a distanza.
c) Percorrere il percorso da casa a
scuola e viceversa autonomamente
senza controllo.

Attività didattica

Operatività dei docenti - Operatività degli allievi


Partendo da alcune attività che Roberta effettua solitamente in classe con buona motiva­
zione si prevede di renderla sempre più sociali, attraverso la partecipazione inizialmente
di uno, poi di più compagni. Le attività più gradite daIl’allìeva sono sicuramente ritaglia­
re, ascoltare la musica, fare puzzle, effettuare compiti motori in palestra e in piscina.
Quando Roberta ha finito i lavori con la sua insegnante di sostegno 0 con l'assistente
educativa e sta effettuando le cose che più le piacciono da sola (sono usate come rinfor­
zo, con una clessidra che la informa sulla loro durata), un compagno a turno si avvici­
na a lei proponendo inizialmente solo la sua presenza fisica. Il passo successivo alla
prossimità sociale sarà di fare la sua stessa attività sul medesimo banco (quello di

100
2. PROGETTARE L'INTEGRAZIONE: QUESTIONE ojf ALLEANZE E DJ METODOLOGIA

Roberta). In seguito il compagno comincerà a interagire con Roberta prendendo alcu­


ni oggetti o materiali tipici della sua attività e cedendone dì propri.
Una volta consolidata tale abilità, il passo successivo sarà quello di lavorare insieme
rispettando l'alternanza dei turni: una volta Roberta e una volta il suo compagno. Da
una condizione di semplice alternanza di turni si passerà poi a una situazione sociale
più sofisticata, che coinvolga ulteriori compagni. Dal moménto, però, che l'aumento dei
partner sociali solitamente implica la tendenza di Roberta ad allontanarsi (forse per il
perdurare di disturbi sensoriali), sarà opportuno predisporre alcuni accorgimenti,
primo fra tutti una strutturazione del momento sociale, eliminando gesti imprevedibi­
li e improvvisi. Ciò può essere fatto inserendo, innanzitutto, tali momenti all'interno di
uno schema delle attività della mattinata, in modo tale che Roberta sia rassicurata dal
sapere quando sarà chiamata a partecipare alla situazione sociale e per quanto tempo
dovrà rimanerci.
Per quanto riguarda gli obiettivi connessi alla sfera comunicativa, l'uso di immagini e
foto (pecs) sarà rivolto intenzionalmente anche ai suoi compagni di classe. Per fare in
modo di incoraggiare tale atteggiamento si inizierà con richieste riferite ai centri diinte­
resse dell’a11ieva. La situazione di partenza sarà quella della richiesta della merenda a
ricreazione: la merenda di Roberta sarà data a un compagno a turno e si inviterà l’al-
lieva a chiedergliela semplicemente indicandola o mostrandone la foto, ma senza
cercare l’aiuto dell'educatore che si limiterà alia sollecitazione. La stessa cosa sarà poi
fatta in altre situazioni didattiche, di gioco, di autonomia.fra queste ultime riveste
importanza il momento dell'uscita di scuola, quando Robèrta cerca sistematicamente
l'educatore al quale mostra la foto della propria abitazione, prendendolo per mano al
fine di essere condotta dal familiare che la attende. L'insegnante la invita e la guida a
dare la foto a un compagno, per farle comprendere che ad accompagnarla fuori sarà
ogni settimana un compagno diverso che lei riconoscerà perchè avrà in mano la sua
giacca o altro indumento per poter uscire.
Relativamente agli obiettivi della sfera deH'autonomìa, l'estrema vicinanza dell'abita­
zione della famiglia dalla scuola .(circa zoo metri, senza attraversamenti e con poco traf­
fico) rende possibile pensare a uno spostamento pedonale autonomo. Attualmente uno
dei genitori o la nonna la accompagnano la mattina e la vengono a riprendere. Per
memorizzare il percorso verrà costruito dalla classe nel laboratorio di tecnica un plasti­
co che rappresenti in scala quella piccola parte del suo quartiere. La struttura verrà
realizzata con tavolette di compensato che raffigurino perfettamente le facciate degli
edifici che ci sono nella via, rispettando scrupolosamente la successione e la disposi­
zione. Verranno poi scattate delle foto a tali edifici e attaccate sulle tavolette di compen­
sato. Una volta terminato il plastico, gii insegnanti e i compagni mostreranno il tragit­
to drammatizzando la situazione con pupazzetti, richiedendo anche a Roberta di farlo.
Seguirà l'uscita, evidenziando punti di riferimento da riportare poi sul plastico. Infine
gli educatori, i familiari o 1 compagni alleggeriranno il proprio controllo, camminando
al fianco di Roberta, poi dietro, a distanza sempre superiore, fino a giungere a un
controllo a distanza e alla completa autonomia.

101
l’autismo a scuola i
ì;

Saranno previste osservazioni di tipo sistematico in itinere,


condotte attraverso una scheda nella quale sono evidenziati i
comportamenti di interazione e di richiesta funzionale.
Sarà, inoltre, predisposto un "diario di bordo", nel quale sia gii
Valutazione insegnanti che i compagni potranno riportare la descrizione di
formativa situazioni interattive (positive o negative) avute con Roberta.
Per qùanto riguarda gli obiettivi’riferiti all’autonomia,, il
controllo in itinere sarà riferito al riscontro del comportamen­
to nelle fasi "in situazione" (riconoscimento dell'itinerario,
svitamento dì situazioni di potenziale pericolo).

Metodologìe e soluzioni organizzative Mezzi, strumenti e materiali


}
La metodologia di insegnamento Non si prevedono particolari sussidi in
prevede l’utilizzo di strategie cpgniti- aggiunta a quelli tipici della situazio­
vo-comportamentali, con particolare ne didattica. .
riferimento all’aiuto e alia riduzione
dell'aiuto, al modeìing e al tuto'ring (si Tempi previsti
veda il capitolo 6 per una descrizione).
Si prevedono attività di insegnamento Inizio: ottobre 2,009. (
1:1 (con l’insegnante o con un compa­ Conclusione: dicembre 2009.
gno) e a piccoli gruppi. |
Spazi

1 Classe, palestra, piscina, laboratorio di


1
tecnica, aula di musica, ambiente na­
turale.

2.4. Il software progressi un sussìdio per la programmazione didattica


e per la gestione degli interventi educativi

Qualche anno fa, avvalendomi di una specifica software house (TecnoScuola,


Gorizia), ho predisposto ùn programma denominato Progress (Cottini,
2006), con l’obiettivo di facilitare la progettazione, la conduzione e il moni­
toraggio di interventi educativi e riabilitativi rivoltiad allievi con disabilità.
Si tratta di un programma aperto, che può essere modulato, ampliato e

102
2. PROGETTARE L’INTEGRAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGÌA

modificato in relazione alle esigenze delle istituzioni educative e riabilitative


o dei singoli operatori.
li software Progress presenta caratteristiche che possono soddisfare le
esigenze messe in risalto fino a questo momento e, pertanto, può'rappresen­
tare un ausilio di grande utilità per la programmazione di attività didattiche
rivolte ad allievi con autismo.
In considerazione dì ciò, in questo paragrafo illustriamo brevemente,
attraverso esemplificazioni riferite ai nostri allievi, Ì principali ,campi nei
quali è articolato il software, soffermandoci in particolare sui seguenti
punti: ;■ .
• l’archivio allievi;
• la gestione delle valutazioni;
• la pianificazione del currìcolo;
• la progettazione, la conduzione e il monitoraggio delle unità di.apprendi-
mento.

2.4.1. L’archìvio aHievi (

Si tratta della funzione di base del software, nella quale sono riportati i
nominativi degli allievi con relativi dati anagrafici e anamnesticì. Come
evidenzia la figura 2.1, poi, a ogni singolo allievo sono collegati una serie di
campì che si riferiscono a procedure assolutamente centrali nella politica
dell’integrazione: /
• la diagnosi funzionale ;(df);
• il profilo dinamico funzionale (pdf);
• il piano educativo individualizzato (pei);
• il curriculum scolastico;
• il diario delle attività; ■ ’
• le funzioni valutative;: !
• la programmazione delle unità di apprendimento. !

Non è certamente possibile, per' esigenze di spazio, analizzare nel dettaglio


ognuna dì queste funzioni. Ci limitiamo a riportare alcune note riferite al
PDF. Nei prossimi paragrafi, poi, verranno analizzate le funzioni valutative e
la programmazione, la conduzione e il monitoraggio delle unità di apprendi-
mento^

103
l’autismo a scuola

Figura 2.1. Schermata relativa alla funzione Gestione Ailievi

Figura 2.2. pdf: compilazione dell’asse della comunicazione per Marco

Per quanto riguarda il pdf, i campi compresi nel Progress riguardano Tinte-
stazione, gli assi e la definizione del profilo in forma conclusiva. Gli assi di
sviluppo, nei quali descrivere in maniera precisa le competenze attuali

104
2. PROGETTARE L’INTEGRAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGIA
t

ì
dell"allievo e quelle che si ritiene possa acquisire in tempi brevi, rappresenta­
no sicuramente l’aspetto centrale del profilo. La figura 2.2 illustra questa
organizzazione; in essa viene mostrata la compilazione dell’asse della comu­
nicazione per quanto riguarda Marco. Criccando sui diversi assi si aprono
campi nei quali è possibile digitare tutte le informazioni riferite all’allievo,
che risultano centrali per la pianificazione del piano educativo. Nel momen­
to in cui si attiva la funzione di stampa, il software elabora i contenuti dei
diversi assi e li organizza nella modalità prevista dal D.P.R. 24 febbraio 1994
(CAP. 1).

j
2.4.2. la gestione delle valutazioni :

È stata messa in evidenza a più riprese la centralità didattica che deve essere
assegnata alla valutazione nel processo educativo, la quale si articola tenden­
zialmente in tre momenti: : ;
* uno di partenza {valutazionepredittiva), finalizzata a ottenere informazio­
ni di base per la progettazione degli obiettivi educativi generali e di quelli
specifici od operazionali-, :
• uno intermedio {valutazione formativa), che si identifica con l’accerta­
mento in itinere del livello qualitativo raggiunto dagli allievi in relazione agli
obiettivi programmati; ì’

• uno finale {valutazione sommativd), che riguarda l’accertamento dei vari


apprendimenti ottenuti e, conseguentemente, dell’idoneità degli itinerari e
delle soluzioni adottate a livello didattico.
i
Il software Progress prevede un modello valutativo ispirato’ a questi principi
di base della didattica generale e speciale. La caratteristica che è a fondamen­
*
to di tutta l’impostazione del software è quella dell apertura, nel senso che
sono contenuti alcuni strumenti già prestabiliti, ma l’educatore può inserire
quelli che ritiene più opportuni {check lisi, prove di. valutazione strutturate
riferite a specifici contenuti, sistemi di osservazione descrittiva e griglie per
l’osservazione sistematica ecc.), sia derivandoli dalla letteratura, che struttu­
randoli sulla base della propria esperienza.
La figura 2.3 riporta l’elenco delle prove strutturate contenute nella versio­
ne originale del software; per alcune è compresa l’intera batteria, per altre
(quelle coperte da copyright) solo il prospetto riassuntivo dove riportare i

i ■ 105
l'autismo a scuola

Figura 2.3. La selezione della prova cars per Luca

Figura 2.4. Schermata relativa alla scala cars selezionata per Luca

I
risultati. Come si può notareiè evidenziata la scala cars (Childhood Autism
Rating Scale; Schopler, Reicfiler, Renner, 1.980), che è stata utilizzata dallo
psicologo referente della scucila, in collaborazione con gli insegnanti e con i
genitori, all’interno del protopollo di valutazione previsto per Luca. La scala

106
2, PROGETTARE L'INTEGRAZIONE: QUESTIONE DI ALLEANZE E DI .METODOLOGIA

CARS è uno strumento sviluppato per identificare bambini con autismo dai 2
anni di età e per distinguerli dai bambini con altri handicap evolutivi, resti­
tuendo anche una valutazione sulla gravità. È suddivisa in 15 ìtem relativi alle
principali aree comportamentali, a ciascuno dei quali va assegnato un punteg­
gio variabile da 1 a 4 in sette passi: la somma di tutti i punteggi dà un valore
complessivo, con i seguenti significati: da 15 a 30, non autistico; da 30 a 37,
autismo da leggero a medio; da 37 a óo, autismo grave (la scala integrale,
nella sua traduzione in italiano operata dall’équipe di Reggio Emilia coordi­
nata da Anna Maria Dalla Vecchia, è reperibile all’indirizzo http://www.angsa
abruzzo.it/New/C.A.R.5..htm). i
Nella figura 2.4 presentiamo Ì riscontri ottenuti attraverso là sommini­
strazione della scala cars con Luca. In questo modo può essere illustrata
anche la procedura per condurre la valutazione attraverso il Progress. Dopo
aver selezionato la prova dall’archivio, questa viene automaticamente sposta­

Tabella 2.1. Puntéggi ottenuti da Luca nelle aree della scala cars

Numero dell'area Area Punteggio

I • Relazione con le persone 3.5


u Imitazione ’3
111 Risposta emotiva 3
IV Uso del corpo 3
V Uso degli oggetti 2.5
VI Adattamento ai cambiamenti 3
VII Risposta visiva 2
Vili Risposta uditiva ■2,5
IX Gusto, olfatto e uso e risposta al tatto 2,5
X Paura e apprensione . 3
XI Comunicazione verbale 3
XII Comunicazione non verbale 4
XIII Livello di attività 3.5
XIV Livello e consistenza di risposta intellettiva 2,5
XV Impressione generale 3.5
; 4

Somma delle voci s punteggio totale cars 48,5

lo?
(/AUTISMO a scuola

ta dal programma e coilegata con l’allievo. Il modello di organizzazione delle


prove permette di avere indicazioni sulle caratteristiche dello strumento di
valutazione e di poter registrare i risultati che l’alhevo ottiene.
Nel protocollo di registrazione dei risultati vengono riportaci Ì riscontri ■
dell’allievo (TAB. 2.1), che in questo modo rimangono sempre memorizzati e
possono essere recuperati in ogni momento per essere confrontati con altre
valutazioni. Come si può notare, per quanto riguarda Luca il punteggio tota­
le è di 48,5, per cui siamo di fronte a un autismo classificabile come “grave”.
Oltre alla gestione di specifiche prove strutturare, il software Progress
consente anche di inserire e utilizzare check list, modelli di osservazione
descrittiva e sistematica. Motivi di spazio non consentono un’analisi detta­
gliata di queste ulteriori funzioni valutative, per la conoscenza delle quali
rimando a un lavoro specifico (Cottini, 2006).
r

2.4.3. Programmazione e conduzione di attività didattiche

Una fondamentale funzione che il software assolve è quella di facilitare la


progettazione di piani curricolari, che poi saranno implementati nella prati­
ca didattica. La funzione di pianificazione del curricolo del Progress riveste un
ruolo centrale in' tutto l’iter della programmazione. SI tratta di una procedu­
ra completamente aperta, che permette all’educatore di fissare, a propria
scelta, l’ambito disciplinare 0 l’area di lavoro, gli obiettivi di apprendimento
(generali) e quelli didattici (specifici oppure operazionali). La figura 2.5
riporta gli obiettivi previsti all’interno del programma didattico sulle abilità
grafiche pianificato per Roberta.
Un’altra applicazione molto interessante ai fini didattici riguarda la possi­
bilità di memorizzare tutte le esercitazioni, le schede didattiche, i software
che possono consentire il perseguimento di un obiettivo fissato nel piano
educativo. In altre parole, ogni obiettivo può essere collegato a documenti
esterni, rappresentati da un elenco di esercizi e di schede didattiche, da parti­
colari software, file sonori, filmati ecc., che l’educatore può progressivamen­
te aggiornare.
In concreto, cliccando sull’icona gialla (“Apri”) dopo aver selezionato un
obiettivo specifico, viene evidenziata una finestra di collegamento ai docu­
menti esterni. La figura 2.6 evidenzia tale operazione relativa all’obiettivo
didattico riguardante if "controllo della direzione delle linee”.

108
2. PROGETTARE L’ì.NTEGRAZIONEI QUESTIONE DìUllEANZE E Dì METODOLOGÌA

Figura 2.5. Schermata iniziate del curricolo predisposto per Roberta

Figura 2.6. Finestra di collegamento con file esterni

109
l'autismo a scuola

La scheda 2.3 riporta, a titolo di esempio, la prima parte del file delle
“proposte didattiche di base” poilegate all’obiettivo “controllare la direzione
delle linee”. Come già sottolineato, l’educatore può aggiornare e ampliare,
sulla base del proprio lavoro quotidiano e del materiale con il quale viene a
contatto, l’elenco degli eserciti e dei sussidi, ottenendo in quésto modo un
archivio di notevole interesse didattico, anche perché direttamente collegato
con l’organizzazione curri co lare.

Scheda 2.3. File di proposte didattiche collegate all'obiettivo specifico


"Controllare la direzione delleilìnee"

Difficoltà Descrizione

2 Esercizio Tracciare lina riga nella sabbia, nel fango 0 sulla creta.
Materiali Un piattoìgrande colmo di sabbia 0 creta, bastoncini.
Procedura L’educatore riempie il piatto con sabbia bagnata 0 creta e mette
due segni sugli orli.[Traccia una riga con un bastoncino da un lato all'altro
del piatto per dimostrare all'allieva il procedimento da seguire (modeling).
Chiède all1 alunna di fare la stessa cosa. Se l'allievà'si trova in difficoltà, l'in-
■ segnante prenderà la sua mano e lo assisterà nel tracciare una riga sopra
quella tracciata da lei-ìniziaImente (prompting). Por,cancellerà la riga e chie­
derà ail’ailieva di fajrne una uguale, senza l’aiuto dell’adulto. Quando
l’alunna ha acquisito padronanza nei movimenti, l’educatore comincia a
ruotare II piatto in mbdo da creare linee orizzontali, verticali 0 diagonali.
Può anche aggiungere altri segni agli orli del piatto, in modo che l’a II leva
esegua linee sia orizzontali che verticali in forma di croce.
Prima variabile Si fiuò utilizzare come materiale il fango, conducendo

HO [
i
2. PROGETTARE L’INTEGRAZÌONE! QUESTIONE DI ALLEANZE E DI METODOLOGÌA

Descrizione

l’alunna all’aperto e adoperando bastoncini di lunghezza diversa. Le proce­


dure di intervento saranno le medesime dell'esercizio precedente. !l compi­
to di tracciare linee nella sabbia, nel fango e nella creta, richiede all'allieva
di esercitare una pressione maggiore per tracciare la riga, dato che la
sabbia, la creta e il fango oppongono resistenza alla mano. Questo eserci­
zio aiuta l'allieva in due modi: mette un freno al suo movimento^, dandole il
tempo di osservare la sua mano mentre si muove e aumenta ,1’uso dei
muscoli, fornendo maggiori informazioni attraverso le sensazioni del movi­
mento; informazioni che l'allieva può rintracciare più facilmente-di quelle
che ricava dalla sua memoria visiva.
i
Esercizio Collegare due punti con una linea (da sinistra a destra, in orizzon­
tale o verticale!. '
Materiali Carta e pennarelli.
Procedura L'educatore fa sedere l'allieva al tavolo del lavoro e le presenta
il compito che dovrà svolgere, costituito da schede in cui sono disegnati dei
punti che devono essere collegati con una linea. Ail'inizio propone la sche­
da in cui l'allieva deve collegare due punti posti a una certa distanza con una
linea orizzontale o verticale. Il punto di inizio viene colorato di rosso, quel­
lo di arrivo dì blu. Successivamente si può complicare il compito, posizio­
nando il punto di inizio in alto a destra e quello di arrivo in basso a sinistra.
L'educatore deve far vedere all'allieva come fare per tracciare le linee
(modeling) e poi guidarle la mano dal punto di inizio fino a quello dì arrivo,
fermandosi su di esso, evitando di andare oltre (prompting). Il passo succes­
sivo è quello di diminuire gradualmente l'assistenza fisica diretta (tecnica di
attenuazione dell'aiuto) e di aiutare l’allieva fornendole semplici.istruzioni
verbali, come "vai vai", quando deve continuare a tracciare la linea e "stop”,
quando deve fermarsi. Lo spazio tra i punti viene allargato gradualmente,
quando'ì'allieva comincia a essere in grado di collegarli da soja, indipen­
dentemente dall'aiuto dell’educatore. ■
Prima variabile 'Proporre all'allieva schede in cui sono disegnati due grup­
pi di otto punti ciascuno, disposti due a due; il compito è sempre quello di
collegarli in verticale o in orizzontale. L'educatore utilizzerà la smessa proce­
dura utilizzata peri precedenti esercizi. ; i

Esercizio Tracciare una riga diritta o curva tra due linee di confine e
completare una specie di labirinto.
Materiali Schede, matita o pennarelli.
Procedura L’obiettivo che l'educatore intende perseguire è queHo;di aiuta­
re l’allieva a controllare la direzione delle linee tracciate. Presenta all'alun-
na una scheda in cui è disegnato una specie di "labirinto". Sono raffigurati
l'autismo a scuola

Difficoltà Descrizione

un coniglio, una carota e due linee orizzontali, parallele, che delimitano il


percorsoxhe l’allieva dovrà far seguire al coniglio per raggiungere la caro-
ta..È importante che l'aìunna rimanga dentro lo spazio delimitato dalle due
linee, anche se non è l'obiettivo primario di questo esercizio. Il percorso del
coniglio fino alla carota segue un'andatura diritta, quindi l’allieva dovrà
tracciare una linea diritta, non curva, l'educatore si posiziona accanto a lei
e prendendo il suo dito le fa percorrere tutto il tragitto del coniglio, sottoli­
neando "il percorso è diritto" (prompting espresso sia sotto forma dì indica­
zione gestuale, che di suggerimenti verbali). Chiede alì'alunna di tracciare
una riga che colleghi i due elementi. Se l’allieva non rispetta la richiesta del
compita, l'insegnante la fermerà e la guiderà nel movimento corretto (prom­
pting sotto forma di guida fisica). Quando esegue correttamente l'attività,
l'educatore le presenta delle schede successive, in cui la difficoltà aumenta;
per esempio si chiede all'allieva di collegare due elementi con una linea
curva, oppure alternando linee curve a linee diritte ecc.
Prima variabile L'educatore porta avanti l'attività nel contesto di classe.
Sistema l’allieva con autismo vicino a un compagno e consegna a entrambi
la medesima scheda. Prima la fa eseguire al compagno, dicendo all’allieva
con autismo di osservare quello che l'amico sta facendo, poi le chiede di fare
la stéssa cosa. Se l’alunna si trova in difficoltà, non interverrà l’educatore,
ma lasceràjche il compagno la guidi nei movimenti corretti (programma di
insegnamento cooperativo). Quando l’allieva svolgerà autonomamente l'at­
tività, le presenterà delle schede successive e si ripeterà il medesimo proce­
dimento. L'allieva in questo modo impara a contare non solo sull'educato­
re, ma anche sui compagni, ottenendone dei vantaggi; per i compagni
questo non.rappresenta un rallentamento del percorso scolastico, anzi, un
ulteriore mòmento di arricchimento e formazione.

Esercìzio Eseguire linee obbedendo ai comandi verbali.


q Materiali Gessetti, lavagna.
Procedura .L'educatore si posiziona di fronte alla lavagna e chiede all'allie-
va dì stare in piedi vicino a lei. Tiene in mano un gessetto, poi prende la
mano dell'àllieva e la posiziona sopra la sua. Traccia una riga dall'alto
verso il basso e dice “giù", mentre esegue il movimento e’ la riga, ih giù.
Successivamente porge il gessetto all'allieva, tiene la sua mano c la guida
nella direzione voluta, dicendo ancora “giù" e chiedendo anche alì'alunna
di dirlo (prompting espresso sìa sotto forma di suggerimento verbale che di
aiuto fìsico); L'insegnante ripete questa parola e traccia la riga corrispon­
dente, finché l’allieva non riesce a eseguire la richiesta senza aiuti fisici.
Quando l’alunna sarà in grado di tracciare la linea obbedendo soltanto ai
comandi verbali, allora l’educatore le insegnerà altre direzioni (su, destra,

112
2. PROGETTARE L’INTEGRAZIONE: QUESTIONE Òl ALLEANZE E DI METODOLOGIA

Difficoltà Descrizione

sinistra ecc.). L'educatore utilizza un sistema di ricompensa costituito da una


bottiglia di vetro e delle perline colorate. Ogni volta che l’allieva esegue
correttamente il movimento richiesto, l’insegnante inserisce una perlina
nella bottiglia. Quando questa sarà stata riempita l’allieva riceverà un
premio, per esempio fare le sue attività preferite ecc.
Prima variabile Una volta insegnata questa attività su di un piano vertica­
le, la si può eseguire su di un piano orizzontàle, ad esempio mettendo un
foglio bianco su un tavolo e utilizzando i normali pennarelli. La differenza
fra un piano orizzontale e uno verticale, è che su quest'ultimo si amplia lo
spazio di movimento della mano, del braccio é del corpo in generale.

Un’ulteriore precisazione va fatta pejr quanto concerne la difficoltà degli eser­


cizi. Con la possibilità di aggiungere sempre nuovi contenuti a quelli già
previsti in collegamento agli obiettivi specifici del curricolo, potrebbe venire
meno la progressività delle proposte, nel senso die gli esercizi potrebbero

Figura 2,7. Modalità di attribuzione del livello di difficoltà alle esercitazioni

Difficoltà degli esercizi •

FACILI , i

Di base 1 2 3 Di leggera difficoltà

i
MEDI

Moderatamente f q 5 ; 6 Abbastanza difficoltosi


difficoltosi 1 1 " - ■ -I- 1

DIFFICILI j

Difficoltosi 7 .8 i 9 Estremamente
i __________ 1____________________ _J difficoltosi

113
l’autismo a scuola

risultare elencati secondo l’ordine di digitazione e non per quello che riguar­
da la loro complessità. Per ovviare a questo inconveniente, è richiesto di
attribuire un grado di difficoltà alle proposte di contenuto (esercizi, schede e
software didattici), in modo tale che il programma possa sempre ordinarle in
maniera progressiva, dalla più semplice alla più complèssa. L’attribuzione del
livello di difficoltà avviene sù una scala che va da i a 9, secondo le modalità
illustrate nella figura 2.7. <

114
3. Il dentro e il fuori dell’integrazione

• Marco, Luca, Filippo, Roberta e Giuseppe devono restare sempre all’interno della
classe oppure è meglio che svolgano le loro attività nella stanza del sostégno?

La domanda che apre questo capitolo è sicuramente posta in maniera troppo


assoluta e perentoria, ma riflette una modalità ancora radicata di approcciar­
si al problema: quella di chi pensa di poter affrontare situazioni tanto \
complesse con un atteggiamento carico di retorica e pregiudizi'ideologici.
Sostenere che gli allievi con disturbi autistici debbano stare sempre in classe
perché questa è la logica dell’integrazione o, al contrario, che non possano
starci in quanto la-gran parte delle attività che vi si svolgono non,sono adat­
te al loro livello di competenze cognitive e relazionali, è un modo assoluta-
mente inadeguato idi’ porre il problema. I ,
Come abbiamo visto, infatti, da un lato l’allievo con autismo, a causa
delle difficoltà generalizzate che presenta, non riesce ad apprendere abilità
significative se il contesto non è adeguatamente predisposto per facilitare tali
apprendimenti. Oltre tutto si tratta dì allievi poco imitativi e con carenti
capacità di pianificare in maniera strategica le proprie condotte adattive.
Per contro, però, se si evita di «far troppo affidamento sulle virtù' sponta­
neamente riparatrici del sociale» (Barale, Ucelli, 2006, p. 125) e si.program-
mano in modo adeguato le situazioni interattive, ci si accorge che anche gli
allievi con autismo possono giovarsi fortemente di queste opportunità,
acquisendo competenze in grado di generalizzarsi avari contesti e favorire un
più significativo adattamento all’ambiente di vita. .

La questione posta con la domanda di inizio capitolo, quindi, va riformula-


ta in maniera molto più pragmatica, chiedendosi in che modo debbano esse­

115
l’autismo a scuola

re pianificare le esperienze di integrazione e come alcune attività svolte anche


in contesti separati possano essere funzionali a tali finalità inclusive. Perjgr
ciò, in questo capitolò vengono presi in considerazione tre aspetti;
• 1 esigenza di una programmazione congiunta tra insegnanti cùrricolari e
di sostegno alla Ricerca di punti di contatto;
• la possibilità,di avvicinare gli obiettivi e di partecipare a quella che viene
definita la "cultura del compito”;
• l’utilità di svolgere attività personalizzate all’interno e all’esterno della
classe.

Il capitolo si conclude con la presentazione di un esempio di programmazio­


ne congiunta tra'insegnanti curricolari e di sostegno.

3.1. Per programmare l’integrazione bisogna, innanzitutto, integrare


la programmazione

In un lavoro di alcuni anni fa (Cottini, 2004) abbiamo messo in evidenza


come gli obiettivi dell’integrazione per gli allievi con bisogni speciali possano
passare da semplici enunciazioni di principio a concreta operatività soltanto
seprendono Io spunto da una programmazione-integrata. L’affermazione può
sembrare ingenua e banale, in considerazione dell’esistenza di un insieme di
norme che prevedono questa prassi, ma osservando la realtà di molte scuole
appare evidente come la programmazione individualizzata sia redatta spesso
dal solo insegnante di sostegno, senza particolari coinvolgimenti dei colleghi
curricolari e di altri operatori. Esistono ancora dei pregiudizi molto pericolo­
si: da un lato alcuni docenti di sostegno pretendono di essere gli unici titolari
dell’insegnamento al bambino in situazione di disabilità che è stato affidato
loro e dall’altro, molto più spesso, sono gli insegnanti curricolari che pensano
di non avere titolo 0 competenza per lavorare con l’alunno che pone proble­
mi didattici particolari e ritengono più giusto (e sicuramente anche più
comodo) delegare all'insegnante di sostegno tutto il peso e la responsabilità
educativa. Queste argomentazioni, sostenibili a livello generale, assumono
una rilevanza ancora più pregnante nel momento in cui si interagisce con
allievi così particolari come quelli affetti da disturbo autistico. v
iYh3 Chiaramente,: quando le cose si presentano in questo modo, porsi nella
prospettiva di pensare a obiettivi comuni (o comunque simili), che possano

116
; 3- IL DENTRO È IL FUOR! DELL'INTEGRAZIONE

favorire la permanenza profìcua in classe dell’allievo con autismo, risulta


molto complesso. Ci si limita così a semplici sovrapposizioni durante alcune
attività di ascolto musicale, di educazione motoria, di laboratorio e poche
altre. Al contrario, le domande fondamentali che, cóme raccomanda Tortel­
lo (1999), tutti gli insegnanti curricolari e di sostegno dovrebbero porsffò'no
le seguenti.
* “C’è almeno un’attività' tra le tante previste per tutta la classe che può
essere svolta anche dall’alunno che segue un piano': educativo individualiz-
1 >]
zato ?
» "C’è almeno un’attività tra quelle contemp.late_p.er l’alunno in difficoltà
che può essere proposta anche agli altri compagni di classe?”

Sicuramente esistono possibilità di risposta positiva a questi quesiti, che


possono essere colte agevolmente nel momento in cui sì abbandona la rigidi­
tà del programma e si abbraccia la filosofìa flessibile1 della programmazione..
L’esperienza dimostra, inoltre, come questaJntegtazione^ia.non solo, possi-
,bile>una.anche_proficua-per_t.utti..gli-allievue non soló.per quello.con .disabi­
lità (Peck, Donaldson, Pezzoli, 1990).

Nel caso dei nostri allievi con autismo alcuni eleménti sono immediati da
cogliere. Nella scheda 3.1, in conclusione di capitolo, verrà illustrato un
esempio dettagliato di programmazione congiunta, .sviluppata per la classe
di Filippo relativamente all’àmbito linguistico. ;
Marco nella scuola dell’infanzia può sicuramente condividere con i suoi
compagni obiettivi legati all’autonomia, come lavarsi mani e viso, alla coor­
dinazione oculo-manuale necessaria per effettuare giochi di incastro e di
costruzione, ad alcune competenze grafiche dì base (impugnare corretta-
mente matite e colori, tracciare linee, utilizzare vari tipi di colori ecc.). A
queste possono aggiungersi obiettivi legati all’ascoltò, alla comprensione di
segnali di vario tipo, alla conoscenza delle diverse parti del corpo e alla rico­
struzione della figura umana.
Per quanto riguarda Luca, che frequenta la seconda classe della primaria,
gli obiettivi che condivide con i suoi compagni sono relativi all’interazione
nei momenti di attività collettive, ricreazione e pranzo, all’orientamento
spaziale nell’ambiente, all’utilizzo del computer per eseguire semplici giochi
didattici, alla riproduzione di ritmi con il corpo e con gli oggetti, allo svilup­
po dei prerequisiti funzionali dei movimento. ■

117
L'AUTISMO A SCUOLA j

Sicuramente agevole individuare obiettivi comuni tra Filippo e la sua


classe, in considerazione dell'elevata dotazione di competenze dell’allievo,
anche se poi risulta complesso; coinvolgerlo in attività collettive. Tali obietti­
vi riguardano sostanzialmente tutti gli ambiti disciplinari: da quello lingui­
stico (di cui si parlerà diffusamente nella scheda 3.1, riportata in conclusione
di capitolo), al matematico e! scientifico-tecnologico; dall’ambito storico-
geografico a quello musicale, artistico e motorio.
La situazione si complica un po’ quando si considerano Roberta e
Giuseppe, che frequentano fispettivamente la secondaria di primo e di
secóndo grado. Da un lato, infatti, il lavoro dell’insegnante specializzato per'
il sostegno impegnato nello studio delle programmazioni curricolari è più-
àrduo, dal momento che la preparazione 2TBase dei vari insegnanti non è
piu comune come nella scuola primaria. Dall’altro, bisogna rilevare come.hu
distanza tra gli obiettivi generali della classe e le potenzialità degli allievi con
autismo tenda ad aumentare progressivamente. Tuttavia, analizzando
attentamente le programmazióni di classe si possono ancora identificare
obiettivi ..utili. 1
Per Roberta, ad esempio, quelli connessi alle attività che richiedono una
buona coor.dinazLone.fi ne-matoriajn ambito artistico,e .tecnico, oltre a quel­
li legati all’ascolto musicale. Inóltre gli insegnanti hanno ritenuto di coinvol­
gerla nell’ascolto attivo di vari argomenti, soprattutto di tipo storiccb che
vengono inizialmente presentati attraverso la visione di specifici filmati. In
questi casi le attività che si trova a svolgere possono risultare poco funziona;
fi.e,poco spendibili nella sua esperienza concreta, ma sono giustificabili ai fini
defilate Erazione e del.potenzijmento defilautostima.-connessa al fare lavori
dello stesso tipo dei compagni.:
Per quanto riguarda Giuseppe, sebbene si riscontri una forbice molto
allargata tra la sua programmazione differenziata e 11 piano di lavoro di clas­
se in riferimento agli obiettivi da raggiungere, sono comunque evidenti
molti punti- di contatto. Nel capitolo 11 verrà illustrato un esempio molto
significativo relativo alla disciplina di “italiano”, con riferimento allo studio
del poema oinerico dell’Iliade^

L’adattamento degli obiettivi non deve tuttavia essere inteso a senso unico,
ciò? come.s_emp.iiceadeguamento clella programmazione in^yidua1i77flta.per
farla, avvi ci narea quella dellajclasse. In alcune occasioni ci possono essere
anche attività appositamente g^ax^adàvore defiafieverin-diffieoltà, alle

116
3. ÌL DENTRO E IL FUORI DELL'INTEGRAZIONE

quali partecipano zanche i compagni normodotati (Rollerò, 1997). E questo


non rappresenta un semplice rallentamento, in quanto, come avremo modo
di sottolineare anche in seguito (CAP. 12), Ì compagni possono trame consi­
stenti vantaggi, sia'di tipo cognitivo (ad eL condTripetizione dialcuneparti
del prò grammaccon la scomposizione di compiti complessi in sequenze ecc.)
sia di tipo sociale.
Oltre a ciò, il lavoro su contenuti semplici e già affrontati dalla- classe può
essere Toccasione per attivare un lavoro di riflessione metacognitiva sui,
prò cessi mentali che.hanno portato alla risoluzione dei compiti. Questo
aspetto fondamentale della didattica viene spesso sacrificato sull’altare della
velocizzazione del'percorso per completare il programma e determina per
alcuni allievi delle carenze strategiche difficili da colmare in seguito.
Un altro momento nel quale le competenze metacognitive vengono solle­
citate è quello connesso ai procèssi d’aiuto forniti ad alcuni compagni in
difficoltà. Infatti, nel momento in cui un allievo, si trova a supportare un
coetaneo con problemiQl ragazzocapisce come, per insegnare qualcosa a
qualcuno, sia necessario prioritariamente avere le idee chiare, sull’argomen­
to: non basta fornire una soluzione (del tipo "si fa cosìQ, ma bisogna.guida­
reil compagno passo dopo, passo,. cercando di prevedere e di anticipare_cpn
opportuni aiuti le difficoltà cpmpten^iyej;xin-UesseJ.aII’appJMidiinsntSLjli
particolari conte_nm,ti.

3.2. Avvicinare gli obiettivi e partecipare alla cultura del compito

In molte situazioni non risulta possibile determinare punti di contatto fra là


programmazione curricolare e quella individualizzata. Quando il deficit è
consistente oppure quando gli obiettivi diventano complessi per l’aumenta­
re del livello scolastico, individuare delle sovrapposizioni può essere molto
difficile e riguardare solo una pane marginale del tempo scolastico;
Anche in queste situazioni, comunque, la presenza in gruppo dell’allievo
con autismo può essere facilitata avvicinando i suoi obiettivi a quelli della
classe attraverso un’azione: sui contenuti didattici. In altre parole, si tratta di
perseguire degli obiettivi personalizzati con attività che abbiano qualche
somiglianza con quelle dei compagni. '
Se facciamo l’esempio del lavoro che Luca sta svolgendo sulla discrimina­
zione, mentre i compagni sono impegnati su compiti di perfezionamento

119
l'autismo a scuola

della lettura, non. è la stessa cosa proporre attività di discriminazione di colo­


ri, oggetti, forme geometriche o lettere. L’allievo, infatti, si trova inserito in
una classe che sta esercitandosi con materiale grafico e la sua presenza può
risultare più significativa nel momento in cui si rende conto dì svolgere
compiti simili a quelli dei compagni. Tra l’altro, dal punto di vista della diffi­
coltà cognitiva; del compito, non esiste grande differenza fra l’imparare a
discriminare un cerchio da un triangolo e l’apprendere a differenziare due
grandi lettere ili stampato maiuscolo come la O e la A.
Il lavoro di avvicinamento degli obiettivi, quindi, richiede che ì contenu­
ti didattici vengano modificati, ridotti o illustrati per adattarli alle esigenze
dell'allievo con autismo.
Oltre all’utilizzo di materiale con ampia presenza di figure, l’insegnante
può anche decidere di agire sui libri di testo per renderli più semplici e
comprensibili per il suo allievo. Può predisporre dei quaderni ad anelli che
affianchino o sostituiscano completamente il libro di testo della classe o
prevedere specifici adattamenti degli stessi. In entrambi 1 casi può far uso di
strumenti personalizzati e molto attinenti a quelli utilizzati dalia classe.
Questa procedura è sicuramente da preferire alla prassi - frequentemente
adottata - di utilizzare libri riferiti a classi inferiori, i quali certamente enfa­
tizzano in negativo le differenze e non favoriscono la determinazione di un
senso di appartenenza al gruppo.

Un’ulteriore possibilità per far rimanere gli allievi con bisogni speciali insie­
me ai compagni il più a lungo possibile, cercando di farli partecipare agli
stessi apprendimenti, è stata discussa da alcuni autori (Rollerò, 1997; Tortel­
lo, 1999) distinguendo fra “apprendimento di un compito” e “partecipazio­
ne alla cultura di un compito”. In altre parole, anche quando non è possibi­
le creare adattamenti degli obiettivi e delle metodologie che possano
consentire apprendiménti significativi su compiti dello stesso tipo di quelli
dei compagni, è comunque utile farli partecipare in alcuni momenti alle atti­
vità della loro classe, mettendoli nelle condizioni di cogliere almeno alcuni
elementi per apprezzare l’argomento di cui si sta trattando. In questo modo,
gli ainc.vi percepiscono che le-conscgne destinate.all’intcro gruppo non sono
totalmente estranee a_lórq^4uesto..fecUitasicuramente.^ sentirsi parte.inte­
grante della classe e motiva anche l'impegno nei compiti che li vedono
maggiormente protagonisti.
Nel caso dell’allievo con disturbo autistico, questo può essere facilitato

120
3. IL DENTRO E ÌL FUORI DELL'INTEGRAZIONE
j

prevedendo all’interno della classe una postazione per il lavoro autonomo',''?


tnel quale l'allievo possa effettuare compiti routinari è graditiceli tutto questo
parleremo diffusamente nel capitolo 4 analizzando l’adattamento). Sono
molte le descrizioni che ci informano come, agendo ìn questo modo, alcuni
allievi abbiano dimostrato di aver acquisito competenze sorprendenti, che
vanno ben oltre i confini di quanto si era previsto a livello di programmazio­
ne. Ad esempio, Filippo ha appreso un numero elevato di parole in inglese,
anche se durante queste lezioni passa molto del suo tempo al computer collo­
cato all'interno della classe. I
Uno dei casi più eclatanti segnalati in letteratura è quello di Donna
Williams (1996), la quale, nella sua autobiografìa, riferisce che l’essere stata
inserita in una scuola normale le aveva permesso di accumulare moltissime
informazioni sulle persone e. sulle situazioni di vita sociale (ivi, p. 100):

La mia esperienza mi ha insegnato che ci sono dei momenti in cui imparare ad agire
da normale presenta certamente i suoi vantaggi. L’essere in qualche modo social­
mente accettata (sia che potessi elaborare efficientemente l’esperienza, il senso 0
il significato di quella accettazione sociale in modo conscio e nel contesto oppure
no) significava comunque che ero esposta a una gammaipiù ampia di informazio­
ni di quanto non sarei stata altrimenti e anche se non avessi potuto elaborare quel­
l’informazione in quel momento, potevo comunque immagazzinarla per un’even­
tuale elaborazione preconscia 0 subconscia. La conoscenza che nasceva da
quell’elaborazione poteva poi, talvolta, pur se casualmente, essere attivata e solle­
citata. L'essere nelle scuole normali significava accumulare moltissime informa­
zioni su come la gente si muoveva e parlava e su quanto dicevano, su ciò che a
loro piaceva e che volevano 0 pensavano e come rispondevano a certe cose.
Accumulavo informazioni sulle persone apparentemente come gii altri, in certi
aspetti, quando dicevano 0 facevano cose nello stesso modo dì qualcun altro. [...]
Se mi si chiedeva che cosa mi piacesse, mi interessasse,'pensassi 0 facessi, avevo
informazioni teoriche su quanto a una persona piacesse,,che cosa volesse, le inte­
ressasse, pensasse 0 facesse. Se volevo spostarmi attraverso una stanza, per pren­
dere qualcosa, avevo accumulato tutte quelle informaziopi su come lo facevano gli
altri e potevo farlo come loro. In assenza di messaggi del corpo 0 di altre connes­
sioni, se non avessi accumulato tutte quelle informazioni.’probabilmente non sarei
mai stata socialmente tollerante e tollerabile, abbastanza da andare in tutti i posti
dove sono stata.
Se non avessi imparato ad agire come se potessi far fronte ai linguaggio (ofar

121
ff.-À'SCUOLA

qualcuno che ne ero in grado), non mi avrebbero parlato tanto come


p^né'.fatto. Nessuno avrebbe pensato che ne valeva la pena.
zW$£non fossi stata espósta a tutte quelle parole, l'enorme vocabolario che
riavevo accumulato in modolsubconscìo, che sarebbe stato spesso, più tardi, attiva-
dall’esterno, da altri, noi) sarebbe stato costruito su base così ampia e non avrei
avuto l’onore di essere citata come dizionario che cammina. ' < '

33. Svolgere attività personalizzate all'interno 0 all’esterno


della classe ;

La programmazione individualizzata per l’allievo con disturbo autistico


contiene sempre una serie di obiettivi molto specifici e funzionali, che richie­
dono, per essere perseguiti, la promozione di una serie di attività differenzia­
te in confronto a quelle della classe.
In alcune situazioni, tali attività possono essere previste aU’interno del
contesto integrato, nel momento in cui l’ambiente risulta strutturato in
modo particolare. Ci riferiamo, nel concreto, a classi nelle quali gli spazi dì
■ lavoro non sono rappresenta^ solo dalla cattedra e dai banchi, ma dove ci
siano anche altri luoghi pi cui svolgere attività didattiche. Ad esempio,
possono essere previsti spazi perda.lettura individuale, per il lavoro al
computer, per i lavori manuali, per le ricerche ecc.. (CAP. 6). Tali spazi, frui­
bili in determinate situazióni da rutti gli allievi, si prestano molto bene per
lo svolgimento di attività individuali aU’interno.. della classe, supportate
anche dalla presenza dell’insegnante di sostegno. Al contrario, risulta poco
(groduSfvà^a situazione qhe vede l’allievo con autismo, per tutto il tempo
che rim?ne,iii„classe,„sedtLtQ^accan.tp...al.i “proprio” insegnante.„che si dedica
inter ardente a lui, Questa situazione può essere giustificata per alcuni
momefiti necessari a impostare 0 monitorare il lavoro, ma non può rappre- •
sentare laprassi comune ó la condizione di “copertura” necessaria per acco­
gliere l’allievo in classe. ■ 1
La trattazione sviluppata fino a questo momento ha messo in evidenza
come esistano varie possibilità per conciliare l’esigenza di personal izza re Tin-
segnamento salvaguardando l’opportunità di svolgere il lavoro' in un conte­
sto integrato. »
Riteniamo, però, che la prospettiva dell’integrazione dell’allievo con auti­
smo non solo giustifichi, ma assolutamente richieda periodi di tempo preci­

122 ,
3. il DENTRO E IL FUORI DELL'tNTEG RAZIONE

samente programmati, nei quali prevedere attività di insegnamento uno a


uno, fuori dalla classe. L’importanza di alcuni apprendimenti di base per
svolgere attività con altri compagni è cosi rilevante che sicuramente autoriz­
za l’uscita dalla classe dell’allievo. Per allievi con altre tipologie di disabilltà,
questa esigenza è sicuramente meno pressante di quanto non/awenga per
quelli con autismo, con i quali, tra le altre cose, sì devono sovente fare i conti
anche con forme di accentuata sensibilità sensoriale, che richièdono un’at­
tenta valutazione dei momenti in cui prevedere la presenza all’interno del
contesto integrato.
f' Non è possibile pensare, ad esempio, che Marco possa partecipare a qual- |
ìche attività interattiva con Ì compagni se non acquisisce l’abilità di scambio /
'e di rispetto dei turni o che Filippo possa restare in classe se non si esercita /
sulle regole sociali costruendo la sua specifica agenda figurata o sé sono previ- J
ste attività di gruppo molto rumorose.
' : È fondamentale, però, che tali momenti, di diversa estensione temporale
in relazione alle situazioni (si può arrivare anche a gran parte dell’orario
scolastico), siano programmati nell’interesse dell'allievo e della sua inclusio­
ne. Sono giustificati, in altre parole, soltanto se l’obiettivo perseguito è di
estrema importanza e si concretizza neU'acquisizione di abilità -necessarie a
conferire significato e praticabilità alle attività integrate.

Scheda 3.1. Un esempio di programmazione congiunta relativa all'ambito


linguistico adottata nella classe di Filippo ■

quesito n. 1
Esistono obiettivi comuni?

Obiettivi della programmazione Obiettivi della programmazióne


auricolare individualizzata ■

1. Ascoltare, comprendere e comunicare oralmente: 1. Ascoltare, comprendere e comunicare oralmente:


a) adottare strategie adeguate allo scopo del­ a) comprendere una narrazione letta dall'inse­
l’ascolto per selezionare e memorizzare le infor­ gnante, individuando le informazioni più impor­
mazioni; tanti relative ai personaggi e alle loro azioni, agli
fa) di un discorso 0 di un brano ascoltato, ritene­ eventi principali, alle relazioni temporali, spazia­
re le informazioni utili a uno scopo definito, li e causali;
annotando appunti pertinenti; fa) descrivere oggetti, persone, animali, ambienti;

123
SCUOLA

||^b?etiivi della programmazione Obiettivi della programmazione


vcurricoiare individualizzata

'■ c) distinguere diversi tipi di testi ascoltati (narra­ c) raccontare esperienze personali in modo
tivi, descrittivi, poetici, informativi, regolativi, intelligibile;
: argomentativi); d) formulare domande o richieste di chiarimento;
d) adattare e organizzare le informazioni relati- e) recitare filastrocche e brevi testi poetici.
ve al tipo di testo orale più funzionale alla situa­
zione comunicativa;
e) comprendere istruzioni per l’esecuzione di
compiti, per pianificare azioni e saperle eseguire;
/) inserirsi in nrypdo adeguato, opportuno ed
efficace in situazioni dì dialogo recando contribu­
ti pertinenti e utili;
gì partecipare a discussioni di gruppo indivi­
duando il problema discusso e le principali
opinioni espresse, facendo domande per avere
chiarimenti, esprimendo accordo e disaccordo
con altri interventi;
h} riferire il contenuto di un brano ascoltato o
letto, individuandone tutti gli elementi essenzia­
li (gli aspetti principali): trama, luoghi, tempo,
personaggi, ambienti, sequenze.

2. Leggere e comprendere testi di diverso tipo: 2. Leggere e comprendere testi di diverso tipo:
o) leggere un testo rispettando la punteggiatura o) leggere fluentemente ad alta voce cercando di
e usando intonazióni di voce tali da rappresenta­ adeguare, almeno in parte, l'intonazione;
re efficacemente i contenuti; b) comprendere testi narrativi, individuando le
b) leggere silenziosamente un testo dando prova caratteristiche principali di personaggi e am­
di averne compreso il contenuto attraverso rispo­ bienti, le sequenze temporali degli avvenimenti,
ste a domande aperte o a scelta multipla, comple- i nessi logici e saper fare inferenze;
: lamento di frasi, riordino di sequenze, riassunto; c) distinguere fatti ed elementi reali da quelli
c) leggere in modo funzionale al tipo di testo fantastici;
i scelto, sperimentando “stili di lettura" diversi; dì comprendere testi descrittivi, individuando
: d) leggere con espressività testi poetici analiz- l’argomento principale e ì dati descrittivi;
I zandone (alcuni) gli elementi costitutivi: versi, e) comprendere testi regolativi individuando gli
: rime, strofe, figurefetoriche, tipologia; elementi necessari a svolgere le istruzioni e la
I e) individuare le tipologie#! un testo letto (vero- loro sequenza;
! simile, reale, fantastico, fantascientifico, cronaca. /) comprendere testi informativi (interviste,
) fiaba, favola, leggenda, mito, testo poetico, comunicazioni ecc.}, individuando l'argomento
| umoristico, descrittivo, informativo-espositivo, generale,e le informazioni principali;
I regolativo, argomentativo, pubblicitario); gì individuare alcuni elementi di semplici testi
/) comprendere le principali informazioni di un poetici (versi, strofe, rime).
testo (argomento, trama, sequenze, personaggi,
luoghi, tempi, scopo comunicativo sotteso e non);
gì acquisire il gustò e la motivazione a leggere.

124
3. IL DENTRO È IL FUORI DELL'INTEGRAZIONE

Obiettivi della programmazione Obiettivi della programmazione


curricolare individualizzata

3. Produrre e n'elaborare lesti scritti: 3. Produrre e rieiaborare testi scritti:


a) produrre testi narrativo-descrittivi applicando 0) produrre testi narrativi su esperienze colletti­
le principali caratteristiche costitutive degli stessi; ve e personali; ’
b) ricostruire un testo narrativo secondo un b) scrivere testi descrittivi [di persone, animali,
diverso punto divista; oggetti, ambienti), rilevandone le caratteristiche
c) comporre storie fantastiche utilizzando tecni­ esteriori e alcuni elementi interiori (carattere,
che elaborale diverse {da un'immagine, da un atmosfera ecc);)
input, da un personaggio 0 un oggetto); c) scrivere testi regolativi elencando le diverse
d) arricchire fatti e azioni con parti narrative, fasi nella giusta sequenza (istruzioni per. uri
descrittive, riflessive, dialoghi; gioco, per prepa rare una ricetta ecc.);
e) produrre diversi tipi di lesti (resoconto di d) scrivere una lettera, tenendo conto del desti­
esperienze vissute collettivamente, cronaca gior­ natario e dello scopo del testo;
nalistica, pagine di diario, lettere); e) avviare ai riassunto.
fi avvio alla produzione di un lesto argomentativo;
g) produrre e manipolare testi poetici sulla base
di differenti criteri, collettivamente e non;
h) perfezionare gradualmente là capacità-dj
produrre testi scritti attraverso un 'processo che
vada dalla progettazione al primo abbozzo, alla
rielaborazione, alla definitiva stesura;
i) realizzare sintesi di testi letti secondo bno
schema dato 0 liberamente;
I) verbalizzare per iscritto grafici, tabelle, schemi;
m) scrivere un testo informativo che comporti
soluzioni grafiche particolari [avviso, locandina,
depliant), completo delle informazioni rispon­
denti a domande quali: “Chi? Da chi? A chi? Che
cosa? Perché? Quando? Dove?";
n) tradurre un racconto.in fumetti e viceversa.

4. Riconoscere la struttura della lingua e arricchire 4. Riconoscere la struttura della lingua e arricchire
il lessico: il lessico:
a) rispettare le convenzioni ortografiche; a) usare le regole ortografiche (digrammi, ac­
b) riconoscere e usare i principali segni di cento, doppie, apostrofo, uso dell’h);
punteggiatura; b) individuare sinonimi, controri, parole con più
c) riconoscere e classificare le parti variabili e significati anche in relazione al contesto;
invariabili del discorso (articoli, nomi, aggettivi, c) riconoscere ^struttura fondamentale di una
verbi, pronomi, avverbi, preposizioni, congiun­ frase (soggetto, predicato, espansioni), ricono­
zioni, interiezioni); scendo alcuni complementi;
d) distìnguere nel verbo i modi (finiti e indefini­ d) riconoscere le principali parti del discorso:
ti), i tempi (semplici e composti), il tipo (transiti­ nomi, verbi, aggettivi, articoli, pronomi persona­
vo intransitivo), la forma (attiva, passiva, riflessi­ li collegati al soggetto e al verbo;
va, impersonale); e) consolidare lé caratteristiche grammaticali

125
l’autismo a scuola

Obiettivi della programmazione Obiettivi della programmazione


curricolare individualizzata

e) perfezionare la capacità di individuare le del nome, riconoscendo le relazioni tra derivati,


principali strutture sintattiche (soggetto,,attribu­ alterati e composti;
ti, apposizioni, complementi diretti e indiretti); /) consolidare i vari tipi di aggettivi (qualificati­
/| riconoscere i significati deile parole in.relazio­ vi, possessivi, numerali, dimostrativi);
ne al contesto; i 5) individuare le informazioni grammaticali del
,g) riconoscere espressioni figurate, modi di dire verbo, il tempo e i modi;
e neologismi; ì h) usarei principali’segni di punteggiatura;
h) utilizzare il dizionario per risolvere problemi j) utilizzare-il dizionario per risolvere problemi
di lessico e arricchirlo e per acquisire informazio­ di lessico e di ortografia.
ni (anche grammaticali) sulle parole;
ì) comprendere l'etimologia di alcune parole.

Punti dì contatto

Sono quelli scritti in corsivo nelle due colonne relative alla programmazione individua­
lizzata e a quella curricolare. !

Obiettivi non compresi ,,

,-Vp
Sono gli altri obiettivi non evidenziati che appaiono solo in una delle due-colonne rela­
tive alle due programmazioni. ’

! QUESITO N. 2
É possibile avvicinare gli obiettivi?

Elenco i ;
i -■
if) prima colonna con ic) della programmazione individualizzata
2b) " " con 2b) " "J
3c) " " con3b)
3d),3e) " “ con3a)
------------------------------- :_________ J._______________________________

126
3. IL DENTRO E IL FUORI DELL'INTEGRAZIONE

Accorgimenti didattici

La lettura silenziosa.della classe verrà spesso proposta su testi diversi, in modo che all'al­
lievo sarà possibile sottoporre brani più semplici per controllarne la comprensione.
La produzione di testi fantastici da parte della classe inizierà a volte da immagini o foto
di personaggi e/o ambienti che saranno proposti anche all'alunno per facilitare l’os­
servazione degli elementi descrittivi. Sarà proposto un lavoro di gruppo associato al
tutorihg e finalizzato alla produzione di un giornalino di classe. ; .

QUESITO N. 3
I. materiali didattici possono essere adattati?

Modalità di lavoro

Per la produzione scritta verrà utilizzato spesso il computer, con il quale l’àljievo inte­
ragisce con notevole padronanza, con riferimento sia a programmi di videoscrittura, che
a ricerche di materiali in Internet. Letture di brani per la comprensione saranno effet­
tuate attraverso l'ascolto della lettura dell'insegnante o con l'ascolto di brani registrati
su file sonori con vóci registrate anche degli stessi bambini. t

QUESITO N. A
È proponibile per alcuni obiettivi un approccio rovesciato,-
ovvero ci sono obiettivi della programmazione individualizzata
che possono essere utili anche per la classe?

Elenco
,L

L'obiettivo ih presente nella programmazione individualizzata (descrivere oralmente


oggetti, persone, animali, ambienti, usando un lessico adeguato) sarà
*la base per

127
l'autismo a scuola

predisporre attività, sotto forma dì gioco e di indovinelli, con tutta la classe. Si ritiene,
infatti, questo esercizio verbale molto più motivante per il bambino se utilizzato con
funzione ludica ed esteso anche ai compagni per i quali può risultare un ottimo eserci­
zio di arricchiménto lessicale.
Anche l’obiettivo 2/sarà spesso sviluppato con i compagni, rie la bo ra odo interviste e
altre semplici comunicazioni perla redazione del giornalino. ■
Per esercitarsi sulla correttezza ortografica saranno proposti dettati all'intera classe
dopo aver analizzato con il bambino precise difficoltà ortografiche; tali esercizi servi­
ranno a rafforzare l'apprendimento nell’allievo di certe regole, studiate e saranno un
valido ripasso per tutti.

QUESITO N. 5
Sono pensabili e utili dei momenti nei quali promuovere
una cultura del compito?

Attività

Ogni mattina, durante le ore di italiano, si dedicheranno alcune decine di minuti alia
lettura di brani dal libr.o di lettura di quinta. Anche se l’allievo presenta numerose
difficoltà ad analizzare è riflettere sugli aspetti morfologici presenti nel contesto, con
conoscenze metalinguistiche ancora non adeguate e un linguaggio espressivo molto
limitato dal punto di vista lessicale, lo si lascerà partecipare all’ascolto della lettura ad
alta voce dei compagni, mettendolo in condizione di comprendere almeno alcune
parti del contenuto.
Inoltre l’allievo parteciperà all'organizzazione del giornalino di classe. La produzione
di articoli, la decisione di come organizzare gli spazi nelle varie pagine verrà organiz­
zata in gruppi nei quali l’allievo svolgerà alcune mansioni semplici (spostare foto e tito­
li con il computer, ritagliare lettere da altri giornali letti per la scrittura di titoli) e assi­
sterà al lavoro dei compagni su altre più complesse.

Vantaggi previsti per l'allievo

Anche se da solo non sarebbe in grado di scrivere un articolo giprnalistico, la possibi­


lità di partecipare alla stesura e organizzazione delle varie pagine lo farà sentire prota­
gonista di un evento molto importante per la classe.

128
. i
3- IL DENTRO BIL FUORI DELL’INTEGRAZIONE

I
QUESITO N. 6
L'allievo può svolgere alcune attività individuali
■ all'interno della classe? i

Attività ;

Esercitazioni dì lettura e comprensione di brani con risposte a scelta multipla o con.


risposte aperte saranno proposte con schede comprendenti brani diversificati per ogni
alunno. In queste attività l’alunno non dovrebbe aver bisogno dell'insegnante di soste­
gno, in quanto si sceglieranno brani per lui più semplici, stri quali è in grado di lavora­
re da solo (nella postazione,con il computer). Anche per le esercitazioni di analisi gram­
maticale e logica si proporranno frasi diverse per tutti gli alunni, scritte su foglietti che
i bambini sceglieranno a caso, ricopiandole sul proprio quaderno: per l'allievo con
disabilità le frasi conterranno solo le regole conosciute e saranno scritte con un carat­
tere colorato (saranno inserite, comunque, nello stesso mucchio dei compagni dal
quale potrà "pescare" lavorando nello stesso modo). ;
Si prevede l'effettuazione in classe di alcune esercitazioni particolarmente gradite, che
comprendono il lavoro al computer e il ritaglio dei giornali.

i
i
Organizzazione didattica . 1

Nella classe, di dimensioni molto ampie, è stato previsto un banco con un computer e
uno spazio con un tavolo grande per i lavori in piccoli gruppi. Questa organizzazione,
così come la disposizione dei banchi, non sarà mai modificata. L'allievo, inoltre, avrà
una propria agenda scritta, nella quale saranno elencate le attività da svolgere in clas­
se e fuori; sarà previsto nell'agenda anche uno spazio dove riportare eventuali modifi­
che che dovessero determinarsi. Alla fine di ogni attività prevista neìl’agenda, l'allievo
potrà effettuare attività a lui gradite per circa 15 minuti. :

QUESITO N.7
Quali attività devono essere promosse al di fuori della classe?

Elenco delle attività

L'allievo svolgerà fuori della classe tutte le attività necessarie alla presentazione di
argomenti nuovi (di tipo didattico, ludico e organizzativo}. Oltre ciò, saranno previste
I
l’autismo a scuola {
i

in contesti.separati attività dijsviluppo della produzione orale. Di norma l'allievo


trascorrerà fuori dalla classe circa un'ora al giorno.
ì
Organizzazione didattica j

Le attività di preparazione svoltejfuori della classe, prevedendo la trattazione degli stes­

si argomenti che l’allievo affronterà in classe, gli permetterannp dì conoscere già, anche
se in modo semplificato, i contenuti che l'insegnante tratterà^ aumentando così note­
volmente la motivazione e ampliando i tempi dell’attenzione."
Oltre ciò, verranno illustrate nelilavoro individuale le modalità di interazione corretta,
con gli altri, presentando sia situazioni concrete in modo diretto, che facendo riferimen­
to a storie sociali figurate. !

i
.1

ì
i

130
Seconda parola chiave: organizzazione

!
Come detto nell’Introduzione, progettare l’integrazione scolastica dell’allie­
vo con autismo è un percorso che, per avere successo, non può esaurirsi
nella semplice ricérca di un adattamento dell’allievo al contesto.; Al contra­
rio, almeno all’inizio, è necessario che sia proprio l’organizzazione scolasti­
ca e gli attori che la popolano a organizzarsi e modificarsi per poter rispon­
dere alle sue particolari esigenze e .al suo modo di pensare e di apprendere'.
L'allievo con autismo, infatti, a causa soprattutto dei deficit di'comunica­
zione e della sua caratteristica “cecità sociale” (Frith, 1989), ha. bisogno di
una strutturazione dell’ambiente per rassicurarsi; il suo livello dii ansia dimi­
nuisce quando sa esattamente che cosa ci si aspetta da lui in un certo
momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito, come, dove e
con chi interagirà. Eloquenti, a questo proposito le parole diiSchopler
(Schopler et al., 2005, trad. it. p. 72) quando afferma «abbiamo constatato
quanto la strutturazione dell’ambien.te aiuti il bambino a calmarsi e ad
apprendere. La mente del bambino autistico è caotica e l’ambiente ordina­
to e strutturato deve aiutarlo a mettere ordine, cosi come una protesi aiuta
a supplire alla mancanza di una struttura anatomica». Questa esigenza è
supportata anche dai resoconti di persone autistiche ad alta funzionalità e
con sindrome di Asperger, come quello di Therese Joliffe (Jqliffe, Lake-
sdown, Robinson, 1992, p. 16, trad. mia): ; ■

La vita per me è una lottaTL'incertezza riguardo cose che gli altri considerano bana­
li mi crea un'incredibile angoscia interiore. Per esempio, se qualcunp a casa dice
“Potremmo andare a fare spese'domani" oppure "Vedremo che cosà accadrà",
sembra non rendersi conto-che l'incertezza mi causa tante angosce e';che mi arro­
vello costantemente su qu'è.llo che potrà 0 non potrà accadere. La mìa indecisione
riguardo agli eventi si estende anche ad altre cose, per esempio su dóve devono
venire riposti 0 ritrovati gii oggetti e su quello che le persone si aspettano da me.

131*
l'autismo a scuola

in contesti separati attività di sviluppo della produzione orale. Di norma l’allievo


trascorrerà fuori dalla classe circa un'ora al giorno.

Organizzazione didattica

Le attività di preparazione svolte fuori della classe, prevedendo la trattazione degli stes­
si argomenti che l'allievo affronterà in classe, gli permetteranno di conoscere già, anche
se in modo semplificato, i contenuti che l’insegnante tratterà, aumentando così note­
volmente la motivazione e ampliando i tempi dell'attenzione.
Oltre ciò, verranno illustrate nel lavoro individuale le modalità di interazione corretta
con gli altri, presentando sia situazioni concrete in modo diretto, chefacendo riferimen­
to a storie sociali figurate.

