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Antonio Nepi

Dal fondale
alla ribalta

I personaggi secondari
nella Bibbia ebraica

Presentazione di Jean-Louis Ska


EDB
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

L'autore ringrazia sentitamente e cordialmente i


professori Jean-Louis Ska, Federico Giuntoli, Jean-
Pierre Sonnet e Peter Dubovsky, p. Giuseppe Casetta,
mons. Tullio Citrini, Carlo Valentini, p. Alfio Filippi.

Realizzazione editoriale-. Prohemio editoriale srl, Firenze


2015 Centro editoriale dehoniano
@

via Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna


www. dehoniane. it
EDB®

ISBN 978-88-10-40306-8
Stampa: Tipografìa Giammarioli, Frascati (RM) 2015
Sommario
PRESENTAZIONE..................................................6
NOTA DI LETTURA..............................................12
ABBREVIAZIONI E SIGLE..................................14
CAPITOLO 1: RILIEVO DEI PERSONAGGI
SECONDARI NELL'ARTE NARRATIVA
DELL'ANTICO TESTAMENTO EBRAICO..........24
1. Il personaggio: vivant sans entrailles...................24
2. La gestione dei personaggi.................................28
3. Criteri per una gerarchia formale di ruoli.............73
4. Un cast antiepico.............................................102
5. L'introduzione e la necessità di agenti secondari 149
6. Un'indagine limitata alle funzioni importanti.....155
CAPITOLO 2: AGENTI DI CONTRASTO..........157
1. Agenti di confronto (synkrisis).........................158
2. Contestatori....................................................170
3. Obiettori.........................................................191
4. Impotenti........................................................199
5. Accusatori......................................................211
6. Agenti-test......................................................218
CAPITOLO 3: AGENTI DI RACCORDO............251
1. Agenti bussola................................................253
2. Agenti garanti e risolutivi.................................271
3. Agenti alter ego...............................................291
4. Agenti di disconnessione..................................298
5. Informatori di pericolo o di morte.....................304
6. Informatori boomerang....................................327
7. Informatori orninosi.........................................334
CAPITOLO 4: AGENTI CATALIZZATORI.......340
1. Un'ars consilii democratica...............................342
1.1. Servi............................................................345
1.2. Donne consigliere.........................................354
1.3. Amici e parenti.............................................379
1.4. Consiglieri istituzionali «trampolini»..............387
1.5. Consiglieri inascoltati...................................400
1.6. Consiglieri strumentalizzati...........................408
1.7. Consiglieri dissuasivi....................................418
CAPITOLO 5: I MOTIVI DELLA MESSA IN
SCENA DEI PERSONAGGI SECONDARI
NELL'ANTICO TESTAMENTO.........................457
1. Esigenze drammatiche.....................................458
2. Finestre di una nuova Weltanschauung..............461
3. L'unico eroe dei racconti..................................472
4. Percorsi di senso..............................................480
PRESENTAZIONE

«On a souvent besoin d'un plus petit que soi -


Spesso abbiamo bisogno di qualcuno più piccolo di noi».
Questa morale lapidaria è illustrata da una breve favola di
Jean de La Fontaine (1621-1695): Il leone e il topo.1 Nel
racconto, un topo capita per distrazione fra le grinfie di
un leone, il quale, magnanimo, preferisce risparmiargli la
vita. Lo stesso leone si ritrova poco dopo impigliato in
una rete e, nonostante tutti i suoi sforzi, non riesce a
liberarsi, finché il topo, riconoscente, rode la corda e
permette al felino di ritrovare la libertà. Le zanne del
leone sono più temibili dei denti del topo, nessuno ne
dubita. In certe circostanze, tuttavia, le zanne del leone
non sono di alcuna utilità, mentre i dentini del topo
riescono a ottenere il risultato sperato. La posta in gioco
non era indifferente, poiché il leone rischiava di perdere
non solo la libertà, ma anche la vita. Il detto appena citato
è diventato proverbiale in francese. Si addice anche

1
La fonte, come in altri casi, è il poeta greco Esopo.
molto bene alla tesi di Antonio Nepi sui personaggi
secondari nelle narrazioni bibliche, e ciò per due ragioni.
Primo, lo studio evidenzia una caratteristica
essenziale dei racconti biblici, vale a dire la presenza di
numerosi personaggi secondari che espletano un ruolo
essenziale nei racconti. Un esempio fra tanti altri è quello
della ragazzina ebrea, schiava di Naaman il Siro, che
fornisce la soluzione al problema del suo padrone
lebbroso mandandolo dal profeta Eliseo (IRe 5). È donna,
ragazzina, schiava e straniera in casa di un potente
signore della guerra arameo. Naaman il Siro occupa un
posto in cima alla gerarchia sociale e politica del suo
tempo, mentre la giovane schiava, anonima per di più, si
trova certamente all'altra estremità della stessa scala
sociale. Orbene, il racconto dimostra che la salvezza di
Naaman, potentissimo, però lebbroso, viene dal basso e
non dall'alto.
Né il suo potere né le sue ricchezze giovano alla
sua guarigione. Solo la parola della ragazzina ebrea sarà
quella giusta quando lo consiglia di rivolgersi al profeta
Eliseo. Inoltre, e vale la pena menzionare il dettaglio, il
generale potrà guarire quando ascolterà il consiglio dei
suoi servitori, che lo convincono a seguire la
raccomandazione del profeta Eliseo di andare a lavarsi
nel Giordano. Ancora una volta, si capovolge la gerarchia
del tempo e la soluzione viene dal basso, non dall'alto.
Il secondo motivo ha a che vedere con la natura
stessa dei racconti biblici, che provengono spesso da
fonti popolari. Non è sorprendente, pertanto, vedere
personaggi secondari, così come il topo di Jean de La
Fontaine, aiutare e persino salvare i loro sovrani, i leoni.
Il tratto tipico della letteratura popolare è proprio quello
di celebrare la rivincita dei piccoli sui grandi, dei deboli
sui potenti. La cultura medievale francese, ad esempio,
conosce il famoso Roman de Renard, il Romanzo della
volpe, una serie di racconti farciti di tratti ironici, nei
quali la volpe si burla del lupo. Il romanzo nasce quando
la borghesia delle città, rappresentata dalla volpe, inizia a
prendere il sopravvento sull'aristocrazia delle campagne,
raffigurata dal lupo. In tanti racconti, la furbizia e
l'intelligenza prevalgono sulla forza e sul potere.
Una mentalità simile appare in una serie di racconti
biblici, in particolare là dove i personaggi incarnano la
situazione di un popolo che non è mai stato una grande
potenza e che non può vantarsi delle sue conquiste, delle
sue ricchezze o delle sue realizzazioni artistiche. Diversi
racconti esaltano le qualità che permettono a Israele di
sopravvivere in condizioni precarie e spesso insicure.
Racconti ambientati nella terra d'Israele, invece,
rispecchiano un tipo di società stratificata, come in altre
società del tempo. Tuttavia, la solidarietà e la collabora-
zione tra i diversi ceti, in più di un'occasione, vanno ben
oltre le rigide barriere sociali. È un altro modo per
mostrare che Israele si riconosce non solo nei suoi re e
nei suoi potenti, ma anche nella gente comune, presa tra i
servitori, le donne, i pastori e gli artigiani. Riconosciamo
tra le grandi figure d'Israele un Giuseppe che salva
l'Egitto e il suo faraone dalla carestia, o una Giuditta,
vedova, che libera il suo popolo da un potente nemico. 0
ancora le levatrici di Es 1,15-22, che ingannano il faraone
per salvare i figli d'Israele per «timore di Dio», la donna
che libera la città di Tebes, in Samaria, spezzando il
cranio di Abimelec con una macina buttata dalla cima
delle mura (Gdc 9,53), l'anziana di Tekoa che riconcilia
Davide con suo figlio Assalonne (2Sam 14), o la donna
saggia di Abel che discute con Gioab, generale di
Davide, e pone fine alla ribellione di Seba (2Sam 20).
Pensiamo anche all'etiope Ebed-Mèlec, che intercede in
favore del profeta Geremia e lo salva da una morte certa
nella cisterna vuota dove era stato gettato (Ger 39).
Lo studio di Antonio Nepi fornisce un ampio
campione di esempi simili. Il primo capitolo, che si legge
con diletto, passa in rassegna i personaggi secondari della
letteratura classica greca e latina, paragonandoli con i
personaggi biblici. Questo capitolo è innovativo, perché
introduce nell'esegesi dei testi biblici elementi poco
utilizzati, in questo caso aspetti che provengono da un
paragone stretto fra la letteratura biblica e quella classica.
Lo studio di Antonio Nepi percorre un vasto panorama di
testi biblici e di figure della letteratura classica.
I capitoli seguenti indagano su figure particolari in
testi non sempre ben conosciuti. Non era certo possibile
studiare tutti i personaggi secondari del mondo biblico.
Era sufficiente dedicare lo studio a tre ruoli più frequenti
e più rilevanti, quello del contrasto, del raccordo e del
catalizzatore. L'importante, in questo studio, non era di
elencare tutti i testi o tutti i ruoli, bensì piuttosto di
seguire da vicino e di spiegare il funzionamento dei
racconti, là dove i personaggi secondari non sono mere
comparse o semplici figuranti. Questi capitoli illustrano a
sufficienza che la letteratura biblica non esita mai ad
affidare mansioni essenziali a personaggi che
appartengono a classi sociali poco considerate.
L'ultimo capitolo riprende l'essenziale della ricerca
in una sintesi che evidenzia caratteristiche proprie della
letteratura biblica. Alla stregua di altri autori, recenti o
meno, Antonio Nepi suggerisce che la presenza del
personaggio Dio «ruba» spesso la scena agli attori umani
e impedisce che vi sia, nella Bibbia, una vera letteratura
eroica simile a quella classica. D'altronde, si può anche
dire che l'onnipresenza del personaggio divino, ogni tanto
sul palcoscenico, altre volte dietro le quinte, getta una
luce molto particolare sui gesti più semplici. Il vangelo
afferma che nemmeno un bicchier d'acqua fresca offerto
sarà dimenticato (Mt 10,45; Me 9,41). Vi sono tanti
bicchieri d'acqua offerti nelle pagine dell'Antico
Testamento. È il merito di Antonio Nepi di aiutarci a non
dimenticarli.

JEAN-LOUIS SKA
NOTA DI LETTURA

Questo volume è nato come dissertazione al


Pontificio Istituto Biblico (Roma) con il titolo Ubi Maior
minor gessit. La funzione dei personaggi secondari nelle
narrazioni della Bibbia ebraica e un estratto è stato
pubblicato con lo stesso titolo dalle edizioni PIB (Roma
2012, 134 pp.).
Con un titolo più didascalico presentiamo al lettore
l'intera ricerca, perché costituisce un percorso completo
attraverso la Bibbia ebraica, inseguendo in ogni pagina i
personaggi minori che entrano nell'ordito della
narrazione: viene analizzato l'insieme di versetti da cui i
singoli personaggi emergono, per fare comprendere
quanto essi siano funzionali a creare senso
nell'interpretazione del testo. È dunque un lavoro di
scavo all'interno di quell'immensa miniera che è il
racconto biblico, per portare alla luce preziosità e
rifiniture che il lettore rischia di perdere e che il cercatore
paziente ha la gioia di gustare.
La ricchissima bibliografia che correda la ricerca
viene riportata nella pubblicazione del PIB sopra citata.
Siccome essa è indicata in modo completo in tutte le
numerose note che corredano il volume, si è ritenuto
opportuno non riproporla a fine volume. Per le loro
esigenze, gli studiosi potranno rivolgersi a quell'edizione,
mentre ogni lettore troverà l'indicazione utile alla ricerca
nella nota specifica di riferimento.

Le Edizioni Dehoniane Bologna - EDB


ABBREVIAZIONI E SIGLE

L'opera essenziale di riferimento per le


abbreviazioni e le sigle resta quella di S.M.
SCHWERNER (a cura di), Theologische Realenzy-
klopàdie: Abkurzungsverzeichnis (TRE), Berlin-New
York 21994. A quelle assenti in questo studio, può in
parte supplire YElenchus of Biblica 18(2002), 7-14.

AB The Anchor Bible (Garden City, NY)


ABD Anchor Bible Dictionary (New York, NY)
ABRL Anchor Bible Reference Library (New York,
NY)
ACEBT Amsterdamse Cahiers voor Exegese en Bijbelse
Theo-
logie (Amsterdam) ACFB Association Catholique
Française pour l'Étude de la
Bible (Paris) AfO Archiù fur Orientforschung (Wien)
AG Antichità giudaiche
AJSL American Journal of Semitic Language and
Literature
(Chicago, IL) AnBib Analecta Biblica (Roma)
ANEP Ancient Near Eastern in Pictures relating to the
Old Testament, a cura di J.B. PRITCHARD (Princeton, NJ
2
1969)
ANET Ancient Near Eastern Texts relating to the Old
Testament, a cura di J.B. PRITCHARD (Princeton, NJ
3
1969) AnOr Analecta Orientalia (Roma)
AOAT Alter Orient undAltes Testament
(Neukirchen-Vluyn)
ATANT Abhandlungen zur Theologie des Alten und
Neuen Testaments (Zurich)
ATD Das Alte Testament Deutsch. Neues Gôttinger Bibel-
werk (Gôttingen)
BA Biblical Archaeologist (New Haven, CT; Ann Harbor,
MI)
BBB Bonner Biblische Beitràge (Bonn)
BC Biblischer Commentar iiber das Alte Testament (Leip
zig)
BDB A Hebrew-English Lexicon, a cura di R. BROWN et al.
BEATAJ Beitràge zur Erforschung des Alten Testaments und
des Antiken Judentum (Frankfurt a.M.)
BEThL Biblioteca Ephemeridum Theologicarum Lovanien-
sium (Leuven/Louvain)
BETL Beitràge zur biblischen Exegese und Theologie (Frank
furt a.M.)
BHQ Biblia hebraica quinta editione (Stuttgart)
BHS Biblia Hebraica Stuttgartensia (Stuttgart)
Bib Biblica (Roma)
BibO Biblica et Orientalia (Roma)
BKA Biblischer Kommentar Altes Testament (Neukir-
chen-Vluyn)
BLS Bible and Literature Series (Sheffield)
BN Biblische Notizen (Munchen)
BNPOnline New Pauly online (Leiden-Boston-Koln 2005-)
BO Biblioteca Orientalis (Leiden)
BTB Biblical Theological Bulletin (Jamaica, NY)
BWANT Beitràge zur Wissenschaft vom Alten und Neuen Tes
tament (Stuttgart-Berlin-Kôln)
BZ[NF] Biblische Zeitschrift, BZ. Neue Folge (Freiburg-Pader-
born)
BZAW Beihefte zur Zeitschrift fur die alttestamentliche Wis
senschaft (Berlin-New York)
CAT Commentaire de VAncien Testament (Genève)
CBC Cambridge Biblical Commentary (Cambridge)
CBQ Catholic Biblical Quarterly (Washington, DC)
CBQ.MS Catholic Biblical Quarterly. Monograph Series (Wash
CÉ ington, DC)
Cahier Évangile (Paris)

CÉSup Cahier Évangile Supplement (Paris)


CivCat La Civiltà Cattolica (Roma)
Co.B OT Coniectanea Biblica Old Testament (Lund)
CRBS Currents in Research Biblical Studies
(London)
CurTM Currents in Theology and Mission (Leiden)
DBS Dictionnaire de la Bible Supplément (Paris)
DCH The Dictionary of Classical Hebrew, a cura
di D.J.
CLINES (Sheffield)
DJD Discoveries in the Judean Desert (Oxford,
UK)
ÉB Études Bibliques (Paris)
EsRab Esodo Rabbah
EstBib Estúdios Bíblicos (Madrid)
EstEc Estúdios Eclesiásticos (Madrid)
ETL Ephemerides Theologicae Lovanienses
(Louvain)
ETR Études Theologiques et Religieuses
(Montpellier)
ETS Erfurter theologische Studien (Leipzig)
ExpTim Expository Time (Edinburgh, UK)
FAT Forschungen zum Alten Testament
(Tiibingen)
FOTL The Forms of the Old Testament Literature
(Grand Rapids, MI)
FRLANT Forschungen zur Religion und Literatur des
Alten und
Neuen Testaments (Gõttingen)
FS. Festschrift
GAT Grundrisse zum Alten Testament
(Gõttingen)
GenRab Genesis Rabbah
GKC Geseniuss Hebrew Grammar, a cura di
H.F.W. GESE-
NIUS et al.
Greg Gregorianum (Roma)
GTA Gõttinger theologische Arbeiten (Gõttingen)
HALAT Hebraisches und aramáisches Lexicon
(Leiden)
HAT Handbuch zum Alten Testament (Tübingen)
HCOT Historical Commentary on the Old
Testament (Leuven)
HKAT Handkommentar zum Alten Testament
(Gõttingen)
HSAT Die Heilige Schrift des Alten Testaments
(Bonn)
HSMM Harvard Semitic Museum Monographs
(Harvard)
HTKAT Herders theologischer Kommentar zum
Alten Testament (Leipzig)
HUCA Hebrew Union College Annual (Cincinnati,
OH)
ICC International Critical Commentary
(Edinburgh, UK)
IDB Interpreter s Dictionary of the Bible, a cura
di G.H.
BUTTRICK (Nashville, TN) JAOS Journal of the
American Oriental Society (Baltimore,
MD)
JBL Journal of Biblical Literature
(Philadelphia, PA)
JBQ The Jewish Bible Quarterly (Jerusalem)
JNES Journal of the Near Eastern Studies
(Chicago, IL)
JPS The Jewish Publication Society
(Philadelphia, PA-New
York-Jerusalem) JQRJewish Quarterly Review (Winona
Lake, IN)
JSJ Journal for the Study of Judaism.
Supplements (Leiden)
JSOT Journal for the Study of the Old Testament
(Sheffield)
JSOT.S Journal for the Study of the Old Testament.
Supplement Series (Sheffield) JSP Journal for the
Study of the Pseudepigrapha (Shef
field)
KAT Kommentar zum Alten Testament
(Gütersloh-Berlin)
LAB Liber Antiquitatum Biblicarum dello
Pseudo-Filone
LAPO Littérature ancienne du Proche-Orient
(Paris)
LD Lectio Divina (Paris)
LThK Lexicon für Theologie und Kirche, a cura di
J. HÕFER -
K. RAHNER (Freiburg i.B.) LXX S ettsmtsi/septuagin
ta
MEAH Miscélanea de estúdios arabes y ebraicos
(Granada) MGWJ Monatsschrift für Geschichte und
Wissenschaft des
Judentum (Tübingen) MUSJ Mélanges de VUniversité de
Saint Joseph (Beyrouth) NAC New American
Commentary (Nashville, TN)
NCBC New Cambridge Bible Commentary
(Cambridge)
NEB Die Neue Echter Bibel (Würzburg)
NICOT New International Commentary on the Old
Testament
(Grand Rapids, MI) NRT Nouvelle Revue théologique
(Bruxelles)
0B0 Orbis Biblicus et Orientalis (Freiburg-
Gõttingen)
OBS Oxford Bible Series (Oxford)
OLA Orientalia Lovanensia Analecta (Leuven)
OTG Old Testament Guides (Sheffield)
OTL Old Testament Library (London-Louisville, KY)
OTS Oudtestamentische Studièn (Leiden-Boston-Kòln)
PG Patrologia greca cursus completus, a cura di J.-P.
Mi-
GNE (Paris 1857-1936)
PIBA Proceedings of the Irish Biblical Association
PL Patrologia latina cursus completus, a cura di J.-P Mi-
GNE (Paris 1841-1864)
PS Pentateuco Samaritano, a cura di A.F. VON GALL
PSV Parola Spirito e Vita (Bologna)
RB Revue Biblique (Paris)
RHPR Revue d'Histoire et de Philosophie Religieuse (Stras
bourg)
RivBiblt Rivista Biblica Italiana (Roma)
RivBibS Rivista Biblica Supplementi
RRENAB Réseau de recherche en narrativité biblique (Paris)
RSB Ricerche Storico Bibliche (Bologna)
RTL Revue Théologique de Louvain (Leuven-Louvain)
SAT Die Schriften des Alten Testaments in Auswahl neu
ùbersetzt und fur die Gegenwart erklàrt (Gòttingen)
SB Stuttgarter Bibelstudien (Stuttgart)
SBB Stuttgarter Biblische Beitràge (Stuttgart)
SBFLA Studii biblici Franciscani liber annuus
(Gerusalemme)
SBL Society of Biblical Literature (Atlanta, GA)
SBT Studies in Biblical Theology (London)
se Sources chrétiennes (Paris)
SJOT Scandinavian Journal of the Old Testament (Helsinki)
S RivBiblt Supplementi della Rivista Biblica Italiana (Bologna)
SSN Studia Semitica Neerlandica (Assen-Amsterdam)
StBib Studi Biblici (Brescia)
SubBi Subsidia Biblica (Roma)
TAPh Transaction of the American Philosophical Society
(Philadelphia, PA)
TB Theologische Bucherei (Miinchen)
'l'Eu Transeuphratène (Paris)
Tg Targum

TH Theologisches Handwôrterbuch zum Alteri


Testament,
a cura di E. JENNI - C. WESTERMANN, 2
voli. (Mun- chen-Zurich 1972-1976). TM Testo
ebraico masoretico
TWAT Theologisches Wòrterbuch zum Alten Testament,
a cura di G.A. BOTTERWECK- H. RINGREEN (Stuttgart-
Berlin-Leiden 1970-1992) UTB Uni-Taschenbucher
(Heidelberg-Gòttingen)
Vg Vulgata
VigChr Vigiliae Christianae (Leiden) VL Vetus latina
VT Vetus Testamentum (Leiden)
VT.S Supplements to Vetus Testamentum
(Leiden-Boston-
Kòln)
WBC Word Biblical Commentary (Waco-Dallas,
TX)
WMANT Wissenschaftliche Monographien zum Alten
and Neu-
en Testament (Neukirchen-Vluyn) ZAW
Zeitschrift filr die alttestamentliche
Wissenschaft
(Berlin-New York) ZDPV Zeitschrift des
Deutschen Palàstina-Vereins (Leipzig)
CAPITOLO 1: RILIEVO DEI
PERSONAGGI SECONDARI
NELL'ARTE NARRATIVA
DELL'ANTICO TESTAMENTO
EBRAICO

1. Il personaggio: vivant sans entrailles

Questo capitolo intende esaminare la peculiarità


con cui l'arte narrativa biblica condiziona la messa in
scena dei suoi personaggi in confronto con altre
letterature limitrofe e coeve dell'antico Vicino Oriente e
del Mediterraneo, attingendo anche ai risultati della
moderna narratologia,0 le cui categorie hanno influenzato
0
Citiamo alcuni tra gli autori più significativi, quali S. SCHOLES
- R. KELLOGG, The Nature of Narrative, New York, NY 1966; G.
GENETTE, Figures, Paris 1972, III; W. ISER, Der implizite Leser,
Miinchen 1972; ID., Der Akt des Lesens, Mùnchen 1976; S.
CHATMAN, Story and Discourse, Ithaca-London 1978; W.C. BOOTH,
The Rhetoric of Fiction, Chicago, IL 1983; P. RICOEUR, Temps et
récit, 3 voli, Paris 1983-1985; ID., Nouveau discours du récit, Paris
1983; S. RIMMON-KENAN, Narrative Fiction: Contemporary Poetics,
London 1983; H. GROSSER, Narrativa, Milano 1985; A. MARCHESE,
L'officina del racconto, Milano 1983; P. GLAUDES - Y. REUTER, Le
personnage, Paris 1998.
quella squisitamente biblica. Anzitutto, va rammentata la
distinzione che intercorre tra «personaggio» e «persona».
Il primo si configura come una creazione letteraria,
mentre la seconda è, o è stata, un individuo in carne e
ossa; pertanto, non si può scambiare per reale ciò che
resta una sua rappresentazione.0 Già Aristotele nella sua
Poetica ammetteva volentieri che i personaggi fittizi
nella loro mimesi sono ancorati alla realtà, ma affermava
chiaramente che essi non possono essere confusi con gli
uomini reali, perché la loro esistenza non è della stessa
natura di quella degli esseri viventi.0 Questo vale anche
per i personaggi biblici: essi non sono più reali di quanto
lo siano dipinti nei quadri, scolpiti in statue, o interpretati
nei film. Ciò non vuol dire che tali personaggi non siano

02
Cf. A. BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical Narrative
(BLS), Sheffield 1983, 13-14, dove afferma: «Quando noi leggiamo
narrazioni, specialmente narrazioni bibliche, siamo costantemente
tentati di scambiare la mimesi con la realtà - di ritenere come reale
ciò che è solo una rappresentazione della realtà». Cf. pure S. BAR
EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOT.S 70), Sheffield 1989, 47-
48; F. JANNIDIS, Figur undPerson. Beitrag zu einer historischen
Narratologie, Berlin 2004.
0
Cf. ARISTOTELE, Poetica 1449b; 1456a; egli concede ai
personaggi una qualificazione «nell'ordine del pensiero e del
discorso», dove il pensiero non viene preso in senso speculativo, ma
rinvia al personaggio come produzione verbale. Cf. al riguardo
GLAUDES - REUTER, Le personnage, 15-18.
mai esistiti, ma che essi giungono a noi ineludibilmente
come costrutti testuali. Per dirla con la celebre
espressione di P. Valéry, ogni personaggio letterario è
«un vivant sans entrailles». 0 Non sappiamo - tanto per
citare un esempio ormai classico - quale sia il ritratto più
o meno fedele alla persona che fu in realtà Davide, tra
quello che ci offrono i libri di Samuele e l'inizio dei Re,
che lo dipingono in tutta la complessità del suo carattere,
intensamente ricco di luci e di ombre, o quello ben
diverso di 1 Cronache, che lo disegna in modo ideale e
senza macchia. Tocca al lettore scegliere e forse troverà
più convincente il primo anziché il secondo, in quanto
connota il personaggio di una dimensione più umana;
tuttavia i due ritratti restano, con uguale dignità, e il
problema è sapere quali strategie e intendimenti narrativi
siano loro sottesi.
La stragrande maggioranza dei personaggi dei
racconti biblici risultano figure la cui esistenza storica è
attestata unicamente dalla narrazione stessa; di più non
0
La citazione completa di P. VALÉRY in Tel/Quel, Paris 1941,
21, è: «Superstizioni letterarie. Chiamo così tutte le credenze che
hanno in comune la dimenticanza della condizione verbale della
letteratura. Così esistenza e psicologia dei personaggi, questi viventi
senza viscere».
sappiamo se non ciò che il testo ci dice. Vi sono però
anche personaggi documentati da altre fonti indipendenti
dalla Bibbia, come ad esempio il veggente Balaam e il re
Omri;0 laddove tale riscontro fosse cospicuo - purtroppo
non lo è - un lettore potrebbe teoricamente verificare
l'eventuale scarto tra personaggio rappresentato e
persona storicamente vissuta. In ogni caso - prolungando
la distinzione tracciata da S. Chatman tra «autore reale» e
«autore implicito» - il personaggio si configura sempre
come una persona «implicita», vive cioè unicamente
come l'immagine che i lettori ricostruiscono di lui, in
base alle convenzioni con cui il narratore ha voluto
narrarlo. Consapevoli della dialettica tra distanza e
affinità culturale rispetto a un testo antico e alle sue
convenzioni compositive, cercheremo di trovare criteri
per definire la categoria di «secondarietà» di un
personaggio in una duplice accezione: a) formale,
considerando lo spazio e lo spessore di cui gode
nell'interazione con altri nella trama; b) sociale, tenendo
0
Ad esempio, per Balaam, abbiamo l'attestazione nei documenti
extrabiblici di Deir 'Alla; cf. JA. HACKETT, The Balaam Texts front
Deir 'Alla (HSM 31), Chico, CA 1984; il nome di Omri compare
nella famosa stele di Mesha (IX secolo a.C.) e in documenti neo-
assiri.
conto del suo rango nel mondo del racconto. Ne emerge
l'inconsueto rilievo accordato ai personaggi secondari,
distante dagli antichi canoni epici e più affine ai racconti
popolari. In modo paradigmatico, prospetteremo
selettivamente tre funzioni-chiave in cui è intercettabile
la necessità drammatica dell'introduzione dei personaggi
secondari.

2. La gestione dei personaggi

In sede euristica, lo studio dei personaggi di


qualsiasi produzione artistica non può essere avulso
dall'arte narrativa che li ha forgiati. 0Sorvolando su
precedenti chiose stilistiche sparse nei padri della Chiesa,
su rari trattati medievali interessati solo ai personaggi
maggiori, o su alcune annotazioni di J.G. von Herder, 0 il
0
Sulla poetica biblica non ingenua del racconto, cf. K. SEYBOLD,
Poetik der erzàhlen- den Literatur im Alteri Testament, Stuttgart
2006, 32-41. Sulla gestione dei personaggi biblici, cf. la panoramica
di C. DIONNE, «Le point sur les théories de la gestion des
personnages», in P. LETOURNEAU - M. TALBOT (a cura di), Et vous
qui dites-vous que je suis? La gestion des personnages bibliques
(Sciences Bibliques 16. Études), Montréal 2006, 11-51.
0
Cf. ISIDORO, Liber de ortu et obitu patrum: PL 83,275-1294;
PSEUDO BEDA, Interpre- tatio nominum hebraicorum: PL 93,1101-
1104; G. HERDER, Vom Geist der Hebraïschen Poesie, Leipzig
pioniere indiscusso di uno studio miliare dell'arte
narrativa dell'AT è stato Hermann Gunkel. Nella sua
Introduzione alla Genesi, desumendo con empito
romantico le «leggi epiche» riscontrate dal filologo
danese A. Olrik nelle antiche leggende popolari (,Sagen),
le applicava alle narrazioni genesiache, lumeggiando il
loro condizionamento determinante nella gestione dei
personaggi.0 Qui partiremo dai risultati di Gunkel, che
saranno sviluppati dalla narratologia biblica posteriore.0
3
1825.
0
H. GUNKEL, Genesis (GHAT 1), Gòttingen 31910, XVII-LVII.
R.N. WHYBRAY, The Making of Pentateuch. A Methodogical Study
(JSOT.S 53), Sheffield 1987, 144, segnala come Olrik le espose
prima nell'articolo «Episke love i folkedigtningen», 69-89, poi
tradotto con lievi modificazioni in tedesco «Epische Gesetze der
Volksdichtung», 1-12. Successivamente, pubblicò una meno nota
monografia Nogle grundsaetninger for sagn- forskning, Kobenhavn
1921, dove ampliò il numero delle sue leggi rifacendosi a Gunkel.
Sulla Verstàndnis romantica e germanistica di Gunkel, cf. P. GIBERT,
Une théorie de la légende: H. Gunkel (1862-1932) et les légendes de
la Bible, Paris 1979, 285-329; W. KLATT, Hermann Gunkel. Zu
seiner Theologie der Religionsgeschichte und zur Ent- stehung der
formgeschichtlichen Methode (FRLANT 100), Gòttingen 1969; J.-L.
SKA, «Le "Sitz-im-Leben" de Julius Wellhausen, Hermann Gunkel et
Gerhard von Rad», in P. ABADIE (a cura di), Mémories d'Écriture.
FS. P. Gibert, Bruxelles 2006, 187-206. S. NIDITCH, Orai World and
Written Word, Louisville, KY 1996, 2, sottolinea il perspicuo
influsso su Gunkel delle favole dei contemporanei fratelli Grimm.
0
Cf. GUNKEL, Genesis, XXVII-LVI; M. STERNBERG, Expositional
Modes and Temporal Ordering in Fiction, Baltimore-London 1978,
16-17.21-26; BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical
Narrative, 23-42; BAR EFRAT, Narrative Art, 47-92; J.-L. SKA, «I
2.1. La subordinazione dei personaggi all'azione

Secondo H. Gunkel, la narrazione biblica si


caratterizza per la legge basilare della priorità dell'azione
sulla descrizione,10 in sintonia con i dettami della Poetica
di Aristotele. Per lo Stagirita, la trama (mythos) è la
composizione di avvenimenti che permette all'azione di
dispiegarsi organicamente nella convergenza di
verosimiglianza e necessità.0 Tale primato si rende
concreto nelle leggi della «considerazione esclusiva delle
forze principali»,0 dell'«economia narrativa»,0 della

nostri padri ci hanno raccontato». Introduzione all'analisi dei


racconti dell'Antico Testamento, Bologna 2012, 131-147; J.-P.
FOKKELMAN, Reading Biblical Narrative. An Introductory Guide,
Louisville, KY 1999, 11-18; Y. AMIT, Reading Biblical Narratives.
Literary Criticism and the Hebrew Bible, Minneapolis, MN 2001,
88-89; D. MARGUERAT - Y. BOURQUIN, Pour lire les récits bibliques,
Paris-Genève-Montréal 220 09, 83-101; L. ZAPPELLA, «IO narrerò
tutte le tue meraviglie». Manuale di analisi narrativa biblica,
Bergamo 2010, 142-169; J.-P. SONNET, L'alleanza della lettura.
Questioni di poetica narrativa nella Bibbia ebraica, Cinisello
Balsamo 2011, 161-207.
0
ARISTOTELE, Poetica 1450a; 1451b.
0
CF. GUNKEL, GENESIS, XVLIII.
013
Cf. ivi, XVII, XXIX, XXLIII-XXLV, dove l'autore ribadisce
questa parsimonia; cf. pure A.B. LORD, The Singer of Tales (Harvard
Studies in Comparative Literature 24),
Cambridge, MA 31971, 94-95; 176-177. Già Giovanni Crisostomo
aveva rilevato la tendenza a evitare il superfluo, cf. PG 53,33B,
citato da M. HIDAL, «Exegesis of the Old Testament in the Prevalent
«concisione» - chiamata da B. Lord «la legge della
parsimonia»0-, della «unilinearità» (Einstràngigkeit), che
evitano digressioni e dettagli superflui per non distrarre
l'uditorio, focalizzandosi sull'aspetto che richiede uno
sviluppo maggiore.0 È evidente la distanza dalla prosa
egizia, dai poemi omerici ed ellenistici e dalla
storiografia erodotea, proclivi ad ampollose cornici e a
racconti a incastro.0 Tale parsimonia per aggrumo o
elisione può imputarsi al fatto che nell'antichità il

Literal and Historical Method», in M. SAEB0 (a cura di), Hebrew


Bible/Old Testament. The History of Interpretation, Gòttingen 1996,
560.
0
Cf. GUNKEL, Genesis, XLVI, che cita Olrik: «Il racconto
antico non ama dividere l'azione d'insieme in fili differenti e
intrecciarli tra loro. Esso si attiene a un filo alla volta, è sempre
unilineare; segue quasi sempre un motivo principale e lascia da
parte, per quanto possibile, tutto il resto»; cf. anche LORD, The
Singer of Tales, 50-51. Richard Simon aveva colto la regola della
concisione, sviluppando un principio desunto da Origene nella sua
Lettera ad Africano, come segnala J.-L. SKA, «Richard Simon: un
pionnier sur les sentiers de la tradition», in RSR 97(2009), 314-315.
0
GUNKEL, Genesis, XLV: «In generale, emerge la regola
secondo cui il narratore descrive gli elementi principali in modo
concreto, mentre allude a o tralascia quelli che sono secondari per
l'azione».
0
E. AUERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der
Abendlàndischen Litera- tur, Bern 21959, 15-16; un esempio di
racconto a scatola cinese è la battaglia dei libri XI-XV dell'Iliade;
per la tecnica ad anello, cf. M. LOMBARDI, Antimaco di Colofone: la
poesia epica, Roma 1993; M. FANTUZZI, Ricerche su Apollonio
Rodio: diacronie della dizione epica, Roma 1988.
materiale scrittorio era costoso e quindi si scriveva solo
ciò che era irrinunciabile;0 ciò ha indotto Campbell
all'ipotesi secondo cui molti racconti erano
originariamente dei canovacci disponibili, rimpolpati dai
vari narratori in base ai gusti del pubblico, 0 in maniera
che definiremmo autoschediastica. L'applicabilità di
queste «leggi epiche» agli spartiti biblici ha riscosso
sostenitori, ma anche serrate critiche. 0 Lo stesso Gunkel
ammetteva la scomparsa dell'unilinearità e della
concisione in racconti tardivi più compositi ed elaborati,
0
Cf. L. AVRIN, Scribes, Script and Books. The Book Art from
Antiquity to the Renaissance, Chicago-London 1991,115-117; D.W.
JAMIESON-DRAKE, Scribes and Schools in Monarchic Judah. A Socio-
Archaeological Approach (JSOT.S 109), Sheffield 1991, 222-237.
0
A.F. CAMPBELL, «The Reported Story: Midway between Oral
Performance and Literary Art», in Semeia 46(1989), 77-85; ID., «The
Storyteller's Role: Reported Story and Biblical Text», in CBQ
64(2002), 427-444, con vari esempi desunti soprattutto dai libri di
Samuele. Per J.-L. SKA, Introduzione alla lettura del Pentateuco.
Chiavi per la lettura dei primi cinque libri della Bibbia, Roma
4
2001, 197, nota 14, la legge dell'economia potrebbe suffragare la
teoria dello studioso australiano.
019
Sostenitore convinto fu A. DUNDES, The Study of Folklore,
Englewood Cliffs, NJ 1965, 129-141; più cauto ad esempio fu K.
KROHN, Folklore Methodology, Austin, TX-London 1971, che
consacra il capitolo 13 alla discussione delle leggi di Olrik. Decisa-
mente critici contro il rischio di un'applicazione automatica ai testi
dell'AT sono J. VAN SETERS, Abraham in History and Tradition,
New Haven, CT-London 1975, 160-161; R.C. CULLEY, Studies in
the Structure of Hebrew Narratives, Philadelphia, PA-Missoula, MT
1976, 29-30; WHYBRAY, The Making of Pentateuch, 144-152.
come accade in brani della Genesi, di Samuele e Re, o
nel libro di Ester o in 1-2 Maccabei. Non mancano
«racconti nei racconti», come ad esempio quello
dell'adulterio di Davide all'interno della campagna contro
Rabba in 2Sam 11-12 e neppure digressioni, 0 innegabili
indizi di tradizioni diverse, non sempre perfettamente
amalgamate, ma confluite e immortalate nel testo finale
in virtù della «legge della conservazione», riscontrabile
anche in altre letterature. Rubando una suggestione di
Jacques Berlinerblau, le narrazioni bibliche ostentano,
come parecchie famose città europee, i restauri o le
coesistenze di diversi architetti del racconto. 0 Va
ricordato che la concezione di «unità letteraria» per i
redattori dell'antichità era diversa da quella moderna,
perché più interessata a una completezza d'informazioni

0
Cf. D.A. BOSWORTH, The Story within the Story in Biblical
Hebrew Narrative (CBQ. MS 45), Washington 2008. Per
metadiegesi basti pensare per esempio a Gen 24,44-49; 44,18-34;
Gdc 9,7-20; 2Sam 12,1-4; 14; IRe 20,39-43; nei LXX cf. ad es. Gdt
5,5-20; Tb 12,12-19. Per digressioni nei rispettivi cicli, cf. Gen 34;
38; IRe 20 e 22; Nm 22-24; ecc.
0
Per la legge della conservazione cf. SKA, Introduzione alla
lettura del Pentateuco, 192-193; Y. AMIT, The Book of Judges: The
Art of Editing, Leiden 1999, 3. Per l'immagine, cf. J. BERLINERBLAU,
«The Bible as Literature», in Hebrew Studies 45(2004), 26.
che alla coerenza logica dei racconti,0 oltre alla
possibilità che le giustapposizioni di segmenti alternativi
siano state intenzionalmente dovute a motivi ideologici
con l'evolversi dell'uditorio. Vari autori riconoscono la
validità di questo codice drammatico, ma ne contestano
l'applicabilità a qualsiasi narrazione, confutando
l'assioma romantico gunkeliano che siano la comprova
dell'antichità di una tradizione orale, perché questa non
termina con l'avvento di una società alfabetizzata, ma può
affiancare e condividere le medesime tecniche
compositive; detto altrimenti, i testi scritti non sono per
niente uno stoccaggio di oralità.0

0
Cf. R. ALTER, The Art of Biblical Narrative, New York, NY
1981,146: «La decisione di porre in sequenza due resoconti
palesemente contraddittori degli stessi eventi è un espediente
narrativo pressappoco equivalente alla tecnica della pittura post-
cubista che, ad esempio, ci propone per giustapposizione o
sovrapposizione un profilo o un prospetto frontale dello stesso
volto».
023
Al riguardo, cf. VAN SETERS, Abraham in History and
Tradition, 309-310; B.O. LONG, «Recent Field Studies in Oral
Literature and their Bearing on OT Criticism», in VT 26(1976), 187-
198. Per il continuum tra oralità e scrittura, cf. EA. HAVELOCK, Cul
tura orale e civiltà della scrittura, Roma-Bari 1973; W.J. ONG,
Orality and Literacy: The Technologizing the World, London 1988;
in ambito biblico, cf. M. FISHBANE, Biblical Interpretation in the
Ancient Israel, Oxford 1985; NIDITCH, Orai World and Written
Word; W.M. SCHNIEDEWIND, HOW The Bible Became A Book: The
Textualization of Ancient Israel, Cambridge 2004; B.M. LEVINSON,
2.2. Conseguenze per la messa in scena

La subordinazione dei personaggi all'azione


comporta la legge della «dualità scenica», dove due è il
numero minimo di personaggi per imbastire una trama -
così come nella tragedia e nella commedia greco-romana
- abbinata a quella della «semplicità e della chiarezza»,
per cui altri attori accomunati da qualche tratto vengono
presentati come personaggio collettivo.0 Anche se il
numero degli attori può aumentare, 0 solitamente in
racconti più tardivi, gli interlocutori in scena restano

L'Herméneutique de l'innovation. Canon et exégèse dans l'Israel


biblique (Le livre et le rouleau 24), Bruxelles 2005; D.M. CARR,
Writing on the Tablet of the Heart. Origins of Scripture and the
Literature, Oxford 2005; D.R. MILLER, «Orality and Performance in
Ancient Israel», in RSR 86(2012), 183-194; F. POLAK, «Book, Scribe
and Bard: Oral Discourse and Written Text in Recent Biblical
Scholarship», in ProofTexts 31(2011), 118-140.
0
GUNKEL, Genesis, XXXV. Per esempi di coppie che agiscono
come una sola persona, cf. Gen 22,3.5.19; 19,1; Es 1,15; ISam 2,1;
8,2; 2Sam 4,2; 15,35; IRe 21,13; Est 2,21. Per esempi di triadi, cf.
Gen 18,2; Ne 6,1; per una quaterna, cf. Nm 16,1; 2Re 7,3. Come
esempi di gruppi che fungono da personaggio collettivo, cf. Gen
12,14-15.20; 26,20; 29,1-8; 37,28.36; Es 2,18-20; ISam 9,11-13;
16,14-17; 2Re 2,3.7.15.17; Gn 1,5, per non menzionare le frequenti
ricorrenze del popolo, dell'esercito, di funzionari, assemblee e cortei.
0
Ad esempio, per tre personaggi, cf. Gen 13; 16; Gdc 13; 16;
ISam 3,1-18. Per quattro, cf. Gen 27,1-28,5; ISam 28; 2Sam 11; IRe
13,11-32; Est 5,9-14. Abbiamo sei personaggi in ISam 13,1-22 e in
Gdc 19, ben undici in 2Re 5 e quattordici in ISam 9,1-10,16.
sempre due.0 L'interesse verso il personaggio principale
eclissa figure superflue; ad esempio, in Gen 12,10-20
Sarai è presente nella discesa di Abram in Egitto, perché
senza di lei non ci sarebbe la posta in gioco dell'intreccio,
mentre è assente in Gen 15 e in Gen 22, perché non deve
rubare i riflettori a personaggi irrinunciabili come
Abram-YHWH nella prima alleanza e Àbramo-Isacco
nella prova. In Gen 25,29-34 Isacco e Rebecca non
figurano per dare spazio a Giacobbe ed Esaù, mentre in
Gen 27 sono indispensabili per programmare il plot. In
Es 2,1-10 tutti i personaggi entrano in scena solo quando
servono e si dileguano dopo aver assolto la loro funzione
per non rompere l'unilinearità dell'azione, che verte sulla
salvezza del neonato Mosè.
In Gdc 11 non si accenna minimamente alla moglie
di Iefte, perché l'interesse si focalizza sulla figlia. Il
primato dell'intreccio condiziona la costruzione degli
attori, in sintonia con l'assioma aristotelico per cui il
personaggio è essenzialmente chi compie le azioni e
permette lo svolgimento della trama. Il personaggio non

0
Cf. ISam 9,11-13; 10,14-16; Rt 1,6-17; IRe 3,16-18; 22,24-27;
Est 7; Ne 2,1-9.
conta in sé, il suo carattere è accessorio e funzionale alla
mimesi del suo essere agente.0 Com'è noto, i narratori
biblici conoscevano sia una caratterizzazione indiretta
«mimetica/scenica», sia una diretta
«diegetica/qualificativa»0 che lasciamo riassumere per
comodità a R. Alter:
I tratti di un personaggio possono essere rivelati
mediante il resoconto delle sue azioni, o descrivendone le
sembianze, i gesti, gli atteggiamenti, le abitudini; tramite
i commenti fatti da un personaggio su di un altro; tramite
il discorso diretto fatto da un personaggio. Tramite il
soliloquio, sintetizzato o riportato per intero come
monologo interiore: o per mezzo di asserzioni del
narratore circa le attitudini o le intenzioni dei personaggi,

0
ARISTOTELE, Poetica 1448a; 1450a; 1454. Nel suo trattato è
significativa l'assenza del termine «personaggio» nell'accezione
specifica che avrà nella grecità seriore, sostituito da un pronome
indefinito o dal participio «agente»; cf. GLAUDES - REUTER, Le
person- nage, 15-18; DIONNE, «Le point sur les théories de la gestion
des personnages», 13-14.
0
La distinzione risale a PLATONE, Repubblica III, 395A-396B.
ARISTOTELE, Poetica 1460b-1462b, la riprende e spiega che la
definizione di «drammatico» deriva dagli attori in azione. La resa
moderna in inglese con i termini showing e telling risale a J. Warren
Beach, citato da BOOTH, The Rhetoric of Fiction, 83, che, tra i
moderni, cita come esempi Balzac per il telling e James per lo
showing.
che possono configurarsi come nette affermazioni o
spiegazioni motivate.0
Le alternanze dei ritmi narrativi sono sfruttate per
attirare l'attenzione del lettore sulla dialettica verbale. È
lampante la predilezione per la prima modalità
prossemica: la drammatizzazione della vita interiore dei
personaggi si realizza precipuamente tramite il dialogo,
ma anche tramite una gestualità non verbale che, nella
sua lentezza, sollecita l'inferenza e la creatività del lettore
cooperante0 nel ricostruire le disposizioni affettive e
cognitive, mentre quella diegetica o prosopogra- fìca è
più rapida, distillata strategicamente solo quando rivela
dettagli fisici/psicologici (in particolare bellezza e
0
Cf. ALTER, The Art of Biblical Narrative, 116-117. Rinviamo
pure a BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical Narrative, 23-
42; M. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative. Ideological
Literature and the Drama of Reading (Indiana Literary Biblical
Series), Bloomington, IN 1985, 475-481; BAR EFRAT, Narrative Art
in the Bible, 47-92; SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 79-
80; MARGUERAT - BOURQUIN, Pour lire les récits bibliques, 97-99;
AMIT, Reading Biblical Narratives, 69-72, e ai contributi nel numero
monografico a cura di A. BERLIN - E.S. MALBON, Characterization in
Biblical Literature, in Semeia 63(1993).
030
Per la prossemica, cf. 0. CARENA, La comunicazione non
verbale nella Bibbia, Casale Monferrato 1981. Sul lettore
cooperante, cf. ISER, Der Akt des Lesens, 199; U. Eco, Lector in
fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano
7
2002, 50-68; CHATMAN, Story and Discourse, 119-120; GROSSER,
Narrativa, 247-248.
sapienza) che risultano decisivi per la trama, come
avremo modo di constatare. Un cammeo sinestetico,
come «allora il cuore del re e il cuore del suo popolo si
agitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il
vento» (Is 7,2b; cf. anche Dn 5,6), è un'eccezione che
conferma la regola.0 Il compendio di Alter va integrato
con la funzione caratterizzante che può avere il nome di
un personaggio come nomen-omen delle sue vicende,
preallarmando il lettore.0 Là dove risulta mutato, o
decostruito, comporta una svolta trasformante e

0
GUNKEL, Genesis, XL: «Molto spesso non troviamo la minima
espressione sui pensieri e i sentimenti della persona di cui si tratta e
questo in passi dove non possiamo evitare di provare una certa
sorpresa riguardo all'assenza di tali espressioni»; cf. GLAUDES -
REUTER, Le personnage, 58-62.
0
Nomen-omen (= il nome è presagio) deriva da PLAUTO, Persa
625; cf. Sir 46,1. Per l'AT rinviamo a GUNKEL, Genesis, XII; A.
REINHARTZ, «Why ask My Name?». Anonymity and Identity in
Biblical Narrative, New York-Oxford 1998, 8; H. MARKS, «Biblical
Naming and Poetic Etymology», in JBL (1995)114, 21-42, e alla
monografia di A. STRUS, Nomen-Omen. La stylistique sonore des
noms propres dans le Pentateuque (AnBib 80), Koma 1978. Per
l'etimologia dei nomi ebraici, cf. G.B. GRAY, Studies in Hebrew
Proper Names, London 1896; M. GARSIEL, Biblical Names. A
Literary Study of Midrashic Derivations and Puns, Ramat Gan 1991.
Possiamo ricordare Yomen-nomen nelle tragedie e commedie greco-
romane; cf. C.J. FORDYCE, «Puns on Names in Greek», in The
Classical Journal 27(1932), 44-46; per esempi nelle varie
letterature, cf. D. LAMPING, DerName in der Erzàhlung: Zur Poetik
des Eigennamens, Bonn 1983.
programmatica, come per Abram/Abramo, Sarai/Sara
(Gen 17,5.15), Giacobbe/Israele (Gen 32,28). Talvolta
nomi teoforici idolatrici possono essere sarcasticamente
deformati, come, ad esempio, Merib-Baal/Mefìboset
(dove «Ba'al» è storpiato in bõset, «vergogna», cf. 2Sam
4,4), Gezabele (dove zebul, «principe», diventa zebel,
«letame», e richiama la sua fine, cf. 2Re 9,37), o Zebach
(«uccisione») e Salmunna («protezione negata»),
probabili caricature di nomi di divinità cananee, che
ricordano il massacro e la colpa di questi re madianiti
nella guerra contro Gedeone (Gdc 8,5). Tali parodie sono
affini allo scherno arguto (skõmma) della commedia
greco-latina tipicamente popolare ed esprimono
l'assiologia delle voci narranti.0 Altre volte si gioca su un
nome come filo rosso di un intreccio; Betsabea in IRe 1-2
richiama la radice sàbà«giurare», evocando un triplice

033
Per altri cambi di nome in positivo cf. Ben Oni/Beniamino
(Gen 35,18); in negativo Noemi/Mara (Rt 1,20). Per nomi
yahwistici, cf. Osea/Giosuè (Nm 13,16), Salomone/ ledidia (2Sam
12,25), Eliakim/Ioiakim (2Re 23,34), Mattania/Sedecia (2Re 24,17),
ecc.; cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 321-341. Per
la deformazione dei nomi teofori baalici, cf. M. JASTROW, «The
element Boshet in Hebrew Proper Names», in JBL{1894), 19-30; in
generale, rinviamo a Z. WEISMAN, Politicai Satire in the Bible
(Semeia 32), Atlanta, GA 1998, 9-24.
giuramento strutturante: quello di Davide di fare
Salomone il suo successore (IRe 1,13.17.30), quello che
Adonia chiede a Salomone affinché risparmi la sua vita
(1,51), e infine quello di Salomone di punirlo per il
tentativo di usurpazione (2,23). Ovviamente un nome non
è sufficiente a costruire un personaggio e non ne
esaurisce il mistero. Normalmente nella Bibbia i
personaggi nominati sono quelli principali, ma ciò avvie-
ne anche per quelli di secondo piano: benché questi
ultimi restino per lo più anonimi, nei racconti seriori si
afferma la tendenza a nominarli, indizio di
un'affabulazione affine allo stile del romanzo
ellenistico.0Riguardo agli epiteti e ai patronimici,0

0
Ad esempio Gen 26,26; Gdc 7,10; 9,30; ISam 4,11; 16,6-10;
2Re 9,25; 10,15. Per libri che respirano lo stile del romanzo
ellenistico, cf. Est 1,14; 2,8.21; 4,5-9; Dn 1,3; 2,15; Gdt 2,11; 12,11,
nonché i nomi di ufficiali in 1-2 Mac. In proposito, cf. L.M. WILLS,
The Jewish Novel and the Ancient World, New York, NY 1988. Cf.
anche Q. CATAUDELLA (a cura di), Il romanzo antico greco e latino,
Milano 1993; L. ALESSIO, Il romanzo classico dalle origini greche ai
due romanzi latini. Satyricon di Petronio e Metamorfosi di Apuleio,
Buccino (SA) 2010; G. ZANETTO, Il romanzo antico, Milano 2009;
T. WHITMARSH, Narrative and Identity in the Ancient Greek Novel,
Cambridge 2011.
0
Per Omero, resta un'opera classica di riferimento M. FARRY,
L'éphitète traditionel- le dans Homère, Paris 1928; per la Bibbia cf.
D.JA. CLINES, «X, X Ben Y: Personal Names in Hebrew Narrative
Style», in VT 22(1972), 266-287.
diversamente dall'ipostatizzazione omerica, quelli biblici
sventano omonimie, ma sono dosati in modo funzionale
alla situazione. Odisseo è definito «ricco d'astuzie» {Od.
I), mentre Giacobbe lo dimostra nei fatti. Achille è
qualificato in modo fisso «piè veloce», mentre si cita la
velocità di Asael e Abisai perché incide sull'esito dei
racconti {II. 1,5; 2Sam 2,18; 18,19s). Achille è per
antonomasia «il Pelide», mentre «figlio di Kis», detto di
Saul, scompare dal racconto dopo la sua designazione a
re (77. 1,1; ISam 9,2; 10,21), invitando il lettore a
rispondere su chi sia adesso «il padre» di Saul, ovvero
Samuele (cf. ISam 10,12). L'identificazione «figlio di les-
se» in riferimento a Davide risuona neutra sulla sua
bocca e su quella del narratore, ma dispregiativa su
quella dei suoi avversari;0 definire Mical come «figlia di
Saul» (ISam 18,20; 6,16-20), o «moglie di Davide»
(ISam 19,11; 25,44), non è indifferente, perché la situa al
centro di relazioni e giudizi ben diversi: figlia quando è
alleata del padre, moglie quando protegge il marito

0
Per l'identificazione da parte del narratore cf. ISam 17,12; di
Davide cf. ISam 17,58; 2Sam 23; degli avversari: ISam 20,27.30.31;
22,7.9.13; 25,10; 2Sam 20,1; cf. D.M. GUNN, «Traditional
Composition in the Succession Narrative», in VT 26(1976), 215-217.
Davide. La regina Atalia è «figlia di Acab e del casato di
Omri, re d'Israele» (2Re 8,18.26), ascendenti non neutri,
perché spiegano la sua fine come adempimento della
maledizione su Acab e la presentano come usurpatrice
del regno di Giuda. L'anonimato è un'altra forma di
caratterizzazione,0 perché identifica il personaggio con il
suo ruolo e convoglia l'attenzione sull'azione e sul
protagonista, talvolta anche sul luogo (Gdc 19): ad
esempio, in Es 2,1- 10.14 l'unico a essere chiamato per
nome è Mosè; parimenti, in 1-2 Re si nomina spesso il
profeta, a differenza di re che restano ignoti. L'anonimato
di alcune figure, specie se popolari, facilita forme d'iden-
tificazione da parte del lettore.
Un altro espediente caratterizzante è la synkrisis,0
frequente nella letteratura greco-latina (si pensi a

0
Cf. REINHARTZ, «Why ask My Name?», 22-31; J. MARAIS,
Representation in Old Testament Narrative Texts, Leiden 1998,
139s; ZAPPELLA, «IO narrerò tutte le tue meraviglie». Manuale di
analisi narrativa biblica, 156-157.
0
Su questa tecnica di confronto, cf. F. FOCKE, «Synkrisis», in
Hermès 58(1923), 327-368. In ambito biblico, rinviamo a E.W.
BULLINGER, Figures of Speech Used in the Bible, Grand Rapids, MI
1968, 734; Y. ZAKOVITCH, «Assimilation in Biblical Narrative», in
H. TIGAY, Empirical Models for Biblical Criticism, Philadelphia, PA
1985, 176-196. Per il NT cf. J.-N. ALETTI, Il racconto come
teologia, Bologna 2009, 53-86.
Tucidide e a Plutarco), che verte sul confronto di
personaggi di pari rango, mentre nella Bibbia può
abbinare attori di ceto diverso. Può essere ravvicinata,
come nel caso di Abram/ Lot, di Lia/Rachele, di
Saul/Davide, di Achior/Oloferne, di Giuditta/capi di
Betulia, ma può anche verificarsi per richiamo o
allusione intertestuale, grazie a un déjà lu che evoca nel
lettore analogie, contrasti o inversioni, con sviluppo
tipologico.0 Si tratta di un ricorso letterario di ogni epoca,
039
II termine «intertestualità» è stato coniato da J. KRISTEVA,
Desire and Language: A Semiotic Approach to Literature and Art,
New York, NY 1980, 66. Il rinvio d'obbligo è a G. GENETTE,
Palimpsestes. La littérature au second degré (Points 257), Paris
1992, 7-9; G. VON RAD, «Typologische Auslegung des Alten
Testaments», in Evangelische Theo- logie 12(1952), 17; SKA, «I
nostri padri ci hanno raccontato», 127; 184; Y. ZAKOVITCH,
«Through the Looking Glass: Reflections/inversions of Genesis
Stories in the Bible», in Biblical Interpretation (1993)1,139-152; P.
TULL, «Intertextuality and the Hebrew Scriptures», in CRBS
8(2000), 59-90; P. ROTA SCALABRINI, «Bibbia e intertestualità», in
Teologia 28(2003), 3-17; FISHBANE, Biblical Interpretation in the
Ancient Israel, 350-379; D. MARGUERAT - A. CURTIS (a cura di),
Intertextualité. La Bible en échos (Monde de la Bible 40), Genève
2000; R.B. HAYS - S. ALKIER - L. HUIZENGA (a cura di), Reading
the Bible Intertextually, Waco, TX 2009. Cf. l'esegesi figurale di P.
BEAUCHAMP, L'un et l'autre Testament, 1, Paris 1976; L'un et l'autre
Testament, 2: Accomplir les Écritures, Paris 1992; G. BENZI, «Per
una riproposizione dell'esegesi figurale secondo la prospettiva di P.
Beauchamp», in RivBiblt 42(1994), 128-138; J.M. HUSSER, «La
typologie comme procédé de composition des textes de l'Ancien
Testament», in R. KUNTZMANN (a cura di), Typologie biblique. De
quelques figures vives, Paris 2002, 11-34; C. EDENBURG,
come accadrà ad esempio per Yorick di L. Sterne
modellato sul don Chisciotte di M. de Cervantes, o per
Zeno di I. Svevo, contraddittorio e privo di qualità come
l'Ulrich di R. Musil. Tuttavia, proprio questo ricorso
permette alcune volte, laddove quel che è scontato resta
insoddisfatto, di arricchire la trama, avviando e aprendo
il lettore verso nuove direzioni; questo riguarda in
particolare anche le cosiddette scene-tipo, come vedremo
nel corso della nostra analisi, per cui nel dettaglio
dell'omissione o dell'aggiunta si gioca l'impatto del testo.
Nell'AT, Isacco, che spaccia Rebecca per sua
sorella, rispecchia suo padre Abramo con Sarai (Gen
26,7-14 = 12,10-20). Assalonne trova il suo corrispettivo
nel rampante Adonia (2Sam 15,1 = IRe 1,5). Salomone si
configura come un nuovo Adamo nel discernere il bene e
il male nella sua perizia botanico-zoologica e nel
concorso femminile al suo peccato (Gen 1-3 = IRe
5,4.13; 11). Il Giobbe iniziale ricalca l'accettazione di
Abramo (Gb 1,21 = Gen 22), per poi protestare con
veemenza nel prosieguo. Nei LXX, Giuditta amplifica
«Intertextuality Literary Competence and the Question of
Readership. Some Preliminary Observations», in JSOT 35(2010),
131-148. Cf. anche il numero monografico di Teologia (2001)2.
Giaele (Gdt 8-16 = Gdc 4,17- 22), Giuda Maccabeo è una
sorta di clone di Davide nell'impossessarsi della spada
del nemico (IMac 3,12; ISam 17,51; 21,10), mentre è te-
stificata l'analogia tra lo zelo di Mattatia e quello di
Finees (IMac 3,12; Nm 25,7). Ciò trapela anche per
figure di secondo piano come Efron e Arauna,
diplomatici venditori di terreni destinati al protagonista
(Gen 23; 2Sam 24,18-25). Si pensi pure ai figli di
Samuele, Gioele e Abia, che clonano la cupidigia
perversa dei figli di Eli, Ofni e Pincas (ISam 8,3 = 2,29),
al duo di donne che sporgono querela verso il re (2Re
3,16-28 = 2Re 6,26-30), a Iacaziel che parla come Mosè
(2Cr 20,14.17; Es 14,14). Spiccate inversioni sono
rappresentate da Sansone che, per il suo matrimonio
capriccioso e per la sua inefficace guida di Israele, è
antitetico a Otniel, marito e governante esemplare, ma
anche a Samuele, col quale condivide la nascita da madre
sterile, la consacrazione a Dio e la carica di giudice
d'Israele (Gdc 13 * ISam 7,15-17). Così la moglie di
Giobbe ha il ruolo negativo di contestare la religiosità del
marito istigandolo a ribellarsi contro Dio, mentre la
moglie di Tobi quello positivo di liberarlo da una
religiosità asfissiante, facendogli cogliere la provvi-
denzialità di un dono ricevuto (Gb 2,9 * Tb 2,11).
Possiamo aggiungere i re di Israele e Giuda, valutati nel
loro comportamento con la pietra di paragone positiva di
Davide e quella negativa di Geroboamo I.0Giona, nel suo
rifiuto di annunciare la salvezza a Ninive, si profila come
un anti-Abramo, il quale invece intercede per risparmiare
Sodoma (Gn 1,2 * Gen 18,21); un caso particolare è
quello di Ester rispetto a Vasti nei confronti del re
Assuero, perché la prima, apparentemente remissiva, è la
vincente, la seconda, intransigente, diventa la perdente.
Non va escluso un confronto extratestuale con
figure non-bibliche, che l'uditorio poteva plausibilmente
conoscere grazie alla condivisione di un patrimonio
culturale, soprattutto folklorico, di motivi improntati dai
narratori.0 È comune addurre come esempio quello tra le
0
Per Davide come modello positivo, cf. IRe 11,4.6; 14,8;
15,3.5; 2Re 18,3. Per Geroboamo come modello negativo, cf. IRe
15,26.34; 16,2.7.19.26.31; 2Re 3,3; 10,29.31; 13,2.11; 14,24;
15,8.13.24.28.
0
Sul rapporto tra Bibbia e folklore, rinviamo fra molti altri
studi a H. GUNKEL, Das Marchen im Alteri Testament, Tubingen
1917; ID., Mythus. Sage und Legenda imAlten Testament, Tubingen
1918; S.J. FRAZER, Folklore in the Old Testament, London-New York
1919; D. ROBERTSON, The Old Testament and the Literary Critic,
Philadelphia, PA 1977; D. IRVIN, Mytharion. The Comparison of
vicende di Giuseppe e del saggio Ahiqar (ANET, 427-
430), dei tre paggi del re Dario (1 Esdra 3,4.32) e di
Democede di Crotone alla corte persiana narrata da
Erodoto CStorie III, 125-132).0 Oltre alle impressionanti
analogie, si riscontrano dissomiglianze, perché Giuseppe
alla corte del faraone, a differenza di Democede, non è
un medico ma un oniromante, non dissimula il suo potere
che attribuisce a Dio, diventa visir ma poi non fugge
inaspettatamente, e il suo intervento non è dettato da
lucro o potere, bensì finalizzato alla salvezza di un
popolo e di un Paese. Quanto ai tre paggi di Dario,
diversamente da

Tales from the Old Testament and the Ancient Near East (AOAT 32),
Neukirchen-Vluyn 1978; P.G. KIRKPATRICK, The Old Testament and
Folklore Study, Sheffield 1988; S. NIDITCH (a cura di), Text and
Tradition. The Hebrew Bible and Folklore, Atlanta, GA 1990; A.
DUNDES, Holy Writ as Oral Lit. The Bible as Folklore, Oxford 1999.
0
Così C. GROTTANELLI, «Biblical Narrative and the Ancient
Novel», in ID. (a cura di), Kings and Prophets: Monarchic Power,
Inspired Leadership and Sacred Text in Biblical Narrative, New
York, NY 1999, 161; P. NISKANEN, The Human and the Divine in
History. Herodotus and the Book of Daniel (JSOTS 396), London-
New York 2004, 1-25. Diversi autori sostengono la familiarità dei
narratori biblici in particolare con Erodoto, come K. STOTT,
«Herodotus and the Old Testament: A Comparative Reading of the
Ascendancy Stories of King Cyrus and David», in SJOT 16(2002),
52-78; G. LARSSON, «Possible Hellenistic Influences in the
Historical Parts of the Old Testament», in SJOT 18(2004), 296-311.
Giuseppe, devono scrivere la soluzione dell'enigma
proposto dal re, per sapere chi sarebbe stato il vincitore.
Potremmo pure aggiungere le affinità/discontinuità tra
Rispa e Antigone o Niobe, tra la figlia di Iefte e le
euripidee Ifigenia o Macaria, tra Davide e Alessandro
Magno, tra la moglie di Potifar e Medea o Anezia, tra
Uria, Sargon e Bellero- fonte, latori inconsapevoli di una
lettera che segretamente ordina la loro uccisione, e così
via.
Sono esempi che non vanno appiattiti in un acritico
e frettoloso concordismo, come ha fatto C.H. Gordon, 0
ma colti nelle loro differenze che fanno emergere la
peculiarità dei racconti biblici. Non va affatto esclusa una
rilettura ironica e critica lasciata talvolta intuire, come
accade ad esempio per diversi personaggi nel libro dei

0
Cf. C.H. GORDON, «Homer and the Bible», in HUCA
26(1955), 43-108. Cautela contro un pedissequo concordismo è
imposta da M.S. SMITH, «Biblical Narrative Between Ugaritic and
Akkadian Literature. Ugarit and the Hebrew Bible: Consideration of
Comparative Research», in RB 114(2007), 5-29. Lo stesso vale per la
critica letteraria moderna, dove è importante cogliere il diverso tasso
di tragicità o di ironia tra personaggi spesso accostati, come lo Zeno
di Italo Svevo avvicinato al Mattia Pascal di Luigi Pirandello, o il
Marcel della Recherche di Proust a vari personaggi kafkiani.
Giudici,0 i cui nomi rievocano quelli mitici di divinità
naturali come Sansone (= sole) e Dalila (= notte), Debora
(= ape, in contrasto con le varie Melisse del bacino
mediterraneo), Eglon = vitellozzo, e Barak = fulmine,
attributi di Baal, ma l'ultimo anche di Zeus,
sarcasticamente smentiti dai loro portatori. L'elenco
potrebbe continuare a iosa.
Per dirla con J.-L. Ska, possiamo notare che qui
vige il principio dell'«anche noi». Detto altrimenti, anche
Israele può vantare figure significative al pari di altre
culture cui guarda con malcelata ammirazione, ma verso
cui rivendica la propria autonomia. Gerusalemme non ha
nulla da invidiare a Babilonia, ad Atene o a Roma, con la
caratteristica di ricordare ai posteri anche figure
marginali, elevate al rango riservato agli eroi. Qualcuno
potrebbe obiettare che questo tipo di raffronti o di
richiami sia troppo sofisticato, accordando al pubblico
una recezione al di sopra delle effettive capacità.
Tuttavia, anche per i destinatari dei racconti biblici si può

0
S. SCHAM, «The Days of Judges. When Men and Women were
Animals and Trees were Kings», in JSOT 97(2002), 37-64. Per
un'analoga rielaborazione nella tradizione cristiana, cf. H. RAHNER,
Griechische Mythen in christlicher Deutung, Ziirich 1957.
considerare quanto riscontrato nella recezione dei
romanzi ellenistici, per cui il pubblico era ampio e
sufficientemente dotato di una cultura scolastica di base
che permetteva di intercettare citazioni e allusioni
letterarie. L'uditorio non era necessariamente
alfabetizzato, perché il contatto con i testi poteva
avvenire anche mediante recitazioni pubbliche (cf. ad
esempio Ne 8). Ma, a differenza del romanzo ellenistico,
i racconti biblici non erano né destinati prevalentemente
a un pubblico femminile, né erano letteratura d'evasione
come si evince da Eliodoro o Luciano, ma indirizzati a
tutti e finalizzati a trasformare quanti li ascoltavano.
2.3. Una narrativa non biografica né introspettiva

«Non sapremo mai da dove vengono Tiresia e


Calcante», confessava André Malraux,0 e questo vale per
la maggioranza dei personaggi biblici. L'evidenza di uno
scarso interesse biblico ai propri attori sta nell'assenza di
un'effettiva (auto-)biografia di quelli principali, con-
trariamente alle autobiografie della letteratura egiziana -
come, ad esempio, di Amenemheb (XVI secolo a.C.), di
0
A. MALRAUX, La Métamorphose des Dieux, Paris 1957, 50.
Uni e di Khety (XIV secolo a.C.), di Neb-neceru (X
secolo a.C.)0 - o al genere specifico ellenisti- co-romano.
Tralasciando modelli perduti - come le Vite di
Aristosseno di Taranto (IV secolo a.C.) o del
concittadino Satiro (III secolo a.C.) -, i testi di confronto
restano la Ciropedia di Senofonte (IV secolo a.C.) e, in
epoca imperiale romana, il De viris illustribus di
Cornelio Nepote (I secolo a.C.), le Vite dei XII Cesari di
Svetonio (I-II secolo d.C.), le Vite parallele di Plutarco
(50-125 d.C.) e le prosopografie di Diodoro, Tacito,
Dione Cassio. Il loro scopo non era comporre la storia,
bensì ricostruire in modo protreptico Y ethos di figure
celebri nel genere dell'encomio. Secondo il compendio
del retore Aftonio (IV secolo d.C.), che però condensa
canoni antichi, esso si articolava in un'introduzione,
nell'esposizione del genos, in un resoconto
dell'educazione e delle azioni suddivise nei tre ambiti
della descrizione fisica, di quella spirituale e delle azioni

0
Per i testi autobiografici egiziani cf. E. BRESCIANI, Letteratura
e poesia dell'antico Egitto, Torino 1999, 22-31; 81-89; 296-298;
558-578; cf. pure E. FROOD, Biographical Texts from Ramessid
Egypt, Leiden-Boston 2007.
attribuite al Fato (Tykhè) per chiudersi con un epilogo. 0
Toccherà alla letteratura post-biblica e pseudoepigrafica,
come ad esempio nel caso dell'apocrifo giudaico Vite dei
profeti (I secolo d.C.), omologare il genere biografico
greco-romano, precisando, spesso con interpolazioni
cristiane, la carriera di tutti i profeti dai luoghi di nascita
sino a quelli di morte.
Si è soliti suddividere - con i rispettivi maestri - il
genere biografico in: erudito (Diogene Laerzio), retorico
(Filostrato) e politico (Nicola di Damasco). Le narrazioni
bibliche mischiano queste tre tipologie in una visuale
prettamente funzionale e teologica; pur contemplando il
duplice fine encomiastico ed etico, non esitano a
disattendere il primo, così come lasciano il secondo alla
ricostruzione del lettore. Limitandoci a esempi di
maggior calibro, abbiamo spezzoni autobiografici,
abbozzi di modelli biografici ma parziali, non estesi

047
Per il genere encomiastico e, in generale, per la biografia
greco-romana, cf. G.A. KENNEDY, Progymnasta: Greek Textbooks of
Prose Composition and Retoric, Atlanta, GA 2003, 108; A.
MOMIGLIANO, LO sviluppo della biografìa greca, Torino 1974; I.
GALLO, STUDI SULLA BIOGRAFIA GRECA, NAPOLI 1997; F. Paschoud -
B. Grange - C. Buchwalder (A CURA DI), LA BIOGRAPHIE ANTIQUE,
GENÈVE 1998.
come il Racconto di Sinhue,0 Non conosciamo nulla
dell'infanzia di Abramo, Aronne, Giosuè, Saul, Davide,
Elia, Eliseo o Mardocheo, tantomeno di Sara, Rachele,
Giuditta, tutti già adulti al momento del loro ingresso in
scena. Se di Mosè e Samuele viene narrata la nascita, del
futuro leader d'Israele restano oscure l'adolescenza e il
lungo periodo trascorso presso Ietro prima della sua
missione di liberare Israele a ottant'anni (Es 7,7), mentre
Samuele sparisce dal racconto dopo l'unzione di Davide
(ISam 16,13), tranne una brevissima menzione (ISam
19,18s), prima della sua laconica morte (ISam 25,1) e la
sua apparizione finale come fantasma a Endor (ISam 28).
In Gen 37-50 il lettore saprà molto di Giuseppe, poco di
Giuda, assai poco di Ruben e nulla degli altri fratelli. Nel
libro dei Giudici troviamo una disparità notevole di
considerazione accordata ai cosiddetti «maggiori» come
0
Cf. Ne; Qo; Is 6; Ger 1; Ez 1-3; Esd 7,27-9,15; Dn 7-12; Tb 1,3-
3,6; cf. J. BLEN- KINSOPP, «Biographical Patterns in Biblical
Narrative», in JSOT 20(1981), 24-46. Per l'autodiegesi nella
narrativa moderna, possiamo pensare a quella di un narratore esterno
al racconto che racconta la propria storia, come Mattia Pascal di L.
Pirandello, Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno di I. Svevo, o Adso
ne II nome della Rosa di U. Eco. Per un narratore interno, cf. Gen
24,34-49; Mosè nel Deuteronomio; si pensi a Ulisse con i Feaci (Od.
IX-XII) o a Zosima nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij.
Rinviamo a SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 78.
Eud, Gedeone, Iefte o Sansone, rispetto alle scarne
notizie sui «minori» come Tola, Iair, Ibsan e Abdon;
eppure, anche questi ultimi trovano il loro posto. Quando
un personaggio balza in scena ex abrupto si deve
presupporre che fosse noto all'uditorio, perché
appartenente alla memoria collettiva di Israele, per cui,
secondo le convenzioni del patto narrativo, non vi era
bisogno di spiegare di chi si trattasse.01 rari racconti di
nascita si spiegano con ogni plausibilità perché
concernono figure eminenti che hanno segnato la storia
d'Israele, per cui, dopo un primo interesse agli episodi più
salienti della loro maturità, si avvertì l'esigenza di scavare
a ritroso in modo programmatico; ad esempio, la nascita
di Giacobbe ed Esaù anticipa
1 conflitti nel rapporto tra i due fratelli (Gen 25,23-
26), così come il salvataggio di Mosè prefigura quello
d'Israele al Mare dei Giunchi (Es
2e 14). Può stupire che un eponimo fondamentale
come Abramo non meriti un racconto di nascita; forse la
spiegazione più semplice è che egli comincia a suscitare
0
Per il patto narrativo rinviamo a Eco, Lector in fabula, 55-60;
GROSSER, Narrativa, 17-27 e 113-120; ZAPPELLA, «IO narrerò tutte
le tue meraviglie». Manuale di analisi narrativa biblica, 16.
interesse nel narratore per il lettore solo quando comincia
la sua avventura con YHWH, mentre è più importante
narrare la nascita di Isacco che realizza la promessa
dell'erede. Altrettanto si può dire dell'uscita di scena di
personaggi la cui sorte resta ignota, come Betsabea,
Natan, Ester e Mardocheo, a differenza ad esempio di
Giuditta, di cui viene descritta la morte. Suggestiva è la
sorte di Elia e di Enoc, dei quali non si narra la morte, ma
una dipartita che segue il topos dell'«eroe scomparso»,
accordando loro un'altra esistenza più duratura nella
fantasia dei lettori, chiamati a colmare l'enigma.0
In generale, si può ipotizzare che la frammentarietà
o parzialità in riferimento ai personaggi principali possa
derivare dalle origini remote delle rispettive tradizioni e
dal gusto dell'ambiente in cui i testi sono scritti. Va
tenuto conto, secondo una sana ermeneutica del sospetto,
del presupposto per cui la perdita di un elemento nel
patrimonio tràdi- to non avviene involontariamente, o
innocentemente, ma risponde a una precisa ideologia che
ispira le voci narranti. Tale ellitticità è in- tercettabile nei
0
Si pensi ad esempio a Romolo-Quirino e all'Ulisse di Dante;
cf. S. AVALLE D'ARCO, Modelli semiologici nella commedia di
Dante, Milano 1975, 69.
personaggi periferici;0 limitandoci ad alcuni esempi di
una galleria sterminata, il lettore non saprà mai il nome
della moglie, del genero, dei figli e delle figlie di Lot
(Gen 19,12), di quelli di Acan (Gs 7,24) o di quelli di
Abia (2Cr 13,21). Il fatto che restino anonimi i cinque
figli di Merab, a differenza dei due di Rispa (2Sam 21,8),
come pure i sessantanove fratellastri uccisi da Abimelec,
tranne Iotam (Gdc 9), si deve all'interesse di identificare
solo gli attori significativi. Ignoriamo poi se il coppiere
sia stato ricompensato da Giuseppe (Gen 41), Ionadab da
leu (2Re 10,15-17.23-27) o la schiava da Naaman (2Re
5) per i servigi variamente prestati, come a livello di
destino la sorte di Zippora (Es 18,2), di Orpa (Rt 1,7), di
Icabod (ISam 4,21), di Achino- am, moglie di Saul (ISam
14,50; 20,30), o di Ieter (Gdc 8,20) e Ioseba (2Re 11,9).
051
GUNKEL, Genesis, XXXVII: «Va anzitutto notata la brevità
con cui vengono trattati i personaggi secondari [...]. I personaggi che
per il narratore sono secondari, in generale o occasionalmente, sono
descritti sobriamente o per nulla affatto. Per la sensibilità antica, è
ovvio non soffermarsi sugli schiavi»; cf. U. SIMON, «Minor
Characters in Bibli- cal Narrative», in 750746(1990), 11-19; A.
WÉNIN, «Les personnages secondaires dans la Bible», in D.
MARGUERAT (a cura di), Regards croisés sur la Bible, Acte du III
Colloque International RRENAB, Paris 8-10 juin 2006, Paris 2007,
341-354; C. LICHTERT, «Le personnage secondaire anonyme dans le
récit biblique», in MAR GUÉ RAT (a cura di), Regards croisés sur la
Bible, 355-364.
E. Auerbach0 contrapponeva la solarità degli eroi
omerici, che non presentano uno sviluppo interiore ma
restano (stereo)tipi statici, alla «profondità inesplorata»
dei personaggi biblici, che rimangono nello sfondo e
nell'opacità (Hintergriìndigkeit), evolvendosi in una
gamma di trasformazioni e iridescenze. Tale teoria, però,
rischia di essere un letto di Procuste e va sottratta a
un'applicazione indistinta a tutte le dramatis personae
dell'epica omerica e della Bibbia ebraica. In Omero, essa
di certo si attaglia a quelle dell'Iliade, mentre YOdissea
non sempre conosce lo stesso primo piano illuminato e
privo di lacune, ma pulsa di tensioni, in cui i personaggi
perdono la loro meccanica fissità. 0Ad esempio, Odisseo e
Giacobbe, al termine del loro «ritorno» (nostos)
ventennale, non sono più come quando erano partiti, ma
trasformati. La letteratura greca successiva, pur
0
Cf. AUERBACH, Mimesis, 16; BERLIN, Poetics and
Interpretation of Biblical Narrative, 138; ALTER, The Art of Biblical
Narrative, 129.
0
STERNBERG, Expositional Modes and Temporal Ordering in
Fiction, 84-85; J.D. LEVENSON, «1 Sam 25 as Literature and
History», in R.R. GROS LOUIS (a cura di), Literary Interpretations of
Biblical Narrative, Nashville, TN 1982, II, 233-235; ALTER, The Art
of Biblical Narrative, 17. Per l'introspezione nella letteratura greca,
cf. C.B.R. PELLING (a cura di), Characterization and Individuality in
Greek Literature, Oxford 1990.
perseguendo tipi convenzionali, si rivelerà capace di
ritratti più complessi, come nelle tragedie di Sofocle ed
Euripide (V secolo a.C.), nell'epica e nei romanzi
alessandrini - si pensi al Romanzo di Nino (II secolo a.C.)
o al Dafni e Cloe di Longo (Hill secolo a.C.), - nei quali è
palese lo scavo psicologico dei personaggi - spesso, come
in Longo, mediante un monologo interiore -, messi in
scena in peripezie amorose o in avventure di viaggio.
Per quel che concerne i personaggi biblici, i
chiaroscuri auerba- chiani sono percepibili in Abramo,
Giuseppe, Mosè, Saul e Davide, ma si riscontrano anche
figure unidimensionali del tipo di Noè, Sansone, Nabal,
Golia, Giuda Maccabeo. Se è innegabile l'esplicita
diegesi di sentimenti come amore/odio, gioia/pianto,
paura/coraggio, mitezza/ ira, invidia/gelosia, 0 nel

0
Riportiamo riferimenti ad alcuni esempi. Odio/rancore: cf.
Gen 37,4.8; 2Sam 13,15.22. Amore: cf. Gen 29,30; 34,3; ISam 1,5;
18,21.28; 2Sam 13,15; IRe 11,1; Est 2,17. Gioia: cf. IRe 5,21; Ne
12,44; 2Cr 24,10. Pianto: cf. Gen 21,16; 27,38; Gdc 14,16; ISam 2,7;
2Sam 15,30. Paura: cf. Es 2,14; 14,10; Gdc 6,27; 8,20. Ira: cf. Gen
39,19; Nm 24,10; ISam 20,34; Est 5,9; Gdt 5,2. Invidia: cf. Gen
26,14; 37,11; ISam 18,9. Rimorso: cf. ISam 24,6; 2Sam 24,10; 2Re
6,11. Compiacimento: cf. Gen 41,37; 45,16; ISam 18,5; IRe 18,20;
Est 2,4; Gdt 11,20. Rinviamo a F. BOSCIONE, Sentimenti ed affetti
nella Bibbia, Milano 2009; G. RAVASI, Che cos'è l'uomo? Sentimenti
e legami umani nella Bibbia, Milano 2011.
complesso resta caratteristica «l'arte della reticenza»,
come l'ha definita R. Alter sulla scia di H. Gunkel, che
vela emozioni e motivazioni o, se si vuole, l'arte della
«indeterminazione» (Unbestimmtheit) secondo R.
Ingarten, o secondo S. Chatman (indeter- minacy), cui si
ispira qualche odierno esegeta. 0 Il lettore non appurerà
mai i sentimenti di Sara in Gen 12,10-20, di Dina dopo lo
stupro in Gen 34, di Betsabea o di Uria dopo l'adulterio
in ISam 11, né le reazioni dei personaggi prima e dopo il
sacrificio di Gen 22, né i peccati che provocano la morte
di Er (Gen 38,7), i motivi dell'incesto di Ruben (Gen
35,22) o quelli della congiura dei due eunuchi Bigtan e
Teres contro Assuero (Est 2,21). Si tratta di ellissi che il
lettore-modello, secondo U. Eco, non meno autore del
narratore, per dirla con Genette, è spesso invitato a
supplire nel dramma intrigante della lettura dinanzi a una
reticenza che non ha nulla da invidiare a M. Proust, J.
Joyce o H. James.0 Altre volte si tratta di gaps
0
Cf. ALTER, The Art of Biblical Narrative, 114-130; R.
INGARTEN, Vom Erkennen des literarischen Kunstwerks, Tubingen
1968; CHATMAN, Story and Discourse, 30; cf. anche le osservazioni
di SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 25.
0
J.-P. SONNET, «L'analyse narrative des récits bibliques», in M.
BAUKS - C. NIHAN (a cura di), Manuel d'exégèse de l'Ancien
Testament, Genève 2008, 78-79; ID., «IL realismo dei personaggi
momentanei, colmati nel prosieguo, come il motivo del
rifiuto di Giona (Gn 1,3; 4,2-3), della strategia del profeta
di Bet-El (IRe 13,25), o il nome della balia di Rebecca
(Gen 24,25; 35,8). Per dirla con G. de Maupassant,
«raccontare tutto sarebbe impossibile». Se da un lato, a
partire da Gunkel, per continuare con M. Sternberg e J.-
L. Ska, è legittimo ravvisare in tale lettura scorciata una
provocazione a prolungare la contemplazione della scena
per un attivo feed-back del lettore,0 dall'altro non si deve
dimenticare - come gli stessi Gunkel e Ska ribadiscono -,
che questo non è l'aspetto essenziale, perché, secondo le
convenzioni, i personaggi biblici agiscono più che
soffermarsi a pensare, anche se episodi di monologo
interiore non mancano, come vedremo.

