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APPUNTI LETTERATURA ITALIANA

IL POSITIVISMO
Il Positivismo è una filosofia che si sviluppa in Francia nella seconda metà dell'800.
Il termine Positivismo deriva etimologicamente dal latino positum, traducibile come ciò che è posto,
fondato, che ha le sue basi nella realtà dei fatti concreti.
Il fondatore di tale filosofia è il francese Auguste Comte.
Il Positivismo parte da una concezione materialista della realtà: esiste solo ciò che cade entro il
confine dei sensi.
La realtà è perciò interamente conoscibile: esistono cose che già sappiamo ed altre che sapremo. I
positivisti, costatando l’impressionante accelerazione che la scienza aveva dato al progresso
conoscitivo dell’umanità, ritenevano che l’uomo fosse prossimo a conoscere tutto: il progresso
avrebbe portato all’uomo in questo mondo quella felicità che le religioni promettevano nell’aldilà.
Infatti per i positivisti, Dio è un prodotto dell'ignoranza. Man mano che la conoscenza umana
progredisce, le religioni sono destinate a scomparire, perché l’uomo troverà una spiegazione
razionale a ciò che nel presente attribuisce a Dio.
Attraverso il metodo scientifico si può conoscere non solo la realtà fisica, ma anche quella umana.
Nascono da questa intuizione le cosiddette scienze umane: la psicologia, come scienza che studia i
comportamenti individuali e la sociologia, lo studio scientifico dei comportamenti collettivi.
I positivisti ritenevano che era possibile scrivere l’equazione umana, essendo l’uomo un essere
materiale. Infatti per essi l’uomo è il prodotto necessario di tre fattori: il patrimonio genetico (race),
l'ambiente (milieu) e il momento storico (momènt) in cui vive. Questi tre fattori determinano, non
influenzano, l’uomo.
Il Positivismo si alimentò e si fuse spesso con le teorie di Darwin sull’origine dell'uomo, che
negando ogni intervento divino di creazione, ne attribuiva la formazione ad un’evoluzione della
specie, avvenuta secondo il criterio della selezione naturale.
Queste correnti filosofiche e scientifiche sono all’origine di una corrente letteraria che in Francia
prese il nome di Naturalismo, il cui massimo esponente fu Emile Zola.
I naturalisti ritenevano che lo scopo della letteratura, in cui predilessero il romanzo e il racconto,
fosse quello di rappresentare la realtà in modo oggettivo, secondo il canone dell’impersonalità
dello scrittore. La realtà che gli scrittori dovevano rappresentare era quella contemporanea, con una
particolare predilezione per le classi più povere della società.
Il Naturalismo fu fatto conoscere in Italia da uno scrittore siciliano Luigi Capuana e il massimo
esponente di questa corrente, che nel nostro Paese prese il nome di Verismo, fu Giovanni Verga.

GIOVANNI VERGA (1840-1922)

Verga nasce a Catania nel 1840. Nel 1869 lascia la Sicilia, prima per Firenze (fino al 1872), poi per
Milano dove vivrà fino al 1893. Tornato a Catania, vi muore nel 1922.

Tecniche narrative del verismo:

- regressione
- straniamento

- impersonalità

La prima novella verista: Rosso Malpelo 1878

Verga scrive inizialmente romanzi e racconti romantici: i romanzi mondani.

La stagione verista di Verga inizia con la novella Rosso Malpelo; per alcuni critici la prima novella
verista è Nedda, nella quale Verga cambia l’ambientazione (dura vita dei contadini) ma ancora non
sono presenti le tecniche veriste.

Era stato Luigi Capuana a far conoscere a Verga i principi ed i romanzi del Naturalismo francese.

La prima raccolta di novelle: Vita dei campi 1880

In questa raccolta ci sono protagonisti singoli, in cui si riflette un mondo

ROSSO MALPELO

Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un
ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava
della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel
modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo…. (questa è la tecnica della regressione)

La seconda raccolta di novelle: Novelle rusticane 1882

Novelle rusticane narrano storie più corali della precedente raccolta che scolpiva un popolo in un
singolo individuo. Emblematica è la novella Libertà, ispirata alla rivolta di Bronte in Sicilia
all’arrivo di Garibaldi.