130
Seconda parola chiave: organizzazione

Come detto nell* Introduzione, progettate l’integrazione scolastica cieli'allie­


vo con autismo è un percorso che, per avere successo, non può esaurirsi
nella semplice ricerca di un adattamento dell’allievo al contesto. Al contra­
rio, almeno all’inizio, è necessario che sia proprio l’organizzazione scolasti­
ca e gli attori che la popolano a organizzarsi e modificarsi per poter rispon­
dere alle sue particolari esigenze e al suo modo di pensare e di apprendere.
L’allievo con autismo, infatti, a causa soprattutto dei deficit di comunica­
zione e della sua caratteristica “cecità sociale” (Frith, 1989), ha bisogno di
una strutturazione dell’ambiente per rassicurarsi; il suo livello di ansia dimi­
nuisce quando sa esattamente che cosa ci si aspetta da lui in un certo
momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito, come, dove e
con chi interagirà. Eloquenti a questo proposito le parole di Schopler
(Schopler et al., 2005, trad. it. p. 72) quando afferma «abbiamo constatato
quanto la strutturazione dell’ambiente aiuti il bambino a calmarsi e ad
apprendere. La mente del bambino autistico è caotica e l’ambiente ordina­
to e strutturato deve aiutarlo a mettere ordine, cosi come una protesi aiuta
a supplire alla mancanza di una struttura anatomica». Questa esigenza è
supportata anche dai resoconti dì persone autistiche ad alta funzionalità e
con sìndrome di Asperger, come quello di Therese Joliffe (Joliffe, Lake-
sdown, Robinson, 1992, p. 16, trad. mia):

La vita per me è una lotta. L’incertezza riguardo cose che gli altri considerano bana­
li mi crea un’incredibile angoscia interiore. Per esempio, se qualcuno a casa dice
"Potremmo andare a fare spese domani” oppure “Vedremo che cosa accadrà",
sembra non rendersi conto che l'incertezza mi causa tante angosce e che mi arro­
vello costante mente" su quello che potrà 0 non potrà accadere. La mia indecisione
riguardo agli eventi sì estende anche ad altre cose, per esempio su dove devono
venire riposti 0 ritrovati gli oggetti e su quello che le persone si aspettano da me.

131
l’autismo a scuola

Credo che fa causa di tutta ia mia paura sia la confusione che mi provoca il non
essere in grado dì capire il mondo intorno a me. Questa paura mi porta al bisogno
di chiudermi. Qualsiasi cosa aiuti a ridurre la confusione ha come effetto di ridur­
re la paura e in definitiva l’isolamento e la disperazione, quindi rende la vita
sopportabile. Se solo potessero sperimentare che cos'è l'autismo, anche solo per
pochi minuti, allora saprebbero come aiutarci.

Nel capitolo 4 l’attenzione verrà concentrata sulla necessità di organizzare


l’ambiente allo scopo di fornire informazioni precise e facilmente decifrabili
all’allievo con autismo. Questo modello di organizzazione, come avremo
modo di appurare, non va inteso come una forma di rigidità, ma, al contra­
rio, è da considerare come il presupposto per costruire forme di flessibilità
cognitiva negli allievi con autismo.

132
4. Adattare l’ambiente

H)'

• Dove si svolgono le attività?


• Che cosa facciamo questa mattina?
» Quando finisce questo compito?
• Che tipo di attività devo fare?

Di fronte a quesiti apparentemente così banali, gli allievi con autismo, per le
caratteristiche che abbiamo messo in risalto nei capitolo 1, si trovano soven­
te nella condizione di non avere informazioni adeguate e tali incertezze si
connettono con l’innalzamento dell’ansia, con problemi comportamentali e,
più in generale, con una difficoltà di vivere nell’ambiente sociale.
È necessario, come messo già in risalto, fornire indicazioni precise su che
cosa ci si aspetta da loro in un determinato contesto o in una certa situazio­
ne, che cosa succederà dopo, con quali compagni o adulti si troveranno a
interagire ecc.
Il contributo principale a questo livello è stato fornito all’interno del
programma teacch da Schopler e dai suoi collaboratori con la proposta
deWinsegnamento strutturato. Si tratta di imuinsieme di strategie che cercano
di rendere evidenti le aspettative e .le opportunità dell’ambiente, attraverso
modalità visive che la persona cnn turismo può capire, imparare e trovare
ancH7e^7acevoIiTperché.diventano-per-lm-piùcomprcnsibili.La modalità
visiva, infatti, fa-riferimento a quello che costituisce solitamente unpuntqdi
forza per il bambino con autismo. Si tratta, in altre parole, di fornire all’allie­
vo un quadro temporo-spaziale molto strutturato, nel quale Ì punti di riferi­
mento siano visibili, concreti e prevedibili.
La strutturazione, tuttavia, non deve significare rigidità ma, al contrario,
essere assolutamente flessibile, costruita in funzione dei bisogni e dei livelli

133
^2) v\A3>o cS—^
i j
L’AUTISMO A SCUOLA ?:!;< ;

di sviluppo del singolo allievo e soggetta a modifiche in ogni momento; né


deve essere fine a sé stessa, bensì rappresentare un mezzo per aiutare la perso- ?b ;
na in difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare. Ab}
Nella scuola appaiono proficuamente utilizzabili tre applicazioni deriva-
te dai principi dell’insegnamento strutturato; '
• F organizzazione degli spazi nei quali prevedere le attività didattiche; ?■
• gli schemi visivi per chiarire la sequenza delle attività previste;
• l’organizzazione del compiti finalizzata a informare circa le attività da fare i'
e per quanto tempo.

A tali applicazioni viene dedicata attenzione in questo capitolo. ''

4.1. L’organizzazione degli spazi .

Rendere l’ambiente scuola maggiormente prevedibile per l’allievo con auti- - >
sino rappresenta una condizione importante per facilitargli una migliore ■
presenza e per incrementare le sue possibilità di concentrazione sulle attività, ’■
abbassando nel contempo il livello di ansia. Nel momento in cui gli spazi A
della scuola sono individuati nella loro disposizione e facilmente raggiungi- -
bili, l’allievo dispone eli punti di riferimenr.Q .importanti pcr-sentirsi in un 7
contesto non caotico e sconosciuto... Oltre all’aula della propria classe e a
quella per le attività individualizzate, la strurturazione deve interessaie anche ,.y-;t
gli altri ambienti, come i laboratori, la palestra, la mensa, l’atrio, il giardino,
gbagni. Per quanto riguarda la facilitazione dell’orientamento nell’edifìcio ;v
scolastico, possono essere utilizzate indicazioni di differenti tipologie, come f
frecce o fasce colorate lungo il corridoio per indicare i diversi percorsi per <<
raggiungere i vari spazi (ad es. linea verde conduce alla classe, linea gialla ’A
conduce alla mensa ecc.).
E importante anche che tali spazi siano caratterizzati apprendendo.,nella. ■<
porta d’ingressojm oggetto, una foto o .un’immagine che anticipiFambien- A;
te e le rispettive attività (ad es. il disegno della palla sulla porta della palestra .
ecc.). Non ci si deve sorprendere se lo stesso allievo che dimostra notevoli . A
capacità visuospaziali, sia poi in grande difficoltà a orientarsi spazialmente.
'Filippo, ad esempio, è in grado di disegnare con ricchezza dì particolari / >
oggetti e ambienti visti anche solo per pochi minuti, ma poi incontra rilevan- / A, ■
ti difficoltà a ritrovarsi nei vari ambienti, anche quelli conosciuti, se noni
Lsono presenti indicatori visivi che lo aiutino. "

134
ÓJU IfiùWLLtoA JJlà>
4. ADATTARE L'AMBIENTE

Figura 4-1- L’organizzazione della scuola di Roberta

Nella figura 4.1 è illustrato lo schema della scuola di Roberta, appeso nella
sua aula per le attività individualizzate, che l’allieva ha ben memorizzato e
che le consente spostamenti autonomi nella struttura scolastica.
Quando Tallìevo dimostra di familiarizzare con il contesto, le facilitazio­
ni visive possono risultare non più necessarie, per cui andranno progressiva­
mente eliminate per conferire all’organizzazione una conformazione il più
normale possibile.
E molto importante, inoltre, che ogni luogo sia deputato allo svolgimen­
to di una particolare attività irLjnarùeta che, quando l’allievo si trova intro­
dotto in tale zona, riesce autonomamente a individuare quale compito deve
eseguire.,Questo principio vale anche per l’organizzazione della classe, all’in­
terno della quale dovrebbero essere previsti spazLper lo svolgimento di speci­
fiche attività, come ad esempio una zona per la lettura; una per il giocò, <una
per il riposo, una per l’attività in piccoli gruppi ecc., delimitandole se neces­
sario con supporti visivi (ad es. contornare con nastro adesivo colorato il
banco dell’allievo, con un nastro di colore diverso lo spazio del lavoro collet­
tivo ecc.). In questo modo l’allievo sarà facilmente in grado, dopo un certo
periodo di tempo, di connettere un determinato spazio con quel particolare
compito e potrà aumentare la durata della sua permanenza nel contesto della
classe (si vedano, a questo proposito, le argomentazioni sviluppate nel para­
grafo precedente parlando “del dentro e del fuori dell’integrazione”).

135
l’autismo a scuola

Figura 4.2. L'organizzazione della classe di Filippo

SeaEtd't

Da quanto detto è immediatamente evidente come una variabile significati­


va per il successo delTintegrazione sia rappresentata ampiezza dèU’auIa.
Se gli unici spazi disponibili per Fattività didattica sono i banchi dei bambi­
ni e la cattedra dell’insegnante, le prospettive di facilitare la presenza qualita­
tiva dell’allievo con autismo in classe si riducono drasticamente. Questo
elemento va tenuto nella debita considerazione quando si pianificano gli
aspetti organizzativi e porta ancora in primo piano il ruolo determinante che
deve svolgere il dirigente scolastico.

Nella figura 4.2 viene mostrata l’organizzazione degli spazi nella classe di
Filippo, la quale rappresenta un buon esempio di strutturazione, che si è
comunque andata attenuando in confronto ai primi anni di frequenza della
scuola primaria. Come si può notare sono previsti contesti definiti per l’atti­
vità individuale e per i lavori in piccoli gruppi, oltre a un pannello di sughe­
ro appèso al muro, nel quale sono collocati gli schemi visivi e altre informa­
zioni importanti per l’allievo.
L’organizzazione funzionale dello spazio in relazione alle esigenze dì
molti allievi con autismo può prevedere anche un ridimensionamento di
possibili stimoli distraenti presenti nella classe e negli altri ambienti di lavo-

136
4- adattare L'AMBIENTE

io didattico, quando si ritiene che gli stessi possano condizionare negativa­


mente la fecalizzazione dell’attenzione sui compiti rilevanti. A questo scopo
vanno valutati gli effetti che si ottengono riducendo il numero dei cartello­
ni appesi alle pareti o di altri stimoli simili presenti negli spazi deputati
all’effettuazione di attività didattiche. È utile che tali spazi siano vicini a
scaffali o a ripostigli per agevolare l’accesso ai materiali necessari per l’inse-
gnamento.
Per alcuni allievi il banco posto di fronte a un muro bianco elimina le
distrazioni e aiuta a concentrare l’attenzione sugli aspetti rilevanti delle loro
attività di apprendimento; per altri abbassare il sovraccarico sensoriale ridu­
ce i comportamenti problematici. Gli insegnanti di Luca, a questo proposi­
to, hanno rilevato che collocando la sua postazione per il lavoro individuale
in modo che l’allievo sia rivolto verso il muro con Ì compagni alle spalle ha
ridotto di molto i suoi comportamenti inadeguati (soprattutto gridare e
morsicarsi la mano), allungando conseguentemente i tempi della sua perma­
nenza in classe.

Oltre alla classe va adeguatamente organizzato anche lo spazio per le attività


individualizzate, in modo che possa rispondere alle esigenze specìfiche di
ogni allievo. Per Giuseppe, ad esempio, l’aula prevede una zona con compu­
ter e stampante. Alla parete vi è una bacheca con.flash-card per la comunica­
zione (bagno, merenda, imprevisto, lavarsi le mani ecc.). Quando Giuseppe
ha bisogno di andare in bagno, ad esempio, stacca l’etichetta con l’apposita
immagine e la consegna all’insegnante che lo autorizza a uscire dall’aula indi­
viduale. Inoltre è presente un calendario che si riferisce sia alle persone che
lavoreranno con 1’aJlievo sia alle materie che verranno svolte.
In un’altra parete dell’aula vi è il contenitore per gettare la carta, un banco
in cui vengono svolte attività ludiche, un orologio che serve per indicare
l’inizio e la fine delle attività e un cartello con la regola “Non ruttare”, il
quale viene mostrato a Giuseppe in concomitanza con la sua azione, che
incomincia a provocargli anche dei problemi fìsici.
Il suo tavolo da lavoro è composto da quattro banchi; Giuseppe nell’aula
individuale lavora davanti all’insegnante che alla sua destra ha la cartellina
pronta con il materiale delle lezioni da svolgere. Vi è inoltre un armadio che
contiene il materiale che serve per le attività didattiche e, appesi a un’altra
parete, vi sono un calendario, un appendiabito e le norme di sicurezza. Nella
figura 4.3 è illustrata l’organizzazione dell’aula.

137
l'autismo a scuola

Figura 4-3- L’organizzazione dell’aula per le attività individuali di Giuseppe

4.2. Gli schemi visivi

Abbiamo visto come Forganizzazione dell’ambiente faciliti agli allievi


l’identificazione dei luoghi dove si svolgono le diverse attività; gli schemi
visivi, invece, preannunciano le attività da effettuare e la sequenza delle stes­
se, aiutando ad anticipare e prevedere i vari compiti. Si tratta di una serie di

138
4. ADATTARE L’AMBIENTE

oggetti, o immagini o scritte che illustrano all’allievo, con una modalità visi­
va, le attività programmate e che deve effettuare. Il ricorso agli schemi visi­
vi è estremamente importante con gli allievi affetti da autismo, in quanto gli
stessi hanno poca capacità di memorizzare informazioni trasmesse verbal­
mente, mentre la discriminazione e la memoria visiva rappresentano sicura­
mente dei punti di forza. Spesso i bambini autistici hanno un orientamen­
to temporale così deficitario che possono prevedere un compito spiacevole
di durata infinita, non riuscendo a percepire che esso potrà essere seguito da
un’attività divertente. A questo proposito, i programmi della giornata visi­
vamente chiari, offrono diversi tipi di aiuto (Schopler, Mesìbov, Kunce,
2001):
• minimizzano i problemi legati ai disturbi della memoria e dell’attenzione;
• riducono Ì problemi con il tempo e l’organizzazione;
• compensano i problemi del linguaggio recettivo, che rappresentano un
ostacolo anche alla capacità di seguire indicazioni verbali;
• favoriscono l’indipendenza degli allievi, specialmente dall’interazione
negativa con l’insegnante dovuta al bisogno continuo di sapere che cosa
succederà dopo;
• aumentano l’automotivazione, in quanto rendono prontamente disponi­
bili promemoria visivi, ì quali ricordano che “ prima viene il lavoro e poi Ì1
gioco”.

Gli schemi visivi variano a seconda del livello di sviluppo del bambino. Le
attività da svolgere possono essere presentate con diverse modalità comuni­
cative. Si può andare da una Comunicazione attraverso oggettiìper bambini
(non v^rEaucon
---- - । -I -- .. a—. forme
gravrcarenze, . più simboliche
.. e. astratte che-r-.^prevedo-
- --r .-r ... ’ • V
no luttlizzqdi fotografìe, disegni, numeri, parole. L’individualizzazione è
fondamentale per creare uno strumento facilmente comprensibile per ogni
allievo, in modo che possa muoversi con indipendenza da un’attività all’al­
tra, anche nei momenti in cui è più nervoso e agitato. Le variabili da consi­
derare quando si crea uno schema per un individuo sono: il tipo, la lunghez­
za, in che modo deve essere usato e dove dovrebbe essere posto. Con il
passare del tempo, le caratteristiche dello schema della persona generalmen­
te cambiano, in quanto con l’esperienza l’allievo si abitua all’uso e sviluppa
maggiore capacità di gestione, riuscendo anche a farne a meno.
Nelle schede 4.1-4.3 riportiamo gli schemi di organizzazione della giorna­
ta previsti per Marco, Luca e Roberta. Come è evidente, l’età e le caratteristi­

139
L'AUTISMO A SCUOLA

che cognitive degli allievi condizionano la tipologìa di schema, passando da


oggetti, a disegni, a parole.

Scheda 4.1. Lo schema della giornata di Marco

La mattinata di Marco prevede l'appello, il colorare, il lavoro individuale sugli


incastri, il gioco con la palla e poi la mensa. Ognuna delie attività è illustrata attra­
verso degli oggetti (il quaderno per segnare le presenze, ì colori ecc.) posti negli
scaffali, che l’allievo prende e porta ne! luogo dove si svolge il compito. Una volta
completata l’attività gli oggetti vengono riposti nel contenitore del "finito".

Scheda 4.2. Lo schema della giornata di Luca

La giornata illustrata nello schema visivo prevede inizialmente l'attività didattica


svolta nel proprio banco in classe, poi la ricreazione, di seguito l'attività motoria in
palestra, quindi il pranzo e infine un'uscita didattica con il pulmino. ! simboli
utilizzati sono ben conosciuti da Luca e sono collocati anche negli ambienti dove si
svolgono le attività. In classe lo schema visivo è appeso sul muro vicino al suo
banco. Anche in questo caso sotto lo schema è posta la scatola del “finito”, dove
collocare i simboli una volta completata l’attività.

140
4- ADATTARE L'AMBIENTE

Scheda 4.3. Lo schema della giornata dì Roberta

Roberta è in grado di decifrare alcune parole attraverso la lettura funzionale. Per


tale motivo il suo schema visivo è composto da parole scritte (foto a destra) attac­
cate al muro attraverso una striscia di velcro, che l’ali leva riesce a riconoscere
agevolmente e a col legare con l’attività da svolgere. In una fase iniziale, per facili­
tare il riconoscimento delle parole, sono state utilizzate delle immagini (foto a
sinistra) associate alle parole, che poi sono siate progressivamente eliminate con
un processo di fading (si veda il paragrafo 6.1.2, pp. 176-8).

Oltre allo schema visivo della giornata, può essere utile, per alcuni allievi,
prevederne altri relativi a perìodi temporali più ampi, come ad esempio la
settimana. In questo caso io schema assume la valenza di calendario, che deve
diventare sempre più simile alle agende gestite da ogni allievo. Nella scheda
4.4 è illustrato il calendario di una settimana per Giuseppe.

141
l’autismo a scuola

Scheda 4.4. Lo schema della settimana di Giuseppe

\iwno
Lunedì Martedì Mercoledì Giovedì . Venerdì Sabato
ora

Laboratorio Laboratorio
8.30-9.30 Matematica Italiano Matematica Storia
artistico artistico

9.30-10.30 Individuale Individuale Individuale Individuale Individuale Individuale

10.30-11.00 Ricreazione Ricreazione Ricreazione Ricreazione Ricreazione Ricreazione

Educazione Educazione Laboratorio Laboratorio


11.00-12.00 Individuale Inglese
motoria motoria musicale musicale

12.00-13.00 Individuale Individuale Individuale Geografia Individuale Individuale

Giuseppe risulta molto facilitato dal calendario settimanale con indicazione anche
dell'ora di inizio e fine dell’attività. Riesce infatti a regolarsi con l'orologio presen­
te sia in classe che nella sua aula per le attività individuali. Segna con una croce le
cose fatte. Se sì prevedono novità nel corso della settimana vengono indicate nel
calendario in modo che Giuseppe sia preparato.

43. L'organizzazione dei compiti e delle attività

La possibilità di organizzare anche i compiti e l’utilizzo dei materiali in manie­


ra chiara e con forti indizi visivi facilita sicuramente la comprensione degli
allievi e rende meno necessaria la presenza continua dell’insegnante o dell’assi­
stente educativo al loro fianco. Come abbiamo visto nel capitolo precedente,
non sempre questo è possìbile, ma va tenuto nella debita considerazione per
facilitare il lavoro autonomo da svilupparsi all’interno della classe.
Un altro aspetto al quale è necessario dedicare molta attenzione è la durata
dei compiti. Con gli schemi visivi si indica la successione delle attività previste
nella giornata, ma quando si deve considerare terminata ognuna di queste atti­
vità? Spesso l’insegnante utilizza forme verbali che risultano sicuramente poco
comprensibili per l’allievo con autismo, del tipo: “Adesso facciamo questo
lavoro, poi giochiamo con le macchinine”. Ma, quando comincia il “poi”?
Come detto in precedenza, queste comunicazioni vaghe possono determinare

142
4- ADATTARE l/AMBiENTE

Figura 4.4. Aiuti organizzati secondo il principio progressivamente crescente

Consapevolezza indicazione
verbale
di aver finito 0 campanella

aumento dell’ansia nell’allievo, nel momento in cui lo stesso non possiede la


capacità di interpretarle adeguatamente. L’approccio da adottare, a nostro
avviso, è quello che può essere definito come “dal minore al massimo livello di
aiuto”. In altre parole, se riusciamo a ottenere quanto desiderato con modali­
tà del tutto simili a quelle adottate con l’intera classe, non esiste alcun motivo
per introdurre degli aiuti che poi dovranno essere ridotti (cfr. FIG. 4-4)-
La prima e più “ecologica” modalità per richiedere all’allievo con autismo
di sospendere l’attività viene dalla comprensione da parte sua di aver comple­
tato il compito. Questa situazione può essere facilitata dall’organizzazione
molto esplicita e visiva del compito e del risultato atteso.
Un’altra procedura molto naturale può essere quella di richiedere di
interrompere l’attività attraverso una comunicazione verbale (ad es. dicendo
all’allievo “Stop!” oppure “Il lavoro è finito”).
Pure il riferimento alla campanella può risultare del tutto in sintonia con
l’organizzazione scolastica, anche se, in questo caso, è molto difficile sintoniz­
zare i tempi di lavoro dell’allievo con autismo con il suono della campanella.
Nel momento in cui queste modalità molto naturali non dovessero essere
sufficienti, come avviene nella maggior parte dei casi, sì può ricorrere a proce­
dure maggiormente assistite. La predisposizione di orologi adattati può essere
un sistema interessante. Si tratta di grossi orologi che hanno una lancetta che
si muove fta due immagini: la prima del bambino che prende i materiali per
effettuare l’attività e la seconda che li ripone in quanto il compito è terminato.
Il tempo ffa le due foto va chiaramente regolato sulle caratteristiche dell’allie­
vo. In relazione all’età e al livello di funzionalità cognitiva dell’allievo, le imma­
gini possono essere rese più simboliche, passando da foto a disegni schematici,
o sostituite con parole scritte. Nella figura 4.5 è riportata una sveglia adattata,
che è stato predisposta per regolare i tempi di lavoro di Roberta (insieme
all’insegnante, prima di iniziare un’attività Roberta posiziona il suo orologio
da polso su “Inizio” — come nella sveglia — e sa che deve smettere quando la
lancetta arriva sull’indicazione “Fine”).

143
l'autismo a scuola

Figura 4.5. Orologio adattato per Roberta

II medesimo scopo può essere perseguito anche attraverso clessidre che l’al­
lievo stesso può attivare.
Per ultimo, va segnalata l’organizzazione prevista all’interno del program­
ma teacch, che si riferisce alla predisposizione di scaffali di lato al banco
dell’allievo. Nello scaffale di sinistra vengono collocati i materiali utili per lo
svolgimento dei compiti, in quello di destra vengono appoggiati gli stessi
materiali una volta completato il compito. L’attività termina quando non ci
sono più cose a sinistra e tutte sono state spostate a destra. Nella figura 4.6 è
illustrata l’organizzazione del lavoro individuale prevista per Marco.

Figura 4.6. Postazione perii lavoro individualizzato di Marco

144
Terza parola chiave: didattica speciale

Eccoci giunti alla parte più corposa del lavoro dedicata all’analisi delle meto­
dologie di lavoro sviluppabili a scuola per favorire apprendimenti significati­
vi, sia di tipo cognitivo che sociale, per allievi con autismo. È stato messo in
evidenza a più riprese come fattività educativa rappresenti l’intervento elet­
tivo e come, nel tempo, siano stati proposti numerosi modelli di intervento
per allievi con autismo, anche se non tutti supportati da consistenti ancorag­
gi scientifici e valìdati attraverso sperimentazioni controllate.
La gran parte dei programmi specifici per l’autismo, fra l’altro, è stata
sviluppata in ambienti particolari, rappresentati da istituzioni speciali o
ambiti riabilitativi. Certamente vanno conosciuti, ma nello stesso tempo
devono essere adattati al contesto integrato, per poter rispondere anche alle
esigenze inclusive che la scuola fortemente enfatizza.
È questo lo sforzo che si cercherà di fare nei sette capitoli che compongo­
no la terza parte, riferendoci sempre ai nostri allievi con autismo. Nello
specifico saranno presi in considerazione i seguenti aspetti:
• il ruolo e le potenzialità dell’educatore nella valutazione dei punti di forza
e di debolezza degli allievi con autismo;
• le caratteristiche e l’applicabilità a scuola dei principali programmi di
intervento per l’autismo sviluppati dalla ricerca internazionale;
• le procedure per facilitare le prime forme di relazione degli allievi con
l’ambiente, con riferimento particolare aU’intersoggettività e al gioco;
• le metodologie per favorire forme significative di comunicazione, sia di
tipo verbale che non verbale;
• le modalità per affrontare gli eventuali problemi comportamentali degli
allievi con autismo, puntando non soltanto su tecniche di contenimento, ma
anche su proposte per sviluppare comportamenti alternativi;

145
l’autismo a scuola

• l’approccio didattico da privilegiare per coinvolgere gli allievi in appren­


dimenti cnrricolari adeguati alle competenze personali;
• le strategie di lavoro per supportare adeguatamente nell’apprendimentot
gli allievi con. elevati livelli di funzionalità e con sindrome di Asperger.

I capitoli non vanno considerati come parti a sé stanti, ma come componen­


ti di un approccio che deve portare allo sviluppo di una reale didattica-
speciale di qualità per i nostri allievi. Esistono, come vedremo, molti
programmi e strategie specìfiche, ma senza un orientamento realmente
inclusivo si corre il rischio che possano favorire solo momenti di lavoro sepa­
rato e non sfruttare appieno le potenzialità che la scuola di tutti offre; poten­
zialità a livello di apprendimento, di interazione, di generalizzazione.

146
s c. Valutare i punti di forza
e di debolezza degli allievi con autismo:
il contributo dell’educatore

• io sono un insegnante non uno psicologo: come posso valutare allievi così strani?

Nel capitolo 2 è stato messo in evidenza il ruolo fondamentale che riveste la


valutazione nella programmazione di attività educative riferite ad allievi con
autismo. La delineazione di un adeguato piano educativo individualizzato
necessita di una serie di elementi di conoscenza che debbono essere portaci
sia dagli specialisti che dai genitori, che dal personale educativo. Valutare le
abilità e le difficoltà di un allievo con autismo richiede, infatti, un approccio
integrato fra le diverse figure (specialisti, insegnanti, genitori), perché l’esi­
genza primaria è quella di osservarlo nel suo ambiente di vita naturale.
Con questa affermazione, che poniamo a fondamento del capitolo, non
si vuole mettere in discussione il ruolo sicuramente centrale dei clinici e le
loro responsabilità specifiche, ma solo ribadire che tutto il percorso non può
portare a riscontri significativi senza un procedere sinergico e condiviso.
Le figure educative, così come i genitori, hanno una valenza strategica in
questo processo, per la possibilità che è offerta loro di osservare gli allievi in
contesti ecologici. Questa potenzialità, però, rimane sovente inespressa per
lìmiti di natura metodologica, legati sia alla scarsa padronanza delle proce­
dure tecniche, che alla carente conoscenza degli strumenti. E se questo è
naturale per i genitori, non risulta giustificabile per gli insegnanti, malgrado
ci si muova in un contesto caratterizzato da grande complessità.

In questo capitolo vengono esaminati una serie di approcci metodologici e


di relativi strumenti che risultano applicabili a scuola al fine di verificare i
punti di forza e ì punti di debolezza degli allievi con autismo. Tutto questo,
come già detto, rappresenta la premessa essenziale per poter programmare e
sistematicamente aggiustare dei piani di intervento personalizzati e, nei limi­
ti del possibile, integrati. In concreto, ci si sofferma sui seguenti punti:

147
l’autismo a scuola

» l’utilizzo di prove strutturate;


• la rilevazione delle competenze attraverso le check list;
• le strategie di osservazione descrittiva e sistematica;
• l’analisi funzionale del comportamento.

5.1. Prove strutturate

L’impiego di prove strutturate, di test standardizzati per la valutazione di


abilità, è una procedura che ha goduto di alterne fortune a livello scolastico
e che anche attualmente può annoverare sostenitori convinti e critici feroci.
Esula certamente dai ristretti ambiti di questo lavoro un’analisi dettagliata
del dibattito esistente sull’impiego delle prove di valutazione standardizzate
a scuola e sul ruolo che dovrebbero ricoprire nella somministrazione le diver­
se figure professionali (insegnante, pedagogista, psicologo, neuropsichiatra).
È certo, comunque, che alcuni strumenti di verifica oggettiva dell’apprendi­
mento (lettura, scrittura, matematica ecc.) risultano di grande utilità, soprat­
tutto quando si interagisce con bambini che presentano difficoltà specifiche
di apprendimento o situazioni di disabilità.
Nel caso degli allievi con autismo le principali prove strutturate utilizzabi­
li hanno, di norma, una valenza clinica e, conseguentemente, possono essere
previste solo nel momento in cui la somministrazione avviene sotto la respon­
sabilità di personale specializzato. Questo non significa, però, che il ruolo
degli insegnanti si deve annullare e che l’unica posizione che questi possono
assumere sia quella di semplice attesa di indicazioni operative. Due elementi
di fondo, al contrario, conferiscono una valenza strategica alla partecipazione
del personale educativo al momento valutativo, condotto anche attraverso
prove strutturate: da un lato la possibilità di prevedere le rilevazioni nell’am­
biente familiare dell’allievo, con la presenza di persone conosciute; dall’altro
Futilità dì condividere in équipe tutti gli strumenti, per facilitare la compren­
sione delle procedure e stimolare l’individuazione condivisa di un itinerario
didattico. Troppo spesso questo processo virtuoso è reso problematico, o
addirittura impossibile, da due atteggiamenti contrapposti, ma ugualmente
negativi: quello di chiusura degli specialisti, timorosi di perdere il loro ruolo
esclusivo, e quello dì delega assoluta degli educatori, motivato soprattutto da
un senso di inadeguatezza conseguente a carente preparazione specifica. Al
contrario, la ricerca e le esperienze più significative hanno dì mostrato quanto
sia stata lungimirante la posizione assunta già un paio di decenni orsono dalla

148
5. VALUTARE ) PUNTI Di FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

divisione teacch (Schopler, Mesibov, 1988), nel momento in cui ha adotta­


to un approccio integrato a livello di équipe e nel rapporto della stessa con le
famìglie. partendo addirittura da una formazione congiunta. Tale filosofia di
lavoro ha consentito di potenziare la conoscenza da parte di tutti delle carat­
teristiche del disturbo, di affinare l’abilità per affrontare i problemi connessi al
lavoro con allievi autistici, di sviluppare un sentimento di responsabilità
condivisa relativa al trattamento. In sintesi, quindi, la collaborazione tra
specialisti (medici, psicologi, pedagogisti, insegnanti, tecnici della riabilitazio­
ne), a partire dal momento della valutazione, rende l’équipe capace dì vedere
l’allievo in maniera globale, di avvalersi in modo più efficace dei riscontri
ottenuti e di interpretarli nella prospettiva del progetto educativo.

Tornando alle prove strutturate utilizzabili a scuola con allievi affetti di


disturbo autistico, riteniamo che la loro significatività debba essere valutata
alla luce di tre parametri fondamentali:
• la possibilità di essere implementate ìn maniera ecologica, senza alterare
troppo l’ambiente naturale degli allievi, la tipologia di attività solitamente
previste e le persone di riferimento;
• l’opportunità offerta di valutare non solo lo sviluppo e le competenze
effettive degli allievi, ma anche quelle potenziali o emergenti, la cosiddetta
“zona di sviluppo prossimale” teorizzata per primo da Vygotskij (1978);
• il riferimento a una standardizzazione dei punteggi, in grado di conferire
ai dati grezzi che si ottengono un significato più ampio, che faciliti il proces­
so di interpretazione degli stessi.

Di seguito viene presentato un esempio di utilizzo delle scala PEP3 (Psycho-


Educatìonal Profìle; Schopler et al., 2005), che rappresenta lo strumento di
maggiore riferimento per la definizione del profilo funzionale degli allievi
con autismo e che risponde positivamente ai criteri qualitativi sopra indica­
ti. Si accennerà anche all’AAPEP, che persegue le stesse finalità con allievi in
età adolescenziale e con adulti.

5.1.1. La definizione del profilo funzionale attraverso la scala pep3

La scala pepj rappresenta l’ultima revisione dello strumento elaborato all’in­


terno della Divisione teacch del Nord Carolina per la definizione del profi­
lo funzionale degli allievi con autismo. La versione precedente, denominata
l'autìsmo a scuola

pep-r (Psycho-Educational Profilo Revised; Schopler et al., 1990), è stata


utilizzata con sistematicità per molti anni allo scopo di identificare le abilità
dì bambini con autismo, valutando i loro punti dì forza e di debolezza e indi­
viduando le “abilità emergenti”, cioè quelle suscettibili dì miglioramento
attraverso un intervento mirato.
Per mettere in risalto adeguatamente la valenza del PEP3 è utile partire
dalla descrizione del pep-r, che condivide la stessa filosofìa, e poi vedere le
principali evoluzioni apportate.
La valutazione funzionale effettuata con il pep-r si indirizza a sette aree
evolutive: imitazione, percezione, attivitàfini-motorie, attività grosso-motorie,
integrazione oculo-manuale,prestazioni cognitive, prestazioni cognitive di tipo
verbale. £ prevista, inoltre, una scala di comportamento, attraverso la quale
identificare i comportamenti inusuali caratteristici dell’autismo: relazioni e
affettività, gioco e interesse nei confronti del materiale, modalità sensoriali,
linguaggio.
Nel momento in cui il bambino viene osservato attraverso le griglie del
pep-r, in situazioni strutturate o nelle sue interazioni con l’ambiente di vita
(famiglia e scuola), si riescono a individuare le prestazioni che è in grado di
manifestare e quelle non padroneggiate. Fra questi due livelli prestativi è
collocata un’area critica dì apprendimento, che è importante delineare per la
pianificazione delle linee di intervento educativo personalizzato. In-altre
parole, il pep-r, come già accennato, non si limita a valutare solo le abilità e
ì deficit, ma permette anche di indagare il livello che Schopler e collaborato­
ri (1990) chiamano “emergente”. Tale livello è costituito da una serie di
risposte che dimostrano come un bambino abbia una cena idea di quello che
occorre per adempiere a un compito, pur senza possederne la piena cono­
scenza o l’abilità necessaria per completarlo con successo. Si tratta, in altre
parole, di quella zona che già Vygotskij (1978) aveva chiamato “di sviluppo
prossimale”, o “potenziale" e definito come la «distanza fra il livello attuale
di sviluppo del bambino, così come è determinato da problem solving auto­
nomo e il livello di sviluppo potenziale, così come è determinato attraverso il
problem solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri
pari più capaci» (ivi, trad. it. p. 127).
Anche le linee guida elaborate dalla Società italiana di neuropsichiatria
dell’infanzia e dell’adolescenza (sinpia, 2005) mettono in risalto Ì molti
vantaggi correlati all’utilizzo dello strumento, che sono, di fatto, intrinseci
alla stessa scala e riguardano la presenza di materiale strutturato concreto e

150
5- VALUTARE I PUNTI DI FORZA E Di DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

attraente per il bambino, la flessibilità nella somministrazione, l’assenza di


tempi cronometrati, il fatto che la maggior parte degli item non richieda
capacità verbali. «I programmi d’intervento che conseguono si basano sulle
capacità emergenti: le probabilità di successo di un simile piano educativo
sono alte poiché l’apprendimento inizia ad un livello appropriato al singo­
lo soggetto in esame» (ivi, p. 22). DÌ particolare rilievo è l’identificazione
delle abilità emergenti, poiché saranno queste a essere selezionate come
obiettivi del programma educativo una volta ottenuta la collaborazione del
bambino e una volta consolidata la capacità di lavorare in maniera indipen­
dente.

La scala pepj, pur presentando un’articolazione molto simile alla preceden­


te versione dello strumento, cerca di migliorarla sìa da un punto di vista
psicometrico che da quello applicativo. In concreto, la gran parte degli item
del PEP3 sono rimasti invariati rispetto al pep-r, ma nel manuale di sommi­
nistrazione la descrizione delle prove e i criteri per l’attribuzione del relativo
punteggio sono spiegati in maniera estremamente più chiara. Sono stati
eliminati, inoltre, alcuni item con basso potere discriminativo e ne sono stati
aggiunti altri per una valutazione più specifica di alcune aree di sviluppo.
Dall’analisi fattoriale degli item gli autori hanno individuato sei fattori
per la nuova versione del test relativamente ai subtest di performance, in
confronto alle sette aree di sviluppo del test iniziale:
■ motricità globale;
• motricità fine;
• imitazione visuomotoria;
• cognitivo verbale/preverbale;
• aspetto linguistico suddiviso in linguaggio recettivo e linguaggio espressivo.

I subtest della scala comportamentale del pep-r sono stati redistribuiti nel
PEP3 in:
• espressione emotiva;
• reciprocità sociale;
• comportamenti motori caratteristici;
• comportamenti verbali caratteristici.

È stato inserito, inóltre, un Questionario per i genitori, che permette di otte­


nere informazioni molto significative e sicuramente contribuisce a stimolare

151
l'autismo a scuola

Tabella 5.1. item n. 1: motridtà fine

Item Materiali Istruzioni Criterio per il punteggio

Svita da solo il Barattolo bolle Mettete il barattolo sul 2 = Svita il coperchia


coperchio del di sapone. tavolo. Dite: "Queste sono ■ autonomamente.
barattolo delle bolle di sapone”. Spingete 1 = Non rimuove il
bolle di sapone. il barattolo verso il coperchio, ma dimostra di
bambino e invitatelo con i sapere i movimenti
gestì a svitare il coperchio. necessari (ad es. mette la
È importante che questo mano sul coperchio e fa
sia avvitato non troppo dei movimenti rotatori).
strettamente, in modo tale 0 = Non rimuove il
che il gesto necessario per coperchio, né dimostra di
aprirlo non possa essere il conoscere i movimenti
tirare, ma occorra necessari.
comunque fare almeno un
giro completo. Se il
bambino non riesce ad
aprire il barattolo, fategli
vedere una volta come
procedere e poi invitatelo
a tentare di nuovo.

la collaborazione attiva dei familiari, da sempre elemento centrale in tutta la


filosofia di intervento teacch.
Per facilitare una serie di operazioni statistiche, la codifica dei risultati ai
diversi item indicati nel pep-r con "Riuscito”, "Emergente” e “Non Riusci­
to”, sono stati trasformati, in 2,1 e 0, mantenendo comunque inalterata la
flessibilità del precedente sistema.
Il PEP3, infine, introduce un ulteriore miglioramento attraverso la messa a
disposizione di dati normativi, sia in confronto a soggetti che rientrano nello
spettro autistico, che relativamente a bambini con sviluppo tìpico. Un aspet­
to di notevole importanza, sottolineato in una recente ricerca condotta dal
gruppo che fa. riferimento a Curatolo (Magoni et al., 2008), è rappresentato
dal fatto che, pur con le differenze sottolineate, esiste una sostanziale correla­
zione fra i punteggi globali ottenuti con il pep-r e il PEP3. Questo rende
possibile sostituire la nuova versione delia scala alla vecchia, senza dover
perdere i dati precedentemente ottenuti con soggetti affetti da autismo.

152
5- VALUTARE ì PUNTI D! FORZA E Dì DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

Tabella 5.2. Item n. 33: cognitivo verbale/preverbale

Item Materiali istruzioni Criterio per il punteggio

Ricostruire Immagine di Mettete i pezzi sul tavolo di 2 = Posiziona tutti i sei


un'immagine una mucca divi- fronte al bambino. Dite: pezzi correttamente senza
divisa in sei sa in sei pezzi. "Questa è una mucca”, poi bisogno di dimostrazione.
pezzi. chiedete al bambino di 1 = Completa parzialmente
ricostruire l’immagine. Se l’immagine unendo
dopo un ragionevole correttamente almeno due
periodo di tempo il pezzi, con 0 senza
bambino sembra avere dimostrazione (oppure ha
difficoltà a comprendere 0 bisogno che l’esaminatore
a completare il compito, richiami in modo generico
fate una dimostrazione. la sua attenzione, ad es.
Chiedetegli quindi di dicendo: “Stai attento,
ritentare. guarda bene”, per
accorgersi di un eventuale
errore e correggerlo).
o = Non riesce a unire
correttamente due pezzi
neppure dopo la
dimostrazione.

Per rendere maggiormente chiaro rimpianto della scala riportiamo, a tìtolo


d’esempio, due item relativi alla motricità fine (TAB. 5-1) e al cognitivo verba­
le/preverbale (TAB. 5-2)- Va messo in risalto che la pf.pj prevede 172 item per
quanto riguarda i subtest di performance.

A conclusione di questa descrizione dello strumento, di seguito (FIG. 5-1)


presentiamo il profilo di Luca derivato dall’utilizzo della scala PEP3 da parte
della psicoioga del servizio specialistico che lo segue. Gli item sono stati
somministrati con la collaborazione dell’insegnante di sostegno, per rendere
il contesto maggiormente conosciuto dall’allievo.
Come si può notare, l’allievo presenta carenze molto significative a livello del
linguaggio, sia ricettivo (lr) che espressivo (le), mentre le aree nelle quali
ottiene Ì risultati più significativi sono quella cognitivo verbale/preverbale
(cvp) e di motricità fine (mf). Soddisfacente anche il livello di autonomia
personale (ap), rilevato attraverso le risposte dei genitori al questionario loro

153
l'autismo a scuola

Figura 5.1. Il profilo di Luca alla pep3

Paalcjgl pezzi d cubicjt

riservato. Molto interessante è la situazione relativa alle abilità emergenti,


che risultano particolarmente significative nell’area cvp, lasciando intrave­
dere in quest’ambito margini dì possibile miglioramento del bambino. Al
contrario, le abilità emergenti risultano molto limitate o assenti nella
macroarea della modicità (aree mb, mg e ivm). Le competenze linguistiche
presentano alcune abilità emergenti, anche se non di livello troppo elevato.
Da questi riscontri è sicuramente possibile partire per impostare una proget­
tualità educativa rivolta al potenziamento delle aree di relativa efficacia e alla
stimolazione di quelle maggiormente carenti, con particolare attenzione alle

154
5- VALUTARE ! PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

abilità emergenti, da porre come obiettivi specìfici da perseguire in quanto


già in parte padroneggiate.
Concludiamo questo paragrafo dedicato all’utiiizzo di prove strutturate
facendo qualche accenno anche all’altro strumento elaborato all’interno
dell’approccio teacch: I’aapep (AdolescentandAdultPsycho Educazional
Profìle; Mesibov, Schopler, Shaffcr, Landrus, 1988). Si tratta di un protocol­
lo utilizzato per la valutazione di allievi in età adolescenziale, come il nostro
Giuseppe, e adulta. Si articola in maniera del tutto simile al PEP3, valutando
le abilità effettive e potenziali in quelle aree essenziali per la conquista di
autonomia sìa a livello familiare che comunitario. NcII’aapep sono previste
tre modalità di valutazione:
• Yassessment diretto delle abilità (scala di osservazione diretta);
• la valutazione delle prestazioni nell’ambiente di vita (scala familiare);
• la valutazione delle prestazioni nell’ambiente extrafamiliare (scala scola-
stica/lavorativa).

Ciascuna delle tre scale è suddivisa nelle seguenti sei aree di funzionamento:
• attitudine al lavoro;.
• funzionamento autonomo;
• abilità ricreative;
• comportamento lavoradvo;
• comunicazione funzionale;
• comportamento interpersonale.

5.2. Le check lisi

Oltre al possibile utilizzo di procedure valutative che richiedono l’azione


diretta dell’allievo, come nel caso delle prove strutturate, l’indagine iniziale
delle competenze e dei deficit può essere effettuata anche tramite strumenti
denominati check list o “liste di rilevazione strutturate”. Si tratta, in sostan­
za, di elenchi di abilità e dì specifici comportamenti sequenziati in ordine
gerarchico, i quali permettono di sistematizzare Posservazione e di constata­
re la presenza o l’assenza di abilità. La valutazione attraverso check list può
essere condotta creando situazioni che consentano di osservare le specifiche
capacità dell’allievo elencate nello strumento o con una procedura indirena,

155
l'autismo a scuola

ricavando le informazioni da persone che conoscono molto bene l’allievo


(genitori, educatori, assistenti).
Le check list si distinguono in “globali” e “a fecalizzazione crescente”.
Alla prima categoria appartengono quelle liste che tentano una valutazio­
ne completa di tutti i repertori di abilità dell’allievo, senza andare troppo
in profondità nella suddivisione delle abilità in comportamenti specifici.
Rappresentano il primo strumento di cui servirsi, in quanto forniscono
una visione abbastanza indicativa senza richiedere costi eccessivi (in ordi­
ne di tempo) e preparazione particolare da parte dell’educatore che le uti­
lizza. Volendo andare più in profondità nell’analisi della situazione si può
ricorrere a check list più sofisticate, contenenti cioè un maggior numero
di item o specifiche (a fecalizzazione crescente) che prendono in conside­
razione solo quei repertori rivelatisi carenti con le check list del primo
tipo.

Molto interessante e utile per l’analisi delle prime fasi di sviluppo di bambi­
ni con autismo è la Denver Model Curriculum Checklist (Rogers, Hall,
Osaki, 1998), che viene utilizzata come strumento osservativo all’interno del
programma Denver, sul quale ci soffermeremo nel prossimo capitolo. Si trat­
ta dì uno strumento che consente quattro livelli progressivi di osservazione
delle seguenti aree di abilità:
• prerequisiti per l’apprendimento (valutati solo all’interno del livello 1);
• comunicazione (ricettiva, espressiva);
• competenze di interazione sociale (pragmatica);
• imitazione (valutata solo nei livelli 1 e z);
• sviluppo cognitivo;
• capacità di gioco;
• motricità (generale e coordinativa delle mani);
• autonomie di vita quotidiana.

Nella tabella 5.3 presentiamo la valutazione effettuata con Marco attraverso


questo strumento nel primo anno di frequenza della scuola dell’infanzia
limitatamente al livello 1. Sono state condotte tre osservazioni (rispettiva­
mente a ottobre, febbraio e giugno), le quali hanno consentito di mettere in
evidenza, oltre alle competenze padroneggiate, anche i progressi che il
bambino ha fatto registrare grazie all’intervento coordinato fra scuola, fami­
glia e struttura riabilitativa.

156
5. VALUTARE i PUNTI 01 FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

Tabella 5.3. Valutazione delle abilità di base e dei progressi di Marco


effettuata attraverso il Denver Model Curriculum Check!ìst (livello 1}

Livello 1 Ottobre Febbraio Giugno


2008 2009 2009

Prerequisiti per l’apprendimento


"Trova il sorriso": il bambino dimostra preferenze
per gli oggetti e per le interazioni © © ©
Siede tranquillo per almeno 60 secondi mentre
interagisce con l'adulto © ©
Mantiene brevemente il contatto oculare con un'altra
persona © ©
Accetta attività sociali di tipo sensoriale © ©
Accetta rinforzi dall’adulto © © ©
5Ì diverte in semplici giochi motori a tavolino
e sul tappeto con l’educatore © © ©
Segue istruzioni in ricezione
Risponde a consegne semplici, di routine,
accompagnate da suggerimenti verbali/gestuali © ©
"Siediti" © ©
“Vieni” © ©
"Dammi... (l'oggetto)”
"Guarda” © ©
Risponde quando chiamato per nome © © ©
"Mani giù"
"Dammi un cinque" © ©
Gesti espressivi (per richiedere, chiedere aiuto, rifiutare)
Si protende verso l'oggetto per richiederlo © ©
Indica da vicino l'oggetto desiderato © ©
Usa un gesto di indicazione per scegliere tra due oggetti © ©
Indica da lontano un oggetto desiderato
Indica da lontano per scegliere tra due oggetti
Chiede aiuto dando l’oggetto in mano all’adulto © ©
Allontana gli oggetti insegno di rifiuto © © ©
Restituisce gli oggetti che non vuole © ©

157
l'autismo a scuola

Tabella 53. (segue)

Livello 1 Ottobre Febbraio Giugno


2008 2009 2009

Interazione sodale/aspetti pragmatici


Usa prompt motori per iniziare 0 continuare una
routine sodale sensoriale © ©
Possiede un repertorio di 5-10 giochi sociali di tipo
sensoriale ©
Risponde ai saluti guardando, voltandosi ecc. © ©
Condivide affetti con adulti 0 coetanei ©
Capacità di imitazione
Imita azioni semplici a un passaggio con oggetti
©
■ © ©
Imita azioni motorie visibili
©
© ©
Imita azioni motorie invisibili
Imita movimenti oro-facciali e oro-manuali © , ©
Imita suoni vocali © ©
Imita suoni consonantici © ©
Imita combinazioni di consonanti evocali © ©
Area cognitiva
Associa oggetti uguali ©
Associa immagini uguali ©
Associa immagini a oggetti
Abilità di gioco
Gioco sensomotorìo e gioco funzionale in autonomia
Usa l’oggetto in modo funzionale (scuote le maracas,
picchia con il martello) © ©
Gioca autonomamente e in modo appropriato con
giochi semplici a un'azione (tirare fuori, mettere
dentro) ©
Gioca autonomamente con giochi che richiedono
la ripetizione della stessa azione su oggetti diversi
Usa in modo adeguato vari giocattoli per bambini
piccoli che richiedono una sola azione
©
Causa-effetto
© ©
Gioca autonomamente con giochi che richiedono
due differenti azioni motorie © ©

158
5- VALUTARE I PUNTI DI FORZA E Dì DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

Tabella 5.3. (segue)

Livello 1 Ottobre Febbraio Giugno


2008 2009 2009

Gioca autonomamente con giochi che richiedono


diverse azioni motorie
Attua su di sé azioni convenzionali con una serie
di oggetti (portare il telefono all’orecchio, spazzolarsi
i capelli, portare il cucchiaio alla bocca, il fazzoletto
di carta al naso ecc.) © ©

Completa un gioco e lo rimette a posto quando ha


finito ©

Sviluppo motorio
Motricità fine
Inserisce le forme nel posto giusto ©

Inserisce le formine nelle fessure © © ©

Inserisce t chiodini nell'apposita tavoletta ©


Se aiutato
Completa puzzle da 4-6 pezzi
Separa perline e mattono ni ©

Utilizza la presa a pinza 0 la presa con tre dita in


modo adeguato ©

Abilità grosso-motorie
©
Imita almeno 10 movimenti grosso-motori visibili
Si alza, si siede e cammina in risposta alla
©
consegna
Gioca a inseguirsi con un'altra persona © ©

Sale le scale per poi scendere giù dallo scivolo © © ©

Sale e scende da giocattoli in movimento, da un


cavallo a dondolo, dalle sedie © © ©

Ha reazioni corporee adeguate in risposta alla perdita


di equilibrio © © ©

Cammina intorno a oggetti posti sul pavimento © © ©

Si muove adeguatamente attorno ai materiali


e alle persone © ©

Fa rotolare la palla avanti e indietro giocando


con un'altra persona © ©

159
l'autismo a scuola

Tabella 53. (set/ue)

Livelio 1 Ottobre Febbraio Giugno


2008 2009 2009

Azioni di vita quotidiana


Mangiare
Mangia da solo © ©
Usa in modo adeguato una tazza normale e senza
sporcarsi
Usa ìn modo adeguato e senza sporcarsi la forchetta ©
Mangia vari cibi diversi per consistenza, tipo e genere
Vestirsi
Toglie ogni indumento con l’aiuto di qualcuno © © ©
Mette ogni indumento con l’aiuto di qualcuno © ©
Lavori domestici
Ripone gli abiti sporchi nel cesto © © ©
Getta le carte nella spazzatura © © ©

53. Strategie di osservazione descrittiva e sistematica

Nel normale svolgimento delle attività all’interno del contesto scolastico molte
situazioni comportamentali e di apprendimento necessitano di essere rilevate,
in quanto possono costituire elementi significativi per regolare l’attività didat­
tica, valutarne l’efficacia, adattare le metodologie di insegnamento e le modali­
tà relazionali. L’osservazione può essere condotta con diversi livelli di struttura­
zione e caratterizzarsi come descrittiva (o narrativa), quando non si prevedono
particolari sistemi di codifica, e strutturata (o sistematica), nel momento in cui
vengono impiegati specìfici protocolli preliminarmente delineati.

53.1. L’osservazione descrittiva

Annotare quello che si vede senza far riferimento a schede o ad altri strumen­
ti è una modalità molto utilizzata a livello scolastico da parte degli insegnan­
ti, che porta sovente alla compilazione di diari e resoconti di vario tipo. Va

160
5. VALUTARE I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

messo in evidenza che l’osservazione descrittiva è sicuramente molto ecologi­


ca e contestuale, anche se pone problemi non banali a livello di significativi­
tà e generalizzabilità. Come sostiene D’Odorico (1990, p. 82), l’apparente
completezza della “descrizione di ciò che si vede” spesso è frutto di scelte
arbitrarie da parte dell’osservatore: ciò che viene annotato è solo quello che,
in qualche modo magari casuale, ha attirato la sua attenzione. Di conseguen­
za, se l’obiettivo è quello di annotare il più oggettivamente possibile deter­
minati eventi comportamentali, la descrizione dì tipo narrativo può avere
solo un’utilità limitata, data anche la difficoltà di individuare una modalità
di confronto, ed eventualmente di accordo, tra due diverse descrizioni degli
stessi eventi.
Esistono, comunque, una serie di suggerimenti operativi per rendere
maggiormente confrontabili i riscontri delle osservazioni descrittive, anche
quando queste sono effettuate da osservatori diversi (Braga, Tosi, 1998):
• annotare sempre, all’inizio del protocollo osservativo, i dati relativi al
momento, al luogo e alla durata dell’osservazione, oltre alle informazioni
riguardanti i bambini osservati;
• fornire informazioni precise sul contesto nel quale viene condotta l’osser­
vazione, specificando sia il luogo fìsico dove viene effettuata, sia le attività
sulle quali sono impegnati gli allievi;
• non eccedere nella quantità di tempo dedicata all’atrività osservativa in
quanto, essendo una procedura che richiede grande concentrazione, può
portare facilmente l’osservatore ad avvertire stanchezza. La durata raccoman­
data è di circa 20 minuti;
• distinguere fra Ì comportamenti osservati e la loro valutazione attraverso
l’impiego dì un linguaggio operativo. L’educatore deve evitare dì ricorrere a
etichette del tipo "rifiuta gli altri”, cercando di privilegiare la descrizione del
comportamento che ha portato a formulare quel tipo di interpretazione (ad
es. "gioca da solo”, “non condivide oggetti e giocattoli”, “allontana i compa­
gni con spinte e altre azioni aggressive” ecc.). Nel protocollo di valutazione
possono essere previsti due spazi particolari nei quali appuntare i comporta­
menti rilevati e le valutazioni degli stessi, purché Ì due livelli d’analisi siano
chiaramente distinguibili (Cortini, zoo^b).

Oltre a questi aspetti tecnici, è molto importante selezionare i momenti


salienti dell’esperienza scolastica dell’allievo in relazione alle finalità dell’os­
servazione. Se, ad esempio, si sta monitorando il comportamento aggressivo

161
l'autismo a scuola

manifestato da un allievo con autismo nei confronti dei compagni, può esse­
re utile concentrare l’osservazione sulle attività di gruppo come i giochi, il
momento dell’entrata in classe, la ricreazione, il pranzo ecc.

Nella scheda 5.1 viene riportata un’osservazione, condotta dall’insegnante di


sostegno, del comportamento di Giuseppe nell’ora di educazione fisica.

Scheda 5.1. Resoconto dell’osservazione descrittiva del comportamento


dì Giuseppe durante l’ora di educazione fìsica in palestra

Allievo Giuseppe
Osservatore Insegnante di sostegno
Luogo dell‘osservazione Palestra
Attività Lezione di educazione fìsica in gruppo
Data 28 novembre 2009
Durata dell’osservazione 20 minuti

Comportamenti osservati

La classe sta effettuando il riscaldamento correndo sul perimetro del campo dì palla-
canestro ed effettuando alcuni esercizi con le braccia imitando l’insegnante. Giusep­
pe è l'ultimo della fila e cammina. Quando l’insegnante prova a richiamarlo per
correre, comincia effettivamente ad aumentare il passo fino a cominciare a correre,
ma non segue la direzione dei compagni e vaga per la palestra. L’insegnante invita
gli allievi a mettersi in coppia per effettuare ulteriori esercizi dì riscaldamento e chie­
de a un compagno di unirsi a Giuseppe. L'allievo dà la mano al compagno, ma non
effettua con lui alcun esercizio. Comincia a emettere i suoi suoni vocalici e a procu­
rarsi rutti. In seguito, inizia a correre velocemente senza una precisa direzione.
Nessuno dice nulla e la classe continua la sua attività. Giuseppe si ferma lontano da
tutti e rimane immobile per un paio di minuti guardando gli altri. Poi si avvicina di
nuovo e si siede come i compagni, ma non effettua gli ultimi esercizi di riscaldamen­
to da terra. Finito il riscaldamento la classe si prepara per la partita di pallavolo.
Giuseppe, su invito dell’insegnante, si porta in un angolo della palestra dove sono
collocati alcuni tappeti che servono per le attività individuali che effettuerà. Mentre
la classe comincia a giocare, Giuseppe svolge ì propri esercìzi sul tappeto e alla spal­
liera prima assistito dall’insegnante, poi da solo. Dopo circa dieci minuti mi viene
vicino e si siede nella panchina a guardare i compagni.

162
5- VALUTARE 1 PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

Impressioni e considerazioni

• Giuseppe non riesce a imitare le attività di gruppo. Forse è infastidito dai movi­
menti un po’ disordinati dei compagni.
• Le richieste dirette sembrano scatenare una forte ansia che lo porta a emettere
i suoi comportamenti problematici.
• Quando la situazione diventa meno caotica sembra che cerchi di partecipare,
anche se non sa bene cosa deve fare.
• Le attività di routine, come spostarsi sui tappeti quando i compagni cominciano
a giocare o a fare altre esercitazioni sportive, sono effettuate in maniera adeguata. n
di.

5.3.2. L’osservazione sistematica del corri porta mento \ OJtM.


• ci S \
L’osservazione sistematica viene condotta attraverso schede di rilevazione
nelle quali sono preselezionati i comportamenti che saranno oggetto di inda­
gine. Tali schede rappresentano dei sistemi di classifìcazione/categoriz-
zazione, sono delle *lenti” (Carnaiodi, 1990, p. 69) attraverso le quali l’edu­
catore si prefigge di osservare il comportamento dell’allievo con autismo.
Indicare in anticipo le manifestazioni comportamentali che saranno registra­
te permette dì effettuare rilevazioni molto più accurate e oggettive di quelle
che si ottengono con l’osservazione descrittiva, al punto che possono essere
utilizzate anche all’interno di ricerche sperimentali.
Per costruire una griglia osservativa è necessario innanzitutto porsi due
domande relativamente all’oggetto dell’osservazione e al livello di analisi che
si intende privilegiare. In altre parole, chi si appresta a condurre un’osserva­
zione sistematica deve circoscrivere il campo dei comportamenti creando
specifiche categorie, in modo da potersi concentrare solo su quelli rilevanti in
rapporto all’argomento privilegiato e alle ipotesi dì base. E necessario, inoltre,
che si decida circa il grado di accuratezza che si intende perseguire con l’osser­
vazione e, conseguentemente, predisporre categorie più o meno ampie.
Le categorie che raccolgono sotto un’unica voce vari comportamenti dei
soggetti sui quali si conduce l’osservazione possono avere connotazioni
diverse e collocarsi lungo un continuum che va dalle descrizioni dii caratteri \
]fazgj|ad es. espressioni facciali, posture, vocalizzazioni, movimenti ecc/Tfìncf
alPidentifìcazioneaipsicologiche e relazionali^xits, timore, colle­
ra, motivazione ecc.). Alta due aspetti esseriziàirrelatìvamente alla definizìo-

163
l’autismo a scuola

ne delle categorie, siano fìsiche o psicologiche, riguardano la loro/esaustivi^.


edfaclusività^U sistema di codifica si ritiene esaustivo quando.le categorie
che lo compongono esauriscono le possibili manifestazioni del comporta­
mento preso in esame.. Per quanto riguarda l’esclusività, essa prevede che le
categorie del sistema non presentino sovrapposizioni o intersezioni, in modo -
che sia possibile codificare ciascun comportamento sulia base.dL.una.syla
categoria.(Camaioui, 1990).

L’ampiezza delle categorie comportamentali fa riferimento alla profondità di


analisi che si vuole privilegiare. Si può andare, infatti, da una dimensione '
molare, comprendente livelli comportamentali ampi e articolati (ad es.
“comportamento collaborativo”), alla dimensione molecolare, che prevede
osservazioni su comportamenti o serie di comportamenti molto più ristretti
e analitici (ad es. “cede al compagno un suo giocattolo”).
La scelta dell’ampiezza delle categorie dipende chiaramente dagli obietti­
vi che ci si propone e dalle caratteristiche della situazione. È utile, comun­
que, cercare di porsi inizialmente a un livello di codifica molecolare, in quan­
to è sempre possibile trasformare categorie molecolari in altre maggiormente
molari quando le caratteristiche dei dati osservativi lo richiedono (ad es.
raggruppando più categorie molecolari in una molare che le comprenda).
La metodologia di conduzione dell’osservazione sistematica a.livello
scolastico ** I vede
~* ’~^** — ~ul* A"pre — cher ! - i ■■comportamenti
■ -.. , X ■ x—alle
riferiti _ .. ■ .jBcategorie
■--.••• ri diverse un siano
t registrati sulla base di particolànparametri quantitativi:
infrequenza di comparsa di un determinato comportamento;
Xndatenza della risposta, che descrive il tempo che passa tra la comparsa
dello stimolo e la risposta emessa dal soggetto;
della risposta, che rappresenta il principale parametro temporale;
• V intensità. della risposta (quando si dispone di strumenti per misurarla
oggettivamente);
• la selezione della risposta, che descrive la scelta del soggetto quando sono
offerte varie possibilità.

La codifica della frequenza di emissione di certi comportamenti è la modali­


tà più utilizzata nell’osservazione sistematica, soprattutto in riferimento alla
sua facilità di rilevazione. Nella scheda 5.2 viene presentato un esempio di
registrazione della frequenza di certi comportamenti inadeguati di Luca.

164
5. VALUTARE I PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

Scheda 5.2. La valutazione dei problemi comportamentali di Luca:


osservazione sistematica

Osservazione del comportamento aggressivo

Allievo Luca
Età 8 anni
Classe Seconda
Comportamenti indicatori
k. Urta
b. Si morsica la mano
c. Aggredisce i compagni
d. Aggredisce gli adulti
Parametro valutato Frequenza dei comporta menti

Comportamenti Ore 9-10.30 Ore 10.30-12.00 12.00“H|.00 14.00-15.30


indicatori Disegno e attività Attività motoria Pranzo e attività Uscita didattica
didattica in classe e lavoro ludica in campagna
individualizzato (fattoria didattica)

A XXX XXX XX XXXX

B XX XXX XX xxxx

C X X

D X XXX X XX

Durata
30 minuti 30 minuti 30 minuti 30 minuti
del compito

Data 19 gennaio 2009 19 gennaio 2009 19 gennaio 2009 19 gennaio 2009

I risultati dell'osservazione sistematica di una sola giornata, chiaramente, non sono


in grado di fornire una fotografia significativa della reale incidenza dei problemi
comportamentali. Alcuni elementi personali (ad es. uno stato di malessere) 0 situa­
zionali (ad es. un cambio di orario) potrebbero incidere in maniera rilevante. In
considerazione di ciò, al fine di poter definire una linea di base dei comportamen­
ti-problema, l'osservazione è stata condotta per una settimana, con periodi di
osservazione di 30 .minuti all’inizio di ogni attività. Nel grafico sono riportate le
risultanze dell'osservazione (linea di base).

165
l’autismo a scuola

5.4. Analisi funzionale del comportamento

Oltre a definire e ad individuare il peso del comportamento problematico


del bambino, ^ necessario anchc.ceicare.di..capirne Je.m.o.riyaziom:“ Perché
Luca si comporta così ? ’MChe cosa cerca di comunicare ? ”.
Rispondere a queste domande è sempre molto complesso quando ci si
riferisce all’allievo con autismo. L’analisi funzionale del comportamento,
comunque, rappresenta uno strumento interessante per conHufrFqué’sto
tipo di ricognizione.
Si tratta di una procedura che deriva dalla ricerca effettuata all’interno
dell’approccio neocomportamentale, attraverso la quale si cercano di eviden­
ziare Ì rapporti fra il comportamento oggetto di osservazione e l’ambiente.
La teoria del condizionamentooperante^ infatti, mette in risalto come ogni
nostra azione siayr/nz/bp^ dellasituazione precedente all’emissione Lzri/azzb-
ne stimolo) c venga solitamente consolidata dalle zfl/nggr/CTZg chc produce. Se
determinate risposte di un allievo sono precedute costantemente dagli stessi
antecedenti e/o seguite dagli stessi conseguenti, si può ipotizzare che in
questi antecedenti e/o questi conseguenti siano da rintracciare i probabili
fattori che mantengono operativi i comportamenti.
r
Meazzini e Fagetti (1985) ritengono fondamentali le seguenti operazioni per
effettuare l’analisi funzionale del comportamento:
• la ricognizione del problema o analisi della situazione stimolo anteceden­

te
5. VALUTARE ! PUNTI DI FORZA E Di DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

te, che includa la descrizione della situazione nella quale Ì comportamenti


oggetto di osservazione si manifestano (in aula, in laboratorio, durante Fat­
tività dì gruppo in palestra ecc.) e dei comportamenti messi in atto dalle
persone adulte o dai compagni che precedono la comparsa del comporta­
mento-problema;
• la descrizione degli episodi comportamentali, compiuta in modo obietti­
vo e verificabile;
• la descrizione delle conseguenze prodotte dal comportamento, con l’an­
notazione delle osservazioni, dei commenti, delle azioni prodotte dall’educa­
tore e/o dai compagni alla comparsa del comportamento-problema.