biblici», in CivCat (2009)160, 593; P. DE MAISTRE, «Quand la Bible


riva- lise avec le roman psycologique», in NRT 132(2010), 3-23.
Come nota D. ROSENBERG, The Literary Guide to the Bible,
Cambridge 1987, 171-172, l'arte della reticenza non è però
appannaggio esclusivo della letteratura biblica.
0
L'adagio di Maupassant è citato da R. BOURNEUF - R.
OUELLET, L'universo del romanzo, Torino 2000, 124-125. Cf.
GUNKEL, Genesis, XL: «Molto spesso non troviamo la minima
espressione su pensieri e i sentimenti dei personaggi in ballo, e ciò in
passi in cui non possiamo evitare di provare una certa sorpresa
riguardo alla loro assenza [...]. Noi stessi dobbiamo introdurre
l'essenziale». Cf. STERNBERG, ThePoetics ofBiblical Narrative, 235-
237.
2.4. Un confronto con altre riscritturo

Questa tendenza a non completare i tasselli del


mosaico dei personaggi può illuminarsi nel confronto con
altre versioni dei medesimi racconti, che, nel colmare i
silenzi e gli enigmi del testo, riflettono le esigenze a
partire dalla mentalità più tardiva e sofisticata dei fruitori.
Per dirla con G. Genette, si tratta di ipertesti che
poggiano su ipotesti. È un fenomeno comune nella
letteratura di ogni tempo; basta pensare alla rilettura
dell'Odissea nel Novecento per opera di James Joyce,
all'Odisia di N. Kazantakis, alYHorcynus Orca di S.
D'Arrigo o alle versioni parodistiche quali Capitano
Ulisse di A. Savinio o La menzogna di Ulisse di J.
Giono.0 Gli esempi relativi alla Bibbia sono molti e ne

0
Per l'ipertesto/ipotesto, cf. GENETTE, Palimpsestes, 11-12; cf.
anche P. BOITANI, Ri- Scritture, Bologna 1997. Sulle riscritture
dell'Odissea, tra gli altri, il classico W.B. STANFORD, The Ulysses
Theme, Ann Arbor, MI 1968; N. MOLL, Ulisse tra due mari.
Riscritture novecentesche dell'Odissea nel Mediterraneo, Isernia
2006. Per la Bibbia, cf., tra gli altri, C. CLIVAZ - C. COMBET-
GALLAND - J.-D. MACCHI - C. NIHAN (a cura di), Écritures et
réécritures. La reprise interpretative des traditions fondatrices par
la littérature biblique et extra-biblique. Cinquième Colloque
International du RRENAB, Universités de Genève et Lausanne, 10-
12 juin 2010 (BEThL 248), Leuven-Paris-Walpole, MA 2012.
citiamo alcuni. All'interno dello stesso AT sono
ravvisabili nel raffronto tra i libri di Samuele-Re con
quelli delle Cronache: rispetto a 2Sam 5,8, che appare
monco, lCr 11,6 esplicita il premio destinato ai
conquistatori; se IRe 15,7 liquida in un versetto la guerra
tra Abia e Geroboa- mo, lCr 13 dà spazio al loro
conflitto. Rispetto a 2Re 11,1-3, in 2Cr 22,10-11 si
forniscono dettagli sul modo in cui Ioseba ha salvato
Ioas; l'umiliazione del cadavere di Saul menzionata in
ISam 31,10 si precisa in lCr 10,10, che parla del suo
cranio appeso nel tempio di Dagon, un particolare
descritto in termini che richiamano la cattura dell'arca in
ISam 5,2. Se confrontiamo il testo ebraico con quello
greco, il TM di 2Sam 13,21 elude il motivo per cui
Davide non punisce Amnon per lo stupro di Tamar,
mentre i LXX aggiungono la motivazione «poiché
l'amava, essendo egli il suo primogenito»; in ISam 14,41
i LXX riportano una frase mancante nel TM, che è una
richiesta accorata di Saul, ma anche l'unico testo nell'AT
in cui si cita la prassi di una consultazione mediante le
«sorti», ignota alla competenza dell'uditorio.
L'intento di riempire le lacune è palmare nel
confronto tra la versione greca e quella ebraica del libro
di Ester. La prima, rispetto a quella ebraica, aggiunge il
sogno di Mardocheo con il suo soliloquio, precisa in che
modo egli scopre la congiura degli eunuchi (cf. Est 1
LXX), psicologizza i vari personaggi, come quello di
Aman (Est 3 LXX), così come spiega la sua richiesta di
«indossare la veste del re» (Est 6,7-9 TM) con la volontà
di «togliere il regno e la vita» ad Assuero (cf. Est 8,12
LXX). Anche in qualche testo di Qumran si intercettano
talvolta espansioni. Ad esempio, a proposito di ISam
10,27b, il TM e i LXX non offrono dati su Nacas, re
ammonita, né i motivi del suo assedio a Ia- bes, mentre
4QSama lo presenta come un tiranno oppressore che,
dopo aver cavato gli occhi agli uomini delle tribù di Gad
e di Ruben, intende infliggere la stessa mutilazione a
quanti erano scampati a Iabes, un'amplificazione che si
riscontra anche in Flavio Giuseppe (AG VI, 68-71).
La letteratura post-biblica tenderà a identificare
personaggi insignificanti originariamente anonimi, oltre a
riplasmarli.0 In Flavio Giuseppe tale tendenza si fa
regola, con esplicazioni improntate a una certa razionalità
che poteva compiacere un uditorio greco-romano.0
Ad esempio, in Gen 41 la riabilitazione del
coppiere e la condanna del panettiere sono spiegate con
la predilezione del faraone per il primo (AG II, 63); in
Gdc 13, nell'annuncio della nascita di Sansone, si motiva
la riluttanza di Manoach con la sua gelosia nei confronti
della moglie (AG V, 276-281), così come si ragguaglia
che è la stessa Betsabea, accortasi della gravidanza
adulterina, a suggerire a Davide uno stratagemma per non
essere scoperta da suo marito (AG VII, 131). Va notata,
però, una certa incoerenza nella riscrittura flaviana;

0
Rinviamo tra altri a B. HELLER, «Die Scheu von
Unbekanntem», in MGWJ 83(1939), 170-184; Y. ZAKOVITCH, «"He
Gave Each of Them a Name": On the Identification of Anonymous
Figures in Biblical Literature», in S. VARGON - R. KASHER - A.
FRISCH - J. KUGEL (a cura di), Studies in Bible And Exegesis, IX,
Ramat Gan 2009, 441-468.
060
Cf. E. STEIN, «De Flavii Josephi arte narrandi», in Eos
33(1930-31), 641-650; S. RAPPAPORT, Agada und Exegese bei
Flavius Josephus, Frankfurt a.M. 1930; H.W. AT- TRIDGE, The
Interpretation of Biblical History in the Antiquitates Judaicae of
Flavius Josephus, Missoula, MT 1976; T.W. FRANXMAN, Genesis and
the 'Jewish Antiquities' of Flavius Josephus (Biblica et Orientalia
35), Rome 1979; L.H. FELDMAN, Studies in Jose- phus' Rewritten
Bible, Leiden-New York 1998; ID., Josephus' Interpretation of the
Bible, Berkeley, CA 1998.
alcune volte, dove il testo biblico fa uso di verbi
impersonali o di soggetti anonimi, Flavio Giuseppe
introduce e nomina personaggi; altre volte fa esattamente
l'opposto ed evita di riportare i discorsi diretti,
condensandoli diege- ticamente. È facile constatare che
le espansioni concernono i personaggi che lui reputa più
importanti per censo e consoni alla riflessione
dell'uditorio, mentre la minimalizzazione viene attuata
per quelli di basso profilo, come vedremo in modo
eloquente a proposito del cast femminile.
Lo stesso accade nel Libro dei giubilei, nelle
Antichità bibliche dello Pseudo-Filone e nelle
interpretazioni targumiche, anche se queste ultime sono
più attente ai personaggi di basso rango.0 Possiamo ad-
durre due casi esemplari. Il primo è quello di Caino e
Abele in Gen 4. Il TM non spiega il motivo per cui Dio
gradisce l'offerta di Abele e non quella di Caino, e omette
il contenuto del loro discorso e la dinamica del
0
CF. AG II, 221.224; III, 40; V, 234; VI, 58; GIUBILEI IV, 16-17;
VII, 30-31; VILI, 35; LAB VILI, 7; IX, 11.16; XXXI, 8; XXXIX, 8.
CF. G. ARANDA-PÉREZ - G. MARTÌNEZ, LITERATURA JUDIA
INTERTESTAMENTARIA, ESTELLA 1996, 533-562; G. ODASSO, «LE
SCRITTURE NEI TARGUMIM», IN RSB 29(2007), 83-103; A. SHINAN,
THE BIBLICAL STORY AS REFLECTED IN ARAMAIC TRANSLATIONS,
HAKIBBUTZ HAMEUCHAD 1993.
fratricidio. I LXX esplicano l'invito ad andare in
campagna, Flavio Giuseppe offre un'etimologia dei nomi
dei fratelli e spiega l'uccisione con l'avidità di Caino:
Il primo figlio fu chiamato Caino, un nome che
significa «acquisizione», il secondo Abele, che significa
«fragile». Nacquero loro anche delle figlie. I due fratelli
avevano inclinazioni molto diverse. Abele, il più
giovane, teneva in gran conto la giustizia e pensava che
in tutte le sue azioni Dio fosse presente, seguiva la
giustizia e conduceva la sua vita di pastore. Caino era
assai malvagio e volto soltanto al guadagno; per primo
indirizzò il suo pensiero ad arare il suolo e uccise suo
fratello per questo motivo. Ambedue avevano deciso di
offrire a Dio un sacrificio [...]. Dio si compiacque di più
di essere onorato dalle cose che crescono spontaneamente
secondo le leggi naturali, non con i prodotti forzati dalla
natura per opera dell'astuzia e dell'avidità dell'uomo (AG
I, 53).
Il Targum Jonathan riporta un lungo colloquio tra i
due fratelli, spiega la predilezione per Abele a causa delle
sue opere migliori e precisa l'oggetto contundente:
Disse Caino a suo fratello Abele: «Andiamo
entrambi in campagna». E quando uscirono, Caino disse
ad Abele: «Comprendo che il mondo è stato creato per
bontà, ma non è governato secondo le buone opere, anzi
è giudicato con parzialità. Perché la tua offerta è stata
accettata e la mia non è stata accettata?». Abele rispose a
Caino: «Il mondo è stato creato per bontà, è governato
secondo le buone opere e non si giudica con parzialità. Se
la mia offerta è stata accettata benevolmente, è perché le
mie azioni erano migliori e più preziose delle tue». Caino
rispose ad Abele: «Non c'è giudizio, non c'è un Giudice,
non c'è un'altra vita, non c'è un premio per i buoni e un
castigo per i cattivi». Abele replicò a Caino: «C'è
giudizio, c'è un Giudice, ci sarà un premio per i buoni e
un castigo per i cattivi». Così discutevano nel campo,
finché Caino si levò contro suo fratello, gli conficcò una
pietra sulla fronte e lo uccise.
L'altro esempio è quello dell'anonimo informatore
di Abramo in Gen 14,13: mentre il TM e i LXX si
limitano laconicamente alla notizia che parla della cattura
di Lot, commenti posteriori cercano di rimpolpare il
testo, a costo di sconfinare in astruse interpretazioni.
Flavio Giuseppe elimina l'informatore ed esplicita i
sentimenti di Abramo:
Non appena seppe del disastro, Abramo fu colpito
da timore per il congiunto e da compassione per i
sodomiti, suoi amici e vicini. Decise di andare loro in
aiuto, non indugiò, ma si fece premura e nella quinta
notte raggiunse gli assiri (AG I, 176).
Per Genesi Apocryphon l'informatore era uno dei
pastori concessi da Abramo a Lot, giunto per comunicare
che Lot non era stato ucciso e per indicare la strada presa
dai suoi sequestratori. Per Ibn Ezra, era un prigioniero di
guerra fuggito, che, pur ignaro della parentela, immaginò
che solo Abramo poteva salvare Lot; per altri, invece,
l'informatore era sicuramente ebreo, perché, se fosse stato
cananeo, non si sarebbe preoccupato della sorte di Lot. In
altri testi extrabiblici è identificato con Og, re di Basan
(Dt 3,11), che voleva spingere Abramo a combattere,
nella speranza che morisse, in modo da poter sposare
Sara.0 Il Libro di Enoc (LXX) ci svela le origini di
Melchisedek, assai misteriose nel testo biblico,

0
Cf. M. ZLOTOWITZ - N. SCHERMAN, Bereishis. Genesis, New
York, NY 21980, II, 484-485.
identificandolo come nipote di Noè, figlio di Ner, nato
miracolosamente da una madre sterile ritrovatasi incinta
proprio nel momento del parto. Ne Le vite dei profeti
(XIX-X) l'anonimo profeta sbranato dal leone in IRe 13
viene identificato con il samaritano Ioad, così come il
figlio della vedova di Sarepta risuscitato da Elia in IRe
17 con il profeta Giona. Gli esempi potrebbero
abbondare; ci fermiamo qui, per non parlare della
Wirkungsgeschichte nelle varie riscritture e
interpretazioni artistiche del «Grande Codice» della
Bibbia susseguitesi nel corso delle epoche.0
In conclusione, dinanzi alla querelle sempre accesa
se i personaggi biblici siano «persone» (S. Rimmon-
Kenan) o «parole» (T. Leitch),0possiamo affermare che la
narrativa dell'AT predilige una rappresentazione di
0
II catalogo sarebbe vasto; rinviamo a M. BOCIAN, Lexicon der
biblischen Perso- nen. Mit ihrem Fortleben in Judentum,
Christentum, Islam, Dichtung, Musik und Kunst, Stuttgart 1989; C.
EXUM (a cura di), Retellings the Bible in Literature, music art and
film, Boston, MA 2007. La definizione della Bibbia come «Grande
Codice» risale al poeta W. Blake, cf. N. FRYE, Il Grande Codice. La
Bibbia e la letteratura, Torino 1986.
0
RIMMON-KENAN, Narrative Fiction, 3; T. LEITCH, What
Stories Are? Narrative Theory and Interpretation, Pennsylvania, PA
1986, 154. Come nota DIONNE, «Le point sur les théories de la
gestion des personnages», 46 nota 5, molti critici oscillano tra le due
opzioni.
eventi, piuttosto che una descrizione di esistenti.0 Citando
il famoso detto di H. James: «Che cos'è un personaggio,
se non la determinazione di un avvenimento? E che cos'è
un avvenimento, se non l'illustrazione di un
personaggio?», è evidente che la prima parte dell'asserto
fotografa la gestione funzionale dei personaggi, raramen-
te presentati per se stessi, ma al servizio del ruolo. M.
Sternberg si oppone a questa visione aristotelica,
sostenendo che avviene una biunivocità inferenziale dal
personaggio all'azione e viceversa.0 Questo può risultare
vero per i soggetti dell'azione principale - si pensi alle
sfaccettature di un Mosè, o ancor più di un Davide - ma
non per quelli secondari, che restano subordinati e
possono configurarsi persino non essenziali. Ovviamente,
anche qui ci sono eccezioni, come ad esempio le figure di
Cusai e Achitòfel (2Sam 16-18), di Zippora (Es 2,16s;
4,26s), di Mical (ISam 18-19; 2Sam 6), o di Lisia (IMac
5), che però confermano la regola. Sarà la narrativa del

0
Cf. F.W. BURNETT, «Characterization and Reader
Construction of Characters in the Gospels», in Semeia 63(1993), 4;
GROSSER, Narrativa, 145.
0
II detto di James è citato da CHATMAN, Story and Discourse,
113. Per la sua contestazione cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical
Narrative, 129.
NT, grazie all'assorbimento di un processo iniziato, come
visto, nell'epoca ellenistica, a far baluginare un
embrionale interesse al vissuto psicologico, che resta
però sempre finalizzato all'intreccio. I racconti
neotestamentari, infatti, continuano a privilegiare
sostanzialmente l'interazione dei personaggi, forse ac-
cordando loro una funzione più rappresentativa in chiave
tipologica.0

3. Criteri per una gerarchia formale di ruoli

0
Cf., tra gli altri, G. ANDERSON, Ancient Fiction. The Novel in
the Greco-Roman World, London 1984, 62-73; BURNETT,
«Characterization and Reader Construction of Characters in the
Gospels», 6-19. Per il recupero dell'individualità dei personaggi nel
NT, cf. J.F. WILLIAMS, Other Followers of Jesus. Minor Characters
as Major Figures in Mark's Gospel (JSNTS 102), Sheffield 1994;
E.S. MALBON, In the Company of Jesus. Characters in Mark's
Gospel, Louisville, KY 2000; R. VIGNOLO, Personaggi del TV Van-
gelo, Milano 22003; P. DSCHULNNIG, Jesus begegnen. Personen und
ihre Bedeutung im Johannesevangelium (Theologie Bd 30),
Miinster-Hamburg-London 22002; M. VIRONDA, Gesù nel Vangelo di
Marco. Narratologia e cristologia (SupRivBib 41), Bologna 2003; C.
UROCCARDO, La fede emarginata. Analisi narrativa di Luca 4-9,
Assisi 2006; G. BONIFACIO, Personaggi minori e discepoli in Marco
4-8 (AnBib 173), Roma 2008; R. NADAUS, Les Anonymes de
l'Evangile, Strasbourg 2011; V. BOUYER, «Les anonymes» de
l'Évangile (CÉ 160), Paris 2012; tralasciamo i vari articoli recenti,
rinviando a J.-L. RESSEGUIE, Narratologia del Nuovo Testamento.
Una introduzione (Sup. 38), Brescia 2008, 115-157.
È ormai abituale parlare, nel gergo letterario,
teatrale e cinematografico, di personaggi «principali»,
«secondari» e «minori», distinguendo tra i primi - con un
termine mutuato dalla tragedia greca - il «protagonista» o
l'«eroe»; se quest'ultimo resta il più facile da individuare,
le altre categorizzazioni di personaggi «sussidiari»
risultano spesso elastiche o confuse. La narrativa biblica,
oltre a essere priva come in Aristotele del concetto di
«personaggio», non offre una tassonomia gerarchica
degli attori, né didascalie che li definiscano nei loro ruoli
come nelle tragedie o nelle commedie greco-romane,
come pure non conosce le trenta tipologie caricaturali dei
Caratteri di Teofrasto (IV-III secolo a.C.),0 ma lascia
dedurre al lettore il loro diverso peso e l'accessorietà nel
racconto concreto; non tutti i narratologi, però, si
soffermano a determinare i vari rapporti di forza e i gradi
drammatici di spessore.
3.1. Vari exempla di proposte

0
Su Teofrasto, osservatore aristotelico della fauna umana, cf. L.
TORRACA (a cura di), Teofrasto. Caratteri, Milano 2010.
H. Gunkel, attento al personaggio come fenomeno
letterario anziché storico, riconosceva almeno tre
fondamentali criteri per distinguere i «personaggi
principali» (Hauptpersonen) da quelli «secondari»
CNebenpersonen): a) l'indispensabilità nell'azione; b) un
maggior grado di attenzione; c) la caratterizzazione:
La visione d'insieme riguardo i differenti
personaggi è guidata dal fatto che spesso si distingue
nettamente tra personaggi principali e personaggi
secondari. L'uditore non ha bisogno di indagare troppo a
lungo su quale personaggio orientare primariamente lo
sguardo; il narratore glielo rende evidente per il semplice
fatto che parla soprattutto del personaggio più
importante.0
Egli però ammoniva a non confondere il rispetto
con l'attenzione per un personaggio, in quanto
quest'ultima è funzionale alla trama. Ribadendo che ogni
racconto contempla sempre l'esistenza di un personaggio
centrale, Gunkel tracciava due importanti distinzioni: la
prima tra il protagonista e i personaggi principali; la
seconda tra quelli che oggi definiamo protagonista
0
GUNKEL, GENESÌS, XXXVI.
strutturale e protagonista episodico, equivalenti, nella
terminologia di G. Genette, rispettivamente a ricorsivo e
singolativo.0 Ad esempio, nel ciclo in cui Abramo è
protagonista strutturale (Gen 11,27-25,11), il micro-
racconto di Gen 24 ha come protagonista episodico,
accanto al personaggio principale di Rebecca, il servo.
Giuseppe è il protagonista strutturale del ciclo di Gen 37-
50, ma anche lui lascia spazio ad altri protagonisti
episodici come Giuda e Tamar (Gen 38) o Giacobbe
(Gen 49). In Gs 2, il protagonista strutturale Giosuè
lascia la scena alle spie e a Raab come co-protagonisti.
Questa compresenza di personaggi può spiegarsi
con la successiva integrazione finale da parte dei
compilatori di alcuni racconti originariamente autonomi,
integrazione che non sempre intonaca le fratture.0Va
notato che la dicotomia gunkeliana trascura i diversi
spazi, la caratura e gli apporti drammatici dei personaggi

0
Ivi, XXXVII: «C'è sempre un personaggio principale
formale»; GENETTE, Figures, III, 163.
0
GUNKEL, Genesis, LI-LII, cita le leggi della «piena
concentrazione» e della «lenta accumulazione» per cui si
amalgamano racconti un tempo disgiunti intorno a un protagonista.
Celebre è la sua doppia affermazione che Israele non ha generato un
Omero (p. XCIX) e che la Genesi è una raccolta di racconti popolari
(p. VII).
secondari e minori; negli esempi citati, infatti, possiamo
notare come in Gen 24 Abramo e Laba- no non si
collocano sullo stesso piano della madre e del fratello
anonimi di Rebecca (vv. 53.55), né degli accompagnatori
del servo (vv. 32.59), della balia e delle ancelle (v. 61);
così, nel ciclo di Giuseppe in Gen 41, il capocoppiere
(vv. 9-13) ha uno spazio più ampio della futura moglie
Asenat (vv. 45.50), dei maghi (v. 8) e dei ministri
egiziani (v. 37).
Altre successive proposte di classificazione
risultano spesso insoddisfacenti e disinteressate a una
determinazione gerarchica dei ruoli. È possibile
riassumerle in quattro tipi di approcci. Nel primo, funzio-
nale, adottato dalla scuola francese, rientra il formalismo
di V. Propp,0che si focalizza esclusivamente sull'agire dei
personaggi, semplificato dalla semiotica strutturale di A.
J. Greimas con il suo celebre «schema attanziale» in cui
non si parla più di personaggio, ma di attante come
0
V. PROPP, Morfologia della fiaba, Torino 1966, 26: «Per
l'analisi della favola è quindi importante che cosa fanno i personaggi
e non chi fa e come fa, problemi questi ultimi di carattere
accessorio». Lo stesso autore, ivi, 30-70, distingue 31 funzioni o
valori costanti e 7 ruoli tipici o sfere d'azione: l'aggressore, il
donatore, l'ausiliario, il personaggio ricercato, il mandante, l'eroe e il
falso eroe.
«funzione vuota», riempita variamente nell'intrigo. 0 C.
Brémond individua tre funzioni fondamentali - di
paziente, agente e influenzatore -, cercando un
collegamento tra il mondo del testo e il mondo reale.0 R.
Barthes, convertitosi dal suo netto funzionalismo iniziale,
ha poi rivalutato la personnalité delle figure narrative.0 P.
Hamon ha proposto tre funzioni basilari dei personaggi:
referenziali, di innesto e anaforici, attribuendo

0
A.J. GREIMAS, Sémantique structurale, Paris 1966, individua
sei ruoli attanziali in tre coppie: il soggetto in cerca dell'oggetto,
l'aiutante e l'opponente nell'azione del soggetto, il destinatore e il
destinatario dell'azione. Successivamente Greimas integra il suo
schema, accordando al soggetto la possibilità di un'evoluzione in
racconti più complessi; cf. ID., «Pour une théorie des modalités», in
Languages 43(1976), 90-107. Vi sono pure voci del mondo
anglosassone, quali ad esempio R. SCHOLES, Structura- lism in
Literature. An Introduction, New Haven-London 1974, 104-117, e J.
CULLER, Structuralism Poetics, London 1975. Per la recezione del
metodo da parte dell'esegesi biblica, cf. T.J. KEEGAN, Interpreting
the Bible. A Popular introduction to Biblical Her- meneutics,
Mahwah-New York 1985, 40-72; G. SAVOCA, Iniziazione all'analisi
biblica strutturalista, Messina 1989; J.-N. ALETTI, «Exégèse
biblique et sémiotique. Quels enjeux?», in RSR 80(1992), 9-28; J.-Y.
THÉRIAULT, «Quand la Bible s'ouvre à la lecture sémiotique», in
Protée 34(2006), 67-75. Per un costante aggiornamento si consulti il
sito: http//bible- semiotique. com.
0
C. BRÉMOND, «La logique des possibles narratifs», in R.
BARTHES ET AL., L'analyse structurale du récit, Paris 1981, 66-82.
0
Per la prima fase, cf. R. BARTHES, «Introduction à l'analyse
structurale du récit», in Communications 8(1966), 32-37; per la
seconda, cf. ID., S/Z, Paris 1970.
all'interazione la loro costruzione.0 Questa impostazione,
però, pecca di astrattezza nel livellare il peso specifico
dei differenti personaggi, riducendoli a meri epifenomeni
del racconto come «supporto di funzioni narrative fisse».
Salvo le dovute eccezioni, spesso queste tre funzioni non
prevedono una loro coincidenza, che può verificarsi
come nel caso del monologo interiore in cui il destinatore
coincide con il destinatario o, per paradosso, nel caso di
Dio, che è destinatore e simultaneamente opponente.0
Il secondo approccio è caratteriale e contrassegna
la scuola anglosassone, che distingue tra «tipo» e
«individuo». Per S. Chatman, il personaggio è autonomo
e aperto (open-ended character), un «paradigma di tratti
psicologici» desunti dai suoi habitus e soggetto a
modificazioni nel corso della trama. 0 R. Scholes e R.
Kellogg parlano di caratteri «statici» opposti a caratteri
«dinamici», corrispondenti a quelli che E.M. Forster

0
P. HAMON, «Pour un statut sémiologique du personnage», in R.
BARTHES - W. KAY- SER - W.C. BOOTH - P. HAMON (a cura di),
Poetique du récit, Paris 1977, 115-180.
0
Coincidenza che si verifica più volte nella Bibbia per Dio; cf.
Es 4,24-26; Es 32,11- 14; NM 14,13-20; 22,21-35, segnalato da SKA,
«I nostri padri ci hanno raccontato», 145.
0
CHATMAN, Story and Discourse, 119-134; si noti la polisemia
dell'inglese character che equivale a personaggio e a carattere.
categorizza come «piatti» o al contrario «a tutto tondo»,
mentre J. Wood distingue tra soggetti «trasparenti»,
relativamente semplici, e «opachi», relativamente
misteriosi. A. Berlin propone la triplice graduazione in
ordine discendente tra il «carattere evoluto» o
polidimensionale, il «tipo» unidimensionale e l'«agente»
puramente strumentale. Vari esegeti, in riferimento ai
personaggi che non sono coinvolti nell'azione, ma ne
sono osservatori, utilizzano la definizione di ficelle
coniata da H. James.0 L. Zappella recupera la categoria di
personaggi «cinetici», che si evolvono in negativo o
positivo, da altri annoverati tra i personaggi a tutto
tondo.0 S. Rimmon-Kenan contesta questo bipolarismo,
dal momento che un carattere complesso non ne-

0
Cf. ad esempio il personaggio di Maria Gostrey nel suo
romanzo Gli ambasciatori-, rinviamo a BOOTH, The Rhetoric of
Fiction, 344; SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 137.
0
SCHOLES - KELLOGG, The Nature of Narrative, New York, NY
1966, 164; E.M. FORSTER, Aspects of Novel, London 1927, 65-75; J.
WOOD, Come funzionano i romanzi. Breve storia delle tecniche
narrative per lettori e scrittori, Milano 2010, 161, nota 12; BERLIN,
Poetics and Interpretation of Biblical Narrative, 23-33; J.M.
SCHAEFFER, «Personnage», in O. DUCROT - J.M. SCHAEFFER,
Nouveau Dictionnaire encyclopédique des sciences du langage,
Paris 1995, 760; ZAPPELLA, «IO narrerò tutte le tue meraviglie».
Manuale di analisi narrativa biblica, 145.
cessariamente si evolve.0 M. Bai,0 distinguendo tra
persona umana e personaggio, traccia quattro criteri di
costruzione: la ripetizione, che attira l'attenzione,
l'accumulazione dei tratti, la relazione tra attori e la
trasformazione, considerando - al contrario di Propp - ciò
che fa un personaggio e come lo fa. M. Bai rifiuta la
distinzione tra modalità diegetica e mimetica, perché
l'informazione deriva non dal narratore ma da ciò che il
personaggio dice e da ciò che il lettore deduce; così,
però, dimentica che il personaggio è creatura del
narratore ed è questi a dettare le regole di recezione.
Un terzo approccio è pragmatico, perché
valorizza \\ feed-back del lettore; come sostiene V. Jouve,
il lettore, grazie alla sua «enciclopedia d'esperienza»,
fruisce dei dati testuali e plasma egli stesso i personaggi
che compaiono come «figure strutturalmente
incompiute»; tuttavia, prospettando ogni personaggio
come mosaico di citazioni, manca di coglierne
l'originalità nella differenziazione. Jouve distingue anche

0
RIMMON-KENAN, Narrative Fiction, 40-41; critica condivisa da
M. BAL, Narrato- logy. Introduction to the Theory of Narrative,
London 32009, 136-137.
0
BAL, NARRATOLOGY, 125-131.
tra tre effetti di un personaggio: l'effetto personale, al
servizio della strategia dell'autore; l'effetto-persona, che
suscita l'illusione di avere a che fare con personaggi
viventi e le loro emozioni; e l'effetto-pretesto, che
sollecita l'inconscio e l'investimento di fantasia nel
lettore/lettrice.0H.R. Jauss, W. Iser e U. Eco con la loro
semiopragmatica insistono su tale ruolo creativo del
lettore orientato dal testo e interagente con esso.0 Anche
questa impostazione non si preoccupa del diverso calibro
e delle frequenze spazio-temporali nella classificazione
per importanza dei personaggi.
Un quarto approccio è sociologico, attento allo
status dei personaggi nel mondo del racconto, in rapporto
al contesto epocale, sociale, culturale e ai valori di cui
sono vettori. Partendo dalla sociologia della letteratura di
un G. Lukacs e L. Goldmann, da monografie su istituzio-
ni e categorie come quella di R. de Vaux o B. Malina, un
certo filone esegetico continua ad approfondire i ruoli, le
prerogative e le tensioni sociali vissute dai personaggi,
0
V. JOUVE, L'Effet-personnage dans le roman, Paris 1992, 35-
45, sviluppa l'intuizione di HAMON, «Pour un statut sémiologique du
personnage», 119.
0
Cf. H.R. JAUSS, Pour une ésthetique de la reception, Paris
1990, e i già citati ISER, Der implizite Leser; Eco, Lector in fabula.
rilevando le sovversioni di sistemi prestabiliti: uno
recentemente in voga è l'antitesi «onore/vergogna».
Questa impostazione antropo-sociologica, privilegiata in
determinati aspetti dalla teologia della liberazione, sta
progressivamente riscuotendo interesse, perché preziosa
riguardo alla valorizzazione biblica di una secondarietà
sociale.0
Considerando i principali studi di narrativa biblica
degli ultimi decenni, notiamo una sinergia tra questi
approcci. M. Sternberg consacra due capitoli (IV e IX)
alla caratterizzazione e quasi tre colonne nell'indice di
persone e soggetti riguardano i personaggi maggiori, ma
non individua nello specifico gli attori secondari e

0
Cf., in generale, R.R. WILSON, Sociological Approaches to the
Old Testament, Philadelphia, PA 1984; D.C. BENJAMIN, Social
World of Ancient Israel 1250-587 B.C.E, Peabody, MA 1993; B.
MALINA - J. PILCH, Biblical Social Values and Their Meanings,
Peabody, MA 1993; R. SIMKIN - S.L. COOK (a cura di), The Social
World of the Hebrew Bible (Semeia 87), Atlanta, GA 1999; P. ESLER,
Ancient Israel. The Old Testament in Its Social Context, London
2005; J.W. ROGERSON, According to the Scriptures? The Challenge
of Using the Bible in Social, Moral and Political Questions, London-
Oakville 2007; R. KESSLER, Studien zur Socialgeschichte Israels
(SBAB 46), Stuttgart 2009; P.F. ESSLER, Israele antico e scienze
sociali, Brescia 2009; G.E. LENSKI, Power and Privilege: A Theo-
rie of Social Stratification, New York, NY 1984. Utili sono i vari
studi e monografie su servi, ufficiali, donne, immigrati e altri
soggetti sociali.
minori, parlando genericamente di «soprannumerari»,
definendo quelli anonimi «senza volto». Tale disinteresse
appare anche in K. Seybold.0 Possiamo rinviare ai già
citati manuali di M.A. Powell, di J.-L. Ska, di D.
Marguerat e Y. Bourquin e di Y. Amit. 0 Mentre Powell
privilegia il lettore nella ricostruzione del personaggio,
gli altri classificano i personaggi dal punto di vista
dell'intrigo, distinguendo tra protagonista e ruoli
secondari, tra personaggi unidimensionali e
polidimensionali, ma soprattutto categorizzandoli a
seconda dei ruoli. Ska ne propone quattro: 1) eroe/prota-
gonista; 2) di contrasto (foil); 3) agente/ficelle; 4)
coro/figuranti, ripresi da Marguerat e Bourquin che, però,
eliminano quello di contrasto. Più utile è il manuale di J.-
L. Ska, J.-P. Sonnet e A. Wénin, L'analyse narrative des
récits de VAncient Testament (1999), che sviluppa tali
0
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative-, la traduzione
italiana di SEYBOLD, Poetik der erzàhlenden Literatur im Alten
Testament, è stata pubblicata dalla Paideia (Introduzione allo studio
della Bibbia, Supplementi 44), Brescia 2010.
0
M.A. POWELL, What is Narrative Criticism, Minneapolis, MN
1990, 4-13; SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 131-147; ID.,
«La "nouvelle critique" et l'exégèse anglo-saxonne», in RSR
80(1992), 29-53; MARGUERAT - BOURQUIN, Pour lire les récits
bibliques, 69-88; AMIT, Reading Biblical Narratives-, SONNET,
L'alleanza della lettura, 164-206.
funzioni e si sofferma, pur sinteticamente, su quelle dei
personaggi secondari, accennando alla loro dimensione
marginale.0 Sarà questo il nostro punto di riferimento per
approfondire ed evidenziare il loro apporto spesso
decisivo nella trama.
3.2. Criteri di individuazione degli agenti secondari

Facendo tesoro dei contributi sopra ricordati,


tenteremo di tracciare alcuni criteri per una gerarchia
formale dei personaggi, onde precisare la categoria di
quelli secondari, che costituiranno l'ambito della nostra
indagine. In ordine di importanza possiamo distinguere:
A. Il protagonista, o eroe/eroina.
a) È l'attore indispensabile all'azione
principale, sul quale s'impernia la posta in gioco della
trama, centro radiale verso cui tutti gli altri attori si
coordinano od orbitano in vario modo come satelliti. Il
protagonista o primo attore - l'eroe in senso classico ne
costituisce un sottogenere - è dunque, nella terminologia
di P. Hamon, referenziale, anaforico, e soddisfa i criteri

0
J.-L. SKA - A. WÉNIN - J.-P. SONNET, L'analyse narrative des
récits de l'Ancien Testament (CE 107), Paris 1999, 28-33.
di ripetizione, di accumulazione di tratti e di interazione
suggeriti da M. Bai. Infatti, è soggetto unificante che
cuce una sezione narrativa più o meno lunga. 0 Introdotto
di solito all'inizio - ma talvolta anche in medias res,
come, ad esempio, Davide, Ester, Tobia e Giuditta -, è
sempre presente nell'avvio dell'azione cruciale.
b) È colui che calamita il fuoco d'interesse,
perché conduce o subisce il flusso degli avvenimenti
sempre in modo decisivo.
c) Si segnala per la maggiore frequenza nei punti-
chiave della trama, che progredisce in base al modo in
cui egli agisce; spesso, anche se come protagonista
strutturale appare assente dalla scena, resta menzionato
sullo sfondo, come ad esempio Abramo (Gen 24,40),
Mosè (Nm 21,10-32), Giosuè (Gs 2), Eliseo (2Re 8,1-6).
d) Normalmente gode di una certa
caratterizzazione, che può spaziare dall'unidimensionalità
alla polidimensionalità, inscenato con il maggiore
accumulo di tratti. Se i protagonisti strutturali sono
sempre identificati per nome, l'anonimato si verifica,
0
Cf. V. CHLOWSKY, «La construction de la novelle et du
roman», in T. TODOROV, Théorie de la littérature, Paris 2001, 193,
per cui è «il filo che collega gli episodi del romanzo».
anche se non sempre, solo per quelli episodici come, ad
esempio, il servo di Abramo (Gen 24), le spie di Gerico
(Gs 2), il vecchio profeta di Bet-El (IRe 13), le figlie di
Lot (Gen 19,30.35), il levita di Efraim (Gdc 19).
e) In molti casi, nell'assemblaggio finale dei grandi
cicli compositi, può verificarsi una cessione di scettro, e
questo deriva dall'arte biblica della transizione, che offre
continuità al dipanarsi narrativo. Più volte il lettore può
rilevare una sanzione «divina» che determina il protago-
nista, come accade, ad esempio, per i patriarchi: Dio
parla ad Abramo e non a Terah o a Lot, a Isacco e non a
Ismaele, a Giacobbe e non a Esaù, oppure a Mosè e non
ad Aronne. In 1-2 Samuele il ruolo di protagonista passa
da Samuele a Saul e poi a Davide; spesso la sanzione si
combina con la scomparsa del primo protagonista, come
Mosè che lascia il posto a Giosuè (Gs 1,1), o Elia che
lascia il testimone a Eliseo (2Re 2), per non citare re che
cedono il trono ad altri, come Salomone a Geroboamo e
Roboamo (IRe 11), Ioram e Acazia a leu (2Re 9). Si può
pensare alla trafila inanellata dal narratore dei giudici che
si avvicendano nel libro omonimo, come pure, ma
prevalentemente per linea di sangue, a quella di
Maccabei nei LXX.
B. I comprimari. Sono personaggi che interpretano
il ruolo più importante subito dopo quello del
protagonista. Con quest'ultimo possono condividere, ma
in modo inferiore, la frequenza, non di rado abbinata a
una certa caratterizzazione. Quando il livello di presenza
e di interazione in scena è perspicuo, si parla di co-
protagonisti: Aronne lo è di Mosè in alcuni racconti di
Es-Lv, ma non in Dt, perché Mosè deve stagliarsi nella
sua dimensione di «servo», l'unico che vede faccia a
faccia Dio e che per questo può dare voce a quella di
YHWH come supremo legislatore e instaurare una
simbiosi di autorità tra la Torah e la sua persona
eccezionale (Dt 34,10-11). Sono co-protagoniste le
volitive matriarche Sara, Rebecca e Rachele nei confronti
dei rispettivi patriarchi (Gen 12-35). Balak lo è di
Balaam (Nm 22-24), Gionata lo è sia di suo padre Saul
sia dell'amico Davide (ISam 14; 20). A livello episodico,
abbiamo comprimari come la vedova di Sarepta per Elia
(IRe 17), il gruppetto di ragazzini irridenti, la sunamita e
Naaman per Eliseo (2Re 3-5; 8), tutte cartine al tornasole
spesso fortemente esasperate per comprovare agli occhi
del lettore il carisma dei profeti.
Qualche comprimario assurge al classico ruolo
d'antagonista, che contrasta, apparentemente sullo stesso
piano, il protagonista, ma che, secondo le convenzioni,
inevitabilmente soccombe. Può trattarsi di un antagonista
strutturale, come il faraone nei confronti di Mosè (Es 1-
15), Saul di Davide (ISam 16-30), Acab e Gezabele di
Elia (IRe 17-19; 21), Aman contro Mardocheo nel libro
di Ester, Oloferne contro Giuditta. Oppure può essere un
antagonista episodico, come Aronne e Miriam, Core,
Datan e Abiram nei confronti di Mosè (Nm 12; 16),
Sisara di Barak (Gdc 3), Gaal di Abimelec (Gdc 9,26-
41), Golia di Davide (ISam 17), ecc.
C. I personaggi secondari. Si distinguono dai
principali per il ruolo di cast di supporto del protagonista,
funzione che spesso può essere di «spalla» o di
«sponda», solitamente nevralgica per la posta in gioco.0

0
La definizione supporting cast è di M. SAMUEL, Certain
People of the Book, New York 1955, 94; nel gergo teatrale francese
sono les utilités. «Spalla» designa colui che sostiene il personaggio
principale, ne agevola l'azione e gli offre lo spunto per battute o
gesti; «sponda» indica chi offre una rifrazione indiretta. Sulla loro
funzione spesso decisiva, cf. BOOTH, The Rhetoric of Fiction, 344.
a) Riscuotono meno interesse e spazio nella
trama; nessuno di loro esige un'introduzione particolare;
anzi, molti potrebbero essere teoricamente «eliminabili»
dall'intreccio, senza pregiudicarne l'esito, perché non
conta la loro individualità, ma la loro funzione
squisitamente subordinata all'azione.
b) Nella maggior parte delle evenienze sono
gregari singoiativi, che appaiono e poi scompaiono dal
sipario subito dopo aver espletato la funzione richiesta
dalla necessità drammatica. Non mancano, tuttavia,
eccezioni che si configurano come «ricomparse»; queste,
non di rado, accadono nei punti di volta dell'architettura
del racconto, per sostenere lo sviluppo della trama, come
accade, ad esempio, per Doeg l'Edo- mita (ISam 21,8;
22,9-19), Rispa (2Sam 3,7; 21,10), Achimaaz (2Sam
15,27.36; 17,17s; 18,19-30), per Giezi (2Re 4,8-37; 5;
8,1-6). Un caso a sé, come vedremo, è quello di Mical,
menzionata cinque volte, ma attiva solo in due (ISam
19,11-18; 2Sam 6,14-23; cf. ISam 18,17-28; 25,42-44;
2Sam 3,13.16). Oltre a garantire una continuità tra
episodi, magari unificando tradizioni originariamente
indipendenti, tali gregari anaforici servono a riattizzare
l'interesse del lettore e preparare l'azione.0 Nel caso di
Doeg, si può intuire una minaccia incombente, necessaria
per compiere il massacro di Nob, ma anche l'innesco di
un'intensa suspense per ciò che avverrà. Quanto a Rispa,
Mical e Giezi, prevalgono le esigenze drammatiche di far
risaltare, a tutto tondo, la personalità del protagonista e,
nel caso degli ultimi due, in un un primo tempo fedeli, di
osteggiarlo crititicandolo.
e) La loro caratterizzazione è inerente all'esigenza
della trama; molti di loro sono anonimi, ma non mancano
quelli chiamati per nome, anch'esso talvolta ominoso. Per
comodità euristica, il «punto di Archimede» che potrebbe
autorizzarci a distinguere in quanto accessori i
personaggi secondari da quelli minori è costituito dai
seguenti elementi: lo spazio accordato, l'intensità
dell'azione e in particolare la loro mimesi, in quanto
locutori di discorso diretto, seppur minimo.

0
Altre ricomparse sono quella triplice di Gionata (2Sam
15,27.36; 17,17), oppure duplice di Barzillai (2Sam 17,17-29; 19,32-
40), di Siba e Merib-Baal (2Sam 16,1-8; 19,25-31); di Achior (Gdt
5-6; 14). In proposito, cf. J.-P. SONNET, «Un drame au long cours.
Enjeux de la "lecture continue" dans la Bible hébraïque», in NRT
(2011)133, 395.
È importante rilevare questa distinzione spesso
trascurata da molti autori, che equiparano come sinonimi
«secondario» e «minore», o li conglobano nella categoria
di «funzionari» o «agenti»;0 adottiamo tale distinzione
per evidenziare il differente peso dell'interindividualità
degli attori nel racconto, poiché essi non sono costruiti
semplicemente in modo descrittivo (Gebild), ma come un
evento (<Geschehen) aperto a una reciprocità mirante a
interpellare il protagonista, ma soprattutto il lettore.
Certamente non mancano eccezioni, come per Rispa che
non dice una parola, ma occupa la scena (2Sam 21), così
come nel caso dei sacerdoti di Nob (ISam 22), o dei
nemici di Giuda (IMac 5,1-8), per cui il criterio rimane il
grado di pervasività, calibro e apporto del personaggio.
In ogni caso, non si verifica mai un discorso di Dio
rivolto ad agenti secondari o minori, in quanto esso è
riservato al protagonista e ad alcuni comprimari.
D. I personaggi minori. Si contraddistinguono dai
secondari per la loro laconica diegesi, come pure dalle
comparse per l'esecuzione di un'azione seppure minima,

0
BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical Narrative, 23;
SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 136-137.
finalizzata a far progredire la trama. Nella stragrande
maggioranza dei casi si tratta di personaggi anonimi, ma
non mancano quelli chiamati per nome, una tendenza che
si rafforza nei racconti più tardivi, indizio di un gusto
affabulatorio evoluto;0 la loro eventuale caratterizzazione
risulta sempre funzionale al dinamismo della trama.
Alcuni personaggi fanno progredire l'azione preva-
lentemente rivestendo il ruolo di semplici aiutanti o
esecutori di un ordine,0 altri quello di vettori,0 ma non
mancano, soprattutto nei libri dei Re, anche silenziosi
antagonisti istantanei nel tempo del racconto.0E. Le
comparse/figuranti/astanti. A stento possono essere
definiti personaggi, poiché restano passivi sullo sfondo,
silenziosi e ininfluenti nella risoluzione dell'intreccio.

0
Cf. ad esempio Gen 14,13.24; Gdc 7,10-11; ISam 25,44;
16,34; 2Re 9,25; Est 2,9.21; Dn 1,3.
0
La lista di aiutanti è interminabile; ci limitiamo, ad esempio, a
Gen 18,7; Es 2,7; Gdc 6,27; 17,5; ISam 2,22; 17,41; IRe 1,3; 2Re
3,15. Così pure i racconti pullulano di esecutori: cf., ad esempio, Es
2,5; 32,27; Gdc 9,54; 16,26; 17,4; ISam 9,23; 20,21; 2Sam 1,15;
4,12; 13,17.27.28; IRe 18,23; 20,37; 21,11-13; 2Re 4,19; 9,25.33-35;
10,7.22.25; 12,12; Dn 3,20. Cf. anche Gdt 10,10; 12,13.
0
Cf. ad esempio Gen 12,20; 14,12; 34,26.29; 37,25.36; Nm
25,6; Gdc 3,18; 11,5; ISam 25,40; 2Sam 6,3; IRe 15,18; 2Re 4,20;
5,3; 9,28; 23,30. Cf. anche IMac 3,49; 9,36-37; Gdt 6,11.14;
10,17.20; 12,5.
0
Cf. 2Sam 21,20; 2Re 11,2; 13,7; 15,14.30.
Inscenati collettivamente e anonimamente, corrispondono
alle mutae personae della tragedia greca. Essi fanno parte
della cornice, anziché dell'azione,0 e talvolta fungono da
testimoni0 o da destinatari0 di un evento importante,
mettendo in evidenza l'azione del protagonista, come, ad
esempio, gli israeliti nel passaggio del mare (Es 14,14) o
dinanzi alla strage degli idolatri ordinata da Giosuè (Nm
25,6). Compagni e cortei inscenati per convenzione at-
testano lo status sociale di un personaggio;0 ad esempio,
0
Cf. ad esempio i personaggi-cornice in Gen 38,12b; Rt 2,3;
2Sam 13,23; 2Re 4,8; comparse in 2Sam 11,9.13; IRe 10,4; 2Re
4,3.18; 11,11.14; Est 2,8; assembramenti in ISam 11,8; 17,3; IRe
10,4; astanti in Gen 19,14; Gdc 3,19; 2Sam 13,19; Est 1,3-8; Gdt
10,14; cf. CHATMAN, Story and Discourse, 140; SKA, «I nostri padri
ci hanno raccontato», 137.
0
Cf. ad esempio Gen 31,37; 39,14; 45,1-2; Nm 23,6; Gs 8,35;
Gdc 3,24; 6,28; 9,6; 19,30; Rt 4,2.9-12; ISam 21,8; 2Sam 2,23; 2Re
2,15; 23,1-2; per il topos dei convitati testimoni, cf. ISam 9,22-23;
2Sam 13,23b; Est 1,3-8; Dn 5.
0
Cf. ad esempio Gen 17,23; Nm 22,4; 2Sam 6,19; IRe 19,21;
2Re 23,1-2; Dn 3,3- 7; per il popolo degli israeliti cf., tra le
molteplici ricorrenze, Nm 1; Esd 8. Il libro del Deuteronomio è il
paradigma per antonomasia.
0
per esempi di servi accompagnatori, cf. Gen 14,14-15; 17,23;
22,3.5.19; 24,32.54.59; Nm 22,22; Gdc 6,27; 9,32; 19,3; ISam 25,19;
28,8; IRe 19,3; 2Re 4,24; Gdt 10,10; 12,15; per altre persone, cf.
Gen 21,22.33; 26,26. Per cortei e seguiti, cf. quelli femminili di Gen
24,61; Es 2,5; ISam 25,42; maschili in Gdc 7,1-2; 2Sam 3,20; 15,17-
18; 2Re 5,23; 24,12. Cf. anche IMac 9,39; Gdt 15,12. Per esempi di
comparse nel ruolo di scudieri o attendenti cf. Gdc 7,11; ISam 17,7;
31,4; 2Re 9,24; per fuoriusciti seguaci di un capo, cf. Gdc 9,4; 11,3;
ISam 22,2; 30,9. Cf. anche IMac 3,9; ecc.
le guardie del corpo di Assalonne e Adonia (2Sam 15,1;
IRe 1,5) tradiscono l'ambizione di costoro a diventare re;
i compagni reclusi con Giuseppe pongono in risalto
l'autorità di cui egli gode da parte del capo della prigione
(Gen 39,22-23); l'anonimo servo congedato da Elia
enfatizza la sua solitudine (IRe 19,3); i tremila spettatori
dei giochi di Sansone fanno spiccare la sua ultima strage
in cui morendo uccide più filistei di quanto avesse fatto
prima (Gdc 16,27), mentre Yharem di Salomone attesta la
sua virilità e la sua potenza regale ma, in quanto
straniere, anche la sua scelta idolatrica, che ne motiva la
caduta (IRe 11,3).
F. Il coro. Inteso come personaggio
collettivo, il coro è ibrido perché, tranne qualche
eccezione diegetica (cf. Gdc 11,40; Esd 3,11), è sempre
presentato in modo mimetico, con ovazioni, lamenti e
dissensi. La narrazione biblica non gli accorda la
funzione strutturante che ha nella tragedia greca, dove,
secondo la teoria aristotelica, poteva configurarsi nel
ruolo di protagonista del dramma (come nelle Supplici di
Eschilo), partecipare in un certo qual modo all'azione (si
vedano YAiace e il Filottete di Sofocle) o fungere da
commentatore-testimone più o meno passivo dei fatti.0 Il
coro biblico espleta quest'ultima funzione, reputata da
Hamon ingranante (embrayeur), una funzione che, oltre a
esprimere i sentimenti dell'enunciatore, disegna il posto
del lettore e del narratore nella trama, sanziona un evento
o augurio che il lettore dovrà verificare. 0 In fondo, il coro
è la voce del popolo, in una certa misura la voce del
vulgus stesso sulla scena, che esprime il suo favor o
all'inverso il suo furor a seconda dei casi. Può segnare
una svolta nella trama, come l'elogio di Davide da parte
delle donne, che provoca l'invidia di Saul (ISam 18,7), o
il «manifesto» contro Roboamo, che sancisce lo scisma
del regno da parte degli israeliti ribelli (IRe 11,16). Senza
il ritornello irridente della banda di ragazzi, il lettore non
avrebbe mai saputo della calvizie del profeta Eliseo, né
della sua brutale reazione, che rivendica la sacralità
dell'uomo di Dio, il quale non può essere irriso e la cui
maledizione è efficace (2Re 2,23-25).
0
ARISTOTELE, Poetica 1456a. Cf. B. GENTILI, «Il coro nella
tragedia greca: struttura e funzione», in Dioniso 55(1985), 17-35; A.
LA PENNA, Tersite censurato, Pisa 1991, 37-67.
0
HAMON, «Pour un statut sémiologique du personnage», 122-
124. Per la sanzione dell'evento, cf. Nm 21,17; Rt 1,19; 4,14.17;
ISam 4,20; 10,11.24; 2Sam 5,3; 2Re 2,15; 11,12; IMac 3,50; Gdt
13,17; 15,9. Per l'auspicio cf. Gen 24,50; Rt 4,11.
G. Tralasciamo i nomi citati, che non
possiamo considerare personaggi, giacché il narratore li
menziona ma senza attivarli nella trama, come «esistenti
senza avvenimenti».0 L'elenco sarebbe nutrito ed è
notevole; questo accade segnatamente nel genere
letterario dei cataloghi e delle genealogie, che costellano
in modo peculiare alcune pagine di Genesi, Esodo,
Numeri e Cronache, inserzioni sicuramente tardive il cui
scopo è riallacciare Israele alle radici del proprio passato,
in relazione ad altri popoli vicini, affini ai registri che
scandiscono Esdra e Neemia, per certificare chi
appartiene legittimamente all'Israele del Secondo
Tempio.0
3.3. Il ruolo del «doppio letterario»

0
Cf. CHATMAN, Story and Discourse, 117. Cf. ad esempio Nm
31,8; Gdc 3,7-10; ISam 14,50.51; 25,41; 2Sam 3,3-5; 6,11.14;
20,23.26; 23,8-11.24-39; 24,16; IRe 11,26; ecc.
0
CF. GEN 4,17-26; 5; 10; 11,10.32; 25,1-5; ES 6,14-26; NM 26;
LCR 1-8. CF. ANCHE GEN 10; ES 6; NM 34,16-20; ESD 2; 8; 10; NE
3; 7; 10-12. CF. Y. LEVIN, «UNDERSTANDING BIBLICAL
GENEALOGIES», IN CBRS 9(2001), 11-46; SKA, «LE GENEALOGIE
DELLA GENESI», 89-111; R.R. WILSON, THE GENEALOGY AND
HISTORY IN THE BIBLICAL WORLD, NEW HAVEN, CT 1977; T. HIEKE,
DIE GENEALOGIEN DER GENESIS, FREIBURG 2003.
Un ruolo trasversale, che merita attenzione, è
quello di doppio letterario, comune nella letteratura di
ogni tempo; lo distinguiamo dal doppio psicologico, che
occorre nel medesimo personaggio, come pure da una
ripresa tipologica, in virtù di una contemporaneità
presente nel testo e non di una riforgiatura a distanza nel
tempo.0 Si tratta di un ruolo normalmente espletato da co-
protagonisti, come Noemi in sinergia con Rut, Gezabele
con Acab, Mardocheo con Ester, Zorobabele- Aggeo con
Esdra-Neemia, Lamec con Caino, Roboamo con
Salomone, leu con Zimri, Sara con Tobi. Il lettore
competente può intercettarlo in Beniamino, trasformato
da Giuseppe in un suo pendant per far rivivere la sua
sofferenza ai fratelli (Gen 43), o in Saul, che ricalca
Golia nella sua volontà di uccidere Davide (ISam 17,45;
0
per jj «doppio letterario» si pensi ali 'Elena di Euripide, ad
Amphitruo, Bacchides e Menecmi di Plauto, a Le Chevalier double di
T. Gautier, a II sosia di Dostoevskij, a El Otro di J.-L. Borges.
Diverso è il caso dello sdoppiamento del medesimo individuo in The
Strange Case of Dr. Jekyll e Mr. Hyde di L. Stevenson, de II fu
Mattia Pascal di L. Pirandello, o de II Visconte dimezzato di I.
Calvino. Per una trattazione del doppio in letteratura rinviamo a P.
JOURDE - P. TORTONESE, Visages du double. Un thème littéraire,
Paris 1996; E. FUNARI, La chimera e il buon compagno. Storie e
rappresentazioni del Doppio, Milano 1998; M. FUSILLO, L'altro e lo
stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze 1998; A. RODA, Il tema
del doppio nella letteratura moderna, Bologna 2008.
18,10-11; 19,10). Tale fenomeno, però, non si limita ai
personaggi di alto profilo, ma può verificarsi anche per
personaggi secondari, come accade, ad esempio, nel caso
dell'adullamita amico di Giuda (Gen 38), del
maggiordomo alter ego di Giuseppe (Gen 42-44), o di
Nabal, che appare una duplicazione di Saul (ISam 25). In
modo analogo, forse più raro, si riscontra in personaggi
minori, come nel caso di Maclon e di Chilion, figli
malaticci di Elimelec (Rt 1,2), o di Er e Onan (Gen 38,1-
10), sfruttati nel meccanismo della ripetizione ai fini del
climax narrativo.
3.4. L'interscambio dei ruoli

La classificazione di ruoli finora presentata non


deve essere coartante come un letto di Procuste, ma va
applicata con flessibilità, perché essa dipende dalla
gerarchia instaurata dal racconto concreto. Può accadere,
infatti, che un protagonista strutturale discenda a un ruolo
comprimario, secondario o minore. Ad esempio, Abramo
appare comprimario in Gen 16 e 21, secondario, anche se
destinatore dell'azione, in Gen 24, finanche minore in
Gen 19. Il protagonista strutturale Giacobbe risulta
secondario in Gen 34; lo stesso accade per il protagonista
Davide, che diventa secondario in 2Sam 13,1-22 e
minore in 2Sam 20,14-22; Giosuè è secondario in Es-Dt,
mentre è il protagonista del libro omonimo. Per converso,
un personaggio inizialmente secondario può assurgere al
ruolo di protagonista episodico come Agar (Gen 16; 21) e
Iotam (Gdc 9), o comprimario, come Ietro (Es 18),
Barzillai (2Sam 19,32-40), Recob e Baanà (2Sam 4),
Achitòfel e Cusai (2Sam 16-17), la tekoita (2Sam 14),
Giezi (2Re 5,20-37), Eliakim, Sebna e Ioach (2Re 18,18-
37) e Isaia (2Re 19); oppure può passare da personaggio
minore a secondario, come Eliab (ISam 17,28-30), Doeg
(ISam 22,9-18), l'esercito (ISam 14,45; 2Sam 18,1-5).
Non mancano, infine, personaggi secondari o minori che
ricoprono il ruolo di antagonista, come i cinque
esploratori nei confronti di Mica (Gdc 18), Asael rispetto
ad Abner (2Sam 2,17-23), i re Adad e Razon nei
confronti di Salomone (IRe 11,14-22.23-24), e
ovviamente contendenti in duelli (2Sam 3,18-23; 12,14-
16; 23,20-22).
È indubbio quindi che tra personaggi principali e
secondari vi sia un continuum ma anche un diverso
livello di secondarietà, che dipende dalla scena in cui
compaiono. Non ci sono posti riservati sul proscenio, ma
ogni attore, per usare il titolo di un film di Martin
Scorsese, può essere «re per una notte». Si può essere
protagonisti marginali e marginali protagonisti. La
distinzione va quindi giudiziosamente applicata in base
alla presenza nell'azione. Come osserva S. Bar Efrat,
non sempre è possibile fare una netta e non
equivoca distinzione tra un personaggio primario e uno
secondario. In questo contesto è meglio riferirsi meno a
due categorie completamente differenti che a un conti-
nuum, dato che vi sono distinte disparità a livello di
secondarietà di un carattere sussidiario.0
Gli fa eco A. Wénin, ribadendo il primato del testo
su una rigida griglia tassonomica:
Il materiale narrativo concernente i personaggi
secondari [...] resiste a essere incasellato in comparti
teorici troppo stretti. Così, se non è inutile forgiarsi delle
categorie, si sarà attenti a farlo con flessibilità, non

0
Così BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 86; Cf. anche
CHATMAN, Story and Discourse, 141.
dimenticando mai che è il testo che deve guidare l'esegeta
più che gli strumenti che egli utilizza.0
Tale continuum arricchisce e diversifica la narrativa
biblica rispetto ad altre letterature in cui il protagonismo
è monopolio di pochi attori.

4. Un cast antiepico

Proprio nella democraticità del suo cast, come


avvertiva S. Taylor Coleridge, l'AT si rivela eversore di
codici, generi e tradizioni dell'epica, in una
volgarizzazione che non trascende in volgarità.
4.1. Il genere epico classico e i suoi personaggi
La definizione di genere epico è complessa. 0 Esso
viene solitamente distinto in quello primigenio dei poemi
0
Cf. WÉNIN, «Les personnages secondaires dans la Bible», 353;
DIONNE, «Le point sur les théories de la gestion des personnages»,
41-45.
0
Cf. M.H. ABRAMS, A Glossary of Literary Terms, NewYork
5
1985, 50-53; M. BEL- PONER, Epica antica, Milano 1993, 7-11; cf.
anche P. TOOHEY, Reading Epie. An Introduction to Ancient
Narratives, London-New York 1992. Lasciamo da parte testi epici
indiani come il Mahâbhârata (dal 1500 a.C. al 400 d.C.) e il
Ramayana, o del Guatemala come il Popol Vuh, nonché la più
tardiva epica medievale come quella di Edda, Beowulf, El Cid, la
Chanson de Roland, o rinascimentale e barocca come i poemi di
Ariosto e Tasso.
dell'antico Vicino Oriente e di Omero, nella sua variegata
forma di transizione ellenistica, e in quello secondario di
Virgilio e dei suoi epigoni, come Lucano e Stazio.
Così si distingue l'epica mitologica da quella
didattica (cf. Le opere e i giorni di Esiodo, VII secolo
a.C.), da quella in miniatura (gli epilli della scuola
alessandrina del III secolo a.C.), da quella cronologica
(gli Annales del romano Ennio, III-II secolo a.C.) e da
quella comica come le Metamorfosi di Ovidio (43 a.C.-
18 d.C.), tanto per citare i nomi più rappresentativi. Se
compulsiamo questi testi epici, i protagonisti sono
esclusivamente dèi o eroi appartenenti ai ceti aristocratici
e le tematiche principali sono le loro prodezze guerresche
e poi amorose, avulse da deprecabili interessi plebei e
socio-economici di vita ordinaria. La forma espressiva è
squisitamente poetica, non prosastica. Le grandi epopee
mesopotamiche, come Gilgamesh (II millennio a.C., con
stesura finale circa alla fine del VII secolo a.C.),
Atra(m)hasis (fine XVII secolo a.C.), il poema medio-
assiro di Tukulti-Ninurta (fine XIII secolo a.C.),0
0
per YEnuma Elish, cf. S.N. KRAMER - J. BOTTERO, Lorsque les
dieux faisaient l'homme, Paris 1989, 640-773; L. CAGNI, L'epopea di
Erra (Studi Semitici), Roma 1969; W.G. LAMBERT - A.R. MILLARD,
YEnuma Elish (XII secolo a.C.) ed Erra (o /rra, IX secolo
a.C.) decantano un mondo mitologico e inaccessibile ai
comuni mortali, in una costante prospettiva dall'alto.0
Anche epopee meno elaborate, come quelle ugaritiche,
comunemente datate al XIV secolo a.C., quali il Ciclo di
Baal, le Nozze della Luna, i Refa'im, vertono su
teomachie e i protagonisti umani di Danel e Aqhat, o di
Keret, reiteratamente designati con l'epiteto di «eroi»
(gzr), tradiscono tratti divini e regali;0 i cosiddetti poemi
di Rapiuma celebrano trapassati, fatti assurgere a un
Atra-hasis; The Babilonian Story of the Flood, Oxford 1969; G.
PETTINATO, La saga di Gilgamesh, Milano 1992; per Tukulti-
Ninurta, cf. T. JA- COBSEN, The Harps That Once..., New Haven, CT
1987, 234-237.
0
Cf. KRAMER - BOTTERO, Lorsque les dieux faisaient l'homme,
639; per lo stile e il mondo dell'epica mesopotamica in generale cf.,
fra altri, M.P. STRECK, Die Bildersprache der akkadischen Epik
(AOAT 264), Miinster 1999.
0
Per i testi dell'epica ugaritica, cf. A. CAQUOT - M. SZNYCER -
A. HERDNER, Textes Ougaritiques, 1: Mythes et Légendes (LAPO 7),
Paris 1974; S.B. PARKER (a cura di), Uga- ritic Narrative Poetry
(Writings from the Ancient World 9), Atlanta, GA 1997. Va segna-
lato che non tutti sono d'accordo nell'annoverarli nel genere epico; in
proposito, si veda C. CONROY, «Hebrew Epic: Historical Notes and
Criticai Reflections», in Bib 61(1980), 23- 24. Per i poemi sui
Rapiuma (KTU 1.20-22), cf. P. MERLO - P. XELLA, «Da Erwin
Rohde ai Rapiuma ugaritici: antecedenti vicino-orientali degli eroi
greci», in S. RIBICHINI - M. ROCCHI - P. XELLA (a cura di), La
questione delle influenze vicino-orientali sulla religione greca. Stato
degli studi e prospettive di ricerca. Atti del Colloquio internazionale,
Roma 20-22 maggio 1999, Roma 2001, 281-291.
rango semidivino, in un'ambientazione esclusivamente
palatina. Così pure accade nel poema ittita di Illulyanka
(XII secolo a.C.)0 e in quelli egiziani, quali, ad esempio,
la Contesa di Horus e Set (seconda metà del II millennio
a.C.), la Storia di Sinuhe (circa 1950 a.C.),0 Aphophis e
Seqnen-Ra (circa 1230 a.C.),0 o la stele della vittoria del
re Piye (circa 734 a.C.),0 dove, diversamente dalle
letterature precedenti, il metro poetico si frammischia a
uno stile prosastico.0 L'epica omerica (Vili secolo a.C.)
celebra con il solenne esametro le gesta e le prodezze
degli eroi (//. IX, 189.524; Od. Vili, 73).0 Non mancano
0
Per il testo, cf. J.V. GARCÌA TRABAZO, Textos religiosos
hititas: mitos, plegarias y rituales, Madrid 2002, 83-103.
0
Cf. M. LICHTHEIM, Ancient Egyptian Literature, II, Berkeley,
CA 1980, 222-223; BRESCIANI, Letteratura e poesia dell'antico
Egitto, 162-176.
0
Cf. BRESCIANI, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, 363-
375; 399-401.
0
Chiamato altresì Pi (o Piankhy). Cf. N.C. GRIMAL, La stéle
triomphale de Pi['ankh] y au Musée du Caire Je 48862 et 47086-
47089, Le Caire 1981, 71; LICHTHEIM, Ancient Egyptian Literature,
II, 72-73; BRESCIANI, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, 515-
529.
0
Cf. M. LICHTHEIM, Ancient Egyptian Literature, I, Berkeley,
CA 1975, 9-11.
0
AUERBACH, Mimesis, 28: «Nei poemi omerici dal basso non
giunge nulla. Gli avvenimenti alti e grandi si realizzano molto più
esclusivamente tra i membri dell'aristocrazia». Per l'ideale di eroe cf.
G. NAGY, The Best of the Acheans. Concepts of the Hero in Archaic
Greek Poetry, Baltimore, MD 1979.
schiavi o servi, come il porcaio Eumeo {Od. XVI, 490-
495), che però è un nobile decaduto; i personaggi
subalterni riflettono la personalità dei loro signori, gli
unici ad avere vita e richiamare interesse, i quali, come
rileva E. Auerbach, non si preoccupano affatto della sorte
del popolo.
Aristotele, nel codificare in base ai poemi omerici
la distinzione tra «stile sublime» {semne, lamprà lexis) e
«stile umile» {tapeiné lexis), riservava il primo ai generi
seri ed elevati dell'epica e della tragedia imperniati su
eccezionali eroi nobili, mentre il secondo a quelli bassi e
ridanciani della commedia, della satira, della parodia e
dell'idillio, vertenti su personaggi spregevoli, come il
popolino, gli schiavi, i contadini, i mercanti, le prostitute
e gli artigiani.0 Lo stile sublime doveva avere quelle che
Cicerone nel suo Orator codificherà in quattro virtù
basilari: la purezza dell'eloquio, la chiarezza (saféneia), il
decoro (prépon) e l'elaborazione (kataskeuè).0 In seguito,
0
ARISTOTELE, Poetica 1448a-b; si vedano pure 1454a-b e
1458a. L'aristotelico Teo- frasto, nella sua Retorica, ravvisava oltre
allo stile «sublime», corrispondente a quello asiano, e quello umile,
corrispondente a quello attico, anche quello medio, corrispondente al
rodio.
0
CICERONE, ORATOR 75; CF. PURE QUINTILIANO, INSTITUTIONES
ORATORIAE XII, 10-18.
l'epica ellenistica perseguirà l'emulazione omerica
nell'encomio degli eroi antichi, ma soprattutto dei nuovi
sovrani fondatori di città, di templi e nazioni,
sviluppando maggiormente le imprese amorose.
Va però registrata una certa de-epicizzazione,
soprattutto nella poesia alessandrina fiorita a partire dal II
secolo a.C., che depaupera le figure eroiche delle loro
connotazioni quasi ieratiche per umanizzarle in una
quotidianità «borghese».0 Accanto a tale de-
epicizzazione, permangono i canoni aristotelici che
saranno ribaditi intorno al I secolo d.C. dal trattato Sul
sublime attribuito a Dionisio Longino,0 consacrato allo
stile elevato, che sancisce l'eliminazione di ogni trivialità
dall'eloquio e vieta la messa in scena di attori di basso
rango.0
0
Si veda l'opera classica di riferimento di K. ZIEGLER, Das
hellenistische Epos, Leipzig 1934.
0
L'attribuzione è discussa e si parla di Anonimo; per l'edizione
critica del trattato, seguiamo PSEUDO-LONGINO, Del sublime (a cura
di F. DONADI), Milano 1991. Sull'opera esistono varie monografìe:
cf. L. Russo (a cura di), Da Longino a Longino. I luoghi del sublime,
Palermo 1987; E. MATTIOLI, Interpretazioni dello Pseudo-Longino,
Modena 1988.
0
Del sublime XLIII, 1-4; XLIV, 1-12. Cf. anche Vili, 1.
Longino rimprovera al genio declinante di Omero la descrizione
nell'Odissea di dettagli banali, mentre al contrario predilige YIliade
per il suo alto e costante profilo drammatico (IX, 11-15). In merito,
Nel romanzo ellenistico o nelle contigue novelle e
nella letteratura di viaggi, che i critici antichi
consideravano generi inferiori e destinati a un pubblico
popolare, vanno registrati significativi mutamenti: una
maggiore tematizzazione dell'eros su cui l'epica arcaica
era reticente; una crescente propensione all'introspezione
psicologica, come si verifica nei romanzi di Longo, di
Achille Tazio e di Eliodoro, attenti alle zone d'ombra e
alle ambiguità dei personaggi; la messa in scena di perso-
naggi ex machina0 che spariscono dopo la loro
performance, tecnica teatrale tipica di Eliodoro. Più
saliente, però, è la crescente pletora di attori secondari e
minori che talvolta intralcia il flusso narrativo, come in
Senofonte Efesio. Trovano altresì sempre più spazio
attrici femminili, che di solito fanno la figura migliore, e
affiorano tratti antieroici o ironicamente demitizzati,
come sono riscontrabili in Teocrito.

si ricordi ORAZIO, Ars poetica V, 359: «Talvolta si appisola anche il


buon Omero» (IQuando- que bonus dormitat Homerus).
0
L'espressione indica l'aiuto inaspettato di un dio fatto calare
sulla scena mediante un paranco per risolvere situazioni disperate e
deriva da una traduzione di Marsilio Ficino (veluti e machina tragica
deus) di un passo del trattato pseudo-platonico Clitofon- te 407A. Per
l'uso metaforico, si veda già PLATONE, Cratilo 425D; cf. E. ADRIANI,
Storia del teatro antico, Roma 2005, 74-80.
Nell'ambito della tragedia, va notata la rivoluzione
di Euripide (V secolo a.C.) il quale, pur non rinunciando
a inserzioni mitologiche e a uno stile elevato, mette in
luce le labilità etico-psicologiche e la quotidianità banale
dei suoi protagonisti. Euripide è il primo a inscenare
figure marginali nel mondo del racconto ispirate al buon
senso, come, ad esempio, la nutrice di Fedra (Ippolito,
176-525), i servi di Agamennone (Ecuba, 488-491;
Elettra, 487-683), quello frigio cui è affidata una lunga
monodia (Oreste, 1369ss), o il contadino Auturgo, dato
in sposo a Elettra, che rivela nobile saggezza nel
rispettarla e nel proteggere Oreste (Elettra, 34-53; 341-
431).
4.2. Il crepuscolo degli dèi e degli eroi
La narrazione biblica ignora una distinzione di stili
e un'eugenetica di classi, optando per un lessico
prosastico, omogeneo e umile, ovviamente con qualche
eccezione (come in brani di Giosuè o di Ester). Se l'epoca
post-esilica, con la fine della monarchia e il crollo di
alcune strutture sociali, fu un'epoca di profondo
cambiamento, questa ebbe il suo influsso e riflesso anche
sulla lingua dei testi biblici, non solo narrativi. A. Sàenz-
Badillos, pur riconoscendo l'evidente differenza di lingua
e di stile tra i vari libri, epitoma così le sue conclusioni:
Negli scritti posteriori [...] si tentò dapprima di
imitare le opere pre- esiliche, riprendendone le formule e
il lessico. Una certa misura di modernizzazione era
nondimeno inevitabile. È del tutto palese l'incidenza della
lingua colloquiale.0
I narratori biblici non si preoccupano delle tre
virtutes di purezza, chiarezza e decoro, tradendo tuttavia
un'elaborazione non ingenua. Sempre Auerbach, nel
saggio Fortunata, nota la scelta (anche se tratta del NT)
di un realismo ante litteram dei personaggi, maggiore di
quello ristretto di Petronio e di Tacito, la cui prospettiva
resta sempre dall'alto, senza problematizzazione o
tragicità, ma rappresentabile solo comicamente:
Leggendo il termine realismo in un'accezione più
precisa, si deve dire che allora non furono considerati
seriamente nella letteratura le professioni e le condizioni
ordinarie - mercanti, artigiani, contadini, schiavi -, la
scena di ogni giorno - casa, officina, bottega, campo -, la

0
A. SÀENZ-BADILLOS, Storia della lingua ebraica (Introduzione alla
storia della Bibbia, Supplementi 34), Brescia 2007, 96.
vita solita - famiglia, lavoro, pranzo, cena -, in breve il
popolo e la sua vita. A tutto ciò si connette il fatto che nel
realismo antico non vengono messe in luce le forze
sociali che in quel tempo stavano alla base dei rapporti
descritti.0
La raffigurazione dei personaggi biblici collima
con il gusto popolare e ognuno può riconoscersi in loro
senza lasciarsi intimidire da un mondo più grande di lui;
tale immedesimazione rientra in quella che è stata
definita la «natura polemica» della Bibbia. 0 Mentre
l'epica classica non presenta una storia sociale o una
Geistesgeschichte, ma istituzioni che permangono
immutabili e impermeabili ad ogni ironia, il Primo
Testamento mette a nudo i guazzabugli della storia e
delle vicende umane, senza lesinare ironia, humour,
sarcasmo e satira.0I tentativi tutt'ora attuali di annoverare
0
AUERBACH, Mimesis, 38; cf. anche p. 40.
0
Cf. S.A. GELLER, Sacred Enigmas: Literary Religion in the
Hebrew Bible, London 1966, 4, per cui «la letteratura biblica è una
fede di minoranza, una protesta e, come tale, essenzialmente
polemica».
0
Cf. E.M. GOOD, Irony in the Old Testament, Sheffield 21981;
L.R. KLEIN, The Triumph of Irony in the Book of Judges (JSOT.S 68),
Sheffield 1988; Y. RADDAY - A. BRENNER, On Humour and the Comic
in the Hebrew Bible, Sheffield 1990; J.C. EXUM - J. WHEEDBEE, On
Humour and the Comic in the Hebrew Bible (JSOT.S 92), Sheffield
i protagonisti biblici nel gotha degli eroi epici0 cozzano
con le caratteristiche del genere, come evidenziato da
diversi autori.0 L'ideale dell'eroe omerico codificato nel
dialogo tra Sarpedone e Glauco (II. XII, 310-318) non
viene affatto rispecchiato dalle principali figure bibliche;
sintomatica al riguardo è la distinzione di E. Auerbach tra

1993; WEISMAN, Political Satire in the Bible.