Il Ciclo dei vinti

Cosi nella prefazione ai Malavoglia, Verga presenta il suo progetto di un ciclo di 5 romanzi, ma ne
scriverà solo i primi due.

I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, la Duchessa de Leyra, l'Onorevole Scipioni, l'Uomo di lusso


sono altrettanti vinti che la corrente ha deposti sulla riva, dopo averli travolti e annegati, ciascuno
colle stimate del suo peccato, che avrebbero dovuto essere lo sfolgorare della sua virtù. Ciascuno,
dal più umile al più elevato, ha avuta la sua parte nella lotta per l'esistenza, pel benessere, per
l'ambizione - dall'umile pescatore al nuovo arricchito……..

Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un
istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi
colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto
essere. (Prefazione a I Malavoglia)
I Malavoglia 1883

Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un
piccolo paese vicino Catania. La famiglia è nota e rispettata da tutti, economicamente agiata grazie
soprattutto alla pesca con la barca chiamata la “Provvidenza”. La catena delle disgrazie inizia con
l’acquisto a credito di un carico di lupini da trasportare in barca. Purtroppo una tempesta fa
affondare la nave. Muore così Bastiano figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza,
detta la Longa, e padre di cinque figli:’Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad
arrabattarsi per saldare il debito dei lupini affondati con la barca, ma presto durante il servizio
militare di leva nella battaglia di Lissa muore Luca. Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non
riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia , detta la  “Casa del nespolo”.
Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi di lavorare per
ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le
fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e ‘Ntoni a
sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni ribellandosi alle condizioni dei vinti prende
una cattiva strada che lo porta a cinque anni di prigione, causando prima la pazzia , poi la morte del
nonno e la fuga della sorellina Lia. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l’aiuto
della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l’onore distrutto dei
Malavoglia.

Mastro don Gesualdo 1889

Gesualdo Motta, muratore di umili origini, lottando con tutte le forze è riuscito a elevare la propria
condizione e a diventare proprietario terriero, accumulando un consistente patrimonio. La sua
ascesa sociale è suggellata dal matrimonio con Bianca Trao, una nobile decaduta costretta a sposarsi
per riparare alla relazione colpevole con il cugino baronetto Nini Rubiera. Gesualdo non ama la
moglie e sa che Isabella, nata pochi mesi dopo le nozze, non è figlia sua. La convivenza tra i
coniugi è fonte di delusioni e amarezze. Bianca spesso malata non sa essere vicina al marito e
sempre più viva è in Gesualdo la nostalgia per Diodata, la mite e devota serva che gli ha dato due
figli. Isabella si vergogna delle umili origini del padre e invaghitasi del cugino Corrado la Gurna
scappa di casa. Il matrimonio è impossibile perché Corrado è uno spiantato. Per rimediare alla
compromissione della figlia e sempre alla ricerca di un’ulteriore affermazione sociale, Gesualdo dà
Isabella in sposa al Duca di Leyra, nobile palermitano squattrinato che dissipa la cospicua dote della
ragazza. Deluso e malato Gesualdo si spegne nel palazzo di Palermo, solo ed estraneo al mondo che
lo circonda, mentre assiste impotente dinanzi allo spreco del patrimonio per il quale ha lottato e
sacrificato affetti sinceri.

DECADENTISMO E SIMBOLISMO

In Francia, nella seconda metà dell’800, accanto al Naturalismo, si sviluppano tendenze letterarie
di segno opposto, come il Decadentismo e il Simbolismo.

In tali correnti, assistiamo ad una profonda svalutazione della ragione, come strumento conoscitivo:
è l’arte che può condurre gli uomini alla conoscenza del Mistero che si nasconde nel reale.
E l’artista è il veggente che si accorge della profondità delle cose: per questo egli non trova spazio
in questo mondo materialista.

Baudelaire è il poeta di riferimento di queste correnti poetiche: in questa poesia paragona il poeta
all’albatro, maestoso quando vola, ridicolo quando deve camminare sulla terra degli uomini.