Attraverso l’analisi funzionale, in concreto, possono essere messe in eviden-


za ttesjtuazioni particolari in gradp.di sostenere i comportamenti-problema;
desiderio di ricevere stimoli positivi, tentativo di evitare situazioni sgradite,
piacere derivato da autostimolazione sensoriale.
Nel primo-caso il comportamento viene messo in atto in conseguenza del
fatto che„p„ona solitamente a ottenére attenzione in varie forme, contattoGsi-
co, .possibilità di continuare una certa attività ecc. Nel secondo caso, invece,
il comportamento evidenzia una situazione di disagio dalla^juale l’allievo
dcsidéra esserc allontanato, come un ambiente rumoroso, cao fico, dei..
compiti complessi o comunque sgraditi ecc. In entrambe le circostanze il
comportamento rappresenta una modalità comunicativa messa in atto
dall’allievo, anche se non sempre in forma consapevole.
La_.terza c0ndi7.i0ne, invece, è quella che-porta d’allievo a .emettere
comportamenti-problema come forma di. autostimolazione, senza una speci­
fica funzione comunicativa cóllegata a particolari contesti, ambientali o situa-
zionafi,Jn altre parole/^o’ mettèré in àtto comportamenti che automatica-)
^enTe'gli'producono sensazioni piacevoli, anche quando risultano molto;
|fravTe pericolosipet f’incoìumità fìsica (ades. sbattere la testa sul pavimen-
tcTSTSlpusi sin viso). E probabile che siano attivati dalla ricerca di una forte
stimolazione sensoriale, la quale non viene percepita come nocìcettiva a
causa della ridotta sensibilità al dolore. Ayres (1987), a questo proposito,
mette in relazione un’insufficiente modulazione di informazioni di origine
tattile con i comportamenti autolesionistici, mentre altri autori (Barrett,
Feinstein, Hole, 1989) arrivano a sostenere che il comportamento dì autole-
dersi porti al rilascio nella circolazione del sangue di sostanze simili agli
oppiacei, provocando di fatto una sorta di “sballo” naturale.

167
l’autismo a scuola

L’ipotesi del rinforzamelito positivo, con particolare riferimento alla


ricerca rli attenzione, si connette con Tacquisizìone di ima qualche forma di
controllo dell’ambiente da parte deU’aUievó attravèrso il suo comportameli-

Scheda 5.3. La valutazione dei problemi comportamentali di Luca: analisi


funzionale

Contesto Situazione stimolo Comporta mento Conseguenza


e orario

Ore 10.00 La riassesta leggendo un Luca si alza dal banco,. L'insegnante gli toglie la
in classe brano sul libro. Leggono saltella un po’ e prende macchinina e gli dice che
a turno i diversi bambini. una macchinine dallo prima deve finire di
Luca è nel proprio banco scaffale. disegnare. L'ambiente è
e sta colora rido su u n foglio. tranquillo in quanto
L'insegnante dì sostegno è abituato agli spostamenti
vicina a lui. di Luca.

Luca si siede. Riprende il Luca si alza di nuovo L'insegnante cerca


colore e traccia linee in e urla. di fermarlo, ma riceve un
maniera nervosa. graffio sul braccio prima
di riuscire a bloccarlo.

L’insegnante allenta la Luca si alza dì scatto, L'insegnante di sostegno,


presa e accarezza Luca da riprende la macchinina dopo essersi consultata
dietro per calmarlo. Tutto e comincia a saltellare con la collega, esce dalla
sembra tornato a posto. per la classe. classe con Luca.

Anche in questo caso, come per l'osservazione sistematica, la descrizione di un


singolo episodio non è in grado di dare informazioni precise. Il confronto fra levarie
descrizioni ha evidenziato la tendenza dì Luca a stancarsi dopo circa 10-15 minuti
dì lavoro al tavolo e il desiderio di iniziare a fare le sue attività (soprattutto giocare
con le macchinine). Quando si trova in queste condizioni sia il contenimento fisico,
che altre modalità di persuasione più assertive risultano infruttuose.
È stato deciso sulla base di queste osservazioni di creare uno spazio per l'attività
individuale all'interno della classe, di mettere due scaffali a lato del banco di Luca
(a destra le cose da fare e a sinistra i lavori completati) e di insegnare, anche con
l'aiuto dei compagni, a chiedere con una specifica carta (si veda oltre la descrizio­
ne della metodologia pecs) di poter giocare con la macchinine una volta completa­
to il compito.

168
5- VALUTARE | PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DEGLI ALLIEVI CON AUTISMO

to inadeguatp^una situazione abbastanza ricorrente può essere quella nella


quale la conseguenza dei suoi comportamenti determina sistematicamente
che qualcuno accorra per contenerli, mentre non si verificano se manca un
adulto significativo (ad cs. mentre sta facendo alcune attività da solo nella
sua camera o nell’aula di sostegno). Al comrario,ripoiesi cheamantenere
attivo il comportamento sia il tentativo di evirare situazioni awersive può’
essere formulata quando gli antecedenti si riferiscono a contesti molto cari­
chi dal punto di vista sensoriale o a richieste pressanti riferite all’esecuzione
d^compìtiele conseguenze del comportamento sono l’allontanamento dalla
situariqne.o la sospensione dell’attività.
L’ipotesi deU’autostimolazione, infine,viene messa in campo quando non
trovano conferma le prime due. In concreto, all’allievo sembra non interes­
sare che l’adultò sia o meno presente e che abbia un determinato atteggia­
mento o uno differente. Allo stesso modo, i comportamenti sembrano
presentarsi in contesti molto diversi fica loro, sìa carichi di stimolazioni senso­
riali che isolad e tranquilli.

Nella scheda 5.3 è riportata la descrizione di un episodio nel quale Luca ha


manifestato comportamenti inadeguati, evidenziando gli antecedenti e le
conseguenze degli stessi.

169
6. Programmi di intervento sull’autismo:
caratteristiche e livello di applicabilità
a scuola

• A scuola devo proporre le stesse attività che svolge nel servizio riabilitativo?
• A quale programma devo fare riferimento?

È stato sottolineato a più riprese nel corso di questo lavoro come le speri­
mentazioni e le esperienze sviluppate negli ultimi decenni abbiano consenti­
to di mettere a punto vari programmi dì intervento per allievi con autismo,
Ì quali si sono rivelati assai efficaci per promuovere l’acquisizione di compe­
tenze e il contenimento di problemi comportamentali. Faccndo riferimento
soprattutto all’approccio cogniriyo-comportamentale sono state elaborate
metodologie di lavoro molto interessanti, alcune delle quali godono anche di
una significativa validazìone scientifica. L’ambito nel quale è avvenuta l’ap­
plicazione di tali modelli di lavoro è stato soprattutto quello riabilitativo, con
generalizzazioni anche a livello familiare e scolastico, sempre prevedendo
comunque un rapporto individualizzato.

In considerazione dell’affinarsi delle strategie di intervento, il primo quesi­


to che apre il presente capitolo viene ad assumere una valenza centrale nella
riflessione degli insegnanti, in grado dì condizionare il loro approccio ai
bisogni speciali degli allievi con autismo. L’atteggiamento oscilla, nella
maggior parte dei casi, fra le due posizioni estreme: da un lato c’è chi si
aspetta di essere istruito per mettere in atto le attività previste dal metodo;
dall’altro chi, invece, ritiene che la scuola sia altro in confronto al servizio
riabilitativo e confida magari nelle potenzialità magicamente riparatrici del
sociale. e-,
Entrambe queste posizioni appaiono poco sostenibili e supportate da una
carenza conoscitiva di fondo. Infatti, se da un lato è innegabile che il conte­

171
L'AUTISMO A SCUOLA

sto integrato della nostra scuola richiede di andare oltre la semplice applica­
zione del programma terapeutico, dall’altro è evidente come tali proposte
non possano essere trascurate, nella prospettiva di individuare percorsi di
lavoro personalizzati che rispettino anche le esigenze dell’integrazione. Inol­
tre, la conoscenza dei diversi approcci metodologici è importante anche per
caricare di contenuti adeguati i momenti di insegnamento uno a uno, quasi
sempre previsti nel piano educativo individualizzato. Quindi, per quanto
riguarda le strategie di intervento educativo e i contenuti da privilegiare per
favorire Tapprendimento dell’allievo con autismo, viene ribadita qui la
necessità di un approccio personalizzato, che coniughi le indicazioni che
provengono dalle più affinate metodologie di intervento con gli accorgimen­
ti organizzativi e metodologìco-didattici necessari per la promozione di una
reale integrazione.

Venendo al secondo quesito non riteniamo che esista il "metodo”, ma che sì


possano derivare molte indicazioni specifiche dai vari approcci metodologi­
ci, le quali sono in grado di riempire di contenuti significativi il tempo scola­
stico e coniugare, come già detto, le esigenze dell’istruzione con quelle
dell’integrazione.

Nel presente capitolo sono presi in considerazione alcuni programmi dì


intervento specifici per l’autismo, che propongono modelli di lavoro applica­
bili a livello scolastico. Nel dettaglio ci si concentrerà su:
• i programmi di intervento comportamentale;
• l’approccio teacch;
• il programma per lo sviluppo della teoria della mente;
• il modello Denver.

A questi dedichiamo una sintetica descrizione nel presente capitolo, che sarà
poi ripresa e ampliata con proposte specifiche anche nel prosieguo del lavoro.

6.1. L'analisi comportamentale applicata (Applied Behavior Analysis) l

All’interno dell’approccio comportamentale sono stati elaborati una serie di


principi di intervento psicoeducativo, che si sono rivelati molto utili anche
per gli allievi con autismo, soprattutto quando messi in atto precocemente.

172
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

L’applicazione di tali principi ai problemi socialmente significativi, fra i quali


rientra anche l’autismo, è stata chiamata analisi comportamentale applicata
(Applied Behavior Analysis, aba).
Come sottolineano Moderato e Copelli (2009, 2010) I’aba è la scienza
applicata che deriva dalla scienza di base conosciuta come analisi del compor­
tamento (Skinner, 1953), la quale studia una relazione funzionale, chiamata
tecnicamente “contingenza”, costituita da almeno tre elementi in relazione
tra loro: una classe di eventi stimolo che rappresentano la situazione antece­
dente, una classe dì risposte o comportamenti, una classe di eventi stimolo
che costituiscono la situazione conseguente, il tutto all’interno di un setting
specifico. In altre parole, l’analisi del comportamento è una scienza che si
occupa di comprendere le leggi attraverso le quali gli eventi ambientali
influenzano il comportamento degli individui.
L’aba nasce come metodologia per il recupero delle disabilità intellettive
ed evolutive in genere ed è stata applicata dagli anni settanta del secolo scor­
so al campo dell’autismo, grazie soprattutto al lavoro iniziale di Lovaas e dei
suoi collaboratori (Lovaas, 1981,1987,1990,1993; Lovaas, Calouri, Jada,
1989; McEachin, Smith, Lovaas, 1993; Maurice, Gréen, Luce, 1996) all’inter­
no del “Young Autistic Project”, sviluppato presso I’ucla (University of
California Los Angeles). Prevede l’insegnamento sistematico di piccole unità
misurabili di comportamento; Ì compiti da apprendere, individuati sulla
base del profilo dinamico funzionale, sono suddivisi in piccole tappe, ognu­
na delle quali viene insegnata in sessioni ripetute e ravvicinate, inizialmente
con un rapporto uno a uno..
Le procedure d’insegnamento dell’ABA si fondano sull’utilizzo di tecniche
specifiche e sistematiche, da implementare all’interno di una precisa organiz­
zazione dell’intervento.
Di seguito, dopo aver presentato i principi di base che hanno ispirato
l’intervento di modificazione del comportamento applicato all’autismo,
descriviamo le principali strategie per favorire apprendimenti funzionali e i
modelli più significativi di intervento previsti: da quello molto sistematico
e controllato denominato Discrete Trial Training (dtt) a quelli più natu­
ralistici come il Pivotal Response Training (prt; Koegel, 2000). Nel capi­
tolo 8, dedicato alla comunicazione, verrà preso in considerazione il model­
lo di lavoro per; stimolare la comunicazione verbale (Verbal Behavior
Teaching). c.

173
l'autismo a scuola

6.1.1. Principi di base deli’ABA nelle sue applicazioni al campo


dell’autismo

L’analisi comportamentale applicata si fonda su una serie di princìpi guida


di tipo organizzativo e tecnico-metodologico. Già dalla sua prima presenta­
zione negli anni settanta, tendeva a rompere con un’interpretazione dell’au­
tismo secondo le concezioni della psicoanalisi allora imperante e ad attribui­
re un ruolo principale nella gestione del trattamento ai genitori e agli
insegnanti. I principi ispiratori del trattamento possono essere riassunti nei
punti di seguito indicati.
• Il luogo privilegiato dove sviluppare l’intervento non è più rappresentato
dalla clinica o dallo studio dello psicoterapeuta, ma dalla casa, dalla scuola e
dagli altri ambienti dove il bambino trascorre gran parte del proprio tempo.
L’obiettivo è quello di aiutare il bambino a vivere in un mondo reale e non in
uno artificiale com’è un’istituzione. Questa modifica di prospettiva compor­
ta die il responsabile. deli’inmrvcnto non sono più il clinico o lo psicologo,
che fungono da consulenti, ma l’insegnante e il genitore opportunamente
formati. Scrive a questo proposito Lovaas (1990, p. 20): «Tutti coloro che
lavorano e operano in maniera consistente con soggetti affetti da disturbi
dello sviluppo e del comportamento devono imparare a essere insegnanti.
Per mantenere il bambino nel suo ambiente naturale si deve imparare a esse­
re un bravo insegnante. In primo luogo ciò protegge il soggetto, dato che
vivere in un ambiente ristretto solo al minimo consente di sfruttare al massi­
mo le proprie possibilità dì apprendimento, ma serve anche a proteggere il
genitore contro il dolore di una separazione o il trauma di affidare il proprio
bambino a persone o procedimenti che non si capiscono o su cui si ha solo
un controllo limitato».
• L’intervento deve essere iniziato precocemente e condotto in maniera
intensiva. L’età ottimale per iniziare un intervento comportamentale preco­
ce è prima dei 5 anni d’età; Ì risultati migliori sono stati ottenuti con bambi­
ni che hanno cominciato il trattamento a 2 o 3 anni.
• Per quanto riguarda l’intensità dei programmi, è stato documentato
(Lovaas, 1987,1990; Venn, Wolery, Greco, 1996; Smith, Groen, Wynn,
2000; Saliows, Graupner, 2005; Remington etal.> 2007) che gli effetti più
significativi si ottengono con interventi quotidiani prolungati, in maniera da
prevedere almeno 30 ore di lavoro alla settimana. Inoltre, è necessario assicu­
rare il mantenimento nel tempo dell’azione educativa specifica; dopo i due

174
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

anni di attività, infarti, si cominciano a determinare modificazioni veramen­


te significative e profonde.
• L’intervento viene condotto facendo riferimento a specifiche strategie
centrate soprattutto sul controllo degli stimoli, sul modellamento e sul rinfor­
zo. L’applicazione di tali strategie va sempre fatta precedere da una valutazio­
ne attenta dei diversi repertori comportamentali dei bambini, in modo da
decidere quali comportamenti andranno potenziati e quali ridotti attraverso
l’intervento. È imporrante sottolineare l’esigenza di creare preliminarmente
un’adeguata interattiva fra bambino ed educatore,
effettuando il cosiddetti? Si tratta di un’associazione di rinforzi posi-
tivi alla semplice presenza dell’educatore, in modo da orientare positivamen­
te il bambino verso l’adulto con il quale dovrà prioritariamente lavorare.
• Il procedere dell’attività educativa finalizzata a promuovere abilità funzio­
nali importanti per la vita autonoma nell’ambiente si focalizza inizialmente
sull’insegnamento sistematico di unità di comportamento piccole e misura­
bili, per poi passare ad altre più ampie attraverso un controllo dei vari passi
istruzionali. Oltre a ciò, è necessario far costantemente riferimento alla moti­
vazione del bambino, adattando le proposte alle sue esigenze e tenendo
conto dei feedback che invia (messaggi trasmessi in vario modo che informa­
no sul gradimento di certe attività).
• Uno dei problemi principali che sì incontrano nel lavoro educativo rivolto
a bambini autistici è quello della scarsa generalizzazione delle abilità acquisite.
In altre parole, i vari autori di ispirazione comportamentista (per una rassegna
si vedano: Stokes, Baer, 1977; Whalen, 2009) hanno potuto verificare come sìa
frequente ottenere significativi apprendimenti con programmi specifici di
analisi applicata del comportamento, ma come tali progressi tendano a rima­
nere vincolati ai luoghi dove si è svolto il training e alle persone che lo hanno
condotto. Questa constatazione da un lato porta a enfatizzare ulteriormente la
necessità di un insegnamento implementato in tutti gli ambienti di vita del
bambino e dall’altro richiede l’adozione di tecniche specifiche in grado di faci­
litare il processo di transfert dell’apprendimento. Su queste tecniche ci si soffer­
merà nel prossimo paragrafo.

6.1.2. Le strategìe di intervento

Come già sottolineato, l’approccio aba prevede un lavoro educativo rivolto


all’acquisizione e al consolidamento di varie competenze e abilità funziona­

175
l'autismo a scuola

li, con particolare riferimento alla capacità di imitazione e di discriminazio­


ne, alle abilità di autonomia, di comunicazione e di relazione. Le strategie
alle quali si fa principalmente riferimento per ricercare tali apprendimenti
sono le seguenti:
• tecnica di aiuto e riduzione dell’aiuto (promptingefading)-,
• apprendimento imitativo (modelingp,
• modellaggio e concatenamento (shaping e chainingp,
• apprendimento discriminativo senza errori;
• tecniche di rinforzamento.

Una particolare attenzione viene rivolta anche alle strategie attraverso le


quali è possibile facilitare \z generalizzazione degli apprendimenti ad ambien­
ti e contesti diversi da quelli relativi al training.
Esiste poi tutto un pacchetto di tecniche finalizzate alla gestione di
problemi comportamentali, che si sono dimostrate utili e significative. In
questo caso, evitando il ricorso alla punizione, tali strategie possono rappre­
sentare delle procedure metodologiche importanti, in grado di fornire agli
educatori linee d’azione da adottare in momenti molto difficili ed estrema-
mente carichi dal punto di vista emozionale (Cotóni, zoo8a). Ad esse si farà
riferimento in maniera specifica nel capitolo 9.

Tecnica di aiuto (prompting) e attenuazione dell'aiuto (fading)

Per facilitare l’emissione di una determinata risposta si può ricorrere all’in­


troduzione di stimoli aggiuntivi, i quali, per le loro caratteristiche, rendono
più probabile il verificarsi della performance desiderata. La tecnica dell’aiuto,
da un punto di vista teorico, consiste nel fornire all’allievo uno o più stimo­
li discriminati sotto forma dì aiuti (prompt). I prompt sono di solito sinteti­
ci, percettivamente evidenti (introducono cioè un elemento realmente
nuovo nella situazione) e, soprattutto, vengono proposti al momento esatto
in cui dovrebbe verificarsi la prestazione.
Esistono vari tipi di prompt in grado di aiutare un allievo ad avviare una
risposta (Kazdin, 1975; Foxx, 1982); questi possono essere rappresentati da:
0 suggerimenti verbali;
• indicazioni gestuali;
• guida fisica.

176
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

I suggerimenti verbali rappresentano degli aiuti molto naturali, che vengo­


no sómprc’u(ilizzàtidaireducar.ore allo scopo di facilitare la comprensione
del compito.
Gli aiuti gestuali, molto semplicemente, consistono in particolari gesti
’ che l’educatore compie per stimolare l’emissione di comportamenti ricerca­
ti ola riduzióne di altri ritenuti ìnadeguari (ad es. alzare la mano per indica­
re che si deve sospendere un compito, indicare con Vindice particolari dire­
zioni che l’allievo deve percorrere ecc.).
Vaiato fisico ^r^upppne un contatto। concreto (fìsico), tramite il quale
* rAo l’educatóre guida l’allievo nell’effettuazione delle prestazioni programmate.
Aiuto fisico, però, non significa sostituirsi completamente all’individuo
impegnato in compiti di apprendimento, I prompt fisici trovano larga appli­
cazione nei training di apprendimento di abilità di autonomia. Ad esempio,
l’educatore o il genitore prendono le mani di Marco e le guidano leggermen­
te nell’inte:nto dì insegnargli a indossare i pantalom.
L’utilizzo massivo di stimoli aggiuntivi, se da un lato facilita sensibilmen­
te l’effettuazione dei compiti e quindi accelera il processo di apprendimento,
dall’altro può far sorgere alcune difficoltà. Il pericolo più concreto è rappre-
sentato dalla dipendenza dall’aiuto, cioè dalla possibilità che l’allievo subor­
dini l’effettuazione di una determinata prestazione solo alla presenza di
prompt. Questi, come sottolineato, sono indispensabili nella prima fase
dell’apprendimento, ma poi vanno necessariamente ridotti o eliminati allo
scopo di favorire 1’inserimento definitivo dell’abilità nel repertorio compor­
tamentale dell’individuo. In altre parole, una volta consolidato il comporta­
mento è necessario che questo dipenda esclusivamente dagli stimoli natura­
li, cioè da quegli stimoli che sono parte dell’ambiente e non risultano
artificialmente introdotti dall’educatore.
Per ottenere un simile controllo naturale è necessario attenuare progressi­
vamente gli aiuti forniti attraverso una strategia denominata fading. Tale
tecnica determina modificazioni che non interessano il comportamento in
sé, ma le condizioni in cui questo deve avvenire.
Il fading, chiaramente, presenta caratteristiche differenti in relazione alla
tipologia dì prompt a cui si riferisce.
f La riduzione dell’aiuto verbale può consistere nel diminuire il numero di
parole che compongono l’ordine e nell’abbassare il tono della voce con cui è
? pronunciato. ;
L’aiuto gestuale,si attenua diminuendo l’ampiezza del gesto o sostituen­

177
l’autismo a scuola

dolo con un altro meno appariscente (ad es. invece di indicare con l’indice
lo si può fare con io sguardo).
Nei confronti di prompt fìsici possono essere usate le seguenti quattro
strategie (Cottini, 1993):
• ridurre gradualmente l’area del corpo toccata (ad es., se all’inizio l’allievo
veniva toccato con tutta la mano, in un secondo momento lo si tocca solo
con alcune dita, poi con un solo dito e infine con la punta del dito);
• ridurre gradualmente la pressione esercitata sulla parte del corpo dell’al­
lievo implicata nella prima fase del prompt;
• spostare gradualmente la presa dalla zona iniziale del corpo dell’allievo a
zone più distanti;
• usare all’inizio del trattamento tutte e tre le diverse categorie di prompt
ed eliminare per primi i prompt fìsici, in quanto quelli verbali e gestuali
risultano più facilmente riducibili.

Le tecniche del prompting e del fading rappresentano due momenti di


un’unica metodologia didattica e quindi vanno sempre programmate e usate
insieme. Il loro utilizzo richiede una buona dose di competenza, che consen­
ta di individuare gli aiuti più efficaci e di comprendere quando un certo
aiuto ha esaurito la propria funzione, stabilizzando adeguatamente un
comportamento, e bisogna cominciare ad attenuarlo.

Strategie di apprendimento imitativo: il modellamento (modeling)

La tecnica del modellamento (modeling) consiste nella promozione di espe­


rienze di apprendimento attraverso l’osservazione del comportamento di un
soggetto che funge da modello,
In varie situazioni il modeling avviene anche senza una precisa intenzio­
nalità del modello e dell’osservatore. Il soggetto che fùnge da modello può
non avere alcuna intenzione di insegnare e, allo stesso modo, l’osservatore di
imparare, ma si trova ad apprendere a livello latente, utilizzando le sue osser­
vazioni anche molto tempo dopo averle effettuate. Questo processo di
apprendimento implicito raramente si verifica con gli allievi affetti da auti­
smo, a causa delle loro carenze sul piano dell’attenzione e dell’imitazione. Il
processo di modeling, pertanto, va attentamente progettato tenendo in
considerazione tre condizioni determinanti:
■ le caratteristiche del modello, con particolare riferimento ai legami affetti­
vi che possono intercorrere con l’osservatore;

178
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• le caratteristiche deLVosservaiore, riferite soprattutto alle variabili di perso­


nalità (disponibilità, dipendenza, motivazione ecc.), alla presenza di even­
tuali problematiche cognitive ecc.;
• le conseguenze prodotte dal comportamento del modello e da quello
dell’osservatore nel momento in cui imita il modello. Quando tali conse­
guenze sono positive {rinforzi), l’osservatore continuerà a manifestare il
comportamento acquisito tramite modellamento, in caso contrario tenderà a
inibire tale comportamento (Cotóni, zoozb).

In sintesi, riprendendo alcune indicazioni di Bandura (1969), sì può afferma­


re che la strutturazione di un intervento di modeling deve informarsi ai
seguenti principi: ...... .... .
• facilitazione dei processi attentivi e di ritenzione;
• aiuto al processo di riproduzione motoria;
• incremento della componente motivazionale attraverso il rinforzo.

Modellaggio (shaping)

Il modellaggio o shaping è una tecnica tramite la quale è possìbile ampliare i


repertori di capacità degli allievi, facilitando la costruzione di nuove abilità.
Si basa essenzialmente sul rinforzo di comportamenti dell’allievo che
progressivamente si avvicinano a quello ricercato {comportamento-meta).
Attraverso tale tecnica possono essere insegnate diversi tipi di abilità (moto­
rie, cognitive, linguistiche ecc.), anche ad allievi con problematiche consi­
stenti. A questo proposito lo shaping viene considerato «uno degli strumen­
ti clinici più utili prodotti dall’approccio comportamentale» (Bijou, Baer,
1978, p. 82, trad. mia). Va sottolineato che solitamente tale tecnica viene
utilizzata in associazione ad altre e principalmente al prompting e fading.
Le caratteristiche fondamentali che compongono un programma di
modellaggio possono essere riassunte in tre punti:
• individuazione dell’abilità che si intende costruire (definizione del
comportamento-meta) e selezione del comportamento iniziale, cioè dì un
comportamento già presente nei repertori dell’allievo che abbia qualche atti­
nenza con il comportamento-meta;
■ delineazione diana serie di approssimazioni successive, cioè di comporta­
menti che, partendo da quello iniziale, si avvicinino sempre più a quello
meta; -

179
l'autismo a scuola

• predisposizione di opportuni programmi di rinforzamento per fu sì che


Tailievo possa progressivamente padroneggiare i vari comportamenti fino a
raggiungere quello meta.

L’esempio descritto nella scheda 6.1 può aiutare a comprendere meglio la


strategia.

Scheda 6.1. Utilizzo della strategia di modellaggio (shaping) per insegnare


a Luca l’acquisizione di abilità grafiche di base

Quando Luca aveva 4 anni, l’insegnante di sostegno, supervisionato da uno psico­


logo esperto in terapia comportamentale, ha sviluppato un intervento per facilita­
re le prime abilità grafiche, consistenti nel tracciare righe su un foglio impugnando
i colori con presa tridigitale. Si è deciso di far ricorso alla strategia dello shaping. II
comportamento iniziale individuato è stato quello di afferrare oggetti colorati,
specie quelli verdi. Venivano messi oggetti nelle vicinanze di Luca, fra cui alcuni
pennarelli. Quando Luca sceglieva di afferrare un pennarello veniva gratificato con
rinforzatori materiali e sociali (si veda il punto f, per una spiegazione delle proce­
dure metodologiche per l’utilizzo dei rinforzatori). Una volta stabilizzato il compor­
tamento di individuazione e presa del pennarello, l’educatore rinforzava Luca solo
se toglieva anche il tappo. Questa abilità venne insegnata anche attraverso l’utiliz­
zo dì promptfisici e dimostrazioni. In seguito i rinforzatoci vennero riservati solo al
comportamento dì tracciare segni su un foglio. SÌ passò poi all’insegnamento della
presa tridigitale e Luca venne rinforzato esclusivamente quando impugnava corret­
tamente il colore e tracciava con esso dei segni sul foglio bianco. Nel giro di tre mesi
il comportamento-meta venne padroneggiato in maniera autonoma, mentre risul­
tarono molto meno soddisfacenti i tentativi di ottenere che Luca colorasse corretta-
mente delle figure. Continuò, infatti, solo a tracciare righe.

Concatenamento (chaìning)

Il concatenamento (chaìning) è una particolare strategia utilizzata per l’inse-


gnamento di abilità complesse costituite da sequenze di comportamenti ben
delineabili. È il caso delle abilità dì autosufficienza (vestirsi, svestirsi ecc.) e di
molte abilità professionali che richiedono un regolare susseguirsi di fasi. La
predisposizione di un programma di chaìning richiede un procedimento
articolato ìn tre fasi:

180
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• suddivisione dell’abilità in componenti {task analysis^


• costruzione della catena comportamentale;
• strutturazione di un programma di concatenamento delle componenti
attraverso il rinforzo gradino per gradino.

In concreto si delineano le parti componenti dì un’abilità complessa (ad es.


per vestirsi bisogna infilarsi le calze, lo slip ecc.) e si insegna all’allievo a
eseguirle in successione fino al completamento del compito.
Il concatenamento delle componenti dell’abilità avviene attraverso un
particolare programma di rinforzamento gradino per gradino. È questo
£? * l’aspetto che maggiormente caratterizza la tecnica e la differenzia da tutte le
' altre. Tale concatenamento si svolge nel seguente modo: non appena il
comportamento descritto nella prima componente è stato compiutamente e
stabilmente appreso, si passa a rinforzare il gradino successivo soltanto se il
comportamento previsto viene emesso insieme, congiuntamente, in sequen-

Figura 6.1. Illustrazione delle fasi del training effettuato attraverso


il concatenamento anterogrado, per insegnare a Giuseppe l'abilità di piantare
e annaffiare i fiori

181
l'autismo a scuola

za a quello precedente, mentre la prima componente da sola non viene più


rinforzata. Apprese e concatenate le prime due componenti, si- passa alla
terza, che sarà oggetto di rinforzamento soltanto se il comportamento
descritto a tale livello viene emesso in sequenza ai due precedenti e così di
seguito.
La procedura di concatenamento può avvenire in maniera anterograda o
retrograda.
Il chaining anterogrado prevede l’insegnamento e il concatenamento del
primo comportamento con il secondo, poi con il terzo e così via fino a giun­
gere all’ultimo. Nel chaining retrogrado, invece, si procede al contrario
aiutando fortemente l’allievo nell’esecuzione di tutte le componenti delle
abilità tranne l’ultima; poi si richiede l’esecuzione autonoma delle ultime
due per arrivare progressivamente all’effettuazione dell’intera sequenza.

Nella figura 6.1 sono raffigurate le fasi connesse al compito di piantare e


annaffiare un fiore, che è stato insegnato a Giuseppe attraverso il chaining
anterogrado e il supporto visivo.

'apprendimento discriminativo senza errori

A partire dai lavori pionieristici di Terrace (1963), si è andato sviluppando


un approccio all’apprendimento discriminativo finalizzato a ridurre al massi­
mo la possibilità di errore da parte dell’allievo. Lancioni, Smeets e Ceccara-
ni (1985) hanno descritto quattro procedure operative, le quali hanno dimo­
strato di essere efficaci anche con persone molto compromesse dal punto di
vista cognitivo:
• stimulusfading,
• stimuhis shaping,
• superimposition efading,
• delayed cue.

Tali procedure si fondano su tre regole principali (Cottini, 1993):


• il livello di discriminazione iniziale è molto semplificato, per cui l’allievo
non si trova immediatamente a contatto con la discriminazione finale (come
avviene nei normali compiti di discriminazione per prove ed errori);
• la discriminazione finale viene raggiunta con gradualità, in modo da
prevenire o ridurre la possibilità d’errore;

182
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• la strategia del rinforzo viene utilizzata in maniera sistematica (si veda ri


punto successivo).

Lo stimulus fading è sicuramente la procedura più significativa e consìste


nel variare alcune dimensioni dello stimolo (ad es. la grandezza, l’altezza
ecc.), mantenendone inalterata la forma. La situazione discriminativa è
inizialmente molto facilitata, mentre in seguito gli aiuti vengono ridotti.
Ad esempio, se l’allievo deve discriminare la dimensione altezza riferita a
due disegni di persona, il programma educativo può prevedere una situa­
zione iniziale in cui vengono presentati due cartoncini con raffigurate due
persone: una esageratamente alta, l’altra appena visibile. In tale situazione
l’allievo, invitato a riconoscere la figura più alta, non può commettere erro­
ri. Poi la dimensione della figura piccola viene progressivamente ampliata
fino a raggiungere la sua dimensione standard. In seguito la figura esagera­
tamente alta viene ridotta in modo da assumere la sua dimensione finale e,
a questo punto, l’educatore può fare richieste circa la figura della persona
più bassa.

Tecniche di rinforzamento

Le tecniche di rinforzamento sono peculiari dell’approccio comportamenta­


le. Skinner (1953) definisce il rinforzo in.maniera strettamente pragmatica,
come un evento che, fatto seguire all’emissione di un comportamento, ne
rende più probabile la comparsa in futuro.
Esistono vari tipi di rinforzatori, dei quali i più significativi sono:
• rinforzatovi materiali, commestibili e non, rappresentati da cibi, bevande
o da oggetti in grado di attrarre l’allievo;
• rinforzatori sociali, che sono la categoria più diffusa e importante di
rinforzatori, in quanto si presentano normalmente nei vari contesti di vita
(attenzione, approvazione, lode ecc.);
• rinforzatori sensoriali, che si riferiscono a tutte le stimolazioni sensoriali
che l’individuo mostra di gradire;
• rinforzatori simbolici, costituiti da oggetti che acquisiscono la capacità di
rinforzare il comportamento, in quanto possono essere associati a rinforza­
tori materiali o sociali (ad es. punti che, una volta accumulati, possono esse­
re scambiati per ottenere privilegi di vario tipo);
• rinforzatori info rmazionali, basati sul principio del feedback, secondo il

183
L’AUTfSMO A SCUOLA

quale la consapevolezza di essere riusciti in un determinato compito costitui­


sce un grosso agente rinforzante per la sua ripetizione.

Senza dilungarci nella descrizione dei singoli rinforzatoli, esaminiamo tre


aspetti centrali della strategia rappresentati da:
• individuazione dei rinforzatoci efficaci per ogni singolo allievo;
• programmi di rinforzamento;
• principi metodologici per un utilizzo corretto dei rinforzatoti.

• Individuazione dei rinforzatoli efficaci per ogni singolo allievo. In conside­


razione del ruolo assolutamente centrale che i rinforzi rivestono nell’approc­
cio aba, è fondamentale che gli interventi educativi siano preceduti da una
valutazione della loro efficacia e significatività per ogni singolo allievo. Le
procedure per effettuare tale ricognizione sono sostanzialmente di tre tipi:
— colloquio con i genitori e con le persone che interagiscono più. frequen-
temente conTalIievo per ottenere informazioni circa le cose e le attività
che dimostramagglormemedigradi re.-Vanno elencati, a questo livello,
le attività preferite a casa (puzzle, giochi di vario tipo, libricini, disegno,
giochi al computer ecc.), ì cibi e le bevande graditi, gli oggetti sonori
(sonagli, libricini sonori ecc.), gli oggetti sensoriali (oggetti che vibrano,
morbidi, spugne ecc.), gli oggetti visivi (oggetti che girano, luci ecc.);
— Tosservazione informale del bambino in una siuiaziqne non struttura­
ta, per valutare le sue preferenze nel momento in cui ha liberò accesso a
tutta una serie di oggetti. Va osservato anche Io sforzo che il bambino è
disposto a effettuare per ottenere un certo oggetto;
- valutazione formale dei rinforzi, al fine di stabilire una verace propria
gerarchia mettendoli in ordine di gradimento (Bondy, Frost, 2005).

Ci soffermiamo sull’ultima operazione, che è essenziale mettere in atto quan­


do si prevedono interventi molto strutturati, come il dtt, il Verbal Beha-
vior, il pecs e altri ancora (ne parleremo nel prosieguo di questo capitolo).
Nella scheda 6.2 sono descritte le azioni sviluppate con Luca.

Scheda 6.2. La valutazione dei rinforzi effettuata con Luca

1. Vengono presentati a Luca, uno alla volta, alcuni alimenti e oggetti che si riten­
gono graditi sulla base delle informazioni avute dalla mamma e delle impressioni

I84
6. PROGRAMMI Df INTERVENTO SULL’AUTISMO

derivate dall’osservazione informale, Per ogni possi bile rinforzatore vengono anno­
tate sulla scheda le reazioni dell'allievo nel momento della presentazione, mentre
lo manipola, quando si cerca di riprenderlo, quando gli viene fornito di nuovo. La
scheda riporta le principali reazioni dì Luca.

Rifiuta Non Cerca di Protesta Mostra Lo


reagisce prenderlo se gli viene di gradirlo riprende
tolto

Succo X X X
Cracker X X X X
Patatina X
Grissino X
Macchinìna X X X X
Maracas X
Libro X X X X
Palla X
Pennarelli X

2. Glij^gettixhejjsullanp.^ base delle reazioni alla


presentazione vengono riproposti in un primo gruppo di tre, annotando quello che
viene preso per primo. L'operazione viene ripetuta più volte per essere certi che la
scelta non sia casuale.
3. L'itern scelto più volte viep.e,toLtp„daLgruppo,e neviene. inserito uno nuovo
ripetendo l'operazione. Togliendo sempre quello maggiormente scelto si arriva a
un gruppo di quattro che risultano i preferiti in assoluto.
4. Vengono presentati questiquattro rinforzatone ripetuta l’operazione di elimi­
nare quello che viene scelto con più frequenza. In questo modo si arriva a una
graduatoria che vede al primo posto la macchinine, al secondo il cracker, al terzo il
succo, al quarto il libro. La patatina e ì pennarelli sono graditi, ma a un livello infe­
riore; la palla risulta essere neutra, mentre i grissini e le maracas vengono addirit­
tura rifiutati.

• Programmi di rinforzamento. Il più semplice programma di rinforzameli-


to è quello di tipo continuo, in cui viene elargito lo stimolo rinforzante a ogni
emissione del comportamento. Quando invece sì prevede che il rinforzo sia
dato all’allievo soltanto in determinate occasioni, ma non In tutte, siamo di
fronte a un programma di rinforzamento intermittente.

185
l'autismo a scuola

Il lavoro dì maggior riferimento sui programmi di rinforzamento è quel­


lo di Ferster e Skinner (1957), nel quale gli autori, sulla base di un grosso
numero di ricerche effettuate soprattutto sugli animali, hanno messo in risal­
to importantissimi principi per il mantenimento del comportamento, oltre
che per la sua acquisizione.
Un aspetto saliente che risalta dal lavoro degli autori citati riguarda il
programma di rinfoizamento intermittente, il quale appare maggiormente
vantaggioso in confronto a quello continuo, in quanto, pur producendo un
apprendimento più lento, risulta molto più resistente all’estinzione. Il
programma intermittente di rinforzo si articola in quattro modalità:
programma a rapporto fisso, programma a rapporto variabile, programma a
intervallo fìsso, programma a intervallo variabile.
Nd. programma a rapportofisso il rinforzo viene presentato dopo un parti­
colare numero di risposte. Il comportamento rinforzato con questo
programma risulta essere molto uniforme, ma non eccessivamente resistente
all’estinzione. Infatti, il sistema nervoso è particolarmente sensibile a identi­
ficare ogni tipo di regolarità negli avvenimenti e quindi il soggetto può indi­
viduare rapidamente un cambiamento nelle circostanze e adattare il suo
comportamento alla nuova situazione.
Nel programma a rapporto variabile il numero dei comportamenti fra
ogni risposta rinforzata non è fisso, ma varia secondo determinate modalità.
Il rapporto può essere inizialmente basso e venire aumentato via via che la
serie procede, in modo tale da rendere la risposta progressivamente meno
dipendente dal rinforzo. Il programma a rapporto variabile dà come risulta­
to un comportamento fortemente resistente all’estinzione.
Nel programma a intervallo fisso il rinforzato re viene elargito quando è
trascorso un certo periodo dì tempo dalla somministrazione del rinforzo
precedente. Il comportamento che si ottiene con questo programma è
alquanto intermittente, con pause prolungate dopo l’erogazione di ogni
rinforzatore e accelerazione di risposte quando si avvicina il momento di
ricevere il rinforzatore successivo.
Neh programma a intervallo variabile il rinforzo si presenta in seguito a
risposte che hanno luogo in particolari intervalli di tempo fra loro diversi.
Questo programma permette dì ottenere modelli uniformi di comporta­
mento. Se gli intervalli fra le risposte rinforzate sono molto lunghi il
comportamento può estinguersi; comunque, gli intervalli possono essere
incrementati lentamente, finché sono cosi distanziati che ì soggetti conser­
vano il loro comportamento quasi senza alcun rinforzo.

186
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• Principi metodologici per un utilizzo corretto dei rinforzatoti. L’educatore


che vuole consolidare delle abilità di allievi con autismo attraverso l’impiego
di agenti di rinforzo deve orientare il proprio intervento al rispetto di tre
principi fondamentali:
— rinforzare immediatamente dopo l’emissione di un comportamento;
— provvedere alla progressiva sostituzione dei rinforzatoti materiali con
altri maggiormente naturali;
— favorire il passaggio da schemi di rinforzo costante a schemi di rinforzo
intermittente.

U immediatezza e la certezza del rinforzo sono elementi essenziali per far sì


che l’intervento basato sul rinforzo porti ai risultati programmati. È necessa­
rio, quindi, che il rinforzatore sia erogato immediatamente dopo che il
comportamento desiderato è stato emesso (anche se accidentalmente). Inol­
tre, nessuna risposta positiva deve rischiare di rimanere non rinforzata
(questo, come vedremo in seguito, limitatamente alle prime fasi dell’appren­
dimento).
L’emissione di risposte comportamentali soddisfacenti non può essere
sostenuta per molto tempo da stimoli rinforzanti di tipo materiale, in quan­
to questa procedura risulterebbe poco naturale e produrrebbe rapidamente
un effetto saziazione, E auspicabile, quindi, il passaggio graduale a rinforza-
tori più naturali, soprattutto di tipo sociale (la lode, l’approvazione ecc.).
Tale transizione rispetta la regola fondamentale secondo la quale è necessa­
rio passare quanto prima a contingenze di rinforzamento che siano le più
naturali possibili. Sono queste, infatti, che dovrebbero successivamente
influenzare i comportamenti dell’allievo, consolidando quelli maggiormen­
te adattivi.
Solitamente all’inizio dell’intervento è utile rinforzare ogni successo nelle
prestazioni ricercate. Anzi, in molti casi, l’utilizzo di schemi di rinforzo
continui è indispensabile per ottenere risposte comportamentali adeguate. È
però impensabile, antieconomico e innaturale continuare a utilizzare tale
schema di rinforzo anche in considerazione del fatto che, diventando del
tutto dipendente dall’erogazione del rinforzatore, il comportamento tende­
rebbe a estinguersi nel caso la contingenza rinforzante venisse soppressa.
Se si vuole che l’apprendimento stimolato entri a far parte del bagaglio di
abilità dell’allievo, bisogna passare a schemi di rinforzo intermittente, i quali
risultano più naturali, dal momento che anche nell’ambiente sociale i

187
l'autismo a scuola

comportamenti non vengono mai rinforzati in maniera continua, ma secon­


do schemi il più delle volte del tutto casuali.

Come favorire la generalizzazion e degli apprendim enti /

Come più volte sottolineato, per poter parlare di apprendimento, è necessario


un mantenimento nel tempo delle abilità acquisite e la loro generalizzazione
in contesti differenti da quelli in cui è avvenuto il training (Kazdin, 1975).
Bisogna sottolineare che l’attenzione riservata al processo dì generalizza­
zione da molti teorici dell’apprendimento è stata tradizionalmente assai limi­
tata; ciò in relazione al fatto che la generalizzazione non veniva considerata
come un obiettivo da raggiungere con un’accurata e intenzionale program­
mazione, ma come una sorta di risultato naturale di ogni training educativo.
Questa aspettativa si è dimostrata poco fondata, in particolare per quanto
riguarda la situazione degli allievi affetti da autismo,
SÌ è maturata, quindi, la consapevolezza di dover pianificare attivamente
la generalizzazione attraverso l’impiego di specifiche strategie da parte
dell’educatore. Stokes e Baer (1977) hanno elencato, in una loro rassegna
della letteratura, alcune interessanti procedure, recentemente riprese e
ampliate da Whaleri, (2009):
• estendere l’intervento ad altre condizioni;
• insegnare utilizzando stimoli e/o rinforzi simili a quelli che si ritrovano
naturalmente nell’ambiente;
• usare contingenze di rinforzamento diffìcilmente identificabili,

• Estendere l’intervento ad altre condizioni. Questa modalità di intervento


prevede che, in presenza di un deficit di generalizzazione di un’abilità in
contesti differenti da quelli originari, si strutturi un training più ampio che
investa quelle situazioni in cui la generalizzazione non si è ancora verificata.
Se, ad esempio, un allievo autistico non generalizza fra situazioni diverse —
ossia risponde in maniera corretta soltanto nell’identica situazione in cui è
avvenuto il training e non in altre simili —, si provvede a insegnare al sogget­
to a rispondere nella giusta maniera in un’altra situazione simile e così via.
Lo stesso avviene se il deficit di generalizzazione è riferito a persone, materia­
li ecc. Si tratta, chiaramente, di una procedura analitica assai costosa in
termini di tempo, ma che si adatta bene nelle situazioni in cui sono associa­
te gravi forme di ritardo intellettivo.

188
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• Insegnare utilizzando stimoli eìo rinforzi sìmili a quelli che si ritrovano


naturalmente nelVambiente. La generalizzazione si verifica con maggiore
facilità quando sì determina un’espansione del controllo che gli stimoli
originari hanno sul comportamento positivo. È evidente che, se il training
educativo avviene utilizzando stimoli il più possibile simili a quelli che l’al­
lievo incontrerà nell’ambiente naturale, il processo di generalizzazione ne
sarà potentemente beneficiato. I coetanei dei bambini affetti da autismo, ad
esempio, possono rappresentare candidati particolarmente adatti a essere
scelti come stimoli comuni nelle situazioni di training e di generalizzazione.
Allo stesso modo, l’impiego di stimoli fìsici (materiali, attrezzature ecc.) che
si ritrovano nell’ambiente naturale è un aspetto di particolare rilevanza.
Infatti, se questi stimoli sono selezionati in maniera da essere funzionali e
rilevanti anche per le procedure di training, allora la generalizzazione può
essere fortemente facilitata. Su questi principi e sul riferimento alla motiva­
zione degli allievi si incentrano le strategie di insegnamento naturalistico
proposte da Koegel e Koegel (1995) all’interno dell’approccio denominato
Pivotal Responso Training (PAR. 6.I.4).
• Usare contingenze di rinfirrzamento difficilmente identificabili. Coinè stato
messo in risalto parlando di consolidamento delle risposte attraverso la tecni­
ca del rinforzo, alcuni programmi di rinforzamento intermittente (Ferster,
Skinner, 1957) risultano molto più resistenti all’estinzione in confronto a
quelli di rinforzamento continuo. Tale resistenza può essere interpretata
come una forma di generalizzazione del comportamento attraverso il
“tempo” successivo al primo apprendimento (Stokes, Baer, 1977)- I
programmi dì rinforzamento intermittente si caratterizzano per l’imprevedi-
bilìtà del momento in cui verrà elargita la gratificazione. In altre parole, l’al­
lievo non riesce a discriminare le occasioni di rinforzo dalle situazioni di non
rinforzo finché l’evento non si è realmente verificato. Questo fatto è estrema-
mente positivo, non solo ai fini del mantenimento dell’abilità, ma anche
della sua generalizzazione ad altri contesti e situazioni. Infatti, nella genera­
lizzazione il comportamento si deve manifestare sia nelle situazioni in cui
verrà rinforzato che in quelle in cui non verrà rinforzato.

A conclusione di questa analisi delle strategie derivate dall’approccio


comportamentale, presentiamo (SCHEDA 63) un esempio di intervento
condotto con Marco sulla discriminazione delle immagini, che ha visto l’im-
piego di alcune delle procedure descritte.

189
l'autismo a scuola

Scheda 63. Il programma di insegnamento della discriminazione di immagini


sviluppato con Marco

Attività

• Identificare immagini. L’insegnante dispone le immagini sul tavolo dì fronte al


bambino. Dà l’istruzione "Indica...” e prendendo la mano del bambino lo guida ad
indicare l'immagine. Ogni esecuzione viene rinforzata. Si adotta una procedura di
attenuazione progressiva degli aiuti (fading). Il rinforzo inizialmente comprende
tutte lè tipologie previste; poi viene attenuato quello tangibile (si passa a una proce­
dura intermittente) fino ad annullarlo; infine vengono ridotti gli altri (si passa ad
uno schema intermittente). Le risposte che vengono date con un livello più basso di
aiuto non vengono più rinforzate quando richiedono aiuti maggiori per essere
emesse. L’abilità si ritiene acquisita quando viene manifestata senza errori e senza
necessità di rinforzo tangibile.
• Classificare le immagini. L'insegnante si siede su una sedia di fronte al bambi­
no e gli presenta un'immagine. Gli dice “Mettila con quelle uguali". Vengono utiliz­
zati gli aiuti e i rinforzi come nell’esercizio precedente.

Materiali

Fotografie e cartoncini raffiguranti oggetti.

Rinforzi

Rinforzo sociale (Bravo!), rinforzo sensoriale (accarezzare la mano) e rinforzo tangi­


bile (patatina).

Scheda per il monitoraggio degli apprendimenti

Istruzione Risposta Data Data


di introduzione di acquisizione

1. ‘‘Indica..." Indica l'immagine corretta


2. “Mettila con quelle uguali” Classifica l'immagine
3-
4-
5-
6.
7-

190
6. PROGRAMMI Dì INTERVENTO SULL'AUTISMO

6.1.3. H Discrete Trial Training /

La ricerca scientifica e le numerose esperienze condotte in contesti educativi


confermano le notevoli potenzialità delle strategie descritte, soprattutto
quando si interagisce con allievi che presentano elevati livelli di compromis­
sione funzionale (Meazzini, 1997; Cottini, zoozb). I bambini autistici a
basso livello di funzionalità, infatti, dimostrano di giovarsi in modo molto
significativo di una didattica precisa e prevedibile, con obiettivi organizzati
in maniera tassonomica e una gestione controllata delle contingenze di
rinforzo.
Un tipico modello di intervento comportamentale che risponde a questi
principi è il dtt o, in italiano, insegnamento per prove discrete, che è stato
molto enfatizzato nel lavoro condotto da Lovaas e collaboratori con bambi­
ni in età precoce (per una rassegna, si veda Lovaas, 1996).
Si tratta di un percorso di istruzione nel quale i compiti di apprendimen­
to sono posti in sequenza in piccole unità proposte in maniera ricorsiva, con
un utilizzo dei rinforzi come conseguenza immediata a situazioni di succes­
so e con una grande attenzione riposta nella raccolta dei dati e nella valuta­
zione dei progressi del bambino.
Va messo in risalto come il dtt sia spesso identificato come strategia
descrittiva dell’approccio aba e addirittura i due termini, dtt e aba, venga­
no considerati alla stregua di sinonimi. Questa modalità interpretativa è
sicuramente scorretta, in quanto I’aba è una scienza applicata, mentre il DTT
è una delle metodologie di insegnamento che utilizza i principi dell’ABA.

Secondo Anderson, Taras e Cannon (1996), il dtt si caratterizza come


routine istruzionale, con una serie di passi che vengono ripetuti più volte in
successione, diverse volte al giorno, fino a quando l’abilità è padroneggiata a
un livello considerato soddisfacente. In concreto, attraverso il dtt vengono
insegnate competenze con T utilizzo di una procedura che comprende quat­
tro elementi, più un quinto opzionale:
• distruzione o domanda, che costituisce lo stimolo antecedente discrimi­
nativo (SD), che porterà al controllo del comportamento. Nelle prime fasi
dell’intervento può essere accompagnata da un aiuto (prompt), costituito da
imo stimolo aggiuntivo finalizzato a guidare l’esecuzione richiesta. Tale
prompt rappresenta l’elemento opzionale della procedura (S1’);
• la risposta dell’allievo (R), che può essere corretta, non corretta o assente;

191
l'autismo a scuola

• la conseguenza della risposta (SR), che può variare a seconda che la stessa sia
stata adeguata o meno;
• l’intervallo tra le prove (m), costituito da una breve pausa tra una routine
e l’altra, in modo da informare l’allievo che una prova è stata completata e
che ci si accinge a partire con la successiva. L’intervallo può essere anche
utilizzato dall’educatore per appuntare i risultati della prova.

Il dtt viene presentato in serie successive di compiti articolati su queste fasi


(spesso rappresentate simbolicamente come SD (SF) —» R —> SR —> ni) e i
progressi dell’allievo sono valutati determinando la percentuale di risposte
corrette. L’applicazione della procedura può apparire semplice e meccanica,
ma in realtà, non lo è e richiede una formazione adeguata, non solo per capi­
re come attuare il programma, ma anche per valutarne l’efficacia e per appor­
tare quando necessario delle modifiche in relazione al feedback dell’allievo.
Alcuni accorgimenti metodologici riferiti ai diversi passi vanno sempre tenu­
ti in considerazione; in particolare:
* l’attenzione del bambino deve essere ottenuta prima di effettuare qualsia­
si tipo di presentazione. Questo può sembrare ovvio, ma è un aspetto spesso
trascurato, soprattutto nel momento in cui la procedura viene messa in atto
in un contesto sociale. E necessario eliminare potenziali fonti di distrazione,
che sono sempre specifiche per ogni allievo. Ad esempio, un bambino che si
autostimola visivamente non deve lavorare in un ambiente pieno di stimoli
visivi, mentre un bambino che è distratto da rumori ambientali dovrebbe
operare in un ambiente silenzioso;
• le istruzioni devono essere semplici, chiare e concise e devono comunica­
re solo le informazioni rilevanti in riferimento al compito. Naturalmente,
quando l’allievo fa registrare progressi, l’educatore può passare a tipologie di
istruzioni più naturali e articolate per favorire la generai izzaztone;
• deve essere valutato come risposta il comportamento che l’allievo presen­
ta dopo e come conseguenza dello stimolo discriminante. In altre parole,
quello che interessa l’educatore è il risultato della formazione impartita o
altri eventi mirati. Se il bambino sta reagendo a stimoli diversi da quelli che
l’insegnante ha messo in atto, il processo deve essere ripensato;
• nel caso in cui l’allievo fornisca una risposta adeguata, deve essere subito
rinforzato con le modalità descritte nel precedente paragrafo. Se invece la
risposta risulta scorretta si può avere l’assenza di rinforzo o un rinforzo nega­
tivo (ad es. il “No!” pronunciato dall’educatore);

192
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• durante l’intervallo tra le prove discrete di apprendimento l’allievo può


usufruire del rinforzo previsto ed eventualmente effettuare attività gradite,
mentre si dovrebbe evitare che si autostimoli;
» i risultati dell’insegnamento vanno raccolti nel corso dì tutte le prove e
organizzati in grafici al termine di ogni sessione di lavoro (di solito ogni gior­
no). In questo modo si facilita la condivisione e la riflessione sull’intervento
da parte di tutte le figure che interagiscono con il bambino e si promuovono
le condizioni per progettare eventuali adattamenti condivisi del programma.

Nella scheda 6.4 è riportato un programma di lavoro centrato sul dtt, fina­
lizzato a favorire l’acquisizione dell’abilità di riconoscere i colori da parte di
Marco.

Scheda 6.4. Insegnamento della discriminazione dei colori condotto


con Marco attraverso il dtt

L'insegnante presenta a Marco tre blocchi logici della stessa forma, ma di colore
diverso come nella figura. SÌ assicura che l’allievo non sia distratto da altro e che
guardi la situazione stimolo. Quando non lo fa, l'insegnante prende dolcemente la
testa del bambino con le mani e la orienta sul compito dicendo: “Marco guarda!".
L'insegnante tiene in maniera visibile, ma non raggiungibile dall’allievo, un
pacchetto delle patatine preferite da Marco. ‘‘
L’insegnante dice: “Marco tocca il giallo!"
L’allievo non mostra risposta. L’insegnante estende il dito indice del bambino e lo
guida a toccare la forma gialla.
L'insegnante con enfasi loda il bambino: “Bravo Marco. È Giallo!” e consegna una
patatina.
Fine della prima prova. Mentre Marco mangia la patatina l'insegnante segna sulla
sua scheda l’esecuzione avvenuta con aiuto totale.
SÌ continua con una seconda prova, modificando la disposizione dei blocchi logici.
Dopo la richiesta verbale, questa volta l’insegnante aspetta alcuni secondi prima
di fornire l’aiuto. La risposta viene immediatamente rinforzata in maniera sociale
e tangibile.
Ancora una breve interruzione per consentire a Marco di mangiare la patatina e
all’insegnante di segnare il risultato delia prova.
Dopo otto prove condotte con le stesse modalità (solo i tempi di attesa si allungano
un po’) sì verifica una modifica nella risposta di Marco. Dopo la richiesta, mentre

193
L’AUTISMO A SCUOLA

l’insegnante allunga la mano per guidare quella dell'allievo, questi la anticipa e


con l’indice tocca il blocco giallo. Segue la gratificazione sociale con molta enfasi
{l’insegnante dà anche un cinque al bambino) e il rinforzo materiale.
Vengono ripetute altre prove discrete, fino a quando non si è certi che il blocco
giallo non sia stabilmente riconosciuto e toccato.
A questo punto si modificano le situazioni cambiando le forme e passando ai
quadrati, poi ai triangoli ecc., per essere certi che siano effettivamente riconosciu­
ti i colori. Vengono effettuate oltre cento prove discrete di apprendimento. L'inse­
gnante effettua una modifica sullo schema di rinforzamento dilazionando il rinfor-
zatore materiale: quando la prestazione diventa più stabile, la patatina viene data
ogni due esecuzioni corrette, poi dopo ogni tre, fino a passare a schemi intermitten­
ti sempre più lunghi e a eliminare tale forma di gratificazione.
I risultati delle prove e le tipologie di rinforzo vengono sempre appuntate sulla
scheda dall'insegnante.

6.1.4- Modelli di intervento naturalistici

I trattamenti comportamentali intensivi per bambini con autismo condotti


secondo il modello classico dtt hanno dimostrato di poter essere molto effi­
caci per produrre miglioramenti significativi nel comportamento degli indi­
vidui con autismo. Tuttavia, in varie situazioni sono stati segnalati problemi
relativi al mantenimento degli effetti e, soprattutto, alla generalizzazione
delle acquisizioni (Schreìbman, 2000). Nello specifico, alcune carenze hanno
riguardato la dipendenza dagli aiuti, la mancanza di spontaneità e di
comportamento iniziato autonomamente, la presenza di risposte caratteriz­
zate da ripetizioni continue e l’incapacità di generalizzare Ì miglioramenti in
contesti diversi da quelli di apprendimento.
Per ovviare a queste problematiche sono stati elaborati alcuni modelli di
intervento definiti naturalistici, i quali, pur condividendo come il dtt tutti
Ì principi dell’ABA, se ne differenziano per le procedure che prevedono l’in­
segnamento del comportamento nel contesto in cui lo stesso si manifesta

194
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

naturalmente, utilizzando stimoli e rinforzi sempre presenti nell’ambiente.


Tali trattamenti naturalistici risultano strutturati in maniera meno rigida e
implicano la possibilità di trarre vantaggio dalle opportunità di insegnamen­
to che si verificano in seguito a situazioni iniziate dal bambino, sulle quali
l’educatore si inserisce al fine di potenziarle e consolidarle attraverso l’utiliz­
zo di rinforzatori disponibili nel contesto quotidiano di vita.
Il più significativo di questi approcci naturalistici è sicuramente 11 Pìvotal
Response Training (prt; Koegel, Koegel, Parks, 1995; Koegel, Koegel, 19993,
1999Ù; Koegel, 2000), il quale si è dimostrato efficace per l’apprendimento di
un ampio ventaglio di competenze comunicative, sociali e dì gioco, anche se
l’uso di rinforzi intrinseci all’ambiente limita di fatto gii ambiti di impiego.
L’applicazione del prt porta alla necessità di scegliere, all’interno dei vari
possibili curricoli di insegnamento-apprendimento, quei comportamenti
emergenti che, una volta imparati, possono offrire all’allievo opportunità, da
un lato, di farne un ampio uso nell’ambiente ottenendo da essi rinforzi e,
dall’altro, di accedere più fàcilmente all’apprendimento di ulteriori capacità.
Koegel e Koegel (19993) hanno definito questi comportamenti pìvotal
behaviari indicandoli come competenze che si trovano al centro di «vaste
aree di funzionamento» (ivi, p. 184), tali che un miglioramento prodotto su
di esse è in grado di determinare ripercussioni positive in altre aree. I princi­
pali pìvotal behaviors presi in considerazione nelle diverse esperienze sono:
• la motivazione degli allievi, soprattutto quella che dovrebbe portarli a
rispondere alle sollecitazioni sociali e ambientali;
• la capacità di considerare contemporaneamente varie tipologie di stimoli;
• l’autonomia nella gestione della propria persona e nell’autovalutazione
del proprio comportamento;
• riniziativa personale nella messa in atto di comportamenti funzionali ai
compiti.

La motivazione è sempre estremamente carente negli allievi con autismo, Ì


quali prediligono concentrarsi su attività personali routinarie, senza farsi
coinvolgere troppo da eventi che accadono nell’ambiente, anche nel
momento in cui gli stessi hanno connotazioni ludiche o fanno riferimento a
materiali e situazioni apparentemente accattivanti in relazione all’età dei
soggetti. Questa carenza, ovviamente, pregiudica in maniera molto signifi­
cativa le possibilità di apprendimento degli allievi e la qualità delle loro inte­
razioni sociali. ...

195
l'autismo a scuola

Come abbiamo sottolineato nel capitolo i, i bambini con autismo mani­


festano comportamenti attentivi molto focalizzati, che Lovaas e collaborato­
ri (1971) hanno definito come iperselettività degli stimoli, con la tendenza a
concentrarsi solamente su uno fia i vari stimoli o addirittura solo a una parte
di un certo stimolo. Ampliare questa possibilità rappresenta sicuramente un
pivotal behavior, che può determinare ripercussioni molto significative su
varie tipologie di apprendimenti funzionali. In concreto, un allievo con auti­
smo impegnato in un compito di appaiamento di forme a etichette verbali
(come nell’esempio precedente di indicare il blocco logico giallo, alla richie­
sta verbale dell’insegnante) può concentrarsi solo sulle forme e non sentire la
richiesta verbale o viceversa.

Anche lo sviluppo delle abilità di autonomia personale, di autogestione del


comportamento e di iniziativa dell’allievo sono obiettivi centrali del lavoro
sviluppato secondo Ì principi dal prt, in quanto si tratta di abilità che si
prestano, una volta apprese, a essere fortemente apprezzate e gratificate natu­
ralmente nell’ambiente. Tutto questo può determinare la promozione di
altre competenze connesse e, soprattutto, una modifica dell’atteggiamento
dell’intero contesto di vita.

Definiti i principali pivotal behaviors in direzione dei quali indirizzare il trai­


ning educativo, è importante concentrare l’attenzione sulla metodologia di
insegnamento da privilegiare. A livello generale gli autori (Koegel, Koegel,
I999a) raccomandano, in estrema assonanza con l’approccio comportamen­
tale, di porre grande attenzione alla situazione stimolo e alle modalità di
rinforzamento. In concreto, la situazione stimolo dovrebbe:
• essere presentata in maniera chiara e con modalità appropriate in relazio­
ne al compito e alle caratteristiche dell’allievo;
• essere intervallata da altre proposte che facciano riferimento ad attività
conosciute e apprezzate dall’allievo;
• derivare da ima scelta specifica dell’ allievo ;
• includere componenti multiple e non soltanto una tipologia di stimolo.

Per quanto riguarda il rinforzamento, questo dovrebbe essere;


• chiaramente connesso con il comportamento oggetto dell’intervento;
• conseguente non solo al raggiungimento del risultato, ma anche ai tenta­
tivi dell’allievo di rispondere alla situazione in modo positivo;

196
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

• presente naturalmente nell’ambiente, in modo da non richiedere una


modalità di rinforzamento esterno continuo.

Venendo nello specifico delle singole aree pivotali su cui si concentra in


maniera particolare il programma, possono essere fornite alcune indicazioni
metodologico-didattiche.
La motivazione può essere potenziata attraverso una serie di strategie che
pongano prima di tutto al centro gli allievi e le loro scelte, dalle quali prenda
costantemente avvio tutto il processo educativo. Inoltre è importante che tali
strategie facciano riferimento all’utilizzo di rinforzatori naturali e che
supportino e sostengano i tentativi autonomi di sviluppare comportamenti
in qualche misura attinenti ai compiti. Nello specifico, Schreibman, Kaneko
e Koegel (1991) hanno fornito alcuni suggerimenti metodologici per miglio­
rare la motivazione degli allievi con autismo di fronte ai compiti:
• fornire loro la possibilità dì scegliere le attività, i materiali e i giocattoli da
utilizzare durante Tinsegnamento. I bambini, infatti, tendono ad avere un
maggior coinvolgimento in attività di apprendimento se è loro consentito
fare delle scelte;
• utilizzare rinforzi che conseguono naturalmente aH’effettuazione del
compito, i quali possono più facilmente risultare graditi perché inerenti ad
attività o situazioni scelte dall’allievo e non richiedere la messa in atto di
particolari schemi di rinforzamento esterno, in quanto presenti nell’ambien­
te in associazione ai compiti specifici;
• alternare i compiti attraverso i quali si intendono promuovere nuovi
apprendimenti con altri già conosciuti, graditi e padroneggiati dall’allievo.
In questo modo, egli può mantenere un buon livello di successo nelle attivi­
tà e allo stesso tempo cercare di acquisire nuove competenze. La possibilità di
portare a termine almeno una parte dei compiti può risultare importante per
accrescere la motivazione e accettare di impegnarsi anche su situazioni
nuove;
• gratificare non solo Ì successi completi nelle attività, ma anche i tentativi
chiaramente orientati verso il compito. L’allievo, infatti, può insistere in una
determinata iniziativa se riceve supporto, anche quando effettua solo un
tentativo di risposta orientata in quella direzione.