0
Cf. HERDER, Vom Geist der Hebraischen Poesie, 229-235;
W.M.L. DE WETTE, Lehrbuch der historisch-kritischen Einleitung in
die kanonischen und apokryphischen Biicher desAlten Testament,
Berlin 71852, 171-172; U. CASSUTO, «The Israelite Epic», in ID.,
Biblical and Oriental Studies, 2: Bible and Ancient Oriental Texts,
Jerusalem 1975, 69-109; F.M. CROSS, Canaanite Myth and Hebrew
Epic: Essays in the History of the Religion of Israel, Cambridge, MA
1973; ID., «The Epic Tradition of Early Israel: Epic Narrative and
the Reconstruction of Early Israelite Institutions», in R.E. FRIEDMAN
(a cura di), The Poet and the Historian: Essays in Literary and
Historical Biblical Criticism (HSS 26) Chico, CA 1983, 13-39; ID.,
From Epic to Canon. History and Literature in Ancient Israel,
Baltimore, MD 1998.
0129
Così S. TALMON, «The "comparative method" in Biblical
Interpretation. Principles and Problems», in W. ZIMMERLI (a cura
di), Congress Volume. Góttingen 1977 (VT.S 29), Leiden 1978, 320-
356; ID., «Did There Exist a Biblical National Epic?», 41-61;
CONROY, «Hebrew Epic: Historical Notes and Critical Reflections»,
1-30; R. ALTER, «Sacred History and Prose Fiction», in R.E.
FRIEDMAN (a cura di), The Creation of Sacred Literature:
Composition and Redaction of the Biblical Text, Berkeley, CA 1981,
7-24; ID., The Art of Biblical Narrative, 23-46; FOKKELMAN,
Reading Biblical Narrative, 172; J.-L. SKA, «Il cantico di Mosè (Es
15,1-21) e la regalità del Dio d'Israele. Riflessione sulla poetica
ebraica», in G. BORTONE (a cura di), Il Bello della Bibbia, visione
poliedrica del «Bello Ideale», L'Aquila 2005, 3-34.
«eroi (Helden) omerici» e «le grandi figure (Figuren)
dell'Ai».0 Alcuni autori più recenti propongono
un'accezione di eroi e di epica biblici in senso lato; ad
esempio, F.M. Cross, respingendo il concetto di epica
biblica orientata in senso mitologico ricostruita da U.
Cassuto in base ai Salmi, intende gli eroi a metà strada
tra storia e mitologia come campioni di un'età normativa
e gloriosa, intercettabile nei magnalia Dei descritti dalla
prosa del Pentateuco.0 R. Hendel, invece sulla scia di
canoni ellenistici, definisce eroe una figura significativa e
fondante nella storia di un popolo:
«Eroe» (heròs) nell'antica Grecia si riferisce a una
figura espressiva per le sue potenti o estreme qualità
esibite nell'epica, ma anche per l'identità dell'eroe come
fondatore di città e di luoghi di culto, come antenato di
0
Cf. AUERBACH, Mimesis, 22.
0
La posizione di CASSUTO, «The Israelite Epic», 70-101, è
menzionata da CROSS, From Epic to Canon, 28. Per la concezione
epica di quest'ultimo, cf. CROSS, «The Epic Tradition of Early
Israel», 19; ID., Canaanite Myth and Hebrew Epic, IX, dove l'idea
del Pentateuco come «un'elaborazione barocca di queste fonti
epiche» sembra derivare dalla nozione di epica di M. NOTH,
Uberlieferungsgeschichte des Pentateuch, Stuttgart 1948.
L'accezione di epica di Cross è ancora difesa da R.S. KAWASHIMA,
Biblical Narrative and the Death of Rhapsode, Bloomington, IN
2004, 7. Sulla sua scia si allinea anche G. MOBLEY, Empty Men. The
Heroic Tradition of Ancient Israel, New York, NY 2005.
numerosi lignaggi familiari e come figura implicata in un
culto religioso. Gli eroi israeliti non erano direttamente
adorati nel culto, pertanto si riscontra una differenza
importante; ma il senso generale di eroe, come uno che
ha formato realtà politiche e religiose che reggono il
mondo presente, è un fondamento comune significativo.0
La definizione di Cross è troppo ampia perché sia
applicabile ad altri generi come la leggenda, l'apologo, il
mito, la cronaca, il romanzo; continua, tuttavia, ad avere i
suoi estimatori. Quanto a Hendel, basti pensare che è
arduo dirimere la questione se a fondare Israele siano
stati i patriarchi, Mosè, o non piuttosto YHWH; come
vedremo, però, è soprattutto la glorificazione di
personaggi a non avere riscontri nei testi. L'AT elimina
altre divinità e figure mitologiche semidivine, in virtù di
un monoteismo impostosi nella stesura finale della

0
Così R. HENDEL, The Epic of the Patriarch (HSM 42),
Atlanta, GA 1987, 99. Per un altro autore che adotta la definizione di
epica in senso lato, cf. anche C. LEVIN, «Das Isra- elitische
Nationalepos: der Jahwist», in M. HOSE (a cura di), Grofie Texte
alter Kulturen. Literarische Reise von Gizeh nach Rom
(Wissenschaftliche Buchgesellschaft), Darmstad 2004, 63-85.
Bibbia,0 per affermare l'unica signoria sul mondo di
YHWH.
Se nell'epica greco-romana, in particolare
ellenistica, c'è il Caso (Tyké) che contempla un destino
già determinato per gli eroi e al quale gli stessi dèi
devono obbedire, nella Bibbia i personaggi, uomini e
donne, godono di una libertà di scelta. 0 Indubbiamente, in
diversi passi dell'AT, sia narrativi che poetici, affiorano
indizi o lacerti di tradizioni mitologiche che, però,
risultano artatamente, se non polemicamente,
ridimensionate.0 Esempi vistosi sono il passo sui «figli di
0
Rinviamo a 0. KEEL (a cura di), Monotheismus im Alteri
Israel und seiner Umwelt (BB NF 14), Freiburg 1980; R. ALBERTZ,
Religionsgeschichte Israels in alttestamentli- cher Zeit 1-2 (ATD.
Erg. 8/2), Góttingen 1992; J.C. DE MOOR, The Rise ofYahwism: The
Roots of Israelite Monotheism (BEThL 91), Leuven 1997; R.K.
GNUSE, NO Other Gods: Emergent Monotheism in Israel (JSOT.S
241), Sheffield 1997; M.S. SMITH, The Early History of God. Yahweh
and the Other Deities in Ancient Israel, Grand Rapids, MI 2002; B.
LANG, The Hebrew God: Portrait of Ancient Deity, New Haven, CT
2002.
0
Si veda in proposito J.C. NOHRBERG, «Princely Characters»,
in J.P. ROSENBLATT- J.C. SITTERSON JR (a cura di), "Not in Heaven".
Coherence and Complexity in Biblical Narrative, Bloomington, IN
1991, 60.
0
Cf., tra altri, B.S. CHILDS, Myth and Reality in the Old
Testament (SBT 27), London I960; A. OHLER, Mythologische
Elemente imAlten Testament, Dusseldorf I960; J. ROGERSON, Myth
in Old Testament Interpretation, Berlin 1974; W. BELTZ, Gott und
die Gótter: Biblische Mythologie, Berlin 1990; J. HUGUES, Secret of
Dio» (Gen 6,1-4) che demitizza e condanna all'anonimato
gli eroi d'antan, i quali dovevano essere famosi per
l'uditorio come pure frequenti nelle varie correnti
dell'apocalittica giudaica;0 si pensi all'accenno al
leggendario Nimrod (Gen 10,8-10), ridotto a un pretesto
per spiegare un proverbio.0

Times. Myth and History in Biblical Chronology (JSOT.S 66),


Sheffield 1990; J.J. RABINOWITZ, The Faces of God. Canaanite
Mythology as Hebrew Theology, Woodstock, CT 1998; A. WÉNIN,
«La mythique et l'histoire dans le Premier Testament», in M.
HERMANS - P. SAUVAGE, Bible et histoire: Écriture interprétation et
action dans le temps, Bruxelles 2000, 31-56.
0136
Cf. D. FAIVRE, Mythes de la Genèse, genèse des mythes, Paris
2007, 166-169; cf. D.J.A. CLINES, «The Significance of "Sons of
God" Episode (Gen 6,1-4) in the Context of the Primaeval History
(Gen 1-11)», in JOST 13(1979), 33-46; C. LEMARDELÉ, «Une
gigantomachie dans la Genèse? Géants et héros dans les texts
bibliques compilés», in Revue de l'Histoire des religions (2010)2,
155-164. Per M. DELCOR («Il mito della caduta degli angeli e
l'origine dei giganti nella apocalittica giudaica. Storia della
tradizione», in ID., Studi sull'apocalittica [StBib 77], Brescia 1987,
130) e G. BORGONOVO («La "donna" e le "donne" di Gen 6,1-4», in
G.L. PRATO [a cura di], Miti di origine, miti di caduta e presenza del
femminino nella loro evoluzione interpretativa, XXXII Settimana
biblica nazionale, Roma 1992 [RSB 1-2], Bologna 1994, 95-99),
l'autore di Gen 6 ha disintegrato il mito cananeo. La scarna menzione
dell'AT è in stridente contrasto con la lunga descrizione offerta da 1
Enoc 6-11 e Giubilei 5,1; per P. SACCHI (L'apocalittica giudaica e la
sua storia, Brescia 1990, 90-95; 156-158) il brano è posteriore al
passo enochico e lo riassume demitizzandolo, in polemica con un
tentativo interno allo stesso medio giudaismo, di rimitologizzazione
da parte di correnti apocalittiche.
0
Per GUNKEL, Genesis, 89, dietro il Nimrod del v. 8 c'è la
figura di Gilgamesh, ma il v. 9 ne ha eliminato tutta la tradizione
Un aspetto innovativo, non sempre percepito, è il
fatto che, diversamente dagli dèi di altre letterature
soprattutto egiziane e mesopota- miche, il Dio dell'AT
parla un linguaggio comprensibile, rivolto a tutti, non
criptico e mediato da specialisti, in modo privilegiato per
i sovrani. Come la letteratura popolare, la Bibbia usa un
linguaggio mitico di interventi divini, sogni, oracoli,
fenomeni soprannaturali, nei quali Dio entra in scena e
interpella i protagonisti in frangenti decisivi.0 Le
fondazioni di città, ben note per una fama imperitura (Sir
40,19), si limitano a rare citazioni,0 mentre la costruzione
del tempio da parte di Mosè, Salomone ed Esdra-Neemia
ha accenti più liturgici che epici. In generale, potremmo
asserire che l'AT preferisce cogliere nel quotidiano i
segni del mito. Nell'AT è palese l'idiosincrasia per la
descrizione di battaglie e di campagne militari; i trionfi

mitica; per G. VON RAD (Das erste Buch Mose. Genesis [ATD 2-4],
Gòttingen 91972, 111) la sua collocazione nella lista dei popoli di
Gen 10 è una rottura radicale con il mito. Per una rassegna delle
varie figure epiche soggiacenti a quella di Nimrod, cf. P.
MACHINIST, «Nimrod», in ABD, IV, 1117.
0
Cf. SCHOLES - KELLOGG, The Nature of Narrative, 175-177;
cf. ad esempio Gen 12,1-3; 15; 28; Es 3,1-4,17; IRe 19; per eventi
soprannaturali cf. Gen 6-9; Es 14; Gs 10,11-14; ecc.
0
per re israeliti fondatori cf. Salomone (IRe 9,17-18), Omri (IRe
16,24); per altri esempi cf. Gen 4,17; 10,11-12; IRe 16,34; Zc 4,9.
risultano ridotti al minimo e vengono attribuiti come
causa prima a YHWH.0 Di primo acchito, la figura di
Giosuè potrebbe evocare tratti epici, data la sua guerra di
conquista incontrastata (a eccezione di Gs 7), ma in realtà
occupa solo due capitoli (Gs 10 e 11) e resta incompleta,
senza lo sviluppo e l'enfasi delle iscrizioni delle
campagne dei re assiri, perché i temi principali sono
piuttosto la fedeltà a Dio e la distribuzione del Paese. 0
Nessuno dei giudici è citato nell'elogio degli uomini
illustri di Sir 46,11-15, mentre durante la monarchia le
figure di spicco non sono i re ma i profeti, che
determinano il successo o il fallimento e prendono le
decisioni più

0
Cf. le esplicite asserzioni in Gen 14,20; Es 14,31; Nm
21,3.33; Gs 6,2; 8; 10,14; 11,6; Gdc 5; 6,36; 7,2.14; 8,7; 9,56; 11,32;
16,28; ISam 11,13; 14,12; 17,34; 18,14; 30,23; 2Sam 5,4; 8,6.13; 22;
IRe 10,13.28; 2Re 6,28; 7,5. Cf. J.L. WRIGHT, «Military Valor and
Kingship: A Book Oriented Approach to the Study of Major War
Theme», in B.E. KELLE - F. RITCHEL AMES (a cura di), Writing and
Reading War, Rhetoric Gender and Ethics in Biblical and Modern
Contexts, Atlanta, GA 2008, 33-56; K.L. YOUNGER, Ancient
Conquest Accounts: A Study in Ancient Near Eastern and Biblical
History Writing (JSOT.S 98), Sheffield 1990.
0
J.-L. SICRE DÌAZ, Josué, Estella 2002, 22, parla al riguardo di
una «sobrietà che la distingue dall'epopea»; K.L. YOUNGER, «The
Rhetorical Structure of the Joshua Conquest Narrative», in R.S. HESS
- G.A. KLINGBEIL - P. RAY JR., Critical Issues in Early Israelite
History, Winona Lake, IN 2008, 3-32.
sagge.0
Soltanto nei LXX si registra un'attenzione alla
polemologia; si pensi a Gdt 2 e a 1-2 Mac, che, pur
diversi, si spiegano entrambi a causa di un uditorio
ellenistico e servono a ridimensionare l'imponente
macchina da guerra nemica che verrà sbaragliata. 0 Di
fatto prevale un sarcasmo antiepico: la bellezza di
Giuditta è più forte della forza dei titani (16,6) e la
vittoria è stata realizzata dal Signore. In IMac si
condanna la smania di eroismo degli israeliti (5,61.67) e
si citano iperbolicamente gli eroismi di Giuda (9,22), ma
anch'egli attribuisce esclusivamente la vittoria al Signore
(cf. 10,38; 11,13; 13,15; 15,21; ecc.).
La mimesi dei protagonisti biblici non mira al loro
encomio, ma ne svela i fallimenti e le bassezze. Siamo
distanti dall'eroe «bello e buono» celebrato nel mito e dai
moniti di Platone che ravvisava nella mimesi di azioni
ordinarie o turpi i fomiti di un'empatia perniciosa per il

0
Cf. ad esempio IRe 1,11.29-39; 13,1-10; 14,1-18; 18,17-18;
20,13.22.38-43; 22; 2Re 1; 13,14-19, come già ISam 9,16; 10,24;
15,27; 16,1-14.
0
Per la polemologia dei due libri, cf. M.L. BASLEZ,
«Polémologie et histoire dans le livre de Judith», in RB 111(2004),
362-376.
suo ideale di repubblica; schiavi e schiave non devono
essere imitati, tantomeno meschini artigiani.0 La stessa
democraticità e l'assenza di valenze eroiche suscitarono il
giudizio di Aristotele, secondo il quale Sofocle
«rappresenta gli uomini come dovrebbero essere, mentre
Euripide li inscena come sono», e la riprensione di
Aristofane (V secolo a.C.), che li temeva quale attentato
alle gerarchie ateniesi.0 Va ricordato l'imbarazzo di vari
padri della Chiesa, affascinati più dalle «acque di
Castalia che dell'umile Giordano», non solo dinanzi alla
rozzezza dello stile biblico, ma anche alla perturbante
non esemplarità di molti protagonisti.0

0
Cf. PLATONE, Repubblica III, 395C; PLUTARCO, Solone 29,6;
M. STERNBERG, «Proteus in Quotation-Land. Mimesis and the Forms
of Reported Discourse», in Poetics Today (1982)3, 113-119. Per
l'ideale dell'eroe «bello e buono», rinviamo a F. BOURRIOT, Kalòs-
kagathós-kalokagathìa: d'un terme de propagande de sophistes à
une notion sociale et philosophique. Étude d'histoire, Hildesheim
1995.
0
Cf. ARISTOTELE, Poetica 1460b, 33-34; ARISTOFANE, Rane
959.1487.
0
Cf. GUNKEL, Genesis, XXVII. SKA, «Il cantico di Mosè (Es
15,1-21) e la regalità del Dio d'Israele», 19-20, cita
emblematicamente AGOSTINO, Confessioni III, 5,9; VII, 13-X, 18;
De doctrina Christiana 4,18,37. Cf. anche GIROLAMO, Ep. 22.
L'imbarazzo e il disdegno per il sermo rusticus della Bibbia
continuarono nel primo medioevo; cf. P. RICHÉ, Educazione e
cultura nell'Occidente barbarico dal VI all'VIII secolo, Roma 1966,
76-85 e 204-229.
Se l'epica arcaica riservava il comico e lo
spregevole esclusivamente agli antagonisti dei propri eroi
(si pensi, ad esempio, al mostruoso Polifemo che rutta
vino, al deforme e ingiurioso Tersite, a traditori come
Dolone), i narratori biblici non si limitano a emularli
nella satira di stranieri (cf. Nm 22,25-35; Gdc 3,17; Dn
4,30), ma li estendono ai loro campioni. Longino avrebbe
ritenuto triviale la scena di Saul colto a soddisfare i
propri bisogni (ISam 24,4),0 o un'arma come la mascella
d'asino con cui Sansone massacra i filistei (Gdc 15,15-
17). In un confronto con paralleli omerici, risultano
parodistici Saul che, parimenti a Diomede, sovrasta tutti
dalla spalla in su (II. Ili, 227), ma ciò gli impedisce di
nascondersi pavidamente tra i bagagli nel momento in cui
viene designato re (ISam 10,22), oppure Davide,
impacciato nell'indossare la possente armatura di Saul
(ISam 17,38-39), a differenza di Paride, che si trova a suo
agio nel fregiarsi delle «belle armi» di Licaone (II. Ili,
328-333). In tal modo il narratore ridicolizza agli occhi
del lettore la panoplia per antonomasia del campione

0
Cf. Del sublime IX, 5; cf. G. HEPNER, «Scatology in the
Bible», in SJOT 18(2004), 278-295.
epico.0 L'oltraggio di Simei al re Davide sarebbe
impensabile nei poemi omerici, dove «non si offendono i
re» (//. II, 246).
Infamanti appaiono i natali di alcuni condottieri
(Gdc 8,31-11,1; IRe 12,24 LXX) e l'insignificanza delle
tribù di origine (Gdc 6,15; ISam 9,21; 15,17; ISam
18,18.24; 2Sam 7,18). Lo stesso Davide è scelto da un
mestiere umile come quello di pastore. Obbrobriose sono
le morti di Saul, esposto senza sepoltura (ISam 31,9-13),
o di Acab, il cui sangue è leccato dai cani nella piscina
dove si lavavano le prostitute (IRe 22,38), oppure di
Giosia, che muore al primo scontro (2Re 23,29). Spesso
la caratterizzazione dei protagonisti più memorabili
contraddice il decoro e la grandezza d'animo auspicati da
Aristotele e Longino. Le astuzie di Abramo e di
Giacobbe non hanno risvolti cosmici o guerreschi come
la sapienza di Atrahasis o la mètis di Odisseo; Abramo è
pusillanime nello svendere Sarai (Gen 12,11-13; 20; cf.

0
Così G. BRESSAN, Samuele, Torino 1954, 287-288; Y. YADIN,
«Goliath's Armor and Israelite Collective Memory», in VT 54(2004),
373-395. Per l'opinione contraria, che non condividiamo, cf. S.
ISSER, The Sword of Goliath: Davide in Heroic Literature (SBL 6),
Atlanta, GA-Leiden 2003; H. JASON, «The Story of David and
Goliath: a Folk Epic?», in Bib 60(1979), 35-70.
Gen 26,7); Giacobbe rientra nel tipo popolare
dell'«ingannatore ingannato», opportunista privo di
scrupoli (Gen 25,19-34; 27,1-40), pauroso della vendetta
di Esaù (Gen 32,1-22) fino a essere a sua volta beffato
(Gen 29,25-30; Gen 34,30; 37,32-35).
Contrariamente a interpretazioni passate e recenti,
Mosè si sottrae ai canoni eroici, perché pavido e
fuggiasco (Es 2,11-15), impacciato nel parlare e riluttante
ad accettare la missione di YHWH (Es 3-4,17), dubbioso
(Es 5,22; Nm 11,10-15; 20,22), senza contare che, per la
prima impresa militare, delega come condottiero Giosuè
(Es 17,8-15), oltre al fatto di morire fuori dalla meta
agognata.01 giudici risultano condottieri improvvisati o
«eroi poco ordinari».0 Gedeone mostra uno scetticismo
impensabile per campioni epici (Gdc 6,13), inoltre rifiuta
il regno e palesa una smaccata avidità (Gdc 6,23-25). 0 Le
0
Diversamente, tra altri, da J.C.W. AUGUSTI, Grundriss einer
historisch-kritischen Einleitung in's Alteri Testament, Leipzig 21827,
137-149, che considerava i racconti dell'esodo verso la terra una
«Mosaide» pari a quella omerica, o più recentemente da R.W. NEFF,
«Saga», in G. COATS (a cura di), Saga, Legend, Tale, Novella, Fable
(JSOT.S 35), Sheffield 1985, 16-32.
0
P. ABADIE, Insoliti eroi. Teologia e storia del libro dei
Giudici, Bologna 2012.
0
Cf. D.J. MCCARTHY, «Hero and Anti-Hero in 1 Sam 13,2-
14,46», in ID., Institution and Narrative. Collected Essays (AnBib
imprese di Sansone, spesso accostato a Ercole o a
Gilgamesh, appaiono picaresche e non consone
all'epopea classica, perché egli agisce da solo, per suo
tornaconto, tradisce il suo nazireato (Gdc 13,7; 14,6.10-
18), lascia Israele sotto il giogo filisteo, e le sue
sfortunate e capricciose avventure d'amore rivelano
un'ingenuità e una debolezza indegne di un eroe, battuto
da una donna più scaltra (Gdc 14-16).0 Vile è il ritratto di

108), Rome 1985, 254; D.L. BLOCK, «Will the Real Gideon Please
Stand Up? Narrative Style and Intention in Judges 6-9», in JETS
40(1997), 353-366; A. SCHERER, «Gideon - ein Anti-Held? Ein
Betrag zur Auseinander- setzung mit dem sog. 'Flawed Hero
Approach' am Beispiel von Jdc vi,36-40», in VT 55(2005), 269-273.
0152
Per tutti, cf. J. HARRIS - C. BROWN - M. MOORE, Joshua,
Judges, Ruth, Peabody, MA 2000, 238: «Sansone non si conforma
alla nostra idea di come un eroe biblico dovrebbe agire. Questo
farabutto arrogante, doppio, donnaiolo, diffìcilmente può essere un
modello esemplare di moralità biblica». La bibliografìa è sterminata.
Tra altri, sostengono il parallelismo con Ercole, ad esempio, G.
ROSKOFF, Die Simsonsage nach ihrer Entstehung. Form and
Bedeutung und der Heraclesmythus, Leipzig 1860; J. BLENKINSOPP,
«Some Notes on the Saga of Samson and the Heroic Milieu», in
Scripture 11(1959), 81-89; G. MOBLEY, «The Wild Man in the Bible
and in the Ancient Near East», in JBL (1997)116, 217-233; 0.
MARGALITH, «The Legends of Samson/Heracles», in VT 37(1987),
63-70. Si vedano pero le giuste critiche di S. NIDITCH, «Samson as
Culture Hero, Trickster, and Bandit: The Empowerment of the
Weak», in CBQ 52(1990), 608-662; J.-L. CRENSHAW, Samson: A Sa-
cred Betrayed, a Vow Ignored, Atlanta, GA 1978, 95-96; C. SMITH,
«Samson and Delilah: A Parable of Power?», in JSOT 76(1997), 45-
57; J.-P. SONNET - A. WÉNIN, «La mort de Samson: Dieu bénit-il
l'attentat suicide? De la nécessité de mieux lire», in RTL 35(2004),
Saul nella sua depressione, invidia e slealtà verso
Davide, così come questi viene messo a nudo nel suo
adulterio cinico e vigliacco contro Uria (2Sam 11),
nonché nella sua fragilità di padre verso i figli. Forse, più
che eroi epici, come decantati da R. Pfeiffer e W. Pollard,
i quali nei loro racconti ravvisano espressamente una
Hebrew Iliade,0 Davide e Saul si configurano come
tragici.
Seguendo i canoni aristotelici, che prevedono l'eroe
tragico a metà strada tra la virtù perfetta e il vizio,
piombando poi nella disgrazia in seguito a una colpa che
gli è imputata, sicuramente Saul rientra nel genere, 0

375; W. VOGELS, Samson. Sexe, Violence et Religion. Juges 13-16,


Ottawa 2006, 29-34.
0
Cf. R.H. PFEIFFER - W.G. POLLARD, The Hebrew Iliade. The
History of the Rise of Israel under Saul and Davide, New York, NY
1957, tesi già proposta da A. BRUNO, Das hebraische Epos, Uppsala
1935, per 1-2 Samuele e 1-2 Re.
0
Cf. W. L. HUMPHREYS, «The Tragedy of King Saul: A Study
of the Structure of 1 Samuel 9-31», in JSOT 6(1978), 18-27; K.P.
ADAM, «Nocturnal Intrusion ad Divine Interventions on Behalf of
Judah. David's Wisdom and Saul's Tragedy in 1 Samuel 26», in VT
59(2009), 1-33; J.C. EXUM, Tragedy and Biblical Narrative. Arrows
of the Almighty, Cambridge 1992, 120-149; P. DE ROBERT, «David et
ses enfants», in L. DEROUSSEAUX - J. VERMEYLEN (a cura di),
Figures de David à travers la Bible. XVII Congrès de VACFEB, Lille
1997, Paris 1999, 136. Più in generale, cf. K.L. NOLL, The Faces of
David (JSOT.S 242), Sheffield 1997; J.M. LANDAY, David: Power,
Lust and Betrayal in Biblical Times, Berkeley, CA1998; M.J.
mentre Davide se ne distanzia, perché, anche se deve
subire pesanti lutti familiari e sciagure politiche, gode del
ristabilimento finale. L'ascesa di Salomone al posto di
Davide sembra essere modellata su quella dell'assiro
Esarhaddon che subentra a Sennacherib, nel genere
dell'«apologia del successore»; il divario, però, è
notevole, perché Salomone non sarà un condottiero, bensì
un manager, e la sua fine è vergognosa per le infedeltà al
Signore, che causano lo scisma del regno (IRe 11).0
Tranne Giosia e, in misura minore, Ezechia, i ritratti dei
re non sono lusinghieri, ma severamente stigmatizzati dai
profeti.
Una simile critica delle classi dirigenti d'Israele e di
Giuda era impensabile nella propaganda degli annali

STEUSSY, David: Biblical Portraits of Power, Columbia, SC 1999;


C. EHRLICH - M.C. WHITE (a cura di), Saul in the Story and
Tradition (FAT 47), Tubingen 2006.
0155
Cf. T. ISHIDA, «The Succession Narrative and Esarhaddon's
Apology: A Comparison», in M.COGAN - I. EPH'AL, Ah Assyria...
Studies in Assirian History and Ancient Near Eastern
Historiography. Presented to Hayim Tadmor, Jerusalem 1991, 166-
173; T. RÒMER, «Salomon d'après les deutéronomistes: un roi
ambigu», in C. LICHTERT - D. NOCQUET (a cura di), Le roi Salomon
un héritage en question. Hommage à J. Vermeylen (Le livre et le
rouleau 33), Bruxelles 2008, 116-130.
egiziani e mesopotamici,0dove la figura del re era
intangibile, bersaglio solo di altri successori mediante la
tipica damnatio memoriae. Va tenuto conto che, nella po-
lifonia biblica, le Cronache attuano un processo di
purificazione: nel caso di Davide (lCr 10-29) e di
Salomone (2Cr 1-9), esaltando il loro impegno in favore
del culto - vero protagonista del libro! -, omettono tutti
gli aspetti che possono demistificare od offuscare il loro
ritratto (come ad esempio 2Sam 11; IRe 1-2; 11; 22,8;
2Re 25,7), a differenza di Roboamo e Geroboamo,
ritenuti complici, se non fautori, dell'idolatria (2Cr 10-
13). Si tratta, però, di una «Bibbia riscritta», attenta a
evitare lo scandaloso impatto originario, con interessi
ideologici più tardivi,0 un fenomeno comune nelle
0
Cf. J.H. BREASTED, Ancient Records of Egypt I-IV, Chicago,
IL 1906; Cf. anche A.K. GRAYSON, Assyrian and Babylonian
Cronicles, Winona Lake, IN 2000.
0
Cf. A.L. JOSEPH, «Who is like David? Was David like David?
Good King in the Books of Kings», in CBQ 77(2015), 21-41; Cf. P.
ABADIE, «La figure de David dans le livres des Chroniques», in L.
DEROUSSEAUX - J. VERMEYLEN (a cura di), Figures de David à
travers la Bible. XVII Congrès de VAC FEB, Lille 1997, Paris 1999,
157-182; P. TAGLIA- CARNE, «La figura di Davide nei libri delle
Cronache», in G.L. PRATO (a cura di), Davide. Modelli biblici e
prospettive messianiche, Atti dell'VIIl Convegno di studi veterotesta-
mentari (RSB 1), Bologna 1995 57-77; M. THRONTHVERT, «The
Idealization of Salomon as the Glorification of God in the
Chronicler's Royal Speeches and Royal Prayers», P. ABADIE, «DU
letterature di ogni epoca; basti pensare alla riscrittura
spagnola della figura del Cid, presentato come arrogante,
senza ideali e fanfarone nelle Mocedades del Cid, poi tra-
sfigurato in cavaliere senza macchia nel Cantar de mio
Cid; oppure alla riscrittura insospettabile dei fratelli
Grimm, che, dalla versione originale di Cappuccetto
Rosso alquanto granguignolesca, passarono a quella più
pacata a noi nota.
Un altro fenomeno anti-epico da rilevare è la
secondarietà strutturale che caratterizza i protagonisti
biblici, ad extra e ad intra. Nel mondo del racconto, nei
rapporti con situazioni e soggetti esterni, non c'è mai
nessuno in grado di ascendere allo zenit del potere, che
rimane detenuto da altri. I patriarchi appaiono degli
underdogs in balia di re, padroni o popoli limitrofi (Gen

roi sage au roi bâtisseur du temple. Un autre visage de Salomon dans


le livre des Chroniques», in LICHTERT. - NOCQUET (a cura di), Le roi
Salomon un héritage en question. Hommage à J. Vermeylen 339-
353. In generale, cf. J. ENDRES - W.R. MILLAR - J. BARCLAY
BURNS, Chronicles and Its Synoptic Parallels in Samuel, Kings, and
Related Biblical Texts, Collegeville, MN 1988; M.P. GRAHAM -
S.M. MCKENZIE (a cura di), Chronicler as Author. Studies in Text
and Texture (JSOT.SS 263), Sheffield 1999; F.R. PERSON, The
Deuteronomic History and the Book of Chronicles (SBL), Atlanta,
GA 2010.
12,10-20; 20; 26; 29-30).0 Mosè non diventerà mai
sovrano dell'Egitto, né del suo popolo, così come non lo
sarà Giosuè nella terra promessa. I giudici salienti restano
nell'ambito di guerre claniche, senza mai prendere il
sopravvento sui nemici viciniori. Se i testi biblici
prospettano una cosiddetta «età dell'oro», costituita
dall'apogeo davidico-salomonico, si tratta in realtà di una
breve parentesi idealizzata. Di fatto, la reale esistenza di
un simile impero non trova riscontri nelle fonti extra-
bibliche e risulta smentita dall'archeologia, che
ridimensiona sia l'estensione del regno di Davide, sia la
grandeur di Salomone.0 Dopo lo scisma (931/930 a.C.), i
due regni si ritrovano vassalli delle superpotenze di turno
- aramei, egiziani, assiri e babilonesi - ed è eloquente la
chiusa dei libri dei Re con il re Ioiakin che, pur liberato

0
Cf. in proposito S. NIDITCH, Underdogs and Tricksters. A
Prelude to Biblical Folklore, Chicago, IL 2000, 23-125. Cf. anche
M. KÙCHLER - P. REINL (a cura di), Randfigu- ren in der Mitte,
Luzern-Freiburg 2003.
0
Cf. M. LIVERANI, Oltre la Bibbia. Storia antica d'Israele
(Storia e Società), Roma-Bari 2003, 104-113; I. FINKELSTEIN - N.A.
SILBERMAN, David and Salomon: In Search of the Bible's Sacred
Kings and the Roots of the Western Tradition, New York, NY 2006;
J.-L. SKA, «Salomon et la naissance du royaume du Nord: fact or
fiction?», in LICHTERT - NOCQUET (a cura di), Le roi Salomon un
héritage en question. Hommage à J. Vermeylen, 51-56.
dalla prigione ed elevato sopra altri re deportati, resta
subalterno a Evil-Merodac (2Re 25,27-28). Anche
nell'Israele del secondo tempio i leader Zorobabele,
Giosuè, Esdra e Neemia restano soggetti all'autorità
imperiale persiana (Esd 4,3; 7,14; Ne 2). Questa
secondarietà sociologica si appalesa nei casi emblematici
di Giuseppe, di Ester con Mardocheo, di Daniele, le cui
vicende rientrano nel topos dell'«ascesa a corte straniera»
di un ebreo che riscuote la stima del sovrano e che,
attraverso peripezie, raggiunge inaspettatamente una
posizione di rilievo.0 Pur essendo il protagonista della
0160
Cf. L.A. ROSENTHAL, «Die Josephsgeschichte mit den
Buchern Ester und Daniel ver- glichen», in ZAW 15(1895), 278-284;
W.L. HUMPHREYS, «A Life-Style for Diaspora: A Study of the Tales
of Esther and Daniel», in JBL 92(1973), 211-223; A. MEINHOLD,
«Die Gattung der Josephsgeschichte und des Estherbuches:
Diasporanovelle I», in ZAW 87(1975), 234- 306; ID., «Die Gattung
der Josephsgeschichte und des Estherbuches: Diasporanovelle II», in
ZAW 88(1976), 72-93; J.J. COLLINS, «The Court-Tales in Daniel
and the Development of Apocalyptic», in JBL 94(1975), 218-234; S.
NIDITCH - R. DORAN, «The Success Story of the Wise Courtier», in
JBL 96(1977), 185-189; H.M. WAHL, «Das Motiv des "Aufstiegs" in
der Hofgeschichte. Am Beispiel von Joseph, Esther und Daniel», in
ZAW 112(2000), 59-74; S. BEYERLE, «Joseph und Daniel. Zwei
Vàter am Hofe eines fremden Konig», in A. GRAUPNER (a cura di),
Verbindungslinien. FS. W.H. Schmidt, Neukirchen-Vluyn 2000, 1-
18; R. GNUSE, «The Jewish Dream Interpreter in a Foreign Court:
The Recurring Use of a Theme in Jewish Literature», in JSP
7(1990), 29-53; ID., «From Prison to Prestige: The Hero who helps a
King in Jewish and Greek Literature», in CBQ 72(2010), 31-45;
storia, Giuseppe resterà «secondo» rispetto al faraone
(Gen 41,40-44), così come lo resteranno Ester e
Mardocheo rispetto al re di Persia (Est 8,2-4; 10,3),
mentre Daniele sarà «terzo» rispetto al re di Babilonia
(Dn 2,48; 5,29). Il narratore li caratterizza in modo che si
accattivino, in una situazione di diaspora in terra
straniera, non solo la simpatia dei detentori del potere di
turno, ma soprattutto dell'uditorio, senza servilismi depri-
menti (deforme obsequium) e la sterilità della rivolta
(abrupta contumacia), come dirà Tacito in una critica
della tirannide (Ann. IV, 20,7). Tutti si riconoscono
strumenti di una provvidenza divina, dall'esplicita
affermazione di Giuseppe (Gen 45,7-8; 50,19-20)
all'allusività di Mardocheo (Est 4,14), sino
all'attribuzione del loro successo alla potenza unica del
Dio d'Israele.0

L.M. WILLS, The Jew in the Court of the Foreign King. Ancient
Jewish Court Legends, Minneapolis, MN 1990.
0
per l'attribuzione a Dio del proprio successo cf. Gen 41,39; Dn
2,47; 3,29.32; 4,31-34; da parte del sovrano, cf. Gen 41,37-38.
Rinviamo tra gli altri a R.S. WALLACE, The Story of Joseph and the
Family of Jacob, Grand Rapids, MI 2001, 57; R. PIRSON, The Lord
of Dreams. A Semantic Literary Analysis of Genesis 37-50, Sheffield
2002, 93; J.-L. SKA, «La scoperta del disegno di Dio nella storia di
Giuseppe», in M. LORENZANI (a cura di), La volontà di Dio nella
Bibbia, L'Aquila 1994, 113-132; A. WÉNIN, Joseph ou l'invention de
Ad intra, è frequente riscontrare la «preferenza per
il cadetto», che può ampliarsi nella «elezione del più
piccolo», reputata un fattore che poteva mettere a
repentaglio la stabilità nella stretta e consolidata ge-
rarchia familiare e sociale (cf. Pr 30,21-23; Is 3,12). Si
tratta di un motivo che contrassegna i racconti biblici, 0
comune nella tradizione popolare e impensabile per
l'epica, dove, ad esempio, Paride non subentrerà mai a
Ettore e Remo soccombe rispetto a Romolo. Significati-
vãmente è Dio che ribalta le posizioni, preferendo Abele
a Caino (Gen 4,4-5). Se la storia sembra continuare sotto
il segno del «primo», il narratore lo abbandona per
seguire la genealogia del terzogenito Set (Gen 4,25; 5,9).
La preferenza divina si ripete per Isacco rispetto a

la fraternità. Lecture narrative et antropologique de Genèse 37-50,


Bruxelles 2005, 119-125; E. SANZ GIMÉNEZ RICO, «Palabra,
providencia y misericordia en la historia de José», in EstEcl
81(2006), 3-36.
0
Così O. BÀCHLI, «Die Erwàhlung des Geringen im Alten
Testament», in ThZ 22(1966), 385-395; 0. SA<B0, «sà'ìr», in TWAT,
VI, 1083-1088; G. KNOPPERS, «The Preferential Status of Eldest Son
Revoked?», in S. MCKENZIE - T. RÒMER (a cura di), Rethinking the
Foundations. FS. J. van Seters, Berlin-New York 2000, 115-126. Cf.
R. SYRÉN, The Forsaken First-Born. A Study of a Recurrent Motif in
the Patriarchal Narrative (JSOT.S 133), Sheffield 1993. Sulla
«ferrea legge della primogenitura» infranta, cf. ALTER, The Art of
Biblical Narrative, 6.
Ismaele (Gen 16; 21), per Giacobbe rispetto a Esaù (Gen
25,23), per Giuda rispetto al primogenito Ruben (Gen
49,4), per Peres rispetto a Zerach (Gen 38,27-29), per
Mosè nei confronti di Aronne (Es 7,7), per Davide scelto
come re al posto degli altri fratelli (ISam 16,1-13). Altre
volte la preferenza passa per scelte apparentemente
umane, come nel caso di Giacobbe; forzato da Labano a
sposare la primogenita Lia al posto di Rachele, ama la
seconda (Gen 29,18); preferisce Giuseppe e Beniamino ai
loro fratelli (Gen 37,2-3; Gen 44,20) e poi benedice
inaspettatamente il più piccolo, Efraim, invece di
Manasse (Gen 48,14-20).0 Anche Davide tra tutti i suoi
figli sceglie come suo successore Salomone (IRe 1; cf.
2Sam 3,2-5; 5,13-16), secondo figlio avuto da Betsabea,
al posto dello scontato pretendente Adonia. Altri esempi
sono Simri e Abia che, pur non essendo primogeniti,
sono favoriti come capi (lCr 26,10; 2Cr 11,22). Tutto
questo, come vedremo nell'ultimo capitolo, è la trascri-
zione narrativa dell'esperienza storica di Israele in mezzo
alle nazioni, e deriva dalla coscienza della propria
0
Cf. F. GIUNTOLI, L'officina della tradizione. Studio di alcuni
interventi redazionali post-sacerdotali e del loro contesto nel ciclo di
Giacobbe (Gn 25,19-50,26) (AnBib 154), Roma 2003, 233-282.
inferiorità, di un'esistenza che non era scontata, bensì è
stata donata contro ogni aspettativa.
Un altro fenomeno non sempre evidenziato è quello
dell'ascesa-di- scesa-riascesa superiore. Lo riscontriamo
in Giuseppe, che, dalla posizione di figlio privilegiato dal
padre Giacobbe rispetto agli altri fratelli, sprofonda in
una condizione di schiavitù, per poi iniziare la carriera
che lo porterà a essere visir d'Egitto. Analogamente
Mosè, dal rango egiziano derivante dall'adozione da parte
della figlia del faraone, si ritrova transfuga ai margini del
deserto, per poi diventare, non senza difficoltà, il leader
del suo popolo. Lo stesso accade per Davide, in fuga
verso il deserto braccato dal figlio Assalonne, per poi
riprendere il potere una volta debellata la ribellione;
accade anche a Elia che, dall'euforico successo iniziale,
sprofonda nella depressione nel deserto per poi ritornare
più saldo e vittorioso contro Acab e Gezabele. In tali
casi, il degradamento che coincide con il rischio e rasenta
la morte sembra paradossalmente apparire il nullaosta di
un'eccezionale risurrezione.
Per concludere, anche se esula dal nostro ambito di
ricerca, possiamo menzionare sul piano collettivo la
teologia di speranza insita nel tema del «resto», 0 cioè di
quella piccola parte di deportati che, dopo la maledizione
della decimazione di un popolo intero (cf. Lv 26,22; Dt
4,27; Ger 42,2), sarebbe rientrata nel Paese, come
garanzia delle promesse fatte da YHWH ai padri di
essere come le stelle del cielo e la sabbia del mare (Gen
15,5; 26,4; 28,3; ecc.), una promessa che appare
idealizzata da alcuni profeti (cf. Am 5,3; Ger 23,3; Is 1,7-
9; 10,21-22).
In sintesi, ritornando alla questione dell'esistenza di
eroi in senso classicamente epico si può condividere la
lapidaria affermazione di J.-L. Ska secondo cui «è inutile
cercare nella Bibbia l'equivalente di un Gilgamesh o di
un Enkidu, ancor meno di un Achille, di un Ettore o di un
Ulisse».0

0
Sul «resto» significativo per la teologia dell'esilio, cf., tra
altri, W.H. MÙLLER - H.D. PREUSS, Die Vorstellung vom Rest im
Alteri Testament, Neukirchen 21973; 0. CARENA, Il Resto d'Israele.
Studio storico-comparativo delle iscrizioni reali assire e dei testi
profetici sul tema del resto (SRivB 13), Bologna 1985; J. HAUSMANN,
Israels Rest. Studien zum Selbstverstàndnis der Nachexilischen
Gemeinde (BWANT 124), Stuttgart-Berlin-Kòln 1987.
0
Così SKA, «Il cantico di Mosè (Es 15,1-21) e la regalità del
Dio d'Israele», 7.
4.3. Un cast democratico e sovversivo
Più inedita nell'AT è la messa in scena di
personaggi attinti a tutti i ceti e orbite di subalternità,
finanche marginali, nel mondo del racconto, che arrivano
a essere non solo agenti, ma addirittura protagonisti
episodici. Accanto a re, condottieri e regine, compaiono
massaie, concubine e prostitute, soldati, mercanti,
bambini, schiavi, stranieri, immigrati, sino alla feccia di
lebbrosi o banditi.
L'innovazione più evidente è il ruolo concesso a
donne0 che, nella scala sociale, occupano una posizione
0166
La bibliografìa è quantomai nutrita; ci limitiamo, tra gli altri,
a K.H. STENDHAL, The Bible and the Role of Women, Philadelphia,
PA 1966; K.H. SCHELKLE, Der Geist und die Braut. Frauen in der
Bibel, Dusseldorf 1977; M. ADINOLFI, Il femminismo della Bibbia,
Roma 1981; K. ENGELKEN, Frauen im Alten Israel (BZAW 130),
Stuttgart 1990; J.A. ONATE OJEDA, La mujer en la Biblia, Valencia
1997; A. BACH, Women, Seduction and Betrayal in Biblical
Narrative, Cambridge 1997; ID. (a cura di), Women in the Hebrew
Bible: A Reader, New York 1998; N. ASCHKENASY, Woman at the
Window: Biblical Tales of Oppression and Escape, Detroit, MI
1998; S. ACKERMAN, Warrior, Dancer, Seductress, Queen Women in
Judges and Biblical Israel (ABRL), New York, NY 1998; A. BRENNER
(a cura di), Samuel and Kings: A Feminist Companion to the Bible,
Sheffield 2000; T. FRYMER-KENSKY, Reading the Women of the Bible,
New York 2002; K.D. SAKENFELD, Just Wives: Stories of Power and
Survival in the Old Testament and Today, Westminster 2003; R.
KLEIN, From Deborah to Esther: Sexual Politics in the Hebrew
Bible, Minneapolis, MN 2003; G.A. YEE, Poor Banished Children of
Eve: Woman as Evil in the Hebrew Bible, Minneapolis, MN 2003; A.
periferica. È lampante il fatto che l'AT, tranne qualche
squarcio eccezionale come in Rut, Ester e la seconda
parte di Giuditta, inscena racconti di donne non incentrati
esclusivamente su di esse, ma sulle loro relazioni con
uomini. Balza agli occhi che sono spesso escogitate per
azioni decisive al servizio della vita o della morte, armate
solo di bellezza, sapienza, astuzia, determinazione e
creatività, doti di persuasione tipicamente femminili.
Quando l'epica antica menziona delle donne, le sceglie
sempre da un mondo aristocratico; persino la
«taverniera» Siduri è descritta nel poema di Gilgamesh
con tratti divini, controfigura della dea Astarte; a Ugarit,
Pughat, l'acquaiola in Danel e Aqhat, è figlia di re dipinta
con tratti eroici.0 Tali personaggi femminili risultano
VALERIO (a cura di), Donne e Bibbia: Storia ed esegesi (La Bibbia
nella Storia 21), Bologna 2006; I. FISCHER, Des femmes aux prises
avec Dieu. Récits bibliques sur le débuts d'Israël, Paris 2008; EAD.,
Des femmes messagères de Dieu. Prophètes et prophétesses dans la
Bible hébraïque. Pour une interprétation respectueuse de la dualité
sexuelle, Paris 2009; EAD., Femmes sages et dame Sagesse dans
l'Ancien Testament, Paris 2010; A. WÉNIN - C. FOCANT - S.
GERMAIN, Vives femmes de la Bible, Bruxelles 2007.
0
Cf. G.L. PRATO, «Miti di origine», in ID. (a cura di), Miti di
origine, miti di caduta e presenza del femminino nella loro
evoluzione interpretativa, XXXII Settimana Biblica Nazionale, Roma
1992 (RSB 1-2), Bologna 1994, 5-11; CAQUOT - SZNYCER - HERDNER,
Textes Ougaritiques, 1: Mythes et Légendes, 456-458. In generale,
cf. H. MARSMAN, Women in Ugarit and Israel. Their Social and
sempre in secondo piano rispetto agli eroi protagonisti.
Inoltre, nelle genealogie ugaritiche e mesopotamiche è
assente ogni traccia di donne regine.0
Nella letteratura egiziana, le donne hanno raro
rilievo; quando nella storia politica, retta essenzialmente
da uomini, qualcuna di loro ascendeva a posizioni
dirigenziali, come Hatshepsut, moglie di Tutmo- si II
(XV secolo a.C.), o Nefertiti, moglie di Akhenaton (XIV
secolo a.C.), costei doveva assumere stereotipati ruoli
maschili, per subire successivamente una damnatio
memoriae, perché ogni forma d'influenza femminile
costituiva una deviazione dall'ideologia tradizionale.0 Il
celebre Catalogo delle donne (630-590 a.C.) attribuito a
Esiodo è una galleria dei volti femminili più
ragguardevoli della preistoria mitica, il cui status è
paragonabile a quello degli eroi, ma sorvola su figure di
ceto minore.0 Omero ha schiave come Briseide e Criseide
o la nutrice Euriclea, che però possono vantare augusti
Religious Position in the Context of Ancient Near East (OtSt 49),
Leiden 2003.
0
WILSON, The Genealogy and History in the Biblical World,
56.111.
0
Cf. G. ROBINS, Women in Ancient Egypt, London 1993,
11.36-42.50-55, il quale segnala che dei circa trecento re egiziani
solo quattro sono le donne menzionate.
natali (II. I, 13; 392; Od. I, 429s). Nell'epos arcaico le
donne erano ininfluenti e Aristotele le reputava non
degne di uno stile sublime, data la loro condizione
inferiore in un mondo declinato al maschile. 0 Va
rammentato che Demetrio Falereo, successore di
Aristotele, istituì appositi censori della condotta
femminile. L'antico ideale della donna greca ben si
riassume nella descrizione di Euripide: «Per una donna
nulla è più bello che il silenzio, l'essere discreta e il
rimanere tranquilla tra le domestiche mura», posta in
bocca a Macaria, figlia di Eracle, che invece contraddirà
tale convinzione in modo sfrontato e più nobile degli
uomini che la attorniano (Eraclidi II, 473-480).
Nell'epica alessandrina non mancano barlumi di
apertura al femminile con Callimaco, che inscena come
0
Cf. J.-L. SKA, «Particolarismo ed universalismo», in ID., Una
goccia d'inchiostro. Finestre sul panorama biblico (Collana biblica),
Bologna 2008, 82-83; R. HUNTER (a cura di), The Hesiodic
Catalogue of Women: Constructions and Reconstructions,
Cambridge 2005.
0
ARISTOTELE, Poetica 1454a 20-25. Per la posizione della
donna nel mondo greco, cf. D. DAVERIO-ROCCHI, Il mondo dei Greci.
Profilo di storia, civiltà e costume, Milano 2008,114-123. Rinviamo
a G. ARRIGONI (a cura di), Le donne in Grecia, Roma-Bari 1985; E.
CANTARELLA, L'ambiguo malanno. Condizione ed immagine della
donna nell'antichità greca e romana, Roma 1985; S. POMEROY, Dee,
prostitute, mogli, schiave, Milano 2003.
co-protagonista di Teseo l'umile vecchia Ecale,
intitolandole addirittura un epillio, mentre Apollonio
Rodio, rifacendosi alle rivoluzionarie innovazioni della
tragedia euripidea, traccia un profilo autonomo e
profondamente psicologico di una Medea superiore a un
Giasone titubante (Argonautiche I, 295), preparando alle
eroine virgiliane Didone e Camilla, più tenaci del dub-
bioso Enea. Parallelamente, le scene omeriche
tipicamente maschili diventano femminili (Argonautiche
I, 654; III, 828), anche se continua a persistere la non
considerazione delle donne di basso rango. Persino
l'interesse di Aristofane nei confronti di un ruolo
rivoluzionario delle donne (cf. Lisistrata, Le Tesmoforie,
Donne all'assemblea) resta ancorato a una comicità
ideologicamente conservatrice, che critica l'universo
femminile sciorinandone i difetti. La «commedia nuova»,
diversamente da quella antica, inizia a dare spazio alle
etère, che rispecchiano ancora una visuale aristocratica,
mentre Eroda (o Eronda), nei suoi mimiambi, annovera
donne di diversa estrazione sociale, dal ceto medio alle
mezzane, scaltre e creativamente disinvolte nel districarsi
in una realtà colta nella sua ordinaria complessità.
Saranno Plutarco, con il suo Virtù delle donne, e
Polieno, con i suoi Stratagemmi (Vili, 26-71), a celebrare
sullo stesso piano aristocratiche e plebee nel loro valore
coraggioso e nelle loro geniali astuzie, riscattandole
dall'inferiorità.0
I narratori biblici, pur respirando una cultura
androcentrica, si mostrano meno misogini (a eccezione di
testi sapienziali come, ad esempio, Sir 25,12-26; 42,9-
14). Nell'eziologia di Gen 2-3 spicca l'attenzione
riservata alla creazione della donna e al suo concorso de-
terminante nella trasgressione dell'ordine di non
mangiare il frutto dell'albero, contrariamente
all'antropocentrismo dei miti di creazione mesopotamici.
Varie donne assurgono a protagoniste, come Rut, Ester e
Giuditta nei libri omonimi, od occupano ruoli di primo
piano, in una galleria che annovera regine come Atalia,
Vasti o Gezabele, matriarche come Sarai, Rebecca,
Rachele e Lia, schiave come Agar, vedove come Noemi,

0
Cf. ad esempio, ARISTOFANE, Donne all'assemblea 224-228;
Tesmoforie 392-394; cf. A.M. SCARCELLA, Il messaggio di Aristofane
e la cultura ateniese, Palermo 1973; FRONDA, Mimiambi, Milano
2004. PLUTARCO, La virtù delle donne, a cura di F. CHIOSSO- NE,
Genova 2010; POLIENO, Stratagemmi, a cura di E. BIANCO,
Alessandria 1997.
Tamar e Rispa, possidenti come Abigail e la su- namita,
profetesse come Debora e Culda. Anche attrici
secondarie, come Zippora (Es 4,24-26), le figlie di Lot
(Gen 19,30-38) e di Zelofcad (Nm 27,1-11), la vedova di
Sarepta (IRe 17) e la negoziatrice Acsa (Gdc 1,15), sono
decisive per la posta in palio, esercitando prerogative
maschili.
Ogni volta che si accorda a donne un ruolo-chiave,
i loro partner diventano immancabilmente passivi e
vulnerabili; in qualche caso, ciò si verifica anche laddove
il volto maschile del potere è rappresentato da una
controfigura femminile, come la sorella di Mosè nei
confronti della figlia del faraone (Es 2,1-10), o di Ioseba
nei confronti di Atalia (2Re 11,3). Il «sublime»
aristotelico avrebbe ritenuto indecoroso attribuire a
donne una gloria tipicamente maschile, come accade per
l'anonima dagli spalti (Gdc 9,53), per la «maschia
Giaele» (Gdc 4,21) e per Giuditta, che fracassano la testa
dell'eroe nemico, per Dalila, che intrappola Sansone (Gdc
16), e per una prostituta come Raab (Gs 2), oppure
elogiare la sagacia diplomatica di Ester, di Abigail, delle
donne di Tekoa e di Maaca, il coraggio di Rispa (2Sam
21) e della madre di sette figli (2Mac 7). Certo, non
possiamo parlare di completa emancipazione, ma
sicuramente di rivoluzione. Potremmo accostarla a quella
di J. Delacroix che scelse una popolana semisvestita -
«strano miscuglio di Frine e pescivendola», come
chiosava H. Heine - per rappresentare la sua Liberté in
antitesi alle idealizzate allegorie femminili del decoro
borghese. In sintesi, come è stato notato, la galleria
femminile biblica spariglia le convenzioni: accanto a
donne tradizionali, fedeli e laboriose, presenta donne
trasgressive; accanto a vittime del sistema, sfodera donne
vincenti più decisive degli uomini.0
In conclusione, è interessante notare per contrasto
Patteggiamento di Flavio Giuseppe nella sua riscrittura
dei personaggi biblici femminili.0 Egli tende a

0
Cosi M.J. GUEVARA LLAGUNO, «Modelos de mujer en la
historia deuteronomista. Excusa, legitimation y propaganda», in
MEAH 58(2009), 130-135; LANOIR, Femmes fatales, 104.
0
Cf. B. HALPERN-AMARU, «Portraits of Biblical Women in
Josephus», in JJS 39(1988), 143-170; C.A. BROWN, NO Longer Be
Silent: First Century Jewish Portraits of Biblical Women: Studies on
Pseudo-Philo's Biblical Antiquities and Josephus's Jewish
Antiquities, Louisville, KY 1989; B. MAYER-SCHÀRTEL, Das
Frauenbild des Josephus: Eine sozialgeschichtliche und
kulturanthropologische Untersuchung, Stuttgart 1995; BRENNER, Are
We Amused?, 91-104.
ridimensionare drasticamente il loro ruolo; le valorizza
quando corrispondono in modo stereotipato ai canoni
della romanità ellenizzata, ma le sminuisce quando li
sovvertono con la loro capacità di farsi valere al pari o
più dei maschi, eliminando i loro discorsi e
accentuandone la vanità, il fascino pericoloso, la curiosità
e passionalità incontrollate, che le rendono non
proponibili; basti pensare all'eliminazione dei nomi e
dell'episodio delle figlie di Zelofcad (Nm 27), alla
menzione di Debora solo come profetessa e non come
giudice, poetessa o leader (si confrontile V, 200ss con
Gdc 4), all'indipendenza di Dalila che solo lui taccia
come prostituta (AG V, 305, contro Gdc 16), mentre
riabilita invece la prostituta Raab in un'ostessa innocente,
anche se privata del suo ruolo di protagonista (AG V, 5-
30).
Altrettanto triviale per i canoni aristotelici è la
messa in scena del popolino e dell'esercito (il termine
ebraico 'am può designare ambedue),0 che nell'epica
restavano come cornice o fungevano da semplici
esecutori, mentre nell'AT hanno momenti in cui si
0
Cf. E. LIPINSKI, «am», in TWAT, VI, 177-194.
stagliano, pur brevemente nelle loro individualità, ma
sempre in funzione della trama. Nell'antico Vicino
Oriente è netta la distinzione, teologicamente
immutabile, di classi sociali, per cui il re è l'immagine
divina, un uomo libero è assimilabile alla sua ombra e
uno schiavo è soltanto l'ombra di un uomo libero. 0
Accanto all'iconografìa egiziana, che prospetta profili in
formato grande per il faraone e piccolo per la plebe, i
poemi omerici confermano questa netta distinzione di
ceto e di potere (cf. II. I, 80; Od. XXI, 85). Sarebbe
ingenuo pensare che l'AT non conoscesse una tale scala
sociale che appare nella sarcastica distinzione tra «servi e
padroni» del possidente Nabal (cf. ISam 25,10), nella
letteratura profetica (Is 3,5; 36,9), negli aforismi
sapienziali (cf. Qo 10,7; Pr 19,10; Sai 123,2) e nella
legislazione (Es 21,32; Lv 22,11; 25,46), così come si
evince da un'analisi sociolinguistica di formule/gesti che
rivelano il divario di rango degli interlocutori.0 Tuttavia,
0
Cf. la lettera al re assiro Esarhaddon in R.H. PFEIFFER, State
Letters of Assyria, State Letters of Assyria, New Haven, CT 1935,
234 nota 345.
0
Cf. C.L. MILLER, The Representation of Speech in Biblical
Hebrew Narrative. A Linguistic Analysis (HSMM 55), Atlanta, GA
1996, 269-279; cf. ad esempio ISam 16,16; IRe 1,2.17; 2Re 5,13;
9,5; Est 7,3; per il rispetto del protocollo, cf. Gen 42,6; 43,26; ISam
nel mondo del racconto biblico lo scarto risulta attenuato,
se non eliminato, secondo le convenzioni popolari.
Pertanto, in molti episodi vi sono subalterni che parlano
direttamente con un re senza le dovute deferenze
protocollari, come Mosè e Aronne con il faraone (Es
5,1), Elia con il re Acab (IRe 18,17), le due prostitute con
il re Salomone (IRe 3,16), ecc. H. Gunkel nota
acutamente l'affinità con i racconti popolari:
È certo divertente notare che talvolta le fiabe che
parlano di re dimenticano volentieri la nobiltà e la
magnificenza del sovrano e lo trattano come tutti gli altri
uomini.0
Tuttavia, l'ideologia di potere appare in testi più
tardivi ed evoluti, le udienze o le istanze seguono i
cerimoniali consolidati,0 benché ridotti al mimimo senza
prolissa pomposità. È il caso di 2Sam 14, dove sia Ioab

25,23; 2Sam 1,2; 9,6; 15,5; IRe 1,16.23; Est 3,2; Gdt 10,23.
0
Cf. GUNKEL, Das Marchen im Alten Testament, 151. Per
questa immediatezza popolare, cf. ad esempio Es 1,15-19; Es 5,1;
IRe 3,16; 2Re 6,26; 8,5; si pensi alla disinvoltura di molti servi della
commedia greco-romana, a quella con cui il contadino Bertoldo
tratta il re Alboino nel romanzo popolare di G.C. Croce, o l'audacia
di Marta, serva dell'Innominato manzoniano.
0
Cf. esempi in ENGELKEN, Frauen im Alten Israel, 146;
FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans VAncien Testament,
50-51.
sia la donna di Tekoa si rivolgono a un Davide stilizzato
secondo un sovrano neo-assiro, ma anche della storia di
Daniele, di Giuseppe e soprattutto di Ester; in
quest'ultima, tali repertori di etichetta diplomatica
vengono radicalizzati e ridicolizzati.
5. L'introduzione e la necessità di agenti
secondari

Considerata la parsimonia con cui i narratori biblici


si focalizzano sulle forze principali dell'azione, va
ponderata la necessità di introdurre personaggi secondari.
Gli stessi narratori dimostrano di poterli cancellare dai
plots, sostituendoli con semplici verbi di azione0 e -
soprattutto nei dialoghi - da impersonali verbi del dire 0 o

0
Gen 12,15b; 29,1-3; 38,25; 43,18; 2Sam 9,2; IRe 19,35.40;
2Re 10,14; 12,14.
0
Diegeticamente: Gen 27,42; 31,22; Es 14,5; Gdc 4,12;
9,7.25.42.47; ISam 19,21; 23,7.13.25; 27,4; 2Sam 10,5.17; 21,11;
IRe 2,29.39.41; lCr 19,17; Est 4,12. Mimeticamente: Gen 22,20;
38,13.24; 48,1-2; Gs 2,2; Gdc 15,6; Rt 2,11; ISam 15,12; 19,19;
24,2; 2Sam 2,4; 3,23; 6,12; 11,10; 19,2; IRe 18,13; 20,17; 2Re 8,7;
IMac 9,32.
dell'inviare,0 oppure assorbendoli da verbi di ascolto del
personaggio principale.0
Allorché l'agente secondario viene menzionato, può
essere introdotto nei modi così riassunti:
- da verbi del dire;0
- dal verbo trovare {màsà);0
- da verbi di incontro (qàràh / paga0;0
- da verbi di visione o dal morfema deittico
hinneh;0
0
Con ellissi del messaggero: cf., ad esempio, Gen 31,4; 38,25;
41,8; Es 9,27; Gdc 4,6; 16,18; Gs 2,3; 10,3.6; 11,1; 24,9; IRe 20,10;
2Re 19,20. I latori di lettere spesso vengono sostituiti dai narratori
con la loro missiva; cf.IRe 21,8-11; 2Re 10,1.6.7; 20,12- 13; Est
1,22; 9,20.30.
0
In modo diegetico, cf. Es 18,1; Gs 9,1,3.16; 10,1; 11,1; Gdc
9,30; 20,3; ISam 2,22; 3,20; 4,6.19; 7,7; 13,3; 22,1.6; 23,25; 25,4.39;
2Sam 3,28; 4,1; 5,17; 8,9; 10,7; 11,26; IRe 12,2.20; 13,26; 15,21;
2Re 5,8; 9,30; 20,12; si vedano pure 2Sam 4,4; 13,30; IRe 2,28;
10,1.6-7; 2Re 7,11; 19,7. Cf. IMac 4,3; 5,56; 6,28.
0
Abbiamo una grande trafila di casi, che costituiscono la
maggioranza delle introduzioni. Alcuni esempi: ISam 23,19; 25,14;
26,1; 29,3; 2Sam 13,28; 15,19; 24,11; IRe 11,22; 18,43; 20,31; 2Re
4,12.
0
Si tratta di un'introduzione che esprime un incontro fortuito;
cf. Gen 37,15; Nm 15,32; Gdc 1,5; 21,12; ISam 9,11; 10,3(Q);
30,11; IRe 1,3; 11,29; 20,37; 2Re 10,13.15; 2Cr 22,8.
0
Anche qui tratta di un'introduzione che esprime casualità: per
qàràK cf. Nm 23,16; ISam 10,10; 2Sam 18,9; 20,1; 15,32; 16,1. Cf.
anche Rt 2,3; 2Sam 1,6. Per paga' cf. Gen 32,2; Gs 2,16; Gdc 18,25.
Nei LXX, cf. Gdt 1,6; 5,25; 10,11.
0
per l'introduzione mediante verbo di visione, cf. ad esempio
Gen 37,25; Gs 5,13; 2Sam 18,10.24; Dn 12,5. Il deittico wehinneh
- dalla formula di nome (séra);0
- dalla formula di convocazione iqaràr);0
- dalla preposizione «con» (7ra, 'et).0
L'introduzione non differisce da quella dei
personaggi principali e minori. Più importante è illustrare
la loro indispensabilità scenica, analoga a quella di un
deus ex machina in versione popolare, più verosimile ma
non meno provvidenziale. Per usare la terminologia di S.
Chatman, rispetto ai «nuclei» che non possono essere
tolti senza distruggere la logica narrativa e che
corrispondono ai personaggi principali, i personaggi
secondari sono «satelliti» che non sono di per sé

può esprimere o un punto di vista di un personaggio intradiegetico o


l'effetto sorpresa, spesso combinati, ma che si tende a confondere.
Cf. Gen 15,3; 38,27; 42,13; Es 2,13; 24,14; Nm 25,6; Gdc 7,13;
9,31.36; 11,34; 19,16.22; Rt 4,1; ISam 10,10; 2Sam 1,2; 15,32;
16,1.5; 19,38.42; IRe 1,42; 13,1; 20,13; 2Re 6,33; 8,5; 9,5. Con
verbum videndi Gen 37,25; Gs 5,13; 2Sam 18,10.24; Dn 12,5. Cf. L.
ALONSO SCHÕKEL, «Nota estilistica sobre la particula hinneh», in
Bib 37(1956), 74-80; SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 111.
0
Ad esempio Gen 38,1; ISam 1,2; 9,1; 17,12; 21,8; 22,20;
2Sam 3,7; 4,4; 9,2; 13,3.
0
Ad esempio, per il sintagma qãrã' le, cf. Gen 20,8; 31,4.54; Es
7,11; Gs 22,1; Gdc 4,6; 16,18; ISam 6,2; 2Re 9,1; Est 4,5; con qãra
'et, cf. Gen 41,8; 2Sam 13,17; IRe 1,9; con qãra 'el, cf. Gen 28,1;
2Re 7,10.
0
Con la preposizione di compagnia 'im, cf. Gen 19,30; 31,23;
32,7; 33,1; Nm 22,22; ISam 20,35; con 'et, cf. Gen 12,4; 22,3; 24,32;
Gdc 1,17; 2Sam 11,9; Gdt 10,10.
indispensabili. Questi ultimi possono essere omessi senza
disturbare la logica della trama e dipendono dai nuclei,
con una funzione che si può definire generalmente
fluidificante, di snodo, nei termini di un apporto
completivo, epcsegetico e pragmatico,0 non tanto a livello
della «storia» significata, ma del «discorso» significante, 0
dove è intercettabile l'intenzionalità del narratore di
arricchire, sotto il profilo estetico, il dramma con il
minimo sforzo per plasmare il suo lettore modello.
In virtù del patto narrativo, il lettore reale deve
prestarsi al gioco delle induzioni, altrimenti il dramma si
fermerebbe. Constateremo come la mimesi che
contraddistingue i personaggi secondari è finalizzata, più
che ai loro destinatari intradiegetici, a quelli
extradiegetici. Nel dialogo, il «tempo della storia»
coincide con il «tempo del discorso»,0imponendo sincopi
che fanno soppesare al lettore le reazioni del prota-

0
Così CHATMAN, Story and Discourse, 54: «La loro funzione è
quella di completare, elaborare, concludere il nucleo; formano la
carne attorno allo scheletro». Cf. anche Eco, Lector in fabula, 57.
0
Per categorie analoghe, cf. tra altri GENETTE, Figures, III, 72;
MARCHESE, L'officina del racconto, 7-10.
0
La distinzione tra «tempo della storia» (.Erzàhlzeit) e «tempo
del racconto» (ierzàhlte Zeit) risale a G. MÙLLER, Morphologische
Poetik, Tiibingen 1968, 269-286; GENETTE, Figures, III, 77.123.
gonista, creano simpatia ed empatia, facendolo
partecipare al dramma in presa diretta, quasi in moviola,
permettendogli di centrare la posta in gioco nel plot. Il
lettore diventa così contemporaneo delle parole riferite
apparentemente senza modificazioni, come accade nei
racconti popolari, cui quelli biblici sono affini. Ciò serve
a costruire una classica «scena preparatoria», che mira a
intensificare la tensione narrativa, a preparare, come
interludio ritardante, il climax di un incontro decisivo, e
scatenare reazioni cruciali prima dello scioglimento, che
può essere, secondo Aristotele, di riconoscimento
(anagnòrisis) o di risoluzione (peripéteia), oppure
combinati.0 Questo attingendo ai «tre universali
narrativi»:
a) la suspense, che deriva da una conoscenza
incompleta di un evento preannunciato, in quanto
concerne la risoluzione dell'intreccio, i dilemmi dei
personaggi e sposta la questione dal che cosa al come

0
per ia «scena preparatoria» e la trama di risoluzione o di
riconoscimento, rinviamo a SKA, «I nostri padri ci hanno
raccontato», 50-51 e 38-39. CHATMAN, Story and Discourse, 48,
parla di resolved plots e revealed/revelatory plots, mentre
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 172, preferisce
parlare, al posto di intrecci rivelativi, di intrecci di scoperta.
avverrà, dando modo al lettore di formulare ipotesi,
accendendo speranza o, viceversa, paura;
b) la curiosità, che nasce dall'ignoranza e
spinge il lettore a supplirla;
c) la sorpresa per la rivelazione improvvisa
di un evento, che spiazza la previa comprensione del
lettore e può essere definitiva o parziale all'interno della
trama.0
In un racconto, l'intensità della suspense è
proporzionalmente inversa al numero di possibilità di
soluzione. Così può esserci sorpresa indipendentemente
dalla suspense, perché avviene dopo la soluzione di
questa.

6. Un'indagine limitata alle funzioni importanti

Considerata la cospicua schiera dei personaggi


secondari, la nostra indagine, senza pretese esaustive, si

0
Cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 259;
CHATMAN, Story and Discourse, 59-60; H. PYRÒNEN, «Suspense and
Surprise», in D. HERMAN - M. JAHN - L. RYAN (a cura di), Routledge
Encyclopedie of Narrative Theory, London-New York 2005, 578-
580; R. BARONI, La tension narrative: Suspense, curiosité et
surprise, Paris 2007.
focalizzerà su quelli attivati nelle funzioni più importanti
di contrasto, di raccordo e di catalizzazione, mentre
tralascerà altre funzioni meramente meccaniche e dunque
ovvie, come quella di esecutori, vettori, accompagnatori.
Siamo consci del rischio che comporta l'applicazione di
parametri o metodi di analisi attuali a materiali letterari
che restano distanti per tempo e cultura dalle nostre
sensibilità e tecniche narrative, un rischio che può indurci
ad affermazioni anacronistiche. Avanzando
manzonianamente con juicio, cercheremo, per utilità
euristica, di proporre nei capitoli seguenti una selezione
di esempi.
Se la funzione di contrasto può essere assolta da
ogni attore nella puntuazione di relazioni/opposizioni,
quella di raccordo è assolta normalmente da informatori,
mentre quella di catalizzazione è espletata da consiglieri.
È noto che ognuna di queste funzioni può essere isti-
tuzionale, sancita dalle gerarchie convenzionali, oppure
occasionale, estemporanea, in determinate contingenze;
orbene, mentre le funzioni istituzionali rientrano il più
delle volte in un cliché prevedibile, quelle occasionali
risultano più imprevedibili per il lettore. La nostra analisi
presterà maggiore attenzione ad agenti outsiders,
soprattutto quando questi violano i confini e gli
stereotipi, in modo tale da rilanciare l'interesse
dell'uditorio. La loro fenomenologia ci permetterà di
intravve- dere nello spartito narrativo i motivi funzionali
e ideologici soggiacenti alla scelta della loro messa in
scena, che riassumeremo nell'ultimo capitolo.
CAPITOLO 2: AGENTI DI
CONTRASTO

Molti agenti secondari vengono orchestrati come


contrasto (foil),0dotati di un faire-valoir per evidenziare,
mediante rifrazione, il carattere del protagonista o di altri
personaggi. Solitamente si tratta di una funzione
dialettica accordata ad agenti comprimari, 0 ma risulta
espletata anche da quelli di minor profilo come sparring
partner. Può declinarsi come un parallelismo di
confronto, una contestazione, un'accusa, un'obiezione, un

0
Cf. S. RIMMON-KENAN, Narrative Fiction: Contemporary
Poetics, London 1983, 70; A. BERLIN, Poetics and Interpretation of
Biblical Narrative (BLS), Sheffield 1983, 40. Il contrasto rientra
nella «legge degli opposti» citata da H. GUNKEL, Genesis (GHAT 1),
Gottingen 31910, XXXIX, nota 1. Si tratta di un fenomeno tipico
della letteratura colta e popolare; si pensi a Paride per Ettore, al
salumiere di Paflagone in Aristofane, a Gano per Orlando, a Pierre
et Jean in G. de Maupassant, a don Rodrigo per l'Innominato e don
Abbondio per fra Cristoforo nei Promessi sposi di Manzoni, a
Bernardo Gui per Guglielmo di Baskerville nel Nome della Rosa di
U. Eco.
0
Cf. J.-L. SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato».
Introduzione all'analisi dei racconti dell'Antico Testamento, Bologna
2012, 136, che cita Lot nei confronti di Abramo (Gen 13), Ruben
rispetto a Giuda (Gen 37; 42-43), Aronne verso Mosè (Es 32), Barak
rispetto a Debora (Gdc 4), Saul verso Davide (ISam 17), Orpa verso
Rut (Rt 1), Peninnà rispetto ad Anna (ISam 1), la sunamita rispetto a
Eliseo (2Re 4,8-37), Aman nei confronti di Mardocheo ed Ester.
test, o uno scontro di potenza/impotenza. Spesso
l'inserzione di tali agenti è l'espediente più semplice per
far parlare il protagonista per la prima volta nel racconto
in modo programmatico, destinato, in base alla regola
della prima impressione, a catturare l'attenzione del
lettore e a orientare la comprensione di quanto avverrà.0

1. Agenti di confronto (synkrisis)

Di solito contribuiscono a una synkrisis0 attori


secondari di una certa caratura rispetto a meri bozzetti.
Ne proponiamo alcuni esempi.
1.1. In 2Re 5, dopo un primo pannello che narra
della guarigione di Naaman dalla lebbra per opera del
profeta Eliseo (vv. 1-19), nel secondo l'introduzione di
Giezi, servo di Eliseo (vv. 20-27), è funzionale a esaltare
0
Sull'effetto narrativo di questa legge della psicologia della
percezione, cf. M. STERNBERG, Expositional Modes and Temporal
Ordering in Fiction, Baltimore-London 1978, 93-102.
0 4
Su questa tecnica di confronto frequente nella letteratura greco-
latina, cf. F. FOCKE, «Synkrisis», in Hermes 58(1923), 327-368; J.
DE ROMILLY, Pourquoi la Grèce, Paris 1992, 125-192. In ambito
biblico, cf. E.W. BULLINGER, Figures of Speech Used in the Bible,
Grand Rapids, MI 1968, 734; Y. ZAKOVITCH, «Assimilation in
Biblical Narrative», in H. TIGAY, Empirical Models for Biblical
Criticism, Philadelphia, PA 1985, 176-196.
la gratuità, onniveggenza e ubiquità del profeta (v. 26).0
Se Giezi viene menzionato solo ora, è perché è utile alla
strategia narrativa. Qui forse il suo nome (= «dagli occhi
fissi» o «gazzella») echeggia ominosamente la sua
avidità,0 alla stregua del servus currens et callidus nella
commedia greco-romana, in particolare aristofanesca.
Anziché dilungarsi su tali servi scafati,0 il racconto
biblico è più sobrio (solo sette versetti). Grazie al
monologo interiore,0 il lettore ascolta il riassunto
0
Aspetto segnatamente sviluppato da P.J. KISSLING, Reliable
Characters in the Primary History. Profile of Moses, Joshua, Elijah
and Elisha (JSOT.S 224), Sheffield 1996, 173.177; J. BAUMGART,
Gott, Prophet und Israel (ETS 68), Leipzig 1994, 202.
0
Cf. M. GÒRG, «Gehasi: Gazellenhirsch», in BN 56(1991), 15-
16, dopo una rassegna delle varie etimologie, propone «gazzella».
J.W. BERGEN, Elisha and the End of Prophe- tism, Sheffield 1999,
120, identifica Giezi con l'anonimo messaggero del v. 10, ma ciò
confligge con l'uso esplicito del suo nome nel ciclo di Eliseo.
0
Si pensi ad analoghi avidi servi come Strobilo (Aulularia) e
Stico in Plauto, Formio- ne in Terenzio, gli intriganti Sganarelle in
Molière, Frontin e Crispin in Lesage. Come tipi espressamente avidi
nella Bibbia, ricordiamo ad esempio Efron (Gen 23), Acan (Gs 7),
Eliodoro (2Mac 3), il ricco (Le 12,16s), Giuda Iscariota (Gv 12,6) e
Anania e Saffira (At 5).
0
Sulla tecnica di drammatizzazione introspettiva, cf. S. SCHOLES
- R. KELLOGG, The Nature of Narrative, New York, NY 1966, 177-
204; M. STERNBERG, «Between the Truth and the Whole Truth in
Biblical Narrative: the Rendering of Inner Life by Telescoped Inside
View and Interior Monologue», in Hasifrut 29(1979), 134-135; C.L.
MILLER, The Representation of Speech in Biblical Hebrew
Narrative. A Linguistic Analysis (HSMM 55), Atlanta, GA 1996, 81-
90; B. NIEHOFF, «DO Biblical Characters Talk to Themselves? Nar-
dell'accaduto, il «programma narrativo» che avvierà
l'azione e coglie l'antitesi caratteriale. Se Eliseo ha
rifiutato di prendere (lãqah) i doni da Naaman, giurando
nel nome di YHWH e dichiarandosi suo servo (vv. 16-
17), Giezi vuole prendere (lãqah) qualcosa, sicuro del
suo successo, ripetendo lo stesso giuramento, ma
evitando di menzionare il servizio.0 Egli è l'unico a
definire con disprezzo etnico Naaman («questo arameo»,
v. 20). La sua estorsione di regali con una notizia falsa 0 e
il loro occultamento (v. 24) forgiano una scena
preparatoria all'incontro con Eliseo (vv. 25-27), che
genera suspense nel lettore al corrente della truffa, ma
curioso di sapere se Giezi la farà franca. Con un inusuale
sintagma (wayya'àmòd 'el, v. 25), il narratore sembra pa-

rative Modes of Representing Inner Speech in Early Biblical


Fiction», in JBL 111(1992), 577-595. Invece è abbastanza rara nelle
saghe nordiche.
0
Notato da R. COHN, «Form and Perspective in 2 Kings V», in
VT 33(1983), 180. Per R.D. MOORE, God Saves. Lesson from Elisha
Stories (JSOT.S 95), Sheffield 1990, 80, «il non detto di Giezi, dice
molto», posizione seguita da J. KYOUNG KIM, «Reading and Re-
telling Naaman Story (2 Kings 5)», in JSOT 30(2005), 57.
BAUMGART, Gott, Prophet und Israel, 204, ravvisa nel giuramento di
Giezi un'ironica automaledizione.
0
Per altre false versioni, cf. Gen 12,8; 26,7-9; 27,19-24; 31,35;
37,20; 39,14-18; Gs 9,9-13; ISam 20,6.28; 21,3-4; 27,10-12; 2Sam
1; IRe 13,18.
rodiare il suo servizio come un'insubordinazione di un
servo israelita.0 Ciò fa spiccare la sincera sottomissione
del condottiero pagano Naaman, umile persino nei
confronti di un servo, allorché, contro le convenzioni,
scende dal carro per parlargli. 0 La cupidigia di Giezi è
agli antipodi del desiderio gratuito della schiava israelita
che aveva consigliato Naaman (v. 3), mentre ricalca la
vecchia logica del prendere di Naaman (v. 5), che il
narratore condensa in quattro verbi.0 La sua doppiezza,
rimarcata dal numero «due» (sette ricorrenze nei vv. 22-
24, in contrapposizione ai due muli su cui Naaman
trasporta la terra per il culto), viene smascherata da
Eliseo in un'ironica inclusione; se Giezi ha preso
0
Cf. T.R. HOBBS, 2 Kings (WBC 13), Waco, TX 1985, 66, che
cita ISam 17,51 e lo contrappone al sintagma più usuale di 'àmad
lipnè. In tal modo, secondo BAUMGART, Gott, Prophet und Israel,
202, «il narratore ha predisposto la situazione per far assistere
all'imitazione da parte di Giezi del ruolo del profeta e al simultaneo
abuso di tale ruolo». Cf. anche M. MULZER, «Gehasi», in M. GORG -
B. LANG (a cura di), Neues Bibel-Lexicon, Zurich 1991-2000,1, 760.
0
Per BERGEN, Elisha, 121, «Giezi rappresenta il lato oscuro del
ruolo profetico»; per BAUMGART, Gott, Prophet und Israel, 204,
«Giezi esteriormente agisce come un servo. Ma, interiormente, non
accetta più i valori normalmente garantiti dai servi. Il servo Giezi
vuole piuttosto gestire il ruolo di un padrone». Per altri esempi di
servi infedeli, cf. 2Sam 16,1-4; 2Re 12,19-21; 21,19-26.
0
COHN, «Form and Perspective in 2 Kings V», 182, nota che
l'assenza di complementi oggetto espliciti per i quattro verbi relativi
al bottino enfatizza la natura surrettizia delle azioni di Giezi.
qualcosa da Naaman, è stata la sua lebbra per sempre (v.
27; cf. v. 1). I vestiti estorti potrebbero rientrare nel
motivo sofocleo dei «doni funesti» (adora dora), come la
camicia di Deianira o di Medea. Il lettore competente
assimila Giezi a Miriam e Aronne, puniti per aver osato
usurpare l'autorità profetica di Mosè (Nm 12,9-10), o al
re Ozia, condannato per l'attentato a prerogative
sacerdotali (2Cr 26,16- 23).0 Esula dalla nostra indagine
un'analisi diacronica, ma è chiaro che questo pannello è
ben collegato al precedente, in un racconto ritenuto
tardivo per il lessico e per il tema dell'universalismo della
salvezza.0 Non sappiamo se la menzione dell'Ofel, dove
Giezi custodisce il suo bottino, sia un generico toponimo
samaritano, o invece riecheggi volutamente la collina di
0
Così J. ALVAREZ-BARREDO, Las Narraciones sobre Elias y
Eliseo en los Libros de los Reyes, Murcia 1996, 92; per altri racconti
di trasgressione punita, come ad esempio IRe 13,7-30; 2Re 1,2-17;
Nm 11,1-3, rinviamo a R.C. CULLEY, Studies in the Structure of
Hebrew Narrative, Philadelphia, PA-Missoula, MT 1976, 167-181.
Sulla lebbra quale segno di maledizione, cf. R.C. BAILEY, «"The
Shall Become as White as Snow": When Bad is Turned into Good»,
in Semeia 76(1996), 99-113.
0
Cf. tra altri H.C. SCHMITT, Elisa: traditionsgeschichtliche
Untersuchungen zur vorklassischen nordisraelitischen Prophetie,
Gutersloh 1972, 78-80; H.J. STIPP, Elischa -Propheten -
Gottesmànner (EOS), St. Ottilien 1987, 463.480; E. WURTHWEIN, Die
zweite Bucher der Kònige; 2 Kòn 17-2 Kòn 25 (ATD), Gottingen
1984, 366-368.
Gerusalemme (Is 32,14; Ne 3,26-27), come monito per
gli oblati del Tempio, a quanti erano preposti alla
gestione dei fondi nel periodo post-esilico di Neemia (cf.
2Re 12,7-16, un testo forse contemporaneo al nostro).
Un'altra sottile ironia verbale potrebbe affiorare nel
termine o/e/, che indica sia un tumore/escrescenza
epidermica, sia un agire arrogante e sconsiderato.0
1.2. In Gen 23 e 2Sam 24,18-25 due «gemelli»
distanti sono l'espediente per far risaltare la nobiltà del
protagonista in una scena convenzionale d'acquisto. Qui è
lo spazio a diventare l'«eroe del racconto», perché non è
soltanto il quadro, bensì l'«oggetto di valore» posto in
gioco.0 Il lettore può notare la differenza della modalità
scenica adottata, se la confronta con quella diegetica di
0
L'articolo è cataforico, indica cioè un luogo individuato da ciò
che segue e non da ciò che precede, come in Gen 16,7; Es 2,15;
28,11; Gdc 1,14; IRe 19,9. Cf. P. JOÛON - Y. MURAOKA, A
Grammar of Biblical Hebrew (SubBi 14.2), Roma 1993, § 137n. Per
il duplice senso, cf. HALAT, 814-815; C.F. BURNEY, Notes on the
Hebrew Text of the Book of Kings, Oxford 1920, 282. HOBBS, 2
Kings, 67, coglie il gioco verbale con l'omofono 'ofel = tenebra (così
LXX) a indicare dove precipita Giezi (come in Ger 2,5; Os 9,10; Am
9,13; cf. pure ME 5,13; Gv 13,30). Per MOORE, God Saves. Lesson
from Elis ha Stories, 82, serve ad attirare l'attenzione sulla bramosia
di Giezi.
0
Cf. J.-P. SONNET, «L'espace dans le récit de la Bible: repères
théoriques», pubblicazione on line sul sito del RRENAB
(http://www.unil.ch/rrenab), 4, che cita anche Gen 33,19; Ger 32,15.
un'analoga compravendita di terreno come quella tra
Omri e Semer in IRe 16,24. Quando Abramo chiede la
caverna di Macpela per seppellirvi Sara, per la prima
volta si autodefinisce come straniero {gér), l'unico nella
Genesi a essere definito con questo titolo. Per evidenziare
la sua disponibilità a pagare il prezzo intero della caverna
(w. 3.9) viene introdotto Efron l'Ittita, 0che, di sua
iniziativa, propone di cedere non solo la caverna, ma
anche il campo (v. 11). Il testo non spiega i sentimenti di
Efron, se avesse intuito l'esigenza di autonomia del
patriarca. 11 lettore può cogliere un'avidità più felpata
rispetto a quella di Giezi, quando Efron chiede il prezzo
esoso di quattrocento sicli;0 l'essenziale, però, è
0
Cf. R.R. LOSCH, All the People in the Bible. An A-Z Guide to
the Saints, Scoundrels and others Characters in Scripture, Grand
Rapids, MI 2008, 108; J.C. MOYER, «Ephron», in ABD, II, 558, fa
derivare il suo nome da 'pr = «cerbiatto».
0
Per R. ALTER, Genesis, New York-London 1996,110-111,
«L'apparente generosità di Efron è uno stratagemma per chiedere un
prezzo esorbitante. Forse Efron si riferisce alla proprietà come terra
{'erets), anziché come sàdeh, per fornire una mitigazione retorica
all'esosa somma». Cf. anche M. STERNBERG, «Doublé Cave, double
Talk», in J.P. ROSENBLATT - J.C. SITTERSON (a cura di), «Not in
Heaven». Coherence and Complexity in Biblical Narrative,
Bloomington, IN 1991, 28-57. Sul prezzo molto alto, pari al riscatto
regale, cf. E. CORTESE, «Abramo: Promessa della terra e morte fuori
dalla terra. Gen 23», in PSV 28(1993), 21-22, che ravvisa nel quattro
l'originario nome di Ebron, cioè Qiriat-Arba, «Città dei quattro». Cf.
anche F. GIUNTOLI, Genesi 12-50, Cinisello Balsamo 2013, 100-101.
drammatizzare la generosità di Abramo che, con un
acquisto imperituro,0 onora Sara, degna di un sontuoso
sepolcro. Sul piano giuridico, il narratore assicura che
Abramo non ha accettato né il comodato gratuito degli
ittiti (v. 6), né il dono apparente di Efron, ma che ha
pagato un prezzo sproporzionato. Inoltre, si evidenzia che
tale transazione non fu una questione privata, ma
avvenne alla presenza di tutta la gente.
L'altro gemello di contrasto è Arauna il Gebuseo 0
nei confronti di Davide, che vuole acquistarne l'aia per il
tempio di YHWH. Il testo biblico è asciutto e unilineare;
Flavio Giuseppe spiega il motivo per cui Arauna fu
risparmiato da Davide, lo descrive intento al suo lavoro e
informa che l'aia coincideva con il monte dell' 'Aqedàh di
Isacco.0

0
CF. G.J. WENHAM, GENESIS 16-50 (WBC 2), DALLAS, TX
1994,128; J. LIGHT, STORYTELLING IN THE BIBLE, JERUSALEM 1978,
20-23.
0
Per alcuni il nome è di origine ittita o hurrita, per altri è un
titolo generico di dignitario. Chiaramente nel testo è assunto come
nome, anche se nel v. 16 è preceduto da un articolo, forse un errore
scribale. Per il ventaglio delle ipotesi, rinviamo ad A.A. ANDERSON,
£ Samuel (WBC 11), Dallas, TX 1989, 286.
0
Cf. AG VIII, 330-334, che segue la tradizione di 4QSam a e di
lCr 21,20-25 (testo corrotto), dove appare l'angelo del Signore che
incute timore ad Arauna, mentre trebbia insieme ai suoi figli.
Diversamente da lCr 21, dove il prezzo s'impenna a
seicento sicli, qui Arauna è pronto a regalare
gratuitamente l'aia e le vittime sacrificali, ma la sua
profferta serve a esaltare l'incommensurabile rispetto di
Davide verso YHWH, poiché il re insiste nel voler
pagare cinquanta sicli, perché per Dio si deve spendere il
massimo (v. 24).
Ambedue i casi sono sfruttati per un'eziologia da
consegnare ai posteri;0 il primo localizza a Macpela la
tomba di Sara, come l'iniziale occupazione della terra
promessa da parte del patriarca, sviluppando la laconicità
di Gen 50,3; il secondo radica la fondazione dell'area del
tempio, confermata da lCr 22,1 e 2Cr 3,1, segno della
perenne alleanza con YHWH.
1.3. In Gn 1 sono attivati come contraltari i marinai
della nave su cui si è imbarcato Giona, dopo che questi
ha rifiutato la missione affidatagli da YHWH di recarsi a
Ninive per denunciarne la malvagità. Il lettore sa che
Giona fugge, ma ne ignora i motivi, perché questi è

0
Sull'importante funzione dell'eziologia nella narrazione
biblica, cf. P. GIBERT, Vérité historique et esprit historien.
L'historien biblique de Gédeon face à Hérodote: essai sur le principe
historiographique, Paris 1990, 69-76.
restato zitto. Il loro intervento s'inquadra verosimilmente
per fronteggiare la tempesta che squassa la nave, ma il
narratore li sfrutta al fine di far parlare per la prima volta
Giona. Dalle sue parole, il lettore evince la sua
permalosità e autoreferenzialità, che si paleseranno
appieno in Gn 4.
Per gli antichi, ogni cataclisma cosmico era da
attribuire a un intervento divino; i marinai ignorano chi
ne sia la causa, mentre il lettore sa che è YHWH.
Balzano tre ironie: l'antitesi dei marinai che si affrettano
a pregare mentre Giona dorme, come se fosse possibile
farlo, plastica inerzia che prolunga la sua fuga (v. 5); il
capociurma che rilancia le stesse parole con cui YHWH
aveva inviato Giona in missione (v. 2) e mostra rispetto
per il Dio del suo cliente (v. 6), mentre questi evita ogni
preghiera; i marinai che buttano a mare potenziali
zavorre, mentre tengono a bordo la causa del disastro.
L'interrogatorio dei marinai (vv. 8.10.11) può suonare
inverosimile per il tempo perso nella gravità della
situazione;0 in realtà esso serve a informare il lettore
0
Cf. M. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative.
Ideological Literature and the Drama of Reading (Indiana Literary
Biblical Series), Bloomington, IN 1985, 319; J.M. SASSON, Jonah,
riguardo al riserbo di Giona sul motivo della sua fuga da
Dio.0 Tale gap serve a tenerlo sulla corda sino al colpo di
scena finale, quando Giona svelerà i suoi sentimenti (4,2-
3).
Il dialogo concitato è un interludio preparatorio che
allontana il naufragio della nave da quelli omerici, dove
esteticamente prevale la bufera, come quella scatenata da
Poseidone contro Odisseo (Od. V, 282- 380), mentre qui
viene lasciata sullo sfondo per caratterizzare Giona. Egli
non risponde a tutte le domande dei marinai (vv. 8-9),
ma, per la legge dell'economia, si concentra sulla sua
fiera rivendicazione etnica e religiosa. La sua professione
di fede nel Signore, Dio del cielo, della terra e del mare, è
un esempio di ironia drammatica, perché cozza con la
pretesa di fuggire un Dio che travalica i confini etnici
d'Israele e controlla il vento e le onde (v. 9); nello stesso

Sheffield 1989, 113-114; C. REYNER, Tempêtes: quatre récits


bibliques, Paris 2010, 68-70.
0
Così S. BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOT.S 70),
Sheffield 1989, 87. Per SASSON, Jonah, 126, «il narratore attribuisce
ai marinai un interrogatorio che non può essere destinato soltanto
alle orecchie di Giona». Secondo P. BOVATI, Ristabilire la giustizia.
Procedure, vocabolario, orientamenti (AnBib 110), Roma 21997, 64,
quella dei marinai è una inchiesta, non un'esclamazione di orrore per
la sua fuga dal Signore, come asserisce invece SASSON, Jonah, 121.
tempo giustifica l'espediente del grosso pesce che
trasporterà Giona (2,1). Mentre i marinai vogliono vivere
e mostrano umanità nel salvargli la vita (v. 13), Giona
preferisce morire disinteressandosi di loro. Se essi
invocano YHWH, riconoscendone il misterioso disegno
(v. 14), Giona rifiuta di obbedirgli e, per ironia verbale, il
suo «timore» anziché «rispetto/venerazione», suona più
come paura.0 Il testo non si sofferma sulla psicologia dei
marinai, ma consegue esiti combinati secondo il patto
narrativo dietro cui si cela la provvidenza divina.
Dall'epilogo con il «grande timore» dei marinai che
offrono sacrifici a YHWH (v. 16), il lettore può giudicare
chi, tra loro e Giona, teme veramente YHWH e capire
che Dio parla anche tramite non-israeliti e le forze della
natura. Nella simmetria del libro, i marinai corrispondono
ai niniviti di Gn 3, caratterizzati dalla loro fede e dal loro
pentimento. Stavolta tocca a questi ultimi far emergere
nitidamente il motivo della riottosità di Giona alla

0
Evidenziato da B. COSTACURTA, La vita minacciata (AnBib
119), Roma 1988, 148- 150; B.A. STRAWN, «Jonah's Sailors and
their Lot Casting: A Rhetorical Critical Observation», in Bib
91(2010), 75-76; C. LICHTERT, Traversée du récit de Jonas
(Connaître la Bible 33), Bruxelles 2003, 18-20.
missione, cioè la sua paura della misericordia divina
estesa ai nemici più acerrimi d'Israele.0
1.4. Un altro personaggio di suggestivo contrasto è
Rispa, concubina di Saul,0 presente in due episodi che
vertono su un problema di Stato riguardante Davide.
Anche se non dirà una parola, il suo silenzio si traduce in
un'azione eloquente per il lettore. In 2Sam 3 appare una
semplice pedina passiva (v. 7), appiglio per l'azione che
blinda il passaggio del regno dalla casa del defunto Saul
a Davide (v. 10), prima della bocciatura finale di Mical
(2Sam 6). Rispa, per il suo status di ex concubina, è
trofeo inerme e ambito da Is-Baal, figlio di Saul, e da
Abner, generale di Is-Baal, in un conflitto di effetti, più
che di affetti. In tal modo il narratore può far ghignare il
lettore dinanzi alla codardia di Is-Baal e alla protervia di

027
Così LICHTERT, Traversée du récit de Jonas, 34: «Nel
racconto i niniviti hanno lo stesso statuto narrativo dei marinai del
primo episodio. Sono dei faire-valoir. Questo termine si rivela qui
paradossale, perché il valore di Giona è piuttosto in basso in questi
confronti».
0
Per D.V. EDELMAN, «Rizpah», in ABD, V, 776, il nome oscilla
tra i significati di «pietra ardente, carbone, pane cotto nella cenere»,
cf. BDB, 954; per ANDERSON, 2 Samuel, 56, potrebbe descrivere la
luminosità dei suoi occhi da bambina. Diversi commentatori
preferiscono non tradurre concubina, ma moglie legale di secondo
rango.
Abner, che sancisce platealmente il suo potere e la sua
ribellione ai Saulidi (cf. 2Sam 16,20; IRe 2,1). In questo
frangente, Rispa funge da maieuta per l'inettitudine di Is-
Baal a regnare e per la lungimiranza di Abner, il quale,
fiutando l'ascesa di Davide, cerca di mantenere la sua
carica per il futuro.
Rispa sparisce per lungo tempo, prima che la
strategia narrativa la recuperi in 2Sam 21 per uno snodo
in cui «deve» contrapporsi a Davide agli occhi del
lettore.0 In un antefatto che espone il problema di una
carestia causata da Dio, Davide cerca di fronteggiarlo
consultando un oracolo, che individua la causa nel
crimine di Saul contro i gabaoniti. Costoro gli chiedono
per vendetta di giustiziare i sette figli di Saul; Davide
consegna loro i due figli di Rispa e i cinque nipoti di
Merab.0 La menzione dei nomi dei figli di Rispa e non di
0
R.G. BRANCH, Jeroboam's Wife. TheEnduring Contributions of
the Old Testament's Least-Known Women, Peabody, MA 2009, 46,
nota: «Una donna coraggiosa, più matura e sicura di sé, rimpiazza il
personaggio più giovane, piatto e senza profilo di 2Sam 3». Poi a p.
49 sottolinea che «plausibilmente, a causa della sua nota affiliazione
e adesione alla casa sconfitta di Saul, si tratta di un'azione ribelle».
Cf. J. EXUM, «Rizpah», in Word e Word 14(1997), 260-264
0
Leggiamo Merab, emendando il TM che riporta il nome di
Mical, la quale, però, come vedremo a suo tempo, secondo 2Sam
6,23 non ebbe figli. Una tradizione rabbinica riportata da G.
quelli di Merab focalizza l'attenzione sulla prima. Tutti
costoro vengono giustiziati, ma restano insepolti (v. 9),
un'onta peggiore della morte nel mondo antico, perché
impediva al defunto l'accesso agli inferi, mentre la pietas
della sepoltura andava praticata anche verso il nemico.
Rispa qui si staglia come una sorta di Antigone biblica 0
marginale, non meno grande di quella sofoclea, anche se
in contesti differenti. Lei rimane più di sei mesi nel
medesimo posto per proteggere i resti dei figli, una
descrizione che non ha nulla da invidiare a Omero (II.
XXIII, 184s). Ciò mira a dare spicco alla reazione di
Davide che, all'opposto di Creonte n^WAntigone, dà una
sepoltura conveniente alle ossa di Saul e di Gionata,
insieme a quelle dei trafitti.0
BRESSAN, Samuele, Torino 1954, 690, spiega la contraddizione nel
senso che la madre era Merab, ma Mical li aveva allevati.
Sicuramente si tratta dell'amalgama di diverse tradizioni o c'è
probabile confusione tra i nomi delle due figlie di Saul (ISam
18,19.27).
0
Così la definiscono R. ALTER, The David Story. A Translation
with Commentary of 1 and 2 Samuel, New York-London 1999, 332,
che parla di «eroismo materno», e J.-L. SKA, Una goccia
d'inchiostro. Finestre sul panorama biblico (Collana biblica),
Bologna 2008, 168. B. BAENTSCH, David und sein Zeitalter, Leipzig
1907, 184, preferiva definirla «Niobe israelita», ma anche qui tempi
e contesti sono diversi.
0
II TM presenta un'ellissi perché cita soltanto Saul e Gionata,
ma non esclude dall'inumazione i trafitti del v. 13, esplicita invece
La risoluzione del dramma dietro il politicali])
correct di Davide è opera del religious correct di Rispa.
Grazie alla sua tenacia, il re può ammansire YHWH (v.
14) e colmare l'omissione scandalosa della mancata
sepoltura dei Saulidi. Il lettore è invitato a pensare da un
lato a Rispa che, senza più riferimenti nella vita, non
reagisce, ma nel silenzio si dimostra più alta e più nobile
del re,0 e dall'altro a Davide, ambiguo tra la soddisfazione
dell'eliminazione dei saulidi e il suo tacito
riconoscimento di questo atto di pietà.