L’ALBATRO (Charles Baudelaire)

Spesso, per divertirsi, gli uomini d'equipaggio


 catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
 che seguono, indolenti compagni di vïaggio,
 il vascello che va sopra gli abissi amari.

E li hanno appena posti sul ponte della nave


 che, inetti e vergognosi, questi re dell'azzurro
 pietosamente calano le grandi ali bianche,
 come dei remi inerti, accanto ai loro fianchi.

 Com'è goffo e maldestro, l'alato viaggiatore!


Lui, prima così bello, com'è comico e brutto!
Qualcuno, con la pipa, gli solletica il becco,
 l'altro, arrancando, mima l'infermo che volava!

 Il Poeta assomiglia al principe dei nembi


 che abita la tempesta e ride dell'arciere;
ma esule sulla terra, al centro degli scherni,
 per le ali di gigante non riesce a camminare.

Altra importante poesia di Baudelaire, considerato il manifesto del decadentismo ante litteram è
“Corrispondenze”

La Natura è un tempio dove incerte parole


mormorano pilastri che sono vivi,
una foresta di simboli che l'uomo
attraversa nei raggi dei loro sguardi familiari.
Come echi che a lungo e da lontano
tendono a un'unità profonda e buia
grande come le tenebre o la luce
i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi.
Profumi freschi come la pelle d'un bambino
vellutati come l'oboe e verdi come i prati,
altri d'una corrotta, trionfante ricchezza
che tende a propagarsi senza fine- così
l'ambra e il muschio, l'incenso e il benzoino
a commentare le dolcezze estreme dello spirito e dei sensi.
In Italia, il Simbolismo avrà come esponente Giovanni Pascoli.

Giovanni PASCOLI (1855-1912)

Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855: la famiglia è benestante, suo padre è
fattore dei Principi Torlonia.

La serenità della vita familiare viene spezzata dal misterioso assassinio del padre, il 10 agosto 1867.
È l'inizio di una serie di lutti che distruggeranno il "nido" familiare.

Pascoli si laurea in Lettere e insegna prima in licei toscani, poi all’Università di Bologna. Cercherà
di ricostruire un “nido” di affetti, vivendo a Castelvecchio di Barga con le due sorelle.

Nella poesia X agosto, Pascoli ricorderà la tragedia familiare.

La poesia appartiene alla prima raccolta Myricae: le tamerici sono fiori così comuni nella macchia
mediterranea che tutti li calpestiamo senza accorgerci. Le poesie di Pascoli sono come le tamerici:
solo lo sguardo del poeta sa accorgerci del mistero nelle cose più piccole della vita.

X AGOSTO (Myricae)

Anche un uomo tornava al suo nido:


l'uccisero: disse: Perdono;
San Lorenzo, io lo so perché tanto e restò negli aperti occhi un grido:
di stelle per l'aria tranquilla portava due bambole in dono.
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ora là, nella casa romita,


Ritornava una rondine al tetto: lo aspettano, aspettano in vano:
l'uccisero: cadde tra i spini; egli immobile, attonito, addita
ella aveva nel becco un insetto: le bambole al cielo lontano.
la cena dei suoi rondinini.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi


Ora è là, come in croce, che tende sereni, infinito, immortale,
quel verme a quel cielo lontano; oh! d'un pianto di stelle lo inondi
e il suo nido è nell'ombra, che attende, quest'atomo opaco del Male!
che pigola sempre più piano.

LAVANDARE (Myricae) 

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero


resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene,


o sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,


e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l'aratro in mezzo alla maggese.

Seguiranno i Canti di Castelvecchio e i Primi Poemetti, oltre a numerose raccolte in latino

NEBBIA (Canti di Castelvecchio) soltanto,


che dànno i soavi lor mieli
Nascondi le cose lontane,
pel nero mio pane.
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l'alba, Nascondi le cose lontane
da' lampi notturni e da' crolli che vogliono ch'ami e che vada!
d'aeree frane! Ch'io veda là solo quel bianco
di strada,
Nascondi le cose lontane,
che un giorno ho da fare tra stanco
nascondimi quello ch'è morto!
don don di campane...
Ch'io veda soltanto la siepe
dell'orto,
la mura ch'ha piene le crepe Nascondi le cose lontane,
di valeriane. nascondile, involale al volo
del cuore! Ch'io veda il cipresso
Nascondi le cose lontane:
là, solo,
le cose son ebbre di pianto!
qui, solo quest'orto, cui presso
Ch'io veda i due peschi, i due meli,
sonnecchia il mio cane.