Per quanto riguarda la promozione della capacità di considerare contempo­


raneamente varie tipologie di stimoli, è necessario che le istruzioni conten-

197
l’autismo a scuola

gano più dì uno stimolo, al quale l’allievo deve prestare attenzione, L’inse-
gnamento deve prevedere che, sulla base dei diversi stimoli presenti Deil’ain-
biente, l’allievo possa avere diverse opportunità di azione, con la richiesta di-feiS
seguire l’istruzione coordinando input di tipo visivo e verbale. Ad esempio;
può essere chiesto a Marco di collocare i suoi cubi da costruzioni dentro dei
cesti di diversi colori presenti nel contesto di gioco. Nel momento in cui
l’istruzione formulata diventa specifica e si richiede di mettere i giochi prefe- ■
riti nel cestino rosso, il bambino deve operare una differenziazione considc-
rando diversi stimoli e coordinando l’istruzione verbale con la situazione
visiva. J-S
Promuovere la capacità di autogestire il proprio comportamento, anche
solo parzialmente, è sempre molto complesso quando sì interagisce con allie-
vi affetti da autismo, in quanto richiede abilità solitamente non padroneg-
giare di autovalutazione del comportamento e di autorinforzamento di queL
lo adeguato. Adattando e integrando le. indicazioni fornite Koegel, Koegel e p
Surratt (1992), può essere individuato un percorso per allievi con autismo ad
alta funzionalità, centrato sulle strategie dì autoistruzione, automonitorag-
gìo e autorinforzamento (Cottini, 2OO3a). I passi di questa procedura meto-
dologica finalizzata all’autoregolazione saranno descritti con uno specifico :
esempio nel capitolo 11, dedicato agli interventi con allievi ad alto livello di
funzionalità e con sindrome di Asperger.
La quarta area pivotale prende in considerazione la capacità degli allievi
di assumere iniziative in relazione a particolari stimoli presenti nell’ambien­
te. Il training a questo livello si caratterizza inizialmente con il tentativo dì
insegnare agli allievi a formulare domande per ottenere informazioni signifi­
cative. Partendo da attività gradite ai bambini, si possono creare situazioni di
insegnamento in cui le competenze possedute sono necessarie, ma vanno
integrate con altre conoscenze che l’allievo può ottenere formulando delle
richieste con varie modalità. L’iniziativa degli allievi va rinforzata soprattut­
to attraverso la possibilità di portare a termine l’attività gradita, a cui sono
connesse specifiche gratificazioni (rinforzatoti naturali). Possono essere
previsti anche rinforzi esterni in associazione a quelli più naturali, ma gli stes­
si vanno poi gradualmente ridotti, in modo da lasciare le competenze sotto il
controllo di contingenze presenti nell’ambiente.
Le esperienze condotte fino a questo momento utilizzando il prt hanno
consentito di evidenziare un profilo delle caratteristiche degli allievi che
tendono a rispondere meglio alla tipologia di intervento. In concreto, posso­

198
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL'AUTISMO

no essere considerati predittori di successo la presenza di competenze orien­


tate Agli oggetti e soprattutto alla relazione, come l’interesse per i giocattoli,
la capacità di tollerare la vicinanza degli altri, le capacità verbali e l’assenza di
un numero eccessivo di comportamenti ripetitivi (Humphries, 2003).
La metodologia, pur essendo stata pensata come intervento precoce per
bambini con autismo, è risultata applicabile con successo anche con allievi
di età superiore.

6.2. il programma teacch

Il programma teacch, acronimo di Treatment and Education ofAutistic


and Communication Handicapped Children, è stato messo a punto attra­
verso un lavoro avviato negli anni sessanta del secolo scorso da Schopler e
collaboratori dell’Università della Carolina del Nord (Schopler, 1994,1995;
Schopler, Mesibov, 199 jb; Schopler, Reichler, Lansing, 1980; Schopler,
Mesibov, Hearsey, 1995; Mesibov, Schopler, Hearsing, 1994). La finalità
perseguita è quella di favorire l’adattamento della persona con autismo nel
proprio ambiente di vita, attraverso precise modalità organizzative e specifi­
che strategie educative personalizzate. In concreto, il teacch si caratterizza
come uno dei programmi per il trattamento degli individui con autismo che
propone un approccio globale e integrato, attraverso la costituzione di un
progetto educativo individualizzato che tiene conto del livello di sviluppo
dell’allievo (Schopler, Reichler, Lansing, 1980) e delle caratteristiche dell’am­
biente. Il programma, in altre parole, ha come fine lo sviluppo del miglior
grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, trami­
te strategie educative che siano in grado di potenziare le capacità della perso­
na con autismo. Le attività prevedono una presa in carico globale dell’indivi­
duo e della sua famiglia, sia in senso orizzontale che verticale, ovvero in ogni
momento della giornata, in ogni periodo dell’anno e per tutta l’esistenza: un
intervento globale per un disturbo globale.
L’adattamento all’ambiente si persegue attraverso due Enee di azione
integrate in un approccio denominato insegnamento strutturato'. da un lato,
il potenziamento delle capacità personali, soprattutto relativamente alla
comunicazione e all’interazione sociale; dall’altro, la modifica dell’ambiente
secondo le specifiche caratteristiche dell’allievo con autismo.
Altro aspetto particolarmente enfatizzato è la valutazione delle competenze

199
l'autismo a scuola

e dei deficit, sia per quanto concerne i punti di forza e quelli di debolezza sia
relativamente alle abilità potenziali, le quali vengono definite come emergenti.
Nel capitolo 4, parlando di adattamento dell’ambiente, è già stata sotto­
lineata l’importanza che rivestono i principi dell’insegnamento strutturato
per un’adeguata organizzazione del contesto scuola, della sequenza delle atti­
vità, dei tempi e dei compiti. Allo stesso modo, nel capitolo j sono stati
descritti i principali strumenti elaborati all’interno del programma teacch
per la valutazione clinica e funzionale (scala cars per la definizione della
gravità dell’autismo, scala pepj e aapep per la delineazione .del profilo
funzionale del bambino e dell’adolescente e adulto con autismo). Nel capito­
lo 8 dedicato alla comunicazione, poi, sarà presentata la metodologia di lavo­
ro per Io sviluppo della comunicazione spontanea.
In considerazione di ciò, in questo paragrafo ci limitiamo a presentare i
prìncipi di riferimento dei programma.

6.2.1. Principi di riferimento del teacch

Questo programma si basa su una serie di principi che Schopler ha descritto


a più riprese (1989,1995, 1997), dai quali discendono tutte le applicazioni
metodologiche utilizzabili con persone affette da autismo di ogni età. I più
significativi, in relazione alla possibilità di un’applicazione a scuola del
programma, sono sicuramente quelli indicati di seguito.
d} Collaborazione dei genitori. La collaborazione fra operatori specializzati e
famiglia è stato il pilastro della filosofia del teacch fin dall’inizio, quando
ancora, intorno agli anni sessanta-settanta, Ì genitori erano considerati
responsabili dell’autismo del loro bambino (Schopler, 1971). Essi collabora-
no con lo staff clinico e con gli educatori e costituiscono l’elemento fonda­
mentale per assicurare al programma la necessaria continuità e possibilità di
generalizzazione in ogni contesto. Sono in grado, inoltre, di fornire informa­
zioni e di fare osservazioni assolutamente determinanti per lo sviluppo delle
procedure educative e per la valutazione dell’efficacia delle stesse.
h) Obiettivo dell’adattamento. Nel momento in cui è stata dimostrata la
natura biologica dell’autismo, diventa evidente che il programma di inter­
vento, per la maggior parte degli individui, debba necessariamente avere una
lunga durata. Per questo motivo l’enfasi del teacch è stata posta sull’adat­
tamento, che può essere raggiunto attraverso l’insegnamento di nuove abili­

200
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL’AUTISMO

tà. Quando l’acquisizione delle abilità è ostacolata da un ritardo specifico


nello sviluppo, come avviene nell’autismo, l’ambiente può e deve essere
modificato per facilitare l’adattamento della persona. L’insieme di acquisi­
zioni di nuove abilità e la sistemazione del contesto ambientale possono
produrre un buon adattamento.
c) Importanza della valutazione per individualizzare !intervento. È già stata
sottolineata l’enfàsi che l’approccio teacch pone sul momento della valu­
tazione, da condurre attraverso strumenti molto sofisticati, che risultano
sicuramente i più utilizzati a livello internazionale. La scala cars, il pepj e
I’aapep rappresentano le modalità principali, anche se non le uniche, attra­
verso le quali ottenere informazioni sullo sviluppo degli allievi e sui loro
punti di forza e di debolezza, i quali risultano fondamentali per impostare
interventi psicoeducativì specifici per ogni individuo, finalizzati in modo
particolare all’insegnamento di abilità utili per la comunicazione, l’interazio­
ne sociale e la vita quotidiana.
d) Insegnamento strutturato. Come detto a più riprese, l’allievo con autismo,
a causa soprattutto dei deficit di comunicazione e della sua caratteristica
“cecità sociale” (Frith, 1989), ha bisogno di una strutturazione dell’ambien­
te per rassicurarsi; il suo livello di ansia diminuisce quando sa esattamente
che cosa ci si aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che
cosa succederà in seguito, come, dove e con chi dovrà operare. Ha bisogno,
in altre parole, di un quadro temporo-spaziale molto strutturato, nel quale i
punti di riferimento siano visibili, concreti e prevedibili. La strutturazione,
tuttavia, non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in
funzione dei bisogni e dei livelli di sviluppo del sìngolo allievo e soggetta a
modifiche in ogni momento; né deve essere fine a sé stessa, ma rappresenta­
re un mezzo per aiutare una persona in difficoltà a causa della propria impos­
sibilità a comunicare. Le fondamentali componenti dell’insegnamento strut­
turato, come è stato sottolineato nel capitolo 4, sono le seguenti (Schopler,
Mesibov, Hearsey, 1995)11’organizzazione dellambientefisico, gli sche mi visi­
vi i sistemi di lavoro, V organizzazione dei compiti e del materiale.
e) Riferimento alla teoria cognitivo-comportamentale. I princìpi dell’insegna­
mento strutturato guidano a sfruttare le possibilità di lavoro autonomo degli
allievi con autismo, cercando di uscire dalla barriera delle attività ripetitive e
stereotipate. L’insegnamento diretto di abilità e il controllo del comporta­
mento richiedono' anche il ricorso a modalità di intervento specifiche, guida­
te dall’insegnante e finalizzate a favorire una progressiva conquista di compe­

201
l'autismo a scuola

tenza e di maggiori capacità di adattamento all’ambiente. Per tale scopo, il


programma teacch fa riferimento alla teoria cognitivo-comportamentale e
a tutte le strategie che da essa sono derivate (Cottinì, 1993).
L’utilizzo integrato della teoria cognitiva e di quella comportamentale
trova una sua concretizzazione importante nei programmi per la gestione del
comportamento e in quelli per lo sviluppo della comunicazione.
Per quanto riguarda la riduzione dei problemi comportamentali l’impor­
tanza di conoscere quali elementi li sostengono e li alimentano è rappresen­
tata dalla metafora dell’iceberg (Schopler, 1997). Questa metafora porta a
rappresentare sopra il livello dell’acqua Ì comportamenti specifici che posso­
no appartenere alla sfera di quelli dirompenti, come l’aggressività e l’autole-
sionìsmo e sotto il livello dell’acqua le varie ipotesi esplicative e i deficit
correlati all’autismo che potrebbero spiegare quei comportamenti, come l’in­
capacità di comunicare Ì bisogni, la scarsa comprensione ecc. Come si avrà
modo dì illustrare nel capitolo 9, pensare di affrontare queste problematiche
facendo solo riferimento a quanto si può osservare (quello che sta sopra il
livello dell’acqua) non porta a successi significativi e duraturi.
L’insegnamento linguistico nel programma teacch segue le direttive
della teoria cognitiva nella forma psicolinguistica. In altre parole, la comuni­
cazione non viene ricercata solo attraverso il condizionamento comportamen­
tale di tipo verbale, ma anche grazie alla massima promozione della comuni­
cazione spontanea (Watson et al., 1989). Come si vedrà in dettaglio nel
capitolo 8, il programma prevede di porre la massima attenzione alle posture,
ai gesti, ai segni, alle figure e alle parole che il bambino utilizza, allo scopo di
insegnare nuove abilità comunicative in contesti e condizioni familiari.
f) Approccio olistico-generalista. Succede sovente che Ì vari professionisti
(clinici, psicologi, tecnici della riabilitazione, educatori), interagendo con le
persone con disturbo autistico, tendano a rapportarsi in maniera molto foca-
lizzata in relazione ai propri ambiti specifici di specializzazione. In concreto,
l’interesse può essere focalizzato sulle problematiche di comportamento, sul
deficit di linguaggio, sulle difficoltà sensoriali o motorie ecc., ma non sempre
il focus si amplia per considerare globalmente la persona nel contesto della sua
famiglia e del suo ambiente di vita. L’orientamento olistico enfatizzato all’in­
terno dell’approccio teacch si caratterizza con l’introduzione della figura
professionale del “generalista” in contrapposizione a quella dello “speciali­
sta”. Tutte gli operatori devono apprendere a intervenire sulla vasta gamma
di problematiche che la persona con autismo può presentare. Schopler e i

202
6. PROGRAMMI Di INTERVENTO SULL’AUTISMO

suoi collaboratori hanno sviluppato questo elemento del modello per


contrapporsi alla maggioranza dei servizi nei quali l’équipe, formata da diver­
se figure professionali, tende a dividere il lavoro da svolgere delegandolo ai
vari specialisti, con il rischio che gli interventi finiscano per risultare scollega­
ti fra loro, senza la necessaria sintesi e unicità.

6.3. L'intervento secondo i prìncipi della teorìa della mente

Per allievi con autismo che presentano una buona funzionalità cognitiva è
sicuramente utile inserire nel piano educativo individualizzato obiettivi riferi­
ti alla percezione degli stati mentali propri e altrui. Imparare a riconoscere le
emozioni, a comprendere e a prevedere il comportamento di una persona sulla
base dei pensieri o delle azioni che compie, infatti, può facilitare la compren­
sione delle situazioni di vita quotidiana e migliorare le competenze relazionali
dei bambini. Oltre a ciò, queste competenze sono estremamente deficitarie
anche negli allievi con autismo a elevata funzionalità. Il programma proposto
da Baron-Cohen e collaboratori (Howlin, Baron-Cohen, Hadwin, 1999), ispi­
rato ai principi della teoria della mente, sì indirizza appunto in questa direzio­
ne, prevedendo l’insegnamento progressivo degli stati mentali in tre aree:
1. emozioni-,
2. il sistema delle credenze e delle false credenze-,
3. il gioco simbolico, con particolare riferimento al gioco difinzione.

Si tratta di esercitazioni proposte attraverso schede didattiche che ci sembra­


no facilmente generalizzabili nel contesto scolastico, in parte durante il lavo­
ro individualizzato del bambino e in parte come attività per finterà classe
soprattutto a livello di scuola delFinfanzia.
Di seguito analizziamo sinteticamente i primi due livelli del programma,
mentre alcune proposte finalizzate all’acquisizione della capacità di gioco
simbolico saranno presentate nel capitolo 7.

6.3.1. Discriminare le emozioni

Per quello che riguarda il primo obiettivo del programma, che consiste nel
tentativo di aiutarefii bambini con autismo a discriminare e riconoscere le

203
l'autismo a scuola

diverse emozioni su di sé e sugli altri, le proposte di intervento sono organiz­


zate in cinque livelli:
i. riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografìe;
z. riconoscimento delle emozioni in disegni schematici;
3. identificazione delle emozioni causate da situazioni;
4. identificazione delle emozioni causate dal desiderio;
5, identificazione delle emozioni causate da opinioni.

1. Riconoscimento delle espressioni del viso nelle fotografie. Le esercitazioni a


questo livello del programma consistono nel mostrare agli allievi delle foto­
grafie nelle quali i personaggi assumono varie espressioni (felicità, tristezza,
rabbia, paura) e chiedendo di riconoscere il tipo di emozione. Inizialmente il
compito viene facilitato dall’educatore che mostra le immagini e indica
l’emozione corrispondente, con il bambino che deve solo scegliere quella che
presenta un’emozione dello stesso tipo. In seguito, i compiti diventano più
complessi e l’allievo è chiamato a discriminare le emozioni senza presenta­
zione di modelli e con presenza di un numero crescente di alternative.
2. Riconoscimento delle emozioni in disegni schematici. A questo livello al
bambino vengono mostrati disegni anziché fotografìe, con la consegna dì
discriminare le emozioni dei personaggi raffigurati. In riferimento al lavoro
didattico finalizzato ai primi due obiettivi del programma può risultare utile
un applicativo realizzato all’interno del progetto "Il computer insegna”
promosso e finanziato dalla Regione Marche (il software, con i relativi appli­
cativi, è un prodotto freeware e può essere scaricato collegandosi al sito del
Centro regionale di ricerca e documentazione sulla disabilità della Regione
Marche). Nella scheda 6.5 viene presentato un esempio delle esercitazioni
condotte attraverso il software con Roberta.

Scheda 6.5. L’applicativo sul riconoscimento delle emozioni del software


"Il computer insegna”

Il software presenta un'emozione primaria, nel caso di Roberta con modalità scrit­
ta e verbale, con la consegna di individuare la figura che la rappresenta. Se l’allie-
va dieta 0 tocca la figura corrispondente il programma fornisce un feedback verba­
le di rinforzo. In caso contrario segnala l’errore e chiede di riprovare eliminando
una faccina, fino ad arrivare alia condizione in cui viene presentata solo quella

204
6. PROGRAMMI D! INTERVENTO SULL’AUTISMO

corretta* A ogni presentazione vengono cambiati, con modalità random o control­


lata, ì distrattori (le figure che non rappresentano l'emozione indicata nello stimo­
lo). È possibile regolare il numero di elementi presenti nello schermo, il tipo di
stimolo da fornire (immagine, parola, presentazione verbale, filmato), il feedback
da prevedere in caso di successo e di insuccesso.

3. Identificazione delle emozioni causate da situazioni. Si tratta, di educare Pal­


lievo con autismo al riconoscimento delle emozioni conseguenti a determi­
nate situazioni. Ad esempio, come potrebbe sentirsi un bambino al quale un
compagno ha appena rubato un gioco.
Il materiale che viene utilizzato è costituito da illustrazioni di situazioni
dì vita quotidiana, alle quali conseguono specifiche emozioni. L’educatore
mostra l’illustrazione e descrive quello che vi è rappresentato, quindi formu­
la la domanda su che cosa prova il personaggio della figura, suggerendo
sempre quattro possibili alternative: felicità, tristezza, rabbia, paura. Se la
risposta fornita dall’allievo è corretta, l’educatore la rinforza e approfondisce
la comprensione del bambino; se è inesatta, deve fornire subito quella giusta
spiegando il motivo per cui il personaggio si sente felice, triste, arrabbiato o
impaurito. ?
4. Identificazione delle emozioni causate dal desiderio. A questo livello del
programma si cerca di far individuare le emozioni che sono causate dal

205
l'autismo a scuola

soddisfacimento o meno di un desiderio. L’allievo deve prevedere l’emozio­


ne di felicità o di tristezza del personaggio di un’illustrazione, in relazione
all’awerarsi o meno di un suo desiderio.
L’educatore presenta al bambino la scena illustrata in una prima figura,
spiegando ciò che il personaggio vuole; poi descrive la scena della figura
successiva, che mostra ciò che accade nella realtà dei fatti. A quel punto chie­
de all’allievo come può sentirsi il personaggio, suggerendo eventualmente
due alternative opposte: felice o triste. Se il bambino fornisce la risposta
giusta,, l’educatore la deve gratificare e cercare di farsi spiegare perché prova
quella emozione. Nel caso in cui la risposta non sia corretta, l’educatore deve
fornire subito quella esatta, illustrando anche la ragione per la quale il perso­
naggio si sente così.
Con il progredire delle esercitazioni previste a questo livello sono presen­
tate delle situazioni di mancato soddisfacimento dei desideri, alle quali, però,
possono associarsi emozioni ambivalenti (sia positive che negative). Ad
esempio, una bambina potrebbe desiderare di andare a scuola di danza e
viene portata dalla mamma a scuola di equitazione.
5. Identificazione delle emozioni causate da opinioni. Saper identificare
emozioni che possono essere determinate da opinioni più o meno realistiche
che ci si fa della situazione rappresenta il livello più elevato del programma
indirizzato al riconoscimento delle emozioni. Si tratta di individuare stati
emotivi contrapposti (felicità o tristezza) che il personaggio di una storia può
provare a seconda che pensi che il suo desiderio sia realizzato o meno.
In concreto, all’allievo viene presentata una sequenza dì tre figure: nella
prima viene illustrata la situazione reale, nella seconda è messo, in evidenza
quello che il personaggio desidera e crede, mentre nella terza è riportata la
conclusione della storia. All’allievo è richiesto di prevedere se il personaggio
si sentirà felice o triste. Chiaramente le emozioni provate dipendono dal
fino che ciò che si desidera e si pensa coincida o meno con l’effettiva realtà
dei fatti.
Per quello che riguarda la metodologia di insegnamento, l’educatore
presenta tutte le figure, indicando i desideri e le opinioni del personaggio;
suggerisce inoltre all’allievo come dire ciò che il personaggio pensa, ciò che
vuole, come sì sente e perché. Anche in questo caso, le risposte giuste vengo­
no subito rinforzate, mentre quelle sbagliate sono oggetto di immediata
correzione, al fine di migliorare il livello dì comprensione e non demotivare
il bambino.

206
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL’AUTISMO

Nella scheda 6.6 presentiamo una serie di attività previste per Filippo
relativamente al terzo obiettivo sopra descritto. Nella scheda 6.7, invece,
viene riportato un lavoro più sofisticato sulle emozioni, sempre condotto
con Filippo.

Scheda 6.6. Il riconoscimento delle emozioni causate da situazioni:


alcune attività proposte a Filippo

Vengono lette varie storie illustrate con situazioni a cui si connettono delle emozio­
ni. Filippo viene invitato ad ascoltare, rispondere a domande sulle emozioni dei
personaggi e a raccontare la storia. Nei giorni successivi si prevede di far racconta­
re le storie anche ad alcuni compagni di classe. Ecco due esempi riferiti alla felici­
tà e alla tristezza.

Emozione 1 Felicità

Emozione 2 Tristezza
1) Marco dà l'invito per la sua festa di
compleanno a Michele.
2) Luca si aspetta che Marco inviti anche
lui, ma invece non viene invitato.
3} Luca è triste perché Marco non l’ha
invitato alla sua festa.
1 „:t]l
1) Lisa e Leo giocano saltando sul letto,
sono felici perchè si stanno divertendo. OBJ
2) Leo cade dal letto.
3} Leo piange perché si è fatto male e
Lisa è triste, le dispiace che Leo si sia
fatto male.

207
l'autismo a scuola

Scheda 6.7. Il libro delle emozioni di Filippo

In un quadernone ad anelli vengono collocate una serie di pagine con al centro uri
cartoncino colorato con sopra scrìtta una situazione a cui si collega un’emozione.
Dopo ogni situazione compare la domanda: “Come si sente Luca?". Una volta Ietta
la situazione, Filippo viene invitato a rispondere alla domanda. Una volta data la
risposta, il cartoncino, che è applicato a finestrella, viene aperto e compare il viso
disegnato di Luca, che è raffigurato con l'espressione emozionale adeguata alla
situazione appena letta (ad es. dietro alla finestrella con scritto "I compagni di clas­
se di Luca gli fanno i dispetti”, c’è il viso di Luca arrabbiato).

208
6. PROGRAMMI Di INTERVENTO SULL'AUTISMO

63.2. Comprendere il sistema delle credenze e delle false credenze

11 secondo livello del programma si indirizza all’insegnamento dei cosiddet­


ti “stati informativi", che descrivono la capacità di comprendere come e che
cosa le altre persone possono percepire, conoscere e credere in relazione a
una determinata situazione. SÌ tratta di aiutare gli allievi con autismo in
quello che rappresenta uno dei loro principali deficit secondo l’interpretazio­
ne degli autori che si rifanno all’approccio della teoria della mente: il non
riuscire ad attribuire agli altri degli stati mentali e il non essere in grado di
interpretarli.
Anche in questo caso il programma è articolato in cinque livelli di obiet­
tivi di progressiva complessità:
1, capacità di comprendere che cosa vedono le altre persone {prospettiva, visi­
va semplice}',
2. capacità di comprendere come la realtà percepita appare alle altre persone
{prospettiva visiva complessa}',
',*
3. capacità di comprendere ilprincipio “ vedere porta a sapere
4. capacità di prevedere azioni sulla base di ciò che una persona sa',
5. capacità di comprendere lefalse credenze.

1. Prospettiva visiva semplice. Le esercitazioni in questo primo livello si


prefiggono di dimostrare come le persone possano vedere cose diverse a
seconda della loro posizione. Il materiale didattico è rappresentato da carton­
cini con disegni diversi nei due lati. Il bambino viene invitato a valutare che
cosa vede o non vede l’educatore posto di fronte a lui.
Pure in questo caso, come per tutte le esercitazioni del programma, vanno
immediatamente gratificate le risposte esatte, mentre, in caso di risposta
sbagliata, si deve cercare di correggerla dimostrando il principio secondo il
quale quello che le persone vedono dipende dalla loro posizione. Per far
questo si può girare il cartoncino, cambiare posizione ecc.
2. Prospettiva visiva complessa. Anche a questo livello, il programma si
concentra su come possono apparire degli oggetti osservati da persone poste
in posizioni diverse. A differenza del livello precedente, non vengono presen­
tati cartoncini con un disegno per lato, ma un’unica raffigurazione che viene
fatta osservare da^prospettive opposte: in questa condizione, un osservatore
(il bambino o l’educatore) vedrà la figura dritta e l’altro a rovescio.
Per quanto riguarda la modalità di conduzione delle esercitazioni, la

209
l'autismo a scuola

presentazione della figura dovrebbe essere variata in modo che a volte l’allie­
vo possa vedere la figura dritta e altre volte rovesciata.
3. Comprendere ilprincipio '‘vedereporta a sapere " Il bambino, per arrivare a
capire le credenze e le false credenze, che rappresentano robietdvo finale di
questa parte del programma, deve padroneggiare il principio di base secondo
il quale per conoscere qualcosa bisogna averla osservata o sentita o toccata,
comunque averla sperimentata in maniera diretta o indiretta.
Le esercitazioni previste consistono in attività concretamente vissute dal
bambino, in storie raccontate, in situazioni presentate attraverso vignette o
con l’utilizzo dì bambole e oggetti, nelle quali i protagonisti osservano o non
osservano quello che avviene. La consegna per l’allievo è quella di prevedere
se i personaggi possono essere a conoscenza di quanto accaduto. In ogni atti­
vità vi è una sezione di “valutazione su di sé” e una di “valutazione sugli
altri”, nelle quali il bambino deve verificare le possibilità di conoscenza che si
hanno quando si è concretamente osservata una scena e quando invece non
lo si è ferro.
4. Prevedere azioni sulla base di ciò che una persona sa. A questo livello gli
allievi vengono educati a verificare e comprendere le credenze che le altre
persone hanno in relazione a certe situazioni. Le esercitazioni prendono in
esame le credenze esatte circa la collocazione di certi oggetti; in concreto, l’al-
lievo viene invitato a formulare una previsione sulla base di dove un’altra
persona crede che un oggetto si trovi. Il principio generale che si cerca di
insegnare a questo livello è che le persone pensano che le cose si trovino dove
le hanno viste; se non c’è stata esperienza diretta o indiretta (ad es. l’informa­
zione ricevuta da qualcuno) allora non sanno dove si trovano.
5. Comprendere lefalse credenze. La capacità di comprendere che le persone
possono avere felse credenze, cioè che sulla base di esperienze o conoscenze
precedenti possano crearsi idee che non corrispondono alla realtà osservabi­
le, rappresenta una delle carenze tipiche degli allievi con autismo, anche di
quelli ad alta funzionalità. Il programma (Howtin, Baron-Cohen, Hadwin,
1999) prevede due tipologìe di compiti per aiutare i bambini autistici a
sviluppare questa forma di conoscenza, che apre la strada alle forme più
evolute di ragionamento mentale.
La prima tipologia di esercitazioni prevede lo spostamento inaspettato di
oggetti da una posizione a un’altra, senza che il protagonista dell’attività ne
sia a conoscenza. Si tratta della classica Prova di Sally e Anne (Baron-Cohen,
Lesile, Fritti, 1985), utilizzato in moltissime sperimentazioni (CAP. 1).

210
6. PROGRAMMI DI INTERVENTO SULL’AUTISMO

La seconda tipologia di esercitazioni è caratterizzata dal fatto che l’aver


sperimentato dei contenuti inattesi può portare a creare delle aspettative
anche in chi non è venuto a contatto diretto con la situazione. SÌ tratta di
una serie di compiti sviluppatisi sulla scorta della prova degli Smarties
(Fernet, Leekam, Wimmer, 1987), che tanto successo ha avuto nella pratica
sperimentale. In tale prova, a un personaggio viene chiesto di indicare che
cosa contiene un tubo chiuso di Smarties. Nel momento in cui egli risponde
“Smarties" o “caramelle” o “dolci”, il tubo viene aperto per mostrare che
contiene una matita. Viene quindi rimesso il coperchio e viene chiesto al
bambino che cosa dirà un altro personaggio, che non ha guardato dentro al
tubo, quando gli verrà chiesto che cosa c’è all’interno.
Sulla scorta di varie esercitazioni di questo tipo, l’educatore cerca, con la
metodologia indicata ai livelli precedenti (rinforzo immediato delle risposte
corrette e spiegazione in caso di errore), di insegnare il principio educativo
generale che sta alla base della credenza e che tanta importanza ha per lo
sviluppo del bambino: se le persone non sanno che le cose sono cambiate,
pensano che siano rimaste le stesse.

6.4. Il modello Denver

Il modello Denver è un intervento prescolastico per bambini con autismo


proposto da Rogers negli anni ottanta del secolo scorso (Rogers et al., 1986;
Rogers, Lewis, 1989; Rogers, 1996,19983,19980, 2000). Si incentra sul gioco
e sull’interazione, che vengono considerati veicoli principali per lo sviluppo
precoce di capacità sociali, emozionali e cognitive; il ruolo dell’adulto è
quello di promuovere attività e strutturare ambienti, anche proponendosi
come mediatore tra il bambino e i coetanei. Poiché le compromissioni nelle
aree dell’interazione sociale e della comunicazione sono primarie e caratte­
ristiche nell’autismo, il modello Denver sì indirizza principalmente allo
sviluppo di competenze di comunicazione e d’interazione sociale reciproca,
proponendosi di sviluppare poi, sulle abilità costruite in queste aree, altre
competenze in aree diverse dello sviluppo. Si ritiene che i bambini con auti­
smo abbiano necessità di essere riportati all’interno dell’ambiente sociale
accuratamente preparato, in modo che possano comprenderlo, viverlo e che
lo stesso sia prevedibile. Grande rilevanza vengono ad assumere, pertanto, i
genitori che guidano il coinvolgimento nell’ambiente familiare e gli inse-

211
L'AUTISMO a scuola

gnauliti che possono favorire la generalizzazione delle abilità acquisite nel


contesto sociale.
A livello di intervento vengono recuperate strategie dell’intervento compor­
tamentale classico (dtt), la strutturazione dell’ambiente educativo tìpico del
teacch, oltre a elementi derivati dagli approcci naturalìstici (prt), come un
insegnamento fortemente centrato sugli interessi del bambino. Come sostiene
Rogers (2000), l’insegnamento individualizzato e intensivo e la strutturazione
dell’ambiente mirano a favorire tempi di apprendimento rapidi, mentre l’of­
ferta di materiali e di routine di gioco appartenenti alla vita di tutti i giorni, fra
cui il bambino sceglie l’attività di apprendimento, favorisce la motivazione, un
apprendimento più sociale e la generalizzazione delle competenze acquisite.
Infatti, sebbene possa sembrare che le interazioni dì gioco accadano in modo
naturale in bambini prescolari, queste devono essere focus dell’attenzione
quando si hanno bambini piccoli con autismo.
Il modello Denver, come già sottolineato, si focalizza sullo sviluppo delle
abilità di gioco (principale mezzo per l’apprendimento e le relazioni sociali).
Giochi di ogni tipo (sociali, fìsici, costruttivi, simbolici) sono incorporati nel
curricolo del bambino, dal momento che hanno un ruolo cruciale nello
sviluppo normale. I bambini non possono trarre il massimo benefìcio
dall’interazione con altri se non sono in grado di impegnarsi nel gioco socia­
le che fanno i bambini in età prescolare. Oltre al valore intrinseco delle abili­
tà di gioco, la capacità di partecipare a un gioco è di aiuto all’allievo con auti­
smo per integrarsi nel gruppo e ridurre il rischio di isolamento sociale.
Particolare attenzione viene riservata anche all’imitazione, dato che questa è
fondamentale per la possibilità di interagire con le persone nella comunica­
zione sociale, emotiva e nel gioco sociale tra bambini. Importante è l’imita­
zione reciproca che serve a offrire la possibilità di gioco con un coetaneo. Il
gioco è costituito da molte imitazioni che si susseguono: più l’uno imita l’al­
tro, più si avvicinano emotivamente. L’imitazione è, quindi, alla base della
condivisione emotiva. Il bambino deve imparare a imitare ì movimenti
nuovi automaticamente e senza sforzo, togliendo il prima possìbile i suggeri­
menti in modo che egli possa conquistare l’autonomia.
Nel prossimo capitolo, parlando in maniera specifica della prime forme
di interazione sociale e del gioco, verranno presentati esempi di lavoro sul
gioco sociale. Nel capitolo 8, invece, si faranno alcuni accenni sulle proposte
metodologiche sviluppate all’interno del programma Denver in relazione al
potenziamento della comunicazione nelle sue diverse modalità.

212
7. L’intervento precoce per stimolare
('intersoggettività e il gioco

• Perché non interagisce e non gioca come gii altri bambini?


• Come devo interpretare il suo strano comportamento?
• Come posso aiutarlo?

In un recente lavoro (Cotóni, 2010) ho preso in considerazione le difficoltà che


il bambino con autismo manifesta nel momento in cui deve destreggiarsi nel
complicato groviglio delle relazioni sociali, a partire proprio dalle prime forme
di interazione. Ho messo in evidenza come le competenze sociali siano costi­
tuite da un insieme ampio di abilità che consentono a ogni individuo di
adeguare il proprio comportamento sulla base del comportamento dell’altro,
di leggere correttamente i messaggi di natura sociale, di avviare adeguate inizia­
tive con finalità comunicative e di rispondere agli stimoli sociali in modo dina­
mico e flessibile. Le carenze in questo ambito caratterizzano sicuramente il
nucleo centrale dei deficit manifestati dai bambini con autismo, per cui risul­
ta di fondamentale importanza mettere in campo azioni educative precoci in
grado di stimolare le prime forme relazionali e comunicative.
Alla luce di queste premesse, questo capitolo è dedicato all’analisi delle
modalità attraverso le quali cercare di promuovere l’intersoggettività e il
gioco, che rappresentano gli aspetti caratterizzanti delle prime relazioni
sociali. Il capitolo 8, invece, prenderà in considerazione le metodologie di
intervento finalizzate a facilitare forme comunicative attraverso diversi cana­
li, sia di tipo verbale che non verbale.

7.1. Principi per l’intervento educativo nell’area dell’intersoggettività


e del gioco
r.

Come già sottolineato, la capacità innata di riferirsi a un’altra persona nello


sviluppo tipico del; bambino è definita intersoggettività (Trevarthen, 1980) e

213
I.

i ■ . ■ ■ ' ■ ■
l’autismo a SCUOLA !

■ J ' .
j ... 1 •;•
descrive tutto l’insieme coordinato di attività motorie, percettive, cognitive
ed emotive che mettono da subito in connessione il bambino con il proprio ■ 1
ambiente umano di riferimento. Tutte quéste attività serialmente orientate
risultano .drammaticamente carenti nei bambtnicon autismo, anche se spes-;. ■
.so non.ri escono a.esser e, colte con immediatezza dai1 familiari; i quali si lini!- ;
tano ad avvertire una sensazione diffusa che qualcosa non vada per il versò .
giusto, senza riuscire a Capire di cosa sì tratti,
Nel capitolo i è statohnesso in evidenza come nell’autismo si assista àll’as-
sepza o alla comparsa .tardiva e disarmonica, dei correlati comportamentali
dell’intersoggettività: irritaziónet attenzione condivisa, emozione congiunta,
scambio di turni ecc. Tutte.queste componenti sono già attive nel bambino
di i anno e mezzo, in quanto anticipatrici della fondamentale .capacità di
leggere la mente degli altri. Infatti, il percorso che porta il bambino avvilup­
pò tipico all’acquisizione di questa competenza ha i suoi fondamenti in. una’,
serie di comportamenti protosociali mólto precoci, .osservabili fin dalle:
prime fasi dello sviluppo. ' ’•/•••
Allo stesso modo e in maniera stréttamente-integrata, anche il gioco nei -
'bambini con autismo tende a.non svilupparsi secondo il modello tipico e •
questo condiziona la-lóro evoluzione sotto il-profilo cognitivo, sociale;.
linguistico, motorio ed.àmozionalé. Il giòco, infatti; pena rbambini a esplo­
rare diversi ruoli, é regole sociali e fornisce loro l’opportunità di’gestire'l’an­
sia e i conflitti sociali. Inoltre, le interazioni positive con i pari durante il
gioco promuovono l’autòstima e la competenza sociale del bambino. Diver­
samente dai loro coetanei, 1 bambini con autismo giocano in un modo che
non sollecita il loro sviluppo.- Infatti, il comportamento di gioco di questi:
allievi appare non soltanto ritardato, ma anche differente in termini di
complessità, limitando, di fatto, la.loro attivitajudica a temi e situazioni
ripetitive e non funzionali. In particolare, ciò che più colpisce e che viene
sistematicamente evidenziato in ogni descrizione sono le carenze nel gioco di
/simbolizzazione e le difficoltà a intraprendere giochi sociali..
Appare dunque evidente la necessità di considerare, nella programmazio­
ne educativa per gli aliteli con autismo, l’importanza delle attività .di gioco,
in. grado di favorire il lori sviluppo personale e sociale./L’intervento educati­
vo sull’intersoggettività, e soprattutto'sul gioco, è’stato sviluppato in.manic-
ra molto significativa alljiiitemo di tre approcci a cui dedicheremo attenzio­
ne in questo capitolo:. ।
* il modello Denver (Rogers et al., 1986); -1
• l'approccio sui grippi di gioco integrati (Wolfberg, 1995,1999);

i .

214
7- l'intervento precoce per stimolare l’intersoggettività e il gioco

• il programma derivato dagli studi sulla teoria.della. mente (Howlin, Baron- '
Cohen, Hadwin, 1999). ■ 1 ■

’ Oltre a questi' modelli di lavoro organizzati in maniera curricolare, va messo in ■


Si
evidenza l’importante contributo fornito daXais e Micheli (2001, 2004), i
quali hanno proposto linee operative molto interessanti a livello didattico.
& Questi autori,;tra l’altro, raccomandano di adottare con i bambini autistici un
approccio educativo finalizzato all’insegnamento dei correlati clell’intersogget- .
tività e del gioco che -tenga contò delle seguenti indicazionimetodologiche:
• valutare l’abilità di interscambio sociale del bambino e sviluppare un inse- '
gnamento che parta dai suoi interessi; J ■
* ricercare la prossimità sociale che è accettata da quel bambino. Ci sono
bambini con i quali si può lavorare in modo molto ravvicinato e altri con i
quali bisogna restare a una certa distanza perché non accettano le persone '
troppo vicine; ■ ' > '
• fare richieste precise, con parole chiare rivolte direttamente ai bambini, ■
con l’aiuto di gesti e, quando può essere utile, anche con una comunicazio-.
ne concreta fatta di oggetti e immagini; ì 1
• insegnare ài bambini a chiedere; -j :
• avere molta, costahza, sapere aspettare i tempi personali (spesso molto :
lunghi) senza passare immediatamente ad altro; :
• avere la capacità di' creare opportunità di gioco, con materiali che motivi­
no i bambini, in grado di produrre effetti e spettacoli interessànti;
• creare interscambi ^giocosi, non soltanto con giocattoli, ma anche con il
corpo, la voce, 'i gesti. !

Di seguito presentiamo alcune linee di lavoro riferite soprattutto alle relazio­


ni sociali sviluppate durante il gioco, concentrandoci sìa sugli aspetti osserva­
tivi, che su quelli più prettamente legati all'intervento. :

7.1.1. Osservare le relazioni sodali dell’allievo con autismo c(he gioca:


come rilevare-gii aspetti chiave I 1

Come messo in evidenza in un recente contributo specifico già citato (Cotti-


ni, 2010), nel momento in cùi si osserva il comportamento di un allievo con
autismo durante il gioco è molto importante, per prima cosà, verificare le

215
l'autismo a scuòla

reazioni di fronte alla presentazione delle proposte ludiche e dei materiali


utilizzabili. Osservare la messa in atto di reazioni denotanti interesse verso le
attività e verificare la capacità o meno di effettuare le azioni connesse al gioco
rappresentano sicuramente delle condizioni essenziali per poter pianificare
degli interventi educativi.
Dal punto' di vista operativo si può cominciare a eseguire un gioco
semplice con ùn oggetto e osservare se fallievo presta attenzione con moda­
lità varie (guardando verso il giocatore o l’oggetto, sospendendo i suoi
comportamenti stereotipati, afferrando l’oggetto che viene usato dal gioca­
tore, assumendo atteggiamenti di nervosismo se gli oggetti vengono riposti o
il gioco interrotto ecc.).
In seguito si può chiedere al bambino di ripetere le azioni del gioco,
magari con aiuto, per verificare se effettua le attività o se almeno tenta di
farlo, anche se in maniera non continuativa. A questo livello, chiaramente, è
possibile mettere in evidenza le competenze specifiche che il bambino
possiede in relazione ai diversi giochi. Se tali abilità risultano ancora carenti,
o comunque pòco definite e spontanee, è sicuramente utile dedicarsi a inse­
gnare l’aspetto1 pratico dell’attività, senza pretendere sofisticati comporta­
menti sociali (Xais, Micheli, 2001).
Una volta verificato l’interesse per il gioco e per gli .oggetti con cui viene
effettuato, l’inrziativa del bambino nei confronti delle attività ludiche eia
reale capacità di effettuare le azioni connesse, la valutazione può prendere in
considerazione le dimensioni simboliche e sociali, A questo proposito,
Wolfberg (1999) sottolinea come sia importante essere attenti non solo alle
carenze sottolineate in precedenza e facilmente rilevabili, ma soprattutto alle
iniziative dei bambino, anche poco convenzionali in relazione al gioco, le
quali possono rappresentare tentativi di iniziare attività ludiche indipenden­
ti e sociali. In considerazione di ciò, risulta fondamentale osservare l'allievo
mentre si trova in contesti naturali e integrati di gioco, al fine di evidenziare
le azioni messe in atto nei confronti degli oggetti impiegati (dimensione
simbolica) e 1 comportamenti diretti verso gli altri (dimensione sociale).
Facendo riferimento a tutti questi aspetti connessi all’attività dì gioco
dell’allievo con autismo, ho elaborato una specifica check list (Cottini, 2010)
per guidare l’osservazione del comportamento degli allievi con autismo
durante situazioni ludiche. Di seguito presento alcuni esempi di utilizzo di
tale check list (SCHEDA 7.1), in riferimento a giochi che l’insegnante ha piani­
ficato e condotto con Luca, coinvolgendo tre suoi compagni nell’aula dì
sostegno.
1. L’INTERVENTO PRECOCE PER STIMOLARE UjlNTERSOGGETTIVITÀ E II GIOCO

Scheda 7.1. L’osservazione del comportamento di Luca durante giochi sociali

Tipologia di gioco Interesse per Capacità di , Dimensione Dimensione


(descrizione) il gioco e per effettuare i simbolica sociale
i materiali il gioco I del gioco del gioco

Luca vede un compagno che [Tj Assente [Tj Assente! [Tj Assente [Tj Assente
gioca a correre con una 1
macchinino sul pavimento, | 2 | Limitato [Tj Limitato! [X| Limitato 12 | Limitato
partendo da una linea verde
fino alla parete. Prende .| 3 { Buono j 3 | Buono । 1X1 Buono IXI Buono
anche lui una macchinina e 1
comincia a correre. Poi però XI Elevato 1X1 Elevato .[Tj Elevato [Tj Elevato
si ferma e inizia a osservare
la macchinina stendendosi
per terra. i

Una bambina mette degli [T| Assente [Tj Assente Ì[T| Assente [Tj Assente
animaletti di plastica in fila I
sul davanzale. Luca osserva la | 2 | Limitato | 2 | Limitato ;(X1 Limitato [2 j Limitato
compagna, sfarfalla le mani, i
poi prende gli animali uno a |3 j Buono | 3 | Buono i|_3j Buono 1X1 Buono
uno e li distende sul
pavimento mantenendo la [x! Elevato 1X1 Elevato j| 4 | Elevato [A | Elevato
fila. Non vuole metterli via e, 1
quando viene chiesto alla
compagna di metterli a posto,
1
Luca li ammucchia in un
angolo e comincia a urlare. i
!

1 compagni di Luca giocano [Tj Assente [Tj Assente [Tj Assente [Tj Assente
con il treno prima del suo
arrivo. Luca entra e osserva. | 2 | Limitato IX Limitato ij 2 | Limitato | 2 | Limitato
Nel momento in cui non c'è
nessuno nei pressi dei gioco, [3] Buono |J| Buono -.jXl Buono [X Buono
si avvicina e comincia a far
correre il treno sui binari e (Xl Elevata [TI Elevato L [À~j Elevato | A1 Elevato
ad attaccare e staccare più
i
volte i vagoni.

217
l'autismo a scuola

Tipologia di gioco Interesse per Capacità di Dimensione Dimensione


(descrizione) il gioco e per effettuare simbolica sociale
i’materiali il gioco del gioco del gioco

L'insegnante propone a Luca [T| Assente |T| Assente |~i~| Assente |Tj Assente

e ai suoi tre compagni dì


giocare a fare la doccia. [z~| limitato [Tj Limitato j~2~| Limitato [~2] Limitato
Si mette in piedi e con il [ __ <
braccio disteso rappresenta Buono Buono Buono ' |^j Buono
la doccia, dalla quale esce il
getto d'acqua. Una bottiglia [ÌH Elevato [Al Elevato Elevato [~q~| Elevato

funge da shampoo, un I :
mattonano piccolo delle
costruzioni da sapone e uno
più grande da spugnetta. ì

Un bambino, finge di farsi la


doccia. È il turno di Luca, che
prende la bottiglia, la apre ì
e fa il segno di versare il ( ’i
contenuto sulla mano e ’|
passarsi la mano su corpo, j
poi però prende il mattonano j
grande e si sposta a giocare ì
con le costruzioni. |

Come attribuire i punteggi i


■i ■ '■ ■■
Interesse perii gioco !
|~ì~ì il bambino non mostra alcuna attenzione nei confronti del gioco che viene-effettuato
dall'educatore o da un compagno. Nessuna attenzione viene rivolta neanche ai materiali di
gioco, anche quando gli stessi vengono offerti al bambino, il quale continua a svolgere le
sue attività come semente fosse.! ■' \ ’
fà~| I! bambino guarda verso-!'educatore o un compagno, che effettuati gioco in maniera...
saltuaria o modifica; anche se per poco.tempo, il proprio^omportamento routinario (ad es.’ ■
sospende un'attività che-sta svolgendo o un comportamento stereotipato per poi riprender­
lo). Se gli viene offerto il materiale del gioco, gli dedica qualche attenzione ma non lo
prende e non lo utilizza in nessun modo.
j~T1 II bambino guarda verso l’educatore o un compagno che effettua il gioco in. maniera
continuativa, sospendendo altre ^attività e, quando gli viene offerto il materiale del gioco,
lo considera e lo utilizza (l'impiego del materiale può essere anche inadeguato ih relazio-
ne alla sua tipologia e alla modal tà con l^ quafe viene utilizzato nel gioco). Quando il gioco

218
7- .L'INTERVENTO-PRECOCE PER STIMOLARE L'iNTERSOGGETTlVfTÀ E IL GIOCO

viene interrotto o gii viene tolto materiale, il bambino manifesta segnali di insofferenza (ad
es. urla, si protende verso l'oggetto ecc.).
[41 II bambino si avvicina all’educatore o al compagno che effettua il gioco e prende gli
oggetti utilizzati nel. gioco o comunque cerca di farlo (il comportamento di attenzione viene
valutato positivamente anche se il bambino ha un approccio poco adeguato nei confronti
dell'educatore o del compagno e seìnon utilizza il materiale in maniera consona).
i
Capacità di effettuare il gioco ‘
0 Il bambino non ss effettuare alcuna attività simile a quelle del gioco, neanche quando
si prevedono aiuti molto forti (ad es. la guida fisica). I
0 II bambino è in grado di effettuare solo alcune attività connesse al gioco (ad es. tenere
degli oggetti in mano e muoverli), quando vengono previsti aiuti da parte 'dell'educatore.
Autonomamente non sa svolgere alcuna attività connessa al gioco.
[TI II bambino riesce a effettuare alcune attività connesse al gioco in maniera autonoma,
mentre per altre deve essere aiutato (ad es. nel gioco delle bolle di sapone e in grado di
soffiare in modo adeguato, ma non sa svitare il tappo e aprire da solo il contenitore delle
bolle).
0 Il bambino possiede le capacità per effettuare autonomamente tutte le attività connes­
se al gioco.

Dimensione simbolica de! gioco ; ■


0 11 bambino non gioca con oggetti o giocattoli e si limita a effettuare comportamenti
autostimolatori senza contatto funzionale con i materiali di gioco (ad es. muòve in maniera
particolare le mani e le guarda, scuote la testa, fissa degli oggetti dì traversoiecc.).
0 II bambino prende in m^no i materiali da gioco, ma non li usa in manièra convenzio­
nale, neanche quando gli viene mostrato come fare o si cerca di aiutarlo (ad, es. tiene in
mano un.giocattolo è lo fissa per molto tempo, lo mette in bocca, sbatte gli oggetti fra loro
o li colloca in file più o meno lunghe, rovescia macchinine e fa girare le ruote osservandole
anche per lungo tempo écc.).
0 II bambino utilizza in maniera convenzionale i materiali da gioco, effettuando una sorta
di imitazione differita senza però adottare procedure simboliche (ad es. spinge una macchi­
nina, mette la tazzina sul piattino ecc.).
0 II bambino gioca a far finta. La funzione simbolica prevede la possibilità di sostituire
gli oggetti (ad es. far finta che.un pezzo di legno sia una macchinine), di attribuire loro carat-
' teristiche fittizie (ad es. pulire la faccia della bambola come se fosse sporca), di usarli con
. / scenariimmaginan.(ad es. bere da una tazzina vuota). /

Dimensione sociale del gioco


0 II bambino sembra ignaro della presenza degli altri ed effettua attività in completo
. isolamento, anche quando gli altri sono nello stesso contesto (ad es. nella stessa classe).
0 li bambino guarda gli altri intenti a giocare e i materiali che utilizzano, ma non si unisce
al gioco neanche se sollecitato (ad es. si volta per guardare i compagni che giocano, ma
rimane fermo nella sua posizione).

219
[■'AUTISMO AÌSCUOLA

[71 II bambino gioca in maniera indipendente vicino agli altri. Condivide lo stesso spazio,
anche ristretto (ad es. lo stesso tavolo) e gli stessi materiali,, ma la vicinanza non fa sì che il
gioco diventi comune.
Pd II bambino partecipa a giochi che coinvolgono uno o più coetanei, rispettando il
proprio turno nelle azioni e condividendo i materiali in funzione di attività comuni (ad
es. gioca con le costruzioni condividendo i mattoncini e costruendo insieme un muro,
gioca con ùria bambola passandola anche a un compagno, rispetta il turno in un gioco
motorio ecc.).

Da queste osservazioni emergono alcuni aspetti di sicuro interesse per la predi­


sposizione dì un piano di lavoro educativo, innanzitutto Luca dimostra di possede­
re buone capacità di effettuare giochi che prevedono la manipolazione di oggetti e
un consistente interesse per una serie di attività con sfondo ludico.
Per quanto concerne la dimensione simbolica, l’allievo manifesta un utilizzo spon­
taneo di tipo funzionale degli oggetti. Va messo in evidenza, però, che nell'occa­
sione in cui il gioco era specificamente organizzato per enfatizzare la dimensione
simbolica e un compagno ne ha dimostrato l’esecuzione facendo finta di fare la
doccia, Luca ha manifestato all'inizio un comportamento pertinente, anche se poi
è tornato a un utilizzo funzionale e non simbolico degli oggetti.
Questa osservazione lascia intravvedere una competenza emergente che, se oppor­
tunamente sollecitata e aiutata, potrebbe portare allo sviluppo della capacità di
effettuare giochi simbolici. Relativamente alla dimensione sociale, l’allievo non ha
difficoltà a condividere io spazio di gioco con i compagni, anche se sono carenti i
momenti collaborativi. Anche questo, chiaramente, dovrà rappresentare un obiet­
tivo strategico da perseguire, sfruttando soprattutto le attività e i giochi che
maggiormente interessano Luca.

7.1.2. L’intervento suH’intersoggettività e sul gioco: il modello Denver


i
Come messo in evidenza nel capitolo precedente, il modello Denver è un
intervento prescolastico pei bambini con autismo che si Incentra sul gioco e
sull’interazione. In concreto, i punti cardine del modello Denver sono i
seguenti: *1
• inserimento del bambino in relazioni sociali coordinate e interattive per la
maggior parte delle ore di veglia, con l’obiettivo- di poter attivare forme di
imitazione e di comunicazione simbolica e interpersonale (non verbale,
affettiva, pragmatica);

220
1. l'intervento precoce per stimolare l’imtersoggettività e il gioco

' I

- insegnamento intensivo per colmare i deficit di apprendimento che deriva­


no dall’incapacità di accedere spontaneamente ai mondo delle relazioni sociali.

Le tre grandiaree sulle quali si incentra il modello Denver sono la comunica­


zione, le abilità funzionali e 'i intersoggettività.
Relativamente a quest’ultima componente/grande enfasi viene posta sul
gioco, che nei bambini con autismo deve essere oggetto di specifico insegna­
mento, in quanto rappresenta il mezzo principile per favorire apprendimen­
ti significativi e lo sviluppo delle relazioni sociali. Tale insegnamento recu­
pera alcuni principi metodologici proposti all’interno del programma aba e
del teacch, come l’insegnamento individualizzato e intensivo e la struttura­
zione dell’ambiente. Attraverso queste procedure si mira a favorire tempi di
apprendimento rapidi, mentre l’offerta di materiali,e di routine di gioco
appartenenti alla vita di rutti i giorni, fra cui il bambino sceglie fattività da
privilegiare, favorisce la motivazione, un insegnamento più “sociale” e la
generalizzazione delle competenze acquisite. Infatti, sebbene possa sembrare
che le interazioni di gioco accadano in modo naturale in bambini prescolari,
queste devono essere focus dell’attenzione quando si hanno bambini piccoli
con autismo. i
In concreto, il gioco deve essere presentato nello stesso luogo e con una
certa ritualità nel corso della giornata. Se il bambino mostra interesse per quel
determinato materiale, può essere utilizzato più volte e per più tempo, in
modo tale che gli elementi fisici diventino prevedibili e si possa così favorire
l’attenzione agli elementi sociali del gioco. Quando la routine di gioco è ben
definita, si possono introdurre delle piccole varianti, facendo attenzione che i
cambiamenti siano inseriti uno alla volta (ad es. se prima l'educatore lanciava
i cerchi, poi Li può far roteare). È importante che non si verifichino solo delle
variazioni nelle modalità di gioco, ma anche e soprattutto all’interno dello
scambio sociale (ad es. se il bambino svolge un gioco da solo con interesse e
piacere, l’introduzione di un’altra persona è sicuramente una variante da inse­
rire gradualmente). Attraverso la ricerca di situazioni di gioco gradite all’allie­
vo, l’uso di oggetti norie interessanti, la ritualità nell’azione, l’introduzione
modulata delle novità, il bambino può imparare à trattare anche stimoli socia­
li, condividendo situazioni piacevoli con un’altra persona.
Nella scheda 7.2 sono riportati due esempi dii gioco utilizzati con Marco
nella fase di interazione con l’insegnante. I giochi sono stati poi riproposti
con la partecipazione dì uno, due e tre compagni.

221
l'autismo a scuola

Scheda 7.2. II. programma eli insegnamento del gioco di interazione sviluppato ‘
con Macco i

Gioco del palloncino gonfiabile

Obiettivi Migliorare l'imitazione; guardare assieme; sviluppare l'emozione


congiunta; richiedere l'aiuto. - \
Materiali Palloncino gonfiabile e pompetta.
Attività gioco 1 L'insegnante prende il gioco e si siede’;vicino abbambino. Posizio­
na lentamente il palloncino sulla pompetta e chiede a'Marco di guardarla. Inizia
così a gonfiare il palloncino cantando il numero dì emissioni.d'aria dentro lo stes­
so. Cerca inoltre di enfatizzare quel momento con frasi: del tipo: “Guardai", “Hai
visto come sta diventando grande?", “Che bello questo palloncino!”. Quando lo ha
gonfiato, lo prende in mano a, sempre facendo attenzione che jl bambino la guar­
di, dice: “Pronti, mezza, via!” e lascia il palloncino sgonfiarsi e aspetta che Marco
glielo riporti. . - 1
Attività gioco 2 Appena gonfilato, l'insegnante annoda, iljpalloncino e lo fa volare in .
modo che il bambino lo guardi e cerchi di prenderlo.
Risultati dopo tre mesi II bambino presta attenzione al palloncino mentre viene
gonfiato e sorride quando vi^ene lasciato librare in aria. Quando il palloncino sì
sgonfia Marco si avvicina e lo scoppia con il piede 0 con la mano più volte per far
uscire l'aria. Il bambino ha appreso l'uso corretto della pompetta e del relativo
palloncino (ha imparato per imitazione dove deve ess„ere inserito il palloncino).
Nonostante non riesca a gonfiarlo, raramente chiede l'aiuto dell’insegnante. Conti­
nua a voler fare tutto da solo-e fatica nell’accettare l’intromissione dell’altro.

Gioco del tamburo

Obiettivi . Accettare e rispettare il turno; acquisire giochi nuovi; accettare l'altro nel
gioco. |
Materiale Tamburo con dud bacchette.
Attività Questo gioco rappresenta una novità per Marco. Dapprima l’insegnante
mostra come sì utilizza lo strumento e poi gli chiede di imitare i suoi movimenti.
’ Dopo aver appreso questo, l^i prende il bastoncino, lo percuote per poi consegnar-.
lo a Marco in modo che riproponga il suono e così vìa, alternando così il turno
(“Prima a me e poi a tei").
Risultati dopo tre mesi Quando è stato presentato perla prima volta il gioco, Marco

222 ■
7. L’INTERVENTO PRECOCE PER STIMOLARE L'iNTERSOGGETTiyiTÀ E IL GIOCO

l’ha guardato incuriosito e ha iniziato a manipolarlo. Prendeva il bastoncino e lo


"sfregava" sul piano del tamburo. Solo dopo aver osservato l’insegnante picchiet­
tare l'oggetto è riuscito nell'imitazione. Con il procedere delle lezioni'Marco accre­
sce l'interesse per questo gioco e gli piace battere con forza lo struménto. Quando
è stato introdotto il turno, Marco ha trovato difficoltà nel l'accetta rio (Visto che vole­
va fare sempre tutto da solo senza interferenze esterne). Inizialmente l'insegnante
ha fatto uso di un solo bastoncino: percuoteva il tamburo, poi lo consegnava al
bambino.("Adesso Marco!"), poi diceva: “Adesso Claudia!", e glielo prendeva di
mano'per poi riconsegnarglielo velocemente in modo tale che non si mettesse a
piangere. All’inizio capitava che il bambino iniziasse ad agitarsi perché fi bastonci­
no gli veniva rubato, per cui l'insegnante ne prendeva un secondo in modo tale
che nel gioco fossero presenti un tamburo e due bastoncini (uno per lei e uno per
Marco), l'insegnante perciò percuoteva il tamburo e chiedeva a Marco di imitarla;
poi introduceva la parolina “Stop!”, aiutata con il gesto della mantiin mo.do da
rendere ìì concetto visibile. A quel punto diceva: "Tocca a Claudia!" e riproduceva il
suono; poi di nuovo "Stop!" e “Adesso tocca a Marco!'’. Così facendo il bambino
ora accetta l'intromissione dell'altro. '

7.1.3. I gruppi di gioco integrati ’

Wolfberg (1999) fonda la sua proposta di gioco in gruppi integrati osservan­


do come i bambini con autismo, come tutti i bambini del resto, (dimostrino
maggiori capacità di partecipare a giochi vari di una certa complessità quan­
do dispongono del sostegno di un adulto o di coetanei più capaci. Questa
impostazione fa riferimento all’approccio sociocostruttivista di Vygotskij
(1978), il quale da un lato ha attribuito al gioco un ruolo centràle nella sua
teoria dello sviluppo e, dall’altro, ha sottolineato come l’evoluzióne cogniti­
va della persona debba essere considerata alla luce delle sue interazioni
nell’ambiente. In altre parole, ogni funzione psichica, secondo Vygotskij, si
presenta due volte nel corso dello sviluppo del bambino e si può osservare
inizialmente sul piano sociale e successivamente sul piano individuale; in un
primo momento come H risultato di un’azione svolta con altre persone e, in
seguito, come attività padroneggiata dal bambino che opera da solo.
Attraverso procedure di supporto sociale attentamente pianificate è possi­
bile offrire ai bambini con autismo delle esperienze di gioco con ì coetanei
significative e ben riuscite (Wolfberg, 1995). I gruppi integrati di gioco sono

223
l'autismo a scuola

costituiti àz^ide^ocatori^esperti't giocatori principienti (Lantz, Nelson,


"Toftin, 2004)'. Le guide sono gli adulti competenti nell’intervento educativo
con allievi con autismo, che facilitano il funzionamento del gruppo; -gioca-4)
k tori esperthsono bambini a sviluppo tipico con buone abilità sociali, comu­
nicative e di gioco immaginativo; i giocatori principianti sono bambini con
disturbi dello spettro autistico. I gruppi si compongono di 3-5 giocatori, con
la raccomandazione che al loro interno il numero di esperti sia sup"eriore a
quello di principianti. L’intervento utilizza la partecipazione guidata, che'
Wolfberg (2003, p. 41) definisce «il processo attraverso il quale i bambini
apprendono partecipando direttamente a un'attività importante con la
guida, il sostegno e l’incoraggiamento di partner sociali di abilità e status
differenti». Le procedure da utilizzare per favorire questa partecipazione
guidata si riferiscono a tre elementi principali:
0 fornire un sostegno alle interazioni;
0 assicurare uha^wZz nella comunicazione sociale-,
0 implementare strategie per ampliare le modalità di gioco sociale del bambi­
no con autismo.
1
Il supporto fornito dall’educatore per favorire le interazioni nei gruppi di
gioco varia in relazione alle esigenze del bambino. Il livello di massimo soste­
gno prevede che l’educatore si posizioni nello spazio dove si sviluppa il gioco,
procuri e metta a disposizione i materiali e solleciti i rapporti interattivi,
agendo principalmente sui giocatori più esperti. In seguito l’educatore atte­
nua l’aiuto, ponendosi all’esterno dell’area di gioco e sollecitando solo
verbalmente i bambini coinvolti nel gioco sociale. L’evoluzione dovrebbe
portare i bambini a non aver più bisogno dell’educatore, in quanto capaci di
mediare in maniera indipendente le loro interazioni sociali. A questo livello
l’educatore deve ritirarsi e assumere una posizione di semplice osservatore dei
bambini che giocano e sembrano non accorgersi neanche della sua presenza.
La guida nella comunicazione sociale è finalizzata a promuovere la dimen­
sione specificatamente sociale del gioco, stabilendo un’attenzione reciproca e
una predisposizione a rispondere alle iniziative ludiche. Wolfberg sostiene che
per guidare questi scambi sociali bisogna offrire ai bambini delle semplici
sequenze logiche di strategie verbali e non verbali. In concreto, possono esse­
re utilizzate dai 'compagni a sviluppo tìpico delle schede con semplici imma­
gini in grado dr illustrare ai bambini con autismo le attività da svolgere, di­
stessi bambini aisviluppo tipico possono sollecitare il compagno anche verbal-

224
Z l'intervento precoce per stimolare LÌ NTERS OGGETTIVITÀ e IL Gioco
1
7 ! '

mente con semplici istruzioni o messaggi ripetuti !(ad es. "Vuoi giocare?”,
“Prendi un cubo!’1, “Ora è il tuo turno!” ecc.), abituandosi con il tempo a
interpretare e a rispondere ai segnali e alle iniziative del bambino con autismo.
Le strategie per facilitare esperienze di gioco sempre più interattive fra il
bambino_cpn autismo e compagni a sviluppo tipico prevedono livelli df
aiuto e supporto, molto diversi. A questo livello possono essere previste:
'A) strategie orientative per i bambini con autismo che non riescono a tollera­
re il contatto ravvicinato con gli altri e sono semplicemente invitati a osser­
vare da distante gli altri bambini che giocano; ;
(P giochi a specchio, nei quali i bambini a sviluppo tipico tendono a effettua­
re le stesse, attività ripetitive del compagno con autismo, allo scopo di inte­
ressarlo e coinvolgerlo in situazioni interattive; !
gioco parallelo, in cui i bambini giocano vicini con gli stessi materiali, ma
senza particolari interazioni, cercando di attivare centri di interesse comune
che possano essere la base di partenza per l’inizio di attività di gioco condivi­
se (ad es. in un gioco di costruzioni possono inizialmente scambiarsi dei
pezzi, fino ad arrivare a mettere i mattoncini a turno);
0 interpretazione di ruoli nel gioco, che rappresenta l’inizio del gioco di
finzione (ad es. dare da mangiare a una bambola, mettere una pentola
giocattolo sul fornellino ecc.). I bambini con autismo che non hanno anco­
ra raggiunto ló stadio della< finzione avanzata possono interpretare dei ruoli
semplici in un contesto di situazioni simboliche che non capiscono nel loro
significato; !
giachi ^ che si estendono oltre i semplici atti di finzione.
Tutti i bambini assumono ruoli di finzione e utilizzano,oggetti.!11 modo
^immaginario mentre mettono in atto temi e copioni complessi. Un bambi­
no che sta dando da mangiare a una bambola può essere invitato e aiutato a
passare alternativamente dal ruolo di mamma a quello di bambino, assu­
mendo i comportamenti relativi (Wolfberg, 1995). ;

Come visto in precedenza relativamente al modello Denver, anche per l’atti­


vazione di gruppi di gioco integrato si raccomanda Hi predisporre adeguata:-
x mented’àmblente attraverso forme di strutturazione'(organizzazione dello
spazio fisico dove svolgere il gioco, schemi visivi, utilizzo delle routine, calen­
dari ecc.), che possano ridurre i livelli di imprevedibilità delle situazioni e
conseguentemente l’ansia che l’allievo con autismo si trova avivere quando
i contesti non sono organizzati.