2. Contestatori

Si tratta di agenti di contrasto plasmati nel ruolo di


contestatori utili a focalizzare il problema cruciale di una

nei LXX. Secondo ISam 31,12, i cadaveri vennero cremati, mentre


qui si parla di ossa, probabilmente a causa della conservazione di due
tradizioni diverse.
0
Cf. SKA, Una goccia d'inchiostro, 172: «Rispa personifica la
vittima di decisioni senza dubbio legittime, forse persino necessarie,
ma che vanno a scontrarsi con il "diritto" iscritto nel suo esser madre
[...]. Nessun lettore in nessun'epoca può restare indifferente davanti
alla nobiltà d'animo di una madre che deve vivere la prova più
crudele che le possa essere inflitta».
scena o di un intero ciclo, in modo da indurre il lettore, o
a dirimerlo o a raccoglierlo come chiave interpretativa.
2.1. In Es 2,11-15, un breve flash inscena due
conflitti. Nel primo, narrato diegeticamente, troviamo
Mose che uccide un egiziano che stava colpendo un
ebreo e la sua segreta sepoltura. Il secondo, tra due ebrei,
serve a far parlare per la prima volta Mosè nel suo
rimprovero al colpevole. Il testo stilizzato non indica il
luogo, non motiva l'intervento di Mosè, né come abbia
capito chi dei due avesse torto, né come l'interlocutore
fosse a conoscenza dell'omicidio del giorno precedente.
La tradizione rabbinica identificherà i due ebrei litiganti
con Datan e Abi- ram, ma si tratta di espansioni tardive; 0
per l'intervento, è probabile pensare che Mosè fosse
cosciente della sua identità ebraica (per due volte si parla
di fratelli, v. 11).0 Il punto essenziale è la domanda con
0
Cf. EsRab 1,27-31, partendo dai due malvagi di Nm 16,25; cf.
anche J. HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13 (HCOT), Kampen 1993, 302.
0
Anche se il testo non offre risposte, è difficile pensare che
Mosè la ignorasse, come propongono G.F. DAVIES, Israel in Egypt:
Reading Exodus 1-2 (JSOT.S 135), Sheffield 1992, 129, e J.S.
ACKERMAN, «The Literary Context of the Moses Birth Story
(Exodus 1-2)», in K.R.R. GROS Louis (a cura di), Literary
Interpretations of Biblical Narratives, Nashville, TN 1974, 97-98.
Tuttavia per Ackerman «se anche Mosè avesse saputo che gli ebrei
erano suoi fratelli, egli non era diventato un ebreo [...]. Il sangue
cui il colpevole lo redarguisce: «Chi ti ha posto come
principe e giudice su di noi?» (v. 14).0 Più che a Mosè, la
domanda è rivolta al lettore, su quali saranno le
intenzioni e il ruolo di Mosè, e preparandolo all'av-
ventura dell'esodo. Tale contestazione sancisce una
triplice débàcle di Mosè: il rifiuto della sua solidarietà, la
fine della sua carriera egiziana e la fuga, la contestazione
della legittimazione dell'autorità di Mosè sugli israeliti,
che è la vera posta in gioco. Il lettore è così interpellato a
chiedersi se il movente di Mosè sia la smania di potere e
quale sarà la sua sorte. Non tarderà ad accorgersi che si
tratta solo della prima delle ripetute contestazioni di
autorità da parte degli israeliti che Mosè dovrà
fronteggiare nel corso di tutta la sua missione. Il
prosieguo attesterà che è lo stesso YHWH a costituirlo

ebraico e l'allattamento materno non bastano. Solo attraverso il


provare compassione per gli oppressi e agire in loro favore egli può
identificare se stesso come ebreo».
0
Per il senso giuridico dell'espressione, cf. BOVATI, Ristabilire
la giustizia, 285-286; DAVIES, Israel in Egypt, 119. V.P. HAMILTON,
Exodus, Grand Rapids, MI 2011, 28, sintetizza le principali
traduzioni della domanda in ebraico: a) «0 uomo, chi ti ha posto
come giudice e capo su di noi?»; b) «chi ti ha posto come
governatore, principe e capo su di noi?»; c) quella più semplice, da
noi riportata, ritenendo principe e giudice un'endiadi, come 2Cr 1,2;
Pr 8,16; Am 2,3; Mi 7,3.
«capo e giudice» d'Israele (cf. Es 18,13-27, e legislatore
in Es-Dt). Questo flash non sarà più ricordato in seguito
né tra gli ebrei né alla corte del faraone e suggerisce la
sua autonomia e la sua aggiunta tardiva. Ciò che conta, è
dimostrare al lettore che Mosè ha definitivamente
mozzato i suo legami con l'Egitto. Il successivo episodio
del salvataggio delle ragazze madianite confermerà il suo
disinteresse e la sua solidarietà con ogni oppresso.
2.2. In Gdc 9,26-41, tra i vari nemici di Abimelec,
aspirante re, un contestatore che gioca come antagonista
è Gaal,0 presentato con uno spessore maggiore rispetto al
suo analogo Seba contro Davide (2Sam 20,1-22).
L'episodio appare un'inserzione0 priva di antefatti e con-
seguenze, e la storia regge anche senza l'intervento di
0
Per A. PENNA, Giudici e Rut, Torino 1963,152, e R.G.
BOLING, Judges (AB 6A), New York 1975, 176, seguiti da molti, la
vocalizzazione masoretica del nome del padre Obed in Ebed =
schiavo aggiungerebbe una nota di disprezzo. Per T.C. BUTLER,
Judges (WBC 8), Nashville, TN 2009, 245, induce il lettore ad
aspettarsi il peggio. Invece M. GARSIEL, Biblical Names. A Literary
Study of Midrashic Derivations and Puns, Ramat Gan 1991, 55-57,
coglie l'assonanza con ga'al (riscattare).
0
Così P. ABADIE, Insoliti eroi. Teologia e storia del libro dei
Giudici, Bologna 2012, 116-117, che lo ritiene un midrash tardivo, il
quale rifletterebbe le lotte all'epoca della ricostruzione del secondo
tempio: dietro Gaal ravvisa gli avversari di Neemia, dietro Zebul lo
stesso Neemia, dietro Abimelec Artaserse II e dietro i sichemiti
l'aristocrazia terriera di Giuda pronta a lasciarsi sedurre.
Gaal. Nel testo attuale, la repentina messa in scena di
Gaal risponde alla duplice necessità drammatica di
attuare la maledizione di Iotam contro Abimelec (vv.
20.57) come a quella divina di far ricadere su di lui e sui
signori di Sichem il massacro dei figli di Ierub-Baal (v.
24).0 Solo il lettore sa che YHWH ha già preparato il
terreno, inviando uno «spirito cattivo» per scindere
l'alleanza tra Gaal e Abimelec (v. 23). La
caratterizzazione di Gaal è ritagliata per agevolare la
ribellione dei sichemiti. Il suo nome (gaal =
detestare/respingere) sembra un nomignolo, ma può
riepilogare l'intreccio. Se l'ipotesi di una sua
appartenenza all'aristocrazia sichemita è plausibile, la
fuga del suo clan in esilio non è suffragata dal testo. Ciò
che conta è la rivendicazione della sua origine sichemita
(v. 28) per farsi accettare dai suoi concittadini contro la
purezza di sangue millantata da Abimelec (cf. 8,31; 9,3).
L'antagonismo tra i due è calibrato dalla simmetria delle
loro introduzioni (Gdc 9,1-3.26-29). Entrambi si

0
Secondo D.I. BLOCK, Judges-Ruth (NAC), Nashville, TN
1999, 327, «è difficile evitare la conclusione che nella mente del
narratore quest'uomo rappresenta la mano occulta di Dio, il
catalizzatore mediante cui si adempirà la maledizione di Iotam».
presentano a Sichem spalleggiati dai loro fratelli,
riscuotono il favore dei maggiorenti con un'arringa che
s'impernia sull'aspirazione a regnare da soli sui sichemiti.
La sfida si arricchisce del doppio gioco di Zebul,
governatore della città, che segna l'ago della bilancia,
avvisando Abimelec (v. 32).
Va notato che qui sono i personaggi secondari a
fare la parte del leone, perché solo essi parlano, mentre
Abimelec resta zitto. Gaal sfodera una demagogia più
sfacciata di quella di Assalonne (2Sam 15,4), mentre è
Zebul l'ufficiale che suggerisce l'imboscata al suo
signore. Questa suspense, per cui il lettore curioso gode
di un orizzonte che abbraccia gli accampamenti dei rivali
alternando gli sguardi, crea progresso e tensione tra
l'inizio spavaldo e la sconfìtta di Gaal atterrito. Senza
questo episodio, non sarebbe emersa l'ingenuità di Gaal
rispetto alla scaltra tempestività di Zebul e alla migliore
organizzazione di Abimelec, che sembrano rappresentare
l'istituzione della regalità nel libro dei Giudici che ne
avverte come problematica l'assenza. Se il narratore ha
giocato sui nomi, Gaal il «detestabile o che respinge»
appare un fautore di scissione contro Abimelec, «mio
padre è re», e di riflesso contro Zebul «il principe», quasi
un anticipo delle recriminazioni degli israeliti a Sichem
(IRe 12,16). Mentre i sichemiti palesano la loro
inclinazione a salire sul carro dei vincitori, Gaal non è
che un miles gloriosus smentito da Zebul (v. 38) e
codardo quando si vede spacciato. Prima di sparire per
sempre, è suggestiva, perché rara, la sua visione
perturbata dell'ombra di monti in discesa (v. 36), che non
ha nulla da invidiare alla foresta che cammina del
Macbeth di W. Shakespeare. Nel nostro racconto, però,
ha la funzione di contrappasso; come i sichemiti avevano
attaccato proditoriamente i viaggiatori dalle «cime dei
monti» (9,25), sono vittime dell'agguato di Abimelec
dalle «cime dei monti» (v. 36).0
2.3. In ISam 2,12-17 la tecnica del contrasto
cambia, perché da episodio singolativo diventa iterativo0

0
T.J. SCHNEIDER, Judges, Collegeville, MN 2000, 143, e
BUTLER, Judges, 244, notano come questa vendetta che legittima il
leader di turno sia un motivo saliente per quanto concerne i
protagonisti del libro dei Giudici.
0
Sulla tecnica iterativa, che serve da retroterra, cf. G. GENETTE,
Figures, Paris 1972, III, 145-182; SKA, «I nostri padri ci hanno
raccontato», 45-47. Altri esempi: Gen 29,3; Gdc 6,3-5; ISam 1,2-7;
2,22; 2Sam 12,3; 2Re 4,8; Gb 1,3-5; cf. anche Es 13,21; 33,7-11;
Nm 9,17-23; 2Sam 13,18; Est 2,14; ecc.
e inculca nell'uditorio gli abusi pervicaci del
servo/ragazzo (na'ar) rappresentante dei figli di Eli, ogni
qual volta un qualsiasi offerente offriva il proprio
sacrifìcio (vv. 13b-16). Il narratore poteva sintetizzarli
nel «disprezzo di YHWH» e nell'ironica allitterazione
«figli di Eli» {bene 'eli) e «scellerati» (bene beliyya'al)0
dei vv. 12.17; invece li rimpolpa epesegeticamente per
offrire in moviola al lettore la prepotenza di arrogarsi la
parte di grasso che spettava unicamente a YHWH (cf. Lv
7,29-36; Nm 18,17-18; Dt 18,1-3). La descrizione degli
utensili sacrificali è incerta e insolita, quasi a voler
inglobare ogni genere di offerta, così come il rifiuto del
servo di rispettare la prassi rivela la smania ingorda dei
figli di Eli.0 La funzione di contrasto di questa scena
preparatoria si estende, perché il servo/ragazzo (na'ar)
anticipa l'antitesi tra i ragazzi di Eli (,ne'àrim, cf. v. 17) e
il ragazzo (na'ar) Samuele, che agisce con rettitudine (v.

0 42
Cf. J.A. EMERTON, «Sheol and the Sons of Belial», in VT
37(1987), 214-218, li collega alla morte e allo sheol; cf. B. OTZEN,
«Belijja'al», in TWAT, I, 654-657. Curiosamente, la stessa accusa di
appropriarsi delle carni di sacrifici tra gli altari verrà imputata a
Vitellio, noto imperatore crapulone, da SVETONIO, Vita dei Cesari
VII, 13.
0
Notato da ALTER, The David Story, 12, che chiosa: «Questo
senso è sottolineato dall'aggressività del dialogo».
18), come pure motiva la condanna degli Elidi, rei di
essersi ingrassati a danno del popolo e di Dio (v. 29). R.
Polzin propone di vedere in loro un anticipo dei futuri re
d'Israele, la cui malvagità provoca YHWH a cambiare il
corso degli eventi.0
2.4. In ISam 17,28-30, nel corso della battaglia
degli israeliti contro i filistei, la messa in scena di Eliab
che rimprovera il fratello Davide per essersi avventurato
nell'accampamento sfrutta il motivo folklorico del
giovane più valente dell'anziano (v. 13),0 al fine di
preparare, secondo le convenzioni narrative, il fatidico
esordio pubblico di Davide, che culminerà
nell'abbattimento del gigante Golia nella celebre sfida.
Diversi commentatori ravvisano un richiamo
intertestuale di ISam 17 con i duelli omerici tra eroi
troiani e achei dell'Iliade; altri, più convincentemente,

0
Cosi R.M. POLZIN, Samuel and the Deuteronomist: a Literary
Study of the Deuteronomio History. Part Two: 1 Samuel, San
Francisco, CA 1989, 45-48, spingendosi a postulare un'anticipazione
critica che presenta la futura monarchia come la continuazione del
sacerdozio.
0
Cf. H. GUNKEL, Das Màrchen imAlten Testament, Tubingen
1917, 122; H.J. STOE- BE, Das erste Buch Samuelis (KAT VIII/1),
Gutersloh 1973, 328.
intercettano quello tra Gilgamesh e Humbaba.0 Ma
l'elemento che distanzia dai canoni epici il nostro
racconto è l'intervento della figura secondaria di Eliab a
rimproverare o scoraggiare il protagonista.
Alla luce di ISam 16, i commentatori si sono
interrogati sul senso della rampogna di Eliab, che taccia
Davide di noncuranza del gregge, di boria, malizia e
curiosità (v. 28). Alcuni la spiegano diacronicamente
come la prova dell'originaria indipendenza di ISam 17,
poiché se Eliab avesse saputo dell'unzione di Davide non
avrebbe trattato così il futuro re, mentre per altri è
un'aggiunta tardiva.0 Sincronicamente, per taluni0 Eliab si

0
Cf. S. FROLOV - A. WRIGHT, «Homeric and Ancient Near
Eastern Intertextuality in 1 Samuel 17», in JBL 130(2011), 466-470.
0
Così P.K. MCCARTER, 1 Samuel (AB 8), Garden City, NY
1980, 306-309; D. BARTHÉ- LEMY - D.W. GOODING - E. Tov (a cura
di), The Story of David and Goliath. Textual Literary Criticism
(OBO 73), Gòttingen 1985, 334-336; A.F. CAMPBELL - M. O'BRIEN,
Unfolding the Deuteronomistic History: Origins, Upgrades, present
Text, Minneapolis, MN 2000, 249-251.
0
A. WENIN, David, Goliath et Saul. Le récit de 1 Sam 16-18,
Bruxelles 1997, 51, propende per un Eliab che si sente accusato di
paura, ma ammette che «a dire il vero, sono possibili parecchie
spiegazioni». Secondo D.T. TSUMURA, The First Book of Samuel
(NICOT), Grand Rapids, MI 2007, 455, «Eliab [...] era infastidito,
non ingelosito dalla condotta del suo fratello più giovane». Per
ALTER, The David Story, 105, l'espressione «poche pecore» e il
ridondante pronome «io» svelano un certo disprezzo di Eliab verso
Davide.
adira perché Davide scopre la sua codardia, e la sua
invidia sarebbe come quella dei fratelli di Giuseppe (Gen
37,4.5.11); qui però si parla solo di ira, non di odio. Per
altri, Eliab vorrebbe tutelare da morte il fratello
inesperto, ma, di fatto, non gli ordina di trovare riparo.
Per Anthony Campbell,0 va accantonata l'oleografìa
comune di Davide pastorello (cf. vv. 34-36); se però lo
era, Davide si mostrerà un veterano a differenza del
riluttante Ieter (Gdc 8,20).
Ammettendo la plausibilità di una tradizione
distinta, sia per la «legge della conservazione» dei testi
come plurali irriducibili, sia per il gusto della paratassi
episodica, nel racconto attuale l'interferenza di Eliab è un
«ritardo nel ritardo» preparatorio (vv. 23-27) che
risponde all'esigenza scenica di creare tensione, ma
soprattutto di dipingere un ritratto positivo di Davide. La
sua prospettiva di avvocato del diavolo cozza con quella
già offerta dal narratore e serve a drammatizzare la buona
disposizione d'animo di Davide, mettendo il lettore in
grado di smentire il suo rimprovero, poiché è già al
0
Così A.F. CAMPBELL, 1 Samuel (FOTL 7), Grand Rapids, MI
2003, 171-172; 180- 181, contro l'icona tradizionale difesa, per
esempio, da MCCARTER, 1 Samuel, 297.
corrente che Davide ha affidato il gregge a un altro e si è
recato al campo obbedendo a lesse (v. 20). La strategia
narrativa richiedeva il suo arrivo per orientare la storia
verso l'esito cercato. Nel contempo, le parole di Eliab
segnano, nell'arco del racconto iniziato in ISam 16, un
discrimine tra il passato di Davide e un oggi pregno di
futuro (v. 46).
Dopo il suo sasso nello stagno, che desta circoli di
emozioni, Eliab sparisce; la scena preparatoria si
prolunga in altre successive, innescando la suspense se
Davide lo ascolterà, se cercherà il premio che spetta al
vincitore di Golia, trionfo che convenzionalmente il
lettore pregusta, ma anche la curiosità di sapere in che
modo lo farà, prima della sorpresa finale.
2.5. All'inizio della carriera regale di Saul e Davide
la drammatizzazione del carattere dei protagonisti è
realizzata tramite la valutazione di individui definiti
«scellerati» (bene beliyya'at). Tale qualificazione
anticipata, mediante la quale il narratore fa capire da che
parte sta, è un incentivo per un'empatia pilotata, anche se
con riflessi diversi nei rispettivi cammei.
In ISam 10,17-27, dove Saul, mediante sorteggio
divino, è designato re a Mispa, l'episodio si chiude con
individui maldisposti che mettono in discussione
l'elezione regale di Saul, formulando una sprezzante
domanda retorica («Che aiuto potrà mai darci costui?», v.
27), senza offrirgli, secondo l'abituale protocollo, nessun
dono (cf. Gdc 3,15; 8,22). La tradizione rabbinica
spiegherà il termine «perversi» con «senza giogo» (beli
o/), per indicare la loro assenza di regole. Per diversi
esegeti, costoro molto probabilmente erano figli di
Samuele, il che spiegherebbe perché il popolo domanda
al profeta e non a Saul di giustiziarli (11,12) e perché lo
stesso Saul non lo abbia permesso (stando al TM), una
clemenza ricompensata da Samuele con l'inaugurazione
del regno (11,13). Questo però manca di fondamento,
perché il testo non identifica i personaggi come ha fatto
in ISam 8,2. Neppure si specifica se si tratta di riserve
sulla persona di Saul, o, molto più probabilmente,
sull'istituzione monarchica in quanto tale
(10,25.27).0L'aspetto saliente è inoculare nel lettore la
0
Come notano CAMPBELL - O'BRIEN, Unfolding the Deuteronomistic
History, 244, «Ciò che ora è eresia - il rigetto di un re (11,12) - prima
era ortodossia agli occhi di Samuele (8,6a)». Si può anche
domanda se Saul sarà davvero un re idoneo per Israele,
ponendolo dinanzi alla scelta tra la massiccia risposta
positiva - supportata dall'elezione di YHWH, dalla
sponsorizzazione di Samuele, dalla conferma del
sorteggio e dall'acclamazione del popolo - e la loro secca
voce fuori dal coro (v. 27). Quest'ultima viene sviluppata
diegeticamente da Flavio Giuseppe:
Saul partì per Gabatha, donde era nativo. Lo
accompagnavano molte buone persone, per fare gli onori
dovuti al re. Ma i più erano tristi, avendo di lui poca
stima; ridevano degli altri, non gli offrivano doni, né si
davano pena o cura di accattivarsi il favore di Saul (,AG
VI, 67).
La funzione di questi perversi detrattori è anche
quella di mettere in risalto il gruppo dei valorosi che
aderiscono a Saul «toccati da Dio nel cuore» (v. 26).0

aggiungere che se fossero stati i figli di Samuele, la loro


denigrazione sarebbe stata assai più criminale, in quanto proferita da
giudici d'Israele e non da chiunque.
0
Per BRESSAN, Samuele, 177, i detrattori «sono gli immancabili
malcontenti, forse frodati di una superba speranza a lungo cullata in
segreto»; poi attribuisce all'espressione «uomini di valore» una
connotazione non solo di forza, ma anche di integrità morale, citando
l'immagine di Gilgamesh «toccato nel cuore», a indicare persone
incoraggiate.
Diacronicamente, la frizione tra i due partiti viene
spiegata con l'amalgama di una tradizione filo-
monarchica e di una antimonarchica, quest'ultima ascritta
al tardo periodo esilico o post-esilico.0 Nel racconto
attuale, di primo acchito serve a smentire i sospetti
sull'inadeguatezza di Saul (ISam 9,1-5.21; 10,22) con il
suo trionfo sugli ammoniti e l'esaltazione della sua
magnanimità verso i detrattori, consona alla sua dignità
regale (ISam 11,12-13). Tuttavia, riletta alla fine,
risulterà una sorta di «profezia di Cassandra»,0 visto
l'esito disastroso del regno di Saul, nella sua involuzione
dalla magnanimità alla crudeltà verso i suoi avversari; a
mo' di Janus bifrons, si attesta che Saul è stato l'uomo
delle occasioni perdute.

0
Cf. F. CRÙSEMANN, Der Wider stand gegen das Kònigtum. Die
antikónigliche Texte des Alten Testament und der Kampf um den
frilhen israelitischen Staat (WMANT 49), Neukirchen-Vluyn 1978,
54-60; R. MÙLLER, Kònigtum und Gottesherrschaft. Untersu-
chungen zur Alttestamentlichen Monarchiekritik (FAT 2.3),
Tubingen 2004, 169-176.
0
Per STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 219, si tratta di
inadeguatezza. Nota argutamente D.J. MCCARTHY, «The
Inauguration of Monarchy in Israel. A Form-Critical Study of I
Samuel 8-12», in ID., Institution and Narrative. Collected Essays
(AnBib 108), Rome 1985, 411: «Dal timbro delle cose ci si potrebbe
persino chiedere se gli oppositori di Saul in 10,27 non siano nel
giusto!».
In ISam 30,21-25 ritroviamo altri scellerati come
contestatori (v. 22), stavolta introdotti come facile
espediente per destare nel lettore ammirazione e simpatia
verso Davide. Costoro sono caratterizzati ad hoc: hanno
partecipato alla battaglia contro gli amaleciti (ISam 22,2)
e, pertanto, rivendicano il bottino pretendendo di
escluderne coloro che nella battaglia erano rimasti
inattivi (vv. 10.22). Il narratore non intende offrirci un
loro ritratto psicologico, come sostengono alcuni, anche
se la fraseologia lascia intravedere caratteri di
individualismo, brutalità e avidità.0 Più determinante è
sfruttarli come cartine al tornasole per esaltare l'equità, la
diplomazia e la capacità organizzativa militare di Davide;
egli fa indirettamente apprezzare il lavoro in retrolinea di
chi ha sorvegliato i bagagli, permettendo ai combattenti
di attaccare senza sovraccarichi. Il lettore pertanto sa che

0
Nel TM il singolare 'itti non va emendato in un plurale
'immànu, perché talvolta singolare e plurale si alternano; per
BRESSAN, Samuele, 446, questo singolare rivela l'unanime
individualismo dei contestatori; per J. MAUCHLINE, 1 and 2 Samuel
(NCB), London 1971, 188, essi esigono una selezione militare del
gruppo, perché gli inattivi non sono stati all'altezza del
combattimento (v. 21); ALTER, The David Story, 187, ravvisa la
brutalità nell'uso del verbo «condurre» (nàhag) del v. 23, solitamente
riservato al bestiame.
Davide anticipa tutti i requisiti primari di un re, 0 e può
riascoltare l'episodio immortalato in modo proverbiale
come «usanza in Israele» (v. 25).
2.6. In Gdc 14,2-4 la critica dei genitori a Sansone,
che vuole sposare a tutti i costi una filistea, è un cammeo
che appare programmaticamente la chiave interpretativa
della sua storia e della sua indole. Diversamente da altri
giudici protagonisti, Sansone non inizia con un'impresa
pubblica in favore d'Israele, ma con un affare di
cuore.0Abbiamo qui il conflitto di due punti di vista: il
primo è quello esoga- mico di Sansone, il secondo è
quello tradizionalmente endogamico dei genitori.
L'alterco offre al narratore l'occasione di far parlare per la
prima volta Sansone e, come detto, le prime parole
tradiscono il carattere di un personaggio. In tal modo,
Sansone si profila come un tipo unidimensionale,
capriccioso, testardo, un po' guascone. Il rimprovero dei
genitori è il medesimo del narratore, che drammatizza
Sansone come infatuato sempre di donne «sbagliate».
0
Insistono su questa dimostrazione dei requisiti di leader
STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 515, e ALTER, The David Story,
188.
0
Cf. G. MOBLEY, Empty Men: The Heroic Tradition of Ancient
Israel, New York, NY 2005, 184-185; BUTLER, Judges, 331-332.
Oltre al fatto che dietro alla voce dei genitori sembra
celarsi quella della letteratura sapienziale, contraria ai
matrimoni con non israeliti, l'aggravante è che Sansone
contravviene al suo stato di nazireo. 0 S'inaugura così la
prima di una serie di liaisons dangereuses in cui Sansone
si dimostra ogni volta incapace di trarre le conseguenze
dai propri errori sentimentali.0
Tra il punto di vista di Sansone e quello dei genitori
si interseca quello divino, anticipato al lettore
privilegiato, per cui il rifiuto di Sansone è una scorciatoia
inopinata scelta da YHWH per provocare la lotta
strutturale tra lui e i filistei (v. 4), come avverrà in Gdc
15.0 Senza questo episodio, il lettore non avrebbe fruito
0
Così SCHNEIDER, Judges, 205: «Proprio la cosa che Sansone
perseguiva era ciò che la divinità aveva esplicitamente proibito agli
israeliti: il matrimonio misto»; seguito da BUTLER, Judges, 332.
M.Z. BRETTLER, The Book of Judges, New York, 2002, 51, rimarca
la polemica sapienziale contro la donna straniera di Pr 1-9.
0
Rimarcano le pulsioni di Sansone ad esempio S. NIDITCH,
Judges: A Commentary (OTL), London-Philadelphia, PA 2008, 154;
W. VOGELS, Samson. Sexe, Violence et Religion. Juges 13-16,
Ottawa 2006, 67-68; in modo più complesso D. LUCIANI, «Samson:
l'amour rend aveugle», in VT 59(2009), 323-327.
0
Ben evidenziato, tra altri, da S.J. FORSTER, «Judges 14:4.
Yahweh uses Samson to provoke the Philistines», in OTE 25(2012),
292-302; J.B. VICKERY, «In Strange Ways: The Story of Sanson», in
B.O. LONG (a cura di), Images of Man and God: Old Testament
Short Stories in Literary Focus, Sheffield 1981, 58-73, e R. RYAN,
Judges, Sheffield 2007, 106.
di uno squarcio sulla prassi matrimoniale in voga,0
condito da uno sprezzo sciovinista verso gli incirconcisi
filistei, con l'intento di neutralizzare una potenziale
assimilazione israelita alla società filistea che esercitava
un'indubbia attrazione.
2.7. In ISam 23,1-5 sono gli uomini di Davide a
essere attivati nel ruolo di contestatori, per far risaltare la
sua totale fiducia nel Signore. Costoro, infatti, paventano
l'attacco ai filistei che saccheggiano Keila come un
cadere dalla padella (Saul) alla brace (i filistei); inoltre,
trattandosi di una città di confine, forse persino
autonoma, la difesa di Keila non valeva la pena. 0 Il testo
rende partecipe il lettore del dilemma tra ascoltare, come
Davide, la voce del Signore, che assicura la certezza del
trionfo (v. 2), oppure quella del popolo, che ragiona
secondo criteri di comprensibile prudenza. La tensione si
acuisce, anche perché non c'è l'abituale coincidenza tra
vox populi e vox Dei. Il testo non appura la tecnica della
0
Cf. R. DE VAUX, Institutions de VAncien Testament, 2 voli,
Paris 21967, I, 52.56; A. TOSATO, Il matrimonio israelitico (AnBib
100), Roma 1982, 113.
0
Per CAMPBELL, 1 Samuel, 240, «l'obiezione sollevata dagli
uomini di Davide chiarisce che le probabilità si accumulano contro
un successo!». Sulla pericolosità di Keila, cf. ALTER, The David
Story, 141.
consultazione che il lettore può ravvisare neWefod
successivamente citato nel v. 9 - probabilmente
un'aggiunta epesegetica.
L'essenziale sul piano drammatico è costruire una
scena preparatoria dai molteplici esiti. Il testo predispone
anzitutto il lettore a un processo di veridizione di come
Davide, contro ogni ragionevole pronostico, coglie il
successo nell'affìdarsi alla volontà di Dio. Inoltre,
presenta una spiccata differenza tra Davide e Saul:
quando si tratta di scegliere tra la voce di Dio e quella del
popolo, Davide opta sempre per la prima, mentre Saul
per quella umana (cf. ISam 14). Se Saul ha
precedentemente soppresso 85 sacerdoti dotati di efod,
qui è la parola del Signore a riportare la vittoria,
caratterizzando YHWH come il comandante di un
esercito (cf. ISam 14,37; 15,1-3; 28,19; Gs 6,2). Dio
risponde sempre a Davide, mentre resterà in silenzio con
Saul dopo averlo rigettato (ISam 28,6.16), lasciando che
Samuele gli risponda con l'ultimo oracolo di disfatta e di
morte. La difesa di Keila prepara anche il prosieguo della
storia, poiché innesca la reazione di Saul contro Davide,
con un inseguimento destinato a fallire per far emergere
la protezione assoluta di YHWH del suo nuovo
consacrato.
2.8. In 2Sam 6,12-23 il ruolo di contestatrice è
accordato a Mical, la figlia più giovane di Saul, una delle
mogli di Davide.0 Il suo nome abbreviato, che significa
«chi è come Dio?», potrebbe risuonare ironico alla luce
della contrapposizione che Davide fa tra l'onore prestato
a Dio e la scala di valori di Mical. Pur secondaria, essa
appare ben sette volte, dando continuità a episodi
probabilmente in origine autonomi, in una «storia
frammentata», che la vede una donna-oggetto funzionale
alla trama. È un cavallo di Troia che Saul e Davide
noleggiano per i rispettivi intenti: Saul ne fa l'esca per far
perire il rampante Davide con un tranello, mentre Davide
la sfrutta come l'occasione per diventare suo genero e
aspirare al regno. Straordinariamente, abbiamo l'unico
0
La bibliografìa su Mical è nutrita; rinviamo, tra tanti, a H.J.
STOEBE, «David und Mikal. Uberlegungen zur Jugendgeschichte
Davids», in ID., VOTI Ugarit nach Qumran. FS. Eissfeldt (BZAW
77), Berlin 1958, 224-243; A.J. CLINES - T. ESKHENAZI (a cura di),
Telling Queen Michal's Story. An Experiment in comparative
Interpretation (JSOT.S 119), Sheffield 1991; J.-L. SKA, L'argilla, la
danza e il giardino, Bologna 2000, 30-33; U.K. SOLVANO, A
Woman's Place in the House (JSOT.S 349), Sheffield 2003, 87-122;
B. MORSE, «The Defence of Michal. PreRaphaelite Persuasion in 2
Sam 6», in Biblical Interpretation (2013)21, 19-32.
caso nella Bibbia (se escludiamo il Cantico) in cui è una
donna a prendere l'iniziativa di amare un uomo
(watte'ehab, cf. ISam 18,20-28).0 Ma
Mical è lacerata tra l'ostilità ('òyèb) nutrita dal
padre e il proprio affetto ('óhèb) per Davide. Non
casualmente, il narratore la definisce «figlia di Saul»
quando prende le parti di suo padre e «moglie di Davide»
quando protegge quest'ultimo. Forse è per questo che
inizialmente Flavio Giuseppe non la nomina, giacché
viola i suoi canoni di compostezza femminile, mentre lo
farà per il nostro episodio, dapprima presentandola al
fianco di Davide per impetrare benedizioni su di lui, per
poi espandere il suo rimprovero (AG VI, 196; VII, 87).
L'interpretazione rabbinica evidenzierà la sua audacia,
identificandola con Egla, moglie di Davide in 2Sam 3,5,
il cui nome significa «giovenca», poiché rifiutò il giogo
imposto da suo padre Saul; ma mentre di Egla si
menziona un figlio, di Mical non se ne fa cenno.
All'inizio, la sua infatuazione per Davide è sfruttata
da Saul per tendere una trappola mortale all'eventuale
0
Notato in particolare da STOEBE, «David und Mikal.
Uberlegungen zur Jugendgeschichte Davids», 243; ALTER, The
David Story, 115.
genero Davide, chiedendogli un arduo prezzo nuziale
(ISam 18,20.29). In seguito, il suo amore è l'uscita di
sicurezza per salvare Davide dagli emissari di Saul venuti
per assassinarlo, coprendo la sua fuga con uno
stratagemma (ISam 19,11.17). Poi Saul la accorda in
moglie a un certo Palti, per annullare il diritto di Davide
alla successione (ISam 25,44). Questi, però, ne pretende
la restituzione non tanto per affetto, ma per esigenze
politiche, perché così può vigilare su Mical e stroncare
altri eventuali pretendenti al trono (2Sam 3,12-16). È
però al momento del ritorno dell'arca che abbiamo il
fatale confronto tra Mical e Davide. Per alcuni si tratta di
un episodio aggiunto tardivamente, ed è plausibile.0 Nella
cucitura finale serve da pietra tombale per la casa di Saul,
sotto le parvenze di un banale screzio domestico che cela
un radicale e irreversibile conflitto politico. Mediante il
topos della «donna alla finestra» (cf. Gdc 5,28; 2Re

0
Si vedano, tra altri, W. ZWICKEL, «David Historische Gestalt
und idealisiertes Vor- bild: Uberlegungen zu Entstehung und
Theologie von 2 Sam 6», in JSNL 20(1994), 79- 123; K. VAN DE
TOORN - C. HOUTMAN, «David and the Ark», in JBL 113(1994),
225-227; D.P. WRIGHT, «Music and Dance in 2 Samuel 6», in JBL
121(2002), 202 nota 4.
9,30),0 il narratore fa osservare la scena dal punto di vista
di Mical. Così fa udire al lettore il primo e unico dialogo
tra Mical e Davide, che s'impernia sull'antitesi
«gloria/disonore»,0 in un ebraico un po' ostico (vv. 20-22)
che trasuda tutto il disprezzo sarcastico della donna. Qui
viene definita «figlia di Saul», che prende le distanze
chiamando Davide non per nome, ma «re d'Israele», alla
terza persona.
Le spiegazioni di questo disprezzo variano.0

0
II topos è ripreso da altri studi e analizzato da D. SEEMAN,
«The Watcher at the Window: Cultural Poetics of a Biblical Motif»,
in ProojTexts 24(2004), 1-50, secondo cui c'è una distinzione; se è
una donna ad affacciarsi, si tratta di una caduta di un sovrano, mentre
se è un uomo si tratta di una minaccia alla casa d'Israele. Per M.J.
GUEVARA LLAGUNO, «Modelos de mujer en la historia
deuteronomista. Excusa, legitimación y propaganda», in MEAH
58(2009), 121-122, la donna alla finestra raffigura l'opportunità di
uscire dall'esclusione di un ruolo femminile tradizionale, una sorta di
spoletta che fa scattare la fantasia e la sovversione. Questo può
essere vero per Mical e Gezabele, mentre non lo è necessariamente
per la madre di Sisara.
0
Cf. G. STANSELL, «Honor and Shame in the David
Narratives», in Semeia 68(1994), 61-65; così pure A. ZEBA CROOK,
«Honor, Shame and Social Status Revisited», in JBL 128(2009),
591-612.
0
Fra tanti, rinviamo alla rassegna di CLINES - ESKHENAZI (a
cura di), Telling Queen Michal's Story, 138-139; MORSE, «The
Defence of Michal. PreRaphaelite Persuasion in 2 Sam 6», 26-29;
ALTER, The David Story, 229.
a) Per la stragrande maggioranza, Mical sarebbe
sdegnata dal comportamento indecente di Davide, che
non si addice alla dignità di un re.
b) Per altri, il suo disgusto non è estetico, ma denuncia
di una volgarità sessuale; Mical non può sopportare che il
suo sposo si renda per così dire disponibile agli astanti, si
pavoneggi dinanzi a donne plebee e quindi abbassi lei,
che è figlia di re, considerandola al loro livello.
c) Forse Mical vuole rinfacciare la forzata
separazione, poiché dopo la fuga Davide si è fatto la sua
vita, ha costruito un harem e non si è parlato di relazioni
sessuali con Mical dopo che l'ha ripretesa da Paltiel.
d) Per alcuni era la mancanza di figli, di cui si parlerà,
che alimentava il suo complesso di inferiorità nei
confronti delle altre mogli e la sua acidità dinanzi alle
infime serve, mentre qualcun altro motiva il suo astio
proprio perché defraudata dell'amore (stavolta
ricambiato) verso Paltiel, con il quale avrebbe potuto
averli.
e) Per altri, è la genuina fedeltà di Mical al Signore a
farle biasimare la danza di Davide, perché improntata a
rituali idolatrici cananei.
Il testo sorvola su queste spiegazioni, che possono
compenetrarsi; la soluzione più semplice è quella di R.
Alter, che combina gelosia sessuale e risentimento
politico. L'ipotesi della fedeltà yahwistica di Mical è
difficilmente sostenibile, perché non ha mai pronunciato
il nome divino. L'essenziale è che questo biasimo sia la
miccia per far parlare Davide. La sua reazione altrettanto
caustica adotta le stesse parole di Mical, ribalta il criterio
di vergogna e onore. Il cuore del suo discorso
concentrico sta nel v. 21; l'affermazione «l'ho fatto al
cospetto di YHWH» incornicia il rigetto di Saul e di tutta
la sua casa da parte di
Dio e l'elezione di Davide su Israele, che resta
popolo di YHWH. «Essere al cospetto» (lipnè YHWH)
indica il servizio di Dio come superiore, godendone la
stretta intimità. Proprio per Dio e dinanzi a Dio, Davide
avverte l'empito irrefrenabile di ballare, perché è un
uomo di YHWH e il primato va a lui, non all'intimità o al
compiacimento delle esigenze di Mical. Abbassandosi,
Davide evita l'orgoglio, che l'AT definisce il «grande
peccato» (Sai 19,14); per questo Dante effigerà Mical
triste e irritata nel girone dei superbi (Purgatorio X, 68).
Ribaltando l'ordine dei valori di Mical, Davide preferisce
essere onorato dalle serve, piuttosto che da lei, che ormai
è «la figlia di Saul», non più sua moglie. Le serve hanno
capito quel che non ha capito Mical.
Un altro enigma è la secca constatazione finale del
narratore per cui «Mical figlia di Saul non ebbe figli fino
al giorno della sua morte» (v. 23). Anche qui le
interpretazioni sulla sterilità di Mical divergono.
a) Mical fu colpita da una punizione divina,0 perché il
suo disprezzo per Davide coincide con quello verso lo
stesso YHWH di cui l'arca rappresenta il palladio.
b) Fu lo stesso Davide a non accostarsi a lei, evitando
per sempre un figlio della stirpe di Saul e togliendo
l'onore regale a una delle sue tante spose; in tal modo, la
casa di Saul si trova figurativamente agli arresti
domiciliari.
c) La sterilità di Mical era congenita e non ebbe figli
neppure da Paltiel.
d) D. Clines suggerisce la possibilità che sia stata la
stessa Mical a voler restare sterile, constatando che
0
Anche qui rimandiamo alla panoramica di CLINES - ESKHENAZI (a
cura di), Telling Queen Michal's Story, 139-140, e di BRESSAN,
Samuele, 531-532.
Davide non l'amava più (o non l'aveva amata mai) ed
evitando di mettere al mondo eredi frutto di un sequestro
e sicuramente un giorno coinvolti rischiosamente nella
lotta per il trono contro i propri fratellastri. Come già
visto, si segnala l'incongruenza di questa sterilità con il
testo ebraico di 2Sam 21,8, che parla dei cinque figli di
Mical, ma è un errore scribale e il suo nome viene
emendato in Merab, vista anche la citazione del padre
che è Adriel di Mecola (cf. ISam 18,19).
Il testo resta silente o evasivo sulle spiegazioni
dianzi congetturate e non ci fa ascoltare neppure la
reazione di Mical. Possiamo notare che la sterilità non è
motivata in modo consequenziale (della serie «questo
avvenne perché»): non si accenna a una sentenza divina,
né esplicitamente a una scelta di Davide, né si parla di
ulteriori rapporti sessuali o, per converso, di ripudio. Di
certo, il lettore può apprezzare
10 sprezzo fiero di Mical alla finestra, pari a quello di
Gezabele, che, pur definitivamente spacciata, interpella
con sarcasmo alla finestra il suo antagonista leu (2Re
9,30-34). Mical non può giganteggiare sul piano
drammatico, come l'Ofelia dell'Amleto di Shakespeare,
ma resta impressa per il suo spirito pungente e fiero.
Per il narratore, però, la posta in gioco del racconto
non è l'introspezione psicologica di Mical, bensì usarla
come pedina per caratterizzare Davide e segnare una
svolta epocale. Davide appare come un parvenu cinico
guidato da logiche politiche, istrione demagogo, alieno
da sentimenti. Egli non ama le sue donne, le prende
quando gli servono. Rispetto a una scena come quella
virgiliana del pius Enea con Didone (En. IV), possiamo
notare freddezza e distacco, ma soprattutto
11 suo sarcasmo e il suo machiavellismo. La
prima funzione essenziale è quella di offrire a Davide su
un piatto d'argento l'occasione di completare il rigetto
profetizzato della casa di Saul (ISam 13,13-14), con tutti
i crismi di un suo rispetto dell'arca e quindi di YHWH,
che gli avrebbe fatto guadagnare il consenso e
l'ammirazione del popolo, e con un conclamato
abbassamento che, in realtà, è l'asserzione della sua
elezione a scapito dei Saulidi che vengono neutralizzati.
Il secondo aspetto è presentare una riconfigurazione
epocale del potere, da tribale a monarchico, dove
l'oligarchia comincia a cedere spazio e l'avallo alla
democrazia (si ripensi al peso della vox populi in ISam
14).0 Era necessario compromettere e perdere Mical per
non compromettere e perdere il regno ambito del Nord ex
saulide.

3. Obiettori

Altri agenti fungono da contrasto come obiettori,


solitamente contravvenendo a un ordine di uccisione. Si
pensi a personaggi minori che non reagiscono
verbalmente, come Ieter, il quale non esegue l'ordine del
padre Gedeone di uccidere i re madianiti Zebach e
Zalmunna (Gdc 8,20-21), rifiutando così di esserne il
clone nella violenza, ma dando rilievo alla fierezza e al
sangue freddo dei re madianiti; o alla guardia del corpo
di Saul, che non obbedisce all'ordine di massacrare i
sacerdoti di Nob (facendo esplodere la ferocia permalosa

0
Evidenziato da J.W. FLANAGAN, David's Social Drama: a
Hologram of Israel's Early Iron Age (JSOT.S 73), Sheffield 1988,
398, seguito con accenti diversi da A.F. CAMPBELL, 2 Samuel
(FOTL 8), Grand Rapids, MI 2005, 163, e J.C. EXUM (a cura di),
Fragmented Women: Feminist (Sub) versions of Biblical Narrative
(JSOT.S 163), Sheffield 1993, 26.
del re) piuttosto che mancare di rispetto ai consacrati
(ISam 22,17-19); oppure allo scudiero di Saul, che non
acconsente all'ordine di ucciderlo, per rispetto al
consacrato del Signore (ISam 31,4-6). Siffatti personaggi
veicolano un mondo di valori, quali il rispetto per
l'«onore ascritto» dei re e per i sacerdoti di YHWH
(diversamente da quanto fanno il cinico Doeg l'Idu- meo
o, in diverso contesto, la guardia di leu nei confronti dei
sacerdoti di Baal in 2Re 10,25).
3.1. In Es 1,15-20 la messa in scena delle due
levatrici, che trasgrediscono l'ordine del faraone di
sterminare i neonati israeliti, mira a far emergere la sua
crudeltà, ma soprattutto a ridicolizzarlo agli occhi del
lettore. Data l'ambientazione egiziana, si richiama il mito
delle dee-ostetriche Iside e Nefti, inviate dal dio Rà per
aiutare a nascere i bambini di Redgedet. Il racconto
biblico, però, differisce, perché Rà ordina di far vivere,
mentre il faraone di uccidere; inoltre è molto più conciso
rispetto al testo egiziano, dove i tre lattanti sono figli del
dio Rà, destinati a essere principi.0 Non sappiamo se il
0
Testo del papiro West Car in E. BRESCIANI, Letteratura e poesia
dell'antico Egitto, Torino 1999, 189-191; cf. J. SIEBERT-HOMMES,
«Le salvatrici del liberatore d'Israele», in I. FISCHER - M. NAVARRO
mito fosse noto al narratore biblico; qualora ne fosse
stato al corrente, egli ha umanizzato le levatrici e i tre
lattanti, ha reso l'atmosfera più popolare e il faraone
come l'opposto mortifero di Rà!
Il racconto ha la funzione di preparare
drammaticamente Es 2,1- 10, ma presenta due problemi:
il primo è quello dell'inverosimiglianza di
un'eliminazione di massa affidata a due uniche agenti; il
secondo è quello della loro origine etnica. Come accade
spesso per altri agenti secondo lo stile popolare (cf. Gen
22,3; Gs 2,1; 2Sam 15,35), le due levatrici sono
presentate in coppia, sorvolando qualsiasi preambolo di
convocazione a corte. Alcuni autori hanno ritenuto con
molta probabilità i vv. 15b.20b.21 delle glosse tardive
perché, se si espungono i nomi delle due (Sifra =
«Bellezza» e Pua = «Splendore» o, più probabilmente,
«ragazza»), generalmente ritenuti di origine nord-
semitica, tutto si semplifica, giacché si parlerebbe di più
levatrici, come fa Flavio Giuseppe. L'inserimento tardivo
può essere avvalorato dalla ripresa di «disse» (wayyomer)
nel v. 16a, che ripete quello del v. 15b, oltre che

(a cura di), La Torah, Trapani 2009, 284.


dall'insolita introduzione con il relativo ('àser).0 Quanto
alla loro nazionalità, il testo ebraico resta ambiguo,
poiché il sintagma lamyal- ledòt haibriyyòt può essere
inteso sia come «levatrici ebree» sia come «le aiutanti a
partorire ebree»,0 ma è ragionevole arguire che nella
redazione finale esse siano presentate o si pensi a loro
come a ebree.
Argomenti contro, come la loro cooptazione da
parte del tiranno, il timore di Dio che caratterizza non

0
Per l'inserzione tardiva dei nomi, cf. JOÙON - MURAOKA, A
Grammar of Biblical Hebrew, § 158b, n. 2; A. SIMPSON, Early
Traditions of Israel: A Critical Analysis of the Pre - deuteronomic
Narrative of Exateuch, Oxford 1948, 158. Per l'etimologia dei loro
nomi semitici e non egiziani, cf. W.H. SCHMIDT, Exodus (BK II/l),
Neukirchen-Vluyn 1988, I, 42; F. MICHAËLI, Le livre de VExode
(CAT II), Neuchâtel-Paris 1974, 32. Sulla ripresa «e disse» del v.
16a come indizio di aggiunta, cf. S.A. MEIER, Speaking of Speaking.
Marking Direct Discours in the Hebrew Bible (VT.S 46), Leiden
1992, 73-81.
0
Per il dibattito, si vedano fra altri SCHMIDT, Exodus, I, 4-5; 19-
20; HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13, 251-252. Il TM favorisce la loro
nazionalità israelita, per cui optano Rash- bam, Ibn Ezra, MICHAËLI,
Le livre de VExode, 32; J. DURHAM, Exodus (WBC 3), Waco, TX
1987, 11; HAMILTON, Exodus, 12. Optano invece per quella egiziana
i LXX, Flavio Giuseppe, Abarbanel, W. RUDOLPH, Der Elohisf von
Exodus bis Josua (BZAW 68), Berlin 1938, 3; M. GREENBERG,
Understanding Exodus. The Heritage of Biblical Israel, New York
1969, 26; A.B. EHRLICH, Randglossen zur hebraischen Bibel,
Leipzig 1908-1914,1, 260; HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13, 252;
SCHMIDT, Exodus, I, 19-20; W.H.C. PROPP, Exodus 1-18 (AB 2),
New York, NY 1999, 1-18; 137.
ebrei (cf. Gn 1,10.17; Gen 20,11; 42,18), il parallelismo
con il v. 22, non sono sufficienti, perché il faraone
utilizza altri ebrei contro ebrei (cf. Es 5), il timore di Dio
caratterizza anche israeliti (cf. Gen 22,12; Es 18,21; Gn
1,9) e il ricorso a tutto il popolo può essere una
contromisura.0 Ciò dimostra che, per il narratore, la
nazionalità non è essenziale alla comprensione del
racconto, mentre è più importante far risaltare, in modo
sapienziale, come queste persone comunque marginali
disobbediscano al faraone per rispettare Dio (v. 17)0 ed
0
Per B.S. CHILDS, The Book of Exodus (OTL), Philadelphia, PA
1974, 16, «a prescindere da qualunque sia stata la lezione originaria,
è chiaro che il testo masoretico [...] descrive le levatrici come ebree».
Per SCHMIDT, Exodus, I, 42, nel TM le levatrici appaiono ebree, ma
in uno stadio originario del racconto erano egiziane. Anche secondo
T. RÓMER, «Les sages femmes du Pharaon (Ex 1/15-22)», in ETR
69(1994), 267-270, per il TM le levatrici sono ebree, ma preferisce
considerarle egiziane, per motivi di «logica narrativa» che
svincolerebbe il lettore israelita da un esclusivismo nazionalista,
mostrando che il timor di Dio alberga anche in altri popoli; tuttavia
questa argomentazione non è esente dal rischio di un circolo vizioso.
0
Cf. U. CASSUTO, A Commentary on the Book of Exodus,
Jerusalem 1951, 14. Per questo e altri esempi di obiezione civile, cf.
D. DAUBE, Civil Disobedience in Antiquity, Edinburgh 1972, 5-10.
J.-L. SKA, «Il Diritto e la Legge: una distinzione fondamentale nella
Bibbia», in CivCat 157(2006), 470-473; T. DOZEMAN, Exodus
(ECC), Grand Rapids, MI 2009, 73, e S. TUCHMAN - S.E.
RAPOPORT, Moses' Women, New Jersey, NJ 2008, 20- 35, notano un
background sapienziale. C. MEYERS, Exodus, Cambridge, NY 2005,
40-41, informa che nell'antico Vicino Oriente e nella letteratura
targumica le levatrici erano spesso chiamate «sapienti», termine
esaltino ironicamente, con la loro giustificazione
inventata, la superiore vitalità delle donne ebree (vv. 19).
Non è da escludere che esse adottino la tattica di
denigrare le ebree come selvagge nel riprodursi, per
turlupinare il faraone.0 Esse sono audaci e coraggiose, a
differenza degli egiziani che avvertono come incubo gli
israeliti (v. 12). Tutto ciò è destinato a compiacere
l'orgoglio del lettore più che a rispondere al faraone, e a
sbeffeggiarlo per la sua stupidità. Pertanto, la loro
risposta si comprende nell'ottica di un certo sciovinismo
etnico.0L'assenza di una replica da parte del faraone si

conservato nel francese sage femme e nell'inglese midwife.


0
II termine hayòt va letto come plurale hapax legomenon
dell'aggettivo hay eh, «essere vigoroso, robusto», e questa è
l'interpretazione dei Targumim, di Rashi e dei principali dizionari.
Per la tattica di un'apparente denigrazione, cf. HAMILTON, Exodus,
15. Per il conflitto razziale e ideologico destinato come rivincita per
un lettore ebreo, cf. R.J. WEEMS, «The Hebrew Women are not like
the Egyptian Women: The Ideology of race, gender and sexual
reproduction in Exodus 1», in Semeia 59(1992), 78.
0
Commenta ACKERMAN, «The Literary Context of the Moses
Birth Story (Exodus 1-2)», 87: «È alquanto intrigante questo
conflitto impari tra l'élite rammollita e oppressi rozzi, ma astuti,
vitali e pieni di risorse. Il re non riesce a rendersi conto non solo di
essere ingannato, ma anche di essere beffato»; così pure CHILDS, The
Book of Exodus, 17; J. SIEBERT-HOMMES, «Hebràerinnern sind
hywt», in M. AUGUSTIN - K.D. SCHUNCK (a cura di), «Dort Ziehen
Schiffe dahin...». Collected Communication to the XTVth Congress
of the JOSOT, Paris 1992 (BEATAJ 28), Frankfurt a.M. 1996, 191-
199; HOUTMAN, Exodus
spiega per le usanze dell'epoca che non permettevano a
nessun uomo di assistere ai parti, per cui il sovrano non
può verificare l'attendibilità delle levatrici. Più
importante è l'impatto drammatico creato dal discorso. La
piafraus è il primo di molti esempi, come vedremo, in cui
delle umili donne, con la loro astuzia, neutralizzano o
aggirano la violenza del potente di turno in nome del
primato della vita.0 Il silenzio è strategico perché, oltre
alla «sanzione» della ricompensa delle levatrici nei vv.
20-21 - un'aggiunta che certifica una benedizione di
fecondità e stabilità familiare,0 a prescindere dalla loro

I, 1-7,13, 257-258.
077
Cf. Gen 27,43; 31,35; 38; ISam 19,11-16; Gs 2,4s; 2Sam
17,19-20; 20,16; 2Re 11,2, oppure Ester e Giuditta. Per questo
motivo, cf. E. FUCHS, «Who hiding the Truth? Deceptive Women
and biblical Andro-Centrism», in A.Y. COLLINS (a cura di), Feminist
Perspective on Biblcal Scholarship, Chico, CA 1985, 137-144, che
lo definisce «la caratteristica comune delle donne nella Bibbia
ebraica [...] sia da lodare, sia da condannare» (p. 137). Cf. anche T.S.
FRYMER-KENSKY, In the Wake of the Goddesses: Women, Culture
and the Biblical Transformation of Pagan Myth, New York, NY
1992, 136-139; E. FRIEDMAN, «Who Breaks the Cycle? Deception
for Deception», in Bible Review 2(1986), 22-31.68.
0
Sulla ricompensa di fecondità e famiglie, da tradurre piuttosto con
«case», cf. S.M. PAUL, «Exodus 1:21: "To Found a Family"; A
Biblical and Akkadian Idiom», in Maarav 8(1992), 139-142. C.
MYERS, Exodus, Cambridge, NY 2005, 37, nota qui l'eccezionalità di
famiglie incentrate su donne, anziché su uomini; il testo però non
autorizza la conclusione di Myers che queste levatrici erano sterili o
prive di figlie (zò.).
nazionalità - troviamo immortalati i loro nomi in un
racconto in cui tutti restano anonimi, persino il faraone,
dimostrando un'assiologia diversa da quella pomposa
della «grande storia», come accade in Gs 2 dove si
nomina la prostituta Raab e il re di Gerico resta anonimo.
Se in termini attanziali il destinatore sembrava il faraone
e le levatrici le aiutanti, egli ha fallito, grazie a queste che
si trasformano in oppositrici e aiutanti del vero
destinatore che si rivela Dio.
Il lettore può apprezzare uno dei tanti casi in cui
Dio non interviene direttamente, ma si serve
provvidenzialmente di umili agenti e delle loro esigue ma
efficaci risorse. Nello stesso tempo, crea una scena pre-
paratoria in cui la quiete prelude alla tempesta
dell'infanticidio ordinato a tutti gli egiziani. Queste due
levatrici sono le prime di una serie di dodici donne che
appaiono nei capitoli iniziali del racconto dell'Esodo e,
per qualcuno, sono la controparte retorica alle dodici
tribù d'Israele la cui libertà fondativa dipende proprio da
azioni di donne così come dalla guida di Mosè; tale
suggestione, però, non appare documentata.
3.2. ISam 14,38-46 narra il voto fatto da Saul di
non toccare cibo, pena la condanna a morte, al fine di
ottenere la vittoria sui filistei, che però viene ignorato da
suo figlio Gionata che si nutre di miele, trasgredendo
involontariamente il voto paterno. Per risolvere la
complicazione, il narratore ricorre a un inopinato rifiuto
del popolo, finora rimasto in silenzio, per togliere per sé
e Saul le castagne dal fuoco. Il momento è davvero
critico, perché il lettore sa che Saul non può recedere dal
giuramento di punire il colpevole, neppure nel caso si
tratti del figlio (v. 39). Un parallelo poco noto è quello
del condottiero romano Caio; il confronto tra il secco
resoconto del tardivo Polieno e la più avvincente mimesi
biblica fa emergere la peculiarità di quest'ultima, che
cerca un maggior coinvolgimento del lettore:
Caio ordinò ai suoi soldati di rimanere
nell'accampamento e restare in armi. Ma suo figlio,
quando il sole si fece più rovente sulla terra a
mezzogiorno, condusse il cavallo ad abbeverarsi al
fiume. Caio allora comandò che egli fosse decapitato per
non aver obbedito al comando. Questo per mostrare ai
soldati che non dovevano trasgredire i suoi ordini
(POLIENO, Stratagemmi VIII).
Nel racconto biblico, abbiamo la combinazione del
topos del condannato salvato all'ultimo momento e della
pragmatica vox populi vox Dei. Il doppio scongiuro di
vita per Gionata si contrappone alla doppia maledizione
mortale di Saul (vv. 24.39). Ribaltando il sorteggio che
aveva indicato Gionata come colpevole, l'esercito lo
addita come strumento di YHWH per conseguire la
vittoria (v. 45).0 Siamo lontani dalla gente omertosa che
lascia morire l'innocente Nabot (IRe 21). Con questa
insubordinazione, il lettore è invitato a riflettere su come
non sempre il «popolo è bue», ma può contestare, in
nome del buon senso, le scelte esiziali di superiori fatte in
nome di una religiosità insensata; oltre a ciò, si segnala al
lettore la propensione di Saul a compiacere il popolo,
diversamente dal carattere di Davide.0

0
Per TSUMURA, The First Book of Samuel, 381, «qui il popolo
ovviamente pensa che Dio ha parlato molto più chiaramente nella
vittoria che nelle sorti». Analogamente, R.P. GORDON, 1 & 2 Samuel
(OTG), Sheffield 1984, 141 nota 9.
0
D.M. GUNN, The Fate of King Saul: An Interpretation of a
Biblical Story (JSOT.S 14), Sheffield 1980, 69, nota: «Alla fine è il
popolo che governa, non Saul», sottolineandone il pragmatismo, pari
a quello di Gionata nel v. 30; cf. anche D.J. MCCARTHY, «Hero and
4. Impotenti

Molti agenti di contrasto sono escogitati in quanto


impotenti in circostanze diverse, un noto motivo
folklorico0 atto a esaltare la performance del
protagonista, unico a vincere un ostacolo apparentemente
insormontabile. Come esempi, si può pensare agli
omerici Proci nella sfida dell'arco {Od. XXI) dove la
posta in gioco è la mano di Penelope, il cui fallimento
rende evidente il successo del possente Odisseo, che
penetra con il dardo ben 12 scuri. Analogamente si può
pensare ai pretendenti della Turandot pucciniana, che
preparano l'arrivo dello sposo decisivo; oppure agli inetti

Anti-Hero in 1 Sam 13,2-14,46», in ID., Institution and Narrative.


Collected Essays (AnBib 108), Rome 1985, 257-259; D.M.
SELLARS, «An Obedient Servant? The Reign of King Saul (1 Sam
13-15) Reassessed», in 7507 35(2011), 330-331.
0
Cf. GUNKEL, Das Marchen im Alten Testament, 103; cf. T.
DEKKER - J. VAN DER KOOI - Y. MEDER, Dizionario delle fiabe e
delle favole. Origini, sviluppo, variazioni, Milano 1997, 228-230. Il
motivo ricorre nelle fiabe come nella letteratura colta; Ercole subisce
le molteplici prove, Alessandro Magno è l'unico a saper sciogliere il
nodo di
Gordio, Lancillotto è l'unico a superare la prova del Ponte della
Spada. Corrisponde alla funzione XII di V. PROPP, Morfologia della
fiaba, Torino 1966, 46-48.
predecessori incapaci di svelare l'enigma della Sfinge che
solo Edipo sarà in grado di risolvere, o alla svayamva- ra
per Arjuna nel Mahàbhàrata. Nell'AT la differenza sta nel
fatto che la performance viene attribuita a Dio o ai suoi
inviati. In Genesi e in Esodo, ma anche in Daniele, gli
agenti impotenti sono escogitati ad hoc in quanto
specialisti, maghi e indovini come tipici personaggi
collettivi, emblematici delle culture dominanti del tempo,
come quelle d'Egitto e di Babilonia, surclassati dal
protagonista, ovviamente ebreo, sul piano del sapere, in
particolare oniromantico.
Solitamente abbiamo una scena-tipo che prevede
come elementi- base: a) il sogno/visione di un sovrano;
b) l'incapacità interpretativa del sogno da parte dei saggi
di corte; e) la convocazione del personaggio risolutore; d)
la promozione di costui; e) la rivelazione del Dio che ha
donato il potere interpretativo, ovviamente rielaborati con
diversi ingredienti.
4.1. In Gen 41 gli indovini (hartummìm)0 e i saggi
(hàkàmim) egiziani (v. 8) falliscono nell'interpretare il
sogno del faraone (v. 24), un binomio quanto mai
pertinente per rilanciare in scena Giuseppe, preparandolo
a stagliarsi, dinanzi a lettori compiaciuti, come l'unico in
grado di interpretare i sogni per dono divino. 0 Lo stesso
escamotage si ripresenta, più artefatto, in Dn 1-5, dove la
posta in gioco è più ostica; in Dn 2 i saggi babilonesi 0
devono interpretare il sogno di Nabucodo- nosor, che,
diversamente da quello del faraone, non viene narrato
(vv. 3-10). La confessione della loro incapacità è ironica
(«la cosa è difficile e non c'è nessuno che la possa

0
Cf. J. VERGOTE, Joseph en Égypte: Genèse chap. 37-50 à la
lumière des études égyptologiques récentes (OBL 3), Leuven 1959,
66-74; 80-94; D.B. REDFORD, A Study of the Biblical Story of Joseph
(VT.S 20), Leiden 1970, 203-204; J. LANCKAU, Der Herr der Trdume
(ATANT 85), Zurich 2006, 247.
0
LANCKAU, Der Herr der Trdume, 379; R. GNUSE, «The Jewish
Dream Interpreter in a Foreign Court: The Recurring Use of a Theme
in Jewish Literature», in JSP 7(1990), 29-53; F. OLOJEDE,
«Sapiential Elements in the Joseph and Daniel Narrative vis-à-vis
Woman Wisdom - Conjunctions and Disjunctions», in OTE
25(2012), 351-358.
084
Per L.F. HARTMANN - A.A. DI LELLA, The Book of Daniel
(AB 23), Grand Rapids, MI 1978,138, sono termini usati come vari
sinonimi di divinatori; l'ultimo non ha senso etnico, ma generico. L.
OPPENHEIM, Ancient Mesopotamia: Portrait of a Dead Civilization,
Chicago, IL 1964, 206-227, documenta la loro influenza politica alla
corte babilonese.
manifestare al re se non gli dèi la cui dimora non è tra gli
uomini», vv. 10-11) e desta nel lettore apprensione per la
sentenza di morte, nel caso di fallimento, che incombe su
Daniele e i suoi compagni (v. 13).
Anche qui si forgia una scena preparatoria di forte
suspense, che pone in rilievo Daniele come l'unico
capace di interpretare il sogno (vv. 26-45) e, per ironia,
come salvatore degli stessi saggi babilonesi, di cui verrà
eletto capo (vv. 46-48). In Dn 4-5 il narratore compendia
diegeti- camente l'impotenza dei sapienti per dare spazio
all'ennesimo successo di Daniele (cf. 4,4; 5,8). Nella
sequenza delle piaghe in Esodo, il ruolo di impotenti
viene riservato ai maghi, che sono capaci di operare gli
stessi prodigi di Mosè fino a un certo punto, ma solo nel
versante negativo (Es 7,11.22; 8,3), per poi essere
finalmente sconfitti (Es 7,12; 8,14-15; 9,11). Parecchi
agenti di contrasto impotenti compaiono nella narrativa
deuteronomistica di lSam-2Re, in particolare nei racconti
profetici di miracoli, tesi a dare rilievo al carisma
profetico di Elia o di Eliseo.0 Qui scatta una vis polemica
0
Per tali agenti in racconti spesso autonomi nelle «leggende
profetiche» rinviamo in particolare ad A. ROFÉ, The Prophetical
Stories. The Narratives about the Prophets in the Hebrew Bible.
ad intra, non più contro stranieri, perché salta agli occhi
la presenza tra costoro di alcuni re israeliti, in modo da
far interrogare il lettore su chi detiene il vero potere in
Israele, su chi è il legittimo rappresentante del vero Dio e
su chi ha a cuore gli interessi del popolo.0 Prendiamo
selettivamente in esame alcuni esempi.
4.2. L'evento di IRe 18,20-40 orchestra 450 profeti
di Baal come agenti di contrasto impotenti per sanzionare
Elia come il profeta dell'unico vero Dio, YHWH (v. 39).0
II narratore tifa per Elia, citando il suo nome dall'inizio
alla fine del racconto (7 volte), mentre cita i profeti di
Baal solo 3 volte (vv. 22.25.40). Per alcuni studiosi 88 la
menzione di questi ultimi è un'aggiunta redazionale in un
racconto originario che vedeva solo la sfida di Elia con il
popolo; la tesi non regge, però, se si tiene conto delle
corrispondenze del testo con 2Re 10,18-25, ma so-

Their Literary Types and History, Jerusalem 21988; U. SIMON, Read-


ing Prophetic Narratives (BLS), Bloomington, IN 1997.
0
Si vedano in proposito J.W. BERGEN, «The Prophetic
Alternative. Elisha and Israelite Monarchy», in R.B. COOTE (a cura
di), Elijah and Elisha in Socioliterary Prospective, Atlanta, GA
1992, 127-137; R.C. CULLEY, Studies in the Structure of Hebrew
Narratives, Philadelphia, PA-Missoula, MT 1976, 91-92.
0
Sulla «sanzione divina dell'uomo di Dio», cf. SKA, «I nostri
padri ci hanno raccontato», 64, che adduce come esempi Es 14,1-
31; Nm 17,16-26; Gs 3-4; ISam 12,16-18; 2Re 2,14-15.
prattutto cozza con la posizione del popolo, indeciso tra
Baal e YHWH (v. 21). I profeti sono messi in scena per
dirimere la prima e unica contesa tra Elia e i profeti di
Baal, esaltata dal topos dell'«uno contro tutti», combinato
a quello della prova resa più ardua nell'accendere gli
olocausti senza fuoco, poi dal triplice ordine di Elia al
popolo di versare acqua sulla legna dell'olocausto (v. 34).
I destinatari del test sono il popolo (v. 24), ma soprattutto
il lettore.89 La scelta di introdurre in un primo tempo i
profeti obbedisce alla convenzione di non bruciare subito
la trama, ma di creare un ritardando che ridicolizza il
loro triplice fallimento rituale,90 una reliquia del baalismo
preziosa per la competenza dei lettori (vv. 25-27). La
discesa del fuoco dal cielo ottenuta da Elia enfatizza il
suo exploit e il lettore constata finalmente come YHWH
abbia battuto Baal nelle sue prerogative, dato che questi
era ritenuto il dio del fulmine e dell'acqua, proprio al
Carmelo, considerato un santuario del baalismo.91
88
L'aggiunta, sostenuta da C. FREVEL, Aschera und
der Ausschiliesslichkeitsan- spruch Yhwhs, Weinheim
1995, 91, e CAMPBELL - O'BRIEN, Unfolding the
Deuterono- mistic History, 394, viene invece giustamente
contestata da D. NOCQUET, Le Livret noir de Baal La
polémique contre le dieu Baal dans la Bible hébraïque et
VAncien Israël, Genève 2004,118, e da Y. MINORAMI, Die
Revolution desJehu, Gottingen 1989,107-110, che
propugnano una dipendenza del nostro racconto da 2Re
10,14.
89
W. THIEL, «Zur Komposition von Konige 18», in E.
BLUM - C. MACHOLZ - W. STE- GEMANN (a cura di), Die
Hebraische Bibel und ihre zweifache Nachgeschichte.
FS. R. Rendtorff, Neukirchen-Vluyn 1990, 221: «Il ruolo
del popolo non è soltanto quello di testimone, ma di
destinatario collettivo di tutta l'ordalia [...] espressamente
sin dall'inizio».
90
Per B.O. LONG, 1 Kings (FOTL 9), Grand Rapids,
MI 1991, 117: «Il contrasto tra i profeti di Baal ed Elia
difficilmente potrebbe essere più netto. I loro preparativi
sono accennati, le loro preghiere sconnesse, la loro
azione liturgica delirante. Nulla accade». Sul fallimento
dei baalisti, cf. H.D. PREUSS, Verspottung fremder
Religionen im Alten Testament (BWANT 12), Stuttgart
1971, 87.
91
Così A. BECK, «Geography as Irony. The narrative-
geographical shaping Elijah Duel with the Prophets of
Baal (1 Kings 18)», in SJOT 17(2003), 291-302. Per
R.D. NELSON, 1&2 Kings, Louisville, KY 1987,117,
sarebbe un riferimento esplicito alle avventure
mitologiche di Baal e ai correlativi riti dei suoi adepti.
4.3. In 2Re 4,8-37 Giezi, servo di Eliseo, è messo
in scena due volte per segnalare ostacoli umanamente
insuperabili, agevolato dal suo ruolo ad hoc di
confidente.0 Il narratore lo gestisce con raffinata maestria
per sortire il massimo degli effetti drammatici. Come
notava Gunkel, l'esposizione segnala già la marginalità
del personaggio secondario; l'ospitalità della sunamita si
focalizza sul profeta protagonista e sulla sua camera,
descritta con inusitati dettagli, e non s'interessa di far
sapere dove sia il giaciglio dell'attendente Giezi. Questi
meriterà i riflettori quando sarà necessario.

0
Sul ruolo di confidente, cf. SKA, «I nostri padri ci hanno
raccontato», 141, che adduce quali esempi il servo di Saul (ISam
9,5-10), Ionadab per Amnon (2Sam 13,3-5), Abdia per Acab (IRe
18,3-16). Spesso, come vedremo, tale ruolo è riservato alle mogli.
NELSON, 1&2 Kings, 172, definisce Giezi un notevole sidekick e lo
paragona a Sancho Panza e al Dr. Watson.
Spazialmente, Giezi funge da intermediario e
sancisce una distanza tra Eliseo e la sunamita che lo
ospita; temporalmente ritarda il loro diretto confronto e
figura come una sorta di precursore, prima intuendo i
problemi del suo padrone, ma alla fine palesando i limiti
di qualsiasi battistrada che prepara il trionfo del
protagonista. Egli è la fonte informativa che apre e
permette il dipanarsi della trama. Nel momento in cui
Eliseo vuole ricompensare la sunamita che li ha ospitati,
la sua informazione «purtroppo essa non ha figli e suo
marito è vecchio» (v. 14)0offre lo spunto di donarle un
figlio su cui s'incentrerà il racconto secondo la sequenza
problema-soluzione, tipica dei racconti di miracoli.
Non si appura il motivo per cui la donna sia restìa,
se rifiuti di coltivare aspettative irreali, se sia vecchia o se
il problema sia del marito. Ciò che preme al narratore è
l'indispensabilità scenica di creare, per il lettore, il banco
di prova della potenza del profeta non solo sulla vita, ma
0
L'interiezione 'àbàl può denotare una constatazione (cf. 2Sam
14,5), oppure correggere la prospettiva dell'interlocutore (cf. IRe
1,43); cf. HALAT, 7; DCH, 109. Secondo Y. YANNAI, «Elisha and
the Shunammite (II Kings 4,8-37)», in E. FERNANDEZ-TEJERO (a
cura di), Estudios Masoreticos, Madrid 1983,134, nota 39, rispecchia
lo stupore di Giezi per l'incomprensione di Eliseo dinanzi all'ovvietà
del problema.
anche sulla morte. Mediante Giezi, il narratore modifica
la scena- tipo di racconti di nascita da donne sterili; 0
infatti, se nella letteratura del genere si anticipa la
mancanza di figli e si evidenzia l'iniziativa divina di chi
preannuncia la nascita, qui abbiamo l'unico racconto
nella Bibbia di un'iniziativa umana, dove la donna non è
sterile, la mancanza di figli è posticipata e il profeta non
menziona per nulla Dio come causa prima della futura
gravidanza.
Giezi, per rifrazione, drammatizza Eliseo e
insolitamente sa quel che Eliseo ignora e ne ridimensiona
l'onniveggenza (v. 27), come pure mette in rilievo una
faciloneria taumaturgica del profeta. Egli, però, è una
chiave introspettiva della donna. La sua analessi sulla
mancanza di figli (v. 14) dissipa dubbi sulla gratuità di
094
Cf. Gen 16,1-2; 18,13-14; 25,21; 30,1-2; Gdc 13,2-3; ISam
1,2. Per la modificazione della scena-tipo, cf. GUNKEL, Das Màrchen
im Alten Testament, 81; R. ALTER, «How Convention Helps Us
Read: The Case of the Bible Annunciation Type-Scene», in
ProofTexts 3(1963), 115-130; J-L. SKA, «L'arbre et la tente: la
fonction du décor en Gn 18,1-15», in Bib 68(1987), 388. Per M.E.
SHIELDS, «Subverting Man of God, Elevating a Woman: Role and
Power Reversals in 2 Kings 4», in JSOT 58(1993), 63, qui abbiamo
una parodia della scena-tipo di annunciazione. Cf. anche le puntuali
osservazioni di Y. AMIT, «A Prophet Tested: Elisha, the Great
Woman of Shunem, and the Story's Double Message», in Biblical
Interpretation 11(2003), 279-294.
costei, perché, se palesata all'inizio, il lettore avrebbe
potuto sospettare che la sua premurosa accoglienza era
calcolata.0
Nel secondo intervento (vv. 18-37), che vede la
tragica morte del figlio donato e la donna che
inspiegabilmente la tace al marito per riandare alla fonte
del dono da lei non cercato, Giezi riappare in una fun-
zione di contrasto più intensa. Anzitutto appare come un
subordinato che la donna scavalca, ribadendo chi sia il
protagonista e urlando la sua disperata tenacia di «orsa
privata dei cuccioli». La sua sinergia con Eliseo fa
spiccare l'insignificanza tra la donna e suo marito. Ma il
contrasto culminante si realizza nella modificazione della
scena-tipo della «risurrezione di un ragazzo» (cf. IRe
17,17-24).0 Delegato da Eliseo a vivificare il figlio della
sunamita con il suo bastone, tipico talismano (v. 29), il
suo fallimento mette in guardia i lettori da ogni soluzione
magica del problema e propone la supremazia della
persona del profeta Eliseo (v. 31).0 Giezi alla fine è
0
Così STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 309-311.
0
Cf. GUNKEL, Das Màrchen im Alten Testament, 97; CULLEY,
Studies in the Structure of Hebrew Narratives, 23.
097
Ben sintetizza AMIT, «The Prophet Tested», 286: «Anziché su
Dio, il profeta fa affidamento sul suo servo. Più tardi, fa pure
assente e silenzioso e solo il lettore privilegiato assiste
alla scena. In tal modo, il messaggio del testo è
ambivalente: lode del carisma profetico, ma anche critica
di un profeta che resta uomo, esposto a errori e
dipendente da YHWH.
4.4. In 2Re 6,8-7,20 sono escogitati vari
propugnatori d'impotenza per esaltare in modo
schiacciante il potere e l'imperturbabilità di Eliseo.
Diacronicamente avremmo qui diversi episodi, poi
confluiti in un racconto unificato dalla lotta contro la
potenza aramea.0 Nel testo attuale vengono attivati in una
sequenza climatica ternaria, non priva di trasalimenti, che
impennano la tensione e accendono la curiosità prima

affidamento sul suo bastone, quando egli lo invia con Giezi per far
rivivere il bambino». Per il motivo fiabesco del bastone, cf. GUNKEL,
Das Màrchen im Alten Testament, 58; 100; S. THOMPSON, Motif-
Index of Folk Literature, Helsinki 1936, D 800-D 1699, alla voce
«magic staff/rod/wand». La sua funzione corrisponde alla numero
XIV di PROPP, Morfologia della fiaba, 49. Per analoghi esempi di
personaggi che falliscono una guarigione dando risalto al successo
del protagonista, cf. Tb 2,10; Ger 46,11. Nel NT cf. l'impotenza dei
medici (ME 5,26), dei capi della sinagoga (ME 5,35) e dei discepoli
(ME 9,29), che mettono in rilievo il potere di Gesù. Come esempi
extrabiblici, cf. SOFOCLE, Filottete 1333; PLUTARCO, Pericle 13;
Alessandro 19. Su tale polemica antimagica, cf. KISSLING, Reliable
Characters in the Primary History, 196-197; cf. anche STERNBERG,
The Poetics of Biblical Narrative, 94.
0
Così NELSON, 1&2 Kings, 188; HOBBS, Kings, 72-74; 85-86.
della sorpresa finale del trionfo del profeta. In un primo
episodio (vv. 8-23) spetta a un servo di Eliseo allarmare
il lettore, gettando ombre sulla chiaroveggenza del
profeta, elogiata dai nemici aramei che sono in procinto
di catturarlo (v. 12). Il narratore crea una simulazione
virtuale, facendo osservare al lettore, dal punto di vista
del servo trasformato in «riflettore»0 dalla preghiera del
profeta (v. 17), la più profonda percezione dell'evento, in
cui la visione dell'«esercito spettrale» nemico si
trasfigura in quella protettrice di Eliseo,0 posto in
contrasto con la cecità che colpisce gli aramei (v. 18). In
tal modo, il lettore viene preparato all'ironico
ribaltamento in cui è Eliseo a catturarli.
Il secondo episodio (vv. 24-33) non concerne più
un raid, ma è ambientato nel poderoso assedio arameo
che scatena una tremenda carestia a Samaria. Salta agli
occhi la contraddizione con il v. 23b, ed è uno dei vari
indizi di come la narrativa biblica schedi spesso i racconti
in modo archivistico. Qui tocca alla querela di una donna,
0
Sul ruolo di «riflettore», rinviamo a SKA, «I nostri padri ci
hanno raccontato», 108; 137.
0
Cf. GUNKEL, Das Màrchen im Alten Testament, 83; 105, che
parla del motivo mitologico nordico del Wildes Heer. HOBBS, 2
Kings, 77, rileva il sarcasmo della scena.
con la sua metadiegesi dell'antropofagia commessa (vv.
26-29), radicaliz- zare l'antitesi tra la frustrazione del re e
la potenza di Eliseo. Il testo biblico è molto sobrio, a
differenza di Flavio Giuseppe che rimpolpa
diegeticamente la caratterizzazione dei personaggi (AG
IX, 62.70). Il giuramento del re di uccidere il profeta,
ritenuto responsabile della tragedia (v. 35), suscita tutta
l'apprensione del lettore; il racconto, tuttavia, non evita
un certo umorismo nel presentare gli anziani che
sbarrano la porta al re e fungono da testimoni della parola
del chiaroveggente Eliseo.0
Il terzo episodio (7,1-20) introduce il luogotenente
(hassàlìs)0 del re, ponendo il lettore dinanzi a una scelta
tra il suo sarcasmo sull'impossibilità della liberazione e il
vaticinio convinto di Eliseo (v. 2). Mentre l'oracolo è
preciso sui prezzi di mercato, resta molto vago sulla sorte
0
NELSON, 1&2 Kings, 189, nota come la porta non risulti mai
aperta «come se il lettore avesse l'impressione che il re e i suoi
ufficiali parlino attraverso essa a Eliseo».
0
II significato del termine ebraico è dibattuto; HOBBS, 2 Kings,
84, preferisce tradurre «luogotenente», anziché il più comune
«scudiero»; B.A. MASTIN, «Was the sàlìs the Third Man in the
Chariot?», in J.K. EMERTON (a cura di), Studies in the Historical
Books of the Old Testament (VT 30), Leiden 1979, 125-154, pensa a
un ufficiale di terzo rango, dopo il re e gli ufficiali più anziani; cf. Es
14,7; 15,4; 2Sam 23,8; IRe 9,22; 2Re 15,25.
sciagurata dell'incredulo luogotenente, accendendo così
la tensione e l'interesse del lettore. La tecnica della
ripetizione, che insiste sulla morte del luogotenente,
nell'epilogo ribadisce la verità di Eliseo (cf. vv. 1-2 e 16-
20) e suona polemica contro lo scetticismo di corte nei
confronti della potenza della parola profetica. Altre
micro-leggende profetiche mettono in risalto l'inaspettata
potenza della parola di YHWH (cf. 2Re 4,39-41; 4,42-44;
6,1-7), l'unica in grado di supplire all'impossibilità di
turno. Anche qui si aprono interessanti squarci socio-
antropologici sulle condizioni precarie di vita dei profeti,
non intercettabili altrove, come pure su atrocità, quali il
cannibalismo, che venivano praticate in caso di assedio
(cf. Dt 28,53; Lv 26,29; Lam 2,20; 4,10; Ger 19,9).
4.5. In Ne 4 un'altra terna climatica d'impotenza è
costituita da personaggi collettivi, che l'omodiegesi di
Neemia recupera con autorevolezza,0 per magnificare la
sua ostacolata ricostruzione delle mura di Gerusalemme.