I DUE ORFANI (Primi Poemetti)


«Fratello, ti do noia ora, se parlo?» «Io parlo ancora, se tu sei contento.
«Parla: non posso prender sonno». «Io sento Ricordi, quando per la serratura
rodere, appena...» «Sarà forse un tarlo...» veniva lume?» «Ed ora il lume è spento».

    «Fratello, l'hai sentito ora un lamento     «Anche a que' tempi noi s'aveva paura:
lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane...» sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta,
«C'è gente all'uscio...» «Sarà forse il vento...» e siamo soli nella notte oscura».

    «Odo due voci piane piane piane...»     «Essa era là, di là di quella porta;
«Forse è la pioggia che vien giù bel bello». e se n'udiva un mormorìo fugace,
«Senti quei tocchi?» «Sono le campane» di quando in quando». «Ed or la mamma è morta».
.
    «Suonano a morto? suonano a martello?»     «Ricordi? Allora non si stava in pace
«Forse...» «Ho paura...» «Anch'io». «Credo che tuoni: tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»
come faremo?» «Non lo so, fratello: «ora che non c'è più chi si compiace

    stammi vicino: stiamo in pace: buoni».     di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni».

Nel saggio Il Fanciullino (pubblicato sulla rivista “Il Marzocco” nel 1987) Pascoli dice che il poeta
è chi guarda la realtà con gli occhi del bambino.

DECADENTISMO: GABRIELE D’ANNUNZIO


D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863. Studia al Cicognini di Prato, poi a Roma dove si dedica più
alle attività mondane che agli studi universitari. La sua vita si baserà sul concetto del “Vivere
inimitabile”, “Fare della propria vita un’opera d’arte”: è un esteta, colui che fa del bello il suo
valore supremo (non più il bene e il male, il giusto o l’ingiusto). Vive tra Roma, Firenze, Francia
(dove fugge per debiti) e Gardone dove muore nel 1938, nella sua villa Il Vittoriale.

I fase Estetismo Panismo (1879-1893)


Raccolte di poesie: 1879 – Primo Vere, 1882 – Canto Novo, 1887-1892 – Elegie Romane

Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano che si esprime nella
formula IL VERSO È TUTTO. L’arte è il valore supremo e a essa vanno subordinati tutti gli altri
valori: culto religioso dell’arte e della bellezza.

In questa fase D’Annunzio indossa, nella vita come nella produzione letteraria, la maschera
dell’ESTETA, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea, in un
mondo sublime di pura arte e bellezza.

Ma ben presto D’Annunzio si rende conto dell’intima debolezza di questa figura: l’esteta non ha la
forza di opporsi alla borghesia. D’Annunzio avverte la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da
conflitti brutali e il suo isolamento sdegnoso diventa impotenza e il culto della bellezza si trasforma
in menzogna.

Testimonianza di questa crisi dell’estetismo è il suo romanzo più famoso: IL PIACERE (1889), in
cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria vissuta fino a quel momento. Al centro del
romanzo vi è la figura di un esteta ANDREA SPERELLI (il “doppio”, l’alter-ego di D’Annunzio),
giovane aristocratico, artista. In lui il principio “fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”
diviene forza distruttrice che lo priva di ogni energia morale, lo svuota e lo isterilisce. L’eroe è
diviso tra due donne: Elena Muti, donna fatale che incarna l’erotismo lussurioso e Maria Ferres, la
donna pura che rappresenta per lui l’occasione di riscatto e di elevazione spirituale.

Nei confronti di questo suo doppio letterario D’Annunzio ha un atteggiamento critico, facendo
pronunciare dalla voce narrante duri giudizi su di lui. In realtà Andre Sperelli esercita un certo
fascino su D’Annunzio, con il suo gusto raffinato, con la sua mutevolezza amorale. Per questi
motivi IL PIACERE non è ancora il definitivo distacco di D’Annunzio dall’esteta.