225
L’AUTISMO A SCUOLA

L’applicazione di questa metodologia dì lavoro ha dimostrato di essere


efficace per favorire negli allievi con disturbo autistico 1’interazione più
frequente e duratura con ì pari, il miglioramento delle abilità sociali e quelle
di gioco, anche in riferimento al gioco simbolico (Wolfberg, 2003).
Nella scheda 7.3 si ripórti un esempio di gioco interattivo riferito al livel­
lo del gipco parallelo. I

Scheda 7.3. Gioco in gruppo integrato sviluppato da luca con alcuni compagni

■ Il programma di gioco viene Sviluppato durante la ricreazione e dopo il pranzo nella


stanza del sostegno. Sono coinvolti oltre a Luca tre suoi compagni di classe, due
maschi e una femmina, che posseggono buone capacità ^sociali e disponibilità e che
l'allievo dimostra di gradire.^
I giochi vengono illustrati attraverso un cartellone con fotografie, disegni e scritte. .
l'insegnante, inoltre, dimostra i giochi nelle prime esecuzioni e suggerisce i ruoli
da assumere. I compagni di Luca sono stati istruiti precedentemente, sia per quan- ■
to riguarda le modalità di interazione da privilegiare, che le tipologie di aiuto da-
fornire (in particolare in riferimento alla modalità di sollecitazione di componenti
simboliche). I! gioco odierno prevede la costruzione di una stalla per il cavallo
servendosi di mattoncini di \ arie dimensioni. Si tratta di un gioco verso il quale Luca
ha dimostrato interesse e amiche una buona capacità di esecuzione a livello indivi­
duale (l’osservazione è statai condotta con la check list Illustrata nella scheda 7.1).
I compagni cominciano a comporre la casa. Luca osserva, ma non partecipa. Su
sollecitazione dell'insegnante un compagno offre a Luca un mattoncino e lo invita
a collocarlo nello spazio opportuno. Utilizza anche verbalizzazioni del tipo: "Dai
Luca, aiutaci a fare la casa p^er il cavallo!” oppure "Forza Luca, dobbiamo costruire
la casa per il cavallo che stayer pioverei”. Un altro compagno si avvicina a Luca e
lo aiuta a collocare il mattonino. Viene molto lodato per questa iniziativa anche
dall'insegnante. Si continua^ nell’operazione, primaconsegnando altri mattoncini,
poi semplicemente mettendoli nelle vicinanze, con gratificazioni collettive nel
momento in cui esegue delire attività adeguate alla finalità del gioco.
Il gruppo arriva rapidamente alla costruzione dei muri della stalla, lasciando delle
aperture per porta e finestre. Mancano però i pezzi per comporre il tetto. L'inse­
gnante non li ha forniti pef stimolare soluzioni simboliche. I compagni di Luca
sono stati istruiti e hanno anche studiato la modalità per affrontare la soluzione. Ci
sono nelle vicinanze alcuni Righelli da 50 centimetri e dei quadernoni. Un compa­
gno dice rivolto a Luca: “Dobbiamo fare il tetto! Non d sono le travi e la copertura”.

226
7. l'intervento precoce per stimolare l’intersqggettività e il gioco

Un altro compagno: “Facciamo finta che questo righello sia una trave!". La prende
e, sincerandosi che Luca stia osservando, la pone sopra I muri. La compagna pren­
de Luca per mano cercando dì portarlo dove sono sistemati i righelli. Luca si irrigi­
disce un po’ e indugia ad annusarle i capelli. L'insistenza della compagna fa sì che
si lasci condurre nel luogo doverono i righelli. “Prendiamo questa riga e facciamo
finta che sia una trave!’’, dice la compagna mentre con Luca la colloca sul muro.
Vengono collocati anche gli altri righelli.
Si tratta poi di predisporre il tetto. La stessa operazione con ('utilizzo dei quader­
no™, accompagnata da verbalizzaziónì del tipo: "Facciamo fìnta che siano il tetto!",
"Oh che bel tetto!”, "Finalmente abbiamo fatto la casa per il cavallo con un bel
tetto!”, dà gratificazioni a Luca quando dimostra qualche forma di collaborazione.
Una volta completata la costruzione, l’insegnante dice agli allievi dì méttere al ripa­
ro il cavallo perché sta per piovere. La compagna introduce un cavallino di plastica
nella costruzione dicendo: "Qui stai bene. Non ci piove!”. Poi lo tira fuori-e dice a
Luca di metterlo aH'ìnterno perché sta per piovere. Luca ripete l’operazione, prima
aiutato dai compagni e poi da solo. L’insegnante loda con enfasi tut|i i partecipan­
ti al gioco e li invita'a rientrare in classe. Luca dando la mano ai compagni torna in
classe senza esitazioni.

7.1.4. La promozione del gioco simbolico all’interno del programma


per lo sviluppo della teoria della mente ;

Nel capitolo 6 è stato analizzato il programma educativo ispirato ai principi


della teoria della mente elaborato da Howlin, Bacon-Cohen e Hadwin
(1999). Come abbiamo visto, tale programma prevede l’ihsegnamento
progressivo degli stati mentali in tre aree:
• le emozioni-,
• il sistema delle credenze e delle^a/rt? credenze-,
• il gioco simbolico, con particolare riferimento al gioco di finzione.

L’ultimo livello del programma comprende una serie di attività didattiche


finalizzate allo sviluppo del gioco simbolico, che rappresenta, come abbiamo
visto, uno degli aspetti più problematici nel bambino con autismo. Sono
presi in considerazione cinque livelli di gioco: ; ■
• gioco sensomotorio; '
• gioco funzionale emergente;

227
L’AUTISMO A SCUOLA

’ gioco funzionale acquisito;


* gioco del far finta emergente e distinzione fra realtà e finzione;
• gioco del far fìnta acquisito. ,

Le attività proposte sono indirizzate soprattutto agli ultimi due tipi di gioco,
che vengono sollecitati attraverso esempi di interazione ludica in ambiente
naturale (a casa, a scuola ecc.). Pur essendo finalizzate ad acquisire gli
elementi tipici del gioco simbolico, le attività previste contengono spesso
anche le altre forme dì gioco (sensomotorio e funzionale).
Ricordo che permeo sensomotorio si intendono le attività che il bambino
compie quando si limita a manipolare i giocattoli, sbattendoli, muovendoli
nell'aria o succhiandoli. Sono compresi a questo livello anche alcune attività
ripetitive tipiche, come allineare oggetti o suddividerli ossessivamente per
forma e colore.
Il gioco funzionale, invece, si riferisce alla sostituzione di oggetti con altri
dello stesso tipo e funzione (ad es. quando una macchinina viene usata come
un’auto).-A questo livello il gioco non può essere considerato di finzione, in
quanto non èicerto che il bambino faccia riferimento a capacità simboliche e
non percepisca invece l'oggetto come reale, anche se più piccolo (Leslie, 1987).
li gioco delfarfinta comprende due elementi: la sostituzione di oggetti, in
cui un oggetto svolge il ruolo di un altro nel gioco e l’attribuzione di caratte­
ristiche fittizie agli oggetti con cui sta giocando, come nel caso in cui, ad
esempio, il bambino finge di dare il cibo a un animaletto che ritiene affama­
to. A questo livello l’insegnante cerca sempre di rimarcare all’allievo la distin­
zione fra attività reali e finzione, cioè se si sta effettivamente compiendo una
certa azione o;se si gioca a far fìnta di farla.
L’ultimo livello del programma, il gioco del fan finta acquisito, viene
raggiunto quando il bambino riesce spontaneamente a giocare in modo
simbolico, senza necessità di sollecitazione o supporto.
In sintesi, tutte le esercitazioni prevedono aU’inizio delle interazioni fra
bambino ed educatore fortemente regolate da quest’ultimo, alle quali seguo­
no situazioni dove l’allievo è maggiormente protagonista, fino a strutturare
la capacità di trasferire gli apprendimenti acquisiti nel gioco spontaneo.
Di seguito (SCHEDA7.4) viene descritto un esempio di gioco condotto con
Luca, con Tobiettivo dì stimolare l’attività ludica relativa a un aspetto essen­
ziale del gioco di finzione: la sostituzione di oggetti con altri non assimilabili a
livello funzionale.

228
■ ■ : i '
7. l'intervento, precoce per stimolare lì’mtersoggettività e il gioco
i
______________________________________ !__________________
Scheda 7.4. Stimolazione dei gioco simbolico con Luca (sostituzione di oggetti)

La classe sta lavorando in palestra su alcune drammatizzazioni. Luca con un compa­


gno deve rappresentare l’attività di farsi la doccia. Partecipa anche l'insegnante di
sostegno che, con una mano alta, funge da doccia. Dice: po sono la doccia. Se tocca­
te qui esce acqua", "Forza facciamo finta di fare la doccia. Lì ci sono il sapone e lo
shampoo". A terra sono collocati una bottiglia, che rappresenta lo shampoo, e un
oggetto dì plastica, che funge da sapone, li compagnojinvitato dall'insegnante si
avvicina e finge di aprire la doccia. A questo punto l'insegnante emette dei suoni
come sé stesse scorrendo l'acqua e dice: "Bene. Hai aperto l'acqua!". Il compagno
impegnato a farsi la doccia prende il sapone e se lo passa sul corpo, poi con la botti­
glia effettua l'azione di versare lo shampoo sui capelli e strofinarseli. Poi si allon­
tana e l'insegnante dice: “Bene, ora sei pulito. Abbiamo fatto finta dì fare la
docciai”. ‘ j
Luca osserva la scena che viene ripetuta più volte, i
Poi l'insegnante invita Luca a farsi la doccia. L'allievo silavvicina all’insegnante e si
ferma. Non effettua, a Itti movimenti pertinenti malgrado gli inviti e si allontana.
L'insegnante propone agli allievi di fare la doccia a d^ie a due. Luca, tenuto per
mano dal compagno si pone sotto la mano tesa dell'insegnante che rappresenta la
doccia. Il compagno apre l'acqua e l’insegnante emeàe il suono dicendo anche:
"Avete aperto l'acqua. Ora lavatevi!", lì compagno si passa il finto sapone sul corpo,
poi lo cede a Luca mentre lui prende la bottiglia. Luca, invitato dall'insegnante,
effettua alcuni moviménti come per passarsi il saponL L’insegnante lo gratifica
dicendo. "Bravo Luca. Ti stai-lavando. Facciamo finta dilavarci ancorai”.
Il gioco viene ripetuto con movimenti sempre più autonomi di Luca e senza l'aiuto
del compagno. i

i
i

229
8. Facilitare le possibilità comunicative

• lo ormai lo conosco e lo capisco bene, ma come posso favorire comunicazioni


significative con l'ambiente? ì

Come sottolineato a più riprese, la compromissione qualitativa della comuni­


cazione sociale rappresenta un sintomo peculiare per la diagnosi di autismo.
Nel capitolo 1 è stato messo in evidenza come Ì deficit e le particolarità a
questo livello non investano solo l’ambito del linguaggio verbale, ma condi­
zionino in maniera più generale l’intero processo comunicativo, rendendo
estremamente complesso il passaggio di informazioni con glfglrri compo­
nenti del sistema sociale'di riferimento. In altre parole, a essere 'compromes­
si non sono soltanto le modalità di trasmissione dei messaggi (sintassi), ma
anche il piano dei significati veicolati dagli stessi (semantica) e quello degli
effetti che la comunicazione produce sul comportamento (pragmatica).
Quest’ultimo aspetto va tenuto nella debita considerazione per la corretta
impostazione di progetti educativi, i quali si limitano spesso a considerare
solo l’insegnamento di processi simbolici verbali o non verbali. Infatti, gli
allievi con autismo, anche quelli con sindrome di Asperger dotati di buone
capacità linguistiche, incontrano in generale grosse difficoltà per capire l’im­
portanza e lo scopo della comunicazione. Non è semplicemente-una questio­
ne di parole, ma di capire, di fatto, a cosa serve la comunicazione.
■ Certamente il linguaggio verbale riveste una notevole rilevanza come’
motore dello sviluppo dell’allievo con autismo, tanto da essere;considerato
l’indicatore prognostico più importante relativamente al livello di funziona­
lità e di adattamento raggiungibile (Schreibman, 1988). Le prime rassegne
sui programmi di insegnamento del linguaggio a bambini autistici mostra­
vano che, anche quando erano coinvolti in programmi di insègnamento,

231
l'autismo a scuola

circa il 50% rimaneva non verbale (Prizant, 1983). Attualmente, grazie al


diffondersi dell’intervento precoce e al miglioramento degli approcci di inse­
gnamento (utilizzo di strategie comportamentali con tecniche naturali per
potenziare la motivazione), si è venuta a determinare una modifica sostan­
ziale. Koegel (2000), citando un’ampia letteratura, riferisce che 1’85-90% dei
bambini con diagnosi di autismo è in grado di imparare a utilizzare la comu­
nicazione verbale come principale modalità di comunicazione quando si
interviene precocemente attraverso training che sollecitino la motivazione
del bambino a rispondere, forniscano frequenti opportunità per sperimenta­
re il linguaggio^ espressivo nell’ambiente di vita e utilizzino rinforzatoci diret­
ti e naturali. Il linguaggio, comunque, rimane sostanzialmente caratterizzato
da una serie di problemi specifici, che riguardano la ripetitività (ecolalia), la
difficoltà a usare i pronomi personali, le forme di comprensione rigida e
letterale delle parole, le difficoltà di prosodia.
Anche per bambini che restano non verbali L’attenzione all’area della
comunicazione deve essere prioritaria. Sono disponibili vari sistemi di comu­
nicazione aumentativa e alternativa co.me il.linguaggio dei.segni, i sistemi di L'.'
scambio di figure (pecs), l’utilizzo dì fotografìe e di libri per la comunica- ;
zione, le opportunitàofferte dalle nuove tecnologie e altro ancora. In tutte le
situazioni quello che rappresenta il vero problema non è tanto acquisire certe
competenze (riconoscimento di figure, scambio delle stesse in contesti strut­
turati ecc.), quanto la generalizzazione di tali sistemi di comunicazione
aumentativa' e; alternativa.
È importante sottolineare un aspetto centrale messo in risalto da
Goldstein (2002) nella sua rassegna dei trattamenti efficaci per stimolare la
comunicazione nei bambini con autismo. L’autore sostiene che promuovere
un insegnamento che accompagni, almeno nei primi momenti, il training
verbale con l’ùtilizzo di sistemi aumentativi (immagini e segni) rappresenta
la condizione migliore per aumentare il vocabolario ricettivo ed espressivo
anche dei banibini verbali. Soprattutto quei bambini che hanno una limita­
ta capacità di imitazione verbale, infatti, possono trovare grosso giovamento
dalle altre forme comunicative che, in questo modo, assumono la valenza di
aumentative e non certo di alternative.
In questo capitolo si prendono in considerazione alcuni approcci educa­
tivi che hanno Rimostrato di essere efficaci per stimolare forme di comunica­
zione significativa e che possono essere sicuramente promossi anche nel
contèsto scolastico. Nello specifico ci soffermiamo su: .

232
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE
- 1
i

• il Verbal Behavior Teaching,_che.rappresenta la modalità elettiva di


stimolazione della comunicazione verbale sviluppata dall’zz?z<z/m comporta­
mentale applicata (Applied Behavior Analysis, ab'a), con attenzione anche
alle recenti evoluzioni degli interventi naturalìstici;
• i sistemi di comunicazione aumentativa alternativa per bambini non
verbali, con particolare riferimento allo scambio di immagini (pecs);
’ rinsegnamento delle abilità di comunicazione spontànea,"elaborato all’in­
ferno dei-programma tea cch._ j *
I
Ulteriori modelli di intervento sulla comunicazione riferita ad allievi con
autismo ad alto livello di funzionalità e sindrome di Asperger saranno presi
in considerazione nel capitolo io. ì

8.1. La stimolazione della wmuillazione verbale neH’appnxdo àsa:


il Verbaì Behavior Teadiing i
ì

Con la pubblicazione nel .1957 del lavoro di Skinjner sul Verbal Behavior

Teaching vengono poste le basi per lo sviluppo di Una metodologia di lavo­


ro educativa finalizzata alla promozione delia comunicazione verbale. Sldn-
ner, nel suo contributo, è molto chiaro nel manifestare la propria intenzione
principale, che non è quella di studiare specificamente il linguaggio, ma il
comportamento verbale! del quale fornisce un’analisi funzionale e non
formale come fanno invece i linguisti. Ciò significa che si dedica a studiare
«l’episodioverbale rotale»' (Skinner, 1957, p. 83), cijoè non solo, ciòcche dice il
pari ante,..ma la sìtuazipne.e le. condizioni in qui lo HiceJ_le..reazipni cfie susci­
ta nell’ascoltatore (e che non devono essere necessariamente verbali), lo
scambio di ruoli che avviene fra parlante e ascoltatore (nel senso che il
parlante assume a sua volta il ruolo di ascoltatore e viceversa) e così via.
Anche nell’episodio verbale vanno dunque considerati, come per qualsiasi
altra situazione, lo stimolo, il comportamento e ..le .continge nze di rinfo rza-
mento. Queste ùltime possono essere date sia dal) comportamento verbale
dell’interlocutore, che da certi effetti prodotti sull’àmbiente (ad es. chiedere
una palla e riceverla). I
Nella sua analisi funzionale della relazione verbale, Skinner identifica una
serie dijg/?j%&H&r^oènd.Lns poste emesse dagli individui non soltanto sulla
scorta dì particolari situazioni stimolo, ma anche iq relazione all’effetto che
i
L'autismo a- scuola 1 ' • .. • . - .. .

queste risposte hanno.ayu.to dalf ambiente-in-termini^di. r.inforzamen.toiL ;.


Ogni operante.verbalc, inatte parole, presenta -caratteristi che-specifiche, -,
persegue funzioni particolari e la probabilità'della sua emissione può essere ....
sollecitata attraverso specifici training centrati sulle tecniche comportamen­
tali (si veda, a questo proposito, l’ampia trattazione sulle strategie abA-syilup-,. .
para nel capitolo 6). Quelli evidenziaci da Skinner sono iseguentu
• comportamento ecoico (cchoic)-,
• fare richieste (mandi)-, j
* nominare (tact)\ ,i -
• comportamento intraverbale (intraverbafy, '
• comportamento verbale basato su sé stessi (autoclitic). ' ■
I ■ . '
Gli operanti verbali, che vengono solitamente considerati in relazione all’in­
segnamento del. linguaggio.^. bambini con autismo.sono i primi quattro. Il ■
comportamento autoclitico, infatti, prevede.competenze-comunicative di ‘
livello estremamente elevato anche per allievi ad alta funzionalità, ad esem­
pio quelle nelle quali il parlante descrive il.proprio comportamento sia ester­
no che interno (ad es. "Ti slavo dicendo. “Sono- felice 'di..... ;
Descrìviamo ora questi operanti su cui si incentrano ì training aba per.
sviluppare il linguaggio verbale e concludiamo U paràgrafo con alcuni svilup­
pi recenti sugli interventi naturalistici.

i
8.1.1. Il comportamento ecóico

L’operante ecoico è un comportamento verbale e vocale di tipo imitativo,


che ha corrispondenza punt-o a punto con un modello verbale e. vocale. Se,
ad esempio, un genitore o uh educatore dicono “acqua” e il bambino ripete
“ acqua” è avvenuto un comportamento ecoico.
Per imparare a parlare, il bambino necessita di un-repertorio di imitazio- -
ne vocale che, per stabilizzarsi, deve essere rinforzato.- Skinner (1957, p. 110)
sostiene, infatti, che questo comportamento viene stabilito nel bambino
tramite una sorta di rinforzo ‘"pedagogico”, generalmente utilizzato da geni­
tori e insegnanti per ottener^, tramite approssimazioni successive, la verba-
lizzazione corretta di parole e la produzione di nuove unità di risposte.
Con Marco è stato impostato nel contesto riabilitativo un lavoro dì imita­
zione verbale pronunciando) ripetutamente delle parole e rinforzandolo con
I
I ■

- ! ;
i I

8, FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

unapatatina quando ripete la parola. In questo modo i comportamenti ecoi-


cì del bambino sono notevolmente aumentati in poco tempo, predisponen­
do le condizioni per un lavoro più sofisticato sugli altri operanti
* verbali.

8.1.2. Il mand j |

Quando il bambino desidera qualcosa e nel contesto è presente un ascolta­


tore, la richiesta verbale, della cosa desiderata è un mand. Ad esempio, se il
bambino vuole la palla e la nomina in presenza del genitore o dell’educatore
è avvenuto un mand. In questo caso non vi è un antecedente verbale come
nel comportamento ecoico (ad es. il genitore che dice “palla”),ima solo una
motivazione a ottenere l’oggetto che rappresenta, di fatto, il rinfo'rzatore del
mand.stesso. In altri termini, il mand specifica sia il comportamento
dell’ascoltatore sia il rinforzo ultimo. Così, rimanendo nel nostro esempio,
il mand “palla” viene’ emesso perché il bambino desidera la palla («motiva­
zione sulla base-di one stato di privazione» direbbe Skinner, 1957, p. 81),
precisa l’azione che l’ascoltatore deve fare (fornire la palla) e indica il rinfor­
zo che vuole ottenere (la palla appunto). ! :
Il concetto di motivazione, come detto, riveste un ruolo di primo piano
per la produzione di mand; Skinner parla di operazioni motivazionali (Esta-
blishing Operations, eo) per descrivere quelle condizioni 0 eventi che tendo­
no ad attribuire un valore rinforzante ad alcuni stimoli e quindi che sono in
grado di evocare tutti i comportamenti che in passato hanno generato gli stes­
si eventi. Quando il bambino ha dimostrato di apprezzare alcune cose, ma
non riesce a ottenerle, come nel caso in cui vede la palla, desidera'giocarci, ma
non riesce a prenderla, I’eo per la palla è alta ed è probabile cl(e emetta un
mand per soddisfare il suo desiderio (può essere sollecitato, comé vedremo in
seguito, anche da un-aiuto di tipo ecoico da parte dell’educatore).'’
Il mand è tipicamente il primo passo nell’insegnamento deldinguaggio,
in quanto attraverso il rinforzo positivo concesso come conseguenza del
mand stesso, il bambino inizia ad associare il suono della sua voce con la
conseguenza positiva.
Bourret, Vollmer e Rapp (2004) ritengono che l’assenza di mand vocali
sia un deficit comune nel repertorio di competenze verbali di allievi con auti­
smo. Questo accade in molte situazioni, anche quando i bambini si dimo-
strano capaci di produrre risposte verbali, ad esempio possono essere in

235
l'autismo a scuola

grado di denominare alcuni oggetti, ma incapaci di produrre mand per gli


stessi oggetti. Questa carenza a livello di iniziativa personale, che caratteriz­
za in maniera specifica gli allievi con autismo, viene di fatto consolidata nel
momento in cui l’attenzione dell’insegnamento è rivolta esclusivamente alle
topografie linguistiche o strutturali, piuttosto che alla funzione. Moderato e
Copelli (2010) citano, a questo proposito, la situazione che si determina
quando.si insegna a un allievo a richiedere ciò di cui ha bisogno risponden­
do sempre alla domanda: “Che cosa vuoi?’’, senza porre la necessaria atten­
zione anche alla possibilità che non ci siano antecedenti verbali e che si deter­
minino nel bambino situazioni di eo.

8.13. H tact ì

Il tact indica un comportamento che “mette in contatto” con il contesto di


riferimento (il termine deriva appunto dall’inglese contact}. Si tratta di un
operante verbale in cui una risposta di forma determinata viene evocata (0
almeno intensificata) da un particolare oggetto o proprietà di un oggetto o
di un evento;(Skinner, 1957)- Ad esempio, la risposta “auto” emessa in
presenza di un ascoltatore e dì un’auto viene rinforzata dall’approvazione del
genitore che può affermare: “Bravo! È davvero un’auto!”. In questo modo, il
tact aumenta le conoscenze del bambino, viene mantenuto dalla comunità
verbale di cui.fa parte e porta, per generalizzazione, all’apprendimento dei
concerti. Il tact, pertanto, è un operante verbale che prevede un antecedente
non verbale e un rinforzatore generalizzato, come l’apprezzamento positivo
di un adulto del proprio ambiente.
In concretò, il tact può avere la stessa forma del mand, ma si distingue
nettamente per la funzione; nel caso del mand è quella di formulare una
richiesta che1 potrà essere rinforzata attraverso l’ottenimento di quanto
richiesto; nel caso del tact, invece, è quella di stabilire un rapporto con l’am­
biente. Skinner (1957), in aggiunta a questo, ha messo in evidenza che tali
operanti hanno funzioni anche indipendenti fra loro’oltre che diverse, così
che lo stabilirsi di una classe non determina automaticamènte l’altra classe.
Tale indipendenza funzionale ha implicazioni sia a livello teorico che appli­
cativo. Dal punto di vista teoretico la distinzione fra mand e tact evidenzia
l’importanza di considerare la funzione di ogni operante. Da una prospetti­
va applicativa, implica la progettazione di procedure per stabilire una relazio-
8. FACILITALE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

ne fra tact e mand che faciliti la comparsa dell’operante che non è stato inse­
gnato (Moderato, Copelli, 2010). ‘
Venendo alle procedure di insegnamento di questo operante con allievi
che presentano disturbo Autistico, il richiamo è sèmpre alle strategie compor­
tamentali descritte nel capitolo 6, come il Discrete Trial Training (dtt).
Quello che è importante sottolineare è che il training deve avvenire quando
I’eo per lo stimolo è bassa, cioè quando il bambino non è interessato a rice­
vere l’oggetto nominato come rinforzatore (quando non si trova in uno stato
di privazione, per usare una terminologia tipica eli Skinner, che più volte è
stata oggetto di fraintendimenti). Questo è esattamente l’opposto, come
abbiamo visto in precedenza, di quanto avviene per l’insegnamento del
mand. Per rinforzare un tact, infatti, non si deve concedere la cosa nomina­
ta dal bambino, perché un tact non è rinforzante! di per sé stesso, come lo è
un mand. Vanno previsti rinforzi generalizzati, che essenzialmentesignìfica
qualsiasi cosa differente da ciò che viene nominato dal bambino. Chiara­
mente, nel momento in cui questi rinforzi possono essere naturali, come
avviene per quelli sociali (ad es. lodare il bambino’), tutto il processo diventa
più facilmente generalizzabile e resistente all1 estinzione (si veda il capitolo 6
per approfondimenti su questi aspetti). f
Un aspetto, per concludere, va sottolineato con enfasi per evitare frainten­
dimenti sulle procedure operative. Quando si dice-: che nell’insegnamento del
tact non c’è eo per lo stimolo obiettivo, non significa che il bambino non
dovrà avere una forte motivazione per il rinforzo che gli verrà dato. Così, I’eo
ha ancora un’importanza critica nell’insegnaménto del tact, benché sia
connessa a una tipologia di rinforzo diversa dallo stimolo predisposto.

8.1.4. I! comportamento intra verbale ■

Il comportamento intraverbale è una particolare tipologia di operante verbale


nel quale uno stimolo verbale seleziona l’occasione per una risposta verbale,
ma, al contrario di quanto avviene per il comportamento ecoico, la risposta
non presenta una corrispondenza punto a punto (con gli stimoli che l’hanno
evocata. Skinner (1957, p. 126) definisce l’operante nel modo seguente:
ì

Nel comportamento ecoico vi è una coincidenza formale fra lo stimolo e la rispo­


sta prodotta [...] ma alcune risposte verbali non mostrano nessuna corrisponden-

237
l'autismo a scuola

za con gli stimoli verbali ch!e le provocano: è il caso della risposta quattro con lo
stimolo due più due, o Parigi con capitale della Francia Possiamo chiamare intra-
verbale un comportamento controllato da stimoli del genere.

Un altro esempio di operante intraverbale può essere quello di classificare


verbalmente o categorizzare oggetti nell’ambiente, ad esemplo fornire una
sequenza di risposte connesse dal punto di vista semantico come “cane, gatto,
leone ecc.” quando gli viene chiesto di fare un elenco di animali. Si tratta,
chiaramente, di una condizione essenziale per sviluppare abilità comunicati­
ve sofisticate come quelle connesse alle conversazioni, che risulta solitamente
compromessa in maniera pesante in una percentuale elevata di allievi con
autismo.
L'operante intraverbae può essere rinforzato in vari modi, specie con
rinforzatoci di tipo social i (ad es. elogi) o, quando possibile e apprezzato,
con una continuazione dello scambio di conversazióne. I programmi di inse­
gnamento per allievi con autismo possono prevedere la formulazione dì
domande verbali, del tipO'i “Di che colore è questa casa?” e il rinforzo delle
risposte corrette, che possono essere stimolate anche attraverso specifici aiuti
ecoici. Altra procedura può essere quella di prevedere forme di completa­
mento verbale da parte dall’allievo, come quando l’insegnante dice; “Sto
disegnando...” e l’allievo completa affermando: “Un elefante!”.
Nella scheda 8.1 è riportato un esemplo di insegnamento dell’operante
mand verbale condotto con Marco. Il programma è associato a quello relati­
vo alla stimolazione di mand attraverso la produzione di segni, di cui si dirà
nel paragrafo 8.2.2. ‘

Scheda 8.1. Il programmaci insegnamento di un mand verbale sviluppato


con Marco

Fra i rinforzatoti particolarmente graditi per Marco ci sono le bolle.di sapone, che il
bambino ama tenere in mano e far rotolare sul tavolo; Gli piace anche giocarci a
soffiare e ottenere le bolle, ma non riesce a farlo in maniera autonoma: c'è biso­
gno che gli educatori o i genitori svitino il tappo e tengano in mano l'oggetto vicino
a Marco, che a quel punto soffia.
Per facilitare il mand è stato Sviluppato anche un programma insegnando l’utilizzo
dì uno specifico gesto non convenzionale, che consiste nel portare il dito indice alla

238
8, FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

bocca e soffiare.! gesti sono stati introdotti con Marco come degli strumenti aumen­
tativi a sostegno del linguaggio e non sostitutivi. ;
Vengono create delle situazioni.nell'ambiente, sia scolastico che familiare, nelle quali
il bambino vede le bolle di sapone, ma non riesce a raggiungerle da scio; In questo
modo viene sollecitata una forte eo. Marco ha imparato a effettuare II gesto e solitamen­
te gli viene subito dato ih conte nitore delle bolle pronunciando il nomeiverbalmente.
Adesso gli insegnanti e i genitori, dietro suggerimento delio specialista, adottano
una procedura più articolata. Quando si verifica Feo e l'allievo emette anche il gesto,
non viene subito concesso il rinforzatore (il contenitore delle bolle), ma pronun­
ciato un promptecoico per tre volte. Se non c’è imitazione verbale si attendono circa
cinque secondi poi si consegnano le bolle. SÌ lascia il bambino a far rotolare il tubet­
to per una decina di secondi, poi le bolle vengono riprese esìmesse al loro posto.
Se si verifica una nuova eo, si ripete la situazione.
Dopo circa tre settimane di lavoro coordinato e molto intenso in questa direzione si
è verificata una risposta verbale, anche se non precisa. Marco è;stato rinforzato
prontamente con le bolle socialmente e lo si è lasciato giocare per'un tempo sensi­
bilmente più lungo. i ■
A questo punto si è attenuato il prompt eroico, fino a eliminarlo quando la verba-
lizzazione di Marco è stata ritenuta adeguata. Il mand, infatti, è un operante che non
richiede un antecedente verbale per essere emesso. ì
A questo punto si è ritenuto di effettuare un fading sull'efficacia del gesto, rinfor­
zando Marco con l’oggetto solo quando si verificava anche la richièsta verbale.

8.1.5. Gli interventi naturalistici ;

Come già messo in evidenza nel capitolo 6 parlando dell’intervento centrato


■sul modello comportamentale classico del DTT, anche in riferimento alla
comunicazione linguistica va rilevato come, sebbene i bambini con autismo
dimostrino migEoramenti persistenti e stabili attraverso interventi altamente
strutturati, essi tendano a non manifestare di frequente la generalizzazione in
contesti, diversi da quelli nei quali è avvenuto il training in assenza di procedu­
re di insegnamento naturalistico (McGee, Morder, Daly, 199%'Koegel, 2000).
Tali procedure pongono in primo piano la motivazione 'del bambino a
interagire verbalmente, da promuovere attraverso frequenti opportunità di
stimolo del Enguaggio espressivo nel contesto di vira, utilizzando rinforzato­
ci diretti e naturali.

239
l'autismo a scuola

Fra i modèlli naturalistici indirizzati a promuovere competenze verbali


vanno segnalati il paradigma del linguaggio naturale (Maturai Language
P aradi gm, npl) di Koegel e collaboratori (1987,1998), l’In ci dentai Teaching
(o Naturai Environmental Teaching, net) di Hart e Risley (1975), oltre ad
alcune proposte riferibili al modello Denver (Rogers stai., 1986).

Il Naturai Language Paradigmi prevede una specìfica organizzazione deli’am­


biente di vita del bambino, in modo da aumentare al massimo le opportuni­
tà di stimolaré scambi verbali. Prende le mosse dall’assunto che la compo­
nente più importante dell’insegnamento è la motivazione'deH’allievo che
apprende e per questo motivo dovrà essere lui a scegliere sia l’attività da svol­
gere che Ì rinforzatoti, i quali dovranno essere disponibili naturalmente
nell’ambiente di lavoro didattico. I principi di riferimento di questo approc­
cio sono abbastanza semplici e possono essere adeguatamente insegnati a
tutte le figure che interagiscono con il bambino (genitóri, educatori, terapi­
sti ecc.), al fine’di aumentare al massimo le possibilità di scambio comunica­
tivo verbale. In estrema sintesi si fa riferimento ai seguenti principi:
’ gli elementi stimolo sono scelti dal bambino, variati dopo alcune intera­
zioni, adatti all’età cronologica dell’allievo e facilmente reperibili nell’am­
biente naturale1 di vita;
• gli aiuti che-vengono forniti consistono sostanzialmente nella ripetizione
della situazione;
. • il bambino e l’insegnante (0 il genitore, il terapista ecc.) giocano insieme
con l’elemento'scelto, in modo che lo stesso risulti Funzionale allo stabilirsi
‘ della relazione; |
9 le risposte verbali vanno rinforzate con enfasi attraverso elogi verbali e
■ tramite la possibilità di avere la cosa richiesta.

Per soddisfare questi prìncipi l’insegnamento inizia con una ricognizione


delle preferenze dell’allievo, attraverso interazioni nelle quali vengono
presentati oggetti e giochi allo scopo di individuare quelli che predilige. È
utile porli in maniera che siano visibili, ma non raggiungibili, in modo da
osservare le reazioni del bambino.
Una volta individuate le preferenze, l’insegnante crea attività divertenti
■ riferiti a esse,:cercando, nel contempo, di modellare le risposte verbali
conseguenti alle azioni. Ad esempio, nel momento in cui Luca sceglie dei
cubetti di legno colorato e insieme all’insegnante comincia a porli uno

240
' 8. FACILITALE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVI

ì
sull’altro, l’insegnante dice “muro” prima dì dare il cubetto per la costru­
zione, aspettando la risposta verbale dell’allievo. Se non avviene ripete la
parola e, dopo un’ulteriore attesa, consegna il cubetto. Il gioco può conti­
nuare cercando di rendere sempre più stimolante la situazione e, conse­
guentemente, motivando l’allievo a emettere yocalizzazioni adeguate, È
importante, comunque! prevenire la saturazione di una particolare situazio­
ne od oggetto continuando eccessivamente conimi gioco o una attività che
non riscuote più interesse, perché il bambino deve essere sempre motivato a
rispondere. Per questo rnotivo la valutazione dei rinforzatoti deve essere
riproposta frequentemente. |
Il net, come il nel,'privilegia il contesto naturale per l’insegnamento
di risposte verbali e il rinforzamento non è solo scelto dal bambino, ma
rappresenta l’elemento stesso su cui viene costruito tutto il training. Nel
momento in cui l’ambiente presenta vari oggetti che interessano fortemen­
te il bambino, questi è motivato a fare richieste, che l’insegnante deve
cercare di modellare in maniera-sempre più intelligibile. Roberta, ad esem­
pio, manifesta sovente il desiderio di ascoltare la ^ua musica preferita quan­
do si trova nell’aula di sostegno. Indica lo stereó con la chiara intenzione
di ottenere che l’educatore inserisca il suo CD. L’educatore da qualche
tempo ha iniziato a non esaudire il desiderio di Roberta così prontamente
come avveniva in passato. Il cd è bene in vista njel contenitore, ma l’allie-
va non è in grado di prenderlo e di inserirlo da sòia. Quando è evidente la
richiesta di Roberta manifestata indicando e gridando, l’educatore cerca di
modellare la risposta verbale fornendo un prompt ecoico (dicendo “musi­
ca”). Ogni émissione verbale che va in quella direzione, anche parziale,
viene rinforzata con il soddisfacimento del desiderio. Sj tratta, in concre­
to, dell’insegnamento di mand verbali effettuato sullo spunto di attività
che si verificano nel contesto di vita in maniera non rigorosamente
programmata. I
Nelle situazioni successive l’insegnante cercherà di modellare sempre più
la richiesta verbale in maniera corretta, aggiungendo anche ulteriori elemen­
ti alla frase (ad es. "Voglio musica”, poi “Voglio ascoltare la musica”).
I vantaggi che possono derivare da un insegnamento naturalistico condot­
to con le modalità sopra descritte sono i seguenti (Moderato, Copelli, 2010):
8 l’apprendimento è più divertente rispetto all’insegnamento del linguag­
gio con il dtt, che spesso viene sviluppato in ambienti asettici con l’ausilio
di rinforzatoti del tutto sganciati dall’ambiente;
i
i
241
I ■ ■
l'autismo a scuola ;
! f
? !
* il mantenimento e la generalizzazione sono insiti nell’insegnamento natu­
ralistico, in quanto l’insegnamento avviene durante le attività.quoti diane e il
rinforzo è naturalmente jpresente nell’ambiente; .
• in queste condizioni jdi apprendimento l’allievo non sperimenta il fallir
mento, ma è motivato ad apprendere.

Per concludere questa analisi degli approcci naturalistici all’insegnamento


del linguaggio verbale, mi sembra interessante citare alcune sollecitazioni che
provengono dal modello Denver, che è stato già oggetto di trattazione nei
capitoli precedenti per guanto concerne gli aspetti generali e quelli legati
all’interazione sociale (CAPP. 6 e 7).
Il modello Denver attribuisce all’area ideila comunicazione una, valenza
assolutamente centrale, ritenendo che tutti i bambini, anche quelli più
compromessi, abbiano necessità di essere coinvolti in programmi educativi
finalizzati ad acquisire un sistema di comunicazióne-utile e funzionale. L’ap­
proccio che viene adottato prevede quattro livelli-.di lavoro specifico:
* insegnare gesti di comunicazione intenzionali1, non verbali. Questi sono
insegnati in situazioni naturali di comunicazione, costruite sul repertorio
comportamentale e di comunicazione esistente nel bambino e sulle sue
preferenze e desideri;
• insegnare l’imitazione ^motoria. Inizialmente l’imitazione si riferisce a una
serie di azioni sugli oggetti, poi continua con l’imitazione di una varietà dì
movimenti del corpo. Successivamente per i bambini non verbali viene inse­
gnata l’imitazione di unajserie di movimenti orofàcciali e, una volta appresi
questi, ci si concentra sui suoni vocali del linguaggio;
• insegnare il significate^ e l’importanza del linguaggio. Ai bambini piccoli
con autismo viene insegnato a rispondere a semplici istruzioni-verbali fin
dalle fasi iniziali dell’intewento. L’insegnamento; diretto di risposte motorie
a istruzioni verbali aiuta)i bambini nella discriminazione uditiva dei suoni
del linguaggio e nell’associazione delle parole al significato. Il linguaggio
ricettivo viene insegnato nel contesto naturale di vita a livelli, sempre più
complessi man mano che Ì bambini assimilano i .livelli precedenti;
• insegnare rappresentazioni simboliche. Ai bambini vengono insegnate
diverse relazioni tra oggetti e rappresentazioni degli oggetti attraverso attivi­
tà di abbinamento. Viene fatto risaltare che ..gli oggetti e le loro caratteristiche
(colore, categorìa ecc.) possono essere rappresentati attraverso immagini,
simboli visivi ecc. j

2^2 .
8. FACILiTARE LE POSS!B!LJTÀ COMUNICATIVE

8y2. ! sistemi di comunicazione aumentativa alternati^ peratilevi


non verbali s ■

Oltre al training sulle competenze verbali, sono stati sviluppati alcuni


approcci per comunicare sfruttando modalità diverse dii linguaggio, da
riservare agli allievi che ancora non arrivano a padroneggiarlo. La forma di
comunicazione aumentativa e alternativa maggiormente utilizzala è sicura-
mente il Picture Exchange Communication System (pe.Cs); anche se comin­
ciano a esserèìid^mentati in maniera sempre più ampia successi ottenuti
pure con il linguaggio dei segni. Di seguito descriviamo queste modalità di
lavoro, soffermandoci particolarmente sulla prima.

8.2J. Il sistema.dicomu.Rka-zione-mediante-scambio.di.immagini (pecs)

Il pecs rappresenta, un percorso di apprendimento aìl’utilizzo della comu­


nicazione aumentativa e alternativa studiato specificatamente per soggetti
con disturbo autistico e più in generale per persone con; difficoltà nella
comunicazione verbale. È stato sviluppato da Bondy e Frost per far fronte
alle difficoltà che gli autori avevano incontrato nell’insegnamento di abili­
tà comunicative ad allievi con autismo di età prescolare. Con il passare del
tempo, sulla base di molte esperienze, Futilizzo è stato" ampliato anche a
soggetti con autismo di età superiore e ad altri con gravi ^patologie della
comunicazione.
I bambini che utilizzano il pecs Imparano dapprima a rivolgersi al
partner comunicativo e a dargli .un’immagine dell’oggetto! desiderato allo
s£Q-p.o~-dÌ ntrenexlo. In seguito assum.onp.sempre più iniziativa nell’atto'
comunicativo, che viene ampliato all’interno del contesto sociale.
Il protocollo di insegnamento del pecs £Ìjonda^i^pn.pcipLdeffanalisi
comportamentale applicata (aba) e sfruttale tecniche specifiche del rinfor-
zoj_delliaiutcLe-iiduzÌonejd£ll.’.aiuto.,. dell’apprendimentq disctiminativosenza
errori, del concatenamento, oltre a sistemi di correzione eia procedure per
facilitare la generalizzazione. i
Rispetto ad altri modelli di intervento, il pecs hal’ìndutjbio vantaggio di
essere stato ideato per l’autismo e quindi tiene conto dell’incapacità di questi
^ieyi^Ìi^pp^cciai£ÙiglÌjJrrLcDn_uno scopo comunicativo. Come già sotto­
lineato, infatti, non solo il bambino non ha spesso a disposizione lo strumen­

243
l'autismo a scuola

to per comunicare (sia verbale che non-verbale), ma non manifesta un’inten­


zionalità comunicativa, come se non sapesse di poter comunicare. Quindi,
nel caso deh disturbo autistico, sarà necessario insegnare la comunicazione e
non solo dare uno strumento di comunicazione, oltre a predisporre un
ambiente che;stimoli alla comunicazione. Per far questo è importante ripren­
dere gli aspetti già descritti a proposito degli intervènti naturalistici riferiti
allo sviluppo del linguaggio verbale. Si tratta di attirare fattenzione^delTah
lieve per aumentare la sua motivazione per un certo oggetto o situazione e di
condizionarne f acquisizione alla messa in atto di forme comunicative intel­
ligibili. =
Fra le procedure preliminari per l’implementazione del pecs c’è anche la
delineazione di una gerarchia di jinfofzii che consenta di individuare quali
sono quelli maggiormente significativi per fallievo e, come tali, in grado di
stimolare dsó^tenèred.suoi sforzi comunicativi. Le procedure da adottare per
questa ricognizione sono quelle descritte nel capitolo <S come elemento
centrale del programma aba.
Venendo all’insegnamento specifico del programma, Bondy e Frost
(1994, 2005) prevedono un percorso articolato in sei fasi, nelle quali si perse­
gue lo scopo- di portare progressivamente l’allievo allo sviluppo della comu­
nicazione funzionale e della comunicazione come scambio sociale, attraver­
so il training su specifiche fimzionL.comunicative, come richiedere,
commentare, raccontare (Visconti, Peroni, Ciceri, 2007).
Nel dettaglio, le sei fasi prevedono:
’ lo scambio fisico assistito dell’immagine con l’oggetto;
• il progressivo aumento della spontaneità della comunicazione;
0 la discriminazione fra stimoli visivi per esprimere scelte;
* la costruzione di una frase con i simboli;
• la risposta à domande del tipo "Cosa vuoi?”;
• la possibilità di fare dei commenti.

Lo scambio def/’immagine con l'oggetto

L’obiettivo finale della prima fase è quello di fare in modo che l’allievo,
vedendo un oggetto gradito, prenda l’immagine di tale oggetto, si allunghi
.verso f interlocutore che stadi fronte [partnercomunicativo) e rilasci l’imma-
gine nella sua mangiai u.ratp, in questo movimento daun secondo adulto che
sta dietro e che funge da prompterfisjccn

2^
' ' ' i- ■ . ■ i ■
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

‘ 1
In questa fase l’allievo apprende la natura della. comunicazione, vale a dire
come rivolgersi^ un'altra persona per ottenere quanto, desiderato. Non è
troppo importante, per'questo fine, che venga scelta l’immagine giusta (se ce
ne sono varie disponibili), ma che si stabilisca là funzione comunicativa. In
altre parole, come avviene per i bambini a sviluppo tipico che imparano a
comunicare in maniera significativa con il loro àmbiénte prima di conoscere
le parole, anche l’allievo con autismo deve essere orientato in questa direzio­
ne sollecitando inizialmente il fare richieste per;ottenere rinforzatoci graditi
e significativi. I
Per facilitare Peliminazione dell’aiuto fornitojdal prompter fìsico è impor-
tante che lo stesso mantenga la sua posizione dietro l’.allieyp (o di lato) ed
eviti di interagire con esso attraverso scambi comunicativi che potrebbero
assumere il valore di rinforzi (ad es. lodandolo per lo svolgimento adeguato
di alcune azioni). Deve solo fornire l’aiuto necessario a consentire.lo scam- '
bio, senza eccedere in questo e ritraendosi non appena possibile. Un strategia
utile per la riduzione dell’aiìito„del_promp ter fisico può essere quella del
concatenamento retrogrado (CAP. 6). In concreto, !dopo che l’allievo ha mani­
festato un’iniziativa rivolta a ottenere un oggetto, l'adulto che funge da
prompter fìsico inizialmente aiuta il bambino a. prendere l’immagine, ad
allungarsi in direzione del partner comunicativlo e a rilasciare l’immagine
nella sua mano. In seguito il supporto viene attenuato per quello che riguar­
da l’ultima, fase,. facendo sì che la consegna della carta avvenga spontanea­
mente e successivamente per le fasi precedenti. ;
I compiti riservati in questa fase all’insegnànte che svolge il ruolo di
partner comunicativo sono quelli di attirare^!’attenzione dell’allievo su un
oggetto gradito, stimolando la sua motivazione (creando di fatto, come detto
nel paragrafo precedente, un’Establishing Operation), di aprire la mano per
ricevere la carta al momento opportuno, di rinforzare lo scambio con la
consegna deirpggetw desiderato e di lodare il|bambino per la sequenza
messa in atto. ■
Nella figura 8.1 sono riportati i momenti dell’insegnamento sviluppato
con Marco in riferimento a questa prima fase della procedura, con la visione
dell’oggetto desiderato (la macchinina), il movimento di allungare la carta
verso il partner comunicativo attraverso l’aiuto fisico del prompter, il rilascio
dell’immagine nella mano del partner comunicativo e la conseguente conse­
gna del rinforzatore. ' i
(
I
;

! 245
l'autismo a scuola I ■ , ' ■

' ; ■ j : : . '. / 1 ,:1 r: .

Figura 3.1. • Momenti dellpinsegnamento dell’abilità di scambìo:effettuato


da Marco

i 2 . 3

Aumento della spontaneità comunicativa


------- „—-... .. j-----------
i
Nella prima fase l’insegnamento dello scambio comunicativo è avvenuto in
condizioni controllate e fortemente assistite. L’immagine era visibile e fàcil­
mente accessibile e il pàrtner comunicativo si trovava vicino all’allievo e
pronto a completare lo scambio.
Nel quotidiano le cose non accadono in questo modo: a volte, infatti,
l’interlocutore può essere impegnato in.altra attività o comunque non atten­
to alle azioni del bambino e l’immagine dell’oggetto desiderato può non
risultare immediatamente disponibile.
In considerazione di ciò, nella seconda fase di insegnamento del pecs ci si
prefìgge.che l’allievo reòiperi-llimmagine e che insista facendosi.notare per
cgmp{yareJo^s£amHo..quando le condizioni lo richiedono.
In concreto, si agisce jinizialmente prevedendo un progressivo allontana-
mento dell’ interlocutore, ohe rende a non prestare attenzione al bambino, ìn
modo da costringerlo a Spostarsi e a insistere per poter interagire. Il prò m-
pter fisico interviene solp nel momento in cui fallievo-ldimostri di non esse-
dp...dT.prarerl.erdajironnmampnrefarl es. se noi) si dirige verso Fin­
terie cutor e, se si blocca durante lo spostamento o se non cerca di insistere di'

246
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

fronte a un apparente disinteresse dell’interlocutore per la sua richiesta); le


distanze vengono progressivamente aumentate, fino a richiedere il passaggio
da una stanza all’altra per raggiungere il partner comunicativo. Un ulteriore
elemento che è importante prevedere è la possibilità che lo scambio possa
avvenire anche con interlocutori diversi.
Oltre a questi elementi legati alla collocazione e all’atteggi amento del
partner comunicativo, in questa fase si creano le condizioni per sollecitare
Ijdlievo a ricercare l’immagine per effettuare lo scambio comunicativo, non
rendendola immediatamente'disponibile. A questo fìneiè fondamentale
predisporre: il “quaderno della comunicazione” (si veda: più avanti la
F-IG. 8.2). SÌ tratta di un quaderno ad anelli con strisce di velcro sulla coper­
tina e sui fogli posti all’interno per attaccare le immagini. E prevista anche
una “striscia per frasi” staccabile, nella quale l’allievo potrà:collocare, come
vedremo in seguito, due o più immagini per creare una frase.
In sintesi, l’obiettivo di questa fase è quello di ottenere che il bambino si
avvicini al quaderno della comunicazione, che può essere collocato in vari
luoghi, stacchi l’immagine, raggiunga l’interlocutore, si faccia notare e lasci
l’immagine nella sua mano per effettuare lo scambio. Tutti «questi elementi,
che si mantengono anche nelle fasi successive, concorrono} a rendere l’atto .
comunicativo maggiormente spontaneo e generalizzabile, j

La discriminazione e la scelta delle immagini i

In questa fase l’attenzione viene centrata sulla capacità dell’allievo di_sceglie-


reHnimagiue_deLLaggetiQjd£S.id.eratct,frgJialtretaì^fìae,jdìjeffetniar.eJmscam-.
biq_e affinare le pròprie possibilità comunicative. i
Il percorso prevede inizialmente l’insegnamento della discriminazione di
due immagini collocate sul quaderna della co monacazione ,~di cui una raffi­
gurante un oggetto molto gradito e l’altra uno poco interessante. È strategi­
camente raccomandato di non partire con due immagini chùrappresentano.
oggetti ugualmente desiderati, in quanto il bambino potrebbe scegliere
un’immagine aspettandosi di ricevere un oggetto ed essere ugualmente
contento anche se gli viene fornito l’altro. Al contrario, deve essere immedia­
tamente evidente che la scelta comporta conseguenze molto! precìse. È anche
utile cambiareJa^collocazione delle immagini (destra, sinistra, in alto, in
basso), per essere certi che le scelte non avvengano sulla base- della distribu­
zione spaziale delle carte. j '■

\ 247
l'autismo a scuola

Una volta acquisita questa capacità iniziale di discriminazione, la situa­


zione viene résa più complessa prevedendo due immagini raffiguranti
■ entrambe oggetti graditi e poi più immagini.
Dato che 1 intenzionalità comunicativa e le procedure connesse allo scam-
' bio sono, state'già acquisite nelle fasi precedenti, in questo momento della
procedura non è necessario il secondo insegnante (prompter fìsico) a
supporto del partner comunicativo che conduce l’insegnamento.

La costruzione di frasi

A questo livello il bambino viene sollecitato a fare un notevole passo avanti,


in quanto gli è richiesto di costruire una frase con più di una parola per chie­
dere oggetti visibili o meno. In concreto, si prevede come obiettivo finale di
questa fase che l’allievo prenda dal libro della comunicazione il simbolo "io
voglio” e lo attacchi sulla sfascia per le frasi-, scelga poi Timmagine di quello
che desidera e la collochi accanto al simbolo “io voglio”; stacchi infine jastri-
scia dal libro della comunicazione e la porti al partner comunicativo ottenen­
do quanto desiderato.
La procedura di insegnamento prevede che all’inizio il simbolo “io
voglio” venga collocato dall’insegnante sul lato sinistro~della striscia; quan­
do H bambino scegljgjin immagine di un oggetto gradito e la porge alTinter-
locutore di turno, questi io guida in maniera fìsica ad attaccare l’immagine
sulla striscia dopo il simbolo "io voglio”, in modo da creare la frase, e a stac­
care la strìscia-per consegnarla. A questo punto l’insegnante prontamente
rinforza l’allievo con l’oggetto desiderato, .verbUÌzz.mdo_anchelafìase.,Negli
scambi successivi gli aiuti_fìsicpvengono progressivamente ridotti, in modo
che il bambino acquisisca autonomia nel collocare le immagini e scambiare
l’intera striscia. E molto utile, quando l’insegnante legge la frase, richiedere
all’allievo di indicare le parole che vengono lette, supportandolo inizialmen­
te con un prompt fisico. In questo modo, dilazionando i tempi di lettura, sì
può sollecitare)!! bambino a emettere un mand verbale.
Nella figura 8.2 viene presentato un esempio di lavoro didattico condot­
to con Luca finalizzato alla costruzione di una frase nel suo quaderno della
comunicazione.
Una volta consolidata l’abilità di comporre frasi e di scambiare la striscia.
a finì comunicativi, la competenza a questo -livello può essere ulteriormente
affinata, quando le condizioni lo consentono, prevedendo la possibilità.di

248
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

I
i

richiedere più oggetti_in una sola frase e di completare la richiesta specifican­


do alcuni attributi degli oggetti (ad es, "Io voglio là palla grande” oppure “Io
voglio il succo rosso”). !
L Rispondere alle domande ' !

A questo punto il bambino è pronto a risponderJ a domande.del..tipp, “.che

cosa vuoi?” attraverso una frase che, come per la fase precedente, prevede il
simbolo "io,voglio” seguito da quello di un oggetto. La metodologia per
favorire l’insegnamento può essere quella di far.ella_doman.da indi.cando.Jl
simbolo “io voglio” sul quaderno dell’allievo. S:e compone la frase viene
Ìmmediatamente.rin£ox;atplj;jRn.J’.o.gg^q:o;.richiesto, e con la lode sociale; in
caso contrario si preveded’aiuto fisico per staccati il simbolo “io voglio” e
comporre la frase, avendbcuradi ridurre gli aiuti nelle esecuzioni successive.
Anche a questo livello, come previsto nella fase precedente, le richieste devo­
no assumere nel tempo, quando le competenze dell’allievo lo permettono,

249
l'autismo a scuola

una maggiore specificazione con la presenza dì attributi. Si mantiene anche


la lettura ritardata della frase, con l’intenzione di stimolare anche una comu­
nicazione di tipo verbale, i
Altro aspetto da prevedere è quello della progressiva generalizzazione, che
porti 1’allievo a rispondere adeguatamente non solo durante momenti di
insegnamento strutturato,; ma anche in condizioni naturali di interazione, e
a formulare richieste senza; necessità di formulare la domanda stimolo. ;,

Fare commenti
_____ .— ------ j
ì
In quest’ultimo momento Idell’insegnamento del pecs, l’orizzonte può ulte­
riormente allargarsi per richiedere all’allievo di fare commenti, nel senso di
rispondere non solo alla domanda: "Che cosa vuoTfVma anche "Che cosa
vedi?”, “Che cos’hai?”, JChe cosa senti?” e "Che cos’è?”, oltre a fare
commenti spontanei. |
La procedura didattica ricalca quanto previsto nella fase precedente, con
un ampliamento nella datazione di immagini, che devono comprendere
anche simboli: “Io vedo”, “Io sento”, “E/Sono”, oltre ad altri verbi di inizio
frase e ulteriori attributi, i
In conclusione di questa presentazione sotto Uniamo come le fasi indicate
con precisione e ricchezza -di suggerimenti operativi da Bondy e Frost (2005)
rappresentino sicuramente un percorso strutturato a cui riferirsi. Sono molto
numerose, ormai, anche lé sperimentazioni e le esperienze che ne documen­
tano l’efficacia in ogni dontesto (per. una rassegna si veda Jones, 2004;
Howlin et al., 2007). Riteniamo importante, però, raccomandare una buona
dose di flessibilità nell’appjicazione della procedura in relazione alle esigenze
ai ogni singolo allievo co'p~autismo, evitando^Tdiventare eccessivamente
rigidi e poco propensi ad apportare modifiche quando le condizioni lo
richiedono. Oltre ciò, per jun corretto ed efficace utilizzo del pecs a scuola è
fondamentale che la metodologia sia conosciuta da tutti gli attori e non solo.
dall’allievo, dall’insegnant’e di sostegno e dall’eventuale assistente educativo.
Nel momento in cui anche i compagni, gli insegnanti curricolari, il persona-
le ausiliario e tecnico-amqiinistrativo sollecitano l’allievo ad adottare questa
forma di comunicazione intelligibile per interagire, le possibilità di un suo
uso funzionale e generalizzato aumentano notevolmente, così come le
prospettive inclusive. I
In particolare ritengo epe, anche a questo livello, i compagni rivestano un
1 ■
J ! ‘ ’

250 ! ■
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

ruolo davvero strategico, che deve essere adeguatamente preparato e solleci­


tato. Di tutto questo, comunque, avremo modo di parlare ampiamente nel
capìtolo 12. ;

& ■

8.2.2. L’utilizzo dei gesti in funzione comunicativa '■

Come già sottolineato, l’utilizzo dei gesti come forma aumentativa di comu­
nicazione può essere un elemento importante nel trattamento, in grado di
fornire uno strumentò ulteriore al bambino con autismo per promuovere
comunicazioni spontanee. Pur non esistendo molte ricerche in proposito, i
riscontri disponibili sembrano avvalorare questa prospettiva .(Sundberg,
Partington, 1998; Goldstein, 2002; Tincani, 2004) e soprattutto;individuare
nell’associazione del training all’utilizzo dei segni a quello^ prettamente
verbale la modalità più favorevole per promuovere un ampliamento del
vocabolario, sia di tipo ricettivo, che espressivo. ; '■
Pur esistendo, in generale, delle difficoltà abbastanza generalizzate negli
allievi con autismo a livello di imitazione, i segni possono in qualche modo
lenire le problematiche a livello di imitazione verbale. Presentano, infatti,
alcuni vantaggi legati alla somiglianza fra il segno e la cosa rappresentata e la
facilità superiore nell'insegnamento, I segni, inoltre, non richièdono, come
avviene per il pecs, la disponibilità di strumenti o materiali e pertanto posso­
no essere insegnati in ogni momento o contesto. :
Per contro, in alcuni allievi con autismo possono essere presenti grosse
problematiche a livellò di motricità fine in grado di condizionare negativa-
mente l’insegnaménto. Inóltre i segni, come le parole, non si mantengono
una volta emessi e pertanto non offrono quelle condizioni percettive garan­
tite dalle immagini, ì
Alla luce dì tutto questo,'sì può concludere che il linguaggio dei segni
rappresenta sicuramente un’opportunità ulteriore per facilitare forme di
comunicazione spontanea, ma va regolato in relazione alle caratteristiche dei
singoli allievi. ,
Per quanto riguarda le modalità di insegnamento, il riferimento è alle
strategie comportamentali, con particolare attenzione al modeling, all’aiuto
(anche fisico nei casi di maggiore difficoltà) e riduzione dell’aiuto e al rìnfor-
zamento. La tipologia dei segni impiegati può in alcuni casi riferirsi a quella
codificata (Lingua italiana dei segni, Lis), mentre in altre condizioni può

■/

251
l’autismo a scuola

rimanere a livèlli molto più. bassi, con utilizzo di segni non convenzionali,
ma più vicini al repertorio motorio e cognitivo del bambino. Anche il nume­
ro dei segni può variare in maniera abbastanza ampia in relazione alle carat­
teristiche individuali.
Nella scheda 8.2 è descritto sinteticamente un intervento di stimolazione
di un mand attraverso i gestì, che è stato pianificato e implementato insieme
al training sul 'mand verbale descritto nella scheda 8.1.

Scheda 8.2. Il programma di insegnamento di un mand attraverso i gesti


sviluppato con’Marco
j

Insegnamento del gesto delle bolie

L'insegnante si assicura che Marco sia attento e che lo guardi. Se necessario lo


richiama. Le bolle sono bene in vista e desiderate dal bambino, che non è in grado
di raggiungerle da solo. A questo punto dice: "Fai questo!" ed esegue il movimen­
to di portare lentamente l’indice alla bocca e soffiare. Contemporaneamente verba­
lizza "Bolle".

Attende una eventuale risposta che non arriva. Allora prende la mano del bambi­
no, estende l’indice e lentamente porta la mano alla bocca dell’allievo soffiando e
verbalizzando "Bolle”. Completato il movimento, l’insegnante loda il bambino:
"Bravo! Vuoi le bolle?" e fornisce il gioco desiderato. Nelle esercitazioni successive
vengono progressivamente ridotti gli aiuti fisici, diminuendo la forza del contatto e
non prendendo, più la mano del bambino, ma prima il pólso e poi il gomito solo
perstimolare il movimento (una sorta di start). Anche il soffio dell’insegnante viene
attenuato quando l’allievo manifesta alcune esecuzioni a questo livello. Vengono
chiaramente mantenuti sempre la verbalizzazione e il rinforzo.
Quando il gesto è acquisito, l'insegnante non lo stimola più, ma si limita a determi­
nare una forte motivazione (eo) e ad aspettare che il bambino lo emetta come mand.
Quando il bambino fa il gesto, l'educatore verbalizza sempre il nome dell’oggetto
per cercare di stimolare anche un comportamento ecoico. Qualche volta è necessa­
rio sollecitare remissione de! gesto verbalmente con la domanda: “Che cosa vuoi?”.

252
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

La procedura di insegnamento viene ripetuta anche con ulteriori gesti. Marco ora ne
conosce altri quattro oltre a quello delle bolle {sono illustrati e descritti sotto) che
utilizza ancora limitatamente e non sempre con una precisa distinzione della loro
valenza comunicativa. !

Ulteriori gesti acquisiti da Marco

Costruzioni I
Mettere una mano sopra all'altra come nell’effettuare Un muro con le costruzioni o
i cubetti. '

Macchinino j
Strisciare la mano aperta sul tavolo o sul pavimento (Se si trova a terra) come per
indicare la macchinina che va avanti e indietro.

Bere il succo preferito I


Portare il dito pollice alla bò’cca come nell'azione del bere.

rV ’

Caramella i
I) segno doveva prevedere la rotazione nel senso opposto delle due mani, come se
si scartasse la caramella, ma Marco non riesce ad andare oltre l’avvicinamento
dell'indice e medio delle due mani. ì

253
l'autismo a scuola

-l ■ .
8.3. J L’insegnamento delie abilità per la comunicazione^fmniàlies
*•"
** m à.l...----- ■ I —— ——, .

In considerazione delle difficoltà ad ampio spettro1 degli allievi con autismo


nel campo della comunicazione, alTintemo deirapproccio TEACCH è stato
elàBoTaW^Ung^sp^ifìco^jogramma (WatsonTe? a/, j 1989) finalizzato a
promuovere abilità di comunicazione spontanea. per bambini con disturbo
autistico. La merodologriidrtàWfUTtTfmé'aÈ^mano gli autori, considera
1’"abilità di comunicazione” piuttosto che inabilità di linguaggio” (ivi,
p. 43), alla luce delia convinzione secondo la quale lo scopo prioritario
dell’educazione in questo' campo dovrebbe essere quello di migliorare la
capacità comunicativa nelle situazioni quotidiane e non soltantoffi insegna-
rèààrrtìiTgnaggìtrSÓrfettÓJ
In base a questa scelta
* di campo, il lavo'ro per potenziare le possibilità
comunicative degli allievi icon autismo deve essere condotto primariamente
da chi si occupa dell’intervento educativo, insegnanti e genitori soprattutto,
e non delegato totalmente^ quasi agli specialisti del linguaggio (ad es. logo­
pedisti). |
Di seguito presentiamo gli aspetti salienti della proposta di lavoro sulle
abilità di comunicazione spontanea distinguendo: ■
• le dimensioni della comunicazione prese in considerazione;
* le modalità di valutazione della comunicazione spontanea dei bambino;
• i riferimenti per la delineazione degli obiettivi educativi;
* le strategie di intervento per facilitare lo sviluppo di abilità comunicative..