0
Sull'omodiegesi autorevole rinviamo a GENETTE, Figures, III,
254-259; SKA, «/ nostri padri ci hanno raccontato», 126. Tale
genere autobiografico era in voga nella letteratura persiana, egiziana
ed ellenistica. Curiosa è la somiglianza tra Neemia e Temistocle,
ricostruttore avversato delle mura di Atene, come ci narra CORNELIO
NEPOTE, Temistocle 6,1-5.
In questo caso si tratta di amici e nemici, in modo da
ridare mordente a un totale scoraggiamento, rafforzando
così la performance.
Il primo personaggio collettivo è quello di Giuda
(v. 4), da intendere come i giudei rimpatriati, che
segnalano, a mo' di ritornello, il venir meno delle forze
manuali e la disperata frustrazione a causa dell'incapacità
di ultimare i lavori.0 Il secondo personaggio collettivo è
quello dei nemici di Neemia (v. 5), che contano sulla
scarsa vigilanza per poter attaccare a sorpresa e far
cessare nel sangue i lavori. Il terzo è dei giudei (v. 6),
abitanti presso i nemici, ma non ne è chiaro il senso. Per
alcuni0 si tratta di quanti temevano la vendetta della
«gente del paese» (am haàres, v. 4), intesa come la
popolazione rimasta nella terra d'Israele durante l'esilio

0
Secondo H.G. WILLIAMSON, Ezra. Neemiah (WBC 16),
Waco, TX 1985, 226, la qìnàh esprime malinconia, disperazione,
echeggiando la futilità delle parole dette; per J.M. MYERS, Ezra.
Nehemiah (AB 14), Garden City, NY 1965, 126, «il mini-carme
esprime sentimenti di inadeguatezza, disperazione e speranza», ma
quest'ultimo sentimento non è suffragato dal testo. L'ipotesi che
potesse dare il ritmo ai lavoratori, come pensa C. BALZARETTI,
Esdra e Neemia, Milano 1999, 127, non ci sembra sostenibile.
0
Così W. RUDOLPH, Esra und Nehemia (HAT 20), Tubingen
1949, 124, che emenda nel v. 6 il verbo tàsubù («tornate») in hàsebù
(«tramano»), seguito da MYERS, Ezra. Nehemiah, 124.
ostile alla ricostruzione in quanto ne era stata esclusa;0
per altri0 si tratta di parenti/conoscenti dei lavoratori in
città (Ne 3), che lamentavano il depauperamento della
forza-lavoro, o in ansia per la loro sorte; questa sembra la
soluzione migliore.
Con tale scena preparatoria, la voce di «chi c'era»
fa rivivere all'uditorio la gravità del momento, suscitando
empatia per Neemia che, con malcelato orgoglio, coglie
l'occasione di presentarsi al lettore come un Mosè
redivivo (cf. Es 14,13; Nm 14,9; Dt 7,21), per poi
attribuire il successo a YHWH (v. 9).

5. Accusatori

Altri agenti giocano il ruolo di accusatori, al fine di


coinvolgere maggiormente l'uditorio nel dramma

0
per ji sintagma in senso negativo, cf. A.H.J. GUNNEWEG,
<<am ha 'àres - A Semantic Revolution», in ZAW 95(1983), 437-
440; E. LIPINSKI, «'am», in TWAT, VI, 190-191; T. WILLI, Juda-
Jehud-Israel (FAT 12), Tubingen 1995, in particolare 11-17; 30-39;
68-70.
0
WILLIAMSON, Ezra. Neemiah, 220-221, traduce: «Dovete
ritornare da noi», e offre una disamina delle varie emendazioni
suggerite.
interiore del protagonista, creare empatia e apprezzare le
sue reazioni.
5.1. In Es 5 la messa in scena dei sorveglianti
(.sóterim, vv. 6.10.14. 15.19) israeliti0 marca la prima
crisi cruciale della missione di Mosè nel suo incontro
iniziale con il faraone, prolungando nel lettore inter-
rogativi sulla legittima autorità di Mosè su Israele. Il
narratore non ha menzionato precedentemente tali
sorveglianti, ma ora li attiva, per necessità scenica, come
contromisura del faraone alla richiesta di Mosè di partire
per un pellegrinaggio nel deserto (vv. 1-4), con una
recrudescenza dei lavori (v. 7). L'uso di questi controllori
reclutati tra gli stessi israeliti, al servizio dei capisquadra
(nógesìm) egiziani, rientra in un collaborazionismo
attestato nel mondo antico così come ai nostri giorni.0 Il
racconto non chiarisce la loro identità e si può ipotizzare
0108
Cf. J. VAN DER PLOEG, "Les soterim d'Israel", in OTS
10(1954), 196; PROPP, Exodus 1-18, 254. DOZEMAN, Exodus, 157,
ne parla come una sorta di scribi specializzati, rintracciando una
parentela con l'accadico satàru («scrivere»), mentre, per altri, la
radice risale all'arabo str («scrivere»); essi, tuttavia, nell'AT non
sono mai soggetto dell'atto di scrivere.
0
FILONE, Vita di Mosè I, 89, confonde i capi dei lavori e i
sorveglianti, facendo di questi ultimi degli esattori. Per vari
commentatori, costoro equivalgono ai kapò, prigionieri nei lager
nazisti a cui veniva affidato l'ordine interno.
che si trattasse di ispettori, data la rappresentatività che li
distingue dagli scribi ordinari (sòperìm). Risultano
identificati con i leader del popolo (Dt 1,15; 20,5-9),
menzionati in coppia con gli anziani (Nm 11,16; Dt
31,28) e con i giudici (Dt 16,18; Gs 8,33). La loro accusa
a Mosè e Aronne («YHWH proceda contro di voi e
giudichi», v. 21),0 rei di averli resi odiosi al faraone, oltre
a provocare lo sfogo di Mosè dinanzi all'inerzia di
YHWH che lo ha inviato (v. 23) è destinata soprattutto al
lettore, inducendolo a schierarsi con chi, tra loro e Mosè,
sta cercando il bene del popolo di Israele! I primi, che
sembrano avere una certa confidenza con il faraone, non
contestano la schiavitù in sé, ma la mancanza di paglia: si
confermano «servi del faraone» e addossano la colpa agli
israeliti definiti «popolo del faraone» (v. 16). Mosè, al
contrario, persegue la logica del riposo e della festa,
qualificando gli israeliti come «popolo di YHWH» (v.
23) e non dichiarandosi mai servo del faraone.0

0
Per l'istanza di giudizio, cf. BOVATI, Ristabilire la giustizia,
68. DOZEMAN, EXO- dus, 158, nota l'ironia di una querela che, invece
di essere rivolta a Dio, è indirizzata al faraone contro Mosè, e
conclude: «Gli anziani sono invischiati nel mezzo del conflitto».
0
Cf. tra altri B. JACOB, The SecondBook of the Bible. Exodus,
New York 1992, 136; HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13, 469-470.
Ironica, nel testo, è la contrapposizione tra il «così
dice il faraone» dei collaborazionisti (v. 10) e il «così
dice YHWH» di Mosè (v. 1), che ricalcano in antitesi la
tipica forma oracolare profetica. Il lettore è così rinviato
alla posta in gioco più alta su chi, tra il faraone e YHWH,
può accampare diritti come vero sovrano d'Israele:
bisogna temere la «spada del faraone», come dicono i
collaborazionisti (v. 21), o la «spada di YHWH» temuta
da Mose (v. 3)? Tutto ciò acuisce la tensione, che prepara
la risposta di Dio in Es 6 e la veridizione di Es 7-15, dove
YHWH si rivelerà l'unico sovrano d'Israele e legittimerà
Mosè come il suo autentico portavoce.
5.2. In 2Sam 16,5-13 l'introduzione di Simei come
accusatore di Davide, che è in fuga da Gerusalemme per
la ribellione d'Assalonne, serve ad accendere nel lettore
pesanti dubbi sull'innocenza del re, al fine di dissiparli.
Simei è caratterizzato ad hoc; il nome e patronimico0 lo
rivelano della tribù beniaminita di Saul (v. 5), quindi
animato da odio contro Davide e testimone del fatto che i
0
Cf. M. NOTH, Die israelitische Personennamen im Rahmen
der gemeinsemitischen Nomengebung, Stuttgart 1928, 185. Il nome,
frequente nell'AT, significa «[YHWH] mi ha ascoltato», che forse
suona ironico, ponendo il lettore dinanzi all'alternativa di chi YHWH
ascolterà.
partigiani saulidi non si erano estinti. La sua invettiva
resta rischiosa, come risulta da Abisai che sembra essere
in grado di ucciderlo (v. 9). L'esagitato Simei si con-
trappone alla diplomatica Abigail;0 se costei voleva
evitare a Davide rimorsi nel caso avesse versato sangue
senza motivo (ISam 25,31), Simei glieli rinfaccia perché
ne sia dilaniato.
Il punto focale è la sua ottuplice maledizione, con
cui stigmatizza Davide come un sanguinario e un
usurpatore. L'accusa dei misfatti di Davide contro Saul è
indeterminata e sortisce retoricamente il massimo
dell'effetto, dando al lettore il tempo di ponderarla. 0
L'essenziale è motivarli come la causa del suo
spodestamento da parte di Assalonne (vv. 7-8). Tramite
Simei, il narratore prospetta l'acrimonia degli avversari

0
COSÌ H.J. STOEBE, DAS ZWEITE BUCH SAMUELIS (KAT VIII/2),
GIITERSLOH 1994, 378; MAUCHLINE, 1 AND 2 SAMUEL, 276.
0
Per STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 379, l'accusa
potrebbe riguardare la morte di Saul e Gionata lasciati soli da Davide
(ISam 31), la responsabilità nella morte di Abner e di Is-Baal (2Sam
4), o di quella dei sette discendenti di Saul (2Sam 21,6-9).
MAUCHLINE, 1 and 2 Samuel, 276, aggiunge tra le accuse il sangue
versato nelle varie guerre. Per W. BRUEGGEMANN, First and Second
Samuel, Louisville, KY 1990, 307, Simei esprime il sospetto dei
Saulidi «facendoci pensare che al di là dei resoconti in favore di
Davide [...] l'accusa avesse qualche fondamento».
verso Davide e la sua ascesa al trono, che probabilmente
circolava all'epoca della stesura finale, per instillare la
domanda cruciale se il Signore sia dalla parte di Davide o
se piuttosto Assalonne sarà il degno re d'Israele.
Il lettore sa che la partita vera si gioca tra Davide e
YHWH. Come accade spesso nel ciclo di Davide, la sua
prudenza è caratteristica, per cui le ellissi o i silenzi sono
i momenti più eloquenti. Nel frattempo, si possono
ascoltare la sua rinuncia alla vendetta e il suo umile
affidamento al giudizio di Dio, non scevro di calcolo
politico nei confronti dei saulidi nel caso di un
ribaltamento della sorte.
5.3. In Dn 3 e 6 la messa in scena degli accusatori di
Daniele rientra nel topos degli intrighi di corte, per poi
diventare modello dell'agiografico «racconto del martire»
salvato da un intervento divino all'ultimo momento. In
Dn 3 tali accusatori sono alcuni caldei, da intendere pro-
babilmente come maghi recuperati dal capitolo
precedente, nel quale venivano umiliati da Daniele. Data
la loro influenza, sono credibili nell'esporre a
Nabucodònosor la notitia criminis del rifiuto di adorare
la statua del re da parte dei tre giudei (v. 12). In Dn 6
sono invece i funzionari e i satrapi del re Dario 0 a creare i
capi d'accusa per incriminare Daniele, mossi da invidia
(vv. 3-4), inducendo il re a un decreto che vieta di
pregare qualcun altro al di fuori di lui (vv. 6-10).
Essi sono funzionali a caratterizzare Daniele come
colui che, a costo della vita, insieme ai compagni sceglie
di obbedire al Dio d'Israele anziché agli dèi babilonesi
(3,17-18), e segue la «legge di Dio» piuttosto che
piegarsi alla «legge del re» (6,6.9); nel medesimo tempo,
contribuiscono a svelare il re Dario nella sua debolezza e
ambiguità, tra il desiderio di salvare Daniele e il timore di
perdere la faccia. Le due pene capitali - la fornace
superalimentata (3,19) e la fossa dei leoni sigillata (6,13)
- sono preparatorie al clamoroso trionfo di Daniele.
5.4. In Esd 4,1-21 la funzione accusatoria è affidata a
tre lettere inviate dalla «gente del Paese»0 a Serse e
0
HARTMANN - DI LELLA, TheBook of Daniel, 157, interpretano
il termine «caldei»non in senso etnico, ma derivato: «maghi,
astrologi». Per quanto riguarda i «funzionari, satrapi», notano che si
tratta di termini aramaici derivanti dal persiano antico e designano
due categorie di alto rango.
0
per WILLIAMSON, Ezra. Neemiah, 50, «gente del paese» oltre a
includere i nemici del v. 1, può estendersi ad altri. Al contrario E.
WÙRTHWEIN, Der 'amm ha'arez im AT (BWANT 66), Stuttgart
1936, 57-64, vi coglie un riferimento esclusivo alle classi dominanti
di Samaria.
Artaserse dopo il primo sabotaggio e le intimidazioni
contro i ricostruttori del tempio sotto il regno di Ciro e di
Dario (vv. 4-5). Ciò deriva dalla necessità drammatica di
spostare la questione da un conflitto locale alla suprema
istanza del re di Persia. Il narratore orchestra in una
progressione ternaria come mittenti alcuni burocrati che,
per loro carica nella provincia, hanno un accesso
privilegiato alla corte di Persia. La prima lettera d'accusa
(sitnàh, cf. Gb 31,35)0 è di funzionari locali, che il lettore
sa già corrotti dalla «gente del Paese»; la seconda accusa
è opera di Bislam, Mitridate e Tabeel, capifìla di altri
colleghi; il testo non appura il loro status,0 ma precisa che
la lettera è scritta in lingua aramaica. In questi due casi,
la vaghezza cronologica0 e la doppia ellissi sul contenuto
delle due lettere e sul motivo per cui non hanno avuto
0
AL riguardo, cf. BOVATI, Ristabilire la giustizia, 273. FLAVIO
GIUSEPPE, AG XII, 2, riporta la notizia di ufficiali prezzolati per
scrivere querele a Cambise.
0
Molti ipotizzano che Mitridate fosse il console persiano e
Tabeel il capo dei samaritani; manteniamo il nome proprio Tabeel
contro varie emendazioni; così anche WILLIAMSON, Ezra. Neemiah,
60-61.
0
Per i problemi che pone a livello storico la cronologia dei re
persiani, cf. MYERS, Ezra. Nehemiah, 34-37 e WILLIAMSON, Ezra.
Neemiah, 60-61. Resta arduo spiegare la posizione di questo brano in
Esd 1-6, che già il testo greco di lEsd (= l'apocrifo 3Esd) aveva
staccato da questo contesto.
risposta convogliano la suspense verso la terza accusa, di
cui si riporta l'intero contenuto, perché è quella decisiva e
scritta da Recum, la massima autorità locale di Samaria.
L'effetto è di intenso coinvolgimento, perché il lettore
sembra come il narratore avere dinanzi agli occhi questa
terza lettera (vv. 11-16).
L'uso dell'aramaico consente al narratore di
distanziare la sua voce da quella scritta, 0 suscitando
empatia verso i ricostruttori e antipatia verso i falsi
accusatori, prima della delusione per l'ordine di Artaserse
di bloccare la ricostruzione del tempio (vv. 17-23). Nel
testo attuale, il narratore può così attribuire a cause
esterne la sospensione dei lavori, contrariamente al
profeta Aggeo che la imputa all'indifferenza del popolo
(Ag 1). Inoltre, in Esd 4-6, può creare una specularità tra
la triplice accusa dei sabotatori e la triplice contromossa
dei giudei, che riscrivono la storia dal loro punto di vista,
affidandola a una lettera del governatore Tattenai (Esd
5,10-17), invitando il re Dario a documentarsi negli
archivi (Esd 6,1-12), ricevendo il permesso di ricostruire

0
J. BERMAN, «The narratorial voice of the scribes of Samaria:
Ezra IV,8-VI,6.18 reconsidered», in VT 56(2006), 313-326.
il tempio (Esd 6,13-22). Il lettore non saprà mai se il
narratore ha riportato fedelmente l'accusa o ha scritto una
fictio prò domo sua.

6. Agenti-test

Altri attori servono a evidenziare agli occhi del


lettore il mondo interiore, i valori e le scelte del
protagonista, fungendo più apertamente da test; spesso
servono a legittimarlo in un confronto che mette in
rilievo l'inconsistenza di costumi o di divinità straniere. Il
lettore può subire una vera e propria tentazione che
stuzzica la sua curiosità, o perlomeno incarna delle
aspettative scontate, che vengono spiazzate e smentite,
come accade spesso nelle vicende di Davide. Oppure,
percepisce l'ironia o spesso il sarcasmo sciovinista del
narratore. Si tratta comunque di un espediente per porre il
lettore dinanzi allo scontro tra due assiologie,
spingendolo a valutare quale sia la migliore; se normal-
mente l'empatia nasce per il protagonista, non mancano
casi in cui il testo si astiene dal pronunciare un giudizio
rilanciandolo alla riflessione del suo uditorio implicito e
cooperante.0
6.1. In Gen 39,7-20 la messa in scena della moglie
di Potifar che tenta di sedurre Giuseppe è un topos
classico0 usato per caratterizzare Giuseppe nella sua
dirittura morale e nella fedeltà al suo padrone e al suo
Dio,0 e per creare gli impensabili presupposti che lo
porteranno a incontrare il faraone. L'episodio rientra nella
situazione di Giuseppe che ha risalito la china,
guadagnandosi la benevolenza del suo padrone egiziano;
a questo punto, l'invaghimento della donna serve a creare
la complicazione. Il racconto spicca per la sua sobrietà e
unilinearità rispetto alle espansioni moraleggianti e

0
Rinviamo a J.-P. SONNET, «À la croisée des mondes. Aspects
narratifs et théologiques du point de vue dans la Bible hebraïque», in
M. BAUKS - C. NIHAN (a cura di), Manuel d'exégèse de l'Ancien
Testament, Genève 2008, 75-100; M. STERNBERG, «Point of View
and the Indirections of Direct Speech», m Language and Style
15(1982), 67-117.
0
Cf. S.T. HOLLIS, «The Woman in Ancient Examples of the
Potiphar Wife Motif K2111», in P.L. DAY (a cura di), Gender and
Difference in Ancient Israel, Minneapolis, MN 1989, 28-42; J.D.
YOHANNAN, Joseph and Potiphar's Wife in World Literature: An
Anthology of the Story of the Chaste Youth and the Lustful
Stepmother, New York 1968.
0
Cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 425; R.
ALTER, The Art of Biblical Narrative, New York, NY 1981, 73;
WÉNIN, «Joseph et la femme de Putiphar», 14-30.
psicologizzanti di Flavio Giuseppe {AG II, 41-59) o alla
riscrittura puntigliosa del Testamento di Giuseppe (2,1-
9,5). Se per la prima volta si descrive l'avvenenza di
Giuseppe è al fine di motivare la passione che la moglie
del padrone nutre per lui (vv. 6-7), secondo il topos
dell'eroe giovane e bello tipico delle fiabe, insidiato però
dalla «donna straniera» dei moniti sapienziali dell'AT (cf.
Pr 2,16-19).0
Il narratore non descrive fisicamente la donna,
perché gli interessa la sua passione che serve a sondare la
fedeltà etica di Giuseppe. Nel testo biblico resta anonima,
mentre il Testamento di Giuseppe (XII, 1; XIV, 1) dirà
che si chiamava Zuleika. Gli esasperati tentativi di sedu-
zione risultano condensati nel tempo del racconto (vv. 7-
12) e il lettore intuisce che la donna può aver detto di più,
dato che Giuseppe era uno schiavo.0 Si focalizza, però,
0
Rilevato da BRENNER, The Israelite Woman, 111, seguita da
A. REINHARTZ, «Why ask My Name?». Anonymity and Identity in
Biblical Narrative, New York-Oxford 1998, 93. A. BACH, Women,
Seduction and Betrayal in Biblical Narrative, Cambridge 1997, 57,
critica questa esegesi che stilizza la donna come «prototipo della
donna straniera», per prendere in considerazione il desiderio della
donna, in una storia romanzesca di un amore non corrisposto.
0
HAMILTON, The Book of Genesis, 462, nota che «la moglie di
Potifar guarda più che parlare». Con sfumature diverse cf.
WESTERMANN, Genesis 37-50, 60; JACOB, Das erste Buch, 729.
sul «gran rifiuto», un vero gioiello retorico in due
semplici versi, in cui Giuseppe fa presente che la donna
gli chiede una duplice infedeltà, verso Dio e il suo
padrone. Ciò fa passare la donna dall'infatuazione all'odio
(cf. 2Sam 13,15). Da qui in poi parla solo lei e la sua
accusa porta all'acme la tensione nel lettore onnisciente,
allorché ascolta e soppesa il resoconto manipolato dei
fatti che la donna fa prima ai domestici (v. 14) e poi al
marito (v. 16).0L'impatto drammatico di questo test
sortisce molteplici effetti: a) suscitare empatia verso
l'«ebreo» Giuseppe0 che, diversamente dal primo posto
0
Si veda STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 426.
Per HUMPHREYS, Joseph and his Family, 72, «le proteste di
Giuseppe [...1 sottolineano l'ottusità di costei» e ne evidenziano
l'inganno e le grinfie (pp. 76.135). Per ALTER, The Art of Biblical
Narrative, 110, «la moglie di Potifar non è una seduttrice o una
prevaricatrice, ma è una 'raffinata maestra' di equivocità sintattica».
Per HOLLIS, «The Woman in Ancient Examples of the Potiphar Wife
Motif K2111», 34, è «una donna vendicativa, ma poi impaurita». H.
MCKAY, «Confronting Redundancy As Middle Manager and Wife;
The Feisty Woman of Gn 39», in R. SIMKINS - S.L. COOK - A.
BRENNER (a cura di), The Social World of the Hebrew Bible (Semeia
87), Atlanta, GA 1999, la vede come un'altezzosa e aggressiva
manager.
0
Per il denominativo «ebreo» sulla bocca di un locutore
straniero, che marca la sua superiorità e ostilità, cf. M. STERNBERG,
Hebrews Between Cultures: Group Portraits and National
Literature, Bloomington, IN 1998, 85-86; cf. anche J.-L. KUGEL, In
Potiphar's House: The Interpretive Life of Biblical Texts, San
Francisco, CA 1990, 21-22.
che ambiva tra i suoi fratelli, qui non approfitta
dell'opportunità di usurpare quello del suo padrone;
b) contrapporre Giuseppe al precedente atteggiamento
di Giuda, che non aveva disdegnato le prostitute (Gen
38);
c) reduplicare, a causa di una tunica (cf. Gen 37,18-
27), una situazione che vede Giuseppe vittima di
violenza e di una seconda incarcerazione, destando tutta
l'apprensione per la sua sorte.
Secondo una tradizione rabbinica, Giuseppe
sarebbe stato punito per la sua vanità ed è per questo che
Dio stesso ne mise alla prova il coraggio; per qualche
interprete, Giuseppe non era del tutto insensibile, ma
pronto ad assecondare la donna; secondo un'altra
tradizione, Giuseppe riuscì a superare la prova perché gli
apparve suo padre a ricordargli che il suo nome era
scritto sul pettorale del sommo sacerdote.0
Qualche moderno commentatore si spinge oltre,
ritenendo che lo stesso Potifar voleva che Giuseppe

0
per ia vanità punita e l'espressa prova da parte di Dio cf.
GenRab 86,3; 87,3-4; per una corresponsione iniziale di Giuseppe,
cf. GenRab 87,7 che riporta il detto di R. Simon «l'arco era teso ma
poi rilasciato»; per il sogno ammonitorio cf. Sota 36b.
avesse rapporti sessuali con sua moglie, o che questa
volesse ad ogni costo un figlio perché Potifar era eunuco.
Secondo A. Bach, era stata la donna a sollecitare
l'acquisto del bel Giuseppe messo sul mercato dagli
ismaeliti; pur avendo causato la sua incarcerazione, essa
coltivava il desiderio di liberarlo e riaverlo. Per L.
Donaldson, la strategia della donna era deliberata per
tutelarsi come erede, eliminando Giuseppe come
possibile candidato alla successione.0 Tutte queste
elucubrazioni o ipotesi non hanno riscontri nel test; si
tratta di esempi di come lo spartito testuale nel percorso
ermeneutico possa dare adito a voli pindarici. Gli
argomenti e silentio in questo caso non valgono, smentiti
dalla reazione della donna che nella sua versione non ha
ceduto, dal fatto che sparisce senza liberare Giuseppe e,
teoricamente, dalla non remota eventualità che poteva

0
Cf. R. PIRSON, «The Two-fold Message of Potiphar's Wife»,
in JSOT 18(2004), 256. Per il desiderio di Potifar cf. le varie
sfumature in MCKAY, «Confronting Redundancy As Middle
Manager and Wife; The Feisty Woman of Gn 39», 215-229; A.
BACH, «Breaking Free of Biblical Frame-Up: Uncovering the
Woman in Genesis 39», in A. BRENNER (a cura di), A Feminist
Companion to Genesis, Sheffield 1993, 318-342; L. DONALDSON,
«Cyborgs, Ciphers, and Sexuality: Re-theorizing Literary and
Biblical Character», in Se- meia 63(1993), 91.
eliminare lo scomodo marito associandosi l'ex schiavo
Giuseppe, come accade in altri racconti egiziani. Per
assonanza di nome, la moglie di Potifar funge da
«doppio» negativo di Asenat, figlia di Potifera, che il
faraone darà in moglie a Giuseppe, nominato suo visir
(Gen 42,50). Di solito si adducono come paralleli i miti
di Fedra/Ippolito o di Antea/ Bellerofonte, ma ci sono
vistose differenze, come il tentativo d'incesto del primo e
l'esito diverso della punizione per il secondo. Più
segnalato è il parallelismo con quello egiziano della
Storia dei due fratelli0 e si discute sul rapporto tra i testi
(chi dipende da chi); in ogni caso, vi sono divergenze non
trascurabili, perché in Gen 39 mancano l'elemento
magico e l'intervento divino, non si tratta di due fratelli,
che hanno peraltro nomi di dèi (Anubis e Bata), la prova
d'accusa è diversa, l'inganno si scopre e sfocia nella loro
riconciliazione e nell'uxoricidio. Il fatto che Giuseppe

0
Cf. BRESCIANI, Letteratura e poesia dell'antico Egitto, 376-
385. GUNKEL, Genesis, 422, segnala il parallelismo ma non lo ritiene
pertinente, così come nega la dipendenza del testo biblico da quello
egiziano, parlando di un motivo comune nel folklore; P. Du-
BOVSKY, «Gen 39 and the Tale of the Two Brothers», in J.E.
AGUILAR CHIÙ (a cura di), Bible et Terre Sainte, New York 2008,
47-61, ravvisa invece una dipendenza del racconto biblico da quello
egiziano.
non viene giustiziato secondo la prassi vigente ma
lasciato in prigione si spiega in base al patto narrativo;
the story must go on, per cui egli viene facilitato
nell'incontrare chi gli spianerà la strada per la sua ascesa
in Egitto e la futura salvezza dei suoi fratelli, eventi che il
lettore è ben lungi dal sospettare.
6.2. Un'altra donna che funge da test è l'anonima
moglie di Giobbe in Gb 2,9-10, solitamente considerata
la più pericolosa «aiutante di Satana».0 Costei interviene
solo qui e risulta citata solo altre due volte (Gb 19,17;
31,9-10). Il contesto è la scommessa che Satana lancia a
Dio per saggiare l'autenticità dell'integrità di Giobbe, un
test di cui il lettore è al corrente, ma non i personaggi. La
moglie viene inscenata dopo la trafila di disastri che
privano Giobbe dei suoi beni, persino di tutti i suoi figli
(Gb 1), proprio nel climax in cui Satana vuole provarlo,
colpirlo nella sua stessa persona, ma senza farlo morire.
Va notato che tra i suoi familiari solo la moglie non è

0
Così A. WEISER, DasBuch lob (ATD 13), Gòttingen 31988,
36, che riprende la definizione diaboli adiutrix di Agostino e
Crisostomo. Cf. anche I. FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse
dans l'Ancien Testament, Paris 2010, 111-126; R.F. MAGDALENE,
«Job's Wife as an Hero: A Feminist Forensic Reading of the Book of
Job», in Biblical Interpretation 14(2006), 209-256.
morta e a lei, non a qualcun altro esterno, il narratore
affida la sfida (come alla moglie di Tobi in Tb 2,14). Le
sue parole: «Rimani ancora saldo nella tua integrità?
Benedici Dio e poi muori» in ebraico suonano con
ambiguità, anche perché manca il punto interrogativo. Il
problema concerne il verbo «benedire», che può
significare «lodare» (1,21) o, eufemisticamente, il suo
contrario, «maledire» (cf. 1,11), oppure «congedarsi
salutando».0Anche l'imperativo «muori» è ambiguo: si
tratta di augurio di morte che metta fine alle sofferenze,
di istigazione al suicidio, oppure di morire
tranquillamente dopo il congedo? Vale la pena notare
come i LXX e l'apocrifo Testamento di Giobbe abbiano
enucleato le drastiche parole del testo ebraico in
un'eutanasia:
Fino a quando vorrai continuare a dire:
Attendo ancora un po' con la speranza
della guarigione? Ecco che il ricordo di te
è svanito nella terra: i figli e le figlie,

0
Rinviamo tra tanti alla rassegna di T. LINAFELT, «The
Undecidability of brk in the Prolog to Job and Beyond», in Biblical
Interpretation 4(1996), 154; 172; FISCHER, Femmes sages et dame
Sagesse dans l'Ancien Testament, 116-118.
dolori e travagli del mio grembo
per i quali mi sono invano consumata!
Tu stesso giaci pieno di vermi e insonne all'aperto,
mentre io errabonda e serva a giornata
di luogo in luogo, di casa in casa,
attendo il tramonto del sole
per riposarmi dalle fatiche [...].
Ma di' una parola al Signore che ti faccia morire!

Le parole della moglie diventeranno il Leitmotiv


che serpeggerà per tutto il dramma sino all'acme di Gb
40,8. En passant, vale citare la suggestiva interpretazione
di R. Magdalene del ruolo della moglie alla luce del
contesto più ampio del libro visto come un antico
processo orientale che contemplava la tortura. Essa figura
come un'autentica donna saggia e forte, la quale
inviterebbe Giobbe, che finora ha sposato la logica dei
suoi torturatori subendo le loro vessazioni, piuttosto a
resistere all'inquisizione, morendo come martire.
Altrimenti detto, la moglie propone a Giobbe di maledire,
ma per denunciare un sistema iniquo, palesando la
propria integrità. Può anche darsi che la donna pensi che
la sofferenza del marito sia la conseguenza della
trasgressione della Legge, secondo le maledizioni
comminate dal Deuteronomio (Gb 2,7; Dt 28,35) e, in
questo caso, si dissocerebbe dal suo sposo, perché è
l'unico responsabile della disgrazia.
In ogni caso, quel che conta è rendere chiara per il
lettore la reazione di Giobbe. Nel tacciare sua moglie
come insensata (v. 10), egli sceglie la via della sapienza e
della fiducia in una prova non preavvertita. Molti esegeti
hanno riscontrato un parallelo tra la reazione di Giobbe e
quella di Abramo;0 ma, mentre il narratore resta discreto
sui sentimenti del patriarca, lasciandolo solitario senza
Sara, qui ricorre alla voce della moglie di Giobbe per
fargli esternare la serena accettazione dell'incom-
prensibile volontà divina nel bene e nel male, senza
forzare Dio. Giobbe rifiuta di considerarsi un maledetto e
rifiuta di separare il suo destino da quello della sua sposa.
Ovviamente qui si tratta del Giobbe dei primi due capitoli
e non di quello che a partire dal capitolo 3 esplode nella

0
QF Y VEIJOLA, «Das Opfer des Abraham - Paradigma des
Glaubens aus dem na- chexilischen Zeitalter», in ZTK 85(1988), 151;
J.L. SKA, «La prova di Abramo e la prova di Israele», in PSV
55(2007), 16.
sua protesta. La moglie, espletata la sua funzione, non
parlerà più. Nel testo ebraico, la ritroveremo alla fine per
mettere al mondo nuovi figli e figlie, da cui si evince che
in fondo non ha abbandonato il marito, contrariamente
alla successiva tradizione extrabiblica secondo cui
Giobbe sposò una seconda moglie, dalla quale ebbe tale
ricompensa.
6.3. In Gdc 11, nel contesto della guerra di Iefte
contro gli ammoniti, l'irruzione di sua figlia può suonare
come test per il padre, ma lo è soprattutto per il lettore,
che è al corrente del voto di Iefte di sacrificare in cambio
della vittoria la prima persona che avrebbe incontrato al
ritorno. Il motivo ricorre in varie culture; 0 tradizional-
mente si adducono i paralleli con l'Ifigenia della tragedia
greca o con la 'Aqedàh di Isacco (Gen 22), che però non
sono del tutto pertinenti, perché in tali casi i lettori, a
differenza di Gdc 11, sono preavvertiti riguardo la

0
Cf. GUNKEL, Das Màrclnen im Alteri Testament, 120; C.F.
BURNEY, The Book of Judges with introduction and Notes, New
York 1970, 332-333; B. BAUKS, «L'enjeu théologique des sacrifices
d'enfants dans le milieu biblique et son dépassement en Génèse 22»,
in ETL 76(2001), 529-542; NIDITCH, Judges: A Commentary, 133,
richiama il tema de La Bella e la Bestia, dove «l'oggetto da offrire in
cambio del successo o del riscatto del protagonista è lasciato
drammaticamente ambiguo».
vittima designata; in Euripide (Ifigenia in Tauride) e in
Eschilo (Agamennone), Agamennone esita a mantenere il
voto di sacrificare la figlia ed è il profeta Calcante a
spingerlo a mantenerlo. Per Abramo, invece, si tratta di
una prova di Dio e non di un voto umano, alla quale si
sottopone nella sua fedeltà non meno tragica; ad Abramo
viene chiesta, mentre Iefte agisce di testa sua; inoltre,
Isacco è nominato e rimane silente dinanzi al coltello,
mentre la figlia di Iefte esorta suo padre a compiere il
voto.
L'epilogo in Eschilo si conclude con il sacrificio di
Ifigenia, mentre in Euripide e in Gen 22 la vittima viene
salvata da un intervento divino e con un animale
sostitutivo - rispettivamente da Artemide con una
cerbiatta e dall'angelo del Signore con un ariete. Forse
più affine è la storia tardiva di Idomeneo, re di Creta, che
promette di offrire a Poseidone il primo essere umano
incontrato al ritorno, che si rivelerà suo figlio; tuttavia,
quando tenta di adempiere il suo voto, i cretesi lo esiliano
e anche qui la vittima non muore.0
0
J.B. ROBINSON, «The Story of Jephtah and his Daughter: Then
and Now», in Bib 85(2004), 333 nota 6, rileva come questa
tradizione non si ritrovi prima del 400 a.C. e adduce le storie di
Dal punto di vista diacronico, diversi autori
ritengono che il voto e il sacrificio (vv. 30-31 e 34-40)
siano un'inserzione posteriore, per cui sarebbe possibile
leggere tranquillamente Gdc 11 eliminandola. 0Nel
racconto attuale serve ad approfondire la
caratterizzazione di Ief- te e a interpellare il lettore sul
vero volto di Dio. L'ordine narrativo dell'incontro tra
Iefte e la figlia non segue quello cronologico, dato che il
narratore anticipa la prospettiva interna di Iefte
(wehinnéh, v. 34a) mediante la quale il lettore vede uscire
la figlia. Solo adesso, inoltre, si ha la notizia che è «la
sola, unica, ed egli non aveva né figli, né figlie» (v. 34b),
perché è strategico per l'impatto drammatico e serve a
Alessandro Magno, Meandro e di un capo di Aliarto. Si veda pure P.
TRIBLE, Texts of Terror. Literary-Feminist Readings of Biblical
Narrative, Philadelphia, PA 1984, 101, che analizza le differenze del
testo biblico rispetto ai paralleli.
0
T. RÔMER, «La fille de Jephté entre Jérusalem et Athènes.
Reflexions à partir d'une triple intertextualité», in D. MARGUERAT -
A. CURTIS (a cura di), Intertextualités. La Bible en échos, Genève
2000, 30-42, ascrive questa inserzione all'epoca ellenistica; C.
LANOIR, Femmes fatales, filles rebelles. Figures féminines dans le
livre des Juges, Genève 2005, 154-155, seguita da ABADIE, Insoliti
eroi, 130-132, parlano di redazione post-deuteronomista, adducendo
il vocabolario tardivo e nessuna allusione nel prosieguo dei racconti
biblici. Al contrario, D. JANZEN, «Why the Deuteronomist Told
About the Sacrifice of Jephtah's Daughter», in JSOT 29(2005), 339,
non la considera un'inserzione ellenistica, ma una parte integrale e
interconnessa a tutta la storia di Jefte.
impennare la tensione. Il testo biblico tace il suo nome,
che sarà fornito da tradizioni successive, come lo Pseudo-
Filone che la chiama Seila, ma non casualmente talvolta
ricorre il nome di Ifis (LAB LIX, 5). L. Klein ravvisa una
contraddizione tra il suo anonimato e la sua dignità, men-
tre per altre interpreti, come J.C. Exum e M. Bai, il
restare senza nome prefigura il suo fato.0
L'economia narrativa si focalizza sulla sua
descrizione come solitaria nel ritmo di tamburi e di
danze, al contrario di altre scene di accoglienze femminili
corali in cui la vittoria approda alla festa e non si tramuta
in orrore (cf. Es 15,20; ISam 18,6).0 Tutto ciò evidenzia
l'animo dilaniato di Iefte, che lo esprime plasticamente
nel tipico stracciarsi le vesti (v. 35; cf. Gen 37,29; 2Sam
4,12; Gb 1,20), perché essa rappresenta il suo futuro. Per
tre volte ricorrono i termini «sua figlia» (vv. 11.34.36) e
«suo padre» (vv. 36.37.39), che coinvolgono il lettore

0
L.R. KLEIN, «A Spectrum of Female Characters», in A.
BRENNER (a cura di), A Feminist Companion to Judges, Sheffield
1993, 24-33; EXUM (a cura di), Fragmented
Women, 16; M. BAL, Death and Dissymetry: The Politics of
Coherence in the Book of Judges, Chicago, IL 1988, 43.
0
TRIBLE, Texts of Terror, 99, chiosa: «Essa si muove
liberamente, inconsapevole che la sua gioiosa iniziativa sigilli la sua
morte».
nella disperazione paterna, perché se Iefte compirà il voto
sacrificherà tutta la sua discendenza, ma anche nelle
attese della figlia, che appare a conoscenza del voto (v.
36). C'è un'ellissi su come essa lo sappia, perché al
narratore interessa di più la sua ferma esortazione a
compierlo, seguita, dopo una pausa senza repliche, dalla
richiesta di una dilazione per piangere la sua verginità (v.
37). Tale richiesta è stata interpretata come una sfida, nel
senso che la figlia contava sul ripensamento del padre, di
cui rappresentava l'unica chance dinastica, oppure come
una protezione di altre vittime potenziali, ma ciò non è
suffragato dal testo.0
Vale la pena cogliere la concisione del racconto
biblico rispetto al vibrante lamento incastonato dallo
Pseudo-Filone nella sua riscrittura intrisa di reminiscenze
inserendo la figura della madre, assente nel racconto
originario:

0
Tutte queste ipotesi sono suggerite da ROBINSON, «The Story
of Jephtah and his Daughter: Then and Now», 335-339; A. WENIN,
«A quoi Jephté sacrifìe-t-il sa fille? Lecture de Juges 11,29-40», in
D. MARGUERAT (a cura di), Quand la Bible se raconte, Paris 2003,
97. RYAN, Judges, 89, si chiede se dobbiamo immaginare la figlia
idealista, fanatica, trasgressiva, o confusa, lasciando al lettore la
scelta.
0 madre, invano hai partorito la tua figlia unica,
perché lo sheol sarà la mia camera nuziale
per terra è il mio gineceo. Si perda ogni profumo
che tu mi hai destinato. La veste bianca che mia madre ha
tessuto la tarlino le tarme.
Appassisca la corona che la mia nutrice intrecciò
per la festa.
1vermi divorino il giaciglio che al gineceo ella ha
tessuto di giacinto e di porpora. Ricordandosi di me,
le vergini mie compagne
mi piangano e gemano nel migrare dei giorni.
Alberi, piegate le vostre foreste e piangete la mia
giovinezza!
Avvicinatevi, bestie delle foreste, e urlate sulla mia
verginità!
Poiché i miei anni sono stati falciati
e il tempo della mia vita è invecchiato nelle tenebre
(LAB LIX, 6).
Per il nostro testo, è decisiva l'affermazione da
parte del padre di non potersi tirare più indietro, secondo
le regole per cui un voto non può essere violato (Nm 30),
anche se c'era, a quanto pare, la possibilità di commutarlo
secondo Lv 27,1-7.0 Diversamente dal voto di Saul, de-
finito esplicitamente inconsulto (ISam 14,28-30; cf. Qo
5,3-4), l'unica valutazione è espressa da Iefte, che accusa
sua figlia di averlo rovinato (v. 35). Il lettore, però,
potrebbe replicare il contrario, cogliendo la brutale
autoreferenzialità del padre dinanzi al dilemma,
evidenziato dalla libera, intrepida, addirittura serena
accettazione della sorte da parte della figlia.0 Per tragica
ironia, il nome di Iefte («colui che apre [il grembo]») si
snatura in «colui che lo chiude». Egli diventa al tempo

0
Cf. BOLING, Judges, 209-210. CAMPBELL - O'BRIEN,
Unfolding the Deuteronomistic History, 198, aggiungono: «Anche se
l'adempimento del voto di Iefte è sollecitato da sua figlia [...] il suo
terribile esito, senza ulteriori consultazione o cambiamento (cf. Lv
27,1-7), lascia una scellerata coltre funebre sul testo». TRIBLE, Texts
of Terror, 101, suggerisce un contrasto: «Iefte non è Abramo; la
sfiducia, non la fede, ha reciso la sua unica e sola figlia».
0
Per BLOCK, Judges-Ruth, 372, la figlia caratterizza Iefte come
«una figura tragica che rappresenta un ritratto patetico di stupidità,
brutalità, ambizione, incentrato su se stesso. Ironicamente, colui che
è apparso essere diventato il padrone del proprio fato, diventa una
vittima della propria parola avventata». Per JANZEN, «Why the
Deuterono- mist Told About the Sacrifice of Jephtah's Daughter»,
355, Jefte «è un uomo che non comprende che il voto non solo non è
necessario, ma di fatto è un atto di corruzione (di YHWH)»; GROSS,
«Jiftachs Tochter», in F.L. HOSSFELD - L. SCHWIENHORST-
SCHÒNBERGER (a cura di), Das Manna fàllt auch heute noch.
Beitràge zur Gechichte und Theologie des Alten, Ersten Testaments.
FS. fixr Erich Zenger (HBS 44), Freiburg-Basel-Wien 2004, 290-
293, apprezza l'intrepidezza e la libertà della figlia.
stesso carnefice e vittima. L'esecuzione del sacrificio
votivo finale viene liquidata in un solo versetto (v. 38),
così come in precedenza il successo in guerra contro gli
ammoniti (v. 33), perché non è questo ciò che interessa il
narratore, bensì l'interazione e la caratterizzazione degli
attori. Il narratore, con apparente distacco, non esprime
giudizi.0
Possiamo cogliere una differenza tra la figlia di
Iefte e Macaria nelle Eraclidi, dato che quest'ultima,
nella sua breve apparizione e dedizione al sacrifìcio per
favorire la vittoria di suo padre Demofonte, non viene
utilizzata da Euripide per suscitare riflessione o dibattito,
ma per promuovere esemplarmente una totale adesione,
per cui Macaria non va compianta, ma lodata. Al
contrario, il nostro duplice dramma non vuole edificare,
ma commuovere. Nel testo c'è una epokhé di giudizio per
0
per NIDITCh5 Judges: A Commentary, 133, «nelle mani di un
autore biblico diverso, tali voti potevano essere abrogati (cf. quello
di Saul e Gionata in ISam 14,45). La figlia deve essere sacrificata
perché questo racconto verte su un genere speciale di sacrifici». Per
T. RÒMER, «Why Would the Deuteronomist Tell About the Sacrifice
of Jephtah's Daughter», in JSOr(1998), 38, l'episodio è
«un'applicazione narrativa della massima scettica di Qoelet. Questo
significa che l'autore è un collega di Qoelet, educato com'era nella
cultura giudaica ed ellenistica, alla critica della teologia Dt». Ma
l'influenza potrebbe essere stata nella direzione opposta.
far riflettere il lettore sull'evento, senza pretese di
esaurirne la complessità e senza coartarlo in preconcetti.
La dilazione temporale appare un'aggiunta redazionale
eziologica (si noti il duplice «e disse») desunta
dall'usanza delle ragazze israelite di commemorare
annualmente la figlia di Iefte (v. 40), che, grazie al suo
anonimato, si presta come una «figura aperta». Oltre a
offrirci una consuetudine non rintracciabile altrove,
consegna ironicamente ai posteri questa figlia senza
nome e la storia di una posterità perduta. Tale
commemorazione è un copione che non solo rigenera il
racconto, ma spinge il lettore a rivivere in punta di piedi
il dramma dei personaggi, invitandolo ad
autocomprendersi e fare le proprie scelte, confrontando la
propria esperienza con quella che si consuma nel
racconto, per cambiare eventualmente assiologia e
modificare la visione di un volto aberrante di Dio. Come
già notava sant'Agostino, e come nota J.-L. Ska,
la dimensione propriamente religiosa del racconto è
inscindibile dal modo di rivivere l'episodio. Esso non
consiste in una «idea», ma nella sua qualità della
partecipazione al dramma [...]. Concludendo, il senso di
quel racconto non è dunque una «cosa» che basterebbe
cogliere al volo nel testo; esso è legato a un atto che
richiede da parte del lettore un esercizio di assimilazione
per entrare nel mondo della creazione e orientarvisi
secondo i riferimenti propri di tale universo.0
Gli fa eco T. Romer: «Dio [...] può apparirci
crudele, ma è soprattutto un Dio che tace di fronte alle
aberrazioni degli umani e pone a confronto gli uomini
con la loro crudeltà».0
Qui come altrove, il lettore è chiamato a cogliere
quelle che P. Ricoeur ha definito «variazioni
immaginative», ossia l'apertura di possibilità esistenziali
inedite che ogni racconto dispiega, con particolare
riferimento alle narrazioni bibliche.
6.4. In IRe 3,16-28 la messa in scena di due
prostitute serve ad attestare al lettore che Dio ha
immediatamente esaudito la precedente richiesta di
Salomone appena insediato come re, avanzata nel sogno
0
Cf. J.L. SKA, «Come leggere l'Antico Testamento», in La
Civiltà Cattolica 144(1993), 209-223; cf. anche P. RICOEUR, DU
texte à l'action, Essais d'herméneutique, Paris 1988, II, 132.
0
T. RÔMER, Dieu obscur: Le sexe, la cruauté et la violence
dans l'Ancien Testament, Genève 1998, 69. Ricordiamo LUCREZIO,
De rerum natura I, 101: «Può spingere a questi delitti la religione
{Tantum religio potuit suadere malorum)».
di Gabaon (IRe 3,1-15), di «un cuore ascoltante, per
giudicare il popolo e per distinguere il bene dal male» (v.
9) e «discernere il diritto» (v. 11). Qui abbiamo un
Salomone diverso da quello sanguinario e assetato di
potere dei capitoli precedenti, per cui questo episodio
sembra una correzione apologetica tardiva della sua
figura, presentandolo degno di essere re.0 L'episodio
rientra nel topos folklorico del «re messo alla prova»,0

0
E. WÙRTHWEIN, Das erste Buch der Kònige iìbersetzt und
erklàrt (ATD 11/1), Gôttingen 1977, 36-37, lo ritiene un'aggiunta
post-deuteronomista; si veda pure K.A. DEURLOO, «The King's
Wisdom in Judgement: Narration as Exemple (1 Kings III)», in OTS
25(1989), 16; P. ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, Estella 2011, 109, parla
di «una ripresa della tensione narrativa della scena precedente. Tale
tensione rispecchia l'immagine del Salomone sbrigativo ed esecutore
del capitolo 2».
0
H. GRESSMANN, Die atteste Geschichtsschreibung und
Prophetie Israels (SAT II, I), Gôttingen 1910, 198, registra una
ventina di versioni del motivo. Cf. C. FONTAINE, «The Bearing of
Wisdom on the Shape of 2 Samuel 11-12 and 1 Kings 3», in JSOT
34(1986), 61-67; S. LASINE, «The Riddle of Salomon's Judgement
and the Riddle of the Human Nature in the Hebrew Bible», in JSOT
45(1989), 1-10; H.S. PYPER, «Judging the Wisdom of Salomon: The
Two-Way Effects of Intertextuality», in JSOT 59(1993), 25-36; A.
WÉNIN, «Le roi, la femme et la sagesse. Une lecture de 1 Rois 3,16-
28», in RTL 29(1998), 29-45; J.-N. ALETTI, «Le jugement de
Salomon. 1 Rois 3,16-28. La sagesse et ses enjeux», in F. MIES (a
cura di), Toute la sagesse du monde. Hommage à M. Gilbert (Le
livre et le rouleau 7), Bruxelles 1999, 313-337; W. VOGELS,
«Salomon et la sagesse: un'image contrastée (1 Re 2-11)», in C.
LICHTERT - C. NIHAN, Le roi Salomon: un héritage en question (Le
livre et le rouleau 33), Bruxelles 2008, 237-239.
ma anche del «plebiscito di un capo o di un re», con i tre
ingredienti basilari: una crisi, la soluzione della crisi, il
riconoscimento/ insediamento dell'eroe come capo.0 Le
due prostitute si prestano ad hoc per creare la crisi in
modo del tutto profano e popolare; il testo non s'interessa
alla loro moralità, bensì al loro reclamo presso il re in
quanto giudice, una delle funzioni essenziali del ruolo
regale (Pr 29,4).0
Il narratore imbastisce opportunamente un caso
complicato in cui il popolo, ma ancor più il lettore, deve
saggiare la competenza del re, dinanzi alle loro versioni
contraddittorie, con la loro dubbia reputazione che
accentua la loro inaffidabilità (cf. Pr 7,10; 27,27). Il
binomio ricorda - con le dovute differenze - quello di
2Re 7,26-30, dove altre due donne, con un figlio morto,
ricorrono in appello al re; mentre lì, però, servono a
evidenziare l'impotenza del sovrano, qui concorrono a
dimostrarne la perspicacia. Il testo greco deuterocanonico

0
Su questo modello o convenzione, cf. Es 14,1-31; Gdc 3,7-11;
6-8; ISam 7,12-17; 11,1-15; ecc.
0
Per BOVATI, Ristabilire la giustizia, 237, il racconto si
configura come un processo, perché, pur privo di una specifica
terminologia giuridica, esprime il principio del contraddittorio; cf. in
particolare pp. 251 e 326-327.
di Daniele adotterà la stessa drammaturgia, ricorrendo
però a due figure di più alto livello, come i due vecchi,
rappresentanti del potere perverso, per esaltare la
sapienza del protagonista strutturale, che salva Susanna
dalla loro proterva lussuria.
Nel nostro brano, il susseguirsi arguto delle istanze
dà al lettore il tempo di ponderarle in una posizione
analoga a quella del re. La versione della prima prostituta
è la più lunga, perché espone il caso (vv. 17-21) secondo
cui, mentre lei dormiva, l'altra le ha rubato il neonato
vivo, sostituendolo con il proprio morto, mentre erano
sole di notte nella casa (vv. 17-21). Immediatamente,
segue la negazione dell'altra donna, in una replica di
pretese a chiasmo (vv. 22-23); la tecnica della ripetizione
prospetta un dilemma senza via d'uscita, perché la
specula - rità del dialogo confonde le versioni
nell'indifferenziazione.0 Sul piatto della bilancia le due
versioni hanno pari peso e il nodo gordiano è l'assenza di
qualsiasi testimone - mancano mariti o clienti (vv. 18.20)

0
Così STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 168; A.
FORTIN-A. PÉNICAUD, «L'enonciation au service du jugement de
Salomon (1 Rois 3,16-28)», in Sémiotique et Bible 107(2002), 16-17;
ALETTI, «Le jugement de Salomon», 317-318.
-, sicché resta preclusa ogni normale procedura
giuridica.0
La questione che ha intrigato commentatori antichi
e moderni e incuriosisce il lettore è sapere quale delle
due donne è la vera madre del neonato vivo, e come
Salomone può averlo capito. Per molti autori, a partire da
Flavio Giuseppe, la vera madre è la prima querelante;0 i
motivi addotti sono diversi e poggiano sul rispetto che
questa donna ha verso il re e sullo spazio accordato al suo
resoconto circostanziato dei fatti. In tal modo, il narratore
convoglierebbe verso di lei le simpatie del lettore,
escamotage utilizzato in altri casi (cf. ISam 8,11-20, dove
la voce di Samuele è avvantaggiata rispetto a quella del
popolo). Al contrario, la seconda donna è presentata in

0
Cf. ad esempio le varie procedure per sorti in Es 22,9; 35,30;
Nm 5,11-15; Dt 17,6; 19,15; Gs 7,14; ISam 14,41-42. FONTAINE,
«The Bearing of Wisdom on the Shape of 2 Samuel 11-12 and 1
Kings 3», 67, sottolinea l'assenza di qualsiasi testimone.
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VIII, 32, oltre all'identificazione
esplicita, descrive il popolo che schernisce sottovoce il re in quanto
ragazzo. Lo seguono LONG, 1 Kings, 68-69; G.Y. RAHAMAN,
«Solomon's Judgment», in Beit Mikra 35(1992), 91-94; E. VAN
WOLDE, «Who guides Whom? Embeddedness and Perspective in
Biblical Hebrew and in 1 Kings 3:16-28», in JBL 114(1995), 630;
M. GARSIEL, «Revealing and Concealing as a Narrative Strategy in
Salomon's Judgement (I Kings 3:16-28)», in CBQ 64(2002), 234-
237.
una luce negativa, poiché brusca, aggressiva e parca di
parole, con le quali neppure nega a suo vantaggio il
resoconto della prima, per paura di incappare in qualche
errore, ma soprattutto perché non mostra rispetto per il
re.0 Altri autori aggiungono il particolare del figlio nato
tre giorni prima dell'altro, quindi più cresciuto, nonché la
somiglianza con la madre, elementi che, una volta
appurati, avrebbero permesso il collegamento del neonato
con la prima madre; a ciò si aggiunge la denominazione
della seconda come «l'altra donna» (';issàh 'àheret), che
nell'AT ricorre solo in altri due contesti, in modo
dispregiativo (Gdc 11,2; ICr 2,26), tutti indizi lasciati a
bella posta dal narratore.
Non tutti i commentatori concordano, perché
potrebbe essere vero il contrario.0 Per alcuni0 la vera

0
H.C. BRICHTO, Toward a Grammar of Biblical Poetics: Tales
of Prophets, New York 1992, 52, la definisce «pescivendola»;
analogo giudizio in GARSIEL, «Revealing and Concealing as a
Narrative Strategy in Salomon's Judgement (I Kings 3:16-28)», 242-
243.
0
LASINE, «The Riddle of Salomon's Judgement and the Riddle
of the Human Nature in the Hebrew Bible», 61-69; 80, contesta sia la
lunghezza, sia l'umile deferenza come indizi di verità.
0
Così G. LEIBOWITZ, «Solomon's Judgement», in Beit Mikra
35(1990), 244; G.A. RENDSBURG, «The Guilty Party in 1 Kings
3.16-28», in VT 48(1998), 534-541.
madre è la seconda, perché la concisione potrebbe
denotare la sicurezza di stare dalla parte della verità,
appoggiandosi sul fatto che menziona il neonato vivo
prima del morto e sull'impossibilità della ricostruzione
dell'accaduto da parte della prima, dato che stava
dormendo (v. 20). Si tratta di un'aporia che la versione
dei LXX risolve, omettendo il sonno della
donna.0Quest'ultima osservazione potrebbe essere
smentita dal fatto che solo loro due erano in casa, e
l'assenza di qualche cliente non risulta affatto ironica,0 se
si considera che le donne si erano appena sgravate;
inoltre, la prima donna era solita tenere il figlio al
proprio fianco (v. 20) e non sul suo seno come la seconda
(vv. 19-20), per cui poteva presumere che quest'ultima
avesse trasferito la sua abitudine, risultata letale, su di lei.

0
Così P.A. BIRD, «The Harlot as Heroine: Narrative Art and
Social Presupposition in Three Old Testament Texts», in Semeia
46(1989), 132; S. DE VRIES, 1 Kings (WBC 12), Waco, TX 1985,
59.
0
Così W.H.A. BEUKEN, «"NO Wise King without a Wise
Woman" (I Kings III 16- 28)», in A.S. VAN DER WOUDE, New
Avenues in the Study of the Old Testament (OTS 25), Leiden 1989,
6; secondo DEURLOO, «The King's Wisdom in Judgement», 17,
questa inopinabile assenza toglierebbe credibilità al resoconto.
Il testo, però, resta muto sull'esplicita identità della
vera madre, e il lettore la scopre soltanto insieme a
Salomone nel momento del test. Ciò fa salire nel lettore
una tensione che lo prepara al climax su quale sarà la
decisione di Salomone. Questi commina il test astuto di
una spada di cinica equità, che mira a smascherare le
donne. Per il narratore non è essenziale svelarci chi delle
due donne ha detto la verità, bensì dimostrare la sagacia
di Salomone nell'individuare la vera madre del neonato
vivo.0 Attribuire a costei una lezione di saggezza
impartita al re, è eccessivo;0 di solito i narratori biblici la
esprimono chiaramente (cf. ISam 25,3; 2Sam 14,2;
20,16). Inoltre, se la donna fosse stata saggia, non
avrebbe avuto bisogno di rivolgersi al re.
Le due donne sono semplici pedine per il
riconoscimento da parte dei destinatari

0
Cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 169: «Noi
non scopriremo mai con certezza quali delle prostitute (se la "prima"
o la "seconda") è la vera madre [...] l'attenzione è focalizzata su chi
svolge l'indagine - sulla sua affermazione, acume, trionfo - a scapito
dei sospettati».
0
Così BEUKEN, «"NO Wise King without a Wise Woman" (I
Kings III 16-28)», 5-10; VAN WOLDE, «Who guides Whom?», 639-
641, come pure M. MEAN-LOPEZ, «Wise Women in 1 Kings 3-11»,
in Concilium 1(2002), 24; 32.
intra/extradiegetici del fatto che Salomone, pur giovane
(v. 7), ha «dentro di lui la sapienza di Dio», non è
sprovveduto e «non giudica secondo le apparenze» (cf. Is
3,4; 11,3b), in un dilemma in cui vita e morte
s'intersecano con verità e menzogna (Pr 18,21). 0 II loro
infimo status dimostra che persino il suddito più reietto
potrà aspettarsi da Salomone saggezza ed equità
nell'amministrare il diritto (v. 28; cf. Pr 29,14).
Va notata l'ironica inclusione insita nel ciclo
narrativo; all'inizio tocca a due prostitute il compito di far
risaltare la saggezza del «cuore» del giovane Salomone;
poi si raggiunge l'apice con il test della sua sapienza
ricorrendo al personaggio aristocratico della regina di
Saba (IRe 10,1- 13); la fine, però, è ingloriosa, con donne
straniere che gli «pervertono il cuore», facendolo
implicitamente «prostituire» ad altri dèi (IRe 11,4).
6.5. In Rt 3-4 il problema è il matrimonio di Rut e
la garanzia di una discendenza alla famiglia di Noemi,
che potrebbe essere assicurata da Booz in qualità di
riscattatore (gò'él), secondo la prassi del levirato (Dt
0
Cf. E. WURTHWEIN, Das erste Buch der Kónig e : 1 Kón 1-2
Kòn 16 (ATD), Gòttingen 1977, 36-37; ALETTI, «Le jugement de
Salomon», 233; WÉNIN, «Le roi, le femme et la sagesse», 41-42.
25,5-10).0 Se il lettore pregustava sull'aia il successo
della strategia di Rut nell'indurre Booz, con delicata
femminilità, ad assumersi il compito, ecco che le sue
aspettative vengono deluse dall'apprendere proprio da lui
l'esistenza di un parente che ha più diritti (Rt 3,12).
Finora costui non era mai stato menzionato, benché
Noemi avesse accennato a vari riscattatori (Rt 2,20), ma
qui assume la funzione di complicare la trama e,
soprattutto, come competitore, di far risaltare la
generosità e l'astuzia di Booz. Il testo elude la sua identità
e la sua posizione nella scala gerarchica, come pure se la
stessa Noemi ne fosse stata a conoscenza, ma avesse
taciuto. La tradizione rabbinica si sbizzarisce al riguardo:
Rashi lo identifica con il fratello di Elimelec, così come
altri parlano di lui come fratello di sangue di Booz, ma si

0
La bibliografìa sul brano è sterminata: rinviamo
principalmente a H. GUNKEL, Reden und Aufsatze, Gòttingen 1913,
68-69; A.F. CAMPBELL, Ruth (AB), Garden City, NY 1975, 123-125;
E. LIPINSKI, «Le mariage de Ruth», in VT 26(1976), 124-127; F.
BUSH, Ruth, Esther (WBC 9), Dallas, TX 1995, 195-196; H.H.
ROWLEY, «The Marriage of Rut», in HarvTR 40(1947), 77-78; J.M.
SASSON, Ruth, Sheffield 1989,134-136; I. FISCHER, Ruth (HTKAT
8), Freiburg 2001, 235-237; J. VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester,
Estella 1998, 123-139; E. WÙRTHWEIN, Ruth (HbAT 1,18),
Tiibingen 1969, 1-24; GUNKEL, Reden und Aufsatze, 78.
tratta di mere congetture non suffragate dal testo.0
L'essenziale è che Booz ne riconosca la precedenza e che
il lettore resti intrigato dal modo in cui egli supererà
l'ostacolo di questo guastafeste (Rt 3,13).
Non si dice se il confronto alle porte della città sia
stato cercato da Booz o se sia casuale, e se il rivale fosse
conscio dei suoi diritti; il lettore aduso a queste
coincidenze (Rt 2,4; 3,8) intravede l'occulta provvidenza
divina. L'epiteto (pelóni 'almònì, 4,1) con cui Booz lo
interpella denota per molti autori reticenza e, per
qualcuno, pessime qualità.0
0
Per la congettura di Rashi, cf. ROWLEY, «The Marriage of
Rut», 77 nota 1. LIPINSKI, «Le mariage de Ruth», 126-127, seguito
da CAMPBELL, Ruth, 124, riporta la tradizione di BabaBathra 91a e
di RutRabbah 7,7, che presentano Salmon, padre di Noemi e parente
più prossimo superiore a Booz, come fratelli di sangue, tesi già
contestata da P. JOÙON, Ruth: Commentaire philologique et
exégetique (SubBi 9), Rome 21993, 80, perché priva di fondamento
testuale.
0
Sono per la reticenza CAMPBELL, Ruth, 142-143, che adduce
gli altri due passi in cui ricorre il sintagma (ISam 21,3 e 2Re 6,8), ma
potrebbe denotare qualcosa di scontato tra interlocutori; BUSH, Ruth,
Esther, 196, per cui «è un esempio di un gioco di parole definito
farragine»; VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 125, che lo traduce
«Tizio o Caio». Per
E. ZENGER, Das Buch Ruth (AT 8), Ziirich 1986, 81, il nomignolo
denoterebbe una cattiva fama; per la FISCHER, Ruth, 235, «il tale
deve aver sborsato molto perché il suo nome restasse fuori da storie
per lui indecorose». Altri interpretano poco convincentemente il
sintagma come un nome proprio.
Sicuramente è improbabile pensare a un
dispregiativo, vista la richiesta di Booz; forse lo scopo
retorico dell'anonimato è di sottolineare che Davide non
potrà nascere da un «Tizio o Caio» qualsiasi. 0 Le
motivazioni del rifiuto del riscattatore designato spaziano
dall'onere di mantenere Rut e Noemi alla paura di un
discendente che non avrebbe perpetuato il suo nome,
trasferendo la sua proprietà al lignaggio di Elimelec, o al
ribrezzo di contaminare la propria stirpe con una moa-
bita.0 Il testo lascia aperte tali ipotesi.
Per certi aspetti, l'entrata e l'uscita di scena di
questo tale rievoca come controparte il comportamento
del personaggio di Orpa nei confronti di Rut. Il narratore
non li giudica per il loro rispettivo abbandono, ma li
escogita come espediente-cartina di tornasole per far
notare al lettore la scelta migliore dei protagonisti. Ciò

0
BLOCK, Judges-Ruth, 707: «Egli potrebbe essere ilgò'él, ma
viene subitaneamente accantonato come non pertinente per il tema
centrale del libro, che è la preservazione della linea regale di
Davide».
0
Ipotesi riassunte da BUSH, Ruth, Esther, 232. WÙRTHWEIN,
Ruth, 22 e VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 134, propendono
decisamente per la perdita del patrimonio. GUN- KEL, «Ruth», 82, fa
notare la delicatezza del narratore nell'omettere il prezzo della tran-
sazione.
che conta è fornire un nobile ritratto dell'antenato di
Davide, abile nel vincere la partita nel rispetto delle
consuetudini. Tale palpitante scena preparatoria0 era
necessaria per un evento così decisivo, per Yhappy end di
un matrimonio che non costituiva un fatto meramente
privato, ma fondava il futuro del popolo d'Israele.
La genealogia finale è, con ogni probabilità,
tardiva, perché le genealogie non seguono, ma precedono
i racconti, e il figlio di Booz e di Rut è presentato
giuridicamente come figlio di Elimelec e Noemi. 0 Risulta
straordinario l'inserimento di una straniera moabita nel
lignaggio davidico, a insegnare al lettore che si può
appartenere a Israele non solo per legami di sangue, ma
anche per nobiltà d'animo.
6.6. Nelle vicende di Davide, ricorrono agenti-iesi
che, minacciando la vendetta in suo favore e uccidendo
un suo nemico, servono a far emergere, nel conflitto dei
punti di vista, ciò che alberga nel suo animo. I primi due
episodi riguardano Saul, acerrimo persecutore di Davide,
0
GUNKEL, Reden und Aufsatze, 78, parla giustamente di un
«motivo ritardante».
0
Cf. J.-L. SKA, «La storia di Rut e il diritto di cittadinanza», in
ID., Il libro sigillato e il libro aperto (Collana Biblica), Bologna
2005, 375, nota 3; VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 144-146.
nel trittico di ISam 24-26, definito da S. Ramond una
«lezione di non-violenza per Davide».0 Per due volte
Davide potrebbe eliminare Saul e impadronirsi della
regalità; ma, analogamente all'eroe Arjuna nel
Mahàbhàrata, travagliato dal dilemma di uccidere
persone cui è legato da parentela e da profondo rispetto,
se ne astiene, gettando tra i singhiozzi il suo arco. I due
episodi non seguono una mera tecnica della ripetizione,
ma fanno risuonare armoniche diverse, che il lettore
biblico percepisce come completive in progressione
In ISam 24,4-8 tocca ai compagni di Davide,
nascosti nella caverna di Engaddi, prospettargli
l'occasione di eliminare Saul che si è recato là, mai così
inerme e anti-epico nel soddisfare un bisogno fisiologico
(v. 5). Vari autori ritengono questo intervento dei
compagni un'aggiunta redazionale o ne risistemano
l'ordine, posponendo i vv. 5b-6 dopo il v. 8a per ottenere
una sequenza a loro parere più logica.0 Mentre l'ipotesi di
0
Cf. S. RAMOND, Leçon de non-violence pour Davide (LB 116),
Paris 2007.
0
propugnano l'aggiunta MCCARTER, 1 Samuel, 384-387, che la
considera ispirata da ISam 26,12, e W. DIETRICH, David, Saul und
die Propheten. Das Verhàltnis von Religion und Politik nach den
prophetischen Uberlieferungen vonfruhesten Kònigtum in Israel
(BWANT 122), Stuttgart 1987, 232-253, che ritiene tali i vv. 5a.6-
un'inserzione redazionale è plausibile, l'inversione non è
necessaria, non solo perché non è attestata da versioni,0
ma anche perché il v. 8 può fungere da ricapitolazione.
Nel testo attuale, i compagni di Davide servono ad acuire
la tensione e a far entrare l'uditorio nell'evoluzione
psicologica e teologica di Davide, assente nella conci-
sione diegetica di Flavio Giuseppe, che si focalizza sul
consiglio di uno dei compagni di Davide di tagliare la
testa a Saul (AG VI, 284).
Il racconto non si preoccupa dell'inverosimiglianza
del dialogo, che poteva essere ovviamente udito da Saul
nello spazio angusto, né spiega la loro certezza oracolare
di esprimere il punto di vista di YHWH (v. 5b), forse
deducibile dal fatto che YHWH non ha consegnato
Davide nelle mani di Saul, mentre ora consegna Saul a
Davide su un piatto d'argento (ISam 23,14). Come nota
R. Alter, essi evitano il verbo «uccidere» e questo intriga
il lettore nel verificare quale sarà l'interpretazione di

8a. Lo spostamento dei versetti è sostenuto ad esempio da P.H.


DHORME, Les Livres de Samuel (ÉB), Paris 1910, 215.
0
Conservano il TM, ad esempio, R. GORDON, «Word-Play and
verse-Order in I Samuel XXIV, 5-8», in VT 40(1990), 139-141, e
RAMOND, Leçon de non violence pour David, 16, n. 1.
Davide.0 La sequenza temporale qui è significativa,
perché tra il suo «taglio» del lembo del mantello di Saul,
segno dell'impossessarsi della sua regalità (v. 5), e le
parole «incisive» con cui Davide dissuade i suoi
dall'avventarsi contro il re (v. 8), c'è la fibrillazione del
suo cuore (v. 6). Ciò può far percepire il suo intento
segreto di subentrare a Saul, sublimato o manipolato
nella versione pubblica che offre ai suoi, giustificata non
per la parentela, ma per l'intangibilità di Saul in quanto
«consacrato del Signore» (v. 7), adducendo il lembo
come prova della propria innocenza. 0 Davide maschera
abilmente come gesto innocuo e rispettoso quello che
inizialmente era il desiderio di sopprimere l'avversario.
Qui i suoi compagni svaniscono per lasciare posto
alle riflessioni del lettore. Da una parte si apprezza la
forza etica di Davide, corroborata dalle parole dello
stesso Saul, ma non priva, appunto, di un'ambiguità;

0
CF. ALTER, THE DAVID STORY, 147; CAMPBELL, 1 SAMUEL,
153.
0
La tensione è colta da STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 438
e da TSUMURA, The First Book of Samuel, 585. CAMPBELL, 1
Samuel, 253, a proposito del rifiuto di Davide di uccidere Saul,
tagliandogli solo il mantello, commenta: «L'appello alla mistica
regale e alla sacralità di tutto ciò che è associato al re è un diversivo;
la questione centrale è di vita o di morte, uccidere o risparmiare».
dall'altra, lo strappo del mantello di Saul richiama quello
compiuto da Samuele che sanciva la perdita del regno
(ISam 15,27). Se Saul sa soltanto di essere spodestato da
un nuovo consacrato, solo Samuele e Davide ne
conoscono l'identità e restano nell'attesa curiosa degli
eventi.
In ISam 26,6-12 l'incontro con Saul non è più
fortuito, ma nasce dall'iniziativa di Davide. Qui tocca ad
Abisai segnalare la medesima opportunità divina, stavolta
proponendo di uccidere personalmente Saul. Come
istigatore, Abisai è un agente appropriato, perché il
prosieguo attesta la sua fedeltà, lo sprezzo del pericolo e
la propensione a vendicarsi (2Sam 3,30; 21,17; lCr
18,12).0 Egli è chiamato sempre con il matronimico
«figlio di Zeruia», sorella di Davide e madre di Abisai,
Ioab e Asael (lCr 2,16), per segnalare la parentela con il
re. Nell'AT ha una connotazione negativa.0 Il mancato

0
Per STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 468, quello di Abisai
«corrisponde al comportamento di uno sconsiderato villano devoto»;
cosi pure BRESSAN, Samuele, 405-406. LOSCH, Ali the People in the
Bible, 8, lo definisce «testa calda».
0
II matronimico ricorre in 2Sam 3,34.39; 19,23; IRe 2,5-
6.31.33. La connotazione negativa è segnalata da D.M. GUNN,
«Traditional Composition in the Succession Narrative», in VT
26(1976), 215-217. H.P. SMITH, A Critical and Exegetical
ricorso all'usuale patronimico segnala la parentela dei tre
figli di Zeruia. Potrebbe spiegarsi con un gioco sonoro
evocante inimicizia Csr) o angoscia {srh), oppure, in
modo più suggestivo, con un'antitesi tra il suo nome
Vbysy) e quello del «figlio di lesse» (bn ysy). Il v. 8 viene
ritenuto un'aggiunta; nel testo attuale, ha un notevole
impatto, perché ricorda ai lettori che riascoltano la storia
più volte un Leitmotiv della vicenda di Saul e Davide; se
per due volte Saul aveva fallito nel trafiggere Davide con
una lancia (ISam 18,11; 19,10), ora questi dispone di un
doriforo infallibile che lo esonererebbe da una
responsabilità diretta. Peraltro, Saul verrebbe ucciso dalla
sua stessa lancia, così come la testa di Golia fu tagliata
con la stessa spada di cui si fregiava il campione filisteo!
Abbiamo una svolta importante per Davide, e il
lettore si chiede se stavolta ci sarà il definitivo colpo di
grazia. L'ordine di Davide ad Abisai di sottrarre la ciotola
e la lancia dal capezzale di Saul, per poi prenderle lui
stesso, forse rivela il timore di un colpo di testa di Abisai,
Commentary. The Books of Samuel (ICC), Edinburgh 1904, 231,
suggerisce che il matronimico è dovuto al fatto che il padre è un non
israelita, ma l'argomento non regge, giacché la Bibbia non ha remore
nel segnalare nazionalità straniere e il matronimico ricorre in lCr
2,16.
ma, dato che la riconsegna a Saul (v. 22), è un'altra prova
della chance rifiutata e si spiega grazie alla decisiva
lezione di non-violenza che Abigail ha impartito a
Davide in ISam 25 e che ora questi impartisce a Saul. 0
Abisai serve a far emergere un Davide non più esitante e
irriflessivo come in ISam 24, bensì risoluto nel bloccare
ogni attentato contro il consacrato del Signore (v. 9).
L'aggiunta chiaramente redazionale dei vv. 10-1 la,
secondo cui la sorte di Saul verrà decisa da YHWH,
serve a preparare il lettore alla sua morte in battaglia e a
dissipare ogni sospetto di usurpazione da parte di Davide.
I due simboli del lembo e della lancia condensano il
rigetto di Saul e la protezione di Davide e ribadiscono
che ogni consacrato è intangibile in quanto scelto da Dio
e spetta solo a Dio rifiutarlo o sostituirlo.

0
All'unisono con sfumature cf. J. VERMEYLEN, «David le non-
violent, ou: qui ve- nait-il faire dans le camp de Saul? Propositions
pour une lecture de 1 Sam 24-26», in D. MARGUERAT (a cura di), La
Bible en récits. L'exégèse biblique à l'heure du lecteur, Genève
2003, 135-152; RAMOND, Leçon de non violence pour David, 68-76;
S.T. MANN, «"You're Fired": An Application of Speech Act Theory
to 2 Samuel 15.23-16.14», in JSOT 33(2009), 329-330; L.
MAZZINGHI, «Davide e la tentazione della violenza», in PSV
59(2009), 43-57.
In altre due occasioni Abisai ritorna come cartina di
tornasole per corroborare l'apologia di Davide. In 2Sam
16,5-12 il lettore s'immedesima nella richiesta avanzata
da Abisai di punire l'oltraggio di Simei, ma ciò enfatizza
l'inaspettata reazione di Davide che rinuncia alla ven-
detta0 e si affida alla misericordia del Signore, smentendo
così l'accusa di essere un «uomo di sangue». Il fatto che
Davide pensi a un'eventuale maledizione di Simei è
indice della sua insicurezza, anche se non viene meno la
sua coscienza di essere stato scelto da YHWH, né la
speranza di trarre vantaggi dalla situazione. Lo stesso
accade in 2Sam 19,16-24, quando l'identica richiesta di
Abisai (v. 22) a Davide, questa volta trionfante e
riabilitato, fa stagliare la sua misericordia verso Simei
che lo aveva insultato con livore durante la fuga da
Assalonne (cf. 2Sam 16,5-14). Il narratore può così far
rispondere a Davide con le stesse parole, ma
aggravandole, perché non solo rifiuta di accettare, ma
definisce Abisai un avversario Csàtàn, cf. ISam 29,4). Il
lettore, al pari di quella di Saul (ISam 11,13), non esclude
0
CF. P.K. MCCARTER, 2 SAMUEL (AB 9), GARDEN CITY, NY
1984, 423-424; B. HALPERN, DAVID'S SECRET DEMONS: MESSIAH,
MURDERER, TRAITOR, KING, GRAND RAPIDS, MI 2001, 43.
dietro tale clementia Caesaris il calcolo politico di
Davide per attirare i beniaminiti, compagni di Simei; qui,
però, serve a scagionarlo da ogni collusione con i figli di
Zeruia, dai quali prende nettamente le distanze.0 Ma
l'esito di IRe 2,36-44, in cui Salomone, imbeccato dal
padre, farà giustiziare Simei, può suggerire che Davide
ama la vendetta come un piatto da gustare freddo. Come
si dice, una mano lava l'altra: e Davide è più felpato e pa-
ziente di Arjuna, che non esita invece a trucidare
all'istante il brutale e spregiudicato Karna, reo di averlo
vituperato.
6.7. Concludiamo con due agenti-test che
alimentano una simpatia sciovinista nell'uditorio per il
protagonista ebreo.
In Dn 1,3-21 il custode Chammelzar, vv. 11.16)0 di
Daniele e dei suoi compagni, responsabile del loro vitto
0
Per A.F. CAMPBELL, Samuel (FOTL 8), Grand Rapids, MI
2005, 150, «è palese che il testo abbia Simei che si scusa per la sua
azione, ma non lo esonera chiaramente dalla sua accusa».
0
HARTMANN - DI LELLA, The Book of Daniel, 130, segnalano
che il termine deriva dal babilonese, tramite l'aramaico, per cui non
va emendato come propone BHS. Se le antiche versioni come la
Peshitta, Vg e Teodozione concordano nell'intenderlo come un nome
proprio, è più probabile che si tratti di un sostantivo comune, come
suggerisce il TM; cf. J.À. MONTGOMERY, A Critical and Exegetical
Commentary on the Book of Daniel (ICC), Edinburgh 1927, 134.
alla corte del re, è escogitato come test (nissàh, vv.
12.15) dallo stesso protagonista per la posta in gioco, che
è esaltare la loro fedeltà nel non contaminarsi con i cibi
impuri, problema scottante nell'epoca maccabaica (cf.
2Mac 6,18; Gdt 12). Non si appura se, acconsentendo
alla proposta di Daniele di nutrirsi solo con acqua e
legumi (vv. 12.13), il custode abbia informato il suo capo
Asfenaz (v. 14) o rischiato di sua iniziativa (v. 10). Si
tratta di un comodo escamotage per acuire la suspense
del lettore, preparandolo al trionfo dei giovani, più floridi
degli altri, nutriti secondo il menu regale.
In Gdc 6,29-32 è Ioas, il padre di Gedeone, che
blocca i suoi concittadini intenzionati a punire suo figlio,
reo di aver distrutto l'altare di Baal. L'episodio è
probabilmente frutto dell'amalgama di varie tradizioni.0
Nella sua stesura attuale, la tensione nasce dal cambio di
prospettiva proposto da Ioas, che consiste in un duello tra
suo figlio e lo stesso Baal. 0 Il testo è ellittico sui
sentimenti e sulle ragioni di Ioas, se si sia convertito allo

0
CF. BLOCK, JUDGES-RUTH, 191-193; ABADIE, INSOLITI EROI,
78-79.
0
BUTLER, Judges, 206, nota come il narratore sfrutti Ioas per
un ribaltamento riservato a sorprendere il lettore.
yahwismo o se agisca per amore paterno, ma la sua
proposta di riservare la vendetta allo stesso Baal assolve
la duplice esigenza drammatica di salvare Gedeone e di
dimostrare la nullità del dio.0 Va notato il gioco verbale
sul nomen-omen: Ioas (= YHWH salva), Gedeone (=
distruttore) e il soprannome «Ierub-Baal» di Gedeone (v.
32), con l'ironica inversione del senso originario «Baal si
vendichi contro di lui» o «Baal moltiplichi» in quello
popolare «Egli combatta contro Baal», anticipando
quanto faranno come distruttori di altari Elia (IRe 18,20-
40) e leu (2Re 10,18-27).0 Questo nuovo nome accordato
da Ioas a suo figlio segnala la trasformazione di Gedeone
e lo immortala come una prova vivente dell'impotenza di
Baal.0

0
NOCQUET, Le Livret noir de Baal, 55, evidenzia che «Ioas fa
di giorno quel che suo figlio ha fatto di notte». A. DE PURY, «Le raïd
de Gédéon (Juges 6,25-32) et l'histoire de l'exclusivisme yahwiste»,
in T. RÔMER (a cura di), Lectio difficilior probabilior?L'exégèse
comme expérience de dé cloisonnement. Mélanges offerts à F. Smith-
Florentin (DBAT Beiheft 12), Heidelberg 1991, 198-199, interpreta
l'azione di Ioas come una boutade.
0
Cf. 7,1; 8,29.35; 9,1-2.5.16.19.24; cf. BLOCK, Judges-Ruth,
269; ABADIE, Insoliti eroi. Teologia e storia del libro dei Giudici, 75-
90.
0
Come parafrasa B.G. WEBB, The Book of Judges: An
Integrated Reading (JSOT.S 46), Sheffield 1987,149, che parla di
una nuova rinascita operata sempre dal padre Ioas.
CAPITOLO 3: AGENTI DI
RACCORDO

Altra cospicua funzione dei personaggi secondari è


quella di raccordo,0 nell'instaurare contatti nell'intreccio,
avviando o facendo ripartire un'azione, o, viceversa, di
disconnessione nell'interromperli o neutralizzarli. Oltre a
dare un nuovo orientamento alla storia, essi sono messi in
scena per far risaltare agli occhi del lettore le reazioni del
protagonista. Nella maggioranza dei casi si tratta di
informatori istituzionali, ma sono frequenti anche quelli
occasionali,0 a conferma dello stile popolare dei racconti
biblici. Nel caso di quelli istituzionali possiamo
distinguere quelli statici, come ad esempio le sentinelle di

0
Funzione che corrisponde al «personaggio che funge da giunto»
proposta da J.-L. SKA-A. WÉNiN- J.-P. SONNET, L'analyse narrative
des récits de l'Ancien Testament (CE 107), Paris 1999, 33.
0
Cf. N.M. FREEDMAN - B.E. WILLOUGHBY, «mal'ak», in TWAT,
IV, 887-905. Il singolare si applica a qualsiasi informatore, mentre il
plurale a quelli istituzionali; la Vg usa per i messaggeri divini
angelus e per gli umani nuntius. Possiamo aggiungere i due participi
sostantivati «annunciatore» (mebassér) e informatore (maggìd) la cui
designazione è indifferente; si vedano O. SCHILLING, «bsr», in
TWAT, I, 845-849; F. GARCÌA LÓPEZ, «ngd», in TWAT, V, 188-201.
A questi, possiamo aggiungere «inviato» {sâlâh), cf. HOSSFELD -
DER VELDEN, «sàlah», in TWAT, VIII, 51.
una città, e quelli dinamici, come messaggeri, corrieri,
ambasciatori, esploratori o spie.
L'informatore è sempre un emissario (E) inviato da
un mittente definito (M) al destinatario (D), con le
formule:
- «M disse a E»;
- «M inviò E» (con il tipico verbo sàlah).
Spesso segue l'eventuale contenuto del messaggio a
D, che può essere trasmesso in modo orale o scritto.0
Costoro non sono mai autonomi e agiscono sempre
come esecutori di un mandante. Diversamente da altre
attestazioni antiche, per quanto riguarda gli incaricati di
esporre un messaggio come ambasciatori o corrieri, i
racconti biblici eliminano l'iter protocollare,
focalizzandosi sul contenuto del messaggio.0 Lo stesso

0
Cf. mimeticamente Nm 20,14; 21,21; 22,5; Dt 2,26; Gdc 7,24;
9,31; 11,12.14.17.19; ISam 6,21; 16,19; 2Sam 2,5; 3,12.14; 11,27;
IRe 19,2; 20,2.5; 2Re 14,8; 19,9; Ne 6,3. Sulla comunicazione per
lettera, cf. D. PARDEE, «An Overview of Ancient Hebrew Episto-
lography», in JBL 97(1978), 321-326.
0
Rinviamo a S.A. MEIER, The Messenger in the Ancient Semitic
World (HSM 45), Atlanta, GA 1988; J.T. GREENE, The Role of
Messenger and Message in the Ancient Near East, Atlanta, GA
1989; L. Di GREGORIO, Le scene d'annuncio della tragedia greca,
Milano 1967, per apprezzare il contrasto tra gli stereotipi greci e la
sobrietà biblica.
accade per agenti di intelligence militare, come
esploratori e spie. A differenza della prassi attestata dalla
letteratura neo-assira, nella Bibbia non sono solo militari,
ma presi da tutti i ceti, e manca la tipica intimidazione o
la «guerra psicologica», riscontrabile solo in 2Re 18-20,
dove c'è una delegazione assira, guidata dal gran
coppiere, che terrorizza Ezechia, re di Gerusalemme.0
Normalmente, esso è già noto al lettore dal mittente,
mentre c'è sorpresa quando si ascolta simultaneamente
con il destinatario. L'eventuale menzione del ritorno dei
messaggeri al mittente avviene quando ciò che interessa è
la reazione del protagonista.0
L'introduzione di agenti occasionali è inopinata e
senza particolari presentazioni: l'informatore può
intervenire ex abrupto nei confronti del destinatario, o
essere interpellato da questi.
Diversamente dall'epica e dalla tragedia, che
prediligono il ricorso al deus ex machina tramite epifanie,
travestimenti antropomorfi e teriomorfi, o personaggi

0
Evidenziato dalla monografia di P. DUBOVSKY, Hezekiah and
the Assyrian Spies (BibO 49), Roma 2006, 10-31.
0
Cf. ad esempio Gen 32,4; ISam 25,5.12; 2Sam 11,9; 2Re 18,37;
22,20.
circoscritti a un mondo aristocratico, i racconti biblici
preferiscono in modo conciso agenti umani di ogni ceto;
spesso compare l'angelo di YHWH o di Elohim (maiale
YHWH/'èlòhìm) che, in quanto figura divina, esula dalla
nostra indagine.

