IL POSITIVISMO
Il Positivismo è una filosofia che si sviluppa in Francia nella seconda metà dell'800.
Il termine Positivismo deriva etimologicamente dal latino positum, traducibile come ciò che è posto,
fondato, che ha le sue basi nella realtà dei fatti concreti.
Il fondatore di tale filosofia è il francese Auguste Comte.
Il Positivismo parte da una concezione materialista della realtà: esiste solo ciò che cade entro il
confine dei sensi.
La realtà è perciò interamente conoscibile: esistono cose che già sappiamo ed altre che sapremo. I
positivisti, costatando l’impressionante accelerazione che la scienza aveva dato al progresso
conoscitivo dell’umanità, ritenevano che l’uomo fosse prossimo a conoscere tutto: il progresso
avrebbe portato all’uomo in questo mondo quella felicità che le religioni promettevano nell’aldilà.
Infatti per i positivisti, Dio è un prodotto dell'ignoranza. Man mano che la conoscenza umana
progredisce, le religioni sono destinate a scomparire, perché l’uomo troverà una spiegazione
razionale a ciò che nel presente attribuisce a Dio.
Attraverso il metodo scientifico si può conoscere non solo la realtà fisica, ma anche quella umana.
Nascono da questa intuizione le cosiddette scienze umane: la psicologia, come scienza che studia i
comportamenti individuali e la sociologia, lo studio scientifico dei comportamenti collettivi.
I positivisti ritenevano che era possibile scrivere l’equazione umana, essendo l’uomo un essere
materiale. Infatti per essi l’uomo è il prodotto necessario di tre fattori: il patrimonio genetico (race),
l'ambiente (milieu) e il momento storico (momènt) in cui vive. Questi tre fattori determinano, non
influenzano, l’uomo.
Il Positivismo si alimentò e si fuse spesso con le teorie di Darwin sull’origine dell'uomo, che
negando ogni intervento divino di creazione, ne attribuiva la formazione ad un’evoluzione della
specie, avvenuta secondo il criterio della selezione naturale.
Queste correnti filosofiche e scientifiche sono all’origine di una corrente letteraria che in Francia
prese il nome di Naturalismo, il cui massimo esponente fu Emile Zola.
I naturalisti ritenevano che lo scopo della letteratura, in cui predilessero il romanzo e il racconto,
fosse quello di rappresentare la realtà in modo oggettivo, secondo il canone dell’impersonalità
dello scrittore. La realtà che gli scrittori dovevano rappresentare era quella contemporanea, con una
particolare predilezione per le classi più povere della società.
Il Naturalismo fu fatto conoscere in Italia da uno scrittore siciliano Luigi Capuana e il massimo
esponente di questa corrente, che nel nostro Paese prese il nome di Verismo, fu Giovanni Verga.
Verga nasce a Catania nel 1840. Nel 1869 lascia la Sicilia, prima per Firenze (fino al 1872), poi per
Milano dove vivrà fino al 1893. Tornato a Catania, vi muore nel 1922.
- regressione
- straniamento
- impersonalità
La stagione verista di Verga inizia con la novella Rosso Malpelo; per alcuni critici la prima novella
verista è Nedda, nella quale Verga cambia l’ambientazione (dura vita dei contadini) ma ancora non
sono presenti le tecniche veriste.
Era stato Luigi Capuana a far conoscere a Verga i principi ed i romanzi del Naturalismo francese.
ROSSO MALPELO
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un
ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava
della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel
modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo…. (questa è la tecnica della regressione)
Novelle rusticane narrano storie più corali della precedente raccolta che scolpiva un popolo in un
singolo individuo. Emblematica è la novella Libertà, ispirata alla rivolta di Bronte in Sicilia
all’arrivo di Garibaldi.
Cosi nella prefazione ai Malavoglia, Verga presenta il suo progetto di un ciclo di 5 romanzi, ma ne
scriverà solo i primi due.
Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un
istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente, coi
colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto
essere. (Prefazione a I Malavoglia)
I Malavoglia 1883
Il romanzo racconta la storia di una famiglia di pescatori che vive e lavora ad Aci Trezza, un
piccolo paese vicino Catania. La famiglia è nota e rispettata da tutti, economicamente agiata grazie
soprattutto alla pesca con la barca chiamata la “Provvidenza”. La catena delle disgrazie inizia con
l’acquisto a credito di un carico di lupini da trasportare in barca. Purtroppo una tempesta fa
affondare la nave. Muore così Bastiano figlio del capo famiglia Padron Ntoni, marito di Maruzza,
detta la Longa, e padre di cinque figli:’Ntoni, Mena, Lia, Luca, Alessi. Tutti cominciano ad
arrabattarsi per saldare il debito dei lupini affondati con la barca, ma presto durante il servizio
militare di leva nella battaglia di Lissa muore Luca. Distrutti dai dispiaceri, i Malavoglia non
riescono a saldare il debito e così viene tolta loro la casa di famiglia , detta la “Casa del nespolo”.