''8.3.1) Le dimensioni dellakoniunjcazione


■—■ I • ■■■ ■ ■ ...■ ■-
Schopler e collaboratori (Watson etaL, 1989) ritengono che ogni atto comu­
nicativo implichi la combinazione di cinque dimensioni:
» le cioè lo scop’o che si intende perseguire attraverso l’atto comu­
nicativo. Nel programma sono considerate le seguenti sei’ categorie: ottenere
attenzione, richiedere, rifiatare 0 respingere, commentare, cercare informazioni,
esprimere sentimenti1,
• [ contesti, intesi come le diverse situazioni e i luoghi nei quali le persone
comunicano. Ogni contesto richiede capacità comunicative diverse;
• le. categorie semantiche, che si riferiscono al_tipo di infnrmazir-jnp che una
parola esprime quando viene usata per comunicare un’idea o un concetto. La
I

254
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

stessa parola può significare concetti diversi in frasi differenti. 'Ad esempio,
nella frase “Marco gioca con l’acqua” la parola "acqua” rappresenta un
oggetto agito da patte di Marco, mentre nella frase “Marco ha omesso le pape-
relle nell'acqua”, la stessa parola descrive il luogo dove sottostati posti i
giocattoli del bambino; ‘ ;
* le parole, usate per significare una dimensione più ampia dèlie semplici
parole pronunciate, includendo anche Ì segni, le parole scritte, le figure, i
gesti e qualsiasi altro elemento usato per comunicare; !
* forma o struttura della comunicazione, che si riferisce sia al sistema ■
comunicativo utilizzato (atti motori, gesti, parole scrìtte, lingdaggio ecc.),
che alla complessità espressa con i diversi sistemi. I
! !
Gli allievi con autismo, come è stato messo in evidenza nel primo capitolo,
incontrano soverchie difficoltà in tutte le cinque dimensioni della comunica'
zione. Il programma educativo, pertanto, si prefìgge di analizzare le modali­
tà comunicative che il bambino usa nella vita di tutti i giorni e di’potenziare
quelle dimensioni che possono rendere la sua comunicazione più significati­
va e intelligibile. ■

La valutazione della comunicazione spontanea deH’allìeyo


> ' s
Lo scopo della valutazione delle modalità dì comunicazione dell’allievo con
autismo è duplice: da un lato quella di appurare le abilità comunicative già
presentì, dall’altro quella di determinare quali nuove competenze siano più
significadye e’funzianali.
Per centrare il primo obiettivo viene raccolto il cosiddetto “campione di
comunicazione”:(Watson et al., 1989, pp. 71-6), che rappresenta la registra­
zione del tipo di comunicazione spontanea dell’allieyo in condizioni natura­
li (a scuola, a casa, durante iLgiòco ecc.). Tale campione di comunicazione
viene poi analizzato per determinare le abilità attuali, del ham.h.inp nelle
cjpque dimensioni della comunÌcazione..deggrÌttC..iCk.PX€Cedenzai .
Per appurare, invece^ il ruolo funzionale che potrebbero rivestire nuove
acquisizioni comunicative vengono intervistati ì genitori sulle abitudini del
figlio, ih~modo da poter indirizzare gliobiettivrprimari dell’intervento su
quelle abilità maggiormente richieste nell’ambiente di vita.
Mì concentro primariamente sull’analisi del campione di comunicazione,

255
L'AUTiSMO a scuola

TabeHa 8.1. 'Analisi del campione dì comunicazione di Roberta

Allievo Roberta Funzioni


Osservatore Insegnante di sostegno
Data 15.04:2010 Fare Ottenere Esprimere Fare Dare e Altre
Ora inìzio 11.45 richieste attenzione rifiuto commenti chiedere funzioni
Ora fine 14.45
infor­
Contesto * Comunicazioni mazioni

Disegna seduta al suo Allunga la mano X


banco ì verso i colori posti
sopra lo scaffale

Ha completato la sua Emette suoni, si alza X X


scheda dì ricalco dei e va verso . (finito)
contorni delle lettere l’insegnante dì
tratteggiale ; ■ sostegno

In aula, l'insegnante Sul suo quaderno X


chiede a Roberta che della comunicazione
sta muovendosi su! compone con aiuto
banco: “Che cosa 1 la frase attraverso
vuoi?" ì simboli "lo voglio"
e "Bagno" e dà la
I striscia

Nell'aula di sostegno Urla, guarda i suoi X X


lavora al tavolo ì cd-rom e cerca di
(incastri) ■ alzarsi

A mensa mangia :nel Alza il bicchiere X


tavolo con i compagni e guarda la bottiglia
posta distante

Ha una scarpa ; Va verso l'insegnante X


slacciata ■ di sostegno e gli
mostra la scarpa

In palestra la classe Urla e scappa dietro X


corre a due a due i tappetare
tenendosi per mano

Nell'aula di sostegno Urla e non vuole X


ascolta la musica j alzarsi
L’insegnante la <
chiama per andare...

Vede arrivare il ì Dice “Mamma" X


pulmino dalla
finestra ■

256
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE
ì
ì
t

Tabella 8.1. (segue) i

ì
Allievo Roberta i
Osservatore Insegnante di sostegno" 1
Dato 15.0t|.2010 ; Categorie serti antiche

Ora fine 3^.45


Oggetto Azione Persona Posizione Altre
Contesto Comunicazioni ! categorie

Disegna seduta al suo Allunga la mano


banco verso i colori posti j
sopra lo scaffale
i
Ha completato la sua Emette suoni, sì alza (
scheda dì ricalco dei e va verso 1
contorni delle lettere l'insegnante di
tratteggiate sostegno
1
J
In aula, l'insegnante Sul suo quaderno Azione persona
chiede a Roberta che delta comunicazione propria che vuole
sta muovendosi sul compone con aiuto
banco: "Che cosa la frase attraverso
vuoi?” i simboli "lo voglio"
e "Bagno" e dà la
striscia 1

Nell'aula di sostegno Urla, guarda i suoi


lavora al tavolo ì
cd-rom e cerca dì
(incastri) alzarsi J

A mensa mangia nei Alza il bicchiere


tavolo con ì compagni e guarda la bottiglia j
posta distante

Ha una scarpa Va verso l'insegnante


slacciata di sostegno e gii i
mostra la scarpa

In palestra la classe Urla e scappa dietro !


corre a due a due i tappetoni
tenendosi per mano
i
Nell'aula di sostegno Urla e non vuole i
ascolta la musica alzarsi V
L'insegnante la
chiama per andare...

Vede arrivare il Dice "Mamma" Persona


pulmino dalla che vuole
ì
finestra

257
l'autismo a scuola

che rappresenta sicuramenteTaspetto più innovativo e generalizzabilealivel- }'/


Io scolastico del processo dii valutazione..
Va innanzitutto sottolineato che l'attenzione deve essere posta su esempi; ■.
di comunicazione spontanea e volontaria dell'allievo con autismo, cioè su- . ■
comportamenti che siano intenzionalmente comunicativi. Vanno registrate,
a questo fine, tutte le forme di comunicazione intenzionale che póssono
presentarsi con varie modalità: con atti motori, gesti, attraverso f utilizzo di
immagini o oggetti, con parole scritte o linguaggio verbale.
L'ampiezza del campione dì comunicazione può variare asseconda delle
competenze dell’allievo; [Watson e collaboratori (1989) raccomandano,
comunque, un’osservaziojjte- della durata di almeno 2 ore, oppure di conti-
: nuare a registrare fino a un totale di cinquanta atti comunicativi spontanei.
Queste osservazioni devono essere condotte in contesti differenti, in modo
da ottenere info rmazionij sui luoghi e sulle persóne con le quali l’allievo
preferisce comunicare. Con allièvi a basso livello di funzionalità risulta spes­
so difficile evidenziare moldalità di comunicazione spontanea; in questi casi
l’insegnante può predisporre la situazione per stimolare forme comunicati­
ve, ad esempio può metter^ oggetti o giochi molto graditi dal bambino bene
in vista, ma non raggiungibili, oppure può iniziare un’attività che sa essere
piacevole e poi interromperla aspettando la reazione.
Il campione di comunicazione viene completamente trascritto su un’ap­
posita tabella per analizzare le forme comunicative secondo le cinque dimen­
sioni descritte: !
■ le funzioni; 1
• 1 contesti; ’
8 lecategorie semantiche;
• le parole; *
• la forma. !■

Nella tabella 8.1 è riportato un esempio di analisi di un campione di comu­


nicazione di Roberta nel contesto scolastico. Le osservazioni sono codificate
servendosi del modello proposto da Watson e collaboratori (1989, p. 74).
Come si può notare, Roberta nel periodo di osservazione ha messo in atto 1
una serie di comunicazioni spontanee, che risultano ritolto significative e
importanti per predisporre un programma educativo, i
Innanzitutto va rilevato^ come la funzione “Fare richieste” sia padroneg- '
giata e anche flessibile, in guanto viene messa in atto frequentemente, con ;
; diverse forme e in vari contesti. '

258
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ CÒ’MUNICATIVE

: “Ottenere attenzione” ed “Esprimere rifiuto” sono presenti, ma limitati e


soprattutto il rifiuto è manifestato con modalità poco adeguate. ;
Anche “Fare commenti” e “Dare e chiedere informazioni” si sono mani­
festati, seppure in maniera sporadica. Per quello che riguarda “Fare
commenti”, in un caso ha voluto comunicare che aveva completato il lavoro
e nell’altro ha associato al pulmino la conseguenza che era ora di-tornare a
casa, usando in questo caso l’espressione verbale “mamma”. Relativamente
al fornire informazioni, ha comunicato, utilizzando il pecs, il suo bisogno di
andare al bagno. Si tratta di una modalità molto sofisticata, anche se ancora
non autonoma in quanto legata alla richiesta dell’insegnante. <
Per quanto riguarda le categorie semantiche, gli autori suggeriscono di
codificare solo le comunicazioni relative al linguaggio codificato (verbale,
scritto, con immagini, cpn segni). Nel caso di Roberta tali categorie sono
limitate a condizioni che riguardano la sua persona, sia per quanto riguarda
le azioni che intende compiere, che i suoi desideri. i
Altro aspetto significativo da mettere in evidenza riguarda la’forma della
comunicazione spontanea, che nella maggioranza delle situazioni sì fonda su
urla e azioni e al fatto che la gran parte di tali comunicazioni nèirambiente
scolastico sono rivolte all’insegnante di sostegno.

-TJ>8.33. La delineazione degli obiettivi educativi

*Sulla scorta della valutazione del campione di comunicazione spontanea


dell’allievo e dell’anàlisi del rilievo che potrebbero avere nell’ambiente familìa-
■ re, scolastico e sociale certe acquisizioni di tipo comunicativo, possono essere
fìssati gli obiettivi a lungo (le mete), medioe^teve termine. Come giaaccerì-
ìiato, alla 'delineazione delle mete educative concorrono anche ! genitori, i
quali possono fornire informazioni determinanti sulla rilevanza funzionale di
alcuni obiettivi. In generale, gli obiettivi comunicativi da inserire nel piano
educativo individualizzato dovrebbero rispondere alle seguenti caratteristiche:
• essere realistici in considerazione delle abilità già possedute dall’allievo
(verificate attraverso l’analisi del campione di comunicazione); !
• essere importanti in funzione^della^possibilità dì migliorare le’ competen­
ze di comunicare nel proprio ambiente;
• essere valutati significativi daEg^ReriJn termini di bisogni e priorità per
ìl bambino nell’ambiente familiare. '■

259
l’autismo a scuola

Con Roberta gli insegnanti, in accordo con l’équipe e la famiglia, hanno


deciso di puntare sui seguenti obiettivi comunicativi da perseguire nel pros­
simo trimestre: =
° gPtendareJé: funzioni comunicative che già mette in atto, insegnando
anche modalità di comunicazioneattraverso segni (che andranno a integra­
re il pecs e le poche parole che riesce a pronunciare con intento comunica­
tivo);
’ insegnare a richiedere attenzione con modalità adeguate (toccando l’inse­
gnante, dzandoìamàhÒ^emettendo'la parola “qui”);
» esprimere richieste di propria iniziativa utilizzando soprattutto il pecs;
• aumentare il numero di persone con le quali comunica, sìa in ambiente
scolastico che extrascolasrico.

83,4. La conduzióne dell’intervento educativo'

Delineati gli obiettivi comunicativi da perseguire, il programma proposto da


Schoplere dai sudi collaboratori (Watson et al., 1989) si completa in una
serie di indicazioni sulle strategie di insegnamento-da privilegiare per perse­
guirli. Per quello che riguarda l’approccio didattico, gli autori fanno riferi­
mento a quanto abbiamo già messo in evidenza parlando di intervento strut­
turato e naturalistico. In concreto, individuano tre-linee operative non
esciudentesi fra loro:
« quella di fare c&cìmcnto^jedut^strutturate, nelle qualLgii allievi vengono
sollecitati attraverso stimoli ripetuti che richiedono risposte sempre dello stes­
so tipo. Questo approccio ha il vantaggio di creare una situazione facilmente
comprensibile per il bambino, con pochi o nessuno stimolo distraente. Lo
svantaggio risiede nella difficile generalizzabllità delle acquisizioni e nella
necessità di prevedere un rapporto individualizzato (1 : 1) di insegnamento;
• quella di prevedere un insegnamento di tipo incidentale, che poggia le basì
sugli eventi che accadono naturalmente duramela giornata. Questa metodo­
logìa si presta per. insegnare abilità comunicative che tendono piu facilmen­
te a generalizzarsi, perché l’allievo ha maggiori possibilità che quelle stesse
risposte apprese possano essere utilizzate per comunicare nella vita di tutti i
giorni; i
• quella di operare per la “costruzione dimo mesti” (Watson et al., 1989,
p. 150), agendo nell’ambiente per creare le condizioni utili all’insegnamento

260
8. FACILITARE LE POSSIBILITÀ COMUNICATIVE

di una determinata abilità comunicativa. La predisposizione dell’ambiente


consente agli educatóri di approntare un numero potenzialmente molto
elevato di possibilità di apprendimento rispetto alle (condizioni di insegna­
mento incidentale e di progettare opportunamente;le azioni da compiere
non dovendosi rifare a situazioni impreviste. 1

La scelta del tipo di approccio didattico relativamente al contesto dipende


dagli obiettivi perseguiti e dalle capacità degli allievi. Maggiori sono le caren­
ze di tipo cognitivo, infatti, più è necessario far riferimento a situazioni strut­
turate e prevedibili. i
Per quanto riguarda le strategie di intervento utili a facilitare l’acquisizione
di abilità comunicative, il riferimento è a quelle di derivazione cognitivo-
comportamentale, con particolare riferimento a: {
* aiuti fisici nel corso dell’insegnamento di modalità comunicative di tipo
motorio o gestuale; ‘ ì
9 Tnodella-mento completo o parziale (limitato a una sola parte della consegna
comunicativa da ripetere); S
’ aiuti visi.vì.j come gesti, disegni, immagini ecc.; ■
9 suggerimenti
kPp.--— verbali
.......... . o non verbali che possano
X I indurre il bambino a
formulare una certa richiesta. <
ì
Un aspetto molto interessante riguarda la possibilità e*l ’utilità di condurre il
lavoro sulle modalità comunicative (o almeno una parte di esso) in gruppo.
Questa opportunità si adatta perfettamente alla nostra organizzazione scola­
stica centrata sull’integrazióne- Quello che si sacrifica relativamente alla
strutturazione e precisione della situazione dì insegnamento, lo si recupera
grazie alla maggiore probabilità di generalizzazione!degli apprendimenti.
Naturalmente i contesti vanno opportunamente programmati, in relazione
al tipo di apprendimento e alla stabilità comportamentale di ogni allievo,
prevedendo eventualmente un progressivo passaggio da situazioni individua­
li, a piccoli gruppi, a forme più ecologiche di lavoro collettivo.
Nella scheda 8.3 sono descritte alcune attività condotte con Roberta per
richiedere attenzione con modalità adeguate. Corde si evidenzia dal suo
campione di comunicazione, infatti, Roberta non utilizzava sistemi social­
mente adeguati per attirare l’attenzione dell’ambientejsulle proprie esigenze.
Nella maggior parte delle situazioni tendeva a urlare e aumentava Ì suoi
comportamenti stereotipati. i

261
i
l’autismo a scuola j

Scheda 8.3. L’intervento educativo per migliorare la funzione comunicativa


del richiedere l’attenzione di Roberta
!
I
Obiettivo Insegnare a chiedere attenzione toccando l'insegnante.
Attività per insegnare ('abilità >; Nel contesto scolastica sono state predisposte le atti­
vità didattiche a cui Roberta è abituata, ma la situazione era organizzata in modo .
tale che all'allieva mancasse Qualcosa per poterle.effettuare (ad es. deve colorare, .
ma non vengono forniti i colofi; deve fare dei puzzle, ma vengono flesse a disposi--;
zione solo poche tessere.ecc!). In questo modo Roberta era costretta a’chiedere-
aiuto e questo forniva maggiori opportunità per esercitare l'abilità di attirare l'at- .
tenziohe con modalità adeguate. Quando Roberta si alzava e cominciava a urlare
l’insegnante di sostegno la prendeva per mano dicendo: "Devi.chiedere a...!" eia
conduceva verso l’insegnante curricolare impegnata a fare altro e la aiutava a
toccarle la spalla e a indicareil’oggetto desiderato. Confi ripetersi delle situazioni
l'aiuto è stato ridotto mantenendo solo l'indicazione verbale. L'insegnante ha
ampliato il numero di person^ alle quali Roberta dovevachiedere attenzione, inclu­
dendo anche i compagni. Naturalmente anche la sua attenzione veniva fornita solo
se Roberta toccava la sua spalla.
Sono state cambiate anche le figure che fornivano gli eventuali aiuti, coinvolgendo
gli insegnanti curricolari e i compagni.
Estendere le abilità verso la meta L'insegnamento di richiamare l'attenzione è stato
esteso anche a situazioni nelléquali Roberta non poteva alzarsi e andare verso l'in­
terlocutore. Quando sitrovavalseduta al suo banco le è sfato insegnato con le stes­
se modalità (aiuti e situazioni di modeling) ad alzare la mano e pronunciare la
parola “Qui" che era in grado di emettere, ma non in maniera comunicativa.

262
9. Affrontare i problemi comportamentali

• Perché aggredisce gli altri e anche sé stesso?


* Ormai è diventato grande e non riesco neanche più a contenerlo-fisicamente:
che cosa posso fare? ’

I comportamenti problematici manifestati da alcuni allievi con disturbo


autistico — con particolare riferimento a quelli gravi come l’aggressività, la
distruttività e l’autolesionismo — rappresentano sicuramente la fonte di
preoccupazione piti grossa per gli insegnanti, per Ì genitori e per tutti coloro
che si trovano a interagire con essi. La presenza di tali problemi costituisce,
infatti, una sfida portata alla struttura educativa e sociale, per affrontare la
quale molto spesso non si dispone assolutamente di strumenti e procedure
efficaci.
L’approccio che viene adottato, sovente ìn maniera intuitiva, è quello
orientato a eliminare o ridurre il comportamento, magari facóndo riferi­
mento a strategie eversive. Pòca attenzione, invece, viene riservata al cerca­
re di identificare le ragioni che lo mantengono attivo e ai messaggi che
attraverso esso vengono lanciati dall’allievo. Lo spostamento del focus
dell’attenzione in questa direzione porta a pianificare interventi educativi
maggiormente contestuali per affrontare i problemi comportamentali di
alcuni allievi con autismo; interventi fondati su un articolato sistèma di valu­
tazione, che cerchi di evidenziare le motivazioni e le finalità dei comporta­
menti e indirizzati non solo al contenimento degli atti inadeguati, ma anche
all’insegnamento di risposte significative. Agendo in questo modo è possi­
bile insegnare all’allievo strade alternative per soddisfare le esigenze perso­
nali, attraverso azioni che non comportino rischi o danni per sé; per gli altri
e per l’ambiente: ;

263
L'AUTISMO a scuola

In questo capitolo l’obiettivo è quello di sviluppare questo approccio, con


lo stesso orientamento fortemente ispirato all'operatività seguito in tutto il
volume. Inizialmente cercheremo di mettere in evidenza i principali elemen­
ti che possono aiutarci a capire il comportamento degli allievi, per poi passa­
re a illustrare, anche con l’aiuto delle varie schede esemplificative, le princi­
pali metodologie per la valutazione e per l’intervento educativo.

9.1. Da che còsa può dipendere il comportamento problematico


di alcuni allievi con autismo?

Come messo in evidenza, lo stesso comportamento inadeguato può avere


motivazioni e scopi molto diversi. Questo è particolarmente vero per gli
allievi con autismo, 1 quali presentano a volte atteggiamenti davvero poco
comprensibili se li si affronta con una lente interpretativa che non tiene
conto della loro particolare specificità. Vanno tenute in considerazione,
infatti, alcune caratteristiche sovente associate alla sindrome, che risultano
fondamentali per passare da una semplice rilevazione alla possibilità di anda­
re ai di sotto delle apparenze e cercare di comprendere le motivazioni alla
base dei comportamenti.
Significativa, a questo proposito, la metafora dell’iceberg utilizzata da
Schopler (1997), alla quale si è già fatto cenno nel capitolo 6. Come si può
osservare nella .figura 9.1, sopra il livello dell’acqua sono rappresentati i
comportamenti specifici che possono appartenere, nelle situazioni più
gravi, alla sfera dell’aggressività (auto o eterodiretta) e della distruttività.
Sotto il livello dell’acqua, invece, sono collocate le varie ipotesi esplicative
o i deficit correlati all’autismo che potrebbero spiegare quei compor­
tamenti. !
Nel dettaglio, vanno prima di tutto tenute in considerazione le difficoltà
connesse alla sfera sociale, che si caratterizzano per la carente possibilità di
interpretare adeguatamente il comportamento altrui e prevedere le probabili
azioni degli altri1. Come conseguenza di questa condizione, vengono a manca­
re agli allievi don autismo le strategìe per influenzare adeguatamente il
comportamento degli altri individui del proprio ambiente e, di. conseguenza,
possono cercare di soddisfare le proprie necessità con modalità di “scontro
frontale” (Cumine, Leach, Stevenson, 2000), dirigendosi verso l’ostacolo
senza aggirarlo/“passandoci sopra”, anche quando si tratta di altri bambini.

264
Ad esempio, possono afferrare o portare via ciò che desiderano e_spgsso posso­
no esprimere tensinne-eatteggiamen.d4iutb..o .eteroaggressivi se le loro esigen­
ze non sono immediatamente soddisfatte. Tutto ciòlnon va semplicemente
catalogato come indicatore di rabbia o di volontà di procurare danno agli
altri, in quanto potrebbe essere determinato dall’incapacità di comprendere
la natura dei rapporti sociali,- anche di quelli più semplici. In questo ambito
vanno comprese anche le pesanti carenze che i bambihi con autismo manife­
stano nel gioco fin dalle sue prime forme.
Agli allievi con autismo,!quindi, mancano i mezzi per essere socialmen­
te autosufficienti, fin dalle prime manifestazioni rappresentate dall’attenzio­
ne condivisa, dall’intenzionalità comunicativa, dalla .'capacità imitativa e dal
gioco simbolico. Tutto questo rende paiticolarmente complesso acquisire
competenze per vivere-adeguatamente nel contesto' sociale, interessandosi
alle persone, alle cose nuove, alle attività collettive. La riduzione degli inte­
ressi e dei contatti può determinare l’adozione di comportamenti problema­
tici che non tengono in alcun conto le altre persole e la situazione con­
testuale. j
I deficit nei processi comunicativi o addirittura l’assenza della consapevo-

265
l'autismo a scuola

lezza circa la possibilità di comunicare possono rappresentare la causa


scatenante di molti comportamenti inadeguati di allievi con autismo.
Infatti, come sostengono Cari e collaboratori (1994), Ì1 comportamento
problematico funziona spesso come una forma primitiva dì comunicazione
per gli individui che non posseggono ancora, 0 che non usano, forme più.
sofisticate di comunicazion.e, tali da porli in grado di influenzare gli altri per
ottenere una vasta gamma di effetti desiderabili o la riduzione di condizio­
ni sgradite. J
Due punti vanno messi; in evidenza per comprendere appieno l’ipotesi
comunicativa. Jn primodùogo tale ipotesi non.afferma affatto, che.siano ....
solamente le persone fche non parlano a usare il comportamento .per
influenzare gli altri. Ih alcune occasioni, specie quando si interagisce con
soggettrSfeftTHa autismo,| pur disponendo di competenze verbali, questi
allievi possono fare ugualmente ricorso a comportamenti inadeguati per
raggiungere scopi primari. Per qualche ragione non hanno imparato che per
tali fini possono usare le loro competenze comunicacive, anziché aggressio­
ni 0 autolesioni. ’ .
In secondo luogo, l’ipotésì comunicativa non afferma che gli individui
usino sistematicamente e intenzionalmente i comportamenti problematici t
per influenzare, gli.altri. Quésta consapevolezza può anche essere assente (0
perlomeno in molte situazipni non esistono prove certe che cì sia)-, ma il
comportamento funziona ugualmente come se fosse una forma jdi comuni­
cazione. ■ ' j ■ '-D' '
Le difficoltà di natura settoriale possono essere sicuramente alla base di
molti problemi comportamentali. Esiste = un 'abbondante letteratura su ■ '
questo aspetto, arricchita anche da documentazioni fornite da persone auti­
stiche ad alto livello di funzionalità e con sindrome di Asperger (Grandin,
1992; Williams, 1996; Gerland, 1999). Gerland (1999, pp. 36-8) sottolinea - .
nella sua autobiografia come, soprattutto da bambina, le sensazioni che
provenivano dal suo corpp fossero del tutto particolari e difficilmente
controllabili. Significativa, a questo proposito, la descrizione che. ne dà:
La superficie dei miei denti.e^a incredibilmente sensibile e, se anche’solo veniva

sfiorata, potevo sentire come una scossa elettrica'. Poteva diventare insopportabi­
le e, a volte, mordere' qualcosa mi aiutava. Mi era utile .mordere qualcosa di non
troppo duro, in modo che la pressione potesse contrastare il dolore. Trovavo che la
carne delle persone fosse la cosa migliore da mordere; Volevo poter affondare i

266
9- AFFRONTARE i PROBLEMI COMPORTAMENTALI

denti in qualcosa, anche in un braccio, senza sapere perché. Mi rendevo conto


solo del fatto che dovevo farlo [...], Sembrava che io avessi più sensibilità nei denti
che nel resto del corpo, dove avvertivo le sensazioni in modo più vago.ill mio cervel­
lo percepiva solo informazioni confuse dai resto del corpo e io dovevo utilizzare la
vista per capire bene cosa stesse succedendo. Tanto più una parte elei mio corpo
era lontana dal cervello, tanto più le sensazioni erano indistinte; i piedi erano una
macchia bianca sulla cartina del mio corpo. Non sopportavo di essere toccata, ma,
al contrario di molte altre persone, non soffrivo minimamente il solletico. Mi.irri­
tava essere toccata perché era come se tirassero una sorta di me che mi mandava
su di giri e non lo sopportavo.
Tutto questo non succedeva quando mi sfioravano i piedi. La pianta del piede era
l'unico punto dove io potessi tollerare un contatto, che poteva anche arrivare a
farmi piacere, proprio per il fatto di essere tanto vago. L’unica piccola cosa che mi
poteva dare piacere era il -solletico fatto da un filo d’erba sotto il piede. L'unica
piccola cosa che riuscivo a captare con i sensi che non mi dava sofferenza.

Anche Grandm (1992, p: 57) inette in risalto come la percezione tattile abbia
sempre rappresentato per lei una fonte di problematiche e di diffcoltà:

Lievi pruriti 0 sfregamenti a cui la maggior parte della gente non fa alcun caso
erano per me una tortura.'Una gonna che mi grattava la pelle mi sembrava carta
vetrata che mi scorticava. Anche lavarmi i capelli era penoso. Quando mia madre
mi strofinava i capelli, sentivo male al cuoio capelluto. Era un problema anche
adattarmi agli abiti nuovi. ; . । '
Preferivo portare i pantaloni lunghi perché non mi piaceva la percezione delle mie
cosce che si toccavano. |

Oltre a condizioni di iperfunzionalità sensoriale, ne esistono ariche altre .di


tipo opposto, che si caratterizzano per una spiccata insensibilità .al dolore.
Alcuni genitori segnalano episodi incredibili, come quello di una mamma
che mi ha riferito di essersi insospettita di un problema al braccio del figlio
perché tendeva a non muoverlo da alcuni giorni. L’analisi radiologica
evidenziò una frattura dell’ulna. ’
Va messo in evidenza, per concludere, che in alcune circostanze ai deficit
segnalati si possono aggiungere difficoltà nell’integrazione delle diverse
sensazioni. Williams (1996, p. 122), a questo proposito, segnala un aspetto
singolare; !

267
L’AUTISMO A SCUOLA

La maggior parte delle persone può elaborare informazioni in modo efficiente e


continuativo attraverso più di un canale sensoriale contemporaneamente. Ciò signi­
fica che possono in genere far fronte in modo continuativo al significato e allo scopo
di ciò che stanno sperimentando e a ciò che ne traggono e a che cosa ne pensano.
La maggior parte delle persone può usare tutte le vie sensoriali in modo simulta­
neo. Quando si sintonizzano sul significato di ciò che stanno ascoltando, continua­
no a capire il significato di ciò che vedono e sentono emotivamente e fisicamente.
La maggior parte della gente può fare tutte queste cose perché funziona su molti
canali. Le personeautistiche possono invece funzionare in mono. Per queste perso­
ne l'elaborare ciò che stanno guardando mentre camminano può significare che il
corpo sembra arrivare in certi posti come per magia. L'elaborare il senso di ciò che
stanno ascoltandoimentre qualcuno li tocca può significare non avere alcuna idea
di dove siano toccati o di che cosa pensino o sentano in quel momento.

Da queste condizioni legare alla funzionalità degli organi sensoriali possono


sicuramente derivare moki comportamenti problematici, che vengono così a
rappresentare delle reazioni a situazioni sociali apparentemente normali, ma
che possono risultare difficilmente sopportabili da alcuni allievi con autismo.
Anche la rigidità e la ritualità che caratterizza i bambini con autismo e che
li porta a ricercare condizioni stabili, può essere un elemento importante nella
determinazione di-.problemi comportamentali. Nella ripetitività delle situazio­
ni, infatti, gli allièvi con autismo trovano quelle condizioni prevedibili in grado
di facilitare 1* adattamento al contesto. Quando vengono modificate senza una
adeguata preparazione le caratteristiche dell’ambiente, le attività, le persone
con cui entra in rapporto, possono verificarsi reazioni comportamentali anche
gravi, che appaiono a prima vista ingiustificate, ma che in realtà testimoniano
uno stato di tensione conseguente a situazioni non previste o comunque preve­
dibili. Un bambino della scuola dell’infanzia seguito dal nostro gruppo comin­
ciò a gridare e a colpirsi sul viso senza apparente motivo. Solo dopo un atten­
to controllo, l’insegnante si rese conto che una delle macchinine che l’allievo
amava collocare in un lunga fila non aveva più il volante di plastica.
Come accennato in precedenza, queste condizioni devono essere tenute
in primaria considerazione per l’impostazione di un adeguato protocollo
osservativo finalizzato a valutare le diverse manifestazioni comportamentali
non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, intendendo
con ciò la formulazione di ipotesi circa le motivazioni che mantengono atti­
vi i comportamenti problematici.

268
9- AFFRONTARE I PROBLEMI COMPORTAMENTALI
■ ■ ' .■ ' i
- / : 1
fai. Linee perr.ìnter'tferrto-.educaiivo |

Abbiamo messo in evidenza nella presentazione come l’intervento educativo


indirizzato ad affrontare i problemi comportamentali di allievi con autismo
debba articolarsi su un preciso e sistematico programma di valutazione e
fondarsTsu strategie finalizzate non soltanto al contenimento,,ma anche ila
promozione di competenze sociali. Di seguito sviluppiamo nel dettaglio
questi due punti. , |

9-2.1., Va luta re e cerca re dj i nte rpreta re i p rob lem i dom po rta m e ntalj . /

Il primo obiettivo da perseguire è sicuramente quello di definire e cercaredi


interpretare il comportamento dell’allievo. A questo- fine sono state messe a
punto'una serle'dTp recedute applicabili nel contesto scolastico, die preve­
dono (Coteini, zoo8a): ,
j~~Ta definizione operativa dei comportamenti-problema;
* l’osservazione sistematica per verificare gli aspetti quantitativi dei
comportaménti (frequenza, durata, intensità ecc.); ;
* la verifica delle connessioni temporali dei comportamenti;
• l’analisi funzionale per cercare di individuare la possibile dipendenza dei
comportamenti da specìfici fattori ambientali. !

Tutte queste operazioni dovrebbero consentire di formulare delle ipotesi


interpretative circa le motivazionLallabase dei comportamenti manifestati
dagli allievi con autismo, dalle quali partire per lajRìanÌfìcazi.one^deirinter-
vento educativo. j
Analizziamo questi momenti valutativi in riferimento alla situazione di
Luca, già in parte considerata nel capitolo 5 dedicato^ alla valutazione.

ortomen l/;prq b /em

j
Il primo momento, assolutamente non banale all’interno del processo valuta­
tivo,^ quello di identificare Ì comportamenti inadegùati dell’allievo e descrh
verli con un linguaggio che non dia adltoaconfiisioni 0 fraintendimenti.'"'’
“LTdefinizio'iKr'uperativa dei comportamenti di Liica ha portato a indivi­
duare le seguenti azioni ritenute maggiormente problemàtiche:
I

269
L'AUTISMO A SCUOLA . | <

l ,
a niofsicarsijaxnano; j
* aggredire ìjzompagru; I
• aggredire graduiti; |
• urlare. ■' I *' . • -
------ , | • .
Quando, come nei nostro cajso e.come avviene molto di frequente, i proble­
mi comportamentali manifestati dall’allievo sono piu di uno, è utile e signi­
ficativo attribuire un ordine'di priorità agli stessi, in modo da orientare l’in­
tervento educativo che non sempre può prendere in considerazione
simultaneamente tutti i comportamenti. Nella scheda 9.1 sono riportati
alcuni quesiti che è necessari^ porsi per decidere le priorità operative. Quan­
do anche una sola risposta alle prime tre domande risulta positiva, per quei
comportamenti è necessario prevedere un intervento immediato. SÌ tratta,
infarti, di situazioni che possd.no provocare danni consistenti all’allievo e agli
altri (Demchak, Bossert, 1996). Nel caso di Luca i primi tre comportamenti
rientrano in questa categoria.

Scheda 9.1. Domande da porsi per conferire un ordine dì priorità


ai comportamenti-problema I
'ì ■ !

Definire la priorità dei comportamenti-problema ;


j
- Il comportamento è una minaccia per la vita dell'allievo?
* Il comportamento è una minaccia per l’incolumità fisica dell’allievo?
• Il comportamento è una minaccia per l'incolumità fisica degli altri (compagni,
insegnanti ecc.)? , ■
• li comporta mento interferisce con il processo di apprendimento dell'allievo?
• Il comportamento interferisce con il processo di apprendimento degli altri
allievi? <
• Il comportamento distruggevo danneggia gli oggetti?
• Se non sì interviene, si ritiene che il comportamento tenderà a peggiorare?
* Il comportamento interferite con l'accettazione da parte dei coetanei a svilup­
po tipico? |

Alla luce delle domande riportare nella scheda, attraverso le quali è possibile
attribuire una priorità ai comportamenti inadeguati degli allievi, è interes-
9. AFFRONTARE 1 PROBLEMI COMPORTAMENTALI

Scheda 9.2. Check list per la definizione preliminare dei comportamenti


i .
Dieci domande preliminari i ;
(per le persone che vivono a contatto con l'allievo nei diversi ambienti)

Risposte fornite da; R B. Ruolo; insegnante di sostegno

1. Ci sono situazioni in cui ìcompor- □ No


lamenti problematici si manifestano
sempre 0 quasi? Commento Quando Luca viene interrotto sulle sue
attività preferite, reagisce quasi sempre in modo
aggressivo. '
i '
2. Ci sono situazioni in cui il compor­ □ Sì [t|No
tamento problematico non si mani­
festa mai 0 quasi mai?
Commento Quando Luca è intento a face le sue attivi­
tà preferite (soprattutto giocare con le macchinine),
non ci sono comportamenti problematici.

3. Il comportamento problematico si □ Sì □No


manifesta con frequenza, intensità 0
durata più elevata quando l’allievo è
Commento Non ci sono persone specifiche (compa­
in compagnia di determinate perso­
gni 0 adulti) che lo stimolano particolarmente a
ne (genitori, insegnanti, compagni
mettere in atto comportamenti scorretti.
ecc.)?

4. Il comportamento problematico □ sì □ No
dell’allievo viene messo in atto
quando gli si chiede di interrompere
Commento Quando gli si chiede di smettere di fare
un'attività gradita 0 quando gli ven­
le sue attività, cerca di aggredire'0 comincia a
gono tolti oggetti? morsicarsi la mano. •

5. Il comportamento problematico □ sì □No


dell'allievo si manifesta quando gli
vengono proposti compiti nuovi 0'
Commento Soprattutto quando ci sono modifiche
complessi, oppure quando ci sono delle routine 0 persone nuove, i suoi problemi
modifiche nella routine quotidiana
comportamentali diventano più frequenti.
delle attività?

271
l’autismo a scuola

6. il comportamento problematico □ No
dell’allievo si manifesta quando si
trova da solo? ■ Commento Anche quando lavoriamo da soli
nell'aula di sostegno, si manifestano i comporta­
menti problematici, seppure più raramente.

7. Le sembra che ^allievo potrebbe ®5Ì ■ , Ono


voler segnalare, attraverso il com­
portamento problematico, alcune Commento Non sono sicura, ma quando si
difficoltà di natura fisiologica (stati comporta in maniera strana (ad es. mette in bocca
di malessere o di dolore, fame, sete la terra o altri oggetti) i problemi comportamentali
ecc.)? i mi sembrano più frequenti.

8. Le sembra che l’allievo potrebbe QNq


voler segnalare, attraverso il com­
portamento problematico, H fastidio Commento Quando l’ambiente è caotico o quando
per una certa situazione o ambiente le cose si svolgono in maniera diversa dal solito, i
(ad es. un eccesso dì rumorosità ecc.) comportamenti sono più frequenti..
o ii rifiuto di una determinata attività
o di specifiche persone?

9. Le sembra che il. comportamento □ sì □ No


problematico messo in atto dall'al­
lievo possa rappresentare una mo­ Commento Non direi. Mi sembra poco interessato
dalità per richiedere l'attenzione da all’attenzione degli altri.
qualche persona presente nell’am­
biente? i

to.Le sembra che il comportamento □ Sì □ No


problematico messo in atto dall’al­
lievo possa essere una conseguenza Commento Questa mi sembra una condizione
dì situazioni nuove o inaspettate? centrale.

sante interrogarsi sul ruolo che possono rivestire alcune stereotipie non auto­
lesive nella progettazione dell’intervento (Luca ne presenta alcune, come
battere le mani guardandole di traverso e saltellare sul posto). In questo caso,
quando di fatto i’comportamenti stereotipati non interferiscono con il lavo­
ro progettato in funzione dell’apprendimento dell’allievo, possono rappre-

272
, '' ■ ' 9- AFFRONTARE J PROBLEMI COMPORTAMENTALI

ì
sentire un obiettivo marginale del programma educativo ed essere oggetto di
attenzione solo indiretta (semplice verifica se si attenuano in presenza dì un
lavoro strutturato e significativo). 1
Un’ulteriore operazione preliminare per inquakrare opportunamente la
situazione è quella di invitare tutte le persone che interagiscono con Luca a
rispondere alle domande contenute in una specifica check list. E molto
importante che le risposte vengano fornite autonomamente senza consulta­
zione fra le varie figure, in modo da ricavare un quadro più completo. Nella
scheda 9.z sono riportate le indicazioni fornite dalli insegnante di sostegno di
Luca, che si riferiscono chiaramente al contesto scolastico.
Mettendo insieme le risposte fornite dall’insegnante di sostegno, con
quelle delle altri insegnanti, della mamma, della pìsicomotricista dalla quale
Luca si reca tre volte alla settimana e dell’assistente educativa che io segue
a scuola e nel pomeriggio, sono scaturite'alcune ipotesi preliminari da veri­
ficare attraverso il protocollo di osservazione diretta. Queste ipotesi si rife­
riscono al fatto che i comportamenti problematici di Luca possono essere
connessi alla presenza di ambienti caotici e, soprattutto, alle variazioni nelle
routine, oltre che alle interruzioni quando fa le sue attività preferite. Incerta
è la situazione circa la possibile incidenza di problemi di natura organica.
i
<■ / t 4 1
Q fo5ssrvazione sistematica. j

Nel capitolo 5 sono già state descritte le modalità di conduzione dell’osser­


vazione sistematica, finalizzata a misurare uno o piu degli aspetti quantitati­
vi che caratterizzano i comportamenti problematici manifestati dagli allievi:
frequenza, intensità, durata, latenza e selezione. Nello stesso capitolo, all’in­
terno della scheda 5.a è stato presentato un esempio di registrazione della
frequenza dei comportamenti inadeguati di Luca durante una giornata di
scuola. E stata poi riportata la linea di base dei comportamenti-problema di
una settimana, che ha evidenziato una frequenza oscillante fra i 30 e 35 episo­
di giornalieri. j

La verìfica delle connessioni temporali dei comportamenti-problema


j

Touchette, MacDonald e Langer (1985) propongono un’elaborazione grafi-


ca in grado_.dÌdamàsaltareLla^frciquenza di un comportamento nei diversi
momenti della giornata, alfine di determinare in girali periodi il comporta-
: ì

273
l'autismo a scuola i,
;
mento_è più o meno-presente. A tale rappresentazione gli autori hanno dato
il nome di scatterplot: ।
Nella scheda 9.3 viene riportato lo scatterplot elaborato per valutare la
concentrazione dei comportamenti-problema di Luca netcorsó della giornata,
(i comportamenti sono stati rilevati con la scheda di osservazione sistematica
(si veda SCHEDA 5-2). La figura si riferisce a una settimana di osservazione.
ì ■ 1
!:
P^Scheda 9.3. La valutazione dei problemi comportamentalildi Luca: scatterplot

^Scatterplot ■
Allievo: Luca Classe: il’ Data inizio: 19 gennaio 2009 Data fine: 23 gennaio 2009
Orario Giorni !

legenda: = Q<4 =||da4a6 h.@>7

Come si può osservare, i comportamenti problematici dì Luca sono dipendenti anche


dalla stanchezza dell’allievo, infatti, fendono ad aumentare nella mattinata prima del
pranzo e, soprattutto, nel pomeriggio. Questa rilevazione ha;portato a coliocare in
quei momenti le attività didattiche più gradite e quelle individualizzate da sviluppa­
re nella stanza del sostegno. Sono stati ridotti, inoltre, ì tempi.di lavoro e intervallati
con routine personali da effettuare nello spazio specifico all'interno dell’aula. Molto
interessante la situazione che si verifica nel tempo del pranzò e del dopo pranzo. I
comportamenti problematici risultano limitati a sostegno della positività del control-
lo effettuato in questo periodo dai Compagni e della possibilità di svolgere anche
attività personali dòpo mangiato neho spazio del gioco libero.

L’analisi funzionale del comportamento


''-------------------------- :----------------- :---------------- -L.--------------- ;1

Cóme messo già in evidenza, il c'omportamento problematico può assolvere


a una specifica funzione comunicativa, fornendo indizi fondamentali su ciò
---------- , " 1* j ,
I

Uh
9. AFFRONTARE 1 PROBLEMI COMPORTAMENTALI

^1
che risulta di primaria importanza per l’allievo. In concreto, anche se in
maniera non. consapevole, può comunicarci il desiderio dì ricevere stimoli
positivi, siano essi sociali o di altro tipo, o di evitare situazioni sgradite.
Un’importante modalità per indagare e cercare di individuare le motiva­
zioni che sostengono i comportamenti inadeguaci è Y anAli^ju^zionalè,
. Come abbiamo già descritto nel capìtolo 5; si tratta dì una procedura attra-
verso la quale si cerca di evidenziare i rapporti fra il comportamento oggetto
di osservazione e Tambiente, - i .
■ L’interpretazione'di tali dati osservativi può essere tentata collegando. L
• comportamenti con le situazioni-stimolo e con le conseguenze. Se’, le ossei-
‘ . vazioni riescono a evidenziare un qualche tipo di regolarità, di schema tipico
di interazione, si possono' ipotizzare cause specifiche che sostengono il
comportamento. ;
-Rei caso di Luca le condizioni evidenziate dall’analisi funzionale (si veda
■ SCHEDA 5-3) portano a collegare ì suoi comportamenti con le prime due
funzioni comunicative: quella della richiesta di stimoli positivi (fare le cose
gradite) e quella dì allontanamento da situazioni caotiche o di reazione di
fronte a variazioni non previste delle routine. :
Anche la tendenza dell’allievo a stancarsi dopo circa 10-15 minuti dì lavo­
ro al tavolo è una motivazione per mettere in atto comportamenti ihadegua-
ti, ai quali solitamente consegue l’interruzione del compito. \

' La fa rmulazto n e delie ipotesi

Le diverse procedure che abbiamo descritto hanno consentito di. delincare


una serie di ipotesi circa le motivazioni alla base dei comportamenti inade­
guati di Luca, dalle quali poter partire per impostare l’intervento educativo.
Nel dettaglio si è arrivati a pensare che i comportamenti inadeguati, soprat­
tutto quelli caratterizzati da aggressione rivolta verso gli altri e sé.stesso,
tendano a comunicare:
• iniSagKf fegato a situazioni di rumore o di confusione e a compiti didat­
tici prolungati; <
• il disagio conseguente a situazioni che escono dalla routine quotidiana;
* l’interruziorie di attività gradite. '

Oltre a ciò, come è stato messo in evidenza attraverso lo scatterplot, la fre­


quenza di emissione dei comportamenti inadeguati tende ad aumentare

275
l'autismo a scuola

nella mattinata prima del pranzo e soprattutto nel pomeriggio, a dimostra­


zione di una dipendenza di essi anche dallo stato di stanchezza delPallievo.

9.2.2 Le linee per l’intervento educativo

È stato sottolineato a più riprese come ogni intervento educativo che voglia
determinare modifìcazioni-stahdLnella condotta di allievi con autismo che
presentano problemi comportamentali non possa semplicemente fondarsi su
metodologie di contenimento delle manifestazioni inadeguate, ma debba
indirizzarsi anche a promuovere competenze, soprattutto di tipo comunica-,
tivo, che possano sostituire funzionalmente i comportamenti-problema.
'Questi, infatti, hanno spesso uno scopo per l’individuo che li mette in atto,
di cui Io stesso può non essere consapevole. Ne consegue, pertanto, che inse­
gnare nuovi modi per influenzare le persone e ottenere'quanto desiderato
può risultare determinante per far sì che i comportamenti inadeguati si ridu­
cano, in quanto non più necessari.
Da tutto questo deriva che gip obiettivi da fissare non possono limitarsi
alla riduzione p eliminazione dei compprtamenti prtelematici, ma è nèces;
sarip...che„prendano in consi derazione, anche. lo-sviluppo-el’..uiilizzo da parte
dell’allievo di comportamenti e strategie adeguate,.accettabili,_che vadano a
sostituire i comportamenti-problema e possano consentire di comunicare
esigenze e di agire a un più alto livello di adattamento e competenza^
Qualche educatore con esperienza di lavoro con allievi gravemente
compromessi nel' loro comportamento potrebbe obiettare opportunamen­
te che la prospettiva dell’insegnamento di abilità positive è sicuramente da
perseguirsi, ma non deve far dimenticare le crisi che caratterizzano soven­
te gli allievi con autismo, le quali possono portare a episodi anche molto
gravi di aggressività, autolesionismo e distruttività. Il piano di lavoro non
può certo trascurare il tema della gestione delle crisi, che quando vengono
affrontate senza un approccio condiviso e strategico da parte di tutti colo­
ro che interagiscono con l’allievo, non solo non riescono a essere contenu­
te, ma portano a . un logoramento degli operatori estremamente elevato,
soprattutto dal punto di vista emozionale. Pur non esistendo tecniche stan­
dardizzate in grado di risultare sempre valide (le tanto ricercate “ricette”),
si può arrivare a delineare un approccio metodologico condiviso e flessibi­
le. Carr e collaboratori (1994, pp. 37-8) elencano una serie di procedure

276
J 9. AFFRONTARE 1 p'rOBLSMI COMPORTAMENTALI
I
«basare sostanzialmente sul buonsenso», che possono essere utili nel
momento ih cui si presenta una crisi con comportamenti fortemente pro­
blematici: i
* quando è possibile ignorare jl comporpamentpjjpoblematico;
* proteggere Falli evo o gli altri presentimeli3 ambiente dalle conseguenze
fisiche del comportamento problematico; !
• fermare (o bloccare) momentaneamente Fallievo durante gli episodi di
comportamento problematico. Questa procedura può andare da un tentativo
di interruzione del comportamento stilla base di un energico richiamo verbale
(del tipo: “No!”, “Stop!”, “Basta!”) a vere e proprie forme di blocco fisico;
8 spostare dalle vicinanze del luogo nel quale si verifichino le crisi chiunque
sia in pericolo a causa del comportamento problematico;
0 introdurre suggerimenti o stimoli per facilitare comportamenti non
problematici. ““ ! —

Lo scopo delle procedure di gestione delle crisi è quello di cercare di inter­


rompere o, perloméno, di controllare situazioni che potrebbero avere un alto
livello di pericolosità per l’allievo o per gli altri (compagni, insegnanti ecc!).
IrTalcunfcasi estremi di comportamento autolesionisti co, queste forme di
protezione possono anche prevedere supporti esterni, come ad esempio dei
caschetti. I
Cari e collaboratori (1994), in maniera molto eloquente, arrivano a soste­
nere che queste procedure di fatto non rappresentano una forma di interven­
to educativo. Molti genitori, insegnanti o altri operatori le ritengono così
utili e.sono talmente confortati quando vedono cessare la crisi che si dimen­
ticano di impostare reali interventi, i quali, per essere definiti tali, devono
cercare di insegnare nuove competenze che possano portare Fallievo al soddi­
sfacimento dei propri bisogni e rendere quindi superfluo il comportamento
problematico. Al contrario, se ci si limita alla sola gestione degli episodi criti­
ci, i comportamenti problematici tendono solitamente a ripresentarsi in
futuro, rendendo così necessarie ulteriori e spesso più costrittive azioni di
contenimento. i
Alla luce di ciò, il modello di lavoro.che viene proposto, oltre che sulla
gestione delle crisi,,si articola su due ulteriori linee operative fra loro stret­
tamente integrate: il contenimento'dei problemi comportamentali e l’inse­
gnamento di abilità positive (FIG. 9.2). Per approfondimenti sulle caratteri­
stiche delle strategie di intervento, si vedano i numerosi contributi specifici

277
l’autismo a scuola

Figura 9.2. Pacchetto di strategie utilizzate per la conduzione di interventi


educativi

Conduzione dell’intervento

■' i
(Matson et al. , 1996; Meazziki, 1997; Jensen, Sinclair, 2002; Cottini, 1993,
aooab). * ■ ■
Venendo alla situazione {li Luca, a cui ci siamo costantemente riferiti,
l’intervento educativo concordato con tutti gli operatori scolastici e con la
famiglia si è articolato su una serie dì azioni che hanno investito sj,a il piano
organizzativo, che^quello piu prettamente didattico. In concreto, facendo
riferimento alle ipotesi formulate circa le motivazioni ritenute alla- base dei
comportamenti-problema dall’allievo, si è proceduto a:
» preveder una forte strutturazione dell’ambiente e delle attività pej
contenere i problemi connèssi alla modifica delle routine o a situazioni
inaspettate; 1
8 collocare le attività gradite^ nei momenti finali della' mattinata e del pome­
ri ggìo, quando i comportamenti problematici tendono ad aumentare a
seguito della stanchezza; ! ..
8 adoctare le strategie’di esti?izione^hifiìrzameiit^di^t£.ì2zìale ^.taken econo-.
my per la gestione delle crisi è,per il contenimento dèi problemi comporta­
mentali. In concreto, l’estinzione prevede che non vengano forniti i rìnforza-

278 । ". . d

i :
9- AFFRONTARE l PRO0LEM! COMPORTAMENTALI

tori che l’allievo cerca di ottenere attraverso i suoi comportamenti (sospen­


dere i compiti e andare fuori dalla classe), il rinforzamento differenziale
comporta che l’allievo venga gratificato per attività incompatibìlLcon quelle
inadeguate cheji cerca di ridurre e la token economy porta 1J allievo ad acqui­
sire rinforzatoli simbolici (punti, fìches ecc.) che poi potrà scambiare con
cose gradite; j
• organizzare uno specifico ,training comunicativo attraverso' immagini
(pecs), per insegnare a manifestare i propri bisogni e desideri senza ricorre­
re a comportamenti inaHeguati; ~ ' -, ■;
• coinvolgere i compagni nella gestione della situazione. !

Nella scheda 9.4 si riportano alcune azioni legate all’applicazione delle stra­
tegie di estinzione, rinforzamento differenziale e token economy, in consi­
derazione del fatto che abbiamo già parlato in precedenza delle modalità di
strutturazione tipiche del programma teacch e del training comunicativo,
attraverso il pecs e che del coinvolgimento dei compagni avremo modo di
dibattere nel capitolo 12.. ; i

Scheda 9.4. Strategie per la gestione dei problemi comportamentali di Luca:


estinzione, rinforzamento differenziale e token economy i

-Astata pianificata, in modo condiviso da tutti (scuoia, famiglia, assistente educati-


; - va), una procedura da adottare à scuola e da ripetere nelle sue linee generali anche
ajasa e nell’attività .extrascol astica, fondata sulle strategie di estinzione, rinforza-
m e nto' d ìffe renziale e to ken eco no my. !
► t
Estinzione i

Quando Luca manifesta i suoi problemi comportamentali, chi sj troya vicino (inse­
gnante cuticolare 0 di sostegno, assistente educativa) si avvicina e con calma e
decisione dice: “Noi Basta! Bisogna finire il compito!". Se i comportamenti sonori
tipo auto 0 eteroaggressivo L’adulto lo blocca fisicamente con calma, sènza portar-
■ lo fuori dalla classe. La classe deve cercare, nei limiti del possibile, di continuare la
propria attività, avendo cura di ridurre al massimo rumore e confusione.
‘ Quando Luca ritorna a uno stato di tranquillità gli viene mostrata l'immagine che
lo invita a non mettere in atto quej comportamenti (ad es. “Non devi morsicarti",
-- "Non aggredire", “Non urlare"). Le immagini sono state realizzate facendo riferi-

279
l'autismo a scuola !

mento al lavoro di Hodgdon (1999). Va messo in risalto che la stessa modalità di


gestione degli episodi di crisi viene adottata a casa dai genitori.

Rinforza mento differenziale e token economi/

Quando Luca si impegna in attività adeguate e incompatibili con i suoi problemi


comportamentali (a.d es. disegna 0 fa esercizi di manipolazione) per almeno 5
minuti viene rinforzato in modo sociale (l’insegnante dice ad alta voce: "Bravo
Luca1.") e gii viene fornita una biglia colorata da inserire in un abbotti gl ietìa. Quan­
ti ola botti gl ietta £arà_ p. ienaJ.ÌH.Q_a ila figa, Luca potrà dedicarsi per un certo tempo
(circa 15 minuti regolati da una clessidra) alla sua attività preferita (giocare con le
mandrinine). Quando porta a termine l’attività gli vengono fornite due bighe e la
stessa cosa avviene quando comunica la volontà di uscire dalla classe attraverso il
pecs (in questo caso viene anche accontentato).

È importante sottolineare l’esigenza di proseguire con il controllo della


frequenza di emissione dei comportamenti anche durante l’intervento, in
modo da poter monitorare le evoluzioni nel tempo. Per far questo è necessa­
rio continuare l’osservazione sistematica attraverso la specifica scheda (si
veda SCHEDA 5-2). Nel caso di Luca, come si può appurare nella figura 9.3 che
riporta l’evoluzionem tre mesi di lavoro didattico, i Esultati sono stati abba­
stanza soddisfacenti) anche se la situazione non può dirsi certo risolta. L’at­
tenzione didattica per i comportamenti problematici dell’allievo deve conti­
nuare a essere massima, modificando e rendendo sempre più naturali le
situazioni e i rinforzatoti e con un coinvolgimento sempre più ampio di
tutto l’ambiente, con particolare riferimento ai compagni.

280
i ■ ■
• 9. AFFRONTARE ! PROBLEMI COMPORTAMENTALI
I
'____________ _____________ !
Figura 9.3. L'evoluzione dell’intervento educativo sui problemi

I valori si riferiscono alla media settimanale dei problemi comportamentali registrati con le modalità
descritte (si veda p. 165). La prima settimana è stata solo di osservazione, mentre dalla seconda è
iniziato l'intervento educativo. ;

: t

11
i
ì
1
I
i

I
I 281
I
J
10. Insegnare abilità curricolari :
■ . . i

* Quando ci sono lezioni di italiano, matematica, storia ecc., può partecipare in


qualche modo? .‘

Nei precedenti capìtoli dì questa parte del lavoro dedicata all’analisi dei
programmi di intervento per allievi con autismo, sono stati presi in conside­
razione vari approcci finalizzati all’insegnamento di abilità di base, fonda­
mentali per ogni apprendimento funzionale.
In questo capitolo descriviamo alcuni interventi più specificamente
orientati alle competenze previste nei curricoli scolastici, con le quali gli inse­
gnanti devono fare necessariamente i conti. Le abilità di lettura e di scrittura
sia strumentali che funzionali, l’area logico-matematica (anche soltanto
orientata sul concreto come nell’uso del denaro), i contenuti riferiti aì diver­
si ambiti disciplinari sono!sicuramente terreni non preclusi a molti allievi
con autismo. Nella maggior parte dei casi sono necessari forti adattamenti,
ma quando le condizioni lo consentono è sicuramente di grande significato
lavorare su contenuti simili a quelli della classe (si veda, a questo proposito,
il capìtolo 3). • 1 .
Dal punto di vista metodologico, l’approccio didattico deve fondarsi sui
principi già ampiamente discussi nei capitoli precedenti, con una valutazio­
ne precisa dei punti di forza e di debolezza, una grande attenzione alla strut­
turazione delle situazioni e dei contesti, un riferimento a strategie di’, conso­
lidata efficacia, una forte enfasi sulla motivazione,. sulle strategie di
visualizzazione e sulle modalità relazionali e comunicative adeguate
* ai singo­
li allievi. |
Senza ritornare su questi-principi, ci limitiamo a presentare tre interven­
ti per Ì nostri allievi, finalizzati rispettivamente a: !

t -

283
l’autismo a scuola

* promuovere competenze di lettura funzionale per Luca, lavorando all’in­


terno della classe su materiali simili a quelli dei compagni;
° acquisire la capacità di usare il denaro da parte di Roberta, per effettuare
acquisti anche per. i compagni durante la ricreazione;
• partecipare, seppure con un programma adattato, alle lezioni'di italiano
per Giuseppe.
■ i'

10.1. I compagni leggono per Luca un programma di lettura funzionale

Gli insegnanti sono riusciti a fare un ottimo lavoro con Luca per quanto
riguarda la sua capacità di stare in classe. Adesso riesce a restarvi per periodi
anche prolungati (fino a un’ora circa), anche se risulta, praticamente nella
totalità delle situazioni, impegnato in compiti diversi da quelli degli altri o
nelle sue attività, preferite, come giocare con le macchinine nella sua posta­
zione del tempo libero.
Nella riunione alla presenza di tutte le figure che lo seguono e della fami­
glia si è deciso di fare un passo ulteriore nella direzione inclusiva, cercando
un’attività che sia collegata con il lavoro dei compagni. La decisione è stata
quella di adottare un “avvicinamento degli obiettivi” (CAP. 3) relativamente
alla lettura. In concreto, mentre i compagni lavorano in classe sulla lettura
personale (non ad alta voce), Luca sarà coinvolto in un programma di lettu­
ra funzionale, utilizzando materiali scritti, quando possibile, con gli stessi
caratteri dei titoli dei brani del libro dei compagni. .
Sarebbe chiaramente impossibile, allo stato attuale, pensare a un
programma di lettura strumentale per l’allievo, ma considerando le sue
competenze in compiti discriminativi, la lettura funzionale appare come un
obiettivo perseguibile e molto utile, anche se dovesse rimanere limitata a
poche parole. -
La lettura funzionale si riferisce alla capacità di decifrare correttamente
parole ad alto valóre ecologico, la cui comprensione costituisce un amplia­
mento di autonomia per le persone che, a causa dei loro deficit, non riesco­
no ad apprendetela lettura strumentale. Comprendere il significato di paro­
le scritte come alt, avanti, pericolo, entrata, uscita ecc. facilita
sicuramente la conquista di autonomia per la persona e la possibilità di inte­
grazione nell’ambiente comunitario. SÌ pensi, ad esempio, alla situazione in
cui una persona con disabilità si trovi in un particolare contesto (scuola,

284 r
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRÌCOLARÌ

I1
supermercato, stazione, cinema ecc.) e abbia la necessità reale di leggere le
SClittC-ÙSCITA, ENTRATA, TIRARE, SPINGERE, QRARl’p, PALESTRA, TOILET­
TE ecc. La possibilità che ognuna di queste scritte attivi una rappresentazio­
ne mentale e che a questa venga associata, ad esempio,' un'azione conseguen­
te (uscita = poter andar fuòri) corrisponde perfettamente a ciò di cui ha
no per fruire, il più a deguatamente possibile, del proprio ambiente
sociale.
Nel caso di Luca, in aggiùnta a queste motivazioni vi è anche quella di
consentire un lavoro all’interno della classe con materiale grafico da decodi­
ficare in parte simile a quello utilizzato dai compagni, i
Il programma educativo è stato costruito facendo riferimento al currico­
lo per l’insegnamento della lettura funzionale (Cottirii, 2006) e alla valuta­
zione delle competenze specifiche deU’allievo. ì
La tabella 10.1 illustra il curricolo con la distinzione 'degli obiettivi genera­
li e di quelli specifici. Lucasi è.dimostrato competente sui primi due livelli di
obiettivi generali, manifestando competenze discriminative riferite sia a
sagome e forme geometriche che a sìngole lettere. ì
Il lavoro didattico si è sviluppato sugli obiettivi generali 3 e 4. In partico­
lare sono state scritte e ritagliate varie parole funzionali utilizzando gli stessi
caratteri dei titoli dei brani che l’insegnante richiedevajai compagni di legge­
re a voce bassa per poi riferirli. I titoli dei brani erano presentati anche in una
diapositiva proiettata dall’insegnante. Le esercitazioni per Luca consistevano
nell’individuare la parola uguale al modello presentato (dall’insegnante in un
gruppo di due, poi tre, poi quattro parole diverse. !
Con il progredire dell’attività la richiesta è stata formulata prevedendo
distrattoti (parole diverse d,aJ campione) sempre più simili alla parola da
associare. j
In seguito si è passati alla presentazione della parola campione per alcuni
secondi soltanto, con la consegna di trovare la parolai corrispondente senza
poter più fare riferimento ai modello. L’insegnante Verbalizzava sempre le
parole, sia a livello di consegna (ad es. “Trova la parolaIalt”) sia nei momen­
to in cui rinforzava l’allievo (ad es. “Bravissimo Luca.] Hai trovato la parola
ALT”). ;
A questo punto a Luca è stato chiesto di associare la parola al disegno
che ne illustrava il significato, per essere certi della discriminazione della
stessa non solo dal punto di vista figurale. Le parole alle quali non riusciva
ad associare l’immagine sono state ripresentate in una nuova scheda con il

> ì
j 285
l’autismo a scuola

Tabella 10.1. Organizzazione dej curricolo sulla lettura funzionale

Obiettivi generali Obiettivi specifici

1. Discriminare 1.1. Presentando una sequenza di figure geometriche uguali e una


sagome e forme chiaramente diversa, su richiesta l'allievo deve indicare la figura
geometriche diversa. |
1.2. Presentando una sequenza di sagome uguali e una chiaramen­
te diversa, sù richiesta l'allievo deve indicare la figura diversa.
1.3. Presentando un insieme di figure geometriche diverse e un
modello campione, su richiesta l'allievo deve appaiare (toccare)
quella figura dell'insieme che è uguale al campione di riferimento.
1.4. Presentando un insieme di figure geometriche diverse fra di
loro, l’allievo deve essere in grado di identificare (toccare) fra
queste la figura uguale al modello campione visto precedente-
mente e norj più presente nel campo visivo.
1.5. Presentando un insieme di sagome diverse fra di loro, l'allievo
deve essere'in grado di identificare (toccare) fra queste la sagoma
uguale al modello campione visto precedentemente e non più
presente nel campo visivo.

2. Discriminare lettere 2.1. Presentando una sequenza di lettere uguali e una chiaramente
diversa, su richièsta l’allievo deve indicare la lettera diversa.
2.2. Presentando un insieme di lettere diverse e un modello
campione, ^u richiesta l’allievo deve appaiare (toccare) quella
lettera dell'insieme che è uguale al campione.
2.3. Presentando un insieme di lettere diverse fra loro, l'allievo
deve essere in grado di identificare (toccare) fra queste la lettera
uguale al modello campione visto precedentemente.
2.4. Presentando una serie di lettere, l'allievo deve essere in grado
di ricordare l'ordine di queste. ’
2.5. Presentando una serie di lettere, su’richiestad’allievo^deve
essere in grado di discriminare (toccare) la prima e l'ultima della
serie. |
r (
3. Discriminare parole 3.1. Presentando una sequenza di parole, su richiesta l’allievo deve
ecologicamente identificare (toccare) la parola diversa dalie altre.
funzionali 3.2.Presentando un insieme dì parole diverse e un mddello
campione, Su richiesta l'allievo deve appaiare (toccare) quella
parola presente nell'insieme che è uguale al campione presen­
tato. j

286
IO. INSEGNARE ABILITÀ CjjRRICOLARI

Tabella 10.1. (segue)

Obiettivi generali Obiettivi specifici

. 3.3. Presentando un insieme di parale diverse fra loro,; l'allievo


deve essere in grado di identificare (toccare) fra queste la parola
uguale^ quella vista precedentemente e non più presente nel
campo visivo. j ,
3.4. Presentando un insieme di’parole diverse fra lorpj'allievo
deve essere in grado di identificare (toccare) fra queste la parola
uguale à quella nominata dall’educatore. .|
3.5. Leggere parole funzionali (nel caso in cui non disponga dì
: competenze verbali, associare la parola al disegno presente nel
. proprio libro di illustrazioni). ;

4. Generalizzare 4.1. Presentando una parola campione e varie altre paróle, l'allie­
la capacità di lettura vo deve identificare la parola uguale al campione anche quando è
funzionale e adottare scritta con caratteri diversi. i
i comportamenti 4.2. Durante uscite 0 attività in ambiente naturale, l'allievo deve
richiesti dalla parola essere in grado dì riconoscere parole funzionali nominandole 0
associando la parola al disegno presenterei proprio libro di illu­
strazioni. . . i
4-3- L'alljevo deve essere in grado di assumere comporta menti
pertinenti alla parola quando viene rilevata nell'ambiente consue-
to di vita-[casa, scuola, ambienti familiari).
ti-4. L’allievo deve essere in grado di assumere comportamenti
pertinenti alla parola quando viene rilevata nell'ambiente non
familiare. !

disegno sopra, che poi, con il procedere delle esercitazioni, veniva progres­
sivamente attenuato come intensità fino a farlo scomparire (come sì può
osservare nella figura 10.1, è stata utilizzata la strategia del fading fui tratto
del disegno). '
■ Va messo in evidenza ché i compagni dì Luca, che dichiaravano di aver
letto a sufficienza il loto brano e di essere in grado di riferirlo, utilizzavano il
tempo di attesa andando vicino a Luca e sostituendo l’insegnante in alcune
esercitazioni. ’ .
Questo aspetto ha dì fatto introdotto l’obiettivo della generalizzazione,
che si è sviluppata con un primo momento di presentazione delle parole

287
l'autismo a scuola

Figura 10.1. Training per la comprensione del significato della parola


funzionale attraverso l'utilizzo della strategia di fading

Figura 10.2. Schermata del software "Il computer insegna" per favorire
il riconoscimento delle parole funzionali anche quando sono scritte
con caratteri e colorì diversi dal campione

scritte con caratteri e colori diversi da quello campione. Per questo tipo di
lavoro è stato creato anche un apposto applicativo utilizzando il software “Il
computer insegna”, di cui si è già parlato nel capitolo 6, Nella figura 10.2 è
riportata una schermata del software, die consente l’esecuzione autonoma
delle esercitazióni da parte dell’allievo, con presentazione di parole modello

. 288
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRICOLARI

i
e stimoli distrattoti sempre diversi per carattere e colore. Se l’allievo indivi­
dua correttamente la parola richiesta il software! fornisce un feedback di
rinforzo e cambia la schermata, in caso contrario riduce il numero di distrat­
toti fino a eliminarli. ;
L’ultima fase di lavoro è stata quella di generalizzare le competenze in
ambiente esterno a quello della classe e di mettere !in atto le azioni richieste
dalle parole funzionali (ad es. alla vista di "alt” fermarsi). Per far questo
sono state organizzate uscite con l’insegnante di sostegno e sono stati girati
dei video con i compagni come protagonisti eh? effettuavano le azioni
connesse alle parole individuate. Quest’ultima strategia, di cui parleremo
anche nel prossimo capitolo, è nota come videomodeling (Bellini, Akullian,
2007; DardemBrunson et al., 2008; Alien stai., zoid) e consiste nell’osserva­
re numerose volte il video in modo da riuscire a imitare le azioni presentate.
In questo caso, sono stati utilizzati anche aiuti e dimostrazioni per guidare le
prime esperienze. i
Il risultato di questa attività con Luca è stato molto interessante: nei primi
due mesi di lavoro è riuscito a discriminare 5 parole, che risulta capace di
riconoscere anche in ambiente naturale. Per quanto'riguarda le parole “alt,
spingere, tirare" è anche in grado di associare le azioni corrispondenti.
L’importanza del lavoro, che sta attualmente continuando, è anche legata al
fatto che si è svolto quasi interamente in classe, mentre Ì compagni effettua­
vano attività didattiche con contenuti per qualche aspetto simili, anche se,
chiaramente, perseguivano obiettivi totalmente differenti.