1. Agenti bussola

Diversi agenti sono escogitati per la necessità


scenica di sbloccare rimpasse in cui incappa l'azione del
racconto, dove il protagonista cerca qualcuno o qualcosa,
ma non riesce a trovarlo. L'espediente di un informatore
in itinere, caratterizzato ad hoc con la debita competenza
per un efficace orientamento, è un motivo folklorico.0
1.1. In Gen 37,15-17 l'introduzione dell'anonimo
informatore di Giuseppe va colta nel contesto della
missione affidatagli dal padre Giacobbe di trovare i suoi
fratelli. Dato che Giuseppe è bloccato in un vicolo cieco
(v. 15), l'informatore risponde alla necessità scenica di
0
Alcuni esempi in T. DEKKER - J. VAN DER KOOI - Y. MEDER,
Dizionario delle fiabe e delle favole. Origini, sviluppo, variazioni,
Milano 1997,1; 7; 28; 175. Si pensi alla mosca sacra che mette la dea
Inanna sulle tracce del perduto sposo Dumuzi nell'epica sumera
Discesa di Inanna agli inferi.
ovviare al problema, indirizzandolo per raggiungerli.
Questa miniatura poteva condensarsi a vantaggio
dell'unilinearità, come fa Flavio Giuseppe (AG II, 20);
un'altra opzione poteva essere il ricorso all'intervento del-
l'«angelo del Signore» (cf. ad esempio Gen 21,14; IRe
19,4-7). Il narratore, però, escogita un agente umano in
linea con l'atmosfera profana della storia di Giuseppe.0
Il confronto con la riscrittura flaviana fa apprezzare
il ritardando di questo interludio, che acuisce la tensione
e offre al lettore il tempo di predisporsi emotivamente al
fatidico incontro tra i fratelli. Il primo effetto di questa
transizione è di allungare il viaggio, facendo sì che
Giuseppe cambi luogo da Ebron a Sichem (v. 17), senza
cancellarlo dalla vista del lettore, facendogli ripercorrere
a ritroso, in una sorta di analogia patriarcale, lo stesso
itinerario di suo padre Giacobbe da Aram a Canaan (Gen
33,18; 35,4.27).0 II secondo è fargli osservare dal punto
di vista interno dell'informatore un Giuseppe smarrito e
0
Evidenziata da G. VON RAD, «Josephsgeschichte und altere
Chokma», in VTSup 1(1953), 121-127.
0
Rinviamo a H. GUNKEL, Genesis (GHAT 1), Gòttingen 31910,
406; L. SCHMIDT, Lite- rarische Studien zur Josephsgeschichte
(BZAW 167), Berlin-New York 1980, 146, nota 169. Per la
geografia comune dei patriarchi, cf. F. GIUNTOLI, Genesi 12-50,
Cinisello Balsamo 2013, 235.
destabilizzato.0 Il fatto che sia lo sconosciuto a prendere
l'iniziativa di «trovare» (màsti) Giuseppe (v. 15), ne fa
emergere la passività e l'ansia (v. 16). Il dialogo lo
evidenzia senza più la protezione del padre che lo ama e
non ancora con i fratelli che lo odiano a causa dei suoi
sogni.0 Con la risposta «i miei fratelli io cerco» ('et 'ahay
'ànóki mebaqqés), in cui risuona il suo ansimare (v. 6),
per la prima volta Giuseppe antepone i fratelli a sé, ma
soprattutto esprime per il lettore il programma che darà
slancio a tutto il ciclo narrativo.0
0
Così C. WESTERMANN, Genesis 37-50 (BK 1/3), Neukirchen-
Vluyn 1982, 40; J.-L. SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato».
Introduzione all'analisi dei racconti dell'Antico Testamento, Bologna
2012, 50; D.B. REDFORD, A Study of the Biblical Story of Joseph
(VT.S 20), Leiden 1970, 145; C. LICHTERT, «Le personnage
secondaire anonyme dans le récit biblique», in D. MARGUERAT (a
cura di), Regards croisés sur la Bible, Acte du III Colloque
International RRENAB, Paris 8-10 juin 2006, Paris 2007, 359-360.
0
Così L.W.L. HUMPHREYS, Joseph and His Family; A Literary
Study, Columbia, SC 1988, 103; N. MARCONI, «Contributi per una
lettura unitaria di Gn 37», in RivBiblt 39(1991), 285-286.
0
Evidenziano il carattere programmatico G. FISCHER, «Die
Josefsgeschichte als Mo- dell fur Versôhnung», in A. WÉNIN (a cura
di), Studies in the Book of Genesis (BEThL 155), Leuven 2001, 253;
P. WEIMAR, «Spuren der verborgenen Gegenwart Gottes in der
Geschichte. Anmerkung zu einer spàten Redaktion der
Josephgeschichte. Urspriing und Rezeption», in FS. Loning (NTA
44), Miinster 2003, 19. A. WÉNIN, Joseph ou l'invention de la
fraternité. Lecture narrative et antropologique de Genèse 37-50,
Bruxelles 2005, 52, nota: «Per la prima volta, nel racconto, egli si
pone come soggetto per formulare un desiderio che gli è proprio».
Ironicamente, la visione di Giuseppe errante per la
campagna è ben diversa da quella onirica in cui si era
vaticinato come il covone omaggiato da altri (Gen 37,7).
Il racconto è ellittico su come l'informatore abbia saputo
dell'intenzione dei fratelli di trasferirsi a Dotan. Per H.
Gunkel0 si spiega perché egli conosceva sicuramente
Giuseppe e i suoi fratelli. Il testo, però, elude la
questione, puntando al sodo: l'uomo che «ha trovato»
Giuseppe deve necessariamente saperlo, perché egli li
possa «trovare» (v. 17b).
L'analessi su Dotan apre uno scenario inedito che
allontana Giuseppe dal padre e lo orienta verso il proprio
destino; se il narratore l'avesse anticipata, non avrebbe
creato la suspense su ciò che sta per accadere, perché si
tratta di preparare la svolta traumatica e decisiva del
racconto. Senza l'informatore la storia avrebbe avuto un
altro esito. Per il momento, l'informatore sembra salvare
il «programma» dettato dal padre (Gen 37,13-14a), ma il
suo intervento è la quiete che prelude alla tempesta,
perché il lettore sa quello che Giuseppe ignora, ossia
0
Per GUNKEL, Genesis, 406, seguito tra altri da A.B. EHRLICH,
Randglossen zur hebràischen Bibel, Leipzig 1908-1914,1, 187, era
vicino di Giacobbe e conosceva la sua famiglia.
l'odio covato dai fratelli, e paventa quel che potrebbe
succedere. La scena traguarda a una svolta nel conflitto
interno alla famiglia0 e inserisce un elemento rilevante
per il futuro, vale a dire una provvidenza divina dietro le
quinte che guida le peripezie di Giuseppe ogni volta che
sembrano arenarsi.
La tradizione rabbinica identificherà l'informatore
con l'angelo Gabriele o tre emissari divini in base alla
triplice ricorrenza del termine «uomo»,0 ma si tratta di
sviluppi successivi; giustamente, alcuni autori parlano di
un segno anonimo della presenza di Dio 0 programmatico,
perché adombra tutte le difficoltà, gli alti e bassi che il
protagonista dovrà affrontare.0
0
Così SCHMIDT, Literarische Studien zur Josephsgeschichte,
146, nota 169; G.F. COATS, Genesis (FOTL 1), Grand Rapids, MI
1983, 270.
0
Per i tre emissari divini cf. GenRab 75,5; 84,14; per l'angelo
Gabriele cf. Pirqè Rabbi Eliezer, 38. R. ALTER, Genesis, New York-
London 1996, 211, preferisce un certo riserbo sull'identificazione.
0
Così B. JACOB, Das erste Buch der Torah: Genesis, Berlin
1934, 702; JANZEN, Abraham, 150; E. SANZ GIMÉNEZ RICO,
«Palabra, providencia y misericordia en la historia de José», in
EstEcl 81(2006), 19. Sintetizza bene MARCONI, «Contributi per una
lettura unitaria di Gn 37», 286 nota 25: «Dietro la maschera
dell'uomo di Sichem interviene colui che dirige la storia e che solo
alla fine della grande storia verrà riconosciuto da Giuseppe e
presentato ai fratelli».
0
Così G. VON RAD, Das erste Buch Mose. Genesis (ATD 2-4),
Gòttingen 91972, 288: «Forse il narratore voleva sottolineare i
1.2. In Gen 29,1-8 nel contesto del viaggio di
Giacobbe a Carran per incontrare lo zio Labano e trovare
moglie nel casato di questi, il narratore escogita dei
pastori per agevolare l'incontro, sgombrando le difficoltà
che sono l'arrivo in un paese straniero e soprattutto la non
conoscenza dei parenti da contattare. I pastori potrebbero
rientrare in più generi di scene-tipo, come quella della
«scoperta progressiva», dell'«accoglienza dei forestieri» e
dell'«incontro presso il pozzo» (luogo privilegiato per
scambi), o anche dei conflitti per l'acqua, ma in parti-
colare di fidanzamenti in una terra straniera, in ogni caso
sempre decisivi nella traiettoria del protagonista.0 In
quanto abituali frequentatori di pozzi, fungono da
verosimile cerniera tra Giacobbe e la sua meta.
pericoli che fin dall'inizio hanno circondato Giuseppe in questo
viaggio»; WEIMAR, «Spuren der verborgenen Gegenwart Gottes in
der Geschichte», 253.
0
Per queste varie scene-tipo, cf. SKA, «I nostri padri ci hanno
raccontato», 63- 65; 119, che cita per scene di scoperta Gen 18,1-15;
28,10-22; Es 3,1-6; di incontri decisivi con forestieri Gen 18,1-8;
19,1-3; per quelle presso un pozzo Gen 24,10-14;
Es 2,15-21; privilegiano quest'ultima R.C. CULLEY, Studies in the
Structure of Hebrew Narratives, Philadelphia, PA-Missoula, MT
1976, 41-43; R. ALTER, The Art of Biblical Narrative, New York, NY
1981, 47-62; S.K. SHERWOOD, «Had Not God Been on My Side»: An
Examination of the Narrative Technique of the Story of Jacob and
Laban, Genesis 29,1-32,2, Frankfurt a.M. 1990, 35-36; M.W.
MARTIN, «Betrothal Journey Narrative», in CBQ (2008), 505-523.
Qui Giacobbe appare fuggitivo come lo sarà Mosè,
con la differenza che non ha ucciso come quest'ultimo, e
per il fatto che incontra parenti, non stranieri (Es 2,15-
21). Se il primo obiettivo del viaggio è l'incontro con
Labano,0 i pastori servono a creare il primo contatto con
Rachele, così come sarà Rachele a creare quello con
Labano, diventando poi lei la posta in gioco.
Drammaticamente i pastori segnalano un cambio
d'ambiente, con una descrizione che, lungi da atmosfere
bucoliche, è funzionale all'azione. Il narratore passa da
una fecalizzazione zero al punto di vista interno di
Giacobbe mediante un triplice «ecco» (wehinnéh)0 che fa
rivivere al lettore la sua messa a fuoco degli elementi-
chiave del paesaggio: il pozzo, le greggi e alla fine
Rachele (v. 6). I pastori non sono citati, ma la loro

0
Così E. BLUM, Die Komposition der Vatergeschichte
(WMANT 57), Neukirchen- Vluyn 1984, 99: «Lo scopo dell'unità
29,1-14 è apertamente l'auto-introduzione riuscita di Giacobbe
presso Labano, che approda con successo alla conclusione in cui
Labano lo riconosce come suo parente». Cf. anche J.P. FOKKELMAN,
Narrative Art in Genesis. Specimens of Stylistic and Structural
Analysis (SSN 17), Assen-Amsterdam 1975, I, 124-125.
0
È uno dei rari casi nella Genesi, qui e nel v. 10, della «legge
del tre» di Olrik sfuggiti a GUNKEL, Genesis, LIV nota 4.
presenza è intuibile,0 diafana, per far spiccare la pietra
grande sulla bocca del pozzo, che sarà il clou dell'azione
(vv. 2.3.8.10).
Qualcuno0 li trova inverosimili, perché lì con
notevole anticipo rispetto alla rimozione della pietra, ma
è più cogente la loro funzione drammatica:
a) essi sono Yinventio che aiuta Giacobbe a
identificare Rachele;
b) consentono al lettore di osservare Giacobbe
spaesato;
c) la sequenza iterativa dei verbi esprime una routine
che fa risaltare il gesto unico, repentino, di Giacobbe
nella rimozione della pietra del pozzo.

0
II lettore può presupporli nei verbi attivi alla terza persona
plurale e dal fatto che Giacobbe «parla con loro» (vv. 4.5.6). Altre
versioni antiche colmano la loro assenza leggendo «tutti i pastori»
nel v. 3 (così il PS) e nel v. 8 (PS e LXX), seguite da molte versioni
moderne. Cf. fra altri, H. EISING, Formgeschichtliche Untersuchung
zur Jakobserzàhlung der Genesis, Emsdetten 1940, 163.
0
GUNKEL, Genesis, 326, seguito da A. DILLMANN, Die Genesis,
Leipzig 1892, 234, la spiega in base al principio «chi prima arriva,
prima beve»; pur plausibile, non è affatto esplicito, perché
attingeranno tutti insieme dopo l'arrivo degli altri pastori; per S.R.
DRIVER, Notes on the Hebrew Text and the Topography of the Books
of Samuel: with an Introduction on Hebrew Paleography and the
Ancient Versions and Facsimiles of Inscriptions and Maps, Oxford
2
1913, 269, la loro attesa è una consuetudine normale.
Come informatori sono laconici (vv. 4.8); per
alcuni, ciò è dovuto a riservatezza o pigrizia; per altri, fa
risaltare la loquacità di Giacobbe o l'accoglienza più
calorosa di Labano.0 Al narratore non interessa la loro
psicologia, bensì velocizzare l'incontro; la loro
«prospettiva dentro la prospettiva», che segnala il
simultaneo arrivo di Rachele (v. 6),0richiama l'attenzione
di Giacobbe e del lettore, creando suspense. Il diniego dei
pastori all'invito di Giacobbe a rimuovere la pietra (v. 8)
non è motivato,0 ma fa stagliare lo straordinario coup de
0
Lo nota JACOB, Das erste Buch der Tor ah: Genesis, 586. I.
SCHARBERT, Genesis 12-50 (NEB.T. 16), Wiirzburg 1986, 201,
definisce i pastori «riservati»; P. HEINISCH, Das Buch Genesis
(HSAT 1.1), Bonn 1930, 302, «laconici, riluttanti e di breve
risposta»; 0. PROCKSCH, Die Genesis (KAT 1), Leipzig 21924, 174,
«restii nel discorso»; E.A. SPEI- SER, Genesis (AB 1), New York,
NY 1964, 223, li vede come contrappunto alla loquacità di
Giacobbe, mentre C. WESTERMANN, Genesis 12-36 (BK 1/2),
Neukirchen-Vluyn 1981, 465, sottolinea la freddezza o diffidenza.
0
Per B. JACOB, Das erste Buch der Torà, Berlin 1934, 586,
Yatnah precedente segnala che sono parole dei pastori e non del
narratore. Per la tecnica della simultaneità narrativa, cf. S. BAR
EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOT.S 70), Sheffield 1989, 165-
184; J.-P. SONNET, «L'analyse narrative des récits bibliques», in M.
BAUKS - C. NIHAN (a cura di), Manuel d'exégèse de VAncien
Testament, Genève 2008, 68-71; esempi in Gen 24,15; 2Sam 17,24-
26; IRe 1,11-53; 2Re 8,1-6.
0
Per DILLMANN, Die Genesis, 234; M. ZLOTOWITZ - S.
NOSSON, Bereishis. Genesis, Brooklyn, NY 1988, IV, 1256 e COATS,
Genesis, 213, si tratta di un'incapacità fisica; secondo GUNKEL,
Genesis, 325, E. TESTA, Genesi, Torino 1974, II, 453, e H. SEEBASS,
théâtre di Giacobbe, che agisce violando le usanze
locali.0 Con questo preludio, il narratore prepara il lettore
alla nuova integrazione di Giacobbe, un uomo spiazzante,
anticipando i due principali motivi - Rachele e il gregge -
che costituiranno il conflitto strutturale tra lui e Labano.0
1.3. In Es 2,16-21, nel contesto della fuga di Mosè
dall'Egitto, entrano in scena le sette figlie di Reuel per
due necessità della trama:
a) risolvere il problema di Mosè, il quale non può
restare solo in Madian, ma deve trovare una dimora;
b) creare le condizioni per cui egli potrà recarsi
sull'Oreb per ricevere la sua missione (Es 3).
Esse sono introdotte con un incipit favolistico (v.
16) che segnala il principale ruolo paterno. Il numero

Geschichtliche Zeit und theonome Tradition in der


Josephserzàhlung, Giitersloh 1979, 330, vige l'interdetto di
rimuoverla, onde evitare abusi.
0
SHERWOOD, «Had Not God Been on My Side», 36, nota:
«Presso il pozzo, Giacobbe affronta una società chiusa, aliena e
granitica a cui deve guadagnare accesso». Per BAR EFRAT, Narrative
Art in the Bible, 117, Giacobbe fu spinto a violare la consuetudine
dall'amore per suo zio; per GIUNTOLI, Genesi 12-50, 158, dall'affetto
per Rachele e dal tentativo di fare colpo su Labano.
0
Così ALTER, The Art of Biblical Narrative, 55, per il quale
l'incontro con i pastori «è un preludio appropriato alla storia di
Giacobbe, narrata con ritmo sostenuto di iniziative, inganni e scontri
vigorosi».
sette, oltre a essere una cifra popolare di pienezza, 0 rivela
che Reuel qui non ha un figlio maschio (cf. invece Nm
10,29); questo spiega perché era costretto a servirsene
come pastorelle. La tradizione rabbinica lo motiverà con
l'ostracismo locale verso Reuel a causa del suo rifiuto di
servire gli idoli, per cui non poteva assoldare altri pastori
e le sue figlie erano vittime di continui soprusi al pozzo,
mentre Flavio Giuseppe spiega il loro impiego come
ordinario presso le popolazioni primitive e la prepotenza
dei pastori come indice di paura di restare senz'acqua,
approfittandosi del lavoro delle ragazze {AG II, 258-260).
Le figlie, indifese, servono a esaltare la
performance di Mosè (v. 17), secondo il topos dell'eroe
che libera la ragazza in pericolo, con la differenza che
non sono principesse, ma umili pastorelle. In un racconto
crivellato di ellissi, caratteristica è la loro metadiegesi (v.
19), che fa immedesimare il lettore in Reuel che ascolta.

0
Cf. J. HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13 (HCOT), Kampen 1993, 66.
Sul sette come numero di figli ideale cf. ISam 2,5; Rt 4,15; Ger 15,9;
2Mac 7; Gb 1,2; 42,13. Omero elenca sette figlie di Zeus {II. IX,
508-512). Il numero è anche tipicamente fiabesco, come i sette nani
di Biancaneve, i sette fratelli di Pollicino, i fratelli della novella
Quattordici. B. JACOB, The Second Book of the Bible. Exodus, New
York 1992, 36, segnala la novella Kitab alAghani che presenta una
storia analoga di uno sceicco e le sue sette figlie.
Non si spiega come lo identifichino come egiziano; per
alcuni,0 esse lo deducono dall'abbigliamento, dalla lingua
e dall'aspetto di Mosè, dettagli ininfluenti come nei
racconti popolari. Più importante è l'enfasi anche qui sul
gesto eccezionale di Mosè che ha attinto acqua per loro,
perché era un compito riservato solo a donne (Gen
24,11.13; ISam 9,11) o a schiavi (Dt 29,10; Gs 9,21.27),
come emerge dalla loro stessa sorpresa nel v. 10: «In più
egli ha persino attinto acqua per noi»,0 dando adito a
varie interpretazioni:0
a) dimostrare che mai come in quel giorno il gregge
delle ragazze era stato così ampiamente abbeverato;
b) spiegare che Mosè ha dovuto attingere
ulteriormente acqua, perché quella attinta dalle ragazze
0
M. NOTH, Das Zweite Buch Moses. Exodus (ATD 5),
Gottingen 21961, 24, insiste sull'abbigliamento; U. CASSUTO, A
Commentary on the Book of Exodus, Jerusalem 1951, 25, e W.H.
SCHMIDT, Exodus (BK II/l), Neukirchen-Vluyn 1988, I, 93, su
abbigliamento e lingua, mentre JACOB, Exodus, 37, e V.P.
HAMILTON, Exodus, Grand Rapids, MI 2011, 36, aggiungono
l'aspetto fisico.
0
Per questa traduzione dell'ebraico che ha il morfema gam
prima di un infinito assoluto seguito dalla forma finita del verbo
«attingere», cf. C.H.J. VAN DER MERWE, «Another Look at the
Hebrew Focus Particle Gam», in JSS 54(2009), 326.
0
Per una panoramica delle varie interpretazioni, cf. SCHMIDT,
Exodus, I, 84; G.F. DAVIES, Israel in Egypt: Reading Exodus 1-2
(JSOT.S 135), Sheffield 1992, 146-148.
non era sufficiente, o era stata depredata o sprecata dai
pastori;
c) dipingere Mosè, definendolo «egiziano», come un
uomo nobile, ben distante dai rozzi pastori.
La soluzione migliore è far rientrare il gesto nelle
convenzioni della scena-tipo dell'«incontro presso il
pozzo»,0 con tre modificazioni: Mosè non ha chiesto da
bere, né ha interpellato una delle possibili future spose
rivelando la sua identità, così come le ragazze non sono
corse subito a casa per darne notizia. Il narratore dissipa
così nel lettore ogni sospetto sul suo disinteressato senso
di giustizia che poteva sorgere nell'episodio precedente
(Es 2,11-14). Simultaneamente, accresce la curiosità di
sapere cosa farà Reuel e quale sarà la sorte di Mosè.
La svolta del suo invito (v. 20) indica che Reuel si
è lasciato persuadere dal resoconto delle figlie, per cui
Mosè trova finalmente una dimora, così come Reuel
trova l'uomo atteso che gli mancava in famiglia. Va
notato che qui il suo nome Re'uél, rispetto a quello di
0
J.S. ACKERMAN, «The Literary Context of the Moses Birth
Story (Exodus 1-2)», in K.R.R. GROS LOUIS (a cura di), Literary
Interpretations of Biblical Narratives, Nashville, TN 1974, 103;
ALTER, The Art of Biblical Narrative, 57-58; S. TUCHMAN-S.E.
RAPOPORT, Moses' Women, New Jersey, NJ 2008, 90-95.
Ietro che riceverà nel capitolo successivo, potrebbe
dipendere dalla conflazione di due tradizioni diverse, ma
nel testo attuale suona in modo appropriato al contesto,
giacché potrebbe significare «Dio pascola/è amico», in
contrapposizione ai violenti pastori e al futuro ruolo di
Mosè come pastore d'Israele (Is 63,11).
Nel testo biblico manca qualsiasi riferimento al
sentimento dei futuri sposi.0 La laconicità e discrezione
biblica rientrano nella stilizzazione popolare, spiccando
rispetto al racconto egiziano di Sinuhe, in fuga dall'Egitto
e accolto da uno sceicco dei pastori asiatici Retennu, da
lui precedentemente incontrato, che lo riconosce e lo
rifocilla;0 così pure risulta dalla versione amplificata della
nostra storia da parte di Flavio Giuseppe:
Dopo questa azione benevola, esse tornarono dal
padre e gli raccontarono l'insolenza dei pastori e l'aiuto
prestato loro dallo straniero, pregandolo che non restasse
vana quella buona azione e non la lasciasse senza

0
Come notano W.H. SCHMIDT, Exodus, I, 94; EHRLICH,
Randglossen zur hebraischen Bibel, 266; quest'ultimo pensa a un
mero matrimonio di ragione, che però non resta suffragato dal testo,
più preoccupato dei punti essenziali della trama.
0
Cf. la Storia di Sinuhe in E. BRESCIANI, Letteratura e poesia
dell'antico Egitto, Torino 1999, 164-170.
ricompensa. Egli approvò l'interesse delle figlie per il
loro benefattore e ordinò che conducessero in sua
presenza Mose per dimostrargli un giusto ringraziamento.
Quando giunse gli parlò della testimonianza delle figlie
per l'aiuto da lui dato e, stupito per la sua gentilezza,
aggiunse che il suo aiuto non era stato dato a persone
insensibili alla riconoscenza, ma a persone capaci di
meritarselo e di superare con la grandezza della
ricompensa la misura del beneficio {AG II, 261-263).
Com'è tipico della narrazione biblica, non abbiamo
nessun accenno né all'eventuale bellezza di Zippora
(diversamente da Rachele, Gen 29,17), né ai suoi
sentimenti; non si distingue nemmeno come portavoce
dalle sorelle e non si spiega neppure perché Reuel scelga
lei come moglie di Mosè. Più importante è il racconto
delle figlie al padre, anziché il gesto di Mosè.
Continuando la scia di donne straniere in Es 1-2, le
figlie di Reuel si stagliano per la loro accoglienza e
favore. Si può notare che Zippora non è israelita, come
non lo sono la moglie di Giuseppe, o Rut per Booz.
Ovviamente il matrimonio avviene per un contesto fuori
dalla propria terra d'origine, ma si rivela positivamente
risolutivo (come per Giuseppe in Gen 41,45 o per Booz
in Rut), diversamente da quanto visto per Sansone o per
altri matrimoni con straniere, solitamente disastrosi per
gli israeliti.0 Nella polifonia dell'AT, questo è un segno di
apertura rispetto all'interdetto dei matrimoni misti in
Esdra-Neemia.
Nell'architettura dell'Esodo, la funzione delle sette
sorelle va oltre l'emergenza contingente. Esse chiudono
un primo ciclo della vita di
Mosè e preparano quello decisivo; Mosè tratto in
salvo dall'acqua da donne (Es 2,1-10), ora ne salva altre
attingendo per loro; egli anticipa il suo ruolo di liberatore
d'Israele (v. 19; cf. Es 3,8; 6,6; 18,4-10) e il dono
dell'acqua nel deserto (Es 17,1-7; Nm 20,1-13).0
Retrospettivamente il lettore si accorge come Mosè
ripercorra le orme dei patriarchi e ha tutto il tempo di

0
Cf. E. FUCHS, Sexual Politics in the Biblical Narrative:
Reading the Hebrew Bible as a Woman (JSOT.S 310), Sheffield
2000, 103. Si pensi agli esiti disastrosi delle esogamie di Esaù (Gen
27,46), Acab (IRe 16,31) e Salomone (IRe 11).
0
Cf. rispettivamente W.H.C. PROPP, Exodus 1-18 (AB 2), New
York, NY 1999, 175; G.W. COATS, Exodus 1-18 (FOTL 2a), Grand
Rapids, MI 1999, 31-32; T. DOZEMAN, Exodus (ECC), Grand
Rapids, MI 2009, 90; HAMILTON, Exodus, 36. DAVIES, Israel in
Egypt, 150, rimarca come cardine il rivivere l'esperienza patriarcale.
verificare come tali interpretazioni possono
compenetrarsi.
1.4. In Nm 10,29-33 un altro agente-bussola è
Obab, figlio di Reuel, suocero di Mosè, nel corso del
viaggio degli israeliti nel deserto. La sua esperienza dei
luoghi desertici può attagliarsi alla sua scelta di bussola,
come pure il suo nome (= amato/preferito) segnala la sua
innegabile parentela con Mosè, anche se resta
controversa sul tipo di grado, se suocero o cognato.
Sicuramente qui abbiamo la confluenza di una duplice
tradizione; la prima è quella che lo definisce suocero di
Mosè, l'altra invece come cognato, partendo
dall'identificazione Ietro = Reuel come suocero.0 Qui si
parla di lui come «il Madianita» (diversamente da Gdc
1,16 e 4,11, dove è kenita).

0
II suocero di Mosè viene presentato con tre nomi: Reuel (Es
2,16-18), Ietro (Es 3,1; 18,1-12) o Ieter (Es 4,18) e Obab (Nm
10,29). Con ogni probabilità in Gdc 1,6 e 4,11 i masoreti hanno
emendato il testo, perché basterebbe cambiare lievemente le vocali di
hòtén (suocero) in hàtan (cognato). W.F. ALBRIGHT, «Jethro, Hobab
and Reuel», in CBQ 25(1963), 111-113, cerca di armonizzare i passi,
ma è innegabile la polifonia delle tradizioni, come notano tra altri M.
GREENBERG, Understanding Exodus. The Heritage of Biblical Israel,
New York 1969, 48-49, e D.F. LAUNDERVILLE, «Hobab», in ABD,
III, 235.
Mosè lo richiede due volte come guida; dopo un
primo diniego, Mosè implora Obab di essere come gli
«occhi» (v. 31) per assicurare i giusti accampamenti,
promettendo lo stesso bene promesso da YHWH agli
israeliti. Il testo presenta delle contraddizioni, perché
immediatamente dopo si parlerà dell'arca dell'alleanza
come guida, associata alla nube (vv. 33-34), chiaro
indizio dell'amalgama di più tradizioni. Il narratore non
chiarisce se Obab abbia rifiutato l'invito di Mosè, ma Gdc
1,16 sembra presupporlo. Nel testo attuale, la funzione
drammatica di questa inserzione è molteplice: si riprende
il filo narrativo interrotto in Es 33-34, che parlava della
promessa di YHWH. Obab nella sua risposta resta fedele
alla sua terra e al suo clan, ma in tal modo fa stagliare la
definitiva rottura di Mosè da Madian.
L'insistenza di Mosè dimostra la disponibilità di
Israele a incorporare nuovi soggetti, allargando i benefìci
del Signore. Il lettore può constatare come la guida
divina mediante la nube e l'arca si associ alla
collaborazione di agenti umani, anche se proprio
l'assenza di una risposta di Obab enfatizza la prima.
1.5. In ISam 30, nel contesto dell'inseguimento da
parte di Davide degli amaleciti che hanno razziato Ziklag
(vv. 1-5), il narratore introduce un giovane egiziano
trovato casualmente (màsa , v. 11) come la scorciatoia
che facilita insperatamente per Davide il recupero dei pa-
renti e del bottino. L'egiziano rientra nel topos della
«guida catturata», altrove attivata in modo seccamente
diegetico (cf. Gdc 1,24.25; 8,4).
Qui la messa in scena è ben diversa da quella dei
due gruppi di spie di cui si parla nell'iscrizione della
battaglia di Ramses II contro gli ittiti a Qadesh, dove il
primo gruppo illude il faraone che i nemici siano lontani,
mentre il secondo, messo alle strette, gli rivela che in
realtà sono vicini, per cui Ramses cade nella trappola
ordita, prima di risolvere un conflitto senza vinti e
vincitori. Questo dettaglio storico permette di
controbattere la tesi di A.F. Campbell,0 che reputa la pre-
senza dell'egiziano come inverosimile; invece, era

0
Cf. testi in S. PERNIGOTTI, L'Egitto di Ramses II tra guerra e
pace, Brescia 2010, 84-86. Così A.F. CAMPBELL, 1 Samuel {FOTL
7), Grand Rapids, MI 2003, 286: «L'episodio dell'egiziano sbandato
è inusuale in tali storie». G. BRESSAN, Samuele, Torino 1954, 442,
richiama la figura del qadib, tipica guida araba. Per un episodio
analogo cf. APPIANO, Storia siriaca XIX.
plausibile che fosse stato catturato dagli amaleciti in
qualche sconfinamento in Egitto (cf. ISam 27,8). Egli è
caratterizzato come un ottimo navigator, per un più
rapido inseguimento dei predoni che hanno tre giorni di
vantaggio (v. 12); sa dove trovarli, perché ha partecipato
alle loro razzie, segnatamente a quella di Ziklag; poiché è
stato abbandonato dal suo padrone, ha tutti i motivi di
vendicarsi (v. 14).0
Dinanzi alla richiesta di fungere da guida, egli
chiede garanzie; il testo si disinteressa della sua sorte (v.
15), ma il lettore può evincere la lealtà di Davide, che,
pur non nominandolo, lo riconosce come pedina
provvidenziale della regia divina (v. 23; cf. vv. 6-8).
1.6. In ISam 17,25-31 i vari informatori che si
susseguono all'arrivo di Davide nell'accampamento di
Saul in guerra contro i filistei (vv. 23-31) sono
l'espediente per fargli affrontare in duello Golia, risolven-
do il conflitto e inaugurando pubblicamente la sua
0
Segnalato da H. J. STOEBE, Das erste Bucln Samuelis (KAT
VIII/1), Giitersloh 1973, 514, R. ALTER, The David Story. A
Translation with Commentary of 1 and 2 Samuel, New York-London
1999, 185, rileva: «Questo è il primo caso di tre istanze memorabili
in cui uno straniero fornisce informazioni di un terribile evento,
anche se in questo caso il soggetto dell'informazione non è l'evento
in sé, ma i luoghi dove si trovano coloro che l'hanno perpetrato».
carriera dinanzi agli israeliti e ai suoi nemici.0 I primi tre
interventi (w. 23.25.28) vertono sull'allettante premio
promesso a chi vincerà il gigante, tipico motivo fiabesco
della mano della figlia del re,0 oltre a ricchezze ed
esenzioni di tasse (v. 25). C'è un'ellissi su quando Saul lo
avesse notificato e su quale delle sue due figlie sia la
promessa sposa (cf. ISam 14,49). Per qualcuno, il primo
informatore parla come banditore del re, mentre per altri
è una proposta delle stesse truppe,0 ma, nel prosieguo,
non si accennerà a tale ricompensa. L'essenziale è che sia
l'input per far parlare per la prima volta Davide, che
legge il duello in chiave teologica, non semplicemente
militare, e coniuga agli occhi del lettore ambizione e
fiducia in Dio.

0
Cf. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 204: «Il capitolo
17 offre l'attuazione o dimostrazione sociale, militare e politica di ciò
che era stato inaugurato in una cerchia intima in 16,1-13»; M.
VIRONDA, «Gli inizi dell'ascesa di Davide (ISam 16,1-23). Analisi
narratologica», in RivBiblt 41(1993), 288-290.
0
Per altri esempi di promesse spose, cf. Gs 15,16; Gdc 1,12;
ISam 18,17; lCr 11,6. Cf. pure Od. XI, 287-280. Problematica è la
terza promessa; il Targum e la Peshitta traducono il verbo ebraico
hps con «farà nobile». Molti autori propendono per l'esenzione da
tributi o prestazioni; cf. fra altri BRESSAN, Samuele, 280, pensando a
ISam 8,11-18.
0
Per la prima ipotesi, cf. ib.; per la seconda CAMPBELL, 1
Samuel, 179.
Questa scena preparatoria si poteva espungere
come ha fatto Flavio Giuseppe (AG VI, 176-179), che
elimina gli informatori e ogni cenno di ricompensa e
presenta Davide che manifesta ai suoi fratelli l'intenzione
di combattere con Golia, ma avremmo perso un
rallentando avvincente.0 L'insistenza su chi realizzerà
l'impresa (vv. 25.26.27) rivela lo stato d'animo di Davide
e aumenta l'empatia del lettore. Un'ultima voce
impersonale (v. 31) facilita l'udienza presso Saul, poiché
la sfida esige il suo assenso. Il lettore ne pregusta Y
exploit, con suspense e curiosità, percependo il disegno
divino, che farà approdare il banale catering familiare di
Davide a un ring di memorabile gloria.0

2. Agenti garanti e risolutivi

0
Si vedano BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 162; R.M.
POLZIN, Samuel and the Deuteronomist: a Literary Study of the
Deuteronomic History. Part Two: 1 Samuel, San Francisco, CA
1989, 167; 169.
0
Per J. BRIEND, «Les figures de David en 1 Sm 16,1-2 Sam
5,3», in L. DEROUS- SEAUX - J. VERMEYLEN (a cura di), Figures de
David à travers la Bible. XVII Congrès de
VACFEB Lille 1997, Paris 1999, 15, «il lettore non può dubitare che
questo sconosciuto andrà lontano».
Altri informatori fungono da rampa di lancio per il
protagonista, con una raccomandazione che desta la
simpatia del destinatario e del lettore. Con un maggior
effetto persuasivo sull'uditorio, il narratore pone
ironicamente sulla bocca di non israeliti, talvolta nemici,
il proprio elogio del protagonista israelita, come nei casi
della regina di Saba (IRe 10) e di Achior (Gdt 5).0
2.1. In Gen 41, nel contesto della prigionia di
Giuseppe, viene escogitato il capo-coppiere (v. 9) per
creare il primo contatto tra lui e il faraone, in vista della
sua ascesa in Egitto. Egli è ricuperato dal capitolo
precedente e si presta comodamente a garantire
Giuseppe, perché ne ha sperimentato le doti
oniromantiche e può parlare credibilmente in virtù del
suo ufficio di confidente del re.0 Nella sua metadiegesi

0
Cf. in tal senso R. GIL - E. BONS, «Judith 5,5.21 ou le récit
dAchior», in VT 64(2014), 573-587; per elogi di protagonisti israeliti
che il narratore affida a nemici o stranieri, cf. Gen 12,15; 14,19;
41,9-13; ISam 29,5; 2Re 5,15; 6,12; Est 8,15-17; 10,1-3; Dn 2,47;
4,31-34; 6,27-29.
0
Sulle doti oniromantiche di Giuseppe, cf. R. PIRSON, The Lord
of Dreams. A Semantic Literary Analysis of Genesis 37-50, Sheffield
2002, 93; J. LANCLAU, Der Herr der Trdume (ATANT 85), Zurich
2006. Per la carica di coppiere cf. J. VERGOTE, Joseph en Égypte:
Genèse chap. 37-50 à la lumière des études égyptologiques récentes
(OBL 3), Leuven 1959, 35-36.
(vv. 9b-13), lungi dall'amplificazione di Flavio Giuseppe
(AG II, 76-78), il ricordo delle proprie colpe può
esprimere la sua ingratitudine, ma più probabilmente la
scampata condanna decretata dal faraone, che può
constatarne in lui la prova vivente.0 La tradizione
rabbinica, invece, spiegherà il suo suggerimento come il
tentativo di chi, incerto se il faraone sarebbe morto,
voleva mantenere la propria carica e mettere in cattiva
luce Giuseppe, in quanto ebreo disprezzato dagli egiziani,
onde evitare una sua vendetta per non essere stato fedele
al patto di ricordarsi di lui. Si tratta di speculazioni
ulteriori non sempre suffragate. Ciò che conta è far
interagire il coppiere, come un'altra ignara pedina del
disegno divino,0 per dischiudere la chance decisiva per
Giuseppe.
2.2. In Gen 26,18-32 sono i servi d'Isacco a dirimere
la querelle del racconto, che vede il loro padrone,
osteggiato dai filistei, costretto a peregrinare per il
0
Per il senso ancipite, si vedano VON RAD, Das erste Buch
Mose. Genesis, 307-308, e WENIN, Joseph ou l'invention de la
fraternité, 121-123.
0
GUNKEL, Genesis, 459; WESTERMANN, Genesis 37-50, 285-288;
R. LONGACRE, Joseph: A Story of Divine Providence. A Text
Theoretical and Textlinguistic Analysis of Genesis 37 and 39-48,
Winona Lake, IN 1989, 3-42.
motivo popolare della «contesa del pozzo», sancendo la
peripéteia con la notizia di aver trovato finalmente
l'acqua (v. 32). Se da un lato servono a confermare la
benedizione divina su Isacco alla stregua di Abramo
(Gen 21,31), dall'altro il narratore se ne serve per
evidenziare la particolarità e parimenti la non
consequenzialità della successione di questi racconti
come si trovano nel testo attuale di Genesi.0 Oltre a ciò,
sono il comodo appiglio per fondare un'altra eziologia
del toponimo Bersabea, che forse era originariamente
«pozzo dell'abbondanza», accanto a quella offerta in Gen
21,30-32, la quale si rifà a «sette» e «giuramento».0

0
Analogia sviluppata da L. SCHMIDT, «Die Darstellung Isaaks
in Genesis 26,1-23 und ihr Verhàltnis zu den Parallelen in den
Abrahamerzàhlungen», in ID., Gesammelte Aufsàtze zum Pentateuch
(BZAW 263), Berlin 2003, 167-224, e da GIUNTOLI, Genesi 12-50, il
quale rileva la particolarità e la non consequenzialità.
0
Per GIROLAMO, Quae st. in Genesim: PL 23,1029, era
«abbondanza» (= sib'àh) la lezione del testo ebraico primitivo, reso
così anche da Aquila Simmaco e nella Vg. Qui il termine risulta
vocalizzato sib'àh, «sette» e sembra che per il contesto sia stato
assimilato a sebu'àh che significa «giuramento». I LXX leggono
«giuramento» e, al contrario, presentano i servi che non trovano
affatto l'acqua! Cf. SCHMIDT, «Die Darstellung Isaaks in Genesis
26,1-23», 202 nota 119.
2.3. In Rt 2 è invece un soprintendente dei mietitori
(hannaar hannissàb 'al-haqqòserìm, v. 5)0 il jolly che
rende possibile il fatidico incontro tra Rut e Booz,
facoltoso parente del defunto suocero di Rut, quindi in
grado di esercitare il diritto del levirato come la
risoluzione della trama. In gioco c'è la duplice posta della
mancanza di un sostentamento (v. 3) e di discendenza per
Rut e per Noemi (cf. 1,12-13). Data l'importanza dei due
antenati di Davide - come visto nella genealogia finale
aggiunta -, l'incontro merita una degna ouverture.
Secondo le convenzioni, il protagonista e il comprimario
non possono incontrarsi subito. Ci vuole un po' di
solennità nella preparazione dell'incontro. Il ricorso al
soprintendente soddisfa tali esigenze; viene inscenato nel
contesto della mietitura nella campagna di Betlemme
come responsabile che può dare il permesso a Rut di
entrare nel campo di Booz, osservarla e rispondere alla
domanda del suo padrone sulla sua identità (v. 5).
Purtroppo la sua analessi (v. 7) è di ostica

0
Per R.L. HUBBARD, The Book of Ruth (NICOT), Grand
Rapids, MI 1988, 145, «l'espressione alquanto lunga può essere un
termine tecnico non attestato altrove per "caposquadra della fattoria",
o semplicemente un'espressione descrittiva coniata dal narratore».
comprensibilità, in particolare l'interpretazione del verbo
«è restata» (wattaàmòd).0
Sono possibili tre copioni diversi.
a) Per alcuni,0 Rut è restata in piedi nel senso che ha
lavorato tutto il tempo e continua a farlo, dietro il
permesso del soprintendente; pertanto, egli la
caratterizzerebbe come un'instancabile e diligente
lavoratrice.
b) Per la maggioranza, Rut ha lavorato, ma nel
frangente si sta concedendo una pausa di riposo, per cui
Booz si accorge di Rut proprio per questa sua inattività.

0
A.F. CAMPBELL, Ruth (AB), Garden City, NY 1975, 94-96,
rinuncia a tradurre le ultime quattordici parole del v. 7, avvertendo
che i problemi sono troppi in un testo corrotto per concedere una
fiducia totale a qualsiasi soluzione interpretativa. Per una rassegna
delle interpretazioni, cf. S.M. MOORE, «TWO Textual Anomalies in
Ruth», in CBQ 59(1997), 239.
0
Così H.W. HERTZBERG, Ruth (ATD 9), Gòttingen 1985, 268s:
«La testimonianza del sorvegliante fa sì - e il narratore vuol far
capire proprio questo - che gli occhi di Boaz si posino con
benevolenza sulla donna laboriosa»; W. RUDOLPH, Das Buch Ruth
(KAT 17/1), Giitersloh 1962, 54-56; D. BARTHÉLÉMY (a cura di),
Critique textuelle de l'Ancien Testament, 1: Josué, Juges, Ruth,
Samuel, Rois, Chroniques, Esdras, Néhémie, Esther (OBO 50/1),
Fribourg 1982, 132; F. BUSH, Ruth, Esther (WBC 9), Dallas, TX
1995, 118; I. FISCHER, Ruth (HTKAT 8), Freiburg 2001, 169-170; J.
VÎLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, Estella 1998, 95; K.D. SAKENFELD,
Ruth, Louisville, KY 1999, 42.
e) Per altri,0 Rut è «restata ferma» in attesa di
un'autorizzazione che spetta solo a Booz e si è dimostrata
testarda; in questo caso, il v. 3 può essere inteso come un
sommario prolettico.0
Per molti0 il sovrintendente è stato favorevolmente
impressionato da Rut, mentre per altri è imbarazzato,
come dimostrerebbe la goffaggine della sua risposta in
ebraico.0 Ciò nasce perché teme il rimprovero di Booz
per motivi che spaziano dall'accoglienza di una

0
CF. BDB, 763-765. COSÌ CAMPBELL, RUTH, 96; J.M. SASSON,
RUTH, SHEFFIELD 1989, 48; 56; SAKENFELD, RUTH, 42; HUBBARD,
THE BOOK OF RUTH, 149-152.
0
Su esempi di riassunti prolettici, che funzionano come un
moderno titolo, cf. J.-L. SKA, «Sommaires proleptiques en Gn 27 et
dans l'histoire de Joseph», in Bib 73(1992), 315-326.
0
Così ad esempio, Y. ZAKOVITCH, Ruth: Introduction and
Commentary (Mikra Leyisra'el), Jerusalem 1990, 71; J. ROTH-
ROTEM, «The "Minor Characters" in the Story of the Book of Ruth»,
in Beit-Mikra 49(2004), 26.
0
M. GARSIEL, «The Literary Structure. Plot Development and
Narrator's Aim in the Scroll of Rut», in E. MENAHEM (a cura di),
Hagut bammiqra', Tel Aviv 1979, III, 71, mette in risalto il suo
disprezzo per la straniera; P.W. LAU, Identity and Ethics in the Book
of Ruth, Berlin-New York 2011, 60-66, nota la raccolta eccessiva di
grano contrariamente alle regole. Per A. HURVITZ, «Ruth 2:7: A
Midrashic Gloss?», in ZAW 95(1993), 12, «il soprintendente parla in
maniera apologetica e confusa poiché non è certo se il "boss"
approverà il fatto che il soprintendente ha accordato a Rut il suo
permesso di stare». Per
M. CARASIK, «Ruth 2:7: Why Overseer Was Embarassed?», in ZAW
107(1995), 493-494, il motivo sono le molestie sessuali.
disprezzabile moabita a riserve verso il suo
comportamento trasgressivo, sino a molestie sessuali da
parte dei mietitori. A prescindere dalla psicologia del
servo e dall'atteggiamento di Rut, anche se troviamo
filologicamente più convincente l'ipotesi di costei ferma
in attesa del permesso, la decifrazione del v. 7 non
influisce sullo sviluppo della storia, mentre è più
nevralgica la sua identificazione non per nome, ma per il
legame con Noemi (v. 6), mettendo in evidenza per il
lettore la sua condizione di straniera, che la distanzia da
Booz (cf. 1,22 e 2,13b); di fatto è il biglietto da visita che
le spiana la strada all'accoglienza di Booz (v. 11).
Eseguita la sua funzione, il soprintendente sparisce
dalla scena, altro strumento apparentemente casuale
dell'occulta provvidenza divina,0 lasciando il lettore con
la domanda se Booz supererà questo divario etnico-
sociale, prima della svolta dell'invito a Rut a rimanere nel
suo campo, perché essa, pur moabita, diventi un'antenata
di Davide, come Zippora, madianita, entra nella
genealogia di Mosè.
0
Ben analizzata tra gli altri da R. HALS, The Theology of the
Book of Ruth, Philadelphia, PA 1969, 16; D. SCAIOLA, Rut (I libri
biblici 23), Milano 2009, 217-220.
2.4. In Gs 2 sono due spie a essere attivate come
garanti, nel celebre episodio che ha come protagonista la
prostituta Raab. Il contesto è quello della conquista della
terra da parte di Israele. La missione che Giosuè affida
loro è quella di esplorare Gerico e il territorio, e di primo
acchito rientra negli antichi stratagemmi convenzionali
militari cui ricorre Giosuè (Gs 7,2; 14,7), come in altri
frangenti Mosè (Nm 13; Dt 1,19-25) e i vari clan (1,22-
36; Gs 18,1-10).0 II brano presenta molte incoerenze e
doppioni, con una sequenza di eventi discronologizzata.
Invece di monitorare la città e il territorio, essi si fermano
in casa della prostituta Raab; si dice che dormono (v. 1),
poi che sono in procinto di farlo (v. 8); si ripetono il
nascondimento (vv. 4.6) e il patto stipulato (vv. 17.20),
così come le spie parlano con Raab in condizioni
inverosimili (w. 16-21). Il v. 17 sembra tronco e in
contraddizione con l'eventualità del v. 20.0

0
Cf. F.-M. ABEL, «Les stratagèmes dans le livre de Josuè», in
RB 56(1949), 323. Cf. in generale R.M. SHELDON, Le spie nella
Bibbia, Gorizia 2008, e DUBOVSKY, Hezekiah and the Assyrian
Spies, 242-246.
0
Letteralmente suona in senso assoluto «saremo sciolti da
questo giuramento» senza la condizione del v. 20, per cui o la si
completa analogamente, o la si considera un inserto erroneo, o la si
emenda modificandola; cf. J.-L. SICRE DÌAZ, Josué, Estella 2002,
Molti spiegano diacronicamente queste
contraddizioni come l'amalgama di più fonti o tradizioni, 0
inserito tra Gs 1 e Gs 3, ma facilmente eliminabile,
perché interrompe la diretta conclusione logica di Gs 1 in
Gs 3,2. Ma alcune ripetizioni si possono spiegare
interpretando i vv. 1.4.7 come titoli prolettici di quanto
segue. Solitamente, si adducono somiglianze del racconto
con l'assedio di Capua da parte dei romani, in cui la
prostituta Fulca accoglie i nemici e alla fine viene
ricompensata; o l'assedio di Abido, in cui il tempio
dedicato ad Afrodite Prostituta era al contrario occupato
dai nemici, i quali vengono sgominati dai cittadini grazie
a un'etera, che li fa entrare per massacrarne la
guarnigione e recuperare la libertà.0 Ma il nostro
racconto, tranne la presenza della prostituta salvatrice, si
differenzia proprio per l'introduzione di spie.0

107.
0
Cf., tra tanti, D.J. MCCARTHY, «The Theology of Leadership
in Joshua 1-9», in ID., Institution and Narrative. Collected Essays
(AnBib 108), Rome 1985, 198-200; SICRE DIAZ, Josué, 117-119.
0
PER CAPUA, CF. LIVIO, STORIE XXVI, 33,6-8; V. MASSIMO,
MEMORABILIUM II; PER ABIDO, CF. NEANTE DI CIZICO, IL BANCHETTO
DEI SOFISTI XIII, 572. CF. SICRE DÌAZ, JOSUÉ, 108.
0
In S. NIDITCH (a cura di), Text and Tradition. The Hebrew
Bible and Folklore, Atlanta, GA 1990, abbiamo due contributi che
registrano posizioni divergenti: per Y. ZAKOVITCH, «Humor and
Scegliendo l'economia narrativa, la trama poteva
condensarsi nei vv. 1 e 23 in termini di
missione/rendiconto a Giosuè dei fatti capitati alle spie.
Al contrario, viene drammaticamente rimpolpata per
intrigare il lettore. Questi si aspetterebbe un'esplorazione
secondo la sequenza-tipo: iniziativa del leader e invio,
talora con istruzioni di esecuzione/rendiconto. Questo
standard risulta qui declinato in modo non
convenzionale, perché manca l'esecuzione, in quanto si
fermano solo a dormire nella casa di Raab.
Normalmente, specie nell'epica, le azioni di
intelligence esaltano il coraggio, l'abilità e le risorse delle
spie nel superare gli ostacoli. Qui costoro non cercano
informazioni, si fidano ciecamente di una prostituta
straniera e ne seguono le direttive: un tocco di humour, se
si pensa al male ingenito degli israeliti a diffidare di
YHWH durante il percorso nel deserto. L'esplorazione
delle spie non rivela attinenza con la caduta di

Theology or the Successful Failure of Israelite Inteligence: a


Literary- Folkloric Approach to Joshua 2», 75-98, l'uso del termine
neàr'im per le spie indicherebbe che furono scelte casualmente dal
popolino tra agenti inesperti e comuni; ma è stato confutato
pienamente da F.M. CROSS, «A Response to Zakovitch», 99-106,
anche sulla base di 2Re 19,6, dove designa dei professionisti.
Gerico in Gs 6, perché le mura cadono da sole per
intervento divino e per una processione liturgica (Gs 6).
Lo spazio maggiore è riservato all'elaborato
discorso di Raab, che è la chiave dell'intreccio. Esso
consta di una professione di fede, del giuramento che la
sua famiglia verrà salvata e della segnalazione di una via
di fuga. Il testo presenta varie ellissi: non si dice se le due
spie conoscessero la casa di Raab e il suo mestiere di
prostituta (zònàh); non si spiega come il re di Gerico
venga a sapere della loro missione segreta (v. 2), né come
Raab pronunci una compiuta professione di fede israelita
e perché tradisca i suoi.
Tutto ciò è ininfluente per la strategia drammatica,
i cui obiettivi sono altri:
a) l'inserimento di un interludio che rallenta il tempo,
creando suspense, tra l'allestimento della conquista di Gs
1 e la scenografia liturgica dei capitoli successivi,
preparando il lettore alla grandiosità dell'evento, in cui il
Giordano diventa un nuovo Mare dei Giunchi;
b) l'introduzione della protagonista Raab, per farla
parlare al fine di trasformare le spie nell'uditorio di ogni
epoca. Apparentemente Raab sembra in funzione delle
spie. Il suo nome ricorre solo qui e rinvia a una
«larghezza/dilatazione» (rahab) e, al di là delle varie
spiegazioni,0potrebbe avere un significato simbolico a
livello di accoglienza o integrazione universale. La sua
caratterizzazione è subordinata alla trama inscindibile dal
contenuto. Il suo mestiere dissimula sospetti sul loro
ingresso in città, in un testo che trasuda allusioni sessuali
in verbi e situazioni che precorrono quelli delle missioni
russe di James Bond e di altre spy-stories. Questo spiega
l'assenza in famiglia di un marito e dei figli; la sua casa
addossata alle mura è ottimale per la fuga delle spie. In
realtà, sono le spie a essere in funzione di Raab, per
caratterizzarla in spirito di iniziativa, audacia
nell'affrontare il rischio, astuzia, persuasività per stornare
gli emissari del re dalle spie israelite che protegge con
una bugia, alla stregua di altre donne scaltre (cf. IRe
19,12; 2Sam 17,19).0 Come rileva M. Sternberg,

0
Per alcuni è un teoforo («Dio allarga») privo del nome di
YHWH perché indegno per il mestiere che faceva, per altri un
soprannome per tale professione, per altri rinvia all'organo
femminile. Cf. SICRE DÌAZ, Josué, 111.
0
Così per C. COMTE, «Sauve qui sait: l'efficace de "Madame
Rahab" (une approche narrative de Josuè 2)», in BLE 112(2011), 79-
80: «Il punto di vista del prestigio pragmatico e quello del prestigio
israelita sembrano qui affrontarsi, ma tutti e due hanno la loro parte
cogliendo l'analogia con Giaele (Gdc 4,20), i rispettivi
interlocutori si rivolgono ad esse con un verbo al
maschile, presentandole come «donne con gli attributi»! 0
Un altro tocco ironico sta nel passaggio dal suo «non so»,
detto ai concittadini inseguitori (v. 4), al «so», detto a
nemici israeliti (v. 9). S'insinua così un'antitesi tra l'invio
fallimentare del re di Gerico per far catturare i nemici
intrusi (v. 3) e il congedo riuscito di Raab nel salvare le
spie (v. 21), che richiama la superiorità di un'infima
schiava israelita sul re d'Israele nella guarigione di
Naaman (2Re 5).
c) Fatto centrale, le spie permettono a Raab di
esternare in modo profetico la riconferma che il Signore
ha donato la terra agli israeliti con una fraseologia attinta
dalla «guerra santa», in cui «terrore» e «timore» (Nm
20,24; 27,12; Dt 11,25) esprimono che Dio è il vero guer-

di legittimità e concorrono all'interesse del racconto». I LXX


attenuano la competenza di Raab e accrescono quella delle spie.
FLAVIO GIUSEPPE, AG V, 1-8, si sofferma dettagliatamente
sull'individuazione dei punti deboli dell'intera Gerico, che precede
l'ingresso nella locanda di Raab.
0
M. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative. Ideological
Literature and the Drama of Reading (Indiana Literary Biblical
Series), Bloomington, IN 1985, 282; COMTE, «Sauve qui sait», 76.
riero autore della vittoria.0 «Terra e terrore» saranno le
parole chiave di tutto il libro di Giosuè. Oltre a ciò, non
certo per mero disinteresse ma per un preciso calcolo,
Raab può strappare il giuramento che la sua famiglia
verrà salvata.
Risulta evidente l'intento narrativo di giustificare la
presenza di un clan straniero, come quello di Raab e
come quello dei gabaoniti in Gs 9, all'interno del popolo
eletto. Si tratta di una prospettiva universalistica che
ritroviamo in testi post-esilici (Sof 3,9; Is 19,18-25; MI
1,11; Zc 8,23) e giustificherebbe il valore del nome della
donna che significa «allargamento», per cui Israele
estende il diritto di cittadinanza anche a pagani stranieri
(nei libri sapienziali personificati come una prostituta).
Ma il giuramento strappato da Raab alle spie di non
essere eliminati contraddice vistosamente la legge dello
sterminio (herem) che la stessa Raab richiama a
proposito dei re amorrei Sicon e Og, per cui introduce
una provocazione sovversiva antitetica alla Torah (Dt
0
Evidenziato da G. MITCHELL, Together in the Land: A Reading
of the Book of Joshua (JSOT.S), Sheffield 1994, 36-38; D.J.
MCCARTHY, «Some Holy War Vocabulary in Joshua 2», in ID.,
Institution and Narrative Collected Essays (AnBib 108), Rome 1985,
205.
7,12; Dt 20,16-18), che Giosuè e gli israeliti devono
scrupolosamente seguire per vivere e possedere la terra
(Gs 1). Vescamotage della «corda» (v. 14) per evadere,
comunicato qui, colma la curiosità del lettore di sapere
come le due spie riusciranno a uscire, dato che la porta
della città è già chiusa. D'altro canto, le spie suggeriscono
un «filo rosso» (v. 18) che servirà in modo apotropaico a
segnalare la casa di Raab al fine di risparmiarla nella
presa della città.
A questo punto il lettore resta in attesa dinanzi
all'evolversi degli eventi. Gli emissari riusciranno a
catturare le spie in fuga o falliranno ancora una volta?
Egli sa che Gerico cadrà, ma si chiede con apprensione:
le spie e lo stesso Giosuè rispetteranno il patto? Saranno
rispettosi della legge dello sterminio o della promessa
alla prostituta? Così J.-L. Sicre riassume il messaggio del
testo all'inizio di un libro che si apre proprio con
l'osservanza scrupolosa della Legge:
La legge non ammette eccezioni? Tutti gli abitanti
devono essere sterminati? Il racconto antico serve per
esporre la sua idea riguardo al fatto che la fedeltà e la
lealtà non contrastano la Legge ma sono compatibili con
essa. Al tempo stesso, serve per giustificare la presenza
di antichi gruppi cananei all'interno del Paese. Il capitolo,
quindi, nella sua forma attuale non va letto secondo una
pura prospettiva eziologica o storica; è un racconto
teologico, con un messaggio di enorme attualità.0
Senza le spie non avremmo avuto questo racconto,
che solleva quesiti teologici notevoli perché aiuta a porsi
il problema del valore della Legge. Qui le spie ribaltano
l'anatema di morte (herem) in misericordia di vita
(hesed). In tal senso il brano è in antitesi a Gs 7, dove il
problema è proprio la violazione della legge dello
sterminio e a essere punito è l'israelita Akan, mentre qui a
essere benevolmente accolta è la cananea Raab. Se le
spie sembrano marionette nelle mani di una prostituta
decisa, com'è stato ingenerosamente detto,0 di fatto
concorrono con Raab, pur inconsciamente, al progetto
divino, non prive delle loro risorse in una trama che è più
di riconoscimento che di soluzione.
Il tradimento dell'una e l'accettazione degli altri
nascono da questo riconoscimento della fede. Rispetto ad
0
SICRE DÌAZ, JOSUÉ, 117.
0
Ivi, 113, parla di semplici marionette, giudizio sfumato da
COMTE, «Sauve qui sait», 79-81.
altri passi citati dove ricorrono altre spie, qui il narratore
li fonde nella doppia scena-tipo della spia salvata da una
donna (2Sam 17,21-25) e dell'accordo con un assediato
che consegni la città in cambio della vita (Gdc 1,22). Egli
se ne serve non per rappresentare il contrasto tra fede e
dubbio (cf. Nm 13; Dt 1,22), la tecnica esplorativa (Gdc
18) o l'assicurazione di una falsa sicurezza smentita dai
fatti e dalla trasgressione (Gs 7), bensì per prospettarli
come strumenti al servizio della potenza di Dio che dona
la terra.
2.5. In 2Re 7,3-15 sono quattro anonimi lebbrosi a
essere inopinatamente utilizzati come araldi per risolvere
l'assedio arameo a Samaria (2Re 6,24-7,20). Una
tradizione rabbinica li identifica in modo leggendario con
Giezi e i suoi tre figli. La proposta di cogliere una corri-
spondenza tra il loro numero quattro ('arbaàh) e le
aperture ('àrubbòt) di 2Re 7,2 sembra alquanto ricercata.0

0
La tradizione rabbinica è riportata da R.R. LOSCH, All the
People in the Bible. An A-Z Guide to the Saints, Scoundrels and
others Characters in Scripture, Grand Rapids, MI 2008, 114; la
corrispondenza tra «quattro» e «aperture» è suggerita da R.
LABARBERA, «The Man of War and the Man of God. Social Satire in
2 Kings 6:8-7:20», in CBQ 46(1984), 648.
Il lettore, già allertato dalla profezia di Eliseo sulla
fine dell'assedio (2Re 7,1), la attende con impazienza in
una situazione senza sbocchi. Anziché limitarsi alla
scarna notizia della fuga aramea, il narratore forgia una
scena preparatoria di pathos e comicità,0 apparentemente
anch'essa marginale nel filo narrativo, che però si rivela
motrice di tutta la trama, facendo assurgere questi anti-
eroi per antonomasia a salvatori della città. La loro messa
in scena è geniale, poiché, emarginati a causa della
malattia (v. 3; cf. Lv 13,46), possono aggirarsi
indisturbati senza destare sospetti, «morti viventi» che
non hanno più nulla da perdere, tentando il tutto per tutto.
Dapprima il lettore ascolta in presa diretta la loro
triplice alternativa di scampo (v. 4), scopre dal loro punto
di vista l'abbandono dell'accampamento (v. 5) per poi
sapere, privilegiato da un flashback, che non è stato
casuale, bensì opera di YHWH, nella coincidenza tra il
«levarsi» dei lebbrosi e quello degli aramei al crepuscolo
(vv. 5.7). Poi, in una focalizzazione esterna, assiste al

0
Per R.D. NELSON, 1&2 Kings, Louisville, KY 1987, 190:
«Questi lebbrosi servono come classici intermediari e forniscono un
elemento di comicità diversiva». 0. LONG, 2 Kings (FOTL 10) Grand
Rapids, IN 1991, 190, parla di scommessa pascaliana.
saccheggio dell'accampamento da parte di questi
poveracci, ma freme dinanzi al loro indugio che può
compromettere la posta in gioco, prima della svolta del
loro ritorno.
Assolto il loro compito, i lebbrosi spariscono e non
sapremo mai se ritornarono a prendere il bottino da loro
nascosto (v. 8); più importante è che il racconto resti in
bilico sulla verifica della loro notizia. Il lettore gusta
l'ironia di come il compimento della parola profetica si
realizzi ironicamente tramite dei lebbrosi, una disabilità
che nel ciclo di Eliseo appare al servizio dei disegni di
Dio (cf. 2Re 5).
2.6. In 2Re 6,8-14, nel contesto della guerra tra Aram
e Israele, l'ufficiale arameo è l'espediente con cui il
narratore fa spiccare un'onniveggenza di Eliseo più
straordinaria di quella dimostrata in precedenza (2Re 4;
6,1-7; Qo 10,20).0 Laddove il re di Aram sospetta un
tradimento di qualcuno dei suoi, l'ufficiale rivela il

0
Si noti che l'attribuzione a Eliseo di «avere occhi e orecchi»
come metafora per un controllo assoluto della situazione era
riservata tradizionalmente a governanti persiani; cf. SENOFONTE,
Ciropedia VILI, 2,10; LUCIANO, Adversus Indoctum 23.
Sull'argomento a fortiori che il lettore completa, cf. NELSON, 1&2
Kings, 186.
particolare carisma di Eliseo, con un ragionamento
implicitamente a fortiori: se Eliseo conosce le parole
dette nella camera da letto, tanto più sa quel che si
delibera in un consiglio di guerra (v. 12). Il testo è
ellittico sul modo in cui lo sappia; l'importante è la sua
funzione di innescare il contatto tra gli aramei e il
profeta, che sbaraglia l'esercito arameo venuto a cattu-
rarlo colpendolo di cecità, per poi aprire gli occhi dei
nemici e far loro constatare la sconfìtta. In tal modo il
lettore ebreo è compiaciuto di tale ironia e del fatto che il
Signore accorda la vittoria senza tener conto dell'entità
dei poderosi mezzi aggressivi umani come quelli di
Aram, ridicolizzato da un semplice profeta. Il finale qui è
insolitamente un happy end di riconciliazione tra Aram e
Israele.
2.7. In due casi Y escamotage di raccordo per
risolvere il problema della trama risulta una metadiegesi
che, da diversiva, si tramuta in persuasiva. 0 In 2Re 8,1-6
0
Cf. al riguardo SKA, «I nostri padri ci hanno raccontato», 87-
88. Per il tema popolare di racconti che salvano una vita, si ricordino
quello sumero del naufrago e il serpente nel Racconto di un
naufrago, Sheherazade e Ali Babà nella raccolta araba di favole Le
mille e una notte, nell'omonimo romanzo di C. Dickens, o ai racconti
del Decamerone del Boccaccio che alleviano la peste che colpisce
Firenze.
è il ricorso al racconto di Giezi che permette alla
sunamita di riacquistare i propri possessi abbandonati
sette anni prima su ordine di Eliseo per scampare a una
carestia (vv. 1.3), ma anche di attestare al lettore
l'affidabilità del profeta. Si tratta della tipica tecnica del
«racconto nel racconto» (cf. Gen 38; ISam 25; 2Re 13).0
Partendo dalla curiosità del re sui prodigi di Eliseo
(v. 4), Giezi ha le carte in regola per conseguire la doppia
posta in gioco, giacché è informato dei miracoli del suo
padrone. La sua presenza a corte si giustifica in base alla
dimestichezza con il re (cf. 2Re 4,13), ma non si dice se
egli fosse guarito dalla lebbra che lo aveva colpito per
sempre (2Re 5,27); molti cercano di spiegare questa
tensione ipotizzando che 2Re 8,1-6 dovesse precedere
2Re 5;0 per altri egli era nel frattempo guarito, o la sua
malattia non era da considerare così grave da precludergli
l'accesso al re.0

0
Cf. D.A. BOSWORTH, The Story within the Story in Biblical
Hebrew Narrative (CBQ. MS 45), Washington 2008, che cita esempi
classici e moderni come VIliade, L'asino d'oro di Apuleio, Amleto,
Ten Little Indians di A. Christie.
0
Così ad esempio 0. THENIUS, Die Biicher der Kónige (KEH 9),
Leipzig 1849, 300- 301, per cui 2Re 8,1-6 va collocato tra 2Re 4,37
e 4,38.
Il problema si risolve più semplicemente sul piano
diacronico, ravvisando in 2Re 8,1-16 una «riscrittura»
(Fortschreibung)0 di 2Re 4,8-37; in altri termini, né 2Re
4 né 2Re 8 appartengono allo stesso strato letterario di
2Re 5, ma furono composti separatamente. Quando il
redattore combinò la sequenza dei tre testi non avvertì o
non si preoccupò di risolvere la tensione che ne derivava.
Se la lebbra era un elemento-chiave in 2Re 5 come pena
di contrappasso all'avidità di Giezi, non lo è più in 2Re 8,
dove lo scopo è invece di evidenziare il ruolo del servo di
Eliseo come il più accreditato a raccontare i prodigi del
suo padrone.
Anche qui abbiamo un altro esempio di
«conservazione» a mo' di scheda, attenta a non perdere,
per l'uditorio di sempre, preziose testimonianze
irriducibili a Eliseo. Del resto, come notano vari
specialisti, i narratori si preoccupano poco della logica.
La scelta di narrare simultaneamente la risurrezione del

0
T.R. HOBBS, £ KINGS (WBC 13), WACO, TX 1985, 105; D.L.
CHRISTENSEN, «GEHAZI», IN ABD, II, 926.
0
Cf. M. MULZER, «Der kranke und der gesunde Gehasi. Zum
Verhàltnis von 2Kòn 8,1-6», in BN 153(2012), 19-27; M. RONCACE,
«Elisha and the woman of Shunem; 2 Kings 4:8-37 and 8:1-6 read in
conjunction», in JSOT 91(2000), 109-110.
figlio della sunamita di cui è stato testimone (cf. 2Re
4,29-37) e l'ingresso della donna esalta il colpo di scena
del lupus in fabula.0 Specularmente, Giezi identifica la
donna e costei conferma la sua attendibilità, 0 sfociando
nella riconsegna, oltre i beni, persino dell'intera rendita
del campo (v. 6). Anche questo rientra tra le grandi
meraviglie di Eliseo. Il narratore rende così onore alla
propria affabulazione, in modo più defilato rispetto a
quanto Omero faccia con i suoi aedi Demodoco e Femio
nell'Odissea.
2.8. In Est 6 tocca invece a un libro fungere da
raccordo per la posta in gioco che è la riabilitazione di
Mardocheo (vv. 1-5).0 Tutto si svolge in un'atmosfera
0 78
II motto, riferito a una persona di cui sta parlando e che
compare improvvisamente, è attestato in PLAUTO, Stichus 577, che
parla precisamente di lupus in sermone; TERENZIO, Adelphoe 537;
CICERONE, Lettere ad Attico 13,33,4.
0
Notato da H. GUNKEL, Geschichten von Elisa, Berlin 1925, 30,
e RONCACE, «Elisha and the woman of Shunem», 109-127.
0
II tema di un libro ritrovato che genera un raccordo e l'azione
di una trama ricorre anche in 2Re 22,8-20; cf. SONNET, «Le "livre
trouvé". 2 Re 22 dans sa finalité narrative», in NRT 116(1994), 836-
861; K. STOTT, «Finding the Lost Book of the Law», in JOST
30(2005), 153-169; T. RÒMER, «Transformations in Deuteronomistic
and Biblical Historiography: On "Book Finding" and other Literary
Strategies», in ZAW 109(1997), 1-11. Si pensi al libro nella
biblioteca del Don Quixote di M. de Cervantes, o al manoscritto
dell'anonimo da cui parte A. Manzoni nei Promessi sposi, a quello
ingiallito della storia di Angelica ritrovato da G. de Nerval nelle
insonne, che è una felice casualità perché serve a
risuscitare l'immagine di Mardocheo tramite la richiesta
di un libro da leggere. Non è un libro qualunque, ma il
Libro delle memorie (v. 1) che ricorda ad Assuero il
golpe a suo danno sventato da Mardocheo (cf. Est 2,23),
con l'esigenza di una sua ricompensa. Si tratta di un libro
dalla scrittura anch'essa irrevocabile, come tutti gli editti
persiani. Gli «addetti al servizio del re» (v. 3) interpellati
da Assuero sono pertinenti, poiché erano coloro che lo
assistevano giorno e notte, distinti dai ministri presenti al
palazzo reale solo di giorno.0 Essi risultano comodi anche
per preparare l'ingresso a corte di Aman, appena reduce
dall'aver fatto allestire la forca per Mardocheo, deciso a
chiederne il supplizio (v. 5). Tale simultaneità accende
nel lettore l'apprensione di sapere se prevarrà la
ricompensa del re o la vendetta di Aman,0 un preludio
debitamente dilatorio, pregno di tensione, all'ironico
ribaltamento delle sorti, che è il tema strutturante del
Filles du feu, al libro di Aristotele su cui si impernia II nome della
Rosa di U. Eco, al Manoscritto segreto di Saragozza, di I. Potocki, al
Libro di Mush di A. Arslan, o al Libro di José Luis Peixoto.
0
VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 320; cf. P. ABADIE, La reine
masquée. Lecture du livre de Esther, Lyon 2011, 162-163.
0
Cf. E. WÙRTHWEIN, Esther. Die FunfMegillot (HAT 18),
Tubingen 21969, 188; VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 320.
libro. Il lettore può così godere di due scene e del
fraintendimento di Aman, che, immaginando di essere il
prescelto della ricompensa, inconsapevolmente la prepara
per Mardocheo; nel contempo, per la prima volta il re
collega Mardocheo ai giudei (v. IO).0

3. Agenti alter ego

Alcuni agenti fungono da raccordo come alter ego


del protagonista, creando una certa distanza o filtro e
alimentando nel lettore la suspense e la curiosità sulla
strategia di quest'ultimo, che resta nel retropalco.
3.1. Due casi desunti dalla storia di Giuseppe,
quello dell'interprete e del maggiordomo, che rientrano
tra le tante pennellate egiziane del racconto, consentono
di confrontare la diversa modalità diegetica e mimetica.
Nel testo biblico sono anonimi e la successiva
interpretazione rabbinica si periterà di identificarli con
l'unico personaggio di Manasse, figlio di Giuseppe. In
Gen 42 solo in un'analessi finale, dopo le due udienze

0
Così, sulla scia di molti commentatori, ABADIE, La reine
masquée, 163, che nota il dialogo carnevalesco.
concesse ai fratelli da Giuseppe, divenuto visir
dell'Egitto, il lettore è informato della presenza di un
interprete (hammelis, v. 23).0
Si tratta dell'unico caso nell'AT in cui appare un
traduttore tra interlocutori di lingue diverse, riflettendo
un gusto più sofisticato e calzante con l'atmosfera
egiziana del ciclo di Giuseppe. Secondo la letteratura
targumica fu Manasse a svolgere questo ruolo
intermediario, identificato o con il primogenito di
Giuseppe (41,15) o con un omonimo. A differenza di
Flavio Giuseppe che lo elimina (AG II, 108), qui è un
raffinato espediente drammatico per coinvolgere il lettore
nella strategia che Giuseppe adotta con i suoi fratelli. 0 La
0
II termine ebraico designa normalmente un portavoce, cf. Is
43,27; Gb 16,20; 33,23; 2Cr 32,21. Per A. GARDINER, «The
Egyptian Word for Dragoman», in Pro.Soc. Bib. Are. 37(1915), 117-
125; A. HERMANN, Dolmetscher imAltertum, Miinchen 1956, 25-29,
e VERGOTE, Joseph en Égypte, 168, più che traduttore è un
intermediario tra un superiore e inferiori, come gli egiziani
ritenevano gli stranieri; cf. S. SALAMA, El Patriarca José y la
cultura egipcia, Baracaldo 1999, 184.
0
Così GUNKEL, Genesis, 445; V.P. HAMILTON, The Book of
Genesis. Chapters 18-50 (NICOT), Grand Rapids, MI 1995, 527,
segnala l'assenza di traduttori tra Abramo e il faraone (Gen 12,10-
20), tra Abramo, Isacco e Abimelec (Gen 20; 26). Quello tra
Giacobbe e Labano è meno convincente, in virtù della parentela;
possiamo aggiungere il caso di Giona e i niniviti (Gn 3) o di Giuditta
e Oloferne (Gdt 11). Per casi come questo, in cui si segnala lo scarto
linguistico, cf. ad esempio 2Re 18,26; Esd 4,7.18; Est 1,22; Ne
posta in gioco non è il modo in cui egli ha riconosciuto i
suoi fratelli, ma far sapere come ha reagito appena li ha
riconosciuti.0 Il diaframma dell'interprete, mai usato
altrove, è necessario nel montaggio della scena a
mantenere la disparità nella conoscenza e la distanza
nella comunicazione degli interlocutori, facendo capire al
lettore che è stato usato da Giuseppe per metterli alla
prova (bàhan, vv. 15.16), giocando come il gatto con il
topo, perché ha potuto ascoltarne nella lingua materna -
ignari di essere compresi - la confessione e il sincero
rimorso della loro colpa. Inoltre, serve a far loro
esprimere un particolare che il racconto aveva prima
eluso, vale a dire che Giuseppe li aveva implorati nel
momento in cui lo stavano per gettare nella cisterna (cf.
Gen 37,23).0 Questo escamotage che gioca con il divario
13,24; Dn 5,25; 2Mac 7,21-27. In Gdc 12,5-6 si cita invece la
diversa pronuncia dialettale perché è una discriminante drammatica
decisiva.
0
Così SKA, «Sommaires proleptiques en Gn 27 et dans l'histoire
de Joseph», 523; A. WÉNIN, «Le temps dans l'histoire de Joseph (Gn
37-50). Repères temporels pour une analyse narrative», in Bib
83(2002), 44-46.
0
Per discorsi ascoltati a insaputa dei locutori nella Bibbia, cf.
Gen 27,5; Gdc 6,13; 2Re 6,12. Si ricordino L'arbitrato di Menandro,
dove il protagonista Carisio si ritrova ad ascoltare sua moglie Panfila
all'insaputa di questa, potendo apprezzare la sua fedeltà, e cambiando
poi il suo duro atteggiamento iniziale; al contrario, Sarai in Gen
di conoscenza acuisce la suspense sulle intenzioni di
Giuseppe.
In Gen 43,16-24 e 44,1-12 l'anonimo maggiordomo
di Giuseppe0viene inscenato solo a questo punto per la
necessità drammatica di continuare a sondare il sincero
cambiamento dei fratelli, facendo rivivere loro, e
soprattutto al lettore, nel transfert con Beniamino il
dramma vissuto da Giuseppe. Il Targum Pseudo-
Jonathan lo identifica sempre con Manasse. Solo adesso
sappiamo che fu lui l'esecutore dell'ordine di Giuseppe di
riempire i sacchi dei fratelli (42,25) e, per la prima volta,
il lettore, finora privilegiato, si trova allo stesso livello di
conoscenza dei fratelli. Secondo le convenzioni,
Giuseppe in quanto visir non può trattare con stranieri
disprezzati, né abbassarsi a mansioni servili, per cui il
suo maggiordomo, responsabile delle udienze, del
patrimonio e dei banchetti è l'adeguata controfigura per

18,10-15, Polonio nella IV scena dell 'Amleto, Damide e Tartufo


nell'omonima commedia di Molière, Ford che ascolta dietro un
paravento sua figlia nel Falstaff di G. Verdi.
0
Per S.C. LAYTON, «The Steward in Ancient Israel. A Study of
Hebrew {'àser 'al habbayit) in its Near Eastern Setting», in JBL
109(1990), 633-649, il termine può designare sia il maggiordomo
privato, sia il maestro di palazzo; VERGOTE, Joseph en Égypte,
98.171, sottolinea il suo ruolo di svolgere missioni confidenziali.
eseguire i suoi ordini, permettendogli di restare dietro le
quinte.0
Il testo è ellittico sul fatto se il maggiordomo sia al
corrente dell'identità dei fratelli e del piano. Per molti 0 è
scontato, mentre altri0presuppongono interrogativi;
l'essenziale è predisporre il secondo incontro, alzando la
tensione narrativa, per suscitare la curiosità del lettore su
dove Giuseppe vada a parare.0 In un'iniziale scena
preparatoria la mossa è la carota prima del bastone
(43,16-26), con il maggiordomo che riserva
un'accoglienza impensabile per i fratelli. Va di nuovo
rilevato che è uno straniero a spiegare teologicamente gli

0
B. VAWTER, On Genesis: A New Reading, Garden City, NY
1977, 430, nota che «l'attendente di Giuseppe [...] come suo alter
ego identifica facilmente i suoi propri "io" e "mio" con l'"egli" e il
"suo" del suo padrone»; così B.G. GREEN, «What Profit for Us?»;
Remembering the Story of Joseph, New York-London 1996, 140. Per
la pianificazione anticipata dello stratagemma, cf. N.M. SARNA,
Genesis (The JPS Commentary), Philadelphia, PA 1989, 300; R.S.
WALLACE, The Story of Joseph and the Family of Jacob, Grand
Rapids, MI 2001, 69-70.
0
Cf. ad esempio VAWTER, On Genesis: A New Reading, 427;
STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 303.
0
Osserva HAMILTON, The Book of Genesis. Chapters 18-50,
558: «Benché non lo affermi verbalmente, l'attendente per lo meno si
interroga interiormente sull'opportunità della direttiva di Giuseppe».
0
Cf. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 301;
GREEN, «What Profit for Us?»; Remembering the Story of Joseph,
139-140; WÉNIN, Joseph ou l'invention de la fraternité, 227.
eventi guidati dal Dio di Giacobbe (v. 23; cf. 42,28), 0 e
questo serve a incuneare l'occulta regia divina in una
storia prettamente laica. Successivamente, la tensione si
rilassa con lo scarceramento di Simeone e il banchetto
con Giuseppe. Ma è un sollievo illusorio, prima della
seconda scena preparatoria (44,1-12), dove il
maggiordomo è necessario a nascondere la coppa
divinatoria di Giuseppe nel sacco di Beniamino. La
reticenza sugli intenti di Giuseppe, che malcela la sua
ambiguità, mira a spiazzare il lettore,0 il quale può
supporre che egli voglia con discrezione ripetere i suoi
benefìci in modo preferenziale per Beniamino (vv. 1-2;

0
II maggiordomo anticipa la provvidenza divina che verrà
formulata dallo stesso Giuseppe in Gen 45,5 e 50,20. Nota VON RAD,
Das erste Buch Mose. Genesis, 318: «È rassicurante e mira a stornare
dall'oggetto dei loro timori quella povera gente eccitata, ma nel suo
misterioso doppio senso sfiora proprio il segreto più intimo di tutta la
storia di Giuseppe: Dio che occultamente conduce gli eventi». Cf.
J.L. SKA, «"Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha
pensato di convertirlo in bene" (Gen 50,20)», in PSV 59(2009), 11-
28.
0
Segnalato da GUNKEL, Genesis, 453 e STERNBERG, The
Poetics of Biblical Narrative, 302-303; M.R. JACOBS, «The
Conceptual Dynamics of Good and Evil in the Joseph Story: An
Exegetical and Hermeneutical Inquiring», in JSOT 27(2003), 324-
325.
cf. 43,34), prima di capire che la coppa è il corpus delieti
per incriminarlo (vv. 4b.5).0
Il tempo narrativo condensa l'inseguimento e
l'accusa ironica del maggiordomo, perché il lettore sa già
quale sarà l'esito, con l'inutile discolpa dei fratelli che si
trasforma in autocondanna, l'indulgenza simulata del
maggiordomo che chiede solo quella del reo, e la
perquisizione che parodia l'ordine dei commensali al
banchetto (43,33). Il testo biblico tiene sulle spine il
lettore con uno stillicidio patetico: anzitutto la proposta
del maggiordomo rompe la solidarietà tra fratelli isolando
il colpevole, poi il lettore, che ne sa di più degli attori,
coglie una sottile ironia nel doppio senso della frase
«secondo le vostre parole, così di lui (ken hùr)» (v. 10),
dove kèn può significare anche «è onesto lui», riferito a
Beniamino e non agli altri fratelli. 0 Flavio Giuseppe
0
Per ALTER, Genesis, 259, «il maggiordomo è esclusivamente
focalizzato sul recupero di un particolare oggetto d'argento, la coppa
divinatoria». Diversi autori, come ad esempio Y. ZAKOVITCH,
«Through the Looking Glass: Reflections/inversions of Genesis
Stories in the Bible», in Biblical Interpretation 1(1993), 141-143,
segnalano qui l'analogia tra il tranello ordito da Giuseppe e il furto di
Rachele (Gen 31,19); la differenza però è che il furto dei fratelli è
inconsapevole, mentre quello di Rachele è deliberato.
0
Cf. F. ZORELL, Lexicon hebraicum et aramaicum Veteris
Testamenti, Roma 1968, 361-362; BDB, 467; 485; WÉNIN, Joseph ou
introduce esplicitamente il sarcasmo del maggiordomo
che parla con il suo seguito, cui risponde il riso dei
fratelli che non si capacitano dell'accusa.
E aggiunsero: «Adesso domandate perché noi
siamo qui, quasi che voi non lo sappiate; presto ve lo
insegnerà bene il castigo». Con questi e altri sarcasmi li
attaccava anche il domestico. Ma, ignari di qualsiasi
colpa, ridevano a quelle parole e si stupivano della
leggerezza del domestico (AG II, 29-130).
Assolto il copione, il maggiordomo sparisce; senza
di lui il racconto avrebbe perso i suoi saliscendi
spiazzanti, preparando al coup de theàtre di una
riconciliazione inaspettata, ma desiderata.
3.2. In 2Re 9 è un discepolo Valter ego del profeta
Eliseo, che lo delega a ungere re leu in modo segreto (cf.
ISam 9,27-10,1). Per qualcuno il discepolo travalica
l'ordine originario di Eliseo, aggiungendo del suo; altri lo
ritengono un'aggiunta, plausibile in linea con le
inserzioni dei redattori deuteronomistici.0 Nel testo
l'invention de la fraternité, 239, lo collega a Gen 42,11.19.31.33.34
dove appare nel senso di onestà.
0
Per la prima U. SIMON, Reading Prophetic Narratives (BLS),
Bloomington, IN 1997, 209-210; per la seconda J. ELLUL, The
Politics of God and the Politics of Man, Grand Rapids, MI 1972, 98.
attuale permette di attestare il compimento della profezia
di Elia sullo sterminio della casa di Acab (cf. IRe 19,16;
21,21-24) e la delega serve a tutelare Eliseo agli occhi del
lettore da una collusione con leu, che si macchierà di
azioni deplorevoli (2Re 10,31s; Os 1,4). Inoltre, dimostra
che l'inclinazione del profeta non è per una leadership
politica, al pari del suo maestro Elia che, dei tre ordini
ricevuti sull'Oreb (unzione di due re e del profeta Eliseo,
IRe 19,15), esegue solo l'ultimo. Qui abbiamo un'altra
finestra sul modo in cui nell'ambiente rispecchiato dal
racconto i profeti venivano considerati folli (v. 11; cf. Os
9,7; Ger 29,26).
3.3. In Est 4,5-17 l'eunuco Atac (nei LXX chiamato
Acrateo) riveste un ruolo decisivo nella trama, perché fa
da tramite tra Ester e Mardocheo, tra l'interno e l'esterno
del palazzo reale. Atac è indispensabile per far sapere a
Ester da Mardocheo i piani orditi dal malvagio Aman per
distruggere i giudei, ma soprattutto per provocare
l'intervento di Ester presso il re Assuero al fine di
sventarli. La funzione di Atac è quella di mostrare al
lettore l'armonia tra Ester e Mardocheo, che si era persa,
ma grazie a lui è ora ritrovata. 0 Atac scompare subito
dopo aver preparato il terreno a Ester, che diviene
padrona della propria sorte e di quella del suo popolo
(4,16), invitando i giudei a un digiuno che ha il sapore di
una richiesta dell'intervento divino. Ancora una volta,
l'evolversi degli eventi nasconde e rivela al tempo stesso
la misteriosa sinergia tra azione umana e disegno divino
in un contesto di gravissima crisi e di pericolo.