La crisi dell’estetismo si risolve con la lettura del filosofo Nietzsche.

II fase Superomismo (1894-1910)

D’Annunzio rimase affascinato, come molti intellettuali europei, dal pensiero di Nietzsche e si
accinse a darne la sua personale interpretazione, o meglio il suo fraintendimento. Ne parlò la prima
volta in un articolo apparso su Il Mattino il 25 settembre 1892, dal titolo “La bestia elettiva” dove
presenta il filosofo tedesco quale modello del “rivoluzionario aristocratico”, come il maestro di un
“uomo libero, più forte delle cose, convinto che la personalità superi in valore tutti gli attributi
accessori”.

D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero nicciano banalizzandoli e forzandoli entro un proprio
sistema di concezioni:
- rifiuto del conformismo borghese
- esaltazione dello spirito dionisiaco (Dioniso era il dio greco dell’ebbrezza/vitalismo gioioso
libero dalla morale comune)
- rifiuto dell’etica della pietà e dell’altruismo
- esaltazione della volontà di potenza, dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé
- mito del SUPERUOMO

Il SUPERUOMO dannunziano, aggressivo e vitalistico non nega l’esteta, ma anzi lo ingloba:


l’estetismo non è più rifiuto sdegnoso della realtà, ma volontà di dominio sulla realtà, imposizione,
attraverso la bellezza, del dominio di una elité raffinata su un mondo meschino e vile come quello
borghese.

L’artista superuomo diventa VATE con una missione politica.

In questa fase D’Annunzio continua a scrivere romanzi (Trionfo della Morte – 1894; Le vergini
delle rocce – 1895; Il fuoco – 1900) e inizia la stesura delle opere teatrali.

IL PRIMO NOVECENTO
- nei primi decenni del Novecento, nei romanzi troviamo la descrizione del disagio dell’uomo
moderno: il centro di interesse si sposta dalla realtà fuori di noi (Verismo) a quella dentro di
noi (Pirandello e Svevo)
- cambia anche la struttura del romanzo, con nuove tecniche narrative (si pensi a La coscienza
di Zeno)

LUIGI PIRANDELLO (1867-1936)


Pirandello nasce nei pressi di Agrigento nel 1867. Studia a Palermo, poi fa l’Università a Roma,
laureandosi a Bonn, in Germania.
Vive a Roma tutta la vita insegnando all’Università. Si sposa con Antonietta Portulano che, in
seguito ad un dissesto finanziario familiare, manifesta la sua follia.
Aderisce al Fascismo.
Fino alla Prima Guerra Mondiale, scrive romanzi e novelle (raccolte in Novelle per un anno), poi si
dedicherà al teatro, un genere che meglio esprimeva la sua concezione teatrale della vita. La vita è
un grande teatro dove ognuno recita la parte che gli è assegnata.
Il primo romanzo è L’esclusa: il tema è il contrasto insanabile tra apparenza e realtà.
Il secondo romanzo, che avrà molto successo, è Il fu Mattia Pascal. In questo romanzo sono già
presenti tante tematiche pirandelliane: la vita è dominata dalla casualità e dalle convenzioni sociali.
L’uomo che cerca di essere se stesso non può vivere.
Nel 1917 Pirandello scrive Così è (se vi pare), tratto dalla novella La signora Frola e il signor
Ponza suo genero. L'opera è incentrata su un tema molto caro a Pirandello: l'inconoscibilità del
reale, di cui ognuno può dare una propria interpretazione che non può coincidere con quella degli
altri. Si genera così un relativismo delle forme, delle convenzioni e dell'esteriorità, un'impossibilità
a conoscere la verità assoluta che è ben rappresentata dal personaggio Laudisi e dalla frase "io sono
colei che mi si crede" ripetuta dalla donna misteriosa.
ITALO SVEVO (1861-1928)
Ettore Schmitz nasce a Trieste, città italiana dell’Impero austro-ungarico, da famiglia di origine
ebraica. La sua doppia appartenenza al mondo italiano e tedesco è ben espressa dallo pseudonimo
Italo Svevo.
Fa studi commerciali e poi lavora prima in banca, poi nella ditta di vernici del suocero.
1892 Una vita (titolo originale Un inetto)
1898 Senilità
Questi romanzi sono ambientati in una società piccolo-borghese soffocante e conformista e
protagonisti sono individui impotenti, incapaci di ribellione. L’uomo è un inetto che vive il disagio
esistenziale in una società malata, falsa, priva di valori se non quelli del denaro e dell’apparenza.
L’insuccesso dei primi due romanzi determina un lungo periodo in cui non scrive più nulla.
In questi anni 1899-1918 due fatti importanti: la conoscenza della psicoanalisi di Freud e l’amicizia
con Joyce. Dopo la guerra, su incoraggiamento di Joyce riprende a scrivere e nel 1923 pubblica La
coscienza di Zeno, il romanzo che gli darà successo.
- è un romanzo psicoanalitico: il dottor S pubblica i taccuini psicoanalitici del suo paziente
Zeno Cosini, per vendetta verso di lui che ha interrotto la terapia
- il romanzo è infatti diviso in capitoli non cronologici, ma tematici (Il fumo, Il matrimonio,
La morte di mio padre, etc.)
- non viene raccontata la storia di Zeno, ma la sua coscienza
Nel 1928 Svevo muore in un incidente stradale.