1
. i
10.2. La matematica dì Roberta è funzionale: il programma per usare
il denaro *

Per Roberta il programma che gli insegnanti hanno deciso di sviluppare


nell’ambito matematico è stato quello di uso del denaro, finalizzato sia alla
conoscenza di monete e banconote sia all’utilizzo delle stesse per effettuare
acquisti. L’obiettivo, oltre a'essere chiaramente funzionale, aveva anche una
valenza inclusiva, in quanto, l’auspicio era quello che Tallieva potesse incari­
carsi di acquistare la merenda a ricreazione anche per qualche suo compa­
gno. Oltre a ciò, l’insegnante di matematica si è dimostrata disponibile ad
apportare alcuni adattamenti al suo programma ped cercare punti di contat­
to con quello di Roberta, proponendo agli allievi molti problemi di natura
: !

i 289
l’autismo a scuola

Tabella 10.2. Organizzazione del curricolo sulla conoscenza e sull’uso


del denaro !
! '
Obiettivi generali ’ Obiettivi specifici

1. Conoscere 1.1. Discriminare e riconoscere le monete da altri oggetti, inizian­


le monete do con pocrìi elementi per poi aumentarne ilnumero. ■ - ,
1.2. Presentando una moneta campione, l'allievo deve individua1
re quella uguale scegliendo tra due.
1.3. Presentando una moneta campione, l’allievo deve individua­
re quella uguale scegliendo da un insieme di monete.
1.4. Presentando un insieme di monete, l’allievo deve raggruppa­
re tutte le rrlonete uguali.
1.5. Fornire all’insegnante una moneta richiesta verbalmente
scegliendola da un insieme. /
2.1.-Discrinìinare e riconoscere le banconote da altri oggetti,
2. Conoscere
ie banconote iniziando co'n pochi elementi per poi annientarne il numero.
2.2. Presentando-una banconota campione, l’allievo devejndi.vi- ■
duare quella uguale scegliendo tra due.
23: Presentando una banconota campione, l'allievo;deve4ndivi- '
duare quella uguale scegliendo da un insieme di banconote.
2.4. Presentando un insieme di banconote-, l’allievo deve raggrup-
pare tutte lebanconote uguali. , -,

2.5. Fornire à 1 l’insegnante una banconota richiesta verbalmente


scegliendolajda un insieme.

i
3. Attribuire il valore a 3.1. Individuare tra due monete 0 banconote quella che vale di più.
monete e banconote 3.2. Individuare le monete 0 banconotedi'maggiorvalore presen­
tandole tutte.
33. Disporrà due monete 0 banconote in ordine crescente.
3.4. Disporre tutte le monete 0 banconote in ordine crescente.

4. Contare monete 4-1. Contare’un gruppo omogeneo di monete da un euro.


e banconote 4.2. Contale gruppi omogenei di monéte 0 banconote di altro
taglio. i ■ ‘
43. Formar^ combinazioni di monete 0 banconote omogenee fino
a raggiungere il valore indicato dall’insegnante.
4.4. Contare gruppi di monete 0 banconòte di taglio diverso.
4.5. Formare combinazioni di monete 0 banconote di diverso ta­
glio, fino a raggiungere il valore indicato dall’insegnante.
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRICOLARI

Tabella 10.2. (segue)

Obiettivi generali Obiettivi .specifici :

5. Effettuare acquisti 5.1. Effettuare l'acquisto pagando con la cifra giusta, quapdo costi-
senza resto tuita da una sola moneta 0 banconota (ad es. 1 euro, 50 centesimi,
■5 euro ecc.).
5.3. Effettuare t’acquisto pagando con la cifra giusta, quando costi­
tuita da più monete 0 banconote uguali (ad es. 3 euro, qo euro
ecc.). '
5.4. Effettuare l'acquisto pagando con la cifra giusta, quando costi­
tuita da più di una moneta 0 banconota diverse (ad es. lieuro e 50
centesimi, 6 euro ecc.).
5.4. Acquistare più articoli pagando con la cifra giusta,

6. Effettuare acquisti g.i. Contare te monete e banconote disponibili per valutare se sono
con il resto . sufficienti per effettuare l'acquisto di un articolo.
6.2. Contare le monete e banconote disponibili per valutare se
■ sono sufficienti per effettuare l'acquisto di più articoli. , :
6,3. Effettuare l’acquisto dì un articolo controllando il resto.
6,q. Effettuare l’acquisto di più articoli controllando il resto.

economica sull’euro, compresi alcuni che per essere risolti richiedono lo


sviluppo di calcoli con le frazioni. Foto di monete e banconote, quindi, sono
state utilizzate in maniera abbastanza ampia all’interno della classe e non solo
da Roberta. ' . .

La prima operazione di programmazione didattica è stata quella di sviluppa­


re il curricolo di insegnamento per l’uso del denaro, facendo riferimento alla
letteratura specifica (Cottini, 2006) e cercando di ridurre gli obiettivi a quel­
li essenziali per raggiungere un livèllo di competenza funzionale. Sono stati
esclusi la gran parte degli obiettivi che richiedevano competenze .verbali e
cognitive di alto livello^. La tabella 10.2 riporta il curricolo, sempre articolato
in obiettivi generali e specifici, come nell’esempio precedente sulla .lettura
funzionale per Luca. !
Anche in questa versione semplificata, il curricolo per l’acquisizione
dell’uso del denaro è risultato troppo complesso per Roberta, per cui gli inse­
gnanti hanno deciso di non seguirlo in modo lineare, ma di puntatela otte­

291
l’autismo a scuola

nere il prima possibile prestazioni di tipo funzionale. In altre parole, gran


parte degli obiettivi specifici relativi all"attribuire il giusto valore a monete a
banconote (obiettivo generale 3), al contarle (obiettivo generale 4) e all’effet-
tuare acquisti controllando il resto (obiettivo generale 6) risultavano sicura­
mente fuori della pprtata di Roberta, alla luce delle abilità attualmente posse­
dute. Questo non significa che non si dovranno sviluppare attività in queste
direzioni, ma soltanto che nel breve andranno sfruttate le potenzialità In
parte padroneggiate (quelle che possono essere definite emergenti riprenden­
do l’impostazione di Schopler e dei suoi collaboratori; si veda il capitolo 5)
per riuscire a fare qualche semplice acquisto per sé e per i compagni.
L’attività didattica condotta all’interno della classe da paì'te dell’insegnan­
te di sostegno e dell’ assistente educativa si è concentrata soprattutto sul primi
due obiettivi generali legati alla discriminazione di monete e banconote. La
metodologia di lavoro adottata è in parte sovrapponibile a quella messa in
campo con Luca per il riconoscimento delle parole funzionali. In questo caso
il processo è stato molto più. rapido e in larga parte centrato sull’utilizzo di
monete e banconote reali.
Una volta ottenuto un buon livello discriminativo, per motivare Roberta
al lavoro progettato, si è deciso di prevedere immediatamente un uso del
denaro per effettuare alcuni acquisti durante la ricreazione. E stata creata la
“Lista delle ordinazioni di Roberta”, attraverso la quale l’allieva ha comin­
ciato a sperimentare l’effettuazione assistita di alcuni acquisti. La figura.10.3
riportalo strumentcl elaborato.
Come si può notare, nella scheda sono riportate le immagini degli artico­
li da acquistare, le monete necessarie per effettuarli e i compagni che deside­
rano i prodotti raffigurati (oltre naturalmente all’allieva stessa). Nella casel­
la dei compagni sono collocate alcune strisce di velcro per attaccare le foto
degli allievi che nei diversi giorni effettuavano l’ordinazione. Roberta con
fallito dell’insegnante 0 dell’assistente chiedeva ad alcuni compagni che cosa
desiderassero attaccando la loro foto nello spazio sotto il prodotto, poi
controllava le monete fornite dai compagni confrontandole con le immagi­
ni. Si è iniziato con un solo compagno, poi si è passati a due, fino ad arriva­
re a tre come riportato nella scheda che descrive il livello attuale. Roberta a
ricreazione mostrava la lista alla signora addetta alle vendite, ritirava Ì
prodotti pagando e E consegnava ai compagni.
Questa prima fase del lavoro ha richiesto circa tre mesi, ma è risultata
estremamente motivante per l’allieva, soprattutto a causa del rinforzo socia-

292
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRICOLARI
i
i

Figura 103. La lista delle ordinazioni di Roberta ì


: . i
Panino Pizza Acqua J Coca-Cola

le che ne è derivato. La prestazione deve essere ancora supportata in manie­


ra significativa, soprattutto per mediare e sostenere gli scambi sociali. Va
messo in evidenza che, in tutte le fasi di lavoro, sono stati previsti momenti'
dì tutoring da parte dei compagni, per consentire un aumento del tempo di
lavoro individualizzato, una generalizzazione delle competenze e una promo-

293
l'autismo à SCUOLA (
i ■ ‘

t
zìone dì condotte prosociali. Di questi aspetti parleremo in maniera più
diffusa nel capitolo 12. • '.
■ ' 1


La forte motivazione che sì è determinata consente di sostenere il lavoro .
didattico al tavolo, che gli-irisegnand hanno intenzióne di ampliatèiinche su-..-
idteriori obiettivi del curricolo non considerati in questa primafase, allo -
scopo di rendere Roberta sempre più autonoma. SÌ tenterà di pianificare'
esercitazioni didattiche sul concetto di valore di monete e banconote e qual­
che forma iniziale di conteggio.
A breve saranno programmati anche momenti di uscita in negozi vicini, per
fare acquisti in contesti nuovi. A questa attività parteciperà anche la mamma,
che poi tenterà di generalizzate ulteriormente le competenze di Roberta.

10.3; Omero viene visitato anche da Giuseppe

La forbice molto allargata effe esiste fra il pei differenziato di Giuseppe e il


piano di lavoro della sua classe non ha impedito agli insegnanti di cercare
punti di contatto all’interno 'della programmazione.
L’ambito di lavoro riguarda la disciplina di “Italiano” in riferimento al
primo anno di corso della scuola superiore di secpndo grado (un liceo) :
frequentata da Giuseppe. L’esempio di intervento' educativo si riferisce
all’anno 2009-2010, in quanto Giuseppe è ora iscritto alla seconda classe.
Gli insegnanti curricolari e di sostegno hanno ricercato, con determina­
zione e competenza, di trovare delle connessioni che potessero permettere a
Giuseppe di affrontare, conmodalità chiaramente adattate e semplificate, lo .
studio del poema omerico dellIliade.
La prima operazione messa in atto ha riguardato lo studio congiunto del
piano di lavoro della classe e del pei di Giuseppe, al line di individuare aggan­
ci e possibili connessioni per, sviluppare adeguatamente il lavoro didattico.
Nelle tabelle 10.3 e 10.4 vengono riportati tali obiettivi, così come svilup­
pati dai docenti. ;
Per f implementazione delle attività didattiche, si è fatto uso dell’appren­
dimento visivo. Per Giuseppe è stata quindi rielaborata PIliade in forma
sintetica e tutta per immagini (prese dal Web). Da ogni sequenza proposta,
sono stati estrapolati argomenti che potessero risultare rilevanti per il ragaz­
zo, al fine di aiutarlo ad avere una maggiore comprensione dell’ambiente

294
10. INSEGNARE ABILITÀ CURR1C0LAR!

Tabella 10,3. Obiettivi generali sviluppati con la classe e con Giuseppe


' in riferimento allo studio deW Ilìade

Obiettivi generali previsti nel Piano dì lavoro di classe in riferimento all'articolazione


’-’/e alla scansione deitcontenuti culturali, prendendo in esame solo quanto svolto In
riferimento al poema omerico del? Iliade

Formazione Produzione di Incontro con Educazione Periodo


linguistica testi l'opera o con letteraria
l'autore

Analisi logica • Il ritratto di un • Epica: i poemi • Il testo narrativo Ottobre


personaggio omerici letterario: i
• Scrittura • L'Iliade personaggi
creativa •Lo spazio e il f ■
tempo 1 L

Analisi logica • Il verbale Epica: lettura di li testo narrativo Ottobre’-novembre


• La parafrasi alcuni passi letterario: lo
• L'analisi dei dell'/lmde spazio e ri tempo
. personaggi
i

Analisi logica • Il riassunto Epica: lettura di II testo narrativo Novembre-dicembre


■ La parafrasi alcuni passi letterario: il
dell’/Z/ode narratore, il
ì
punto divista i ■

Analisi logica • La recensione Epica: lettura di Vicende di vita: Dicembre


teatrale alcuni passi letture di testi
• La parafrasi ’ del l’Iliade
• Il commento
di un testo
narrativo

Obiettivi generali del pei differenziato per Giuseppe in riferimento all'articolazione


e alla scansione dei contenuti culturali, prendendo in esame solo quanto svólto in
riferimento al poema omerico,dell’Iliade ì •

Formazione Produzione di Incontro con Educazione Periodo 1


linguistica testi l’opera 0 con letteraria ■
l'autore '

-Analisi del modo Il ritratto di un • Epica: i poemi II testo narrativo Ottobre


in cui le parole si personaggio: omerici letterario:

295
l’autismo a scuola

Tabella 10.3. (segue)

Formazione Produzione di Incontro con Educazione ' Periodo


linguistica testi l'opera 0 con letteraria
i l'autore

combinano tra partì del corpo, • L'Iliade i personaggi


loro per formare emozioni e
semplici frasi abbigliamento

Analisi del modo Il ritratto di un • Epica: i poemi II testo narrativo Ottobre-novembre


in cui le parole si personaggio: omerici letterario; i
combinano tra gradi di • L'Iliade personaggi
loro per formare parentela
semplici frasi

Analisi del modo Gli oggetti: • Epica: i poemi II testo Novembre-dicembre


in cui le parole si discriminazione omerici narrativo:
combinano tra in base al » L'Iliade individuazione
loro per formare materiale di cui degli oggetti
semplici frasi sono composti
Le fpsi di
lavorazione del
legno

Analisi dei modo 1 mezzi di • Epica: i poemi Vicende di vita: Dicembre


in cui le parole si locomozione omerici produzione del
combinano tra •L'Iliade vissuto personale
loro per formare del discente in
semplici frasi riferimento ai
suoi viaggi

specifico evocato'dal testo. Sono stati presi in considerazione, per citare alcu­
ni esempi, il grado, di parentela, il legno come materiale di arredo, il ricono­
scimento delle emozioni.
Sotto ogni immagine, era scritto il significato portante della stessa.
Successivamente, unendo le parole, veniva presentata la frase completa e vi
era lo spazio affinché lo studente potesse scrivere ed essere facilitato nella
memorizzazione di parole e concetti nuovi. Il cavallo di Troia, ad esempio,
è stato spunto per 'elaborare le fasi della lavorazione del legno e per far capi­
re che molti oggetti, soprattutto il mobilio, sono costruiti con questo mate-

296
IO, INSEGNARE ABILITÀ CURRJCOLARI

Tabella 10.A- Obiettivi didattici sviluppati con la classe 6 con Giuseppe

Obiettivi didattici specifici del Piano di lavoro di classe !

Competenze Abilità/capa cita Conoscenze

Padroneggiare gli strumenti • Comprendere il messaggio * Principali strutture


espressivi e argomentativi contenuto in un testo orale, giorfosintattiche della lingua
indispensabili per gestire cogliendo le relazioni italiana
l’interazione comunicativa logiche delle.sue * Varietà lessicali in rapporto
verbale in vari contesti componenti à diversi contesti
• Esporre in modo chiaro, t Contesto, scopo
logico e coerente i contenuti è destinatario della
appresi tomunicazione
’ Esprimere il proprio punto
divista e cogliere quello j
dell'altro

Leggere, comprendere • Utilizzare una terminologia Principali caratteristiche


e interpretare testi scritti appropriata formali di un testo narrativo
di vario tipo , • Esporre in modo chiaro, 1
logico e coerente
■ Applicare strategie
diversificate di lettura
1
Produrre testi di vario tipo • Produrre testi corretti Modalità e tecniche deile
in relazione ai differenti scopi e coerenti adeguati alle varie diverse forme di scrittura
comunicativi richieste (testi descrittivi, narrativi,
• Rielaborare in forma chiara riassunti, parafrasi,
le informazioni commenti) in rapporto alla
funzione e alla situazione
comunicativa

Utilizzare e produrre testi Elaborare prodotti multimediali Sémplici applicazioni per


multimediali (testi, immagini, suoni ecc.), l'elaborazione audio e video
1
anche con tecnologie digitali i
i
Obiettivi didattici specifici del pei differenziato di Giuseppe in riferimento
alla didattica integrata l
Competenze Abilità/ca parità Conoscenze

• Comprendere brevi frasi Comprendere il contenuto • Aumento del bagaglio


scritte e verbali (queste ultime di semplici messaggi scrìtti lessicale
in riferimento a consegne) e verbali • Comprensione della

1 297
l'autismo a scuola

Tabella lo.ij. (segue) ì


1

Competenze Ab il ità/ca parità Conoscenze

* Rispondere a quesiti a scelta i ' struttura di brevi e semplici


multipla in riferimento agli frasi
argomenti trattati

* Completare frasi in cui • Completare parole * Comprensione


mancano grafemi nelle • Completare frasi e produzione scritta di
parole e frasi in cui mancano • Produrre semplici frasi in parole in riferimento
parole intere base>a un'immagine data a parti del corpo, emozioni
* Scrivere in modo autonomo e abbigliamento di
alcune parole, vedendo la persone, gradi di parentela,
figura corrispondente, in mezzi di locomozione
riferimento a descrizione di e mobilio
personaggi (gradi di • Discriminazione
parentela, emozioni, parti e classificazione di oggetti
del corpo e abbigliamento), in base al materiale di cui
mezzi di locomozione e sono composti
mobilio

Utilizzare il computer per il ■ Eseguire esercizi al Semplici operazioni per


completamento di parole, computer utilizzando l'avvio dì un software
adottando appositi software software didattici specifici didattico in riferimento a
didattici : e corfipletare parole e frasi esercizi di completamento’
in un documento di Word paróle, scrittura in un
f
documento di Word

riale. Spunto successivo, quindi, l’apprendimento di parole che si riferisse­


ro all’arredo di un’abitazione, il tutto sempre presentato con materiale visi­
vo per lui appositamente elaborato e che è servito anche per le fasi di gene­
ralizzazione. Molta attenzioni è stata posta affinché le immagini fossero
coerenti fra loro e che la rappresentazione di un personaggio fosse la mede­
sima per tutte le azioni presentate. Di volta in volta, venivano elaborati e
proposti esercizi: veniva chiesto allo studente di riscrivere la stessa frase, di
completare le parole con i grafèmi mancanti e le frasi con le parole fiancan­
ti. Lo studente doveva abbinale frasi a immagini e viceversa fino ad arrivare

298 ’
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRICOLAR1

a presentargli una immagine, sorto cui doveva scrivere in modo autonomo


quello che era rappresentato.
--. Nella scheda 10.1 sono riportati alcuni di questi esempi di lavoro'didattico.
L’Iliade è stata anche occasione per far apprendere a Giuseppe le principali
emozioni (rabbia,...tristezza e gioia). Spunto iniziale è stata la rabbia di
Menelao e la gioia, di Elena — presentate in modo esagerato, proprio per
evidenziarne i tratti caratteristici.. I passaggi successivi per la fase Hi imple­
mentazione, che si riferiva al riconoscimento dei principali stati p’animo,
sono stati la presentazione di faccine (emoticon) che ne rappresentassero le
peculiarità. Di seguito si è passati a immagini di persone, che sono state
“sezionate” facendo concentrare l’attenzione dello studente sù occhi e
bocca. Sono stati preparati per lui esercizi appositi, organizzati e proposti in
modo graduale: | .
• presentazione di parole riferite a emozioni scritte sotto imm agirti raffigu­
ranti emoticon, al fine del riconoscimento e della comprensione; f
• presentata un’emoticon che indicava una particolare emozióne, allo
studente era richiesto di abbinare la parola corrispondente; j
* presentata una parola che indicava una particolare emozione, allp studen­
te era richiesto di abbinare l’emoticon corrispondente; ;
• presentata una parola che corrispondeva a una emozione e dato' il profilo
vuoto di un emoticon, allo studente veniva richiesto di posizionare gli occhi
e la bocca la cui mimica fosse pertinente all’emozione suggerita; ì
• presentata un’emoticon raffigurante un’emozione, si richiedeva allo
studente di abbinare l’immagine di un volto corrispondente; । .
• presentato un volto che rappresentava una particolare emozione, allo
studente era richiesto di abbinare la parola corrispondente; i j
• presentata una parola che corrispondeva a un’emozione e il profilo vuoto
di un volto, allo studente si richiedeva di posizionare gli occhi e là bocca la
cui mimica fosse pertinente all’emozione suggerita; i ;
• presentate delle'parole rappresentative di emozioni mancanti di fonemi,
allo studente veniva chiesto il loro completamento; | .
• presentato un volto che raffigurava un’emozione, allo studente veniva
chiesto di scrivere in modo autonomo la parola corrispondente allo stato
d’animo raffigurato. ’ :
i ■
Tutti gli esercizi predisposti, come detto, sono stati’proposti‘in modo
graduale e con un’emozione per volta, fino ad arrivare al riconoscimento

’ ■ - • - 299
l’autismo a scuola

Scheda 10.1. Alcune attività didattiche del programma sull’/Z/odesviluppato


con Giuseppe i

Ulisse ebbe l'idea del cavallo di Troia


Ulisse ebbe l’idea del cavallo dì Troia.
Ulisse fu l'ideatore del cavallo di Troia.

Ulisse; e gli spartani costruirono un grande cavallo.


Ulisse e gli spartani costruirono un grande cavallo.

Il cavallo fu costruito con il legno


Il cavallo fu costruito con il legno.
........................ f.............................................................................. ......................

300
10. INSEGNARE ABILITÀ CURRICOLARI

I! Segno si ricava dagli alberi.

autonomo, da parte di Giuseppe, di stati d’animo8 (rabbia, tristezza e gioia).


La prestazione richiesta per valutare il raggiungimento dell’obiettivo era
quella di individuare ì tratti caratteristici di una (particolare emozione e di
saperla nominare attraverso la scrittura. Il passo successivo è staro il ricono­
scimento delle emozioni nelle persone fisiche. ;
Nella scheda 10.2 viene presentato un esempio tratto àdtfIliade che è stato
appositamente elaborato per l’allievo. La metodologia di insegnamento ha
previsto modeling, peertutoring, prompt gestuali, figurati, fisici e verbali
(ridotti gradualmente con un processo di fading); rinforzi positivi, tangibili
(uvetta passa) e sociali (lode), passando dal programma continuo, a rapporto
fìsso, fino ad arrivare a un rapporto variabile. Si ’è posta grande attenzione
all’incremento dell’autoefficaci a e autostima, condividendo il lavoro svolto
con i compagni dì classe, che hanno dimostrato il loro apprezzamento a
Giuseppe e hanno utilizzato il materiale da lui prodotto come sintesi.
È stata attentamente programmata anche la generalizzazione operando
lungo le sue tre direttrici: compito, contesto e parsone progressivamente
diversi. '
Sono stati presi in considerazione i ritmi di lavoro dello studente, che è di
facile distraibilità. Le attività erano svolte inizialmente in rapporto uno a uno
con i docenti dì sostegno e/o l’educatrice, per passare all’interazione con un
compagno di classe, poi con piccoli gruppi, fino ad arrivare alla interazione
con l’intera classe. }
Dopo la messa in atto di ogni passo del programma, per verificare se il
training aveva sortito i risultati auspicati si sono 'effettuate delle verifiche
formative, con procedure di recupero messe in attb prontamente al presen­
tarsi di risposte scorrette. ■ ।
i
!
301
l'autismo a scuola

Scheda 10.2. Esempi di lavoro sul riconoscimento delle emozioni


dei personaggi dell7//ode ‘

Menelao ; si arrabbio voleva riprendere Elena

Menelao si arrabbiò, voleva riprendere Elena,

■ Tutti erano j. moito.felici ,V anche Elena


• • j . - . •• . -
Tutti erano molto felici, anchelElena.

ì
I
! ' -
La verifica sommativi, preparata dai docente .per le attività di sostegno in
base agli argomenti svolti, hk messo in evidenza una buona acquisizione dei
contenuti sviluppati, unita a;riscontri positivi anche per quello che ha riguar­
dato l’impegno, la motivazióne e il livello di interazione con i compagni,
I i ■

ì
I
i

302
11. Metodologie di lavoro per allièvi
con sindrome di Asperger
.■ ■ . ’ ' , I

: ■ ■ ■ J ■■ ■ - . ■ ■

■ r

• Come è possibile che sia così bravo su certe cose che lo interessano^ tanto inge­
nuo su altre piu concrete e utili per la sua vita? ì
• Lo faccio lavorare sempre sulle sue attività preferite?
* Come posso'colmare'le sue lacune soprattutto in ambito sociale?! .

Nel capitolo i sono stati’messi in evidenza i punti di forza e le debolezze speci-


. fiche che manifestano gli-allievi con autismo ad alto livello dì funzionalità e con
sindrome di Asperger (sa); Pur presentando un livello .intellettivoLadeguato e
un buon linguaggio, gli allievi con sa evidenziano una-serie di sintiorni e
colta che investoano le tre aree tipiche dei disturbi dello spettro autistico: la
comunicazione socfalefiffìnrerazione sociale e il comportamento fe gli interessi.
Si tratta, come abbiamo visto, di allievi affascinanti e strani, con il loro
comportamento-bizzairo-e-gh interessùspessornssessivamente centrati su argo­
menti inconsueti. Sono poco attrezzati per promuovere delle interazioni socia­
li e mancano anche della capacità di comprensione delle relazioni, umane. La
loro inflessibilità e le carenze nella gestione dei cambiamenti fai sì che questi
individui risultino fàcilmente stressati e vulnerabili'emotivamente.-Rappresen­
tano, quindi, una sfida davvero impegnativa per la struttura scolàstica.
I principi educativi considerati nei capitolidi questa terza parte del lavo­
ro sono sicuramente da tenere in massima considerazione anche per gli allie­
vi che presentano SA: questi, infatti, risultano molto supportati Hai sistemi di
.strutturazione visiva, dall’utilizzo delle routine, dalle procedure per evitare
una sovrastimolazione sensoriale; insomma da tutte quelle strategie che enfa­
tizzano le potenzialità e cercano di rendere il contesto il più possibile signifi­
cativo e prevedibile. Le vàrie esemplificazioni riferite a Filippo, descritte fino
a questo.momento, si sono mosse in questa direzione, cercando di conside-

303
L'ÀUTISMÓ A SCÙO’LA

rare le particolari esigenze di questi allievi così speciali, con tante abilità che,
nella maggioranza delle situazioni, non riescono a trasformarsi in competen­
ze funzionali in'grado di favorire un livello elevato di adattamento sociale.
In questo capitolo, a integrazione di quanto già presentato e discusso, illu­
striamo una serie di strategie didattiche che hanno dimostrato interessanti
possibilità di facilitazione degli apprendimenti, sia di tipo cognitivo che socia­
le e die, pertanto, risultano sicuramente centrali nella prospettiva dell’inclu­
sione che stianioì sviluppando. In concreto prendiamo in considerazione:
• le strategie visive e l’uso delle agende figurate e scritte;
“ le modalità per rendere esplicite le regole sociali;
• le strategie di; autoregolazione per facilitare la pianificazione di azioni in
funzione di obiettivi particolari.

La trattazione operativa su queste strategie specifiche sarà preceduta da


.un’analisi di alcuni principi metodologici di fondo, che rappresentano i rife­
rimenti per poter opportunamente organizzare ogni intervento educativo
rivolto, ad allievi affetti da sa. ‘ .
- " ~J ... re
... ' d’; ■. tf/. ;

ri.-i. L’insegnamento ad allievi con sindrome di Asperger:


alcuni richiami metodo logici s-.--.

. Senza ribadire argomentazioni già affrontate nel corso del lavoro, mi sembra
comunque fondamentale richiamare sinteticamente alcune questioni di
metodo che, pur essendo comuni, almeno in parte, anche ad allievi con livel­
li di funzionalità più bassa, assumono in questo caso una valenza del tutto
specifica. In concreto, ritengo che l’approccio educativo con allievi che
presentano sa debba considerare queste esigenze particolari:
• dare stabilità;
• comunicare e’rapportarsi adeguatamente;
• rendere esplicite le regole sociali;
• insegnare lejstrategie di pianificazione e problem solving.

Dare stabilità ovvero ridurre le sorprese

Anche l’allievo con sa, come accade per tutti i bambini che rientrano nello
spettro autistico, ha bisogno di stabilità e prevedibilità, sia nell’ambiente che
nelle attività. ।

304
11. metodologie di lavoro per allievi con sindrome di asperger
I

Di fronte a una situazione percepita come caotica appare quasi una logica
conseguenza che i’individuo ricerchi punti di riferimento chiari e definiti. A
conferma di questa tensione verso la stabilità e prevedibilità, riporto alcuni
resoconti derivati rispettivamente dalle autobiografìe di persone con sa: Jolif-
fe (Joliffe, Lakesdown, Robinson, 1992, p. 15), Gerland (1999, p. 49) e Barron
(Barron, Barron, 1994, p. 21), che appaiono molto significativi al riguardo:

Ho passato gran parte della mia vita da sola nella mia stanza ed ero felice quando
la porta era chiusa e restavo da sola. Mi mettevo, e lo faccio ancora, un grande
lenzuolo scuro sulla testa. Questo desiderio aumenta quando sono con estranei e
in un ambiente non familiare. Farlo mi fa sentire molto più al sicuro. [...] Gli esse­
ri umani sono complicati da capire, perché non si deve affrontare solo il problema
di vederli. Si muovono quando meno te l’aspetti, fanno rumori di tutti i generi e,
in più, fanno un sacco di domande sul tuo conto, assolutamente impossibili da
capire. Non appena cominci a pensare che stai capendo come funziona, ecco che
succede qualcosa che cambia tutto.

Non mi piacevano le sorprese, mai. Non volevo essere presa di sorpresa. Se vole­
vo avere la possibilità di risolvere una situazione, non dovevo incontrare gli
imprevisti. Potevo essere felice dì ricevere dei regali, jtna non sopportavo di non
sapere in cosa consistessero. Per questo motivo il mio regalo preferito era quel­
lo che ricevevo ogni Natale.e che potevo riconoscere facilmente dal pacchetto.
Riconoscevo da lontano il pacchetto quando stava sotto l’albero, la forma non
poteva ingannarmi. Inoltre, dato che il contenuto mijpiaceva, sicuramente quel
regalo stava lì Natale dopo Natale. Era un grande barattolo di ananas. Se avessi
potuto avrei vissuto solo di ananas e ogni Natale ne ricevevo un barattolo intero
tutto per me. '
'4

Mi piaceva la ripetitività. Quando accendevo la luce.sapevo che cosa sarebbe


successo: se giravo l'interruttore la luce ci accendeva e questo mi dava una bellis­
sima sensazione di sicurezza, perché avveniva sempre la stessa cosa. A volte
c’erano due interruttori e questo mi piaceva ancora dj più, perché mi chiedevo
quale luce sarebbe accesa schiacciando i due pulsanti. Ahche quando lo sapevo era
eccitante farlo ripetutamente. Era sempre lo stesso. Le persone mi annoiavano
perché non sapevo a che cosa servissero e che cosa mi avrebbero fatto. Non erano
mai le stesse e non provavo alcuna sicurezza a stare coti loro. Persino una perso­
na che era sempre carina con me poteva essere diversa ■qualche volta.

305
l'autismo a scuola ■

La ricerca di una stabilizzazione e di una prevedibilità delle situazioni si


connette ai principi delTinsegnamento strutturato di cui abbiamo parlato a
più riprese, soprattutto in riferimento all’approccio teacch (Schopler,
Mesibov, 1992). Come vedremo in seguito, dal-puntoceli vista didattico gran-
*
de interesse rivestono le strategie visive, che hanno portato all’elaborazione
di calendari e agende personalizzate, le quali si sono rivelate eccellenti ausili
per aiutare gli allievi a organizzare la loro vita e a comprendere più facilmen­
te il concetto di successione del tempo. *■

Comunicare e rapportarsi adeguatamente


!I
La prima regola di fondo per comunicare efficacemente con un allievo che
presenta sa è quella di non dare mai per scontata la sua comprensione del
linguaggio: il vocabolario evoluto di molti allievi, le loro eccellenti abilità di
decodifica della lettura e la loquacità che spesso dimostrano possono portare
a sopravvalutare le capacità à livello di linguaggio recettivo, che spesso risul­
tino essere, invece, conslsteritemente compromesse (Klin et al., 1995).

Quando ero molto giovane, ni) ricordo che il linguaggio sembrava non avere
maggiore importanza degli aljtri suoni. Ho cominciato a comprendere qualche
parola isolata quando ho potuto vederle scritte. Il suono delle parole era così confu­
so e la gente si aspettava che io comprendessi il linguaggio. Talvolta io so nella
mia testa quali sono le parole, quello che voglio dire, ma finisco per confondere
sempre i nomi di oggetti vicini; come "sandali" e "scarpe”, “coltello" e “forchet­
ta", "vestito" e "gonna". Mi è difficile ripetere le parole con suoni similari. Le perso­
ne non sembrano affatto rendersi conto che quando parlano ci sono in ogni frase
delle parole’che faccio fatica a comprendere. Ma con un certo sforzo, posso arriva­
re a indovinare queste parole, aiutandomi con il contesto della frase.
j i
Questo brano, tratto da una lettera dì una giovane autistica che non si firma
riportato dalla rivista “ Co mimmi cation” (Schopler, Mesibov, i995a), mette
in evidenza le difficoltà fonologiche cui sovente vanno incontro gli individui
con autismo, anche di alto livello.
Le persone con SA, inoltre- tendono a interpretare letteralmente tutto ciò
che dicono gli altri, senza filtrare le parole udite alla luce delle intenzioni
comunicative dell’interlocutore. Gerland (1999, p. 72) descrive in maniera
molto eloquente questa caratteristica che ha portato Uta Frith (1989) a

306
I
11. METODOLOGIE 01 LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME Di ASPERGER

etichettare i soggetti autistici come “comportamentisti”, cioè legati al signi­


ficato concreto delle cose: I ;
1 !

Mamma diceva che la facevo impazzire; il mio rifiuto di mangiare e Ife mie idee la
facevano impazzire. Potevo dire di volere qualcosa e.poi rifiutare di mangiarla. Però
non capivo, lo potevo rispóndere “sì" a una domanda senza pensare a Ile conse­
guenze. Le mie risposte erano concrete. "Puoi...?" rispondevo cori un "sì" che
voleva dire "sì, posso...".^Che quel “sì" potesse significare anche ‘/sì, voglio..?’
oppure "sì, devo..?', mi sembrava’strano. Dicendo “sì, posso" intendevo dire quel­
lo e nient’altro. Quindi, gli effetti del mìo “sì, posso” alla domanda ‘‘puoi mettere
in ordine la tua stanza?" non erano quelli sperati. Non capivo assolutamente
perché si arrabbiassero tanto; era come se avessi dovuto capire qualcosa che inve­
ce non avevo afferrato.

Alla luce di questa situazione, è molto importante impostare una comunicazio­


ne centrata sulT utilizzo di un linguaggio concreto, senza far ricorso a metafore
se non si è certi che siano comprese. Allo stesso modo, è fondamentale evitare
l’utilizzo di termini vaghi e poco ancorati al reale come, ad esempio, “forse”,
“più tardi”, “vedremo”, oppure domande del tipo “Perché fai quésto?”.
Per favorire la comprensione linguistica può risultare necessario, in molti
casi, scomporre 11 lavoro in unità più semplici, utilizzando anche movimen­
ti e parole scritte a supporto delle verbalìzzazioni.
Altra carenza tipica delle persone con Sa riguarda la difficoltà a inserirsi
in maniera opportuna in una conversazione e riuscire a sostenerla senza
interrompere con commenti spesso inopportuni o sovrapporsi agli altri
(Grandin, 1995I), pp. 91-a):

Negli ultimi due anni ho iniziato a rendermi conto di una specie di elettricità che.
passa tra le persone. Ho osservato che quando alcune persone si trovano insieme
e stanno bene, i loro discorsi e le risate seguono un ritmo. Ridono tutti insieme e
poi parlano tranquillamente fino al ciclo successivo di risate, lo ho serppre trovato
molto difficile inserirmi in questo ritmo e in genere finisco per interrompere le
conversazioni senza rendermi conto dell'errore che sto facendo. Il problema è che
non riesco a seguire il ritmo. ;

Va anche considerato che per l’allievo con SA può essere molto difficile dire
precisamente quando qualcuno sta scherzando, specialmente nel momento

307
l’autismo a scuola
■ !

in cui alcuni gesti, come ad esempio sorridere, ruotare gli occhi o alzare le
spalle, possono essere difficili da capire. Ai suoi occhi può sembrare che tutti
attorno sappiano come interpretare le cose e cosa dim quando qualcuno sta
scherzando, mentre lui non riesce a fare altrettanto; a vòlte questo conduce a
grandi malintesi e possibili reazioni comportamentali inadeguate. Esiste
nell’allievo coni sa una particolare debolezza nel percepire e comprendere
informazioni sociali, un’incapacità a coordinare ciò che indicano le espres­
sioni facciali, il -linguaggio del corpo, il tono della voce ecc. Spesso sono in
grado di ricordare quello che accade in situazioni osservate o nelle interazio­
ni da persona a-persona, ma sono invece incapaci di riconoscere quello che
le persone sentono o perché le stesse reagiscono in un determinato modo.
Per quanto riguarda l’approccio educativo, va sottolineata l’inutilità di
molte posizioni aprioristicamente inflessibili, che gli insegnanti possono
assumere per affermare il proprio ruolo. Gli allievi con sa spesso non
: comprendono, le manifestazioni rigide di autorità e di rabbia e possono essi
stessi diventare rigidi e testardi se affrontati con la forza. II loro comporta­
mento può rapidamente degenerare e, se questo succede, è sicuramente
meglio per gli educatori distaccarsi e lasciar raffreddare le cose. E sempre
preferibile, quando possibile, anticipare le situazioni e agire in modo preven­
tivo per evitare lo scontro attraverso la calma e la negoziazione, presentando
; scelte alternative o distrazioni.

Rendere esplìcite le regole sociali


1 I ;
■ !
L’insegnamento delle regole sociali rappresenta un punto nodale assoluta-
mente strategico di ogni curricolo educativo per allievi con sa, in quanto,
come soccolineato, in questo ambito le difficoltà sono particolarmente signi­
ficative. Infatti,ila carenza nel capire le regole sociali, perché non fissate una
volta per tutte, ma diverse a seconda della situazione che ci si trova a vivere,
è una delle principali cause denunciate dalle persone con SA che si frappon­
gono alla costituzione di solide relazioni. Rispettivamente, nelle biografie di
Joliffe (1992, p.jjz) e Grandin (i99$b, p. 63) si legge:
1
Trovo molto difficile capire le situazioni sociali e posso superare tale problema solo
se ogni minimo passo, regola e idea mi vengono scritti e numerati in sequenza, in
una colonna che'devo guardare e riguardare molte volte per impararla tutta. Ma
anche in questo modo non ho alcuna garanzia di sapere sempre come, quando e

308
il. METODOLOGIE DI LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME D! ASPERGER
I
I
i
dove applicare le regole, perché il contesto, che è sempre diverso da quello in cui
le ho imparate, mi confonde.
La vita è sconcertante, una confusa interazione fra’ una massa di persone, fatti,
cose e luoghi senza alcun confine; La vita sociale è difficile perché non sembra
seguire uno schema. Quando mi sembra dì aver cominciato a capire un'idea, se le
circostanze cambiano anche solo leggermente, all'improvviso quell'idea non
sembra più seguire lo stesso modello. Mi sembra che disia sempre troppo da impa­
rare. Gli autistici si arrabbiano moltissimo perché la frustrazione di non riuscire a
capire correttamente il mondo è terribile. A volte è veramente troppo!

Urlavo ogni volta che la logopedista puntava l’indice verso di me. Avevo paura
perché a casa mi avevano insegnato che non bisognaìmai rivolgere un oggetto a
punta contro qualcuno. Avevo paura che la logopedista mi cavasse un occhio.

A questo proposito va detto che l’approccio da privilegiare non è quello di


un semplice inserimento in situazioni interattive, sperando nelle possibilità
dì acquisizione per imitazione. Al contrario, c'è là necessità di insegnare
queste competenze in modo esplicito, spesso in riferimento alle singole situa­
zioni senza fare troppo affidamento sulle capacità di generalizzazione. Come
vedremo, esistono alcuni approcci di estremo interesse, che stanno determi­
nando risultati sicuramente confortanti. [
L’importanza di questi training è legata anche alla constatazione, che risalta
dalla ricerca e dai resoconti di persone con sa (per una rassegna, si veda Klin,
Volkmar, 1977), di come la maggior parte degli allieti con sa vorrebbe instau­
rare relazioni, senza sapere concretamente come fare. Jim Sinclair (Schopler,
Mesibov, 1992, p. 128), con un’analisi pungente, rivòlge critiche alla pretesa di
interpretare i suoi sintomi come derivati da una scelta di isolamento effettuata
in modo anche inconsapevole da parte della personal:

i
Che i miei problemi di comunicazione e interazione risultino da mìe scelte, consce
0 inconsce; che se io fallisco è perché non ho vogliaci riuscire; che se riesco è
perché infatti avrei potuto farlo fin dall’inizio, rappresentano idee preconcette che
possono fare molti danni. Ho letto parecchie cose sul modo in cui le teorie psico­
dinamiche fanno ricadere la colpa sui genitori e li feriscono attribuendo l'autismo
a delle turbe emotive. Esse non riescono ancora a fare tanto male ai genitori, quan­
to ne fanno alla vittima allorquando dicono che un bambino sceglie di diventare
autistico. =

309
l'autismo a SCUOLA j

;L j . ■. ,
Quando si avvicinano all’adolescenza sperimentano spesso, ]5er i motivi
evidenziati,, una tendenzajallo scoraggiamento, al negativismo e, qualche .
volta, alla depressione, come risultato della sempre maggiore consapevolezza
del deficit personale rispetto alle situazioni sociali e delle ripetute esperienze
di fallimento nelTinstamaiìe e/o mantenere rapporti.
Un aspetto importante jjer affrontare queste situazioni è rappresentato sicu­
ramente dal coinvolgimento attivo dei compagni nel processo educativo. La
conoscenza del deficit sviluppata in classe, ad esempio, può rappresentare un’ot­
tima modalità per comprendere le intenzioni sociali del compagno e soprattut­
to per evitare atteggiamenti errati nei confronti di comportamenti che fanno
parte del disturbo: sfuggire al contatto oculare, parlare da solo, mancare di
rispetto agli altri, ripetere parole e frasi, innervosirsi per il rumore, perseverare su
interessi particolari, arrabbiarsi per ogni cambiamento e cosi via. Quando
queste azioni non sono messe adeguatamente In campo, non sono infrequenti,
purtroppo, situazioni di scherno e derisione che possono essere fonte dì ansia e
compromettere ulteriormente le prospettive di interazione sociale.

y .Insegnare le strategìe di pianificazione e problem solving


A-— - ■ ■ • t ............. ■... ....... - “ *
i

Soprattutto le ricerche del gruppo di Qzonoff (Ozonoff, Pennington,


Rogers, 1991; Harris, 1993; pzonoff, 1997,1998), di cui abbiamo parlato nel
capitolo 1, mettono in evidenza che gli individui con disturbi dello spettro
autistico, anche a elevata funzionalità e con sindrome di Asperger, presenta­
no segni di defìcit_ajiyello delle funzioni esecutive superiori, con particola­
re compromissione di quelle della flessibilità e della'piahifìcazi one/orga-
nizzazìpne. <
Tali deficit si traducono, chiaramente, in vari problemi all’interno della
scuola. Molti allievi con sa hanno difficoltà a organizzarsi e autoregqlarsi
nella classe; di conseguenza non riescono a portare a termine le attività in
tempo, esibiscono comportamenti estranei al compito e non portano a casa
cj.ò_xh^Aeix£Jnr£Lpe£_fare iicpmpitL L’allievo, in molte circostanze, non è
capace di distinguere i compiti importanti dai dettàgli ìrrilev^iti e di distri­
buire 11 tempjxed&.eaer.gie4à^modo..adeguato, restando di fatto intrappolato
in operazioni ripetitive e controproducenti.
Le difficoltà di autoregolazione, selezione degli obiettivi, controllo atten-
tivo e spostamento dell’attenzione possono portarlo'a fantasticare o a lasciar- ,
si prendere dai suoi pensieri e,processi interiori. La rigidità delle strategie di -,

310 ì .... ■■
I ■ ■ ;
li. METODOLOGIE D! LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER

soluzione dei problemi che caratterizza gli individui con SA incide nelle
prestazioni scolastiche, anche quando la motivazione e le abilità cognitive
sono elevate. Williams, (1996, p. 222) ricorda che non riusciva a comprende­
re i procedimenti della matematica fino a quando non aveva visto il profes­
sore scrivere ogni passaggio alla lavagna: «Se manca anche solo un passaggio
poco importante, il pensiero si interrompe». i
Tali difficoltà, che si manifestano frequentemente anche a;casa e in altri
ambienti, compromettono pesantemente la possibilità di -adattamento
nell’ambiente e richiedono interventi .specifici.peumigllorare.la flessibilità
cogmriva e apprendere specifiche strategie di_problern.solying.l Va tenuto in
considerazione, nell’impostazione dei programmi educativi, che molti allievi
con sa sembrano privilegiare modalità di pensiero visivo e che quindi posso­
no trovarsi a disagio con una organizzazione della didattica centrata sulla
tradizionale modalità trasmissiva di tipo verbale. Grandin (1995^ P..148), a
questo proposito, ha chiarito In modo assolutamente preciso questa tenden­
za che caratterizza totalmente il suo modo di pensare e rapportarsi ai compi­
ti cognitivi:

Pensare con il linguaggio e le parole mi è estraneo, lo penso interamente per


immagmL È come guardare nella mìa immaginazione una se ri é:di videocassétte
sullo schermo di un videoregistratore. Ho progettato in questo modo grosse strut­
ture per bovini in acciaio e cemento, ma ricordarsi un numero di telefono 0 fare
delle somme a mente mi.risulta ancora difficile. Devo scriverle. Ogni informazione
che ho memorizzato è visiva. Se devo ricordare un concetto astratto io “vedo" la
pagina del libro 0 i miei appunti nella mia testa e "leggo" le informazioni da questi.
Le melodie sono l'unica cosa che riesco a memorizzare senza ricorrere a un’im­
magine visiva Anche quando penso a un concetto astratto, cornei rapporti con
le persone, uso immagini visive, come quella dì una porta di vetro’scorrevole. È
necessario cominciare un rapporto con dolcezza’perché, se ci si precipita troppo
rapidamente in avanti, si rischia di mandare la porta in frantumi. I

• i

11.2. Le strategie visive e l’uso di agende 5

Come messo in ri$altot a più. riprese, le comp_ecenze di tipo yisuo-spaziale


rappresentano un punto di forza per gli allievi con autismo, anche per quel-
. li con livelli di funzionalità molto elevati e cotTsa, i quali manifestano soven-

■I ■ 311
i ■ ' ■ ' i
■ I .
!
. l'autismo a scuòla

te difficoltà neU1 elaborazione degli stimoli verbali. Le immagini e le comu­


nicazioni scritte, pertanto, possono essere di supporto nell’esecuzione di
compiti che richiedono sequenze e favoriscono l’auto monitoraggio del
:S
’Bes
comportamento; è com£sefacessero le veci di una delle funzioni che alle
persone a sviluppo tipico consente, a livello psicologico, di pianificare e ’
controllare, ovvero \[^dialopvinterno. In altri termini, le immagini e le paro­
le scritte, se opportunamente costruite e organizzate, possono diventare una
sorta,di,<?rte;d<3£interno, un facilitatore in grado di ridur­
re un deficit, che rende diffìcile alfa persona dirsi ciò che deve fare e con
quale sequenza e come deve comportarsi nei diversi contesti.
In concreto, l’utilizzo di immagini e di parole scritte, nella forma di agen­
de personalizzate o calendari, può promuovere la costruzione di routine in
grado di supportare Fallieyp^nel comprerideremegliq jl funzipnamentp,della
sua classe e quindi a trascorrere la giornata con maggior indipendenza. A
questa metodologia di lavoro si è già fatto cenno parlando dell’ o rganizzazio-
ne (seconda parola chiave, p, 131), cioè della necessità di aiutare gli allievi a
capire la successione degli eventi e a costruire routine sistematiche in. grado
clf canalizzare in atti produttivi i comportamenti .personali. Ad esempio, si
possono creare routine relative alle abilità di vita quotidiana (appendere il
cappotto quando si arriva, sedersi nel proprio banco, lavarsi le mani prima
del pranzo), alle modalità di svolgimento deljayom (mettere il lavoro finito
in una scatola sopra la cattedra), all’autonomìa (andare in bagno, sedersi sul
WC, srotolare la carta e pulirsi, lavarsi le mani), all’interazione sociale (gioca­
re con un compagno per i primi 5 minuti della ricreazione e poi dedicarsi
all’attività preferita) e altre ancora.
Con allievi che presentano sa, la composizione e l’utilizzo delle agende
personalizzate può diventare più sofisticata e comprendere non soltanto
l’elenco delle attività da svolgere, ma anche informazioni sui quando e come
devono essere effettuate, su quali sono le principali regole sociali da seguire,
su come interagire con gli educatori e con i compagni. Ogni attività prevista
nell’agenda viene barrata una volta che errata effettuata, in modo da avere
sempre presente la sequenza delle azioni ancora da condurrei
*
'' “
nfisulfàùnolfo utile prevedere nelLagendà' ancdie ¥imprevisto, con uno
spazio vuoto che può essere riempito con la nuova situazióne quando si
determinano delle modifiche nel piano previsto. In questo modo l’allievo è
consapevole da subito del fatto che potrebbero esserci delle variazioni nelle
sequenze di attività preventivate.

312
11. METODOLOGÌE Dì LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER

Scheda 11.1. L’agenda deila settimana di Filippo

Lunedì mattina ■ /----------

Attività Con chi Devo ricordami ; ( imprevisti } Fatto lL


Ore 8-45 Maestra Anna Devo leggere a voce alta S
Lettura e scrittura Maestra Paola solo quando lo dice la
maestra. Se voglio !
parlare alzo la manp.

frf1 ÌB8

Ore 10.00 ‘ Da solo Non devo parlare a voce


Lavoro al computer alta. !
in classe

Ore ii.oo Tutti insieme nella Sto 5 minuti con gli altri
Ricreazione classe poi posso sfogliare lè mie
riviste. ;

Ore 11.30 Maestra Marta ' Non mi devo alzare da! Oggi viene la
Matematica Maestra Paola banco senza chiederlo. supplente di
matematica

Ore 12.30 Maria viene con me. Dare la mano a Maria per
Si torna a casa salire sul pulmino. ,
con i! pulmino

313
(.'AUTISMO a scuola !
1 '
Nella scheda 11.1 è riportata l’agenda settimanale di Filippo, che presenta
appunto queste caratteristiche. Il livello elevato di funzionalità dell’allievo
rende possibile associare immagini e scritte e prevedere anche delle?regole
comportamentali. <
Oltre alle agende e.ai calendari che danno informazioni all’allievo sulle
attività da eseguire e sulle modalità corrette per portarle a termine, le strate­
gie visive possono rappresentare un veicolo interessante anche per ottenere
' informazioni.- Molto spesso si incontrano difficoltà ad avere notizie sulla vita
personale dell’allievo, sulle sue esperienze, sulle cose che gradisce particolar­
mente ecc. Una metodologia efficace a questo fine è rappresentata dai cpsjfl-
jletti (Hodgdon^ 199 j), utili per insegnare agli allievi a fornire
informazioni su sé stessi e sulle esperienze vissute.,‘Possono rappresentare
anche dei veicoli per stimolare forme di scelta in funzione delTautodetermi-
ì
nazione. v i
i

Figura 11.1. I ponti visivi per aiutare Filippo a raccontare la sua domenica

DoMEfJIC/i ’

3U
11. METODOLOGIE DI LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER

Si tratta dì schede visive nelle quali sono raffigurate varie.situ^ionì, che


l’allievo deve scegliere per raccontare quello che ha fatto con un criterio logi­
co o per operare delle scelte in funzione di specifici risultati attesi. Nel
momento in cuiTallievo non riesce a comunicare tutto ciò spontaneamente,
i “ponti” funzionano come aiuto allo scambio di informazioni ;ra due o più
ammanti (ad es. ottenere notizie da parte degli insegnanti su quello che ha
fatto accasa o, al contrario, da parte dei genitori sulle attività svolte a scuola).
Nella figura 11.1 si illustra un esempio di acquisizione di notìzie da parte
dell’insegnante sulle attività effettuate da Filippo la domenica, i

i
(I
11.3. Rendere esplicite le regole sociali ‘
* ! M**. b*** >
ì

Insegnare abilità sociali che consentano agli allievi con disturbo autistico di
destreggiarsi adeguatamente nelle situazioni interattive è estremamente
complesso, anche quando gli stessi presentano un elevato livello di funzionali­
tà. Si tratta, infatti, di una serie di competenze che nello sviluppo tipico vengo­
no apprese in larga parte in maniera intuitiva,..attraverso il co.ihvolgimento
diretto in attività duali. ,q di.gruppo e l’analisi dei feedback e delle gratificazio­
ni associate a certi comportamenti.che sf^sumono. Con gli allievi con sa,
invece, non sì può far riferimento al curricolo implicito e le situazioni sociali
vanno adeguatamente progettatelemonirpratg,.al fine di consentire loro di
acquisire delle.abilità dr autogestione,. Presentiamo di'segdìtKtm'modàKtà
didattiche per cercare di rendere al massimo esplicite le regole sociali:
• le storie sociali; ' - - • ■ ’ y/
• le conversazioni con i fumetti; ■
• il quaderno delle regole. ।

Le storie sociali * ;
1
Le storie sociali proposte da Ggag (1998, 2000, 2006) cercano di .portare un
aiuto per comprendere le situazioni sociali, attraverso l'adozione di un
approccio metodologico centrato sulPapprendimento visivo,
In concreto, una storia sociale è una breve storia scritta in un formato
specifico per l’allievo, che descrive una situazione sociale, una persona,
un'abilità, un. eventqo un concerto in termini di guide rilevanti o di risposte
sociali adeguate. Ogni stòria sociale Ka il fine di insegnare agli allievi a gesti-

; ' 315

i ■.
l'autismo a scuoia

re il loro compórtament^durante..ujia>skuazÌQne. .interattiva, descrivendo il


luogo in cui l’attività si svolgerà, quando, cosa accadrà, chi parteciperà e-
pierché ci si dovrebbe comportare in un determinato modo.
I contenuti e le forme delle storie sociali devono essere adattati all’età e
alle condizioni degli allievi; inoltre è importante che descrivano eventi e
contesti in forma oggettiva, tralasciando i particolari irrilevanti. Le storie
sociali si costruiscono utilizzando una combinazione di quattro tipi di frasi,
ognuna delle qùaii svolge una funzione diversa:
• le fr^ddescrìuwé, che illustrano cosa fanno lè persone in una determina­
ta situazione, perché lo stanno facendo, quando e dove l’evento si svolgerà e
da chi sarà condotto;
• le frasi prospettiche, che presentano Ì pensieri e i sentimenti di altri indivi-
dui. Queste frasi possono essere correlate alle conseguenze perché descrivono
come può reagire un altro individuo quando la persona con autismo manife­
sta il comportamento;
3 le frasi direttive, che stabiliscono gli scopi della storia, mettendo in
evidenza le risposte che il bambino dovrebbe fornire nel corso di una situa­
zione;
• le frasi di controllo, che vengono scritte dall’allievo per evidenziare le stra-
.regie da utilizzare per ricordare le informazioni delia storia, per stare tranquil­
lo o decidere come comportarsi. Al contrario delle frasi direttive, quelle di
controllo permettono di monitorare il proprio comportamento, individuan- :
do autonomamente delle strategie per affrontare le situazioni problematiche.

Gra%_b.a_elaborato una serie di linee guida per f elaborazione delle storie


sociali che prevedono di:
• scrivere una storia dalla prospettiva dell’allievo con autismo;
• tmlìzzài^un'a'cdmblriaziorié df frasi désarittiveLprospettrche e direttive;
'• prevedere una"pf6p~brziorié''cHe comprenda una frase direttiva ogni
due/cinque frasi descrittive e/o prospettiche.

Le storie sociali hanno la prerogativa di fondare la propria pretesa di efficacia


su una caratteristica che gli allievi con autismo manifestano: quella di aderi­
re rigidamente alle routine. La storia sociale, a questo proposito, può servire
per stabilire una regola che l’allievo potrà poi applicare alla situazione reale.
Oltre a basarsi sii questo punto di forza, il formato di una storia sociale può
essere meno intrusivo di trattamenti alternativi per i deficit delle abilità

316
METODOLOGIE DI LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER
11.

sociali: presentando le istruzioni in forma scritta, l’aspetto, sociale del fornire


istruzioni è minimizzato e può ridurre il comportamento eversivo provocato
dal fatto di ricevere istruzioni. Quindi una storia Sociale può permettere a un
allievo di ricevere regole che controllano il comportamento sociale in modo
da massimizzare la probabilità che possa trarre il massimo benefìcio dalle
istruzioni (Scattone 2002; Smith, 2003). ;
Dal punto di vista operativo è importante che l’adozione della metodolo­
gia delle storie sociali sia condivisa e supportata da tutte le figure che intera­
giscono con l’allievo, in modo da poterla presentare in vari contesti e
controllare la generalizzazione dei comportamenti sociali. Il fatto di ascolta­
re la storia da varie persone significative, infatti, dimostra all’allievo che tutti
dispongono delle stesse informazioni e conferisce alla storia una valenza sicu­
ramente maggiore. . :
Nella scheda 11.2 viene presentata una storia sociale pensata per Filippo

'---------------------
Scheda 11.2. Una storia sociale per Filippo: come comportarsi quando
si tagliano le unghie . 1

Perché si devono tagliare le unghie ì


!
Le unghie crescono in continuazione i
e anche motto velocemente. :
Quando sono lunghe bisogna tagliarle.

Anche la mamma taglia spesso le unghie con le forbici.'.


Quando lo fa non urla. , ;

La mamma è molto brava a tagliare


le unghie. 1
Quando mi taglia le unghie non mi j
fa male. ;
Devo cercare di ricordarmi che, !
quando la mamma mi taglia le unghie, ■
posso stare tranquillo. . *

3X7
l'AUTISMO A SCUOLA j
?

in riferimento a ima delle situazioni più problematiche che si trova a vivere:


il tagliarsi le unghie. f \

Le conversazioni con i fum etti ;


i
Un’ulteriore strategia elaborata e presentata da Gray (2000) è quella deno­
minata conversazione con i fumetti. È una modalità che utilizza disegni,
simboli e colori per illustrare concetti astratti, idee particolari all’interno di
determinate conversazioni. Queste conversazioni sono utili quando una
certa situazione è fonte di difficoltà, quando occorre chiarire una realtà
nuova 0 spiegare il comportamento di altre persone.
Le conversazioni con i filmetti favoriscono la comunicazione, quando
questa è difficoltosa secondo -i normali canali comunicativi. Munite di colo­
ri e fogli di carta, le persone, (mentre parlano, disegnano. E un modo questo
per aiutare gii allievi che non Riescono a capire i rapidi scambi di informazio­
ni in una normale conversazione. In tale maniera il tutto avviene piu lenta­
mente ed è più facile concentrare l’attenzione sulle informazioni rilevanti.
Le comunicazioni con i fumetti agevolano la conversazione soprattutto
nei casi in cui vi siano difficoltà nelTutLizzo dTaltri canali comunicativi e
spesso si concludono con nupve rappresentazioni gràfiche di possibili solu­
zioni alla situazione di partenza.
È molto importante che i disegni siano semplici, rappresentativi e che
non contengano particolari non indispensabili. A volte allievo ed educatore
mettono a punto insieme dei dizionari dei simboli più ricorrenti che posso­
no essere continuamente aggiornati con l’aggiunta di nuovi disegni. Signifi­
cativo è l’uso e ia funzione del colore che non viene utilizzato come decora­
zione, ma che svolge un ruolo molto importante: esplicita in modo visìvoj_
contenuti emozionali e gli staiti d’animo dei personaggi che partecipano alla
conversazione. ÀcTesempio, ^arancione può indicare delle domande, il gial­
lo la sensazione. di essere spaventato e la combinazione di più colori può
rappresentare la confusione. (
Le conversazioni con fumetti permettono all’allievo di analizzare e
comprendere la gamma di messaggi e significati che sono una parte naturale
delle conversazioni e dei giochi. Molti allievi con sa,'ad esempio, non capi­
scono il sarcasmo o quando vengono presi in giro e sin {fendono facilmente.
1 fumetti di parole o pensieri,; come anche la spèlta di colorì diversi, possono
descrivere i messaggi nascosti e facilitare la cqjfnprensione di tali elementi
(Attwood, 1998, 2007). ’ ’ i • .

318 ?
11. METODOLOGIE DI LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI-ASPERGER
i 1

Nella scheda 11.3 è riportala una breve striscia di conversazione con


fumetti utilizzata con Filippo allo scopo di far comprendere i turni delia
conversazione. ' f ■
' ■
ld____________________________________________ •_______
/ : : ~
Scheda 11.3. Conversazione con fumetti per capire i turni nella conversazione

1a L'insegnante parla e Filippo deve ascoltare. ’


ib L'insegnante finisce di parlare. .
ic Ora Filippo può parlare e l'insegnante ascolta. j

za L’insegnate parla' e Filippo interrompe prima che abbia finito. I


2B Due insegnanti parlano e Filippo interrompe. i
2c Tutti parlano insieme e nessuno capisce; C'è solo rumore. !

, 1
// quaderno delie regole । .

Come detto a più riprese, per gli allievi con sa il mondo sociale q per larga
parte imprevedibile; essi inoltre possono avere difficoltà ad applicare nelle
interazioni quotidiane della vita reale la loro comprensione intellettuale del
comportamento sociale appropriato. Non sorprende, quindi, ch'e per loro
possa essere, utile e rassicurante disporre di indicazioni esplicite riguardo alle
aspettative degli altri. !

319
l'autismo a scuola

Scheda n.ii. li Quaderno delle regole per Filippo

Mi chiamo Filippo,
frequento la quarta classe della scuola primaria.

Queste sono le regole per stare


nella mia classe.

Devo stare seduto al mio banco

fc
Devo fare i lavori che l'insegnante mi affida

Devo alzare la mano prima di parlare

Non devo disturbare i compagni che lavorano

• Fare il gioco al computer finito il lavoro. '


Se rispetto (e
—>. • Sfogliare le riviste dei camion finito il lavoro.
regole possp:
• Giocare con il cellulare finito il lavoro.
;

Se non rispetto • Mandarmi nell’aula di sostegno a completare il lavoro.


(e regola --- • Avvisare i miei genitori.
gli insegnanti • Informare il preside. .
possono^ • Non farmi andare in quinta classe.

320
11, METODOLOGIE DI.LAVORO PER ALLIEVI itON SINDROME DI ASPERGER

Le regole sociali vengono adeguatamente comprese e spesso messe in ano


con buona disponibilità quando sono comunicate ih mpdo chiaro e diretto,
preferibilmente utilizzando una forma scritta (se necessario supportata dà
immagini) che si mantiene' sempre dispÒmKilefiiel tempo.
Kunce e Mesibov (1998) elencano una serie dì suggerimenti per presenta­
re le regole agli allievi con sa; |
’ .e re£°le vanno individualizzate considerando le necessità, le difficoltà e
le conoscenze specifiche del singolo allievo; i
• è necessario tener conto, dgl livello generale di sviluppo dell’allievo, oltre
che della sua consapevolezza e del suo controllo del comportamento;
• le regole vanno scritte in modo neutrale, ma autorevole;
• le regole vanno ripassate frequentemente e in modo non punitivo, anche
diverse volte al giorno quando vengono" applicate per la prima volta;
* alla fine dell’elenco è possibile scrivere le conseguènze positive che saran­
no connessela! rispetto delle regole e quelle negative che conseguono al
mancato adeguamento a esse.