Ormai tutto il paese vede di malocchio i Malavoglia che cercano in tutti i modi di lavorare per
ottenere i denari per maritare le figlie e per riacquistare la Casa del Nespolo. A moltiplicare le
fatiche arriva il colera che si porta via la Longa. Patron Ntoni resta così solo con Alessi e ‘Ntoni a
sostenere i nipoti orfani del padre e della madre. Ntoni ribellandosi alle condizioni dei vinti prende
una cattiva strada che lo porta a cinque anni di prigione, causando prima la pazzia , poi la morte del
nonno e la fuga della sorellina Lia. Da ultimo resta così Alessi che, dopo essersi sposato, con l’aiuto
della sorella Mena ricompra la Casa del Nespolo e tenta di ricostruire l’onore distrutto dei
Malavoglia.
Gesualdo Motta, muratore di umili origini, lottando con tutte le forze è riuscito a elevare la propria
condizione e a diventare proprietario terriero, accumulando un consistente patrimonio. La sua
ascesa sociale è suggellata dal matrimonio con Bianca Trao, una nobile decaduta costretta a sposarsi
per riparare alla relazione colpevole con il cugino baronetto Nini Rubiera. Gesualdo non ama la
moglie e sa che Isabella, nata pochi mesi dopo le nozze, non è figlia sua. La convivenza tra i
coniugi è fonte di delusioni e amarezze. Bianca spesso malata non sa essere vicina al marito e
sempre più viva è in Gesualdo la nostalgia per Diodata, la mite e devota serva che gli ha dato due
figli. Isabella si vergogna delle umili origini del padre e invaghitasi del cugino Corrado la Gurna
scappa di casa. Il matrimonio è impossibile perché Corrado è uno spiantato. Per rimediare alla
compromissione della figlia e sempre alla ricerca di un’ulteriore affermazione sociale, Gesualdo dà
Isabella in sposa al Duca di Leyra, nobile palermitano squattrinato che dissipa la cospicua dote della
ragazza. Deluso e malato Gesualdo si spegne nel palazzo di Palermo, solo ed estraneo al mondo che
lo circonda, mentre assiste impotente dinanzi allo spreco del patrimonio per il quale ha lottato e
sacrificato affetti sinceri.
DECADENTISMO E SIMBOLISMO
In Francia, nella seconda metà dell’800, accanto al Naturalismo, si sviluppano tendenze letterarie
di segno opposto, come il Decadentismo e il Simbolismo.
In tali correnti, assistiamo ad una profonda svalutazione della ragione, come strumento conoscitivo:
è l’arte che può condurre gli uomini alla conoscenza del Mistero che si nasconde nel reale.
E l’artista è il veggente che si accorge della profondità delle cose: per questo egli non trova spazio
in questo mondo materialista.
Baudelaire è il poeta di riferimento di queste correnti poetiche: in questa poesia paragona il poeta
all’albatro, maestoso quando vola, ridicolo quando deve camminare sulla terra degli uomini.
Altra importante poesia di Baudelaire, considerato il manifesto del decadentismo ante litteram è
“Corrispondenze”
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855: la famiglia è benestante, suo padre è
fattore dei Principi Torlonia.
La serenità della vita familiare viene spezzata dal misterioso assassinio del padre, il 10 agosto 1867.
È l'inizio di una serie di lutti che distruggeranno il "nido" familiare.
Pascoli si laurea in Lettere e insegna prima in licei toscani, poi all’Università di Bologna. Cercherà
di ricostruire un “nido” di affetti, vivendo a Castelvecchio di Barga con le due sorelle.
La poesia appartiene alla prima raccolta Myricae: le tamerici sono fiori così comuni nella macchia
mediterranea che tutti li calpestiamo senza accorgerci. Le poesie di Pascoli sono come le tamerici:
solo lo sguardo del poeta sa accorgerci del mistero nelle cose più piccole della vita.
X AGOSTO (Myricae)
LAVANDARE (Myricae)
«Fratello, l'hai sentito ora un lamento «Anche a que' tempi noi s'aveva paura:
lungo, nel buio?» «Sarà forse un cane...» sì, ma non tanta». «Or nulla ci conforta,
«C'è gente all'uscio...» «Sarà forse il vento...» e siamo soli nella notte oscura».