GIUSEPPE UNGARETTI (1888-1970)


Nasce nel 1888 ad Alessandria d'Egitto da genitori toscani emigrati. Nel 1912 va a Parigi, segue i
corsi della Sorbona e del Collège de France e frequenta pittori (Picasso, Modigliani, De Chirico) e
scrittori (Apollinaire, Soffici, Palazzeschi) che rappresentano l'avanguardia letteraria e artistica
italiana e francese. Nel 1914 scoppia la Prima Guerra mondiale: l’Italia entra nel conflitto nel 1915
e Ungaretti si arruola volontario come fante.

LA POESIA E LA GUERRA: ALLEGRIA DI NAUFRAGI 1919


È la prima raccolta di poesie di Ungaretti
- poesie brevi, essenzialità della parola, spesso isolate nel verso
- non ci sono più le strutture poetiche tradizionali (verso, strofa, rima); assenza di
punteggiatura, spazi bianchi
- importanza del titolo, spesso sotto il titolo luogo e data
Allegria di naufragi: l’allegria deriva dal fatto che l’uomo, proprio nell’esperienza della perdita,
prende coscienza del valore delle cose.

LA POESIA E LA VITA: SENTIMENTO DEL TEMPO 1933


Nel 1920 si sposa con Jeanne Dupoix, da cui avrà due figli e va ad abitare a Roma.
Gli anni che seguono sono segnati dalla scoperta della tradizione italiana: la storia, l’arte, la
letteratura, la fede cristiana. Nel 1928 si converte al Cattolicesimo:
Nel 1933 tutte queste esperienze confluiscono in Sentimento del tempo.
Questa poesia – contenuta nella raccolta – è emblematica di questo secondo passaggio della sua
produzione poetica
- Ungaretti immagina il momento della sua morte e l’incontro con sua madre in Paradiso
- tornano forme poetiche più tradizionali: poesia più lunga, versi, strofe, etc.

La Madre

E il cuore quando d'un ultimo battito


Avrà fatto cadere il muro d'ombra
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,


Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,


Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,


e avrai negli occhi un rapido sospiro.

LA POESIA E IL DOLORE: IL DOLORE 1947


Nel 1936 va ad insegnare a San Paolo del Brasile dove resterà fino al 1942: qui nel 1939 muore il
suo figlio Antonietto di 9 anni
Nel 1942 torna a Roma nel periodo più terribile della Seconda Guerra mondiale
Il dolore raccoglie le poesie legate alla tragedia personale della morte del figlio e a quella collettiva
della Guerra. Ecco una lirica, contenuta in questa raccolta, che racconta l’agonia del figlio
1. 3.
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto..." Mi porteranno gli anni
E il volto già scomparso Chissà quali altri orrori,
Ma gli occhi ancora vivi Ma ti sentivo accanto,
Dal guanciale volgeva alla finestra, M'avresti consolato...
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse 4.
Per distrarre il suo bimbo... Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
2. Quando non spero più...
Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani... 7.
E discorro, lavoro, In cielo cerco il tuo felice volto,
Sono appena mutato, temo, fumo... Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Come si può ch'io regga a tanta notte?... Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...
8.
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...