Il quaderno delle regole è un tentativo di rispondere JalP esigenza di disporre


di un prontuario di indicazioni sempre disponibile ejagevolmente consulta-
bile dall’allievo. i
Nella scheda 11.4 sono riportate alcune pagine di quello elaborato per
Filippo, limitatamente alle regole per stare in classe.(Tali regole, enunciate
nel quaderno a livello generale, vengono poi riprese anche nelle agende,
come illustrato nella scheda 11.1. '
Per concludere questo paragrafo sull’intervento finalizzato alla promozio­
ne di competenze sociali per vivere adeguatamente nel contesto della classe,
segnaliamo una sperimentazione che stiamo awiandb in questo momento,
finalizzata a indagare le potenzialità educative del training attraverso la real­
tà virtuale. Al momento non si dispone di dati a sostegno, mala prospettiva,
almeno dal punto dì vista teorico, è sicuramente interessante per le ricadute
sul piano operativo che potrebbe determinare.

11.4. Le strategie di autoregolazione

La capacità di pianificare sequenze di azioni, di modificarle in itinere in


modo flessibile ehi automoniro rare) il. pLoprio^ompòrtamento. è particolar­
mente compromessa in tutti gli allievi con autismo, anche in quelli con sa. Il

321
L'AUTiSMO A SCUOLA !
1
i

deficit a livello delle funzioni esecutive, di fatto, lì priva della struttura inter-.
na necessaria per fi organizzazione, la pianificazione e l’autoregolazione o
perlomeno ne rende problematico il funzionamento.
Per ovviare a questa càrenza sono state proposte varie metodologie di
lavoro educativo. Alcune dì queste fanno riferimento all’utilizzo di agende o
calendari per pianificare le sequenze e le attività. Come abbiamo già sottoli­
neato, la strutturazione visiva può facilitare un funzionamento più indipen­
dente sotto il profilo dei processi cognitivi superiori, in quanto fornisce una
struttura esterna che può in qualche misura vicariare i deficit di pianificazio­
ne autonoma. |
Un altro intervento molto interessante è il videornodelinp (Bellini, Akullian,
2007; Darden-BrunsoneM/., 2008; Alien, Wallace, Renes, 2010), che consiste
nella predis.posizione di filmati nei quali i protagonisti affrontano situazioni
che richiedono una specifica pianificazione, elencando e dimostrando le diver­
se azioni necessarie. Gli allievi con sa chiamati a ripetere le azioni risultano
facilitati dalla visione ripetuta dei filmati e dalle.verbalizzazioni,chej.personag.-
gi mettono, in atcq. Molto jutili a livello scolastico risultano essere le situazioni
che vedono ì compagni di|classe fungere da modelli nei video.
Il tentativo di passaggio da una forma di controllo esterno, come quello
che si ha con le agende 0 il videomodeling, a modalità di controllo autonomo
è sempre da stimolare con}allievi ad alta funzionalità e con sa. A questo livel­
lo assume una rilevanza denteale la strategia cognitivo-comportamentale di
autoregolazione- Vari studi hanno dimostrato che con questi programmi le
persone con autismo possono effettivamente moni co rare il proprio funzio­
namento, riducendo. i comportamenti .indesideraci e aumentando le "abilità
(per una rassegnasi veda Kunce, Mesibov, 1998). I programmi di autorego­
lazione possono essere particolarmente utili perjnsegnare ad applicarsi e a
mantenere il comportamento sul compito. Darsi delle autoistruzioni prima
di iniziàrefiTn compito del tipo:' "Ho tutto il. materiale che mi serve?”, “Ho
bisogno di altro?”, può migliorare le abilità di organizzazione e di soluzione
dei problemi. |
Presentiamo ora un percorso sperimentato a suo tempo con allievi affetti
da disabilità intellettiva (Cotxini, 2003a) è riadattato per rispondere alle
esigenze di allievi con sa. jale percorso, finalizzato a favorire fórme di auto­
regolazione autonoma, è centrato sulle strategie autoistruzione, automoni­
toraggio e atttorinforzamenio. I passi su cui si articola questa procedura meto­
dologica sono quelli indicati di seguito.
■ ì

322
11. METODOLOGIE DI LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER

i
• Identificare il comportamento desiderato. L’insegnante e l’allievo individua­
no congiuntamente il comportamento-meta, che può essere rappresentato
da un comportamento socialmente adeguato da promuovere o da uno
problematico dà contenere. Il comportamento, comunque, deve essere osser­
vabile e misurabile. i
• Individuare i rinforzi. L’insegnante aiuta l’allievo a scegliere le gratifica­
zioni che egli stesso assocerà al progressivo controllo del proprio comporta­
mento. È importante che i rinforzi siano prioritariamente di tipo naturale, ai
quali possono aggiungersi anche altre forme di rinforzo esternò, soprattutto
nei primi periodi di apprendimento. j :
• Definire la modalità di autovalutazione. L’insegnante insieme all’allievo
decidono le procedure grazie alle quali controllare il comportamento.
• Delincare le autoistruzioni. L’insegnante e l’allievo definiscono le autoi­
struzioni che dovranno guidare il controllo del comportamento. Queste
possono essere di tipo verbale, scritto o figurato. ■ ■
Insegnare ad autovdlutarsi. L’insegnante guida l’allievo ad automonitora-
re il proprio comportamento attraverso la modalità di raccolta dati decisa e
ad autorinforzare i propri progressi; ' :
• Generalizzare. L’insegnante controlla il percorso messo in atto dall’allie­
vo, allo scopo di verificare se lo stesso risulta capace di trasferitele modalità
di autovalutazione e di.autorinforzamento a situazioni di vita reale.

Nella scheda 11.5 è descritto un intervento di autoregolazione del comporta­


mento inadeguato di Filippo verso i compagni. ; '■

Scheda 11.5. Intervento-di autoregolazione del comportamento condotto


con Filippo ‘
1

Controllo la mia rabbia ! ;

L’insegnante di sostegno e Filippo discutono sul comportamento che Filippo manife­


sta in alcune occasioni di aggressione fisica nei confronti dei compagni L’insegnante
mette in evidenza che questo comportamento porta i compagni a staccarsi da lui e a
non ascoltarlo quando parìa di argomenti connessi ai mezzi di trasporti^. Concordano
insieme che è molto importante cercare di non aggredire quando si senfoarrabbiato.
Costruiscono un "termometro della rabbia”, sul quale Filippo può segnare il suo
stato di ansia. ;

323
Per circa un mese l'insegnante sviluppa un insegnamento sulla modalità di valuta­
zione della rabbia controllando alcuni indicatori (“lavoro tranquillamente”, “sudo”,
“mitremano le. rpani", “sento caldo”, “urlo",“colpiscoqualcuno") e collegandoli ai
livelli indicati nel termometro: "Sono calmo", “Sono teso”, “Sono nervoso", "Sono
arrabbiato".
Decidono insieme che quando la valutazione supera il livello di guardia identifica­
to con “Sono nervoso" ed entra nella dimensione del pericoloso, Filippo legge ad
alta voce l’autoistruzione scritta sul quaderno delie regole: “Quando sono nervoso
o arrabbiato sospendo l’attività, prendo una mia rivista e comincio a sfogliarla. Non
devo aggredirei miei compagni".
Se riesce a tornale alla calma senza aver aggredito nessuno, Filippo può continua-
; re a fare le sue attività preferite per 15 minuti. Deve comunque segnare su un’appo­
sita scheda il numero di episodi di aggressività.
■ Tutte queste prodedure sono scritte in un foglio attaccato sul pannello murale vici­
no al suo banco, dove è collocato anche lo schema visivo.
. L’insegnante inizialmente guida e supporta la procedura, con indicazioni verbali e
inviti a leggere le procedure e le autoistruzioni a metterle in pratica; Progressiva­
mente riduce il àuo aiuto controllando la capacità di Filippo di mettere in atto le
varie fasi della strategia. Anche gli insegnanti currìcolari e i compagni conoscono il
programma e danno indicazioni a Filippo quando necessario.

324
11. METODOLOGIE Di LAVORO PER ALLIEVI CON SINDROME DI ASPERGER

Concludiamo questo capitolo con il pensiero; di Jim Sinclair, un ragazzo


con sa che ha scritto un contributo di rilevante spessore nel libro di Schopler
e Mesibov (1992, p. 102) dedicato alla sindrome, il quale ci sembra indichi
perfettamente il percorso educativo da privilegiare con allievi che presentano
una così spiccata differenza, soprattutto di tipo qualitativo e che, come tali,
vanno sicuramente aiutati a comprendere il móndo e le persone per poter
interagire con esse, ma nello stesso tempo, vanno ^rispettati nelle loro partico­
larità: !

Quello che è normale per altre persone non è normale per me e quello che io riten­
go normale non lo è per gli altri. In un certo senso sono mal equipaggiato per
sopravvivere in questo mondo, come un extraterrestre che si sia perso senza un
manuale per sapere come, orientarsi. Ma la mia personalità è rimasta intatta. La
mia individualità non è danneggiata. Ritrovo un grande valore e significato nella
vita e non desidero essere guarito da me stesso, i
Concedetemi la dignità di ritrovare me stesso nei modi che desidero; riconoscete
che siamo diversi l’uno dall’altro, che il mio modo di essere non è soltanto una
versione guasta del vostro. Interrogatevi sulle vostre convinzioni, definite le vostre
posizioni. Lavorate con me per costruire ponti tra noi: [...] Ciò'di cui ho bisogno è
di un manuale di orientamento per extraterrestri. •
Quarta parola chiave: compagni ;

!
/ ' — -J 1
■ ; r
I
■ i

Pensando al titolo da date :al capitolo che affronta i temi di questa quarta
parola chiave è venuto in mente “Un compagno per amico”, perché sembra
sottolineare due elementi che riteniamo di fondamentale rilevanza.Infatti,
da un Iato enfatizza il ruolo davvero rilevante che ì coetanei debbono rivesti­
re nel processo di reale inclusione degli allievi con autismo nella scuola e nel
contesto sociale; dall’altro, rimarca come- questa risorsa abbia bisógno di
essere adeguatamente sollecitata per esprimere tutta la sua potenzialità. In
altre parole, non basta far parte semplicemente della stessa classe (tessere un
compagno di classe), ma è necessario diventare capaci di promuovere
concrete iniziative orientate in ambito assertivo e prosociale (assumere atteg­
giamenti da amico).
Per favorire tutto questo gli insegnanti sono chiamati a mettere in campo
specifiche procedure didattiche che concorrano a creare un clima realmente
inclusivo all’interno della classe, nel quale possano concretizzarsi condotte di
rispetto; considerazione positiva e aiuto nei confronti degli altri.
Di queste azioni metodologiche e didattiche si parlerà nel capitolo, facen­
do rimarcare come le stesse vengano di fatto ad assumere un ruolo rilevante
non solo per favorire l’integrazione dell’allievo con autismo o con qualsiasi
altra situazione di disabilità, ma anche per educare tutti aU’accettazióne della
diversità come valore, in qualsiasi forma la stessa si manifesti. E con la diver­
sità siamo chiamati a fare i conti tutti ogni giorno. I

! 327

j i
12. Un “compagno per amico”:
ovvero il percorso obbligato!
per l’integrazione ;

• / compagni spesso mi aiutano, ma non sempre riesco a ottenere un loro com-


volgimento spontaneo. Come posso fare per attivare armassimo questa risorsa?
* lo cerco di nascondere le difficoltà del mio allievo perfàre in modo che sia perce­
pito come gli altri dai compagni: faccio bene? !

Una risorsa fondamentale per favorire l’integrazione di allievi con bisogni ■


speciali nel contesto della classe è sicuramente rappresentata dai compagni. Il
loro coinvolgimento, fondamentale in ogni situazione, assume una valenza
ancora più rilevante quando1, ci si trova a interagire con allievi affetti da auti­
smo, per Ì quali, come è stato ripetutamente sottolineato nel corso del lavo­
ro, il percorso inclusivo è.quanto mai complesso e richiede primariamente
una capacità di adattamento del contesto alle esigenze degli allievi.
Come già evidenziato in alcuni lavori precedenti Co trini, zoozc, 2004,
2009), il supporto qualitativo che i compagni di classejsono in grado di forni­
re ai loro coetanei in difficoltà costituisce una condizione assolutamente
primaria per promuovere processi inclusivi, in grado di travalicare anche i
confini dell’istituzione scuola. I rapporti di scambio é la rete di amicizie che
si determinano nell’ambito della classe, infatti, tendono spesso a generaliz­
zarsi anche a contesti extrascolastici, determinando le condizioni per una più
facile integrazione sociale, ;
Questa considerazione, ormai da tutti condivisa, non deve far ritenere che
la risorsa compagni si possa attivare compiutamente in assenza di particolari
procedure che gli educatori devono conoscere e mettere in atto. Nella
maggior parte delle condizioni, infatti, non basta la semplice presenza di un
allievo con caratteristiche e bisogni speciali per determinare reazioni sponta­
nee orientate in senso prosociale. Allo stesso modo, nbn risultano sufficienti

329
L’AUTISMO A SCUOLA

a promuovere condotte stabbi dì aiuto e sostegno gli appelli abbuoni senti­


menti e il richiamo ai principi morali così frequenti nella prassi educativa.
. Sono necessarie.- invece, una!serie-di azioni che concorrano.a creare un clima
realmente inclusivo alPinter^io della classe, nei quale-possano concretizzarsi.,
condotte di rispetto, considerazione positiva e aiuto nei- confronti negli altri; .
Tale condizione, chiaramente, risulta fondamentale non solo per favorire
l'integrazione dell'allievo con autismo o con qùalsiasi,altrasituazione di disa­
bilità, ma anche per educare frutti all'accettazione della diversità come valorè,
in qualsiasi forma essa si manifesti. 1 '

Per quanto riguarda le procedure didattiche che possono risultare utili per
facilitare l’attivazione della risorsa compagni, riteniamo prioritarie le seguen­
ti azioni: ■ {.
* promuovere un clima inclusivo nella classe;.
• favorire la conoscenza del deficit per avvicinare i compagni all'allievo cori -■
autismo; I • -.
* attivare percorsi di aifabejtizzazione emozionale;
J prevedere un approccio {metodologico attento al potenziamento delle
abilità assertive e prosociali,J
a utilizzare strategie didatijiche in grado di’ favorire l’interazione positiva,
come il tucoring e l'apprendimento cooperativo.
I ‘-
Nel capitolo prendiamo inconsiderazione queste metodologie di lavoro
didattico finalizzate a promuovere un reale coinvolgimento dei compagni
nella prospettiva dell’inclusione dell’allievo con autismo. In conclusione
verrà messo in evidenza come questo processo, quando ben pianificato e
condotto, possa risultare utile e profìcuo per tutti gli allievi e non solo per
quelli con bisogni speciali, i

12.1, Creare un dima indusivo


I !;
Il clima che si respira all’interno della classe è determinante per l’attivazione
di rapporti realmente inclusivi. Quando prevalgono situazioni molto
competitive fra gli allievi o fortemente individualistiche, quando non riesce
a decollare un reale spirito di gruppo, è difficile che si creino le. .condizioni
adeguate per la realizzazione'di programmi di aiuto e collaborazione da pane
dei compagni. ’

330 . {
t '■ ■
v . .
12, UN “COMPAGNO PER AMICO"; OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER U'tWTEGRAZlONE
•_ i ,
i
Come già sottolineato, una delle principali chiavi di successo, del proces­
so di integrazione scolastica risiede nello stimolare rapporti di amicizia e
aiuto da parte dei compagni. Su questo aspetto, oltre alla testimonianza
convinta degli insegnanti impegnati quotidianamente, sonò state anche
condotte numerose ricerche. Certamente, come, affermano-Stainback e
Stainback (19.90), i rapporti di amicizia e di sostegno sono estremamente
individuali, flùidi e dinamici, diversi asseconda dell’età e basati/per lo più su
una libera scelta, derivante da preferenze del tutto personali. Tuttavia,
questo non significa che essi non possano essere facilitati e sostenuti da azio­
ni messe in atto da insegnanti e genitori e da un clima favorevole all’interno
della classe. !

Andando sul concreto, ritengo che possano essere individuate quattro linee
operative per migliorare il clima inclusivo delle classi e creare le condizioni
per.l’attivazione della risorsa compagni: ;
0 abbassare i livelli di competitività;
• stimolare il senso di appartenenza al gruppo;
’ creare occasioni di vicinanza e di lavoro comune; i
• lavorare direttamente sulle competenze prosociali e sulla valorizzazione
positiva degli altri. . i -

Molto spesso, della prassi didattica quotidiana, vengono implementate delle


azioni che, di fatto, tendono a favorire la strutturazione di un clima compe­
titivo, anziché inclusivo. Mi riferisco, ad esempio, alla consuetudine di
esporre i lavori migliori, magari con l’intenzione, sicuramente positiva, di
sollecitare lo spirito di emulazione da parte dei compagni. Allo stesso modo,
non si lavora per creare la giusta atmosfera quando si tende a far uso di un
linguaggio che non favorisce la cooperazione, l’inclusione e l’aiuto recipro­
co, come nel momento in cui si promuovono e si approvano solo gli elemen­
ti più significativi e si stigmatizzano quelli ritenuti meno adeguati, quando
si valutano gli allievi esprimendo giudizi sulla persona e non sui prodotti che
potrebbero essere perfezionati ecc, =
Bisogna chiaramente agire in modo diverso. In primo luogo, gli inse­
gnanti devono rappresentare essi stessi dei modelli positivi di persóne sempre
pronte a fornire aiuto, a incoraggiare e a sostenere. Così facendo viene facili­
tata l’individuazione della classe come comunità, della quale'ognuno fa

.. "L 331

A."' . ■ i
L’Autismo a scuola^

pienamente parte; una comunità che si prende cura di ciascuno e dove ogni
allievo può dare un contributo apprezzato a favore di compagni in difficoltà.

Un altro aspetto sul quale è possibile lavorare per migliorare il.clima della
classe relativamente all’inclusività è quello di stimolare un reale senso di
appartenenza di tutti gli allievi al gruppo. Festeggiare insieme alcune occa­
sioni, non solo quelle classiche come Ì compleanni ma anche più informali,
come un successo-scolastico o sportivo, la riuscita in un determinato compi­
to, un aspetto che provoca felicità e soddisfazione in un allievo, .può creare
delle condizioni di reale vicinanza e rafforzare il senso di appartenenza e di
identità dei compónenti del gruppo classe.
Facilitare delie situazioni che possono portare a rafforzare rapporti di vici­
nanza e di amicizia fra gli allievi è un’altra linea di lavoro molto interessante.
Questo può avvenire sia a livello scolastico, con stimolazione di esperienze di
apprendimento cooperativo e di tutoring, sia extrascolastico, con l’organiz­
zazione di piccoli gruppi che si devono incontrare il pomeriggio per effettua­
re dei lavori o anche semplici attività comuni.

Il clima positivo e (inclusivo si struttura anche attraverso un lavoro didattico


diretto a promuovere un atteggiamento prosociale, fondato sulla valorizza­
zione degli aspetti positivi dei compagni, anche di quelli apparentemente più
in difficoltà, sul rafforzamento dell'empatia, sulla promozione di condotte di
aiuto e sostegno. Importanti, a questo proposito, anche i programmi di alfa­
betizzazione emozionale (par. 12.3), che sì stanno diffondendo nella scuola
italiana (Di Pietre», 1992, 1999; Fedeli, 2006) come conseguenza dell’esplo­
sione di interesse per gli studi e le applicazioni della cosiddetta intelligenza
emotiva (Golemarì, 1995).

In sintesi, come sostengono Andrich e Miato (2003), nn clima scolastico


maggiormente inclusivo permette a tutti di sentirsi-accettatl, capiti e valoriz­
zati; sviluppa il senso di appartenenza, di interdipendenza positiva e di forza
(empowerment)\'contribuisce a creare una solida base socioaffettiva, comuni­
cativa e relazionale.

Nella scheda 12.i- vengono presentate alcune attività finalizzate a creare le


condizioni per sviluppare un clima positivo e collaborativo, che sono state
promosse dagli insegnanti nella classe quarta frequentata da Filippo.

332 1 ■
f-, 12. UN “COMPAGNO PER AMICO”: OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER L’INTEGRAZIONE
i
!

Scheda 12.1. Promuovere un clima collaborativo in classe: lavoro didattico


su "Le cose che ci fanno star-male: quali alternative?’!

Prima attività ।
t 1
Gli allievi sono Stati invitati a identificare le azioni che fatino stare male o sfociano
ìn conflitti e a trovare comportamenti alternativi, pensando alla loro esperienza in
classe o nei giochi, ognuno ha scritto su un foglio due ó tre atteggiamenti che lo
infastidiscono senza però indicare chi solitamente lì co'pipie; l’attenzione infatti
doveva essere rivolta al comportamento, non all’autore. Le frasi sono state lette e
si è discusso in aula su questi atteggiamenti e sulle reazioni che provocano, metten­
dosi anche nei panni di chi li subisce. Gli allievi hanno pój cercato i comportamen­
ti alternativi da adottare per evitare conflitti e dispiaceri. Ecco alcuni esempi di
quanto emerso. t
Comportamenti che fanno star male Prepotenza; non rispettare il materiale altrui;-
prendere in giro; non aiutare i compagni che hanno bisógno, allontanarsi da un
compagno senza motivo; vantarsi di sapere sempre tutto; fare scherzi sciocchi; non
restituire ciò che viene prestato.; parlare male di qualcuno; fare boccacce; fare la
spia; fare dispetti. i
Soluzioni Parlare per chiarire le cose; non reagire con violenza; chiedere scusa; trat­
tenersi; aiutare quando si vede il bisogno e non solo quando lo chiede l’insegnante;
dare buoni consigli; fare notare le cose senza offendere; prendersi le proprie respon­
sabilità; avere il coraggio di dire "ho sbagliato"; rispettare le regole del gioco.
i
Seconda attività i

Si è tradotto simbolicamente quanto emerso nella prima attività. È stato proposto


agli allievi il disegno di una lavatrice con i lineamenti di dm bambino assorto nei
suoi pensieri e di un cesto di panni sporchi; essi hanno subito identificato questi
ultimi con gli atteggiamenti negativi e la lavatrice con un bambino che sta pensan­
do a come reagire in modo positivo, trasformando così i comportamenti scorretti in
soluzioni costruttive (vestiti puliti). Quindi si è proceduto colorando i disegni e i
panni di stoffa ed esponendo gli elaborati nelle aule. ।
Tutti hanno partecipato con interesse ed entusiasmo alla discussione e sono riusciti
a calarsi nella situazione proposta. Alcuni hanno escogitato soluzioni molto signifi­
cative nella prospettiva dell'inclusione: "Bisogna avere pazienza se un compagno ci
importuna con discorsi che non ci interessano" oppure "L’aiuto dato a chi ha biso-
l'autismo a scuola

gno deve essere disinteressato"; altri più concrete come, ad esempio, "È utile rista­
bilire l’amicizia con un regalo"; altri ancora, invece, sono giunti a conclusioni più
impegnative e profonde del tipo ‘^Bisogna avere il coraggio di dire: ho sbagliato!”.

! - ■

12,2. Conoscere il deficit del Scompagno per ridurre le distanze

Portare in primo piano le diversità costituisce, nel contesto nel quale viviamo,
una condizione assolutamente! imprescindibile dell’educazione al rispetto e
alla convivenza sociale. Anche per quanto riguarda il déficit il discorso non
cambia; nel momento in cui lò stesso diventa oggetto dì studio scientifico,
stimolando la discussione e F approfondimento dei compagni, le paure e le
incertezze diminuiscono e la diversità assume sempre più la valenza di condi­
zione presente che non inficia la dignità e l’originalità della persona, anzi le
esalta. La conoscenza ^facilita anche la comprehsiope di quelle che possono
esserMerispostemigliori epìu^afùfalijiffiisognbspedfici-hegKr^llieYL-
La seconda domanda con cui si apre questo capitolo presenta l’atteggia­
mento abbastanza ricorrente che assumono molti insegnanti, Ì quali temono
che portare in primo piano la diversità equivalga a stigmatizzare l’allievo. Al
contrario, riteniamo che l’esigenza di Marco, Luca, Filippo, Roberta,
Giuseppe e di tutù gli allievi con bisogni speciali non sia certo quella di evita­
re di parlare alla classe della loro condizione anche quando sono presenti,
quanto piuttosto di fare in modo che alla stessa non si associno soltanto
connotazioni che enfatizzano- le carenze. E questo solitamente avviene nel
momento in cui su tali argoménti si stende un velo, anche se sostenuto dalle
migliori intenzioni. |
12. UN "COMPAGNO PER AMICO": OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER L’FNTEGRAZIONE

Per i compagni conoscere l’autismo può rappresentare un criterio dì avvi­


cinamento, ai loro amici in primo luogo, ma anche al concetto;di diversità
come valore. Con la diversità, infatti, si debbono fare i conti ogni giorno ed
è necessario, di conseguenza, rimettere in dubbio e in discussione'il concet­
to di presunta normalità, attorno al quale ci siamo abbondantemente rifu­
giati nel passato per circoscrivere e controllare la diversità stessa.; .
Le informazioni sulle disabilita possono essere integrare nel curricolo in
modi diversi: ;
• invitando in classe studenti disabili più grandi, genitori di studenti disa-
bilfi medici-, terapistifHoceritir ——-, ‘
• presentando e discutendo in classe filmati^ programmi televisivi, libri,
■ "riviste e articoli sulle disabilità; ;
• svolgendo ricerche su- personaggi. celebri con disabilità; i
• informandosi sugli ausili e sulle tecnologie pgr la riduzione delle dlsabilità;
’ proponendo .attività; che,/attraverso la simulazione, permettano.agli..,
studenti di comprendere come ci si possa sentire_ad avere un deficit fisico,
sensoriale o cognitivo, {
i
Quando il compagno con autismo è conosciuto, quando fi,suqtpmp_orta;
mento vienespiegato e non appare più così strano, quando gli ansili di cui
ha necessità di servirsi sono alla portata dì tutti, non è più il bambino strano
che sta da solo, ma diviene un amico che si può tranquillamente invitare
anche fuori della scuola. Indicativa, a questo proposito, l’affermazione di un
amico di Luca: “Mi piace Luca anche se non sempre capisco cosa vuol dire.
Ci gioco volentieri quando la maestra me lo chiede perché se ùria o se si
morsica la mano so cosa devo fare per farlo smettere. Di sicuro quest’anno lo
inviterò per il mio compleanno”.

Nella scheda iz.2 è riportata un’attività finalizzata alla conoscenza del deficit
di Luca e del suo sistemarli comunicazione (pecs). | j
i

Scheda 12.2. "Conosciamo Luca e i suoi bisogni". Descrizione dì un lavoro


fatto in classe ’' ■ ■

Gli insegnanti (turricolate e di sostegno) informano la classe della situazione di


Luca e della necessità dì trovare un modo per comunicare con lui. Sottolineano l’im­
portanza per tutti di capire il pecs.. Invitano i bambini a immaginare eli non saper

i : 335
L'AUTiSMÓ a scuola

parlare e non saper neanche fare gestì per comunicare. Si sviluppa una discussio­
ne su questo. ;
Viene impostato il lavoro nel modo seguente:
1. ogni bambino creaiun “Quaderno della comunicazione" (si vedano pp. 248-9}:
2. vengono fatte esercitazioni su tutte le fasi;
3. si realizza un cartellone da esporre in aula per avere sempre un riferimento.

A questo punto tutto è pronto per comunicare con Luca attraverso il pecs.
1. Vengono organizzate situazioni di tutoring guidato, in cui ì compagni comuni­
cano con Luca assistiti: dall’insegnante di sostegno. La consegna, è: "Se non vi dà
la carta, prendetelo per mano e aiutatelo a farlo prima di assecondare le sue
richieste".
2. SÌ passa poi all'interazione libera, che permette anche dì generalizzare le
competenze di Luca ed evitare rigidità, dato che ogni bambino utilizza il pecs in
modo un po’ diverso. La situazione viene monitorata dall’insegnante di sostegno e
dall’assistente educativa, le quali tengono sempre informati i compagni su quale
fase comunicativa Luca ha raggiunto nel lavoro specifico con loro.

In un lavoro di alcuni anni fa (Cottini, 20020) è stato presentato un


programma di conoscenza del deficit di bambini con autismo implementabi­
le nella scuola dell’infanzia e in quella primaria. Tale progetto didattico si
fonda sulla stimolazione di esperienze di problem solving interpersonale
(Spivack, Shure, 1987, si veda il prossimo paragrafo), nelle quali, una volta
presentato un problema (il comportamento dell’allievo), la classe cerca di
comprenderlo e di' individuare le modalità per affrontarlo in modo positivo,
attraverso un’iniziale fase di brainstorming, seguita da una valutazione dei
possibili esiti delle soluzioni individuate.
■ l

336
12. UN "COMPAGNO PER AMICÒ”: OVVERO IL PERCORSO OBSÙGATO PER t'iNTEG RAZIONE

12.3- ^ Prevedere programmi dì aifabeìizzazicne emozionate

La disponibilità nei, confronti deli ’ al tr 0 e. delle .sue .esigenze. dipende forte­


mente anche dalla dimensione emozionale,di ogni.persona, cioè dal livello di
^on^eyoittza^Ue„empzfop£pTpprie.e_.altnii..e;dallia.capacità di gestirle in
< maniera adeguata.,A partire dagli anni novanta del secolo scorso si è avuto
z'-un proliferare di studi in questo ambito arrivando à coniare il concetto di
inteUigenza-ejnatiaa^che è diventata un'autentica esplosione di interesse con
la pubblicazione del best seller di nel 1995-1
Va messo in evidenza che il concettolauntelligenzà emotiva è stato propo­
sto inizialmente da Salovey e Mayer (1590), che l’hanno definita come «la
capacità di percepire accuratamente, valutare ed esprimere l’emozione, di
accedere e/o generare emozioni quando esse facilitano il pensiero, di
comprendere le emozioni e regolarle per promuovere ima crescita emoziona­
le e intellettuale» (ivi, p, 198).,È stato comunque grazie alle idee di Goleman.
e alla sua modalità di scrittura divulgativa che si è potuto diffondere il dibat­
tito, soprattutto in ambito educativo, sul valore della dimensione emotiva
negli apprendimenti e nello stabilirsi di relazioni significative e soddisfacenti.
Da sottolineare anche l’importante contributo fornito da Bar-On (1997,
2000), che ha proposto uno strumento di valutazione delle varie dimensioni
dell’intelligenza emotiva.

Venendo alla pósizione espressa da Goleman (1995) bisogiia sottolineare


‘come questi consideri l’intelligenza emotiva un insieme di co.mpetenze che
portano alla «capacità di riconoscere i nostri sentimenti q quelli degli altri, di
motivare nofstèssl’e ai gestire positivamente le.emoriomjj^^inmriqrmen-
te quanto nelle nostre relazioni» (ivi, trad. it. p. 375). Ip altre parole, si tratta
di una miscela équilibratlTm motivazione, empatia, logica e wtocontrollo,
che consente, imparando a comprendere i propri sentimenti e quelli degli
altri, di sviluppare una grande capacità di adattamento e di' convogliare
opportunamente le proprie emozioni, in modo 'dà"'Jssére positivi in ogni
situazione. |
Per Goleman, in sintesi, rinteiligpnzaemotiva è un 'costrutto che racchiu­
de. cinque domini principali: ;
• autocònsapevolezza_àc^ proprie emozioni, come ('elemento di base che
consente di conoscerle e interpretarle, primo tassello per evitare che le stesse
degenerino in forme negative come ansia eccessiva 0 timidezza;

! 337
l’autismo a scuola

• controllo delle emozioni, che rende la persona capace dì veicolare le proprie


emozioni ìn modo appropriato alle situazioni; ;.T
• autòmotivazione, che rappresenta la capacità di dare un ordine alle emazie- '
ni, al fine di raggiungere un obiettivo, sia esso cognitivo o relazionale;

tia, la quale consente di entrarj in profondità nej pensierij nei sentimenti


delle altre persone; . J ;
• gestione positiva delle relazioni interpersonali, in modo da affrontare
adeguatamente le situazioni interattive in ogni contesto.

Tutti e cinque i domini di cui sii compone l’intelligenza emotiva, sia quelli di
natura sociale, sia quelli più spiccatamente soggettivi, secondo Goleman
possono essere insegnati ai-bambini» così da metterli nelle migliori condizio­
ni per far fruttare qualsiasi tipo' di intelligenza/talento loro abbiano, diven­
tando adulti emotivamente intelligenti, capaci di stabilire relazioni positive
con gli altri ed essere costruttóri di una società civile emotivamente più
evoluta. E questo, come si può pen capire, risulta un elemento di grande rile­ V

vanza anche ai fini della prospettiva inclusiva dei nostri allievi con autismo.
Partendo da questo assunto di educabilità, sono stati proposti vari percor­
si per l’educazione dell’intelligenza emotiva, definiti anche d?alfabetizzazio­
ne emozionale. Nel contesto ahglosassone il lavoro di. Qoleman ha portato
allo sviluppo e tdlajfiffusiqne nel contesto scolastico dèi Social andEmptip- .
Learning che mira avviluppare negli studenti abilità di varia natu- ..
'. raTcKe includo rióTe• capacità di. riconoscere? es p rimere e gestire - emozioni,
. sviluppare atteggiamenti di cura verso gli altri, prèndère..décisÌonLrésponsa-- ■
bili, stabilire relazionipositive. AH1 interno della scùolaùl SELisi- propone ■
come-un’^imparcatùra.necessSià afiapreyenziorieiliisituazioniproblemadche
e alla promozione del benessere e "del succéss'o’degli studenti (petàpprqfón-'’ : .;
. dimenti si veda Morganti, in jstampa).
In Italia le applicazioni di programmi di-alfabetizzazione .emozionale J-:
■ «rappresentano unarealrà ancora in fase di ricerca e sperimentazione» (Corso;;. ; ?
Menesini, 2009, p. 16), anche se vanno segnalate iniziative di- educazione,’. '
emotiva sviluppate nelle scuoce, prima ha tutte feducàzione razioriale-emoti- <-
va promossa da Di Pietro (1992,1999) stilla scorta dell’approccio di Eilis (1973; . ;
Ellis, Harper, 1975). Al nostri fini mi sembra particolarmente interessante la .
proposta didattica di Fedeli (2006}, denominata, AR^À^ulla base dei quattro ., '
obiettivi principali del suo programma di alfabetizzazione emozionale:

338
12. UN "COMPAGNO PER AMICO”; OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER L'INTEGRAZIONE

• autoconsapevolezza. delie proprie, emozioni, che rappresenta il primo


fondamentale passo del programma, in quanto spesso la difficoltà a regolare
il proprio comportamento dipende proprio da una carente consapevolezza
delle emozioni provate; ' i :
• w£>»£>xnv2z,7;fc>_dUle_exxio^aj-altfLM-sulla base di segnali para^erbali (tono
della voce, velocità dell’eloquio ecc.) é non verbali (postura", gestualità,
mimica facciale ecc.); ' J ’
• comprendone degli stili emotivi: propd.e .altrui. Una volta individuate le
emozioni sperimentate direttamente o riconosciute negli altri, si tratta di
collegarle a stati affettivi precedenti o successivi, nonché a situazioni, pensie­
ri, comportamenti ecc.;
• autoregolazione della prQpria_.yka emotiyg ai Jinì del bgne§.sgre e dell’a^at-
tamento airambiente. L’autoregolazione viene promossa in due direzioni: da
un Iato verso un migliore adattamento scolastico, ad esempio insegnando

Tabella 12.1, 1 livelli del programma arca ■ ;

Obiettivi Azioni ■

AutoconsaReyolezza. • Q sse razione delle propri e m.od jlkaz io n i fisjo [ o.g ic In e ;


• Autoconsapevolezza delle emozioni di base e sociali,'
• Sviluppo di un vocabolario perjjariare; dj.emozionì]

* Discriminazione tra emozioni diverse. ।

Riconoscimento • Osservazione della comunicazione paraverbale e n.bnverbale.


* Ascolto attivo delle parole altrui. 1 '

Comprensione =r. . • Riconoscimento dei pattern^emgtwi propri.^altrui.; .


•Riconoscimento della transizione_traempzipni-. |
• Individuazione delle situazioni emotigene. * .
• Individuazione dei pensieri disfunzionali. ;
• Riconoscimento del proprio e degli altrui stili emotivi.

Autoregolazione * Modulazione delie empzioni. * ;


• Potenziamento del la.motivazione. , ;
• Risol uzi 0 n e d e i co nfl itti, i n terpe rsona li. ; '
• Atteggiamento cooperativo. ’

fonte: Fedeli (2006). ■ ■ ■ -i

339
l’autismo a scuola i . '

agli allievi a gestire l’ansia di un’interrogazione e dall’altro verso le relazioni


interpersonali di tipo prosociale, caratterizzate dall’ascolto attivo, dall’empa­
tia e dal supporto reciproco.

La tabella 12.1 specifica in maniera dettagliata i livelli e l’articolazione del


programma arca, il quale, nel momento in cui viene sviluppato all’interno
delle classi con un approccio competente, condiviso fra i vari docenti e non
sporadico, può costituire uno strumento davvero molto utile per favorire il
benessere personale;e sociale degli allievi e per promuovere le migliori condi­
zioni affinché i compagni vengano a costituire quella risorsa centrale per l’in­
tegrazione di cui stiamo parlando in questo capitolo.
Nella scheda li.3 viene presentato un esempio di lavoro sviluppato
nella classe dì Luda sull’autoregolazione emotiva, che è stato ampliato
dagli insegnanti anche nella prospettiva di comprensione delie emozioni
dell’allievo.

Scheda 123. L’autoregolazione emozionale: "Il vulcano emotivo"

Gli insegnanti, che hanno già sviluppato molti lavori sulle fasi precedenti del
programma arca, presentano la situazione sulla quale si concentrerà l'attività.
Mettono in evidenza Che le emozioni non sono situazioni del tipo "tutto 0 nulla", ma
sÌ sviIuppano progressivamente, alimentate sia da fattori esteroi (ad es. una corte- '
sia fatta da un compagno □, al contrario, una provocazione), che interni (un dolore
fisico, la paura di non riuscire ecc.).
Viene consegnato a ogni allievo un_vul.caaa-£m£itivo, chiedendogli di ripensare a
un episodio emotivo-particolarmente intenso legato a una situazione interattiva,
come potrebbe essere unlitìgio,con un compagno. Partendo dalla basqdel vulca­
no, ogni allievo deve indicare tutti i fattori (interni ed esterni) che a suo parere

340
12- UH "COMPAGNO PER AMICO": OVVERO !L PERCORSO OBBLIGATO PER L'INTEGRAZIONE

!
hanno contribuito all’escalation emotiva, fino all’eruzione finale. Le produzioni di
ogni allievo, sulle quali si mantiene l’anonimato, vengono collocate in un conte­
nitore. ;
Quando tutti gli allievi hanno consegnato il lavoro individuale, si da avvio a una
discussiorjg_d.Lg.i:upRo.su ogni vulcano emotivo, finalizzata a mettere in evidenza i
fattori che hanno portato all' espio s ion e e m otiva e.suognunodiessi, cisiconcen-
tra per individuare modalità di contenimento e di controllo. Si cercano di elabora­
re le possibili procedure d j_ autorego/oz/one emoziona ijb, che, ancheseri ferìtea
episodi che hanno coinvolto singoli allievi, possono risultare utili pertugi.
Completato il lavoro, gli insegnanti invitano gli allievi a compilare un nqp.vo vulca-
no emotivo in riferimento a una situazione che ha coinvolto Luca, chiedendo di indi­
viduare i fattori che lo hanno portato a comportamenti problematici. Il lavoro si
collega a quanto sviluppato relativamente alla conoscenza del deficit di Luca e la
discussione successiva si concentra su come è possibiie;aiutarlq^per ,evitare che la
condizione emozionale del compagno monti fino a esplòdere.

Sviluppare competenze assertive é prosocsàli

L'assertivitàgla prqspcialità rappresentano le forme'.più elevate e costruttive


del comportamento sociale. Pur essendo tipologie dii comportamento molto
integrate fra loro, perseguono comunque finalità distinte e promuovono
azioni diverse nell’ambito delle relazioni interpersonali.
Le competenze assertive nella persona descrivóno un atteggiamento
improntato a responsabilità e.fiducia in sé. e negli altri,, die porta ad afferma­
re i propri diritti, senza negare quelli altrui. È l’espressione diretta dellacàpa-
cita di comunicare desideri, intenzioni, giudizi, evitando ogni forma di
aggressività e minaccia. Significativa appare l’interpretazione operativa che
ne danno Kazdin e collaboratori (1983), Ì quali definiscono i’asserrivira come
un repertorio di comportamenti verbali e non verbali, acquisiti attraverso
l’apprendimento, per mezzo dei quali un individuo ricerca risposte di altri in
contesti interpersonali. .Questo repertorio agisce corti e un meccanismo che
permette al soggetto di influenzare il proprio ambi-ente ottenendo effetti
desiderabili, oppure rimuovendo o evitando risultaci (indesiderabili.
Il comportamento prpsociale, invece, si caratterizzà per la messa in atto di
azioni che, senza ricercare gratificazioni estrinseche c> materiali, favoriscono
altre persone o gruppi 0 il raggiungimento di obiettivi sociali positivi e

341
l’autismo a scuola

Tabella 12.2. Tipologie del comporta mento sociale

Definizione ]■ Effetti’
-, ■: . -- ' ■
■ -■ ■■■■■ -ó ■■ ' . .1 ■ A;-’--
Passività Co m porta m e ntodkinù n eia a P ’ ~ - ••■Disistima^penPaltro.-< < ;
raggiungimento di un obiettivo * Senso di colpa 0 di rabbia
e di sottomissione alari ■ Disagio
interlocutore 0 ad.una situazione • AlLQUiattàmenio

Aggressività Comportamento intenzionale teso • Umiliazione ‘Rivalsa \


al raggiungimento di un obiettivo • Offesa ■ • Rifiuta.,
personale che prodijce danno • Frustraziojie * Contrattacco
all'interlocutore i * Oìffideriza ' Allo.Ql^jisirTiento
_ * •paura- - ■ • Evita mento

Competitività Comportamento teso al ■(sull'individuo che perde)


raggiungirnento di un 0biettivo •'Insoddisfazione
comune tra due 0 più persone, • Inferiorità .
ma non condivisibilp tra esse, •Frustrazione
che comporta coma
*conseguenza • Rabbia !
la contrapposiziondo RTontfasto • Evitamento della competitività
fra concorrenti f

Assertivi tà Comportamento teso ai • Soddisfazione


raggiungimento diJun obiettivo • Autostima
personale con uso adeguato ■ Espressione:,ditsé
dì abilità sociali e senza procurare ' Avvicinamento.
d ap no_ all'jnteriocutore, •JRispetto dell’altro
ma rispettando l'individualità
dètt’altro 1

Prosociaiità Comportamento téso a realizzare. • Soddisfazione


0 migliorare il benesseredi.una • Autostima
opiùpersone 'e7ó ' ari d u rnejo * Sentimenti positivi_per sé
stato ci sofferenza)in assenza e per gli àìttT
. depressioni esterne 0 di esclusivi •Apertura
obblighi di ruolo j " “ • Costruttiyità j
............. i
1
i
aumentano la possibilità di dare inizio a'una. reciprocità positiva e solidale
"nehe relazioni interpersonali conseguenti, salvaguardando ridentità, la crea-
tività e l’iniziativa delle persole o dei gruppi coinvolti (Roche, 1999).
-r— . .. — ..

342 !
12. UN "COMPAGNO PER AMICO": OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER L'INTEGRAZIONE

• In altri termini, una persona, ha un atteggiamento assertivo quando^gerca j


■ di raggi ungere obiettivi' personali cpn^mpri^jtà.sp^almeritqad^gu£tqe^nel II
- ' rispetto degli altri.-mentre 11 suo, comportamento. ass.ume..unayalehzajp_casp- J
.cìalé quando si indirizza a promuovere il benessere delle altre persóne.
’Xa~tabella-i2.2! specìfica ‘questi.aspetti, mettendo a confrontò le diverse
tipologie dèi comportamento sociale..
Il comportamento sociale dì una persona, chiaramente, deriva dalla
presenza di rattele tipologie,ma assume una caratterizzazione in gelazione al
prevalere di alcuni, atteggiamenti-in confronto ad altri. Educare al rassettivi-
tà e alla, prosocialità, a questo proposito, rappresenta una condizione dì gran-.
de significato 5Ìa-per.le_fìnalità dell’integrazione ogge.tto„de.Lpres.ente lavoro,
sia, più in-generale, per la promozione della .convivenza civile in una società
sempre più complessa e multietnica.

Esistono alcune proposte didattiche di notevole interesse, che possono esse-,


re implementate in ambito scolastico. i ;
Per quanto riguarda Passertività segnalo soprattutto il programma feca­
lizzato sul problem solving interpersonale, ispirato alla proposta di Spivack
e Shure (1974, 1987), adattata al nostro contesto da Corao éfMicheluz
(1984), Rìcci, Lambarellij Gagliardìni (1989) e Cottini (20020,12^004). La
caratteristica principale del programma consiste nel fatto che nbh si cerca
di imporre agli allievi delle ricette sociali preconfezionate, quanto di inse­
gnare strategÌ£fe[.i„pensÌ£XQ..che consentano la scelta di una soluzione di
problemi ìn ter personali fondata su attente e accurate valutazioni delle
proprie iniziative e di quelle altrui. In concreto, la promozione di abilità
per li problem solving interpersonale viene ricercata attraverso tre azioni
principali: ‘
• generare il maggior numero di alternative per risolvere i problemi relazio-
nali e, più in generale, sociali di ogni giorno {pensiero divergente)-,';
• anticipare ciò che potrebbe accadere come conseguenza delle alternative
individuate {pensiero consequenziale)-, =
• pianificare passo dopo passo i.mezzi, per. raggiungere_i propri scopi in
ambito socialedxoZwzfenz alproblem solving, pensiero causale-comparativo).

Per quanto riguarda l1 educazione,prosociale, il riferimento principale è


rappresentato da Roche (1999). La sua proposta didattica si articola su un
sistema di valutazione degli atteggiamenti prosociali e su una serie di esercì-
l’autismo a scuola

razioni, sviluppabili.aH’interno dei curricoli di insegnamento delle diverse


discipline, peijjacidErè sui seguenti fattori:
• la valutazione positiva del? alunno;
0 1 empatia; ; j. ‘ ■
• Téspressione dei prppri sentimenti;
° Ll creatività; : ’
* le relazioni interpersonali;
• la non aggressività ie non competitività;
• ììriódellT^
• la collabo ratìvità; !
e l’aiuto; i
a làucondivisione. ■ ;

Il programma proposto da Roche prevede obiettivi adattati a tutti i livelli


scolastici e richiede,'per essere implementato, un lavoro coordinato degli
educatori incentrato su lezioni, letture, presentazioni di audiovisivi, ricerche
in rete, discussioni, esercitazioni varie ed esperienze di tutoring. Tutto ciò
allo scopo di sensibilizzare gli allievi all’importanza di promuovere azioni di
aiuto nei confronti degli altri. e.dTacquirix^ per métterle in
pratica nel contesto; scolastico e negli altri ambienti di vita. Non si tratta,
quindi, di fare forai delle buone maniere”, ma di promuòvere azioni didat­
tiche che, mentre perseguono obiettivi curricolari, potenzino anche un atteg­
giamento di reale disponibilità nei confronti dell’altro.
Allo scopo di reridere maggiormente operativi questi concetti, presentia­
mo nella scheda 12.4 un esempio di attività condotta con la classe di Filippo
sui modelli prosociali.

JùScheda 12.4, Lavoro su obiettivi prosociali con la classe di Filippo

Obiettivi prosodali perseguiti Saper individuare i corri porta menti prosociali messi
in atto dalle persone, in confronto a quelli neutri e di rifiuto.
Modalità di partecipazione Lavoro individuale e a classe intera.
Attività proposte: commentare e discutere i comportamenti prosodali dei personaggi
dei film GH allievi vengono invitati a guardare il film Rain man e L'ottavo giorno
insieme ai genitori, cercando di evidenziare una serie di comportamenti che i diver­
si personaggi hanno hei confronti del protagonista (il fratello, la fidanzata del fratel­
lo, gli assistenti in Rain man; la sorella, il cognato, l’amico nell’Ottavo giorno). Tali

344
1 ■ ■ ■ .
: 12.-UN "compagno per amico": ovvero il percorso obbligato per l’integrazione

comportamenti vannodistinti in prosocia lì, neutri e di rifiuto e vanno discussi insie­


me ai genitori attribuendo loro anche un voto su una scala da 1 a io (in caso di disac­
cordo vanno riportate tutte le valutazioni). I
In classe, poi,.gii allievi vengono invitati a presentare il lavóro effettuato e a discu­
tere le valutazioni attribuite ai diversi comportamenti. Ogìii allievo, inoltre, viene
sollecitato a prendere nota delle risultanze della discussione, per informare i geni­
tori a casa, riflettendo ulteriormente con loro sulla valenza dei comportamenti
prosociali e sulla necessità di evitare quelli neutri o di rifiuto.

12.5. Utilizzare strategie didattiche che enfatizzano'l'aiuto


e la collaborazione !

Alcune strategie didattiche, utilizzate in maniera sempre più ricorrente nel


contesto scolastico, possono sicuramente facilitare l’attivazione dì relazioni
significative fra gli allievi e stimolare in loro una disponibilità all’aiuto. Mi
riferisco, in particolare, al tutoring e alldpprendiwiento cooperativo, che
consentono di perseguire non solo obiettivi di tipo cognitivo, ma anche di
consolidare e arricchire la dimensione affettìvo-emozionale della personalità.

Coinvolgere allievi con funzione di tutor per favorire l’apprendimento di


compagni in situazione di disabilità (ì quali, in questo modo, vengono ad
assumere il ruolo di tutee) rappresenta un’ulteriore opportunità di impiego
programmato della risorsa compagni. L’efficacia del tutoring è stara dimo­
strata da numerose ricerche, che hanno messo in evidenza l’utilità didattica
dell’approccio individualizzato e del tempo in più dedicato alle difficoltà del
bambino con bisogni speciali. Adottare una strategia di tutoring con l’allie­
vo autistico, e quindi sollecitare una relazione diretta con un compagno, può
creare anche maggiori propensioni a instaurare rapporti sociali 0, almeno, a
tollerare meglio la presenza di altri che interagiscono con gli stessi materiali
e nei medesimi spazi. '
Va sottolineato un aspetto molto interessante e scarsamente considerato
nell’applicazione di programmi di tutoring: la possibilità che l’allievo con
difficoltà svolga il ruolo di tutor non soltanto quello di tùtee. In queste situa­
zioni l’allievo può risultarne fortemente gratificato a livello di autostima e
conseguentemente attivare un circolo virtuoso centrato sul miglioramento
della percezione di autoefficàcia (Bandura, 1982). Oltre a questi vantaggi di
tipo emotivo-motivazionale, gli allievi possono ulteriormente affinare delle

■ 'ì

345
L’AUTfSMO A SCUOLA

j , 1 ■'
abilità parzialmente acquisite nel momento ih cui le illustrano a un compa­
gno, facilitando in questo mot o il processo di consolidamento e quello di

Con Filippo gli insegnanti hanno sviluppato varie esperienze di tutoring,


con l’allievo in /unzione di tutor impegnato nel dimostrare la modalità per
effettuare ricerche in Rete. Gli Interventi e le domande dei compagni hanno
contribuito a distogliere, almeno in parte, Filippo dai suoi interessi assorben­
ti. All’inizio, infatti, l’allievo tepdevà a passare, dopo poco tempo, dall’argo­
mento affidato a quello a lui'più congeniale, rappresentato dai mezzi,di
trasporto. Le richieste dei compagni di mantenersi sui tema affidato dall’in­
segnante lo hanno portato a considerare maggiormente il punto di vista degli
altri; che al termine del lavork, comunque, lo gratificavano chiedendogli
anche notizie sui suoi centri di interesse. J

Dal punto di vista metodologico, per la progettazione e Fimpleméntazione


di programmi di tutoring a fasore di allievi con bisogni speciali (sia che essi
ricoprano il ruolo di tutor che quello di tutee), l’insegnante deve considera­
re una serie di variabili e adattarle in relazioni alla tipologia del programma.
Tali variabili riguardano (Contini, 2004): <
* il contesto nel quale il programma si deve sviluppare (collaborazione da
parte dei docenti curricolari>e di sostegno, coinvolgimento del dirigente
scolastico e dei genitori ecc.); !
* la selezione degli allievi da) impiegare nel ruolo di tutor e tutee (questa
variabile assume una valenza foolto diversa in relazione alla tipologia e agli
obiettivi del programma; grande attenzione va posta, ^comunque, anche alla
formazione da dare ai tutor); j
* 1 contenuti sui quali concentrare il programma di.tutoring, che possono
essere rappresentati non solo'da discipline scolasticheio aree currlcolari, ma
anche da abilità sociali, abilità di autonomia, giochi ecc.;
0 i materiali didattìcissxyitxvd^ù da utilizzare nel programma di tutoring, che
devono essere attentamente predisposti dall’insegnante in modo da consenti­
re al tutee di procedere gradualmente e al tutor di ridurre la complessità e la
durata della fase di preparazióne al compito (formazióne ai ruolo di tutor);
9 gli aspetti organizzativi (intesi come tempi, luoghi, durata degli interven­
ti, collocazione degli stessi nelìl’orario scolastico ecc.), che possono condizio­
nare fortemente la buona riuscita del programma;
9 l’eventuale utilizzo di strategie di insegnamento' (ad es. una corretta
12. UN "COMPAGNO PER AMICO”: OVVERO IL PERCORSO OBBLIGATO PER Li INTEGRAZIONE

gestione dei sistemi di gratificazione, un utilizzo di modalità particolari di


comunicazione ecc.), che possono richiedere una preliminare formazione dei
tutor per la corretta conduzione del programma. i i

Nella scheda 12.5 che segue si possono leggere alcune note sulla'iftodalità di
conduzione di un’esperienza di tutoring a favore di Roberta, impegnata nel
programma di apprendimento della conoscenza e uso del denaro di cui si è
parlato nel capitolo io. Gli obiettivi perseguiti dagli insegnanti sono quelli dì
consentire un aumento dei tempo di lavoro individualizzato, una generaliz­
zazione delle competenze e una promozione di condotte prosociali.

Scheda 12.5. Il programma di tutoring sviluppato con Roberta

Per Roberta è stato programmato l’insegnamento della conoscenza e uso del dena­
ro. Gii insegnanti ritengono che il processo possa essere facilitato dall’aiuto di alcu­
ni compagni con funzione di tutor. Il curricolo educativo (iliustrato nel dettaglio
nella tabella 10.2) prevede che, nella prima fase di lavoro, vengano perseguiti obiet­
tivi finalizzati alla discriminazione di monete e banconote e all'uso del denaro per
fare acquisti a ricreazione per sé e per alcuni compagni.
Le fasi di applicazione del tutoring sono le seguenti:
1. vengono individuate tre compagne con le quali Roberta interagisce più di
frequente, le quali si dichiarano contente di partecipare al programma;
2. vengono formate le tutor attraverso un affiancamento all’insegnante di soste­
gno e al l’assiste nte--edu estiva impegnate nelle fasi di insegnamento;
3. le prime applicazioni del,programma da parte delle compagne avvengono con
la supervisione dei docenti, per poi diventare autonome. La durata degli.interven­
ti, nei quali le tutor si alternano, è di circa 15 minuti durante le lezioni di matema­
tica. L’attività avviene all'interno della classe, in uno spazio posto in fondo all’aula
che viene usato con Roberta per lavori individualizzati 0 in piccolo gruppo (sono due
banchi avvicinati); t ;
4. Le compagne, sempre a turno, supportano Roberta anche nell'uthizzo della
"Lista delle ordinazioni" durante la ricreazione. La loro presenza atte’nua molto
l’ansia di Roberta, ma di fatto non sostituisce le funzioni che devono essere svolte
dall'allieva. Per valutare insieme l'aiuto che viene fornito neile prime fasi, il tecni­
co della scuola applica una telecamera fissa che riprende il corridoio dove, duran­
te la-ricreazione, vengono vendute le merende.

&
347
L’AUTJSMO A SCUOLA’;

DeH’evoluzione de! programma viene tenuta informata tutta la classe, in modo che
anche gli altri compagni possano essere di aiuto in maniera più informale. Dopo
due mesi si prevede di ampliare e progressivamente sostituire ì tutor. L’obiettivo che
si vuole perseguire .nel tempo è anche quello della generalizzazione dell'abilità
nei contesti extrascplastici, sempre con l'ausilio e il supporto anche dei compagni.

t'\ Oltre altutoring, anche l’impiego della strategia di apprendimento coopera­


tivo {cooperatiwJèarning) con. allievi affetti da autismo (specie quando si è di
fronte ad alti livelli di funzionalità o ad allievi con sindrome di Asperger)
può essere un ausilio importanterperJL’in.tegrazion.e scolastica.
L'applicazione corretta dell’apprendimento coòperativo richiede la messa
in atto di cinque caratteristiche specifiche e fondamentali (Comoglio, 1996,
1998): ' i
9 rinterdipendehzaqiosLtiva;
’ l’interazione promozionale faccia a faccia;
’ l’uso ^competenze sociali; :
0 la responsabilità individuale;
0 la.revisione.e ri perfezionamento.continuo del lavoro di gruppo.
V interdipendenZapositiva si ha quando ogni membro del gruppo sppreoccu-

pa non solo del proprio rendimento,, m anche.di;quello.:del.compagni.


L’interazione^ promozionale faccia a faccia sottolinea il buon clima.di
rapporti e di atteggiamenti che deve esistere tri ì membri del gruppo e si
presenta come disponibilità ad aiutare e farsi aiutare, a incoraggiarsi e a
mìgli orarsi reciprocamente, ad accettare volentieri il richiamo perché è
migliorativo e npn una critica alla persona, a esprimere comportamenti che
inducono fiducia e disponibilità, a lasciarsi positivamente influenzare.
Le competenze sociali si riferiscono soprattutto ad abilità comunicative,
alla capacità di. gestire i conflitti, di risolvere i problemi ecc.
Nei gruppi che lavorano in modo cooperativo, a differenza di quanto
avviene in quelli tradizionali, la responsabilità non è assegnata collettiva­
mente; esiste invece una responsabilità individuale c una di gruppo. Questa
■posizione si giustifica alla luce del concetto di interdipendenza. Lo scopo
comune, infatti, è raggiunto attraverso il lavoncuriLeLsing,odierna tutti i
'membfrdèvohq impegnarsi perché ognuno svolga il proprio compito al
.meglio. Per tale;morivo è necessario collaborare a favore del compagno in
difficoltà, non per sostituirlo, ma per aiutarlo nelle cose che gli sono richie-

:3tj8
12. UN “COMPAGNO PER AMICO”: OVVERO IL PERCORSO ÒBSLIGATQ PER l'ìNTEGRAZlOMt

ste di fare, in quanto un risultato scadente influirebbe sulla prestazione fìna-


le dì tutto il gruppo.
Ultimo aspetto importante da sollecitare è ilpèrfezionamento continuo del
lavoro di gruppo attraverso una riflessione e una valutazione critica sull’ope­
rato e sui risultati ottenuti, allo scopo di «migliorare l’efficacia dei membri
nel contribuire a unire gli sforzi per raggiungere gli scopi del gruppo»
(Johnson, Johnson, 1998, p. 29). j ' :
La messa in atto di quésti principi richiede che 1 gruppi siano formati.con
un criterio di eterogeneità (a livello di competenze, classe sociale, sesso
ecc.) e non siano gruppi di livello come avviene'con altre metodologie di
lavoro collettivo. t
Nel caso di applicazione delia strategia didattica che coinvolga allievi con
autismo ad alto livello dì funzionalità o con sindrome di Asperger, i compiti
affidati a tali allievi dovrebbero essere soprattutto riferiti alle abilità possedu­
te (ad es. facilità di calcolo.mentale, calcolo del calendario, memoria mecca­
nica, abilità visuospaziale ecc.), che possono risultare utili e apprezzati per il
lavoro collettivo. Oltre alle ripercussioni positive sui compagni, anche l’allie­
vo con autismo può avere vantaggi dall’attività all’ihterno del gruppo, sia per
quanto riguarda l’affinamento di rapporti interattivi sia relativamente al
miglioramento delle abilità cognitive. Su quest’ultimo punto, mi sembra
importante ricordare come le "isole di abilità", solitamente manifestate dagli
allievi autistici a elevata funzionalità e con sindrome di Asperger, siano da
considerare competenze modulari, non sorrette da un livello adeguato di
coerenza centrale (Frith, 1989; si veda quanto detto sui modelli esplicativi,
PAR. 1.3). Ora, nel momento in cui queste abilità Sono utilizzate all’interno
di lavoro cooperativo che porta a un risultato funzionale grazie all’attività
degli altri membri del gruppo, è possibile che tale spinta alla coerenza centra­
le venga sollecitata e si evidenzino per l’allievo anche possibilità di generaliz­
zare le competenze possedute nell’ambiente di vita.

12.6. L’integrazione: una risorsa per tuffi >


i

In questo capitolo è stata presa in considerazione una serie di itinerari meto­


dologici per favorire e stimolare forme di aiuto e di sostegno da parte dei
compagni a sviluppo tipico nei confronti di coetanei con autismo. È risalta­
to in maniera molto forte come questo coinvolgimento possa rappresentare

349
L'AUTISMO A SCUOIA

i ■ , ■ ...

una variabile fondamentale per il successo dell’integrazione, una risorsa vera­


mente preziosa da attivare co.n specifiche procedure fin dall’inizio.
I
Pensiamo sia importante concludere con uno sguardo portato dalla prospet­
tiva opposta, sotto lineando comefl’intbgr azione possa essere utile anche per
gli allievi a sviluppo tipico, per la; loro crescita personale e sociale. Esistono
numerosissime osservazioni e anche dati empirici che testimoniamo come Ì
bambini e gli adolescenti, i quali ponvivono in classe con compagni in situa­
zione di disabilità, finiscano per «elaborare una maggiore maturità sul piano
■emotivo e cognitivo. Molto significativa, a questo proposito, una ricerca
sviluppata attraverso interviste strutturate a un gruppo di adolescenti, i quali
avevano sperimentato l’esperienza scolastica integrata, con la presenza di
allievi con disabilità mentale di grado medio o grave e con autismo (Peck,
Donaldson, Pezzoli, 1990). L’anàlisi dei protocolli ha evidenziato sei catego­
rie 0 tipi diversi di benefìci che gli studenti hanno tratto dal loro rapporto
con i coetanei disabili: !
a miglioramento del concetto di sé;
• maggiore co «riprensione interpersonale;
• minore timone delle differenze;
• maggiore tolleranza; ! ... =»
• sviluppo di principi personali;
0 vissuto di genuina accettazione. .

In sintesi, il contatto.prolungalo con. compagni-in situazione di.disabilità


L può portare benefici-di tipo cognitivo,-‘affettivp-emozionale, sociale. Quan­
do l’interazione è stimolata attraverso procedure didattiche adeguate, la
. dimensione della diversità, lungi dal rappresentare un elemento di negativi­
tà e di discriminazione, viene a‘configurarsi e ad essere percepita come una
presenza naturale, come un valore che connota ogni persona senza compro­
metterne la dignità. _•
■ ì

!
i
I
13- Conclusioni

13.1. Idee vincenti e perdenti per l'integrazione scolastica delTaMievo


con autismo

Il lavorò si era aperto con lina serie di quesiti relativi alla possibilità di pensa­
re a forme di integrazione scolastica per allievi tanto particolari cóme quelli.
affetti da autismo. 1 ■
Il lungo percorso sviluppato pensiamo abbia confermato questa prospet­
tiva, individuando delle linee d'azione in grado di rendere l’esperienza scola­
stica un’opportunità straordinaria per questi allievi. t
Certàmente-ii progetto inclusivo riveste grande complessità è richiede
un’alleanza significativa fra tutti gli attori chiamati a intervenire: non solo il
personale educativo, ma anche le famiglie, i servizi specialistici, gli enti loca­
li, le associazioni.
Dal punto dì vista metodologico sono state individuate quattro linee di
lavoro,.identifìcateìcon'altrettante parole chiave, che riguardano là necessità
di pianificare congiuntamente il progetto, di organizzare l’ambiente per
rispondere alle caratteristiche molto speciali degli allievi, di far riferimento a
metodologie didattiche affinate e .sperimentate, di considerare e sfruttare la
risorsa rappresentata dai compagni di classe. Nei vari capitoli sono state
presentate numerose esemplificazioni di azioni didattiche riferite'a'cinque
allievi con autismo: Marco, Luca, Filippo, Roberta e Giuseppe. Lai riflessio­
ne sulla loro situazione-ci ha consentito di mettere in evidenza modelli di
lavoro sviluppabili in tutti: i contesti, dalla scuola dell’infanzia'fino alla
secondaria di secondò grado è .con livelli di funzionalità differenti,- dal defi­
cit molto consistente alla sindrome di Asperger. ì
La dimensione che emerge è quella del difficile, ma possibile, Perché il
possibile non rimanga sporadico, ma divenga prassi consolidata e generaliz-
L'AUTISMO a SCUOLA i

Tabella 13.1. Idee sulj’jnìegrazione

Idee perdenti i j Idee vincenti

• Dell'autismo non sì sa nulla! • Dobbiamo migliorare la conoscenza per


• Qualcuno deve dirmi,tosa fare! cercare di capire meglio ì'allìevol
• Ci vuole qualcuno che si occupi di !uT. • Lavorando insieme si possono fare molte
non sono cose da insegnanti! cose positive!
• Non mi permette di sviluppare bene il ■ L’insegnante non deve essere lasciato
mio programma! ’ solo, ma l’azione didattica è un suo campo
■ Da quando insegno ho sempre fatto così specifico!
e ho ottenuto buoni risultati. Perché • Esistono molte applicazioni didattiche
cambiare? ; che possono risultare efficaci!
* Dobbiamo essere flessibili. Nessuno di
noi può pensare di fare l’insegnante come
il giorno prima!

zatà è necessario fare i conti con le idee che gli insegnanti hanno sull’integra­
zione degli allievi c$n autismo nella scuola di tutti; alcune sono perdenti e
certamente non ci aiutano, altre invece sono vincenti (TAB. 13.1).
La speranza è che la lettura di questo lavoro possa contribuire a spostare
alcune convinzioni negative verso la dimensione del possibile. Se così fosse,
potremmo dire di aver fatto davvero un passo avanti importante per la quali­
tà dell’integrazione scolastica dei nostri allievi con autismo e, più in genera­
le, per la qualità stessa dell’intera istituzione scolastica.

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