La navigazione di san Brendano (Navigatio sancti Brendani) è un'opera anonima in prosa latina,
tramandata da numerosi manoscritti a partire dal X secolo. Per l'insieme di elementi eterogenei che contiene, è considerata un classico della letteratura medievale di viaggio e agiografica (tutto il complesso delle testimonianze che costituiscono la memoria della vita di un santo e del culto a lui tributato). L'autore fu probabilmente un ecclesiastico, di origini irlandesi, che si basò sul patrimonio leggendario della sua terra, inserendovi spunti di derivazione cristiana. Brendano di Clonfert, abate benedettino irlandese fu un santo vissuto nel VI secolo: si procurò fama di navigatore fondando monasteri sulle isole tra l'Irlanda e la Scozia. La leggenda lo trasfigurò, immaginandolo alla testa di un gruppo di monaci, alla ricerca del Paradiso Terrestre e dei santi (Terra repromissionis, terra della promessa) situato su un'isola meravigliosa, l’Isola di San Brendano, una mitica isola-pesce che si sarebbe trovata ad Ovest del continente Africano. Prende il nome dal monaco stesso che vi sarebbe sbarcato durante la sua navigazione davanti alle coste dell'Europa, senza accorgersi di trovarsi sopra un'enorme balena, e facendo vari incontri con creature fantastiche. La navigazione di san Brandano ha aspetti comuni ai racconti di viaggi propri alla mitologia irlandese, i cosiddetti immrama, come il Viaggio di Mael Dúin scritto a cavallo fra il VII e il VII secolo, ma anche coi racconti arabi che, a loro volta, si riallacciano alla tradizione ellenistica, come nel Viaggio di Simbad il marinaio. Il mitico viaggio influenzerà a sua volta la narrativa agiografica molto diffusa in Europa occidentale, come i resoconti di viaggi di san Malo in Bretagna o san Amaro in Spagna. Gli aspetti incredibili del racconto vennero messi in evidenza sin dal Medioevo, quando nel XIII secolo critici come Vicenzo di Beauvais nel suo Speculum historiale qualificava il Navigatio sancti Brendani di "delirio apocrifo" inutile sia per la storia che per la geografia. Più avanti furono i bollandisti che criticarono quanto la verità storica fosse oscurata dalla leggenda. Malgrado ciò, il racconto acquisì una notevole popolarità e venne trascritto in numerosi manoscritti e in alcune versioni a stampa in latino. Ne circolarono nel Medioevo numerose versioni e in molti dialetti. La più antica è in versi, in dialetto francese anglo-normanno, del monaco Benedeit (ca. 1120). Il monaco dedicò la sua opera tradotta e rivisitata alle mogli del sovrano d'Inghilterra Enrico I. Sei manoscritti sono risaliti fino ai nostri giorni, i primi cinque offerti alla prima moglie: Regina Matilde figlia del Re di Scozia; l'ultimo alla seconda moglie Adelisa, nobildonna di origine belga. L'opera, tradotta nel corso dei secoli in varie lingue, è considerata tra le fonti di ispirazione della Divina Commedia di Dante tanto da far pensare ad alcuni studiosi che la demonologia di Dante possa essere stata tratta anche, non del tutto, ma in parte, da questa vecchia leggenda. Infatti, in essa si parla di angeli caduti, che il protagonista trova sotto le spoglie di uccelli candidissimi, appollaiati sopra un albero nel Paradiso, poiché spiriti decaduti sì, ma non malvagi, né superbi, colpe per le quali, ad esempio, proprio nella Divina Commedia, Dante li pone come neutrali. Quattro furono le versioni in italiano e lingua veneta, risalenti presumibilmente a una fonte comune del XIII secolo o del XIV secolo.