Ungaretti muore nel 1970: tutte le sue poesie sono ora raccolte in Vita di un uomo

EUGENIO MONTALE (1896-1981)


La vita di Montale si articola in tre grandi periodi, legati alle città in cui vive e alle raccolte
pubblicate.

1. PERIODO LIGURE (1896-1927)


Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896, in una famiglia di commercianti. Fa studi commerciali,
ma coltiva, da autodidatta, interessi letterari e musicali.
Letteratura (Dante in primo luogo) e lingue straniere sono il terreno in cui getta le prime radici
l'immaginario montaliano; assieme al panorama, ancora intatto, delle Cinque Terre, dove la famiglia
trascorre le vacanze
OSSI DI SEPPIA 1925
Montale in questa prima raccolta denuncia l'impossibilità di dare una risposta all'esistenza. Il titolo
della raccolta vuole evocare i relitti che il mare abbandona sulla spiaggia, come gli ossi di seppia
che le onde portano a riva; qualcosa di simile, vuole dirci il poeta, sono le sue poesie. Le poesie di
questa raccolta traggono lo spunto iniziale da una situazione, da un episodio della vita del poeta, da
un paesaggio, come quello della Liguria, per esprimere temi più generali: la rottura tra individuo e
mondo, la difficoltà di conciliare la vita con il bisogno di verità, la consapevolezza della precarietà
della condizione umana. Si affollano in queste poesie oggetti, presenze spesso umili che non
compaiono solitamente nel linguaggio dei poeti, alle quali Montale affida, in toni dimessi, la sua
analisi negativa del presente ma anche la non rassegnazione, l'attesa di un miracolo.
Poesie lette: Meriggiare, Spesso il male, Forse un mattino andando
Correlativo oggettivo: usare un oggetto per dire un’idea, un sentimento (esempio il male di vivere è
il rivo strozzato, la foglia riarsa, il cavallo stramazzato)

2. PERIODO FIORENTINO 1927-48


Montale giunge a Firenze nel 1927 per il lavoro di redattore ottenuto presso l'editore Bemporad. Nel
1929 è chiamato a dirigere il Gabinetto scientifico letterario G. P. Vieusseux (ne sarà espulso nel
1938 dal fascismo). La vita a Firenze però si trascina per il poeta tra incertezze economiche e fragili
rapporti sentimentali; i suoi "libri della vita" sono Dante e Svevo, coi classici americani; degli
innumerevoli altri non parla se non indirettamente, attraverso le tracce da essi lasciate nella sua
opera.
LE OCCASIONI 1939
In questa raccolta, il nichilismo precedente è rotto dalla possibilità di alcune "occasioni" di
richiamo: in particolare si delineano figure femminili, nuove "Beatrici" a cui il poeta affida la
propria speranza.

3. PERIODO MILANESE 1948-81


 A Milano dal 1948 diventa collaboratore del Corriere della sera, per cui scrive critiche musicali e
reportage culturali da vari paesi. Nel 1967 viene nominato senatore a vita, nel 1975 riceve il Nobel
per la letteratura. Muore nel 1981.
SATURA 1971
Negli ultimi anni Montale approfondì la propria filosofia, quasi temesse di non avere abbastanza
tempo "per dire tutto" (sensazione di morire).
Xenia (1966) è una raccolta di poesie dedicate alla propria moglie defunta, Drusilla Tanzi,
amorevolmente soprannominata "Mosca" per le spesse lenti degli occhiali da vista. Il titolo richiama
xenia, che nell'antica Grecia erano i doni fatti all'ospite, e che ora dunque costituirebbero il dono
alla propria moglie. Le poesie di Xenia furono pubblicate insieme alla raccolta Satura, con il titolo
complessivo Satura, nel gennaio 1971.
HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio


Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
 

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