4. Agenti di disconnessione

Altri agenti, invece, sono inscenati in una funzione


di disconnessione, talvolta per rinviare contatti creando
attesa e suspense, o scongiurare incontri pericolosi tra
attori, oppure per rompere rapporti creando la
complicazione della trama.
4.1. In Gen 38 l'introduzione degli uomini di
Timna, che rimandano con le pive nel sacco Chira,
l'adullamita inviato da Giuda a ricercare la presunta
prostituta Tamar per recuperare il pegno ceduto, serve a

0
Così J. GROSSMAN, Esther. The Outer Narrative and the
Hidden Reading, Winona Lake, IN 2011, 115-119.
creare un primo apparente scioglimento che lascia il
lettore insoddisfatto. Se è congeniale la scelta
dell'adullamita, in quanto amico di Giuda,0 come
complice ottimale per compiere qualcosa che non deve
essere di dominio pubblico, essi calzano a pennello,
perché, interpellati come «del posto» (vv. 21-22),0 sono
in grado di conoscere i movimenti delle persone che lo
frequentano; è ovvio che siano uomini, non donne, a
essere contattati. Notevole è il loro concorso all'ironia
strutturale della trama,0 giacché solo il lettore è al
corrente dello stratagemma del travestimento di Tamar, a
differenza di Giuda (vv. 14.15) e dell'adullamita (vv. 21-
22). Il loro responso negativo («qui non c'è stata nessuna
prostituta», v. 21) prolunga la beffa, perché sa che as-
seriscono il vero. Il midrash li presenta come in grado di
0 99
Seguendo la lezione del TM che ha «suo amico», a differenza
dei LXX che ha «pastore». Per la tradizione rabbinica, qui, a
differenza del v. 1, che riporta il suo nome Hira, l'adullamita non
viene chiamato per nome per biasimare la sua complicità e il suo
colpevole altruismo; cf. M. Zlotowitz - N. Scherman, Bereishis.
Genesis, New York, NY 21980, V, 1688.
0
Accettiamo, sulla scia di molti autori, l'emendazione in
«luogo» (màqòm) secondo PS e LXX.
0
Si vedano M. O'CALLAGHAN, «The Structure and Meaning of
Genesis 38: Juda and Tamar», in PIBA 5(1981), 86-87; L. ALONSO
SCHÒKEL, «</Donde està tu hermano?», Valencia 1985, 251; J.-
L.SKA, «L'ironie de Tamar», in ZAW 100(1988), 262.
profetizzare senza saperlo, anticipando la derisione
paventata da Giuda.0 La ripetizione apparentemente
superflua nel v. 22 - che poteva essere resa
impersonalmente come nei vv. 13.24 - rallenta il ritmo
del racconto e serve a far parlare Giuda, rivelandone la
paura di essere ridicolizzato (v. 23a)0 e la volontà di
insabbiare la vicenda. Esso suona come una fine illusoria,
perché prepara il lettore non più onnisciente al colpo di
scena del catartico finale positivo (vv. 25-26); in tal
modo può ravvisare nel responso della gente di Timna il
giudizio e lo humour del narratore, come pure l'astuzia di
Tamar rispetto alla pavida ipocrisia di Giuda.
4.2. In ISam 23,25-28 il messaggero che comunica
a Saul sul punto di catturare Davide la notizia
dell'invasione dei filistei è l'espediente provvidenziale
che evita lo scontro diretto tra i due, paventato ormai
come irreparabile dal lettore. A differenza di Omero e dei
tragici, che salvano i propri eroi dal pericolo ricorrendo a

0
TESTI IN ZLOTOWITZ - SCHERMAN, BEREISHIS. GENESIS, V,
1688.
0
WESTERMANN, Genesis 37-50, 49-50; HAMILTON, The Book of
Genesis. Chapters 18-50, 447.
divinità e a trucchi scenici, come fumo, turbine, ecc., 0 qui
il narratore, che pure conosce il linguaggio mitico di un
intervento soprannaturale (cf. Nm 22,23; 2Re 3,27),
affida la soluzione a un agente umano, con l'ironia che a
salvarlo sono stati gli stessi filistei, che volevano
naturalmente approfittare del dissidio tra i due leader
israeliti.0 Di nuovo la vicenda si presta a un'eziologia del
nome del sito (v. 28), nello spazio simbolico della
montagna, che nel ciclo di Davide è il luogo degli
incontri o delle separazioni sempre provvidenziali (ISam
25,20; 2Sam 16,3).
La scena assomiglia molto a quella di 2Re 19,8-9,
dove l'agente di disconnessione è il gran coppiere, il cui
comunicato costringe Senna- cherib a cessare l'assedio di
Samaria. Entrambi sono cause seconde al servizio della
causa prima divina. Nel caso di Davide, infatti, il lettore
deve riandare indietro a rileggere l'assicurazione di Dio
che Davide non sarebbe caduto nella mani di nessuno (cf.
ISam 23,14), mentre nel caso del capocoppiere la

0
Cf. II. XX, 321s; XXI, 1-8; XVI, 790s; Od. I, 105; X, 276-
306. EURIPIDE, Medea 1404.
0
NOTATO DA H.W. HERTZBERG, DIE SAMUELBUCHER (ATD
10), GÒTTINGEN 21960, 157; BRESSAN, SAMUELE, 374.
decisione divina precede immediatamente. L'episodio
non solo dimostra che Dio protegge Davide, ma getta
anche una luce positiva su Saul, che qui antepone il bene
del Paese ai propri interessi personali.
4.3. In 2Sam 17,17-21 è escogitata una donna per la
posta in gioco che è la salvezza di Davide, allorché la
missione di Gionata e Achimaaz per avvisarlo del
pericolo è messa a repentaglio dai servi di Assalonne (v.
20). Il testo è un intermezzo ellittico sul perché i due si
rechino nella sua casa a Bacurim, su come gli inseguitori
conoscessero la loro direzione, o se il padrone della casa
fosse al corrente degli eventi; l'essenziale è mantenere
sulla corda l'interesse del lettore, con lo stratagemma
della massaia nel nasconderli in un pozzo.0 Il fatto che sia
lei e non il padrone di casa a rispondere serve a non
destare sospetti. La sua astuzia è più raffinata di quella di
Raab (Gs 2,3-7) e di Mical (ISam 19,11-17), perché non
è imprudente nel negare il passaggio dei due, non viene
scoperta e beffa gli inseguitori con una mezza-verità;

0
D.M. GUNN, The Story of King David: Genre and
Interpretation (JSOT.S 6), Sheffield 1978, 44-45, parla di un
modello narrativo tradizionale; cf. anche W. DIETRICH - T.
NAUMANN, Die Samuelbucher, Darmstadt 1995, 279.
infatti, mentre ha nascosto i fuggitivi nel pozzo (v. 19),
indica agli inseguitori, fuorviandoli, la direzione «verso
l'acqua» (v. 20).0 L'antitesi tra la donna e i servi di
Assalonne, oltre a mostrare che il re godeva di un
sostegno nella filosaulide Bacurim (cf. 2Sam 16,5),
prolunga perifericamente lo scontro tra Cusai e Achitòfel,
immortalando gregari non meno determinanti; nel
frattempo, accende la suspense nel sapere se i due
messaggeri protetti riusciranno a informare Davide, e
quali saranno le sue reazioni.
4.4. Altri agenti fungono da pretesto per fornire un
casus belli decisivo. Nell'episodio di Gdc 15,1-8 il
suocero filisteo di Sansone, per nulla menzionato nel
precedente matrimonio di questi con sua figlia (Gdc 14),
è escogitato per informare Sansone di quello che ignora,
ma che il lettore sa, ossia che in sua assenza la moglie è
stata data al paraninfo (Gdc 14,20); soprattutto però serve
a vietargli di incontrarla, proponendo il contraccambio
della figlia minore, più bella della prima. Il lettore è così

0
DRIVER, Notes on the Hebrew Text and the Topography of the
Books of Samuel, 324, segnala che il termine mìkal, tradotto in base
all'assiro come «serbatoio», va distinto dalla cisterna, altrimenti i due
sarebbero stati scoperti.
curioso di sapere se Sansone confermerà la sua vul-
nerabilità alla bellezza femminile, ma si tratta di un
comodo pretesto perché Sansone attui la sua vendetta
contro i filistei.0
In 2Sam 10,1-5 sono i dignitari di Canun a fornire
su un piatto d'argento l'incidente diplomatico che rientra
nel topos delle ambascerie fallite.0 Il brano appare
un'inserzione posteriore,0 ma, nella posizione attuale,
serve ad aprire e giustificare la serie delle lotte di Davide
contro aramei e ammoniti. Il sospetto di questi cortigiani
ammoniti che le condoglianze recate dai messaggeri di
Davide per la morte del padre del loro re fossero un
sotterfugio per spiare e attaccare la città (v. 3b) non è
motivato: per alcuni, essi temevano l'astuta ambizione di

0
Cf. W. VOGELS, Samson. Sexe, Violence et Religion. Juges 13-
16, Ottawa 2006, 87-88; J. KIM, The Structure of the Samson Cycle,
Kampen 1993, 271-272; G.T.K. WONG, Compositional Strategy of
the Book of Judges. An Inductive, Rhetorical Study (VT.S 111),
Leiden 2006, 233.
0
Cf. analogamente Nm 20,14-21; 21,21-30; Dt 2,26-37; Gdc
11,12-28, dove il rifiuto dei propri messaggeri dimostra la pacifica
volontà di Israele in viaggio verso la terra nei confronti dei popoli
limitrofi e giustifica i conflitti.
0
Così tra altri L. ROST, The Succession to the Throne of David,
Sheffield 1982, 60-62, a partire dallo stile diverso da quanto segue;
cf. anche A.A. ANDERSON, 2 Samuel (WBC 11), Dallas, TX 1989,
145-146.
Davide, mentre, per altri, perseguivano segreti intenti a
proprio vantaggio.0 La risposta dei dignitari è duplice e
s'impernia sul tema-chiave già visto dell'onore (kàbòd),
importante nella mentalità antica. In una privata
consultazione, la loro domanda retorica è quella di
guardarsi dal futuro disonore che Davide avrebbe
arrecato a Canun (v. 3a). Poi inducono Canun all'atto
simbolico quanto mai oltraggioso di tagliare la barba e le
vesti sino alle natiche (v. 5), calpestando il rispetto e
l'immunità che spettava ai messaggeri. Ovviamente,
secondo le convenzioni, l'insulto non colpiva solo gli
ambasciatori ma lo stesso Davide, configurandosi come
una dichiarazione di guerra.0
L'esito decisivo del rifiuto di ogni contatto è quello
di creare un casus belli che legittimerà la vendetta di
Davide contro Ammon; egli ristabilirà l'onore perduto
quando i suoi uomini sottometteranno gli ammoniti e i
loro alleati aramei (10,15-19).

0
Per una sintesi delle varie spiegazioni, cf. ANDERSON, 2
Samuel, 246.
0
Documentato da J. KEGLER, Politisches Geschehen und
theologìsches Verstehen, Stuttgart 1977, 29; cf. anche G. STANSELL,
«Honor and Shame in the David Narratives», in Semeia 68(1994),
69.
5. Informatori di pericolo o di morte

Informatori di pericolo o di morte, in particolare


più di sconfitte che di battaglie nel mondo biblico,
risultano inscenati per una sorta di Acheronta movebo del
protagonista. Tralasciando personaggi minori,0 partiamo
dai primi.
5.1. In Nm 11,26-29, il ragazzo che informa Mosè
dell'azione profetica autonoma di Eldad e Medad
nell'accampamento (vv. 26-27), rispetto ai settanta
anziani da lui ufficialmente convocati presso la tenda del
convegno (vv. 24-25), oltre a comunicargli ciò che
ignora, è funzionale a rivelare i suoi pensieri. L'articolo
cataforico per il giovane (hannaar), come visto, indica
che era ben noto al narratore e al suo uditorio e faceva
parte della tradizione. Il testo non specifica i motivi dei
due outsiders, che agiscono come una sola persona, né il
contenuto della loro profezia.

0
Cf. Gen 14,13; ISam 22,20-21; 2Sam 17,17-18; IRe 13,11.25;
Est 4,5-6; Dn 2,15.
Dal punto di vista diacronico, la loro comparsa in
questo brevissimo episodio è ritenuta inserzione più
recente per vari motivi: anzitutto i due non sono stati
menzionati in precedenza e alla fine si dileguano per
sempre; nel v. 26 risultano annoverati tra gli iscritti, ma
di questa iscrizione non c'è alcun cenno precedente; il
verbo «profetizzare» ricorre in questa accezione solo qui
in tutto il Pentateuco (vv. 25.26.27) e la tematica di tale
dono a tutto il popolo è tipica di testi profetici tardivi
(come GÌ 3,1-2; Is 32,15; Zc 12,IO). 01 loro nomi
sembrano escogitati in funzione del racconto, giacché
contengono la radice «amare» (dwd). Tradizioni
rabbiniche posteriori li identificheranno come fratellastri
per parte di madre di Mosè e di Aronne, e rivelano il

0
Testi addotti da E. BLUM, Studien zur Komposition des
Pentateuch (BZAW 189), Berlin-New York 1990, 194 nota 410; cf.
anche H. SEEBASS, Numeri 10,11-22,1 (BK. AtIV/2,1-5),
Neukirchen-Vluyn 1993-2002, 34-35; T. RÒMER, «Nombres 11-12 et
la question d'une rédaction deutéronomique dans le Pentateuque», in
M. VERVENNE - J. LUST (a cura di), Deuteronomy and Deuteronomio
Literature, FS. C.H.W. Brekelmans (BEThL 133), Leuven 1997,
489-491; C. LEVIN, Der Jahwist (FRLANT 157), Gòttingen 1993,
374. Di parere diverso è 0. ARTUS, «Nb 11,26-29: une critique
prophétique préexilique du pouvoir politique et du culte», in TEuph
14(1998), 81-83, contestato giustamente da F. Cocco, Sulla cattedra
di Mosè. La legittimazione del potere nell'Israele post-esilico,
Bologna 2007, 193-203.
contenuto della loro profezia: essi vaticinarono la morte
di Mosè, il passaggio di autorità a Giosuè, le conquiste di
questi, l'assalto di Magog e le sue truppe contro
Gerusalemme alla fine dei giorni, destinato però alla
disfatta, e infine la risurrezione di tutti i morti d'Israele
che avrebbero goduto la felicità riservata loro sin
dall'origine.0 Che non abbiano voluto lasciare
l'accampamento è motivato dal fatto che si erano nascosti
per evitare l'onore che li attendeva. Ovviamente tutto ciò
non è suffragato dal testo, limitandosi parsimoniosamente
all'invito di Giosuè a bloccarli (v. 28b) e acuendo così la
tensione su quale sarà la reazione di Mosè.
Con questo «racconto nel racconto», il narratore
mette in risalto, tramite Giosuè, che funge da oppositore
nell'incarnare il disappunto di una lesa maestà, 0 l'apertura
0
Cf. TgJ a Nm 11,26; PSEUDO-FILONE, LAB XX, 5; MARTIN,
«Eldad and Modad», in J. CHARLESWORTH (a cura di), The Old
Testament Pseudo Epigrapha, New York 1983, II, 464-465. F.
BLUMENTHAL, «Eldad and Medad», in JBQ 36(2008), 91-92,
aggiunge anche la fusione dei loro due nomi in Almodad, citato
soltanto in Gen 10,26, che significa «non conta», di cui subirono lo
stesso destino, di non essere più ricordati dalla Bibbia. Un passo del
Pastore di Erma sembra attestare l'esistenza di un libro a loro
intitolato {Visioni II, 34).
0
Chiosa E.W. DAVIES, Numbers, Grand Rapids, MI 1995, 111:
«Giosuè qui era senza dubbio inteso a rappresentare coloro che
volevano assoggettare il ministero profetico a un controllo
di Mosè che rifiuta ogni geloso monopolio, rinviando alla
sovrana libertà di YHWH nel distribuire quello spirito
che egli stesso vorrebbe elargito a tutto Israele (v. 29).
Ovviamente lo Spirito è di YHWH, non di Mosè. Non si
tratta affatto della legittimazione della profezia estatica,
bensì dell'auspicio di un'estensione della responsabilità di
governo a tutto il popolo.0 Il racconto mira ad allargare la
sfera di autorità, legata non solo alla tenda di Mosè, ma
che può risultare decentrata in zone periferiche, in epoca
post-esilica anche nelle zone più marginali della
diaspora.
5.2. In ISam 14,24-29, nel contesto di una battaglia
contro i filistei, in cui Saul ha imposto a tutto l'esercito il
giuramento di non toccare cibo, pena la morte, prima
della vittoria (v. 24), l'introduzione di un anonimo
soldato (v. 28) deriva dalla necessità drammatica di

istituzionale, mentre Mosè rappresenta coloro che rifiutano questo


rigoroso esclusivismo, insistendo sulla libertà e indipendenza
dell'ufficio profetico che doveva essere tutelato a ogni costo».
0
Cf. L. SCHMIDT, «Mose, die 70 Àltesten und die Propheten in
Numeri 11 und 12», in Gesammelte Aufsàtze zum Pentateuch
(BZAW 263), Berlin-New York 1998, 266-267: «I vv. 26-29
legittimano in tal modo una profezia autonoma da Mosè»; cf. anche
R.P. KNIERIM - G.W. COATS, Numbers (FOTL 4), Grand Rapids, MI
2005, 179; Cocco, Sulla cattedra di Mosè, 199-203.
avvisare Gionata, che, ignaro del voto, si è cibato nel
frattempo di miele (v. 27). J. Wellhausen0 lo ritiene una
glossa ma, nel testo attuale, è l'appiglio ineliminabile per
la replica di Gionata, che formula la sua prima critica a
Saul.0
Per qualcuno0 il soldato rimprovererebbe Gionata,
ma è incontestabilmente un giudizio negativo
sull'insipienza di Saul, allorché fa presente la spossatezza
dell'esercito (v. 28b). Nella voce del soldato sibila quella
del narratore, creando la complicazione di una scena pre-
paratoria che impenna la suspense del lettore ansioso di
sapere quale sarà l'epilogo.0

0
Proposta da J. WELLHAUSEN, Die Text der BiXcher Samuelis,
Gottingen 1871, 92, rifiutata, tra altri, da P.K. MCCARTER, Samuel
(AB 9), Garden City, NY 1984, 246 e D.T. TSUMURA, The First
Book of Samuel (NICOT), Grand Rapids, MI 2007, 373.
0
Così D.M. GUNN, The Fate of King Saul: An Interpretation of
a Biblical Story (JSOT.S 14), Sheffield 1980, 68. Cf. HERTZBERG,
Die Samuelbiicher, 91 nota 1: «Il soldato la pensa proprio come
Gionata».
0
Così R.W. KLEIN, 1 Samuel (WBC 10), Waco, TX 1983, 133,
secondo cui Gionata incorse in una reprimenda da parte dei soldati.
Per BRESSAN, Samuele, 221, il soldato avverte Gionata perché
terrorizzato dalle possibili conseguenze per lui, invitandolo a
rimediare.
0
Per P.K. MCCARTER, 1 Samuel (AB 8), Garden City, NY
1980, 246, che segue Wellhausen e Budde, il v. 28b è una glossa
marginale che anticipa il v. 31; ma, come nota W. BRUEGGEMANN,
First and Second Samuel, Louisville, KY 1990, 104: «Ogni cosa
5.3. In ISam 21,11-15 i ministri filistei che mettono in
guardia il re Achis da Davide, ospite a corte, sono lo
spunto per esaltare il talento istrionico di Davide e
l'ironia del narratore, in un aneddoto che precorre il
movere risum della commedia greco-latina. Qualcuno
equipara la loro definizione di Davide come «re del
Paese» (v. 15) nello stesso senso in cui le donne lo
avevano elogiato (ISam 18,6-7; 29,5), ma ora come
campione al servizio dei filistei (cf. Gdc 16,24). La
reazione preoccupata di Davide induce il lettore a
temerlo con apprensione tra l'incudine (filistei) e il
martello (Saul).0 Questo ingenera una tensione che si
rilassa solo quando il lettore vede Davide scampare a
questa spada di Damocle, beffando il re filisteo con il
motivo popolare della «finta pazzia» (vv. 13-14).0
L'avvertimento dei ministri è un altro esempio di
ironia verbale espressa da stranieri, giacché colui che essi
considerano un capobanda in realtà è già il re d'Israele e
dipende da questa svolta nella storia».
0
Per la prima ipotesi cf. BRESSAN, Samuele, 349-350; per la
seconda, tra molti, HERTZBERG, Die Samuelbiicher, 147.
0
Cf. la fìnta pazzia di Odisseo, di Solone, di Bruto, di Edgar
nel/te Lear e di Amleto, o di Enrico IV nell'opera di Pirandello. Il
tema può servire da ironico contrasto con la vera patologia di Saul in
16,14-23.
lo sarà ufficialmente più tardi (ISam 23,17; 24,21), così
come Davide coglierà molte vittorie nel Paese filisteo
(2Sam 5,17-25; lCr 18,1), prima della battuta finale, in
cui il lettore sogghigna con sarcasmo quando Achis bolla
i suoi cortigiani come pazzi (v. 15).0
5.4. In ISam 23,19 e 26,1 compaiono gli zifiti scelti
nel ruolo di delatori per antonomasia, onde avvisare Saul
della presenza di Davide nel territorio. Non è chiarito il
motivo della loro delazione, né della loro menzione,
eliminabile come accade altrove nel testo (cf. 23,1), ma è
alquanto probabile che gli zifiti volessero liberarsi delle
scorrerie di Davide e della sua masnada. Il narratore se ne
serve per avviare l'inseguimento di Saul e creare una
certa apprensione nel lettore, perché la loro
localizzazione precisa faciliterebbe la cattura di Davide.
Pur analoghi, i due episodi presentano alcune
differenze; nel primo, tale cattura viene evitata all'ultimo
momento, grazie alla disconessione di un informatore;
nel secondo, serve invece da scena preparatoria a un
incontro che Davide vuole avere con Saul, scagionandosi
0
Cf. Y. SHEMESH, «David in the service of King Achish:
Renegade to his People or a Fifth Column in the Philistine Army», in
VT 57(2007), 73-90.
da ogni colpa. Nel primo, è l'occasione per dipingere
Davide come molto astuto (23,22) e Saul che gioca la
parte della vittima nel confronto con Davide (23,21),
mentre nel secondo Davide appare più organizzato e in
controffensiva con le sue spie, nel pieno controllo della
situazione (26,4), mentre Saul confessa la sua insipiente
persecuzione contro Davide, benedicendolo. In entrambi
i casi, gli zifiti segnalano che il conflitto travalica i
confini del Paese ed è diventato notorio,0 chiamando il
lettore a uno schieramento di parte.
5.5. In 2Sam 18,9-15 un anonimo informatore (v.
10) è l'espediente per smascherare agli occhi del lettore la
volontà omicida di Ioab nei confronti di Assalonne. Il
dialogo tra i due (vv. 10-15) è sganciabile dall'intreccio;
per molti0 è un'inserzione redazionale che mira a deni-
grare Ioab, ritenendo che originariamente il filo narrativo

0
Così BRESSAN, Samuele, 371, rispondendo a partire dal testo
attuale a H. GRES- SMANN, Die alteste Geschichtsschreibung und
Prophetie Israels (SAT II, I), Gottingen 1910, 109, che considera i
due brani delle pure leggende.
0
Cf. E. WÙRTHWEIN, Die Erzàhlung von der Thronfolge
Davids-teologische oder politische Geschichtschreibung? (ThZ 115),
Ziirich 1974, 43-48; F. LANGLAMET, «Pour ou contre Salomon? La
rédaction prosalomonienne de 1 Rois I-II», in RB 83(1976), 355. La
tensione si risolve considerando il v. 9a un sommario prolettico.
proseguisse direttamente dal v. 9 al v. 15; tuttavia, è
inimmaginabile che i suoi scudieri perpetrassero
l'omicidio di Assalonne senza il suo avallo,0considerati
anche i timori dell'informatore (v. 12).
Il testo attuale consente a Ioab di sapere ciò che il
lettore già sa, creando contatto e reazione. La prospettiva
interna dell'informatore (v. 10) fa coincidere la suspense
del lettore con la sospensione di Assalonne al terebinto
(v. 9b) e serve a far parlare senza equivoci Ioab. La sua
proposta all'uomo di una ricompensa se avesse ucciso
Assalonne (v. 11) rivela il suo intento omicida. La replica
del soldato (vv. 12-13) caratterizza Ioab non solo come
traditore dell'ordine del re di risparmiare Assalonne (cf.
2Sam 18,5), ma anche come un cinico burattinaio
opportunista!0

0
Come contesta in modo convincente, sulla scia di altri autori,
MCCARTER, 2 Samuel, 406-407.
0
per HERTZBERG, Die Samuelbiicher, 296, «il comportamento
di quel soldato semplice con la sua logica onesta viene rappresentato
con efficacia»; si vedano pure ANDERSON, ^ Samuel, 225; A.F.
CAMPBELL, Samuel (FOTL 8), Grand Rapids, MI 2005, 158. Per J.
LICHT, Storytelling in the Bible, Jerusalem 1978, 43 nota 21, «Ioab
non è semplicemente crudele o sanguinario; egli agisce secondo la
convenienza politica».
La scena prepara alla svolta dove, da Maramaldo
antelitteram, inizia l'uccisione di Assalonne, ultimata dai
suoi servi (vv. 14-15). Con il fedele informatore,
contrapposto agli infedeli servi di Davide (v. 9), il lettore
constata le tensioni nell'esercito e l'ascendente sempre
maggiore diIoab.
5.6. Nelle sue diverse scene-tipo incentrate sul
«reduce dal campo di battaglia», latore di bollettini di
guerra,0 la narrativa biblica è lontana sia dalla laconicità
di testi ugaritici come quelli ad esempio dell'annuncio
della morte di Baal o di Aqhat, sia dalle espansioni
omeriche di un Antiloco, araldo della morte di Patroclo.
La via media biblica usa dispositivi narrativi diversi
attenti a ritardare a vantaggio dell'emozione del lettore le
reazioni del destinatario. Il fenomeno è ravvisabile in due
racconti analoghi come ISam 4,12-18 e 2Sam 1,1- 16.
Nel primo, il fuggiasco beniaminita che reca all'ignaro

0
Per questo genere Kampfbericht/Schlachtbericht, cf. W.
RICHTER, Traditionsge- schichtlichen Untersuchungen zum
Richterbuch (BBB 18), Bonn 1963, 262-266; D.M. GUNN,
«Narrative Patterns and Oral Tradition in Judges and Samuel», in VT
24(1974), 290-311; S. GELANDER, Art and Idea in Biblical
Narrative, Tel Aviv 1997, 11-114; P. GALPAZ-FELLER, «David and
the Messenger. Different Ends, Similar Means in 2 Samuel 1», in VT
59(2009), 199-210.
Eli la notizia della morte dei figli e della cattura dell'arca
mira a svelarne il mondo interiore e a spiegare il motivo
della sua morte (v. 18); nel secondo, il fuggiasco
amalecita che informa l'ignaro Davide della morte di Saul
è un espediente per confermare l'autorevolezza della voce
narrante e rivelare i sentimenti di Davide, ma anche per
attuare sornionamente il passaggio dei simboli regali. 0 La
loro caratterizzazione nell'abbigliamento a lutto0 sembra
identica, ma il lettore ne scoprirà le differenti
motivazioni, cogliendo la sincerità del beniaminita e
l'intento malcelato di una ricompensa dell'amalecita. La
nazionalità del primo è chiara fin dall'inizio; per
qualcuno0 non sembra avere un particolare impatto. A
nostro parere, potrebbe spiegarsi come un'inclusione nel

0
Cf. J.H. GRONBAEK, Die Geschichte vom Aufstieg Davids (1
Sam 15-2 Sam 5):Tra- dition und Komposition, Copenhagen 1971,
129; HERTZBERG, Die Samuelbiicher, 193; H.J. STOEBE, Das zweite
Buck Samuelis (KAT VIII/2), Glitersloh 1994, 88; BAR EFRAT,
Narrative Art in the Bible, 43.
0
Cf. 2Sam 1,2; 13,19.31; 15,32; Gb 2,12; Gdt 14,14-17; cf. F.
DE WARD, «Mourning Customs in 1,2 Samuel», in JJS 23 (1972), 1-
27; per un confronto tra ampollosità omerica e sobrietà biblica cf. II.
XVIII, 22-35.
0
Così ritiene MCCARTER, 1 Samuel, 113-114, segnalando al
contrario gli esempi dell'amalecita (2Sam 1), di Doeg lTdumeo
(ISam 21,8; 22,18.22), cui possiamo aggiungere l'etiope (2Sam
18,21), nonché l'egiziano (ISam 30,11).
«ciclo dell'arca», perché se qui è un beniaminita ad
annunciarne la perdita, sarà la città beniaminita di Kiriat-
Iearim a diventarne la nuova sede al ritorno (ISam 7,2).
Quella dell'amalecita sarà rivelata successivamente in
punti strategici (vv. 8.13), sfruttata per contrappasso:
come Saul aveva perso la sua regalità a causa di un
amalecita (cf. ISam 15; 28,17), quest'altro ne consegna i
simboli a Davide. Il testo non appura le sue mansioni; per
alcuni0 era in servizio nelle fila israelite e la sua qualifica
come figlio d'immigrato (v. 13) spiegherebbe la sua
audacia nel presentarsi a un Davide appena reduce dalla
strage dei suoi connazionali (ISam 30; 2Sam 1,1). In
qualsiasi caso, dato che Amalek nell'immaginario biblico
è per antonomasia il tipo del traditore ostile a Israele, 0 il

0
BRESSAN, Samuele, 260; MCCARTER, 2 Samuel, 56,
propendono per il soldato, mentre FOKKELMAN, Narrative Art in
Genesis, II, 634-635, per l'aiutante; per ANDERSON, 2 Samuel, 6, era
in servizio forzato. Improbabili ci sembrano le ipotesi di G.M.
LANDES, «Amalek», in IDB, I, 101-102, secondo cui era un
mercenario al servizio dei filistei, come pure quella di J.
MACDONALD, «The Status and the Role of the NA'AR in Israelite
Society», in JNES 35(1976), 149, che lo ritiene di nobile rango.
0
Cf. Es 17,8-15; Nm 24,20; Dt 25,17-19; ISam 15. Secondo
l'esegesi rabbinica, l'amalecita era figlio di Doeg l'Idumeo; cf.
PesRab 12,9. Per HERTZBERG, Die Samuelbii- cher, 193, «gli
amaleciti restano amaleciti anche quando sono residenti in Israele».
lettore è allarmato a mo' del «timeo Danaos et dona fe-
rentes» {En. II, 49).
Diversa è la sequenza dell'annuncio; nel caso del
beniaminita, l'occhio della camera si alterna tra lui,
trafelato, ed Eli, in attesa e descritto nella sua cecità
senile (v. 15; cf. ISam 2,22) perché questa causa la sua
morte (v. 18). Il reduce è qualificato come mebassèr,0
unico caso in cui il termine non ha una connotazione
positiva. La sua notizia climatica della fuga degli
israeliti, la strage del popolo, la morte dei figli e la
cattura dell'arca (v. 17) potrebbero rivelare la sua scala di
valori e perché si sia recato prima in città, a meno che
non tenga per ultimi gli eventi più importanti, come nei
proverbi numerici. Senza dubbio - ed è questo che preme
al narratore - serve a far risaltare la scala assiologia di
Eli, giacché questi cade mortalmente nel sentire della

0
Notato da tutti i commentatori. Per BAR EFRAT, Narrative Art
in the Bible, 65, è «un raro caso in cui l'agitazione viene rispecchiata
nel discorso». Le tradizioni targu- miche lo identificano con Saul,
che era riuscito a strappare le tavole della legge a Golia, aiutato da
un angelo; cf. E. VAANSTALDUINE-SULMAN, The Targum of Samuel,
Kampen 2002, 238.
cattura dell'arca (v. 18),0 per riscattarlo con un'aura
tragica.
Nel caso dell'amalecita, il lettore è interpellato a un
confronto tra la sua versione dei fatti e quella,
discordante, del narratore (ISam 31). Diacronicamente, la
contraddizione viene spiegata come compresenza di due
tradizioni0 o come inserzione di interventi redazionali
all'interno di 2Sam 1,1-16;0 Flavio Giuseppe risolve il
problema presentando subito l'amalecita al fianco di Saul,
il quale, dopo il rifiuto dello scudiero, gli chiede di
finirlo; altri autori difendono invece l'unità di 2Sam 1,1-
16 partendo dal fatto che nel testo attuale l'amalecita sta
mentendo.0 Nel testo attuale è palmare che il narratore
0
per MCCARTER, 1 Samuel, 114, «la sintassi ha l'ulteriore
effetto di enfatizzare le ultime parti della frase». Per GELANDER, Art
and Idea in Biblical Narrative, 112, potrebbe denotare sensibilità e
rispetto nel non comunicare il peggio prima della fine.
0
Così ad esempio H.P. SMITH, A Critical and Exegetical
Commentary. The Books of Samuel (ICC), Edinburgh 1904, 254.256,
per cui ISam 31 è successivo a 2Sam 1,1-16; seguito da P.H.
DHORME, Les Livres de Samuel (ÉB), Paris 1910, 268 e R. DE VAUX,
Les Livres de Samuel, Paris 1961, 137.
0
SI VEDANO K. BUDDE, DIE BUCHER SAMUEL (HCAT VIII),
TIIBINGEN 1902, 193-194; GRESSMANN, DIE ÀLTESTE
GESCHICHTSSCHREIBUNG UNDPROPHETIE ISRAELS, 118; A. CAQUOT -
P. DE ROBERT, LES LIVRES DE SAMUEL (CAT V), GENÈVE 1994, 364-
366.
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VI, 370-372; VII, 1-6. DIFENDONO
L'UNITÀ DEL BRANO SUL PRESUPPOSTO CHE L'AMALECITA STIA
presenta come menzognera la versione dell'amalecita (vv.
3-10), anzitutto in base alla «legge della precedenza» che
autentica la sua, poi segnalando
10 scarto di attendibilità nel definirlo pleonasticamente
«il giovane che raccontava» (vv. 5.6.13).0 Siamo lontani
dalla storiografìa di Erodoto, che giustappone sullo
stesso piano due versioni (suicidio-omicidio) della morte
di Amilcare (cf. Storie VII) lasciandone la scelta al
lettore. Qui invece il lettore può cogliere le divergenze
salienti: l'amalecita rivendica l'omicidio di Saul (v. 10),
mentre secondo ISam 31,4 Saul lo aveva chiesto al suo
scudiero, per poi suicidarsi con la propria spada; afferma
che Saul era ancora integro, pur circondato (v. 6), mentre
in ISam 31,3 era già ferito gravemente. Diverso è il
motivo dell'uccisione di Saul, presagendo che non
sarebbe sopravvissuto alla sua caduta (v. 10), mentre
secondo ISam 31,4 Saul voleva sfuggire all'onta da parte
degli incirconcisi; la sua nazionalità giustifica perché non
abbia avuto tabù nell'uccidere Saul, analogamente a
MENTENDO BRESSAN, SAMUELE, 458; MCCARTER, 2 SAMUEL, 63-64,
E CAMPBELL, 2 SAMUEL, 18-19.
0
Cf. A. BERLIN, Poetics and Interpretation of Biblical
Narrative (BLS), Sheffield 1983, 79-82; ALTER, The David Story,
195.
Doeg, l'idumeo (ISam 21,18). Altro particolare inedito
sono i «carri e i cavalieri» assalitori di Saul (v. 6), mentre
in ISam 31,3 figuravano solo gli arcieri.
Nella prima parte l'amalecita sembra aver avuto
l'ultima parola e
11 narratore descrive il lutto di Davide e dei suoi
uomini; si crea un parallelo tra le vesti stracciate
dell'amalecita e quelle di Davide, che può ingenerare
sospetti nel lettore sulla credibilità del loro lutto, come se
l'amalecita fosse il «doppio», inconfessato, di Davide. 0
Prescindendo se Davide abbia ritenuto vero o falso il
racconto, a lui interessava la morte di Saul e forse il suo
lutto era più per Gionata; tuttavia, il fatto più importante
è che qui ha la chance di dissipare complicità o soddi-
sfazione. Il verdetto di morte per l'amalecita, reo di aver
osato alzare le mani sul consacrato del Signore, è
indirettamente un rammentare al lettore che lui stesso,
pur potendo, non aveva osato farlo (ISam 24,7; 26,9.11),

0
Nota R.M. POLZIN, David and the Deuteronomist: a Literary
Study of the Deuteronomio History. Part Three: 2 Samuel,
Bloomington, IN 1993, 5: «Il narratore mette a confronto Davide con
il suo alter ego e il lettore con il doppio di Davide». Per GAL- PAZ-
FELLER, «David and the Messenger», 206, «entrambi pretendono e si
travestono con il loro vestito; per entrambi il fine giustifica i mezzi».
ma è anche l'accettazione di una comoda versione che lo
esonera dall'investigare più profondamente l'accaduto.
L'amalecita resta muto, anche perché, dopo la sua
autocondanna, una smentita non avrebbe avuto senso.
Davide lo citerà per ribadire il suo sdegno per siffatti
favori non richiesti, come quello di Recab e Baanà che
eliminano il saulide Is-Baal (2Sam 4,9-12), nel solco
della già vista apologetica che mira a scagionarlo.
5.7. In 2Sam 11,18-25 il messaggero incaricato da
Ioab di informare Davide della morte di Uria (v. 19), di
cui, come il lettore ben sa, il re è il mandante e Ioab
l'esecutore, serve a mettere a nudo la strategia criminale
di Davide.0 L'annuncio del messaggero riflette specular-
mente quello di Ioab (vv. 21 e 18), visibilizzando in lui la
longa manus del suo generale, e offre al lettore la
descrizione della battaglia. La notizia della morte di Uria
è il momento cerniera dell'intrigo (v. 24b), facendo salire
la tensione su quale sarà la reazione di Davide.

0
Cf. J. VERMEYLEN, La loi du plus fort (BEThL 154), Louvain
2000, 300-301; I. ABABI, «Quand les intrigues s'entrelacent. Une
étude de l'organisation narrative de 2 S 11-12», in ETL 87(2011), 50-
51.
Presentata in modo scenico, la risposta di Davide,
senza indignazione o sorpresa, palesa tutto il suo
cinismo, perché antepone l'eliminazione di Uria alla vita
dell'esercito in nome della dura lex della guerra; in realtà
il lettore sa che stavolta Davide è riuscito con il suo piano
mortale là dove aveva fallito già due volte (vv. 8-13),
perché ormai libero da interlocutori scomodi del suo
adulterio. Questa è un'apparente risoluzione del suo
problema e sembra placare la tensione (vv. 26-27), un
tipico rilassamento che prelude alla successiva
complicazione costituita dalla denuncia di Natan (2Sam
12), che snida con la dissimulazione del suo caso fittizio
la volontà omicida di Davide.
In 2Sam 12,18-23 vengono inscenati i cortigiani -
probabilmente i servi più vecchi della casa di Davide -
per la comunicazione della morte del figlio nato
dall'adulterio con Betsabea, avvenuta come aveva pro-
fetizzato Natan (v. 15). Il loro inserimento, del tutto
verosimile, facilita l'innesco della tensione e lo
scatenamento di reazioni a catena. Per ben sei volte
risuona secco e gelido il vocabolo «morte» e questo
ingenera la suspense nel lettore, coinvolto nella loro
riluttanza a comunicare il decesso, temendo uno
sproposito del re (v. 18). Il loro ragionamento è a fortiori
e non fuori luogo, a partire dal precedente
comportamento di Davide, che cerca di allontanare la
morte del figlio con penitenze espiatrici e che il dolore
poteva far uscire pericolosamente di senno. Ma tutto ciò
prepara alla sorpresa della reazione di Davide alla notizia
ferale (vv. 18b-19), con un atteggiamento del tutto
opposto a quello iniziale con cui voleva scongiurare la
morte del figlio (vv. 20 e 16-17).0Con stile disadorno, ma
di forte effetto drammatico, la spiegazione che Davide dà
ai suoi servi mette in luce in modo spiazzante per il
lettore la sua lucida accettazione della morte (vv. 21-23)0
e segna lo scioglimento della tensione iniziale e un nuovo
inizio per la vita di Davide. Egli consola Betsabea, non
più chiamata moglie di Uria, chiede del cibo,
contrariamente agli usi del lutto (cf. 2Sam 3,35), e va al
tempio in segno di sottomissione alla maestà divina,

0
Nota ALTER, The David Story, 261, che tale «comportamento
paradossale è uno dei contrassegni dei grandi personaggi biblici.
Davide qui agisce in un modo che né i suoi cortigiani né l'uditorio
potevano anticipare».
0
Cf. BRESSAN, Samuele, 591; DIETRICH - NAUMANN, Die
Samuelhiicher, 254; ABABI, «Quand les intrigues s'entrelacent», 53.
preparando alla nascita di un figlio sostituto che sarà
Salomone (vv. 24-25).
2Sam 13,23-36 orchestra il conflitto tra l'annuncio
dei messaggeri, che sostengono la strage di tutti i suoi
figli, e la smentita di Ionadab, che, come il lettore ben sa,
afferma solo la morte di Amnon. L'ellissi sulla
competenza di Ionadab è colmata in vari modi; per Flavio
Giuseppe egli era stato informato da alcuni scampati (AG
VII, 176), ma il testo non lo suffraga. Per alcuni prende
le distanze da Amnon, per altri stempera una valutazione
negativa di Assalonne, forse presagendo in lui il futuro
re.0 Il narratore evita dietrologie e probabilmente dà per
scontato che il lettore ricordi la precedente qualifica di
Ionadab come «molto saggio» (2Sam, 13,3-5); in questo
potrebbe rientrare un suo accorto camaleontismo.
L'essenziale, però, è che metta a nudo l'impulsiva

0
Per SMITH, A Critical and Exegetical Commentary. The Books
of Samuel, 332, «Ionadab era consigliere di Assalonne, oppure
scaltro abbastanza per sospettare il vero stato delle cose». Per
CAMPBELL, 2 Samuel, 132, Ionadab sapeva ciò da due anni, e questo
getta ombre sull'omertà di Davide. Per HERTZBERG, Die
Samuelbiicher, 269, che cita Budde, «Ionadab dà ancora prova della
sua prudenza, che però gli è suggerita da una cattiva coscienza». Per
la presa di distanza da parte di Ionadab, cf. ALTER, The David Story,
273; BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 274.
suggestionabilità e sprovvedutezza di Davide, contraria
all'arte primaria di un re di prevedere e di discernere (cf.
Pr 25,2);0 inoltre, serve ad anticipare a Davide e al lettore
la fuga di Assalonne (v. 37) e a motivare apertamente la
morte di Amnon come la vendetta per lo stupro
commesso (v. 32). Se Davide non sapeva o fingeva,
Ionadab - parafrasando W. Shakespeare - denuncia che
«c'è qualcosa di marcio a Gerusalemme» (Amleto, atto I,
scena IV).
5.8. Compulsando Vouverture narrativa di Gb 1,
quattro messaggeri superstiti (vv. 14.16.17.19) risultano
lo stilema strutturale del racconto. Essi fungono da
comodo espediente per costruire una suspense grazie alla
ripetizione dove la variazione è significativa,0 mirato a
caratterizzare la reazione di Giobbe nella prova già vista,
cui YHWH lo sottopone su suggerimento di Satana.
0
Cf. B. HALPERN, David's Secret Demons: Messiah, Murderer,
Traitor, King, Grand Rapids, MI 2001, 362: «In effetti, più di ogni
altro personaggio nella Bibbia, Davide fa affidamento sull'ascolto
delle parole di altri». Per l'incapacità di previsione, cf. J.-L. SKA,
«Davide ed Assalonne, la ragion di stato e il cuore di Padre», in PSV
39(1999), 49-50.
0
Così SKA - WENIN - SONNET, L'analyse narrative des récits de
VAncien Testament, 25; D. MARGUERAT - Y. BOURQUIN, Pour lire les
récits bibliques, Paris-Genève- Montréal 220 09, 46. Si ricordino per
analogia I Sette messaggeri di morte di D. BUZZATI.
L'intento è quello di attestare al lettore il disinteresse
della sua fedeltà (vv. 9-11). La loro attivazione deriva
dalla necessità dello spostamento dal cielo sulla terra e
dal fatto che Dio non vuole che Giobbe sia colpito
personalmente (v. 12); inoltre, scaglionano
climaticamente la prova in quattro disgrazie - numero
della totalità (cf. Ez 14,21),0 anziché concentrarla in una
sola simultanea sovrapposizione inesorabile (vv.
16.17.18). Il lettore è folgorato dalla quarta disgrazia -
più lunga perché la peggiore - non prevista dal
«contratto» tra Satana e Dio (v. 11), dove la tensione
raggiunge il picco, e si aspetterebbe l'esplosione di
Giobbe, che invece riconferma la sua fedeltà al Signore,
vincendo il primo round della sfida (vv. 21-22).
5.9. In tre casi gli informatori sono escogitati come
illusori per i destinatari, suscitando l'ironia del lettore, nel
confronto tra il suo punto di vista onnisciente e quello
autoreferenziale del protagonista, in modo da far
emergere il suo mondo di emozioni, prima della
0
Posto in rilievo da L. ALONSO SCHÒKEL, Job, Madrid 1983,
104; J. PATRICK, «The Fourfold Structure of Job: Variations on a
Theme», in VT 55(2005), 185-206. Lo si confronti con il prolisso
incalzare dei tre messaggeri di sventure nell'Enrico VI, atto I, scena I,
di W. Shakespeare.
delusione o della smentita finale. Tralasciamo il cammeo
poetico di Gdc 5,29-30, affidato alle sagge damigelle che
illudono la madre di Sisara, prospettandole il ritorno
trionfale del figlio carico di bottino, ulteriore prolun-
gamento della beffa della sua morte di cui il lettore è al
corrente, ma che esse ignorano.
In 2Sam 18,19-32, nel contesto della morte di
Assalonne che deve essere comunicata a Davide,
l'introduzione di Achimaaz e del messaggero etiope (v.
23), combinate al ricorso della «visione dalle mura»
{teikhoskopìa)0 della sentinella sulle mura (v. 25), sono
funzionali a creare due scene preparatorie con un ritardo
d'intensa suspense. Il racconto dilaziona la notizia e
s'impernia sull'attesa del re. Il lettore si chiede quale sarà
la sua reazione, poiché Davide è ignaro della morte di
Assalonne, ma anche quale sarà la sorte del messaggero,
sapendo della preoccupazione di Ioab (v. 22). Il dialogo
tra Ioab, che vuole dissuadere Achimaaz dal voler portare
0 149
Sulla teikhoskopìa, cf. Gilgamesh e Agga, in BRESCIANI,
Letteratura e poesia dell'antico Egitto, 66-180: come espediente nel
dramma greco cf. ESCHILO, Sette contro Tebe, 67-77; Agamennone
1-39; per LICHT, Storytelling in the Bible, 45, «la sua funzione
basilare è accentuare il valore mimetico del racconto facendo
partecipare il lettore, mediante la reazione dei testimoni, all'evento
"mostrato"».
la notizia, si restringe nella lunghezza delle frasi, quasi a
suggerire l'impazienza di quest'ultimo. Il suo nome po-
trebbe suonare ominoso («mio fratello è ira»); 0
drammaticamente egli deve sorpassare l'etiope grazie alle
sue doti di corridore che, diversamente dallo stereotipo
del «piè veloce» Achille, derivano dall'esigenza scenica
che egli sia identificato per primo dalla sentinella, al fine
di ingenerare in Davide, che lo reputa una «brava
persona» Cis tób, cf.
2Sam 15,36; 17,17), il wishful thinking di una
«buona notizia»0 ripetuta ben nove volte nel testo, perché
deve esplodere come cattiva nella decima menzione. Il
triplice dialogo climatico tra Davide, seduto in attesa alle
porte della città, e la sentinella, che funge da «riflettore»
(v. 24), è espresso in secondo piano con participi che
ritraggono e motivano l'immobilismo di Davide,
diversamente da altri re che scrutano l'orizzonte dalle
mura (cf. 2Re 6,26-30; 9,30), acuendo la tensione
0
Nel racconto il suo nome ricorre sei volte; cf. M. NOTH, Die
israelitische Personen- namen im Rahmen der gemeinsemitischen
Namengebung, Stuttgart 1928, 235.
0
Cf. STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 412, nota 8: «La
speranza di Davide non si basa primariamente sulla persona che reca
il messaggio, bensì sul fatto che corre veloce. Così il "chi" non
svolge nessun ruolo».
allorché il lettore onnisciente ascolta l'autoinganno del
re.0
La visione dagli spalti della sentinella è scabra, non
come quelle omeriche di Elena (II. Ili) o di Andromaca
(II. XXII, 437-515). Nella scena finale, l'arrivo dei
messaggeri rallenta il ritmo, preparando al knockout. La
reticenza di Achimaaz (v. 29) che, memore del monito di
Ioab, lascia l'annuncio all'etiope, rivela l'animo di
Davide, cui stava a cuore la sorte del figlio, anziché
quella dell'esercito. Senza i tre informatori non avremmo
avuto questo racconto pieno di suspense, che non ha
nulla da invidiare a quella della sentinella che apre
YAgamennone di Eschilo, tanto più apprezzabile se
confrontato con l'asettica diegesi di Flavio Giuseppe (AG
VII, 245-252).
In IRe 1,41-48 ritroviamo lo stesso contrasto, tra
percezione ed elaborazione mentale forzata, scatenato da
Gionata, figlio di Ebiatar, nei confronti di Adonia,
convinto di essere lui il candidato re e ignaro dell'unzione

0
Così STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 412: «In questa
tensione sta lo scopo della rappresentazione»; cf. anche C. CONROY,
Absalom Absalom! Narrative and Language in 2 Sam 13-20 (AnBib
81), Rome 1978, 50; 70-80.
regale di Salomone, avvenuta nel frattempo. Se la reputa-
zione di Gionata come galantuomo ('ìs hayil)0 illude
l'ignaro Adonia ad aspettarsi buone notizie (v. 42b), 0 egli
gli comunicherà ciò che non avrebbe mai voluto udire. 0 È
suggestivo cogliere un gioco di parole tra il nome
«Gionata» (= Dio dona, nàtavi) e la sanzione di Davide
«Benedetto il Signore Dio d'Israele che oggi ha concesso
(nàtan) che uno sieda sul mio trono» (v. 48), instaurando
un'ironica inclusione della vicenda. Il testo non esplicita
se fosse una spia nell'entourage di Salomone, come
ritiene S. De Vries,0 benché sia plausibile inferire che egli
condividesse le simpatie di suo padre per il rampante
Adonia (cf. 1 Re 1,7.19.25).
La simultaneità della sua irruzione con il tumulto
che arriva dalla città (v. 42) rivela che Adonia e Ioab
0
Cf. EISING, «hajil», in TWAT, II, 906-907; M. COGAN, 1 Kings
(AB 10), New York, NY 2001, 163 e M.I. MULDER, 1 Kings, 1:
Kings 1-11 (HCOT), Leuven 1998, 75, optano per il senso traslato
del sintagma 'is hayil e traducono con «uomo affidabile». Il senso è
«uomo d'onore».
0
Per SCHILLING, «bsr», 847, qui come in 2Sam 18,27 «il verbo
bsr contraddetto dai fatti è in funzione dell'alta tensione psichica del
destinatario».
0
IRONIA SOTTOLINEATA DA J.A. MONTGOMERY - H.S.
GEHMAN, 1 KINGS (ICC), EDINBURGH 1951, 87; MULDER, 1 KINGS,
1: KINGS 1-11, 76.
0
Così S. DE VRIES, 1 Kings (WBC 12), Waco, TX 1985, 18.
sono ormai fuori gioco. La smentita (vv. 43-48) è
coerente con la tecnica della ripetizione adottata in 2Re
1, per cui Gionata fa da pendant a Natan nella prima
parte del racconto (vv. 22-26). Per M. Cogan0 è
inverosimile che egli abbia potuto assistere a tutti gli
eventi riferiti, ma la sua metadiegesi mira a far ascoltare
per la terza volta l'incoronazione di Salomone, supplendo
l'intronizzazione già effettuata, la legittimazione da parte
di Davide e le congratulazioni dei suoi ministri (vv.
46.48), mostrando che è stato abile a battere sul tempo il
rivale.0 Ciò prepara al terrore di Adonia, abbandonato dai
suoi, e conferma che l'era di Salomone comincia nel
segno della benedizione paterna e divina.
In 2Re 9,16-28 riappare la tecnica narrativa della
teikhoscopìa di una sentinella, stavolta in una «cronaca di
morte annunciata» per il re Ioram, necessaria ad
adempiere la profezia pronunciata da Elia sullo sterminio

0
COGAN, 1 Kings, 163, concede solo l'evento del Ghicon e
mette in guardia da una close reading, che non tiene conto della
strategia del racconto.
0
Cf. B.O. LONG, 1 Kings (FOTL 9), Grand Rapids, MI 1991,
39; HALPERN, David's Secret Demons: Messiah, Murderer, Traitor,
King, 393. È ovvio, nello stato attuale del testo, che il soggetto
anonimo del v. 48 non può essere Adonia (cf. IRe 1,6), né Ebiatar
(2,26).
della casa di Acab (IRe 21,21s). Il narratore si situa in un
punto che domina le scene. L'alternanza tra il campo
visivo della sentinella, che percepisce sfocatamente una
schiera, e quello a focalizzazione-zero del lettore, che, al
corrente della congiura di leu (v. 14), assiste alla
defezione climatica dei messaggeri inviati da Ioram (w.
17.18.19), rende piena di tensione l'attesa del redde
rationem. Ogni messaggero che rapidamente si avvicina
per passare nelle fila di leu rappresenta la progressiva
defezione del popolo e la solitudine di Ioram. Il lettore di
buona memoria coglie il progressivo contrasto tra la
sicurezza di leu e l'ingenuità di Ioram, che risulta un
«doppio» di suo fratello Acazia nel non saper cogliere il
senso del non ritorno dei propri messaggeri (cf. 2Re 1),
fino all'identificazione di leu da parte della sentinella (v.
20), che segna la svolta nel condurre Ioram a incontrare
la morte (v. 24), prima di uccidere Acazia (v. 28).

6. Informatori boomerang

Alcuni agenti sono usati come un tragico


boomerang rinviato al mandante, ribaltando i ruoli
iniziali del loro destinatore e destinatario, con l'esito di
spiazzare il lettore nei suoi pronostici.
6.1. È il caso di ISam 28 e IRe 14,14-18, dove si
riscontrano alcune analogie, ma anche differenze,
evidenziando lo smacco del primo destinatore, deluso dal
mancato esaudimento di ciò che ansiosamente chiedeva.
Anche qui l'effetto della curiosità che diventa sorpresa
mira a interpellare il lettore e a fargli capire chi tiene le
redini degli eventi.

Pro Oracolo silenzio di


blema ISam 280 Dio/disperazione
Mit 0
La bibliografìa Saul
è nutrita; cf. M.
tente KLEINER, Saul in En- servi e
Dor. Wahrsagung
Rac oder To-
NEGROMANTE

cordo tenbeschwórung? profeta Samuele di


Eine synchrone und
Des diachrone Analyse
von 1 Sam 28,3-25 Witch of Endor», 160-
tinatario (ETS 66), Leipzig 179; BEUKEN, «1 Sam
1995; LUST, «On 28», 3-17;
Ca Wizards and FOKKELMAN, Narrative
Prophets», 133-142; Art, II, 596-622;
muffame BAKON, «Saul and the COUFFIGNAL, «Le Roi,
nto Witch of Endor», 16- le Prophète et la nécro-
23; SMELIK, «The mancienne», 19-30.
Saul del figlio del re
svelato Geroboamo
da LA MOGLIE

Samuele di Geroboamo
morte in profeta Achia
battaglia della moglie
all'indom svelato da Achia
ani morte subitanea
IRe del figlio
14,14-180
la
malattia

0
CF.
LONG, 1
KINGS,
154-155;
ALTER,
THE ART,
80;
BRANCH,
«THE WIFE
OF JEROBO-
AM», 157-
167; SKA,
«SALOMON
», 43.
Il raccordo è affidato a due donne, una negromante
e la moglie di Geroboamo, appositamente caratterizzate
per la soluzione di un problema che deve restare segreto
all'interno di un entourage regale- familiare, con il topos
del travestimento0 di Saul o quello della moglie alter ego
di Geroboamo, per non destare sospetti, che però non ha
lo sviluppo metateatrale che troviamo ad esempio in
Aristofane, specialista del genere. I due racconti palesano
un mutamento di strategia drammatica. In IRe 14,1-18 il
problema è la sorte di Abia, il figlio malato di
Geroboamo, che invia sua moglie travestita dal profeta
Achia per avere un responso. Il TM presenta varie ellissi,
che i LXX colmano con aggiunte midrashiche,
anticipandolo in IRe 12,24 (7-14), fornendo il nome di
Ano, moglie di Geroboamo, e l'età del settantenne Achia,
ma eliminando il camuffamento con l'inserzione di un

0
Per il topos metateatrale, cf. H. GUNKEL, Das Mdrchen
imAlten Testament, Tubingen 1917, 140-141. Per altri esempi biblici,
cf. Gen 27,15; 38,14; Gs 9,5; ISam 28,8; IRe 22,30. Oltre ad
Aristofane delle Rane e Acarnesi, si pensi a Calino nella Casina,
Cureulione nel Curculio di Plauto, o a Cherea neìYEunuchus di
Terenzio.
servo del profeta che accoglie la donna. Nel TM il lettore
è al corrente di tutto.
Se lo stratagemma (vv. 2.5), spiegabile con i timori
di Geroboamo nei confronti del suo antico mentore (cf.
IRe 13,1-9), combinato alla cecità del profeta (v. 4), lo
illude di un successo,0 risulta subito annullato dal
preavvertimento di YHWH ad Achia (v. 5), che rispedi-
sce la donna al mittente, prima come testimone della
morte del figlio, poi messaggera dell'oracolo di sterminio
della casa di Geroboamo (vv. 6-18). Il narratore non
indugia sui sentimenti della donna, perché non gli
interessa stigmatizzare che Geroboamo manipoli sua
moglie, bensì che tenti di farlo con il profeta Achia; in tal
modo, il narratore esprime uno dei temi cari all'ideologia
deuteronomistica, vale a dire la condanna senza appello
di un re che non ha imitato Davide. 0 In ISam 28 il lettore
0
NELSON, 1&2 Kings, 93: «La leggenda profetica inizia con il
creare una pausa per il lettore almeno in una leggera aspettativa di un
felice finale».
0
Così BRANCH, «The Wife of Jeroboam», 160: «Egli sembra
egoista, infatti il suo discorso trascura e ignora ogni esigenza che
essa può avere [...]. Egli appare manipolatore e la tratta come un suo
servo». Si vedano M. LEUCHTER, «Jeroboam the Ephratite», in JBL
125(2006), 51-72; A. SCHENKER, «Jéroboam et la division du
royaume dans la Septante ancienne. LXX 1 R 12,24a-z, TM 11-12;
14 et l'histoire déuteronomiste», in A. DE PURY ET AL., Israël
è invece guidato a scoprire la vera posta in gioco del
racconto. Saul è alla fine e deve fronteggiare i filistei in
una battaglia decisiva. Il suo ordine di cercare una
negromante ('éset ba'àlat oò)0 sembra l'ultima carta per
ottenere, in assenza di oracoli divini, un responso. Il
lettore coglie il silenzio di Dio come castigo in atto, ma
anche la contraddizione con la precedente epurazione dei
divinatori ordinata dallo stesso Saul, evidentemente
fallita (v. 3).
Il testo non chiarisce perché faccia cercare una
donna e non un uomo; qualcuno lo spiega con plausibilità
col fatto che essa era scampata all'epurazione, poiché la
sua città cananea di Endor non era stata completamente
soggiogata dagli israeliti (cf. Gs 17,12), o forse per il
pudore di Saul. La tradizione rabbinica lo spiegherà
identificando gli accompagnatori di Saul, primo anello di

construit son histoire (Le Monde de la Bible 34), Genève 1996, 197-
209.
0
Cf. GUNKEL, Das Màrchen im Alten Testament, 102;
MCCARTER, 1 Samuel, 418, nota nel TM la conflazione di due
termini, 'êset 'ôb e baâlat 'ôb; KLEINER, Saul in En- Dor, 132-134,
propende per la traduzione Totenbeschwôrer-, TSUMURA, The First
Book of Samuel, 621, traduce: «una donna che serve la Signora degli
Spiriti». Per altre ipotesi, cf. CAQUOT - DE ROBERT, Les Livres des
Samuel, 334 nota 3.
contatto con la donna, con Amasia e Abner, nipoti di
Saul e figli della stessa negromante, ma ciò è privo di
fondamenti testuali. Più cogenti sono l'espediente di una
specialista dell'aldilà e la strategia di spiazzare il lettore
sull'intenzione di Saul, che è l'ultimo fatidico incontro
con il defunto Samuele. Si tratta dell'unica donna cercata
da Saul, a differenza di Davide, contornato di figure
femminili; ma, caratteristica di contrasto più importante,
evidenziata dal narratore deuteronomista, Saul sceglie di
ricorrere alla negromanzia, contrariamente a Davide che
ricorre al legittimo uso della cleromanzia. Saul è dipinto
come un disperato obnubilato, che si aggrappa
pateticamente a tutto, smentendo i suoi stessi ordini.
L'incontro con la negromante (vv. 8-14) avviene di
notte, perché è il tempo adatto alle evocazioni spiritiche.
Siamo lontani dalla lunga evocazione dei morti nei testi
mesopotamici, da quelli di Omero, Alceo e Virgilio, dove
è già preavvisata e ogni trapassato è subito riconosciuto, 0
come pure dalla riscrittura di Flavio Giuseppe, che
smorza la suspense. C'è un'ellissi su come la donna abbia
0
Cf. Od. XI; En. VI. Per il nostro brano cf. B.T. ARNOLD,
«Necromancy and Clero- mancy in 1 and 2 Samuel», in CBQ
66(2004), 199-213.
identificato Saul; tra varie spiegazioni costrette a
emendazioni testuali, la più semplice è il collegamento
che la donna fa tra la visione di Samuele e Saul; 0
l'essenziale è far immedesimare il lettore nell'attesa di
Saul che, con il cuore in gola, assiste in moviola alla
salita dagli inferi di un'entità divina (v. 13), prima del
colpo di scena della sua identificazione con Samuele (v.
14), che gli vaticina direttamente la sua morte (vv. 15-
19)!

0
Per LICHT, Storytelling in the Bible, 39, è chiaroveggente, ma
non si spiega il ritardo a meno di presupporre che doveva ancora
cadere in trance. BUDDE, Die Biìcher Samuel, 180-181; W.
MCKANE, I & II Samuel. The Way to the Throne (SCM), London
1963, 161-162, propongono di leggere Saul al posto di Samuele, per
cui lo riconosce spaventandosi. Per HERTZBERG, Die Samuelbucher,
178, il testo originario era wattisma hà'issàh 'et sém Semu'él, con la
seguente caduta di sèm e il cambio del verbo nell'attuale wattère', ma
è alquanto inverosimile. P. JOÙON, «Notes de critique textuelle
(Ancien Testament)», in MUSJ 5(1911-1912), 470, emenda
wattère'in wattira, che giustifica lo spavento alla menzione di
Samuele, ma ciò non spiega la domanda di Saul al v. 13. Altri
mantengono il TM, come STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 485;
493-494, e FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 605-606,
facendo della visione di Samuele la causa del riconoscimento di
Saul. SMELIK, «The Witch of Endor», 33, cita tradizioni rabbiniche
secondo cui uno spirito si presentava davanti a un uomo comune con
la faccia in giù, mentre dinanzi a un re con la faccia in su, come pure,
dato il plurale 'èlòhìm (v. 12), la donna ravvisava non solo Samuele,
ma anche Mosè. Secondo Samuel ben Hofni (+ 1034) l'evocazione di
Samuele era fittizia, poiché la donna parlava per conto proprio.
La medium riappare per confortare in modo
materno Saul;0 ironicamente, se all'inizio era stato lui a
tranquillizzarla nella sua paura, alla fine è lei a
rincuorarlo e rifocillarlo, stramazzato e più cadaverico
del fantasma che gli parla (vv. 20-25a). Flavio Giuseppe
(AG VI, 329- 342) fa un lunghissimo elogio della
generosità di questa donna, assente dal testo biblico. Un
parallelo è stato riscontrato nella tragedia eschilea
Persiani (vv. 635-851), dove Atossa, madre di Serse, a
causa della perversione del figlio, fa salire dagli inferi il
marito Dario, che lo rimprovera violentemente,
vaticinandogli la punizione di Zeus; Atossa non ab-
bandona ma conforta Serse, rivestendolo di abiti nuovi.
Qui l'episodio differisce per l'assenza di legami familiari,
per la mediazione della negromante e per il ritardando
prima di far ascoltare con brivido al lettore il nome
0
Per B. COSTACURTA, La vita minacciata (AnBib 119), Roma 1988,
152-154, la donna evidenzia per contrasto in Saul il mutismo di chi
rinuncia a vivere; così pure M. GARSIEL, «King Saul in Distress.
Torn Between Samuel the Prophet and a She Necromancer», in R.
KASHER - M. ZIPPOR (a cura di), Studies in Bible and Exegesis,
Ramat Gan 2002, VI, 40. T.R. PRESTON, «The Heroism of Saul;
Patterns of Meaning in the Narrative of the Early Kingship», in JSOT
24(1982), 44, e, in chiave edipica, COUFFIGNAL, «Le Roi, le
Prophète et la nécromancienne», 20-21, insistono sul ribaltamento
dei ruoli tra la strega-madre e il re-figlio.
dell'evocato (v. 11)! C'è un'ironica inclusione: se, agli
inizi della sua carriera, a creare il primo contatto tra Saul
e Samuele era stato un servo con il consiglio di andare e
consultare (hàlak 'el + dàras) il profeta (ISam 9,6),
prolungato da quello di alcune ragazze di contattarlo al
più presto (ISam 9,12), alla fine Saul ordina ai servi di
andare a consultare (hàlak 'el + dàras) una negromante
(ISam 28,7)!
Altri esempi non mancano, come Abdia in IRe 18 e
il terzo capitano in 2Re 1,13-17, che Elia trasforma nei
propri portavoce di condanna nei confronti del re
israelita; il dialogo con loro, oltre a informare il lettore
sui poteri sovrannaturali del profeta, serve a rafforzare la
determinazione di Elia a incontrare i sovrani di turno. La
loro funzione risulta avvalorata dal fatto che entrambi
possono vantare un'obiezioni di coscienza nei confronti
dei rispettivi sovrani, disobbedendo alle direttive.

7. Informatori orninosi

Concludiamo con una serie trasversale di agenti


secondari il cui messaggio è ominoso per gli eventi,
tipico della missione e dello stile profetici.
7.1. In Gdc 7,9-15 è il sogno di un madianita,
interpretato da un suo commilitone in senso infausto per
Madian ma fausto per Israele,0e ascoltato di soppiatto da
Gedeone, la molla decisiva per persuaderlo ad attaccare i
nemici. Il narratore ricorre a un iopos, 0 ma - unico
esempio biblico - fa che l'oniromanzia sia
involontariamente opera di un nemico. Oltre all'ironia di
YHWH che si serve di ignari avversari, è una riprova di
un Gedeone bisognoso di riscontri oggettivi. 0 Come le
spie israelite con Raab, crede di più a un madianita che a
YHWH.

0
Cf. R.G. BOLING, Judges (AB 6A), New York 1975, 146; S.
NIDITCH, Judges: A Commentary (OTL), London-Philadelphia, PA
2008, 95. Si noti la sobrietà biblica rispetto al prolisso FLAVIO
GIUSEPPE, AG V, 219.221, come pure a sogni analoghi in Omero, cf.
Od. XX, 99-120.535-581; PLUTARCO, Vita di Alessandro 26;
ESCHILO, Persiani 176-214.
0
Cf. ad esempio L. OPPENHEIM, «The Interpretation of the
Dreams in the Ancient Near East», in TAPhS 46(1956), 179-373; W.
RICHTER, «Traum und Traumdeutung im AT; Ihre Form und
Verwendung», in BN 7(1963), 202-220; J.M. HUSSER, Le songe et la
parole. Étude sur le rêve et sa fonction dans l'ancien Israël, Berlin-
New York 1994.
0
Ben evidenziata da A. MALAMAT, «The War of Gideon and
Midian: A Military Approach», in PEQ 85(1953), 61-65; A. PENNA,
Giudici e Rut, Torino 1963, 126.
7.2. In Est 6,12-14 la moglie Zeres e gli amici di
Aman sono funzionali per pronosticare a lui, ma
soprattutto al lettore, che il suo futuro è segnato (v. 13).
Gli amici sono definiti «saggi» (hàkàmìm), perché hanno
dedotto la disgrazia di Aman, dato che il suo nemico
Mardocheo è diventato adesso il favorito del re. 0 In un
primo momento, su cui ritorneremo nel capitolo 4, Zeres
era stata l'istigatrice della soppressione di Mardocheo su
una forca, compiacendo le ambizioni del suo sposo
Aman (Est 5,14). Ora diventa colei che intuisce la caduta
di suo marito. Per molti, sulla scia di tradizioni
targumiche, il narratore affida loro, nel ruolo di
confidenti (cf. Est 5,1-8) - ma qui forse più nel ruolo di
coro, come nella tragedia classica -0 una profezia
0
Così VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 324: «Non è necessario
essere una lince per pronosticare l'immediata caduta di Aman,
principale e notorio nemico mortale di Mardocheo». Per GOLDMAN,
Esther, 226, la definizione di saggi è ironica, perché post even- tum\
Secondo I. FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans l'Ancien
Testament, Paris 2010, 144, Zeres «nondimeno è abbastanza
intelligente per riconoscere ben presto il fallimento del suo piano». I
LXX glossano che Zeres sapeva che Dio era con Mardocheo.
0
Per il ruolo di confidente prevale solitamente una moglie, cf.
Sara e Abramo (Gen 12; 21), Rachele, Lia e Giacobbe (Gen 29,31-
30,24); la moglie di Manoah (Gdc 13), Anna, Peninnà di Elkana
(ISam 1), Gezabele e Acab (IRe 21); Ester e Assuero (Est 5,1-8;
8,3). Per uomini confidenti, cf. Ietro con Mosè (Es 18), Gionata con
Davide (ISam 18; 20), Io- nadab e Amnon (2Sam 13,3-5), Eliseo con
intertestuale che farebbe riferimento allo scontro tra la
stirpe beniaminita di Mardocheo (Est 2,5) e quella
amalecita di Aman (3,1), destinata alla maledizione e alla
sconfitta; il testo, però, non galvanizza l'antitesi.
Il testo è ellittico sulle cause della loro profezia, e
varie sono le spiegazioni:
a) Zeres e i saggi conoscevano gli oracoli contro
Amalek;
b) i saggi avevano desunto dall'astrologia la sicura
ascesa della stella di Mardocheo;
c) si trattava di una genuina ispirazione divina, al pari
di quella delle varie Sibille;
d) era un'informazione veritiera dettata da uno spirito
malvagio.0
Sono tutte congetture, l'importante è costruire la
suspense di una
scena preparatoria. A differenza delle damigelle
che rassicurano erroneamente la madre di Sisara,

Elia (2Re 2), il servitore di Saul (ISam 9,5-10), Abdia e Acab (IRe
18,3-16). Parla di coro ABADIE, La reine masquée, 165, che mette in
risalto il bipolarismo di Zeres, tra follia e saggezza.
0
G. PATON, The Book of Esther (ICC), Edinburgh 1908, 256,
riassume queste spiegazioni. Lui, tra molti altri, si staglia con
MOORE, Esther, 42; 66, nel propugnare la polemica con Amalek.
pronosticando una potente vittoria del figlio su Israele
quando il lettore lo sa già morto per mano dell'umile
Giaele (Gdc 5,25-30), qui Zeres non dice più ciò che
Aman amava sentirsi dire. Pur consigliera malvagia,
Zeres si dimostra veramente saggia, perché solo i saggi
autentici non intonacano la cruda verità nei momenti di
crisi (Est 6,13).0 La simultaneità del pronostico con
l'arrivo dei soldati venuti a prelevare Aman per invitarlo
al banchetto che lo smaschererà nella sua menzogna e
violenza, palesa la lucidità di Zeres. Il narratore evita
ogni psicologismo, perché gli interessa la sua funzione di
creare il giusto clima al ribaltamento delle sorti, che
vedrà Aman impiccato sul patibolo da lui approntato per
Mardocheo (Est 7).
Di nuovo, per ironia, è una straniera a decantare
l'invincibilità della stirpe giudaica e a dimostrare che un
cortigiano stupido e ambizioso, avallato da una moglie di
malvagia saggezza, è più pericoloso di un re che qui si

0
Così FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans l'Ancien
Testament, 148.
riscatta grazie a una giudea, con ovvio compiacimento
dell'uditorio.0
7.3. In Es 8,14-15 il narratore orchestra i maghi
Chartummìm) egiziani,0 per avvertire il faraone che
dietro le prime tre piaghe c'è «il dito di Dio» (v. 15).0
Facendoli parlare per la prima volta, essi segnano lo
snodo del racconto perché, fallendo nel ripetere i prodigi
di Mosè (v. 14; cf. Es 7,12.22; 8,3), fungono da contrasti
nel sancire la sua superiorità secondo un motivo
popolare0 e, nel contempo, la loro lucidità mette a nudo
0
Per MOORE, Esther, 66, «Zeres sta esprimendo qui il punto di
vista dell'autore, non il suo», seguito da VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y
Ester, 325, e FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans VAncien
Testament, 148.
0
per VERGOTE, Joseph en Égypte, 66-72, originariamente erano
dei funzionari religiosi, che conservavano i testi rituali, per cui ben
conoscevano le formule di potere magico.
0
Per B. COUROYER, «Le "doigt de Dieu" (Exode VIII,15)», in
RB 63(1956), 481-495, è una formula tecnica della magia egiziana,
che denota un oggetto che possiede poteri divini e che qui va riferito
al bastone di Aronne; per altri autori come CHILDS, Exodus, 129;
HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13, 57; L.D. CHRUPCALA, «Il dito di Dio
nell'esegesi moderna e patristica», in LA 41(1994), 34-36, è una
sineddoche che sostituisce la «mano» di Dio, riferendosi al suo
potere unico.
0
Cf. GUNKEL, Das Màrchen, 103. Per HOUTMAN, Exodus 1,1-
7,13, 57, «le parole dei maghi sono nella natura un testimonium
paupertatis, un'ammissione di sconfitta; essi ammettono che le loro
imprese sono unicamente dovute agli incantesimi di un potere
limitato». Cf. D.J. MCCARTHY, «Moses Dealings with Pharaoh: Ex
7,8-10,27», in ID., Institution and Narrative. Collected Essays
l'insipienza del faraone (v. 15). Tale scena preparatoria
allerta il lettore allo scontro tra YHWH e il faraone e lo
induce a una presa di posizione tra i contendenti.
A questi due esempi possiamo aggiungere i figli di
profeti in 2Re 2 e altri agenti, come in ISam 2,27-36; IRe
20,35-42; 27,36; 2Re 21,10- 15; ecc.