«Odo due voci piane piane piane...» «Essa era là, di là di quella porta;
«Forse è la pioggia che vien giù bel bello». e se n'udiva un mormorìo fugace,
«Senti quei tocchi?» «Sono le campane» di quando in quando». «Ed or la mamma è morta».
.
«Suonano a morto? suonano a martello?» «Ricordi? Allora non si stava in pace
«Forse...» «Ho paura...» «Anch'io». «Credo che tuoni: tanto, tra noi...» «Noi siamo ora più buoni...»
come faremo?» «Non lo so, fratello: «ora che non c'è più chi si compiace
stammi vicino: stiamo in pace: buoni». di noi...» «che non c'è più chi ci perdoni».
Nel saggio Il Fanciullino (pubblicato sulla rivista “Il Marzocco” nel 1987) Pascoli dice che il poeta
è chi guarda la realtà con gli occhi del bambino.
Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano che si esprime nella
formula IL VERSO È TUTTO. L’arte è il valore supremo e a essa vanno subordinati tutti gli altri
valori: culto religioso dell’arte e della bellezza.
In questa fase D’Annunzio indossa, nella vita come nella produzione letteraria, la maschera
dell’ESTETA, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea, in un
mondo sublime di pura arte e bellezza.
Ma ben presto D’Annunzio si rende conto dell’intima debolezza di questa figura: l’esteta non ha la
forza di opporsi alla borghesia. D’Annunzio avverte la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da
conflitti brutali e il suo isolamento sdegnoso diventa impotenza e il culto della bellezza si trasforma
in menzogna.
Testimonianza di questa crisi dell’estetismo è il suo romanzo più famoso: IL PIACERE (1889), in
cui confluisce tutta l’esperienza mondana e letteraria vissuta fino a quel momento. Al centro del
romanzo vi è la figura di un esteta ANDREA SPERELLI (il “doppio”, l’alter-ego di D’Annunzio),
giovane aristocratico, artista. In lui il principio “fare la propria vita come si fa un’opera d’arte”
diviene forza distruttrice che lo priva di ogni energia morale, lo svuota e lo isterilisce. L’eroe è
diviso tra due donne: Elena Muti, donna fatale che incarna l’erotismo lussurioso e Maria Ferres, la
donna pura che rappresenta per lui l’occasione di riscatto e di elevazione spirituale.
Nei confronti di questo suo doppio letterario D’Annunzio ha un atteggiamento critico, facendo
pronunciare dalla voce narrante duri giudizi su di lui. In realtà Andre Sperelli esercita un certo
fascino su D’Annunzio, con il suo gusto raffinato, con la sua mutevolezza amorale. Per questi
motivi IL PIACERE non è ancora il definitivo distacco di D’Annunzio dall’esteta.
D’Annunzio rimase affascinato, come molti intellettuali europei, dal pensiero di Nietzsche e si
accinse a darne la sua personale interpretazione, o meglio il suo fraintendimento. Ne parlò la prima
volta in un articolo apparso su Il Mattino il 25 settembre 1892, dal titolo “La bestia elettiva” dove
presenta il filosofo tedesco quale modello del “rivoluzionario aristocratico”, come il maestro di un
“uomo libero, più forte delle cose, convinto che la personalità superi in valore tutti gli attributi
accessori”.
D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero nicciano banalizzandoli e forzandoli entro un proprio
sistema di concezioni:
- rifiuto del conformismo borghese
- esaltazione dello spirito dionisiaco (Dioniso era il dio greco dell’ebbrezza/vitalismo gioioso
libero dalla morale comune)
- rifiuto dell’etica della pietà e dell’altruismo
- esaltazione della volontà di potenza, dello spirito della lotta e dell’affermazione di sé
- mito del SUPERUOMO
In questa fase D’Annunzio continua a scrivere romanzi (Trionfo della Morte – 1894; Le vergini
delle rocce – 1895; Il fuoco – 1900) e inizia la stesura delle opere teatrali.
IL PRIMO NOVECENTO
- nei primi decenni del Novecento, nei romanzi troviamo la descrizione del disagio dell’uomo
moderno: il centro di interesse si sposta dalla realtà fuori di noi (Verismo) a quella dentro di
noi (Pirandello e Svevo)
- cambia anche la struttura del romanzo, con nuove tecniche narrative (si pensi a La coscienza
di Zeno)
La Madre
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Ungaretti muore nel 1970: tutte le sue poesie sono ora raccolte in Vita di un uomo