(AnBib 108), Rome 1985, 344; GREENBERG, Understanding Exodus,


188-190; T. RÒMER, «Competing Magicians in Ex 7-9. Interpreting
Magic in Priestly Theology», in T. KLUTZ (a cura di), Magic in
Biblical World from the Rod of Aaron to the Ring of Salomon
(JSNTS 245), London-New York 2003, 12-22.
CAPITOLO 4: AGENTI
CATALIZZATORI

La valorizzazione dei personaggi secondari spicca


nella funzione di catalizzazione, che espone il
«programma narrativo» della trama o, al contrario, di
dissuasione, oppure che stronca l'iniziativa proposta dal
destinatario; nei termini di C. Brémond corrispondono
all'agente «influenzatore» e «frustrante».0 Essi sono
consiglieri, intercessori o mediatori, funzione di solito
accordata a personaggi principali,0 tra cui figurano
significativamente donne,0 in un frequente ribaltamento
0
Cf. C. BRÉMOND, Logique du récit, Paris 1973, 132-133. Su
tale ruolo, cf. J.-L. SKA- A. WÉNIN - J.-P. SONNET, L'analyse
narrative des récits de l'Ancien Testament (CE 107), Paris 1999, 32-
33, secondo cui «come degli elementi che scatenano delle reazioni
chimiche, questi personaggi hanno il ruolo di ottenere da altri attori
più potenti un favore particolare».
0
Cf. ad esempio Isacco (Gen 28,1-4), Giuda (Gen 37,26-27),
Giuseppe (Gen 42,33- 36), Ietro (Es 18), Abimelec (Gdc 9,1-3),
Davide (IRe 2,1-9); specificamente come intercessori, cf. Abramo
(Gen 18,23-32), Giuda (Gen 44,18-31), Mosè (32,11-14; Nm 14,13-
19), Samuele (ISam 12), Gionata (ISam 19,1-6), Achior (Gdt 5).
0
Su tale prerogativa femminile, cf. R.G. BRANCH, «Women who
win with words: Deliverance via persuasive communication», in In
Die Skrijlig 2(2003), 289-318. Per la distinzione tra buone e cattive
consigliere, cf. la rassegna di I. FISCHER, Femmes sages et dame
Sagesse dans l'Ancien Testament, Paris 2010, 139-148. Come
catalizzatrici positive, cf. ad esempio Rebecca (Gen 27,6-13.43-45),
delle gerarchie nel mondo del racconto, laddove inferiori
risultano più accorti dei loro superiori. Nella
maggioranza dei casi, come nota Irmtraud Fischer,0 il
consiglio di donne sagge è reputato prezioso e degno di
attenzione; tuttavia, come vedremo, possono comparire
cattive consigliere, le cui proposte o suggerimenti
risultano falsati o travisanti nella misura in cui la si
annulla o manca una distanza critica nei confronti degli
interlocutori, per motivi che spaziano dall'ambizione al
servilismo o al compiacimento cieco e interessato, che
spesso rivela la loro affinità caratteriale. In ogni caso, per
nulla semplici stampelle, aprono vie o soluzioni
impensate, oppure al contrario fuorviano, nella dialettica
tra l'arte della persuasione o dell'astuzia e quella di cui si
pavoneggia il potere, tipica delle letterature popolari.0
Rut (Rt 3), la sunamita (2Re 4,28-30). In funzione di intercessione,
cf. Rut (Rt 2,12-13), Abigail (ISam 25,23-31), Betsabea (IRe 2,19-
32); come consigliere senza scrupoli che inducono al male i sovrani,
cf. la regina Gezabele (IRe 21,7), la regina Atalia (2Cr 22,2-5);
oppure travisano la realtà, come le damigelle della madre di Sisara
(Gdc 5,28-30).
0
Così FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans l'Ancien
Testament, 139.
0
Cf. H. GUNKEL, Das Màrchen im Alteri Testament, Tubingen
1917, 94.121-123; T. DEKKER - J. VAN DER Kooi - Y. MEDER,
Dizionario delle fiabe e delle favole. Origini, sviluppo, variazioni,
Milano 1997, 74-80; 371-373; 382-384; 435-440; si pensi ai vari
1. Un'ars consilii democratica

Nel solco di una concezione sapienziale condivisa


con altre culture antiche, l'AT recepisce l'arte del
consiglio nella sua finalità pragmatica, che mira non solo
a informare, ma a far operare una decisione. 0Quest'arte è
esaltata a più riprese, paragonata a «una sorgente di vita»
(Sir 21,13), affermando che «la salvezza sta in un gran
numero di consigli» (Pr 11,14) ovviamente sapienti,
mentre si detestano gli idolatri «incapaci di consigliare».
D'altro canto, però, la tradizione biblica è ben conscia
dell'ambiguità di un consiglio e della positività del
sospetto, insegnando a porre al vaglio le motivazioni dei

servi consiglieri nelle commedie greco-romane; cf. A. HARROCK,


Reading Roman Comedy, Cambridge 2009.
0
Così P.A.H. DE BOER, «The Counsellor», in M. NOTH - D.W.
THOMAS, Wisdom in Israel and the Ancient Near East (VT.S 3),
Leiden 1955, 44: «Dare un consiglio significa far operare una
decisione; il consiglio e la sua attuazione si compenetrano»; analoga-
mente N. WHYBRAY, The Succession Narrative. A Study of II Sam 9-
20 and Kings 1 and 2, London 1968, 57. Si vedano pure L. RUPPERT,
«yà'as», in TWAT, III, 718-751; H.P. STÀHLI, «j's», in THAT, I, 748-
753. Per l'intercessione cf. F. ROSSIER, L'intercession entre les
hommes dans la Bible hébraïque. L'intercession entre les hommes
aux origines de l'intercession auprès Dieu (OBO 152), Fribourg-
Gôttingen 1996.
consiglieri, i quali possono manipolare, come ammonisce
Sir 37,7-15. A livello sociolinguístico, si concorda sul
fatto che il termine «consigliere» (in ebraico yo'es, in
aramaico yo'et, cf. Esd 7,14.15), originariamente
designava qualsiasi persona saggia, e solo nel libro
tardivo di Esdra ha un'accezione professionale.0
Nell'ambito deliberativo, Israele non si discosta
dalle nazioni straniere. Durante la monarchia i re
consultano un corpus variegato di yó'àsim, che annovera
ministri, anziani, scribi, sacerdoti, profeti di corte e
l'assemblea popolare;0 la differenza sta nel rilevante ruolo
dei profeti, sostituiti presso le nazioni non-israelite da
maghi e indovini.0La famosa triade «il saggio, il
sacerdote e il profeta» compendia il gotha dei consiglieri
come cardini del potere nella società israelita, non senza
accenti polemici alla luce del fallimento della monarchia
0
Cf. Esd 4,5; 7,14.15.28; 8,15; RUPPERT, «yà'as», 724-726;
STÂHLI, «j's», 750.
0
Per ufficiali {sarìrrì), prodi {gibborìm) e un'assemblea ristretta
(qahal), cf. lCr 13,1; 2Cr 30,2.23; 32,3. Per anziani tzeqénìm), cf.
2Sam 3,17; 17,4; 19,12; IRe 12,6-8; 2Cr 10,6. Per profeti (nebì'ìm) di
corte, cf. 2Sam 7,2; IRe 1,11; IRe 22. Per scribi precettori, cf. lCr
27,3. Per il popolo, cf. Gdc 20,7; 2Cr 20,21.
0
Cf. 2Re 6,8; Esd 4,5; 7,28; 8,25; Est 1,13; Dn 3,2; cf. anche Is
19,11; per maghi e indovini, cf. Gen 41,8; Es 7,11.22; ISam 6,2; Dn
1,20; 2,2; 3,2; 4,4; 5,7; 6,8.
(cf. Ger 18,18; Is 3,3; Ez 7,26). Era un ufficio elitario,
poiché non tutti erano autorizzati a dare consigli; infatti,
l'usurpazione di tale ruolo comportava la morte (cf. 2Cr
25,16).
Dopo l'esilio, i consiglieri non furono più reclutati
dall'ambiente di corte, ma da quello degli scribi (Sir 39,1-
8; 51,23), adattandosi alla mutata situazione di un Israele
satellite di altri imperi. L'arte del consiglio permaneva
nella quotidianità ordinaria della vita, come attesta la
letteratura sapienziale (cf. Sir 37; Pr 11,14; 15,22; 24,6).0
Diversamente dall'epica, dalla storiografìa e dalla
tragedia greche - con qualche eccezione in Euripide, dove
l'ars consilii ha normalmente come corifei privilegiati
divinità e membri di corte -,0 i racconti biblici inscenano
personaggi di ogni ceto. In proporzione, è intercettabile
0
Rinviamo a A.M. DUBARLE, Les sages d'Israel, Paris 1946; G.
VON RAD, Weisheit in Israel, Neukirchen-Vluyn 1970; R.N. WHYBRAY,
The Intellectual Tradition in the Old Testament (BZAW 135), Berlin
1974; M. GILBERT (a cura di), La Sagesse de V.Ancien Testament
(BEThL 51), Louvain 1979; J. BLENKINSOPP, Sage, Priest, Prophet,
Religious and Intellectual Leadership in Ancient Israel, Louisville,
KY 1995; J.J. COLLINS, Seers, Sybils and Sages in Hellenistic Roman
Judaism (JSJS 54), Leiden 1997; L.L. GRABBE, Priests, Prophets,
Diviners, Sages, Valley Forge, PA 1999.
0
Per aristocratici, cf. II. I, 144s.247s; II, 53.247s; Od. Ill, 110;
VIII, 97; per divinità, cf. II. I, 195s; II, 165s; III, 380; Od. II, 383;
III, 27; VI, 22.
lo spazio mimetico riservato ai consiglieri occasionali,
mentre gli istituzionali sono spesso liquidati in modo
diegetico (come in 1-2 Cronache).0 Inoltre, mentre un
informatore può essere sostituito da un verbo
impersonale, il consiglio ha sempre un soggetto, perché è
importante sapere chi lo dà, coniugando necessità
drammatica e attendibilità verosimile. Altra differenza
saliente è che, mentre in Omero il lettore sa in anticipo
che certi agenti sono mossi da un dio, nell'AT li
intravvede solo dopo come pedine di una strategia divina.
1.1. Servi
1.1.1. In ISam 9,1-10,16 il servo che accompagna
Saul, su ordine del padre Kis, alla ricerca delle asine
perdute è il jolly per la posta in gioco che è il fatidico
incontro tra i «co-fondatori» della monarchia israelita;
perciò, è orchestrato con suspense, conducendo il lettore
a scoprire gli eventi in un racconto popolare del genere
serendipity; si tratta di un'impresa che, mirando a un
obiettivo (la ricerca delle asine), alla fine approda a un

0
Cf. ad esempio Esd 8,25; lCr 13,1; 2Cr 30,2; 32,1. Anche se
alcuni vengono strappati all'anonimato, restano però senza impatto,
come in lCr 26,14; 27,32.34.
esito migliore (Saul si ritrova re d'Israele). 0 C'è un'ellissi
sul perché Kis invia il figlio con un servo, invece di
delegare altri; secondo alcuni,0 egli teneva in modo
particolare alle asine, o temeva l'imbranataggine del
figlio, che ne era il custode (v. 20). L'accompagnamento
rientra nelle convenzioni,0 ma è più cogente la necessità
scenica dell'incontro tra Saul e Samuele. Il servo compare

0
Cf. H. GRESSMANN, Die àlteste Geschichtsschreibung und
Prophetie Israels (SAT II, I), Gôttingen 1910, 26-27; M. GARSIEL,
The First Book of Samuel A Literary Study of Comparative
Structures. Analogies and Parallels, Ramat Gan 1985, 76. Si deve a
H. Walpole nel suo romanzo The Three Princes of Serendip il conio
del termine per esprimere la capacità di fare inattese e felici scoperte.
D. JOBLING, 1 Samuel, Collegeville, MN 1998, 259-261, segnala che
il nostro racconto è alla base del romanzo di H. RIDER HAGGARD,
Nada the Lily, London 1925.
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VI, 46; A.F. CAMPBELL, 1 Samuel
(FOTL 7), Grand Rapids, MI 2003, 105. Per l'interpretazione
midrashica, il servo fu scelto da Dio, perché normalmente si doveva
avere due servi per scorta: ma non mancano i servi singoli come in
Gdc 19 e vari scudieri (ISam 14; ISam 31).
0
Cf. Gen 22,5.19; 24,32; Nm 22,22; Gdc 6,27; 19,3; ISam 14,1-
14; ISam 25,19; IRe 18,43; 19,3; 2Re 2,1; 4,11; ecc.; cf. H.P.
STÀHLI, Knabe-Jungling-Knecht. Untersu- chungen zum Begriff n'r
im Alten Testament (BET 7), Frankfurt a.M.-Bonn-Las Vegas 1978,
171.
ben sette volte,0 ma è attivato (lena'àrò 'àser 'immò, v. 5)0
solo quando l'azione si arena nel triplice fallimento della
ricerca e Saul decide di tornare indietro (vv. 4-5).
Si tratta però di un garzone insolito in confronto
alle consuetudini bibliche, dove i servi sono soliti
obbedire senza domande o contraddire.0 Egli funge da
tipica spalla fidata, che fa parlare Saul per la prima volta
(vv. 6-10), occupando uno spazio essenziale ma decisivo,
rispetto a un prolisso Xantia nelle Rane o ad altri servi
confidenti della commedia greco-romana o della

0
Cf. ISam 9,3.5.7.8.10.27; 10,14. J.P. FOKKELMAN, Narrative
Art in Genesis. Specimens of Stylistic and Structural Analysis (SSN
17), Assen-Amsterdam 1975, IV, 376, nota l'insignificanza del servo
nel v. 4, dove il TM ha il singolare «attraversò» {ivayya abòr) per
Saul, in contrasto con il plurale «non trovarono» {ló' mâsâ'û). Altri
sulla scia dei LXX emendano al plurale; G. BRESSAN, Samuele,
Torino 1954, 150, adduce l'antica scriptio defectiva che ometteva le
semivocali. Ci si può chiedere perché la correzione non sia stata
totale; è ovvio che l'uso del singolare per Saul segnala chi è il
protagonista.
0
FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, IV, 379 nota 27, nota
che il sintagma è del tutto ridondante in 5b, ma stilisticamente
prepara all'indispensabilità del servo.
0
Notato da J. JACOBS, «The Role of Secondary Characters in
the Story of the Anointing of Saul (I Samuel IX-X)», in VT
58(2008), 496: «L'attendente di Saul, in contrasto, è caparbio e
polemico». V.P. LONG, The Reign and, Rejection of King Saul A
Case for Literary and Theological Coherence, Atlanta, GA 1989,
200-203, accentua la persuasività del servo.
letteratura in generale.0 Se Saul rischia di azzerare il
programma narrativo di Kis (v. 3), il servo ne catalizza
un altro; spostando l'attenzione su un uomo di Dio come
risolutore (v. 6), fa dileguare dagli occhi del lettore il
problema delle asine e apre a Saul la strada verso
Samuele. Il testo non spiega la sua insistenza e
competenza; è plausibile che temesse i rimproveri di Kis
o che il veggente gli fosse noto; l'indispensabile è che
egli sappia, per sbloccare l'azione.0 Ironicamente, Saul,
definito due volte «l'ottimo» (tòb, v. 2), può proseguire
grazie non solo alla «buona proposta» (toh dàbàr, v. 10),
ma anche all'«oggetto magico» del denaro del servo, che
colma provvidenzialmente la sua mancanza per
ricompensare il veggente. Il fatto indispensabile è il suo

0
Cf. GUNKEL, Das Marchen im Alten Testament, 125, che cita
il fedele Giovanni delle favole tedesche, cui possiamo aggiungere
come confidenti attivi Marcolfo nel Dialogo di Salomone e Marcolfo
e l'abile frate Jean nel Gargantua, il discreto Grognard nell'Arsene
Lupin di M. Leblanc, o il muto Bernardo per Zorro, Adso per
Guglielmo di Baskerville ne II nome della Rosa, Patronio per il
Conte Lucanor di Juan Manuel.
0
H.W. HERTZBERG, Die Samuelbucher (ATD 10), Gòttingen
2
1960, 61, nota: «La pressante raccomandazione del servo incoraggia
comunque Saul a ricorrere all'uomo di Dio». R.P. GORDON, 1 & 2
Samuel (OTG), Sheffield 1984, 113, e D.T. TSUMURA, The First
Book of Samuel (NICOT), Grand Rapids, MI 2007, 268, parlano di
intervento critico.
consiglio, per cui se Saul non lo avesse avuto al fianco,
l'esito sarebbe stato diverso. Come agente di contrasto, il
servo evidenzia un Saul ingenuo, impulsivo, sprovveduto
e dipendente dal padre.0
In un'ironica allitterazione nei vv. 6-8, il servo
garantisce la sicura realizzazione (bó ' yàbó 0 della parola
del veggente e Saul si preoccupa di cosa portargli {mah
nabìT)ì anticipando il titolo di «profeta» {nabi*) nella
glossa esplicativa (v. 9); Samuele, al contrario delle
consuetudini, si rivelerà senza interessi venali! Lo
scambio dialettico, però, serve più a soffondere tale
profeta di un alone di mistero.0 In seguito, il lettore
percepirà il servo come il primo anello di una catena di

0
Così FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, IV, 378; per A.
REINHARTZ, «Why ask My Name?». Anonymity and Identity in
Biblical Narrative, New York-Oxford 1998, 35, «il consiglio paziente
e pieno di risorse del garzone di Saul instaura un netto contrasto con
il suo più immaturo, impaziente e preoccupato padrone»; cf. anche
R. ALTER, The David Story. A Translation with Commentary of 1
and 2 Samuel, New York-London 1999, 47.
0
L.M. ESLINGER, Kingship of God in Crisis (BLS 10), Sheffield
1985, 291: «Benché il servo lasci intravedere alcuni indizi
sull'identità dell'uomo di Dio, non gli è consentito dissipare il velo di
mistero del narratore. Il suo consiglio a Saul esemplifica la
segretezza del narratore»; cf. analogamente, ma con sfumature
diverse, E.J. REVELL, The Designation of the Individual. Expressive
Usage in Biblical Narrative, Kampen 1996, 73; H.J. STOEBE, Das
erste Buch Samuelis (KAT VIII/1), Gutersloh 1973, 202.
ritrovamenti apparentemente casuali che si riveleranno
guidati nel retroscena da Dio, grazie a un nutrito
susseguirsi di personaggi secondari provvidenziali (cf.
ISam 9,11,13,20; 10,2-3.5-7).0 Nel resto del racconto egli
è un mero testimone, che alimenta la segretezza degli
eventi. Questa scena agli albori della carriera di Saul
profila la sua inclinazione ad andare a rimorchio di altri, 0
sempre bisognoso di servi che siano buoni consiglieri.
Per echi fraseologici, è in inclusione con quelli del suo
ultimo incontro con Samuele (ISam 28,7), ma anche con
la scena del suo suicidio, dove uno scudiero, parimenti
fedele, rifiuta di ascoltarlo, condividendo poi la sua fine.

0
Cf. L. SCHMIDT, Menschlicher Erfolg und Jahwes Initiative
(WMANT 38), Neukir- chen-Vluyn 1970, 58-102; A.F. CAMPBELL,
Of Prophets and Kings: A Late Ninth-Century Document II Sam 1-2
Kings 10] (CBQ.MS 17), Washington, DC 1986, 18-21. A. WÉNIN,
Samuel et Tinstauration de la monarchie (1 Sam 1-12). Une
recherche littéraire sur le personnage (PUE XXIII 342), Frankfurt
a.M. 1988, 164, parla di «felici combinazioni»; per TSUMURA, The
First Book of Samuel, 268, «il Signore stava sicuramente congegnan-
do le circostanze dietro tutti questi fatti»; JACOBS, «The Role of
Secondary Characters in the Story of the Anointing of Saul (I
Samuel IX-X)», 495-509, evidenzia l'eccezionale ricchezza di attori
secondari di raccordo nella trama.
0
J. GOLDINGAY, Men Behaving Badly, Carlisle 2000, 72, nota
che «il bello e benestante Saul, che sta per diventare il famoso
potente Saul, non ha mai il controllo del suo destino». ALTER, The
David Story, 47, dipinge Saul come un uomo diffidente.
1.1.2. In ISam 25,14-27 è un servo di Abigail0 il
comodo «passaparola» con la duplice funzione di
neutralizzare la vendetta di Davide contro suo marito che
ha rifiutato di ricompensarlo e di scagionare Davide agli
occhi del lettore dall'accusa di essere un mafioso sangui-
nario, come si potrebbe sospettare dal rimbrotto di Nabal
(v. IO).0 La tradizione rabbinica coglierà in lui uno
strumento della provvidenza divina. La sua iniziativa e
apologia si spiegano per la protezione avuta durante il
pascolo (v. 15), ma anche per paura personale (cf.
l'analessi del v. 22); se osa interpellare Abigail è perché
il padrone non ascolta i servi (vv. 8.10), confermando la
caratterizzazione fatta dal narratore (v. 3) di Nabal come
il «villano» e di Abigail come la «saggia» (v. 17).0
0
Alcuni cancellano «servo», seguendo i LXX che hanno «uno
fra i servi»; tuttavia la frase ebraica non è impossibile, come nota
BRESSAN, Samuele, 392. Per H.P. SMITH, A Critical and Exegetical
Commentary. The Books of Samuel (ICC), Edinburgh 1904, 223, è
un pastorello, ma il testo non esplicita la sua età.
0
Per tali sospetti, si vedano STOEBE, Das erste Buch Samuelis,
455-456; D.M. GUNN, The Fate of King Saul: An Interpretation of a
Biblical Story (JSOT.S 14), Sheffield 1980, 97-98; B. HALPERN,
David's Secret Demons: Messiah, Murderer, Traitor, King, Grand
Rapids, MI 2001, 22; FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 491;
R.G. BRANCH, «"Your humble servant?" Well, maybe. Overlooked
onlookers in Deuteronomistic History», in OTE 17(2004), 168-189.
0
Cf. VEIJOLA, Die Ewige Dynastie (AAFS, B 193), Helsinki
1971, 47-55; CAMPBELL, Of Prophets and Kings, 58-60; S.
Per economia narrativa, egli limita al minimo le
parole, per ottenere il massimo effetto ed essere maieuta
della nota perspicacia della sua padrona. Anche qui, se il
servo non ci fosse stato, la storia avrebbe preso una piega
diversa; forse c'è da pensare che nel suo consiglio ad
Abigail avesse messo in conto la persuasività della sua
bellezza; la congettura è maliziosa ma avallata dal modo
tutto femminile con cui essa risolve astutamente il
problema.
1.1.3. In 2Re 5,13, quando il lettore vede sfuggire
l'abbrivio della guarigione di Naaman, propenso a
tornarsene a casa perché deluso dall'ordine di Eliseo di
immergersi nel Giordano, mentre si aspettava
un'accoglienza e una terapia ben diverse (vv. 9-12), il
narratore abbozza l'intervento breve dei suoi servi come
audaci catalizzatori di risoluzione e del riconoscimento
della trama, con il loro suggerimento di un sensato
«tentar non nuoce» (v. 13). Fin qui il racconto non li ha
menzionati per economia e per la legge della dualità
RAMOND, Leçon de non violence pour David (LB 116), Paris 2007,
50-53. A titolo di curiosità, FLAVIO GIUSEPPE, AG VI, 300, elimina il
consiglio del servo, enfatizzando la sagacia autonoma di Abigail
rispetto al suo insensato marito; così FISCHER, Femmes sages et
dame Sagesse dans l'Ancien Testament, 25-30.
scenica, ma la loro presenza era intuibile, giacché un
dignitario come Naaman non poteva affrontare da solo il
viaggio con tutto il carico (vv. 5-8; cf. IRe 10,13).
Anche loro inusualmente osano trasgredire
gerarchie consolidate e, pur parlando in modo rispettoso
(«se solo», aòi, v. 13),0 osano ribaltare l'assiologia di
Naaman (v. 12), persuadendolo a non aspettarsi un
grande evento (dàbàr gàdòl, v. 11), ma ad abbandonare
la concezione di sé come grand'uomo (7s gàdòl, v. 1) per
fidarsi del profeta.0Con un pizzico di ironia si può
constatare come, mentre vestiario e soldi si riveleranno
perfettamente inutili, sono loro gli agenti indispensabili
per la doppia posta in gioco del racconto che è la
guarigione del generale e il riconoscimento di YHWH

0
Scegliamo questo senso per il termine ebraico, secondo DCH,
I, 102; C.F. BURNEY, Notes on the Hebrew Text of the Book ofKìngs,
Oxford 1920, 280, presuppone la corruzione di 'im (sé); altri
commentatori e traduzioni antiche, come LXXL, Vg, Targumim, o
moderne sostengono la lettura tradizionale di «padre mio».
0
Cf. R.L. COHN, 2 Kings, Collegeville, MN 2000, 37: «I servi,
come la schiava israelita a casa, parlano con la voce della sapienza».
0. LONG, 2 Kings (FOTL 10), Grand Rapids, IN 1991, 72:
«Stuzzicando lo sciovinismo del padrone, con il candore del buon
senso i servi di Naaman cortesemente raggiungono l'obiettivo con
forza persuasiva». Per J. BAUMGART, Gott, Prophet und Israel (ETS
68), Leipzig 1994, 42 nota 108, «i servi parlano come se fossero
proprio loro gli avvocati della parola del profeta».
come vero Dio, di Eliseo come suo autentico profeta e
della sacralità della terra di Israele. Se Naaman non li
avesse ascoltati, sarebbe rimasto prigioniero della sua
lebbra e del suo orgoglio. Tramite la loro voce, il
narratore sussurra la propria, compiacendo i lettori, nel
ribadire che l'umile Giordano è la soglia da varcare per
entrare nella terra promessa, che è la fede nel vero Dio.
1.2. Donne consigliere
1.2.1. In Gdc 1,12-15, nel contesto
dell'insediamento delle tribù nella terra promessa,
compare la figura di Acsa come catalizzatrice del
possesso di una proprietà. L'episodio sembra dipendere
da quello anticipato in Gs 15,13-20 ed è stato accostato al
mito ugaritico della giovane dea Anat, che si reca con la
grande dea Athirat in sella a un asino a chiedere al padre
E1 il materiale per costruire il palazzo per suo fratello
Baal.0 Sono però riscontrabili alcune differenze perché,
oltre al rapporto parentale diverso, è un aneddoto
stilizzato rispetto al lungo testo ugaritico, ricco di
caratterizzazione. Per qualcuno si tratta di un'inserzione
0
BAAL E ANAT V, AB, E, 11-50, IN A. CAQUOT - M. SZNYCER -
A. HERDNER, TEXTES OUGARITIQUES, 1: MYTHES ET LÉGENDES
(LAPO 7), PARIS 1974, 200-205.
tardiva e risulta omesso da Flavio Giuseppe, che parla
semplicemente di un dono di Caleb ai discendenti di Ietro
il Madianita (AG V, 127). Nel testo attuale, serve a
conferire un'adeguata dignità al primo dei giudici che è
Otniel e a dare spicco alla generosità di Caleb. Posto
all'inizio del libro, dimostra al lettore come una nuova
generazione, rispetto a quella dell'esodo, si insedia
ordinariamente nel territorio conquistato, giustifica una
proprietà di clan in terra di Giuda e si presta da modello
di relazioni familiari tra marito e moglie, suocero e
genero, figlia e padre. Se il narratore conosceva il mito
ugaritico, non è da escludere una sua rielaborazione
prosaica se non addirittura irridente. Di primo acchito
Acsa, il cui nome pare designare un monile tintinnante, 0
funge da oggetto che il padre Caleb, il destinatore, dà
come promesso al destinatario Otniel in premio per la
conquista della città di Kiriat Sefer (vv. 10-13), secondo
il motivo folklorico visto nel caso di Davide (ISam
17,25). Lungi dall'essere pura dote d'ornamento, Acsa,
0
L'etimologia del nome è incerta; la proposta di M. FRETZ,
«Acsah», in ABD, I, 56, che lo collega alle cavigliere di Is 3,16-18
per esprimere la sua potenza seduttiva, forse è troppo ricercata. Per il
patronimico di Otniel, l'ebraico si presta a leggerlo come nipote di
Caleb, o come zio di Acsa.
contro ogni convenzione, diventa la destinatrice,
prendendo l'iniziativa in due mosse.
Il testo presenta ambiguità: dapprima essa «si
reca»0 da suo marito, poi lo «alletta»,0 affinché chieda il
campo (vv. 14-15). A prescindere se Otniel sia
intervenuto e il campo si sia rivelato arido, o debba
essere richiesto, l'azione decisiva è di Acsa, che persuade
il padre ad avere una fonte d'acqua.
Il suo gesto di scendere dall'asino si presta a varie
interpretazioni:
a) gesto di rispetto per suo padre;
b) gesto per richiamare l'attenzione facendo rumore;

0
II verbo «andare» (òol può avere anche una connotazione
sessuale (cf. Gen 19,33.34), per cui la tattica sarebbe quella di Rut
con Booz sull'aia (Rt 3), ma il testo resta discreto, come nota C.
LENOIR, Femmes fatales, filles rebelles. Figures féminines dans le
livre des Juges, Genève 2005, 133.
0
II verbo «allettare» (sût) può avere una connotazione negativa
di manipolazione, circonvenzione, cf. F. ZORELL, Lexicon hebraicum
et aramaicum Veteris Testamenti, Roma 1968, 550; BDB, 694. Si
tratta della medesima seduzione di Gezabele nei confronti di Acab
(IRe 21,25). Il TM ha come soggetto Acsa, mentre i LXX e altre
versioni hanno Otniel, relegando Acsa a mero giunto. Per P. MOSCA,
«Who Seduced Whom. A Note on Josh 15,18//Judges 1,14», in CBQ
46(1984), 18-22, Acsa seduce Caleb, senza l'intervento di Otniel. Ci
sembra più plausibile vedere Otniel come istigato e soggetto della
richiesta, che presumerebbe però l'insoddisfazione di Acsa. L'articolo
preposto a «campo» può essere interpretato cataforicamente.
c) addirittura gesto irriverente, accompagnato da un
perentorio «forza/dài» (hàbàh, v. 15).0
Ciò che conta è il gesto plastico di un'inopinata
insubordinazione, che però ottiene ben due fonti d'acqua
(un merismo che indica un dono completo). Acsa è
prossemicamente caratterizzata come una donna
previdente e pragmatica,0 capace di influenzare i due
uomini della sua vita, inaugurando la serie di varie donne
audaci nel libro dei Giudici che si arrogano prerogative
maschili. Qui, come tante altre donne liminari, essa
sembra riscuotere la simpatia del narratore nel garantire
una vita dignitosa, anche in vista di una discendenza,
come avevano fatto le figlie di Lot (Gen 19,31-38) e le
cinque figlie di Zelofcad (Nm 27,l-7).0
0
Interpretazioni riassunte da B. LINDARS, Judges 1-5. A New
Translation and Commentary, Edinburgh 1995, 29-31: gesto di
rispetto come in Gen 24,64; gesto irriverente sulla base di una radice
accadica, che rinvia a un peto, è la proposta di G.D. Driver; richiamo
d'attenzione rumoroso, tipo battito di mani, è la proposta di M. Bai.
Per l'imperativo hàbàh, cf. P. JOÙON - Y. MURAOKA, A Grammar of
Biblical Hebrew (SubBi 14.2), Roma 1993, § 75k.l05e.
0
Evidenziato da S. ACKERMAN, Warrior, Dancer, Seductress,
Queen Women in Judges and Biblical Israel (ABRL), New York,
NY 1998, 2-3; S. NIDITCH, Judges: A Commentary (OTL), London-
Philadelphia, PA 2008, 41.
0
Così Y. SHEMESH, «Achsah, from Object to Subject: A Story
about a Wise Woman, a Field, and Water (Judges 1:10-15)», in M.
GARSIEL - R. KASHER - A. FRISCH - D. ELGAVISH (a cura di), Studies
1.2.2. In Es 2,4-8 l'introduzione della sorella di
Mosè è funzionale alla posta in gioco della salvezza e
dello svezzamento del fratellino, su cui incombe la
minaccia del genocidio al maschile decretato dal faraone.
Il motivo di questo racconto tardivo è quello del
«bambino in pericolo», circoscrivibile in quello del
«trovatello».0 Dato che non si tratta di un neonato
qualunque, ma del futuro e fatidico liberatore d'Israele,
viene raccontato in modo accattivante e senza ambiguità.
La comparsa di quest'anonima sorella (v. 4) sorprende il
lettore, poiché poteva presumere che il bimbo fosse figlio
unico e primogenito (vv. 1-2); più tardi, verrà identificata

in Bible And Exegesis X, FS. S. Vargon, Ramat Gan 2011, 23-48; cf.
anche K.G. SHARGENT, «Liminality of Daughters in Genesis to 2
Samuel», in A. BRENNER (a cura di), A Feminist Companion to
Samuel and Kings, Sheffield 1993, 26-42; E. FUCHS, Sexual Politics
in the Biblical Narrative: Reading the Hebrew Bible as a Woman
(JSOT.S 310), Sheffield 2000, 177.
0
Per il «bambino in pericolo», cf. Gen 16; 21; 2Re 11; 2Sam
12,13-23; si veda pure 2Mac 7; per il «trovatello», cf. D.B.
REDFORD, «The Literary Motif of the Exposed Child (cfr. Ex II, 1-
10)», in Numen 14(1967), 209-228; B. LEWIS, The Sargon Legend. A
Study of the Akkadian Text and the tale of Hero who was exposed At
Birth, Cambridge 1980, 125-148. Per la data tardiva del racconto, cf.
J. COHEN, The Origins and Evolution of the Moses Narrative Story,
Leiden 1993, 5-27.
con Miriam e avremo notizia del fratello maggiore
Aronne.0
Il suo appostamento0 e intervento inopinato (vv.
4.7-10a) sono stati spiegati in vari modi. Per qualcuno 0
tali versetti sarebbero un'inserzione redazionale, ma la
proposta non convince, perché, se espunta, la trama non
regge, mancando del suo volano. Secondo alcuni rabbini,
essa era lì per verificare se la precedente profezia su
Mosè come liberatore d'Israele sarebbe stata smentita
dall'abbandono nel fiume. Per altri, scacciava gli uccelli
0
Cf. Es 6,20; 7,7; 15,21; Nm 12,1; 20,1; 26,59. Identificazione
scontata per R.G. BRANCH, Jeroboam's Wife. The Enduring
Contributions of the Old Testament's Least- Known Women,
Peabody, MA 2009, 19-29, mentre per molti altri avremmo
tradizioni diverse; cf. U. RAPP, Mirjam. Eine feministisch-retorische
Lektiire der Mirjamtexte in der herbràischen Bibel (BZAW 317),
Berlin 2002, 315. I. FISCHER, Des femmes messagères de Dieu.
Prophètes et prophétesses dans la Bible hébraïque. Pour une
interprétation respectueuse de la dualité sexuelle, Paris 2009, 93.
0
Nel v. 4 la BHS emenda wattêtassab nell'usuale wattityassab
come in PS (cf. 2Sam 18,13); cf. JOÙON - MURAOKA, A Grammar of
Biblical Hebrew, § 53f. Secondo J. SIEBERT- HOMMES, «Le
salvatrici del liberatore d'Israele», in I. FISCHER - M. NAVARRO (a
cura di), La Torah, Trapani 2009, 289, il verbo indica spesso una
crisi senza speranza e lo coglie in inclusione con Es 14,13; tuttavia,
nelle altre ricorrenze del libro sembra indicare più una posizione di
attesa e testimonianza di un evento teofanico (cf. Es 8,16; 9,13;
19,17; Nm 11,16; Dt 31,14).
0
Cf. in particolare W.H. SCHMIDT, Exodus (BK II/l),
Neukirchen-Vluyn 1988, I, 52- 62; FISCHER, Des femmes messagères
de Dieu, 93.
che infastidivano il piccolo, mentre la madre veniva ad
allattarlo di notte,0 ma si tratta di espansioni tardive senza
riscontri nel testo.
Più semplicemente, la sorella è l'espediente
ottimale e verosimile per soddisfare simultanee esigenze
drammatiche:
a) sorvegliare a distanza il bambino;
b) fungere da raccordo con la figlia del faraone;
c) mantenere il raccordo con la vera madre del bimbo,
salvaguardando la sua identità ebrea.
Solo lei può interpellare la figlia del faraone senza
destare sospetti, diversamente dalla madre o da una
donna adulta che poteva essere scambiata per tale. A
maggior ragione non poteva essere un uomo, cui era
proibito recarsi nel luogo balneare della principessa. Il
testo è crivellato di ellissi: tace su nome, età, stato civile
e sentimenti della ragazza, se agisca di concerto con sua
madre, come sappia che la figlia del faraone si reca a fare
il bagno in quel luogo, quanto tempo resti in attesa. Così
pure ci si interroga su come nessuno le impedisca di
0
Per la prima spiegazione, cf. EsRab 1,22; per la seconda cf.
Giubilei 47,3-5. Per FLAVIO GIUSEPPE, AG II, 226-227, la sorella
capita sulla scena senza premeditazione e per pura curiosità.
violare la privacy della principessa, perché quest'ultima si
rechi proprio al Nilo a fare il bagno, perché il contorno di
ancelle scompaia dalla scena. Molte risposte derivano
dalla poetica narrativa, che mira a evidenziare la
subordinazione della sorella al fratellino («sua sorella»,
'ahótó, vv. 4.7),0 per convergere l'attenzione su lui come
protagonista, l'unico chiamato per nome (v. 10). Il
narratore sfrutta il suo punto di vista (v. 4) per far
assistere il lettore al ritrovamento, alzando la suspense. Il
corteo di ancelle è una verosimile pennellata esotica
riscontrabile anche in altre letterature, come il bagno di
Nausicaa; l'invio di una distinta serva a recuperare la
cesta si spiega semplicemente perché è un gesto non
consono al rango di una padrona. Tutto ciò però serve a
creare il ritardo e la suspense; la sorpresa è della
principessa quando scopre che il bambino è ebreo, non
del lettore che lo sa, ma vive la curiosità e l'apprensione

0
Giubilei 47,3-5 chiama la sorella Miriam, la madre Iochebed e la
figlia del faraone Tarmut; così pure, con lievi variazioni, FLAVIO
GIUSEPPE, AG II, 221. La tradizione rabbinica identificherà la
principessa egiziana con Bitiah, la figlia del faraone di lCr 4,18. J.
HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13 (HCOT), Kampen 1993, 229, segnala
che il termine nel libro dell'Esodo designa sempre una sorella
carnale. Essa è assente da PSEUDO-FILONE, LAB IX, 9-15, che si
incentra più sulla madre e sul padre di Mosè.
di verificare se essa rispetterà l'ordine genocida di suo
padre. La svolta del racconto sta nella sua compassione
(v. 6).
Nei dialoghi che seguono vige la legge della dualità
scenica, per cui spariscono gli astanti superflui. La serva
si guarda bene dal dissuadere la sua signora dal non
sfidare l'ordine del faraone, silenzio dettato dalla sua
subalternità, ma soprattutto dall'indispensabilità di non
eliminare l'eroe del racconto. Non si appura come la
principessa abbia riconosciuto la sua razza, come la
sorella la raggiunga, in quale lingua le parli, perché sono
dettagli distrattivi, così come la mancanza di protocollo
rientra nello stile popolare. L'importante è inculcare nel
lettore che il bimbo è «ebreo» (v. 6), evitare la sua
soppressione e focalizzarsi sul consiglio di farlo allattare
da una nutrice ebrea (v. 7). Per W.H. Schmidt il v. 7
sarebbe un'inserzione redazionale, ma così non coglie il
legame con il v. 6, dove il bimbo ebreo richiederà le
nutrici ebree, rendendo logica la proposta della sorella,
ma anche coinvolgendo il lettore nel rischio che essa
corre.0 Qui scatta l'ironia del racconto, che nasce da un
divario di conoscenza tra il lettore e la sorella che sanno,
mentre la principessa resta ignara.0
Il testo non delucida perché costei si affida senza
sospetti a una nutrice ebrea, anziché egiziana, 0 anche se
una straniera su procura rientra nella prassi attestata

0
Cf. SCHMIDT, Exodus, I, 51-52; 72; per A. WÉNIN - C.
FOCANT - S. GERMAIN, Vives femmes de la Bible, Bruxelles 2007,
46, «è allora che, con una faccia tosta incredibile, la sorella del
piccolo interpella la principessa [...]. La sua maniera diretta di
parlare è quella di qualcuno che deve superare la propria paura». Cf.
anche J.C. EXUM, «Second Thoughts about Secondary Characters:
Women in Ex 1,8-2,10», in A. BRENNER (a cura di), A Feminist
Companion to Exodus to Deuteronomy (FBC 6), Sheffield 1994, 51.
0
Cf. R.B. LAWTON, «Irony in Early Exodus», in ZAW
97(1985), 414; per J.S. ACKER- MAN, «The Literary Context of the
Moses Birth Story (Exodus 1-2)», in K.R.R. GROS LOUIS (a cura di),
Literary Interpretations of Biblical Narratives, Nashville, TN 1974,
93, «la principessa crede di avere il pieno controllo della situazione,
ma in effetti è lei a essere controllata dal brillante acume di una
giovane ragazza»; analogamente R.G. BRANCH, «Understudy to Star:
The Courageous Audacity of an Israelite Slave Girl», in H.M.
NIEMANN - M. AUGUSTIN (a cura di), Stimulation from Leiden:
Collected Communications to the XVIII Congress IOSOTLeiden
2004 (BEATAJ 54), Frankfurt a.M. 2006, 257-267. Per la sinergia
tra questa e altre ironie del brano, cf. T.E. FRETHEIM, Exodus,
Luisville, KY 1991, 37.
0
Cf. B.S. CHILDS, «The Birth of Moses», in JBL 84(1965), 110.
Secondo WÉNIN - FOCANT - GERMAIN, Vives femmes de la Bible, 46,
«il narratore non dice nulla, ma la sua maniera di riferire la scena fa
pensare che la principessa poteva non essere stupida». Così pure S.
TUCHMAN - S.E. RAPOPORT, Moses' Women, New Jersey, NJ 2008,
15-71.
nell'antico Vicino Oriente. Tale allattamento su procura
era riservato a famiglie reali, o a donne di ceto
aristocratico che volevano emularne il prestigio, per cui
la richiesta è verosimile.0 L'allattamento è funzionale al
pianto del bambino («forse ha fame») ma, soprattutto, è
l'appiglio per introdurre sulla scena la madre naturale. Per
altre tradizioni rabbiniche è Dio che decide di far
svezzare Mosè dalla madre, onde evitare che succhiasse
il latte impuro di donne pagane.0 Considerando il latte
come ben nota metafora di sapienza e di educazione,
attestata nell'iconografìa del faraone allattato da Hathor o
Iside per ricevere la forza e la saggezza divine ma
riscontrabile anche in altre culture mediorientali e
mediterranee, Mosè le riceverà non dall'Egitto, bensì
dalla madre e dalla sapienza del suo popolo (cf. Is 55,1).
Inoltre, l'allattamento può esser visto come un esempio di
una «letteratura di resistenza» tipica del periodo persiano,
che mirava a sostenere un'autocoscienza anticoloniale

0
Cf. G. ROBINS, Women in Ancient Egypt, London 1993, 89;
M.I. GRUBER, «Breastfeeding. Practices in Biblical Israel and in Old
Babylonian Mesopotamia», in The Motherhood of God and the
Others Studies, Atlanta, GA 1992, 89-95.
0
CF. ESRAB 1,25; FLAVIO GIUSEPPE, AG II, 225-227.
degli ebrei deportati o schiavi contro l'oppressione e il
genocidio.0
Espletato il suo ruolo, la sorella sparisce, dando
spazio alla madre, che ironicamente riceve il salario dalla
figlia del nemico per fare ciò che avrebbe fatto
naturalmente, con l'adozione de facto0 del bambino che lo
tutelerà dal decreto infanticida. Di fatto, solo una persona
di un certo prestigio e autorità può salvare il bambino
altrimenti condannato. Un uditorio ebraico si compiace
dinanzi all'astuzia di questa ragazza che beffa il faraone
tramite la sua stessa figlia!0 Più importante è assicurare ai

0
Per l'iconografìa egiziana cf. ANEP, 136; 147, e J. LECLANT,
«Le rôle du lait et de l'allaitement d'après les textes des Pyramides»,
in JNES 10(1951), 123-127; per quella ugaritica e mesopotamica, cf.
M. NISSINEN, Prophetie. Redaktion und Fortschreibung im
Hoseabuch (AOAT 231), Neukirchen-Vluyn 1991, 231; 277-278;
285-289; M. LURKER, «Milch», in Worterbuch biblischer Bilder und
Symbole, Miinchen 1973, 237-239. Per l'allattamento come
«resistenza culturale», cf. G.A. YEE, «Take This Child and Suckle It
for Me: Wet Nurses and Resistance in Ancient Israel», in BTB
39(2009), 180-189.
0
A. TOSATO, Il matrimonio israelitico (AnBib 100), Roma 1982,
77 nota 50, e HOUT- MAN, Exodus 1,1-7,13, 288.
0
Così ACKERMAN, «The Literary Context of the Moses Birth
Story (Exodus 1-2)», 94; per D.W. WICKE, «The Literary Structure
of Exodus 1:2 (SZC)-2:10», in JSOT 24(1982), 100, «la narrazione
instilla piacere e diletto nel lettore a motivo della manipolazione
compiuta dalla sorella del bambino».
lettori che il futuro leader d'Israele è un ebreo genuino e
non sarà completamente egiziano.0
La sorella è un ingrediente fondamentale per
modificare il motivo del «bambino esposto» rispetto alla
sua applicazione a vari eroi epico- mitologici. 0
Diversamente da Sargon, Ercole, Ciro II e Romolo, Mosè
non proviene da una famiglia aristocratica, non è figlio di
dèi né frutto di adulteri umani e/o divini. Non è neppure
un «trovatello», perché conserva i legami di sangue; lo
svezzamento non è suggerito da un dio (come Atena che
consiglia a Era l'allattamento di Eracle, per dargli
immortalità), ma da un'umile sorella; inoltre, Mosè non
spodesterà chi aveva causato la sua esposizione.
Viceversa, il lettore evita di considerarlo come uno
schiavo, grazie alla sua educazione alla corte egiziana,
che lo qualificherà in vista della sua missione. Per il
momento, appare sotto il segno della casualità, anche se
il lettore cooperante può inferire che madre e sorella

0
CF. W.H.C. PROPP, EXODUS 1-18 (AB 2), NEW YORK, NY
1999, 152; T. DOZEMAN, EXODUS (ECC), GRAND RAPIDS, MI 2009,
80.
0
Lo scarto dal classico modello eroico è sottolineato tra gli altri
da N.M. SARNA, Exploring Exodus : the Heritage of Biblical Israel,
New York 1986, 30-31.
avessero coltivato una possibilità di speranza; questo
rientra nella strategia di Es 1-2, che sembra affidarsi ad
agenti umani come strumenti provvidenziali della regia
divina. Pur nella beffa, la sorella mette in risalto la
disobbedienza della figlia del faraone nel far valere le
ragioni della coscienza su quelle di Stato e inumane di
suo padre. Nella teoria delle dodici donne di Es 1-2,
contribuiscono a soffondere una tenerezza femminile
trasversale in favore della vita, in contrasto con
successive scene maschili invelenite da prepotenza;0
l'astuzia della sorella non è minore di quella delle
levatrici, ma qui appare come elogio dell'arte della
diplomazia, arma che ha aiutato a sopravvivere gli
israeliti, a non lasciarsi stritolare nel corso della loro
storia.0 Se, stando alla continuità del racconto attuale, la
0
Così J.-L. SKA, «Il Diritto e la Legge: una distinzione
fondamentale nella Bibbia», in CivCat 157(2006), 474; J.C. EXUM,
«"YOU Shall Let Every Daughter Live". A Study of Exodus 1:8-
2:10», in Semeia 28(1983), 37-61; SIEBERT-HOMMES, «Le salvatrici
del liberatore d'Israele», 272-282.
0
Come chiosa C. MEYERS, Exodus, Cambridge, NY 2005, 42:
«L'abilità di gente senza potere (comprese le levatrici) di raggiungere
i loro obiettivi e scompigliare le gerarchie politiche mediante
l'astuzia [...] adombra la basilare abilità degli israeliti di assicurare la
loro libertà mediante la diplomazia dei loro capi». Cf. anche T.S.
FRYMER-KENSKY, «Forgotten Heroines of the Exodus», in BR
13(1997), 38-44.
sorella è Miriam, c'è un'inclusione tra due acque di morte
trasformate in vita; nella prima assiste alla «doppia
nascita» di Mosè sulle rive del Nilo, nella seconda
celebrerà quella d'Israele sulle rive del Mare dei Giunchi
(Es 15,20-21).0
1.2.3. In ISam 9,11-13, dove la posta in gioco è
l'incontro tra Saul e Samuele, viene innestato un gruppo
di ragazze come informatrici e consigliere, per
fluidificarlo, sulla scia di un motivo folklorico. 0 La loro
uscita dalla città per attingere acqua è funzionale a far
localizzare a Saul il veggente. La loro lunga e insolita
risposta (44 parole) alla stringata domanda (3 parole) è
stata spiegata dai rabbini in vari modi, seguiti da
commentatori moderni:
a) il narratore mirava a drammatizzare la loro garrula
loquacità femminile, rendendo sonoramente la loro
eccitazione o confusione (come fa in Gdc 18,14-20; Rt
2,7; ISam 14,21);

0
La corrispondenza è implicita in EsRab 1,22; PROPP, Exodus
1-18, 154. Per la nascita o nuova creazione d'Israele al Mare dei
Giunchi, cf. J.-L. SKA, Le passage de la mer (AnBib 109), Rome
2
1997.
0
Cf. II. VI, 457; Od. X, 105; ERODOTO, Storie III, 14; V, 12.
b) desideravano intrattenersi con Saul, perché colpite
dalla sua bellezza;
c) volevano parlare con un forestiero, cosa che non
capitava tutti i giorni;
d) parlano per rispetto a chi sarebbe stato il futuro re.0
L'intrattenersi, però, è smentito dalla fretta con cui
lo accomiatano, mentre la chiaroveggenza sul futuro di
Saul non risulta suffragata dal testo. Alcuni esegeti
rintracciano qui la scena-tipo dell'«incontro al pozzo»0
ma non è pertinente, perché Saul non chiede da bere, né
attinge per una futura sposa, e l'approccio si chiude senza

0
A. MIRSKY, «Leshon Hedyot She-ha-Mikra'», in Sefer Zaidel,
Jerusalem 1961, 290- 291, e M.M. BUBER, Darko ShelMikra',
Jerusalem 1964, 190-191, sono per la rumorosa loquacità tipica delle
donne, che sovrappongono le loro voci; sostengono la tesi della
bellezza A.B. EHRLICH, Randglossen zur hebraischen Bibel, Leipzig
1908-1914, III, 198; K. BUDDE, Die Bucher Samuel (HCAT VILI),
Tiibingen 1902, 61. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, IV, 369
nota 13, la contesta, ritenendola frutto di una «prospettiva sessista».
BRESSAN, Samuele, 154, propende per la novità del forestiero.
JACOBS, «The Role of Secondary Characters in the Story of the
Anointing of Saul (I Samuel IX-X)», 497, pensa a una loquacità
ispirata dalla volontà divina.
0
ALTER, The David Story, 49, ribadisce: «La scena del
fidanzamento è troncata. Al posto di una festa di fidanzamento c'è
una festa di sacrificio che adombra un rito d'incoronazione» in una
deliberata strategia ominosa che preparerebbe alla perdita del regno
da parte di Saul. Cf. anche J. BLENKINSOPP, 1 and 2 Samuel, London
1969, 311; FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, IV, 386-388.
un fidanzamento. A confronto con quello di Ulisse con
Nausicaa {Od. VI, 110-333), poi con la dea Atena nelle
sembianze di ragazza con una brocca {Od. VII, 20- 78),
possiamo cogliere la diversità di stile. In Omero i brani
sono estesi e paludati, con dialoghi ricchi di metafore;
l'eroe è solo e il lettore sa già che Atena lo ha reso
affascinante per invaghire la principessa che vede in lui
espressamente il suo possibile sposo. È la stessa Nausicaa
a guidare Odisseo al palazzo di suo padre, per poi
lasciarlo onde evitare ma- lelingue. Possiamo pure
pensare alle varie enigmatiche damigelle consigliere e
informatrici di Chrétien de Troyes che scandiscono con
lunghi moniti il viaggio dell'eroe Lancillotto verso la sua
meta predestinata.
Le ragazze del testo biblico fungono da coro
indicatore e non da mera cornice come le ancelle feaci.
Per qualcuno,0 la loro menzione del sacrifìcio e il
consiglio di recarvisi immediatamente (v. 13) sarebbero
un'inserzione posteriore, ma in realtà si collega al v. 12
per il giorno imperdibile e il convito, che, nel testo
0
Così lo ritengono A.F. CAMPBELL - M. O'BRIEN, Unfolding the
Deuteronomistic History: Origins, Upgrades, present Text,
Minneapolis, MN 2000, 238-239.
attuale, preparano alla scelta predestinata di Saul (v. 24).
La lunghezza di questo incontro serve quindi a costruire
una scena preparatoria, in cui il rallentando intensifica la
suspense e la curiosità sul veggente. 0 Anche queste ra-
gazze risultano lo strumento provvidenziale dell'occulta
regia divina;0come visto in inclusione con la medium di
Endor (ISam 28), le prime aprono il suo regno, favorendo
il primo incontro con Samuele, la seconda ne suggella
l'ultimo.
1.2.4. In 2Re 5,1-19 è una piccola serva israelita
l'espediente per innescare la risoluzione della guarigione
dalla lebbra del suo padrone arameo Naaman (v. 1) e il
suo riconoscimento di YHWH come unico vero Dio (v.
15) e del suo profeta Eliseo. Il narratore trae dal suo ar-
gante i requisiti ottimali allo scopo (v. 2); in quanto
israelita, conosce l'esistenza del profeta nella propria

0
Evidenziato da S. BAR EFRAT, 1 Samuel, Jerusalem 1996, 139.
Per ALTER, The David Story, 49, le ragazze parlano a lungo perché
vedono un Saul disorientato e confuso.
0
Notato tra altri da SCHMIDT, Menschlicher Erfolg und Jahwes
Initiative, 58-102; R.M. POLZIN, Samuel and the Deuteronomist: a
Literary Study of the Deuteronomio History. Part Two: 1 Samuel, S.
Francisco, CA 1989, 93-98; JACOBS, «The Role of Secondary
Characters in the Story of the Anointing of Saul (I Samuel IX-X)»,
497-498.
terra e del suo potere sulla lebbra; il suo rapimento l'ha
condotta al servizio della moglie di Naaman e la sua
intimità ancillare le permette con maggiore facilità
rispetto a un uomo di parlare alla sua padrona, cosa che
non potrebbe mai fare direttamente nei confronti di
Naaman, secondo le convenzioni gerarchiche (cf. Pr
19,10; Sir 13,23). Nondimeno, la sua audacia resta
rischiosa nel mondo del racconto, perché una schiava non
poteva in nessun modo competere con la sua padrona.0
L'economia narrativa va al sodo, perché è
inverosimile che gli ara- mei abbiano rapito solo lei; non
si precisa se «piccola» iqetannàh) si riferisca alla sua età
o al suo infimo status, né in che lingua abbia parlato con
la padrona aramea (a differenza di 2Re 18,26), come pure
c'è reticenza sulle sue motivazioni, che possono spaziare
dal disinteresse all'ingraziarsi la padrona, o ottenere una
ricompensa. Essa catalizza l'azione della trama,
esponendone il «programma narrativo» (v. 3), ed è il

0
Rilevano l'audacia e il rischio REINHARTZ, «Why ask My
Name?». Anonymity and Identity in Biblical Narrative, 38; BRANCH,
«Your humble servant», 178-182; R. WEST- BROOK, «The Female
Slave», in V.H. MATTHEWS ET AL. (a cura di), Gender and Law in the
Bible and the Ancient Near East (JSOT.S 262), Sheffield 1998, 214-
238.
primo anello della catena di mediatori che porteranno
Naaman da Eliseo.0 Il testo registra un'ellissi nei vv. 4-5,
dove il lettore presuppone che la moglie di Naaman abbia
parlato a suo marito; se le donne parlano ad altre donne,
gli uomini parlano ad altri uomini e qui si salta la
conversazione tra uomini e donne. Il lettore si chiede se
Naaman accetterà il suo consiglio e chi sia mai il profeta
dotato di un potere riservato a Dio solo (cf. Es 4,6; Nm
12,10). Secondo W. Brueggemann la serva non menziona
YHWH per non urtare la suscettibilità religiosa di non
israeliti;0 in realtà, è lo stesso Naaman a pronunciare il
suo nome (v. 11), preparando il lettore alla sua
confessione finale cercata sul piano della sorpresa
drammatica (v. 16).
La serva caratterizza per contrasto altri personaggi;
spicca quello tra la sua «piccolezza» e la «grandezza» di
Naaman (v. 1); la sua competenza e provenienza mettono
in risalto l'impotenza del generale e del suo pantheon
arameo. La sua piccolezza echeggerà sullo sfondo della
0
Segnalato da J. ALVÀREZ-BARREDO, Las Narraciones sobre
Elias y Eliseo en los Libros de los Reyes, Murcia 1996, 85; R.L.
COHN, Kings, Collegeville, MN 2000, 36.
0
W. BRUEGGEMANN, «A Brief Moment for One-Person
Remnant (2 Kgs 5,2:3)», in BTB 31(2001), 54.
guarigione di Naaman, la cui carne ritorna simile a quella
di un ragazzo piccolo (naar qàtòn, v. 14), quasi
prefigurando in lei la sottomissione che guida il potente
generale a Dio.
Un altro contrasto è con il re di Aram; mentre la
serva si muove in un'ottica religiosa, il re segue quella
politica (v. 5). Più ironico è il contrasto con il re d'Israele,
perché costui ignora l'esistenza del profeta e rimugina
nella logica del sospetto (v. 7); a distanza, la gratuità
della «serva» israelita, che aiuta il suo sequestratore, fa
risaltare l'avidità di Giezi, «servo» israelita di Eliseo, che
sfrutta padrone e generale (vv. 20-27).0 II lettore
apprezza l'umorismo di un Naaman che interpella il
proprio re, citando la serva come un oracolo (v. 4b).
In questo testo - come visto, tardivo - essa è la
proiezione di quanti, per sopravvivere in un mondo
0
Cf. BAUMGART, Gott, Prophet und Israel, 34-35: «La piccola
serva costituisce per Naaman una vistosa figura di contrasto»; cf.
anche O. LONG, 2 Kings (FOTL 10), Grand Rapids, IN 1991, 70:
«Tali immagini, basate sui contrasti che appaiono per lo più circo-
stanze fortuite, in realtà comportano un misterioso potere
generatore». U. BECHMANN, Die Sklavin des Naamans, Stuttgart
2004, 19-21; sottolinea la conoscenza profetica, l'autorevolezza
disarmante e la generosità della schiava che incoraggia Naaman, ma
suona come messaggio polemico contro la corruzione per i lettori di
ogni tempo.
alieno, mettevano a disposizione le uniche risorse che
avevano - competenza e fede - a favore dei dominatori,
senza dimenticare la propria identità, come faranno
Giuseppe e Daniele a un livello più alto.
1.2.5. In 2Sam 20,14-22 la donna di Abel-Bet-
Maacà è la provvidenziale uscita di sicurezza dalla
minacciosa distruzione della città assediata da Ioab per
catturare il ribelle Seba. Qualificata come «saggia»
(hàkàmàh, vv. 16.19), anche qui da intendere senza
connotazioni etiche, ma come buon senso ed efficace
pragmatismo nel raggiungere i propri obiettivi, essa
somiglia all'altra saggia donna di Tekoa (2Sam 14) nel
catalizzare l'azione in termini d'intercessione.
A riprova della sua rilettura ideologica delle figure
femminili, Flavio Giuseppe le qualifica ambedue come
vecchie (AG VII, 82.289), perché la saggezza appartiene
all'età anziana, non certo alle giovani fatue e
sconsiderate, che non sanno dare consigli, mentre il testo
biblico sorvola. Entrambe si configurano come «madri»
israelite, la tekoita per finzione, la maacaita per
personificazione; condividono l'anonimato e l'interazione
con Ioab, ma, mentre la maacaita propone di propria
iniziativa e con realismo di sacrificare Seba per il bene
della città, la tekoita è manipolata e racconta un caso
fittizio per convincere Davide ad anteporre la salvezza
del solo Assalonne alla vita di molti. Nessuna delle due
va oltre il proprio ruolo, che rimane circoscritto alla
funzione da espletare nella specifica urgenza drammatica.
Nell'imbastire la scena del dialogo diretto tra la
maacaita e il generale, il narratore cancella dettagli, come
ad esempio da dove nasca la sua audacia, da dove parli -
probabilmente dalle mura, che non dovevano essere
sguarnite - così come Ioab non poteva avvicinarsi da solo
(v. 16). Qualcuno nota un raro esempio di stile elevato
sulla bocca della donna,0 quasi irreale, ma è funzionale
alla sua personificazione (prosópopooia) della città, nota
per la sua giurisprudenza,0 così come la sua perorazione

0
Come, ad esempio, ALTER, The David Story, 325-326: «Essa
parla in poesia in uno stile elevato, cerimonialmente ripetitivo,
ieratico e quantomeno oscuro [...] con un effetto incantatorio».
0
H.J. STOEBE, Das zweite Buch Samuelis (KAT VIII/2),
Gutersloh 1994, 445: «La donna è piuttosto una figura profetica
paragonabile a Debora che, sebbene con un diverso accento, viene
chiamata madre in Israele (Gdc 5,7)». Su questa tecnica di perso-
nificazione donna-città, cf. W. BULLINGER, Figures of Speech Used
in the Bible, Grand Rapids, MI 1968, 868.
sembra citare un arcaico proverbio ostico da interpretare,0
ma evidentemente connesso al prestigio della città,
l'unica nella Bibbia a essere chiamata appunto «madre in
Israele» (vv. 18-19). L'essenziale è che agevoli
l'eliminazione di Seba, perché lo detiene in ostaggio;0 la
promessa di lanciarne la testa dal muro può essere una
constatazione del male minore o di disprezzo, ma più
plausibilmente di prudenza per non far entrare Ioab in
città (v. 21).
Il testo non motiva la sua sicurezza persuasiva e ne
elude il contenuto (v. 22) per velocizzare lo scioglimento,
0
Molti autori seguono il testo dei LXX, come BRESSAN,
Samuele, 682, e P.K. MCCART- ER, 2 Samuel (AB 9), Garden City,
NY 1984, 429: «Chiedete in Abel e Dan se sono venute meno le
usanze ordinate dai fedeli d'Israele». Altri difendono il TM, come D.
BARTHÉLEMY, «La qualité du Texte Massorétique de Samuel», in
The Hebrew and Greek Texts of Samuel (Proceedings IOSCS),
Wien-Jerusalem 1980, 31-33, dove il proverbio allude solo a una
fama di saggezza. STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 443, dopo una
panoramica delle congetture, consapevole della sua, rende così i vv.
18-19a: «Prima si diceva che bisognava chiedere solo in Abel per
portare bene a termine qualcosa. Io...». È nitida la corruzione del
TM.
0
Per REINHARTZ, «Why ask My Name?». Anonymity and
Identity in Biblical Narrative, 66: «Poiché essa tiene in ostaggio
Seba, ha anche l'autorevolezza con cui influenzare il comportamento
di Ioab». Cf. anche BRANCH, Jeroboam's Wife, 80-88. FISCHER,
Femmes sages et dame Sagesse dans l'Ancien Testament, 64-65,
insiste sul fatto che la donna evita una guerra civile e ricorda a Ioab
che la terra e la città sono eredità di Dio.
a differenza dei Targumim e di Flavio Giuseppe,0 che
amplificano la sua negoziazione con i concittadini,
ritardando il ritmo che accresce l'apprensione del lettore.
La finale dimostra che la città aveva dato rifugio a Seba,
ma non aveva aderito alla sua rivolta. L'effimera
ribellione di Seba serve solo a ristabilire Ioab nella sua
carica militare, e Davide per il momento dovrà
riconoscerlo. La donna richiama intertestualmente quella
di Gdc 9,53, che, sempre dalle mura ma senza
negoziazioni, aveva fracassato il cranio di Abimelec;
come in quel caso, la salvezza della città deriva dal suo
amor patrio, che il narratore consegna imperituro ai
posteri senza preoccuparsi di venir meno al sublime
epico.
1.3. Amici e parenti
Alcuni consiglieri sono escogitati come
catalizzatori nel ruolo di confidenti più o meno legati da
rapporti familiari, tra l'istituzionale e l'occasionale.
1.3.1. In 2Sam 13,3-5 Ionadab viene escogitato per
aggirare il problema della trama, che è la malattia
0
Cf. E. VAN STAALDUINE-SULMAN, The Targum of Samuel,
Kampen 2002, 611-613; GenRab 94,9; FLAVIO GIUSEPPE, AG VII,
289-291.
d'amore di Amnon per sua sorella Tamar, la cui verginità
impediva contatti.0 Si tratta di un noto topos dove il
protagonista è aiutato da servi scaltri o compiacenti. 0
Diversamente dalla pervasività dei servuli complici nella
commedia grecoromana o in quella di Euripide {Fedra,
176-524), Ionadab si limita all'essenziale, con i dovuti
atouts per risolverlo rapidamente (v. 3).0Il patronimico
non lo confonde con omonimi e spiega come conosca
l'indole del re.
Il nome può suonare ominoso («YHWH ha spinto /
YHWH è generoso»); la definizione di «amico» (rea) di
Amnon giustifica la loro confidenza 0 e come si sia
accorto del suo deperimento; il superlativo «molto
0
Cf. Sir 42,12 (ebraico); 2Mac 3,19; si vedano STOEBE, Das
zweite Buch Samuelis, 235; P.A. ACKROYD, The Second Book of
Samuel, New York 1978, 212.
0
Cf. Ct 2,5; 5,8; C. CONROY, Absalom Absalom! Narrative and
Language in 2 Sam 13-20 (AnBib 81), Rome 1978, 27; si ricordino i
languori dei Remedia amoris di Ovidio, delle liriche di Saffo o
Catullo.
0
Cf. lo schiavo e il cuoco nel Misantropo di Menandro,
Pseudolo ed Epidico nelle omonime commedie, Tranione nella
Mostellaria di Plauto; cf. E. ADRIANI, Storia del teatro antico, Roma
2005, 140-142.
0
II termine non va inteso come carica di consigliere ufficiale di
corte, ma di semplice confidente; cf. T.N.D. METTINGER, Salomonic
State Officials (ConB OT.S 5), Lund 1971, 64. Il Targum lo traduce
con il termine tecnico «amico dello sposo» (swsbyn0; cf. VAN
STAALDUINE-SULMAN, The Targum of Samuel, 559.
saggio» (hàkàm me'ód)0 motiva perché sforna uno
stratagemma galeotto per far incontrare Amnon con
Tamar, altra finestra sugli usi dell'epoca. Il testo è
ellittico sui motivi dell'iniziativa di Ionadab, 0per
concentrarsi sulla sua domanda (v. 4), che serve a far
parlare per la prima volta Amnon. Le sei parole della sua
risposta nel testo ebraico rendono il suo sospiro franto
('et-Tàmàr 'àhòt 'Absalom 'ahi 'ani 'óhéb, v. 4), ma
stimolano il lettore a verificare ciò che Amnon non dice
(v. 4b), rispetto a quanto detto dal narratore (v. 2). Il
suggerimento di sfruttare la malattia 0 spalanca «agli
0
Cf. tra altri WHYBRAY, The Succession Narrative, 58, e
STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 325, per cui «il concetto di
"saggio" {hkm) ha valore neutro e qui significa scaltrezza priva di
scrupoli»; K. VON ORDE, Das zweite Buch Samuel, Wuppertal 2002,
171, evidenzia come il consigliere raggiunga i suoi scopi senza
errori.
0
Al contrario, in FLAVIO GIUSEPPE, AG VII, 164, Ionadab,
chiamato Ionathes, denuncia apertamente che il deperimento è
dovuto a una malattia d'amore.
0
Non è simulazione, perché Amnon è malato: così A.F.
CAMPBELL, 2 Samuel (FOTL 8), Grand Rapids, MI 2005, 128,
notando che la forma del verbo è la medesima nei vv. 2.6; per
FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 104, «Ionadab con
consumata esperienza trasforma una circostanza negativa in uno
strumento efficace, una debolezza in forza». Per M.D. VAN TREEK,
«Amnón y Tamar (2 Sam 13,1-22). Ensayo de antropologia narrativa
sobre la violencia», in EB 65(2007), 11, nota 24, «Ionadab, così
come il serpente, mette l'accento su ciò che non si ha [...] non
contrappone salute e debolezza che sarebbe auspicabile, bensì
occhi» (v. 5) di Amnon la possibilità di realizzare ciò che
ritiene impossibile «ai suoi occhi» (v. 2), per poi sparire,
lasciando la ribalta all'azione di Amnon. Abbiamo così la
prima scena preparatoria, che genera le tre successive
(vv. 6; 7; 8-10), in un rallentando che acuisce la tensione.
Dato lo stupro (v. 18), molti s'interrogano sulla
correità di Ionadab: colpevole o non colpevole? Per la
tradizione rabbinica, seguita da diversi commentatori
antichi e moderni, la sua definizione di saggio è ironica,
perché insipientemente non ha calcolato le conseguenze.0
Per altri, ha agito da falso amico per rovinare Amnon
come un infiltrato di Assalonne,0 ma quest'ultima tesi
appare insostenibile alla luce del prosieguo. Il narratore
non esplicita giudizi sulla moralità di Ionadab, che ha
capito tutto e non vuole compromettersi, dicendo al solito
regalità e malattia».
0
Cf. Sanhedrin 2la, seguito da molti commentatori rabbinici; cf.
anche BRESSAN, Samuele, 508; 608. Per WHYBRAY, The Succession
Narrative, 58: «In questo caso il consiglio è cattivo e pertanto
effettivamente folle, perché si preoccupa solo dei metodi e manca di
calcolare le conseguenze». Poi definisce Ionadab un consigliere
malvagio, applicandogli il testo di Pr 16,29 e 26,23.
0
Così HALPERN, David's Secret Demons: Messiah, Murderer,
Traitor, King, 88: «Provocatore o libero battitore? Il suo continuo
atteggiamento benevolo fa propendere per la prima interpretazione»;
cf. anche A.E. HILL, «A Jonadab Connection in the Absa- lom
Conspiracy», in JETS 30(1987), 387-390.
il minimo di parole con il massimo dell'effetto. 0 Per
contrasto, fa emergere l'irresolutezza ma anche
l'ambiguità di Amnon.0 Contrariamente ad alcuni,0
Amnon non è ingenuo, perché tace il suo intento di «fare
qualcosa» a Tamar. Il dialogo con Ionadab richiama
quello di Gezabele con cui si confida il frustrato Acab in
IRe 21,4-7; ma, a differenza di Acab che adotta la
politica dello struzzo, lasciando agire Gezabele, egli
sembra eseguire quello di Ionadab, per poi agire a modo
suo, rivelando la sua brutalità e lussuria. Ionadab
smaschera anche l'affetto cieco di Davide per Amnon che
si traduce in omertà.
Il lettore cooperante può immaginare che il
consiglio di Ionadab di mettersi a letto (sàkab, v. 5) abbia
acceso in Amnon il doppio senso di «dormire = giacere»
{sàkab, w. 11.14), «mangiare = avere rapporti sessuali»

0
Come nota CONROY, Absalom Absalom!, 25, «un uomo scaltro
non ha bisogno di esplicitare ovvie conclusioni».
0
Cf. S. BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible (JSOT.S 70),
Sheffield 1989, 87, il cui gioco di parole è folgorante ma
intraducibile: «Jonadab usa il suo cervello (brain), Amnon i suoi
muscoli (brawn)».
0
Non troviamo plausibile la tesi di VON ORDE, Das zweite Buch
Samuel, 171, secondo cui Amnon «è ingenuo e spiattella
immediatamente il suo mal d'amore».
('àkal lehem),0 ma forse è un'allusione un po' ricercata,
senza riscontri testuali. Di fatto, Ionadab è il motore
dell'unica occasione nel testo per cui il lettore può essere
sfiorato da una simpatia per Assalonne.0
1.3.2. In Es 5,9-14 TM la moglie Zeres e gli amici
di Aman sono inscenati per segnare il climax della trama
del libro, che verte sul genocidio degli ebrei
programmato da Aman, a causa dei continui rifiuti di
omaggiarlo da parte di Mardocheo (v. 13). Si tratta di
uno snodo fatidico e la loro messa in scena serve a far
esprimere per la prima volta ad Aman la sua frustrazione
a causa di Mardocheo, verso cui non aveva mai reagito
pubblicamente (cf. Est 3,2-5),0 ma soprattutto introduce il
suggerimento della forca su cui giustiziarlo, anticipo del
massacro del popolo ebraico. L'economia narrativa

0
Per l'espressione «mangiare pane» come eufemismo sessuale,
cf. Gen 39,6; Pr 30,20. Cf. pure GenRab 86; N.M. SARNA, Genesis
(The JPS Commentary), Philadelphia, PA 1989, 272. Ma in Gen 39,6
è più ragionevole pensare che il «cibo» riguardi gli affari privati.
0
Così Y. AMIT, «The Story of Amnon and Tamar: A Reservoir
of Sympathy for Absalom», in Hasifrut 32(1983), 84; FUCHS, Sexual
Politics in the Biblical Narrative, 203-205.
0
J. VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, Estella 1998, 317: «Aman
ha bisogno di un uditorio a cui rivolgere la sua parola repressa». Per
il Targum I, Aman convoca Zeres insieme ai suoi amici per evitare
che costei se ne vada con i suoi amanti.
sottintende la richiesta del consiglio ai suoi più intimi da
parte di Aman e non chiarisce se Zeres sappia già del
genocidio programmato dal marito e se tema che
Mardocheo possa sottrarsi senza aspettarlo, in modo da
facilitare l'esecuzione per lesa maestà, e non passare per
vittima innocente.
Più essenziale è la programmazione di una
«cronaca di morte annunciata», dove la sospensione sulla
forca coincide con la suspense del lettore, ansioso di
sapere se il consiglio tempestivo di Zeres brucerà il
temporeggiamento di Ester (5,7). La voce di Zeres non
sembra distinguersi da quella degli amici di suo marito;
l'ebraico però, nella proposta del patibolo, anziché il
verbo al plurale utilizza la terza persona femminile
singolare (e disse, wattómer, v. 14), a indicare chi tiene le
fila come istigatrice, come in altri casi (v. 14). 0
Ambiziosa, giustamente è stata definita «la sposa

0
Messo in risalto da FISCHER, Des femmes messagères de Dieu,
95-98 e 365-366, che cita come esempi Miriam e Aronne (Nm 12,1)
o Noadia in un gruppo maschile (Ne 6,14). Per i due Targumim,
Zeres parla perché vanta nobili ascendenze; nel primo, esamina
quattro eventuali supplizi per uccidere Mardocheo, che nel secondo
diventano undici. J.D. LEVINSON, Esther (OTL), London 1997, 92,
nota l'ironia perché in Est 1,18-22 Assuero ha fatto di tutto affinché
ogni uomo fosse padrone nella propria casa.
convenuta»,0 che sa adulare la sete di potere e di vendetta
del suo sposo. Questa piccola corte di Aman è allestita
per far stagliare il suo orgoglio ferito. 0 Zeres compiacente
è il «doppio» inverso della regina Vasti, che non si
concede ad Assuero, così come si pone agli antipodi della
saggia Abigail che evita a Davide di macchiarsi di
sangue. Il suo consiglio caratterizza d'altra parte Aman
come «doppio» di Assuero, nell'ira e nella delega della
soluzione dei problemi, ma anche nell'ostentazione del
fasto (cf. 1,4; 5,11), condividendo con lui il gusto delle
iperboliche apparenze, nel suggerire una forca alta
0
Così P. ABADIE, La reine masquée. Lecture du livre de Esther,
Lyon 2011, 161, mettendola in antitesi con la saggia Abigail di ISam
25, chiosa: «Nell'intrigo, Zeres ha il ruolo di voce convenuta, del
discorso che è pur buono da intendere, anche se conduce alla rovina
e si nutre di apparenze [...1. In questo, Zeres non è altro che il
riflesso sinistro delle ambizioni del suo sposo». K.M. O'CONNOR,
«Humour and Turnabouts and Survival in the Book of Esther», in A.
BRENNER (a cura di), Are We Amused? Humour About Women in the
Biblical Worlds (JSOT.S 383), London 2003, 54-55, vede in Zeres il
concentrato dell'esagerazione e della violenza che pervadono come
fili rossi il libro.
0
Così A. WÉNIN, «Pourquoi le lecteur rit-il d'Haman en Esther
6TM?», in VT 60(2010), 467: «La piccola corte dinanzi alla quale,
evidentemente, gli piace pavoneggiarsi e farsi valere, questa gli
guasta tutto il suo piacere»; in tal senso anche J.-D. MACCHI,
«Haman l'orgueilleux dans les livres d'Esther», in D. BÒHLER - I.
HIMBAZA - P. HUGO (a cura di), L'Écrit et l'esprit. Études d'histoire
et theologie biblique en hommage à Adrian schenker (OBO 214),
Fribourg 2005, 198-214.
venticinque metri, ma mette in luce la loro debolezza di
uomini. Con questo sinistro riflesso, il narratore prepara
il lettore curioso e ansioso al ribaltamento delle sorti,
perché sulla forca sarà impiccato Aman al posto di
Mardocheo (Est 7,10); la sua ostentazione di ricchezza e
prole era funzionale al contrappasso, perché la prima
passerà a Ester (8,1) e la morte dei figli sancirà il trionfo
di Mardocheo (9,6-13).
1.4. Consiglieri istituzionali «trampolini»
Talvolta consiglieri istituzionali sono attivati per
catapultare comodamente in scena personaggi-chiave
della trama. Si tratta di occulte pedine, ignare del loro
ruolo, al servizio del narratore e di Dio. Possono essere
israeliti, ma spesso stranieri, fatto che amplifica l'ironia.
1.4.1. In ISam 16,14-18 e IRe 1,1-4 i cortigiani
consiglieri0 sono orchestrati nel confronto in parallelo tra
Saul e Davide per risolvere il problema della malattia dei
loro sovrani, che implicava la non idoneità a regnare, ma,
soprattutto, diventa l'espediente per spianare la strada al
loro rispettivo successore. Ovviamente è questa malattia

0
CF. U. RÙTERSWÒRDEN, «'ÀBAD», IN TWAT, V, 997-999; H.F.
FUHS, «NA'AR», IN TWAT, V, 515.
che autorizza la loro iniziativa e permette al narratore di
alzare la tensione, persa invece nel discorso indiretto
della riscrittura di Flavio Giuseppe, il quale, conforme ai
gusti del suo pubblico, precisa che i cortigiani erano
medici {AG VI, 166; Vili, 343).
La vacatio regni è dovuta a due motivi diversi; per
Saul si tratta di disabilità psichica, e solo il lettore sa che
essa è causata dal maligno spirito divino (v. 14); il
consiglio dei cortigiani di risolverla con un mu-
sicoterapeuta (vv. 15-17) - un altro squarcio interessante
sulle usanze mediche nel mondo del racconto - è un
comodo assist su cui s'innesta la raccomandazione del
figlio di lesse da parte di un anonimo attendente (v. 18).0
Il testo non chiarisce come costui sappia e risponda più
del necessario.0 Per qualcuno, Davide si era fatto notare
per la sua bravura musicale, oppure la sua candidatura
era già concertata, mentre per altri la notizia della sua

0
Per M. VIRONDA, «Gli inizi dell'ascesa di Davide (ISam 16,1-
23). Analisi narra- tologica», in RivBiblt 41(1993), 281 nota 65, il
narratore distinguerebbe l'attendente dagli altri cortigiani.
Leggendariamente è identificato con Doeg, che può permettersi di
consigliare Saul, perché suo amico fin dalla sua giovinezza.
0
Notato da P.K. ACKROYD, The First Book of Samuel (CBC),
Cambridge 1971, 135: «Il cortigiano dice più di quello di cui è
cosciente».
unzione clandestina era già circolata, per cui l'attendente
era una sorta di «talpa» filo-davidica a corte. 0 Pur non
suffragate, la prima ipotesi è la più probabile, l'ultima è
inverosimile.
La sua non immediata identificazione desta la
curiosità di sapere chi sia tra gli otto figli di lesse, di cui
almeno due di bell'aspetto (ISam 16,6-12), prima della
svolta in cui Saul pronuncia il suo nome (v. 19). L'ellissi
su come Saul lo conosca si spiega dando per scontati da
parte del lettore i ragguagli del cortigiano a Saul e la sua
conoscenza di Davide,0 fungendo da gancio con la prima
parte di ISam 16; l'essenziale è forgiare una scena che
funga da trampolino a corte per Davide, lasciato inattivo
a Betlemme dopo la sua unzione (vv. 16-17).
Il ritratto di Davide è uno dei più completi nella
Bibbia,0 perché è un faire valoir nei confronti di Saul,
0
Per le varie ipotesi cf. BRESSAN, Samuele, 266-267; ALTER,
The David Story, 98.
0
Così FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 136-137;
VIRONDA, «Gli inizi dell'ascesa di Davide (ISam 16,1-23)», 280-281.
0
L'analogia tra Davide e Gige è riportata in un frammento di
Nicola di Damasco (I sec. a.C.) da T.M. JONES, Paths to the Ancient
Past: Applications of the Historical Method to Ancient History, New
York, NY 1967, 75. Gli attributi di Davide sono sei e stupisce che il
narratore non abbia cercato la perfezione del sette; forse un tacito
cenno al lettore che nessuno è perfetto? Per questo unicum nell'AT,
che desta la sua simpatia, ma ancor più del lettore,
accreditandolo come il candidato ottimale alla corona. È
stata fatta notare la corrispondenza tra il ritratto che
l'attendente fa di Davide e quello di Gige, leggendario re
della Lidia: anche Gige è giovane e bello, ottimo soldato
ed esperto di armi e cavalli, qualità che lo fecero
raccomandare al re Sadiatte, il quale lo nominò subito
sua guardia del corpo; ben presto però finirono per
suscitare la gelosia del re, che, come Saul con Davide,
affiderà a Gige compiti e prove sempre più pericolosi.
Pur spettacolare, il ritratto della bellezza rientra nel
topos di chi può ambire a diventare re.0 L'encomio è
analettico ma anche pro- lettico, e l'uditorio potrà
verificarlo in ISam 17-20.0 Oltre alle qualità di musico
cf. M. STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative. Ideological
Literature and the Drama of Reading (Indiana Literary Biblical
Series), Bloomington, IN 1985, 326; STOEBE, Das erste Buch
Samuelis, 307-310; W. DIETRICH - T. NAUMANN, Die
Samuelbiicher, Darmstadt 1995, 94.
0
Cf. HERTZBERG, Die Samuelbiicher, 112. Per VIRONDA, «Gli
inizi dell'ascesa di Davide (ISam 16,1-23)», 280, «la sintassi di
proposizioni nominali costringe il lettore e Saul a soffermarsi
estesamente sull'eletto citaredo». Per la bellezza come prerogativa
regale cf. ISam 9,2; 2Sam 14,25; IRe 1,6; Sai 45,3; cf. in proposito
S. MACWILLIAM, «Ideologies of Male Beauty and the Hebrew
Bible», in Biblical Interpretation 17(2009), 268.
0
Così J.T. WILLIS, «The Function of Comprehensive
Anticipatory Redactional Joints in 1 Sam 16-18», in ZA W 83(1973),
provetto, contempla doti tipiche di un re; l'ultima frase,
«YHWH è con lui» (v. 18), rimarca che non è più con
Saul. Questi è messo a nudo nella sua incapacità regale e,
contrariamente ad altri re malati (cf. 2Re 1,2; 8,7-8), è
succube di altri, ricalcando l'ironia del sovrano che
introduce a corte chi lo soppianterà. 0 Se la segnalazione
del servo: «Ho visto (;vaiti) il figlio di lesse» (v. 18)
risponde all'ordine di Saul di provvedere (re'u-nàr) un
musicista (v. 17), in realtà è l'attuazione della scelta di
YHWH (;vaiti, cf. ISam 16,1); ciò scagiona Davide dal
sospetto di essersi infiltrato come la classica serpe in
seno.0 Nel caso di Davide, la vacatio regni è causata da
una rimarcata vecchiaia e, nell'iniziativa dei ministri, il
lettore intuisce un gioco di potere che, dietro un
apparente sostegno, mira a manifestare non tanto la
virtuosa continenza del re, ma a provare che il suo tempo

295-301; ALTER, The David Story, 99.


0
Cf. FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, II, 135: «Mentre
Saul e la sua corte pensano di accogliere un musicista, la monarchia
dei Saulidi viene trascinata in un cavallo di Troia». Il topos è
esplicito nel testo greco di Est 8,12c-n.
0
Cf. STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 311: «È un piano di
YHWH, che si realizza tramite la proposta dei servi e consente a
Davide di entrare in questa linea»; cf. anche P.K. MCCARTER, «The
Apology of David», in JBL 99(1980), 489-504.
è finito. La loro iniziativa di cercare Abisag, la vergine
«più bella del reame» (vv. 3-4a) per riscaldare il re
arteriosclerotico - altro squarcio terapeutico nel mondo
del racconto -, evidenzia l'assenza di rapporti sessuali tra
lei e Davide (v. 4b). L'impatto è forte sul lettore memore
del Davide vigoroso e passionale di un tempo, ora spento
e manipolato.0 La frase «dorma sul tuo seno», usata per
Abisag (v. 2), può essere un'eco intertestuale che
richiama ironicamente quella di Natan nella condanna
dell'adulterio con Betsabea (2Sam 12,3). Abisag in tutto
il racconto non esprime parole o sentimenti, come la
concubina del levita in Gdc 19. Tuttavia, risulta incisiva
nella trama, perché, come Davide aveva segnato la fine di
Saul, Abisag marca quella di Adonia.0 Quando questi la
richiederà come moglie a Salomone, la sua richiesta sarà
0
Così, tra altri, BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 49-50;
K.L. NOLL, The Faces of David (JSOT.S 242), Sheffield 1997, 65. Si
ricordi la scena della mungitura richiesta dal vecchio padrone alla
ragazzina nel film Novecento (1976) di B. Bertolucci.
0
Cf. R.R. LOSCH, All the People in the Bible. An A-Z Guide to
the Saints, Scoundrels and others Characters in Scripture, Grand
Rapids, MI 2008, 7. M. GARSIEL, «Puns upon Names. Subtle
Colophons in the Bible», in JBQ 23(1991), 182-187, coglie nel
termine «sunamita» un'allusione al dormire {snh / nwm) di Abisag
con Davide; inoltre, ravvisa nell'insolito sintagma di IRe 2,22
«perché chiedi Abisag per Adonia ('bysg l-'dnyhw)?» l'evocazione di
Abisag come sgl = regina (cf. Sai 45,10; Ne 2,6).
artatamente interpretata come un atto di lesa maestà e di
subdola usurpazione del trono (cf. 2Sam 3,6-11; 16,20-
23), punita da Salomone con la morte.
1.4.2. In Est 1-2 TM, i consiglieri della corte
imperiale di Assuero sono la rampa inaspettata per
agevolare l'ingresso in scena della protagonista Ester. A
prima vista, sono attivati per risolvere la complicazione
del «gran rifiuto» di Vasti all'ordine del re di esibirsi per i
suoi convitati durante un banchetto (vv. 11-12), i cui
motivi restano elusi0perché l'essenziale è scartarla al più
presto dalla scena per creare il vuoto necessario a essere
colmato da Ester. La loro caratterizzazione risponde ai
gusti di un uditorio ellenistico; citati altrove
genericamente (Esd 4,5; 7,28; 8,25), qui sono selezionati
nel numero di sette con i loro nomi esotici, 0 come
«principi di Persia e di Media», «sapienti {hàkàmim),
0
ìoi per j Targumim di Est 1,12, Vasti rifiuta perché offesa dalla
proposta indecente e contraria alle usanze persiane, perché degradata
a concubina, o perché timorosa di suscitare la lussuria dei convitati,
che non avrebbero evitato di uccidere il re per averla.
0
1 sette consiglieri intimi del re, cf. Esd 7,14-15, sono attestati da
ERODOTO, Storie I, 107; III, 31,34.118; SENOFONTE, Anabasi I, 6,4.
VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 233 nota 30, trova che «non è
necessario cercare un significato simbolico a ognuno di questi nomi.
In un racconto fittizio gli uomini possono essere reali, il che fa
stagliare l'oggettività del mezzo non la realtà della storia narrata».
esperti di casistica (yòd'è haittìm),0 di leggi e di diritto
(yód'è dàt wàdìn)» che «siedono al primo posto nel
regno, vicini al re», che «guardano il suo volto (rò'è
penè)», come la cerchia intima del sovrano (cf. 2Re
25,19; Ger 52,25), competenze ottimali a suggerire le
misure da adottare per Vasti.0 Il narratore privilegia come
portavoce Memucan con la sua iperbolica arringa (vv.
16-20). Forse egli godeva di maggiore ascendente nel
consiglio, oppure il suo nome era il più facile da
ricordare, anche perché l'ultimo della lista. 0 Non si
0
D. BARTHÉLEMY (a cura di), Critique textuelle de lAncien
Testament, 1: Josué, Juges, Ruth, Samuel, Rois, Chroniques, Esdras,
Néhémie, Esther (OBO 50/1), Fribourg 1982, 576, adduce come
paralleli lCr 12,33 e 29,30; VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 235, e D.
CANDIDO, I testi del libro di Ester: il caso CFE/nntroitus TM 1,1-22
LXX Al,17; 1,1- 22, TaAl-18; 1,1-21 (AnBib 160), Roma 2005, 123,
sono concordi nel rigettare la vecchia interpretazione di «astrologi»;
considerata l'osmosi di sapienza, magia e astrologia nella cultura
persiana, forse la tesi più equilibrata è di J. SCHILDENBERGER, Das
Buch Esther, Bonn 1941, 59, per cui sono anche astronomi.
0
Per G. GERLEMAN, Esther (BKAT 21), Neukirchen-Vluyn
1973, 66, si tratta di termini che designano giuristi o consulenti
legali.
0
Leggendo nel v. 16 il qeré mmwkn, come nel v. 14, invece del
ketib mwmkn. Per l'ascendente cf. Targum II e b. Meg 12b, secondo i
quali, pur essendo il più giovane, era il primo dinanzi al re. Per la
facilità memotecnica cf. H.S. GEHMAN, «Notes on the Persian Words
in the Book of Esther», in JBL 43(1924), 325, il quale rileva che nel
persiano il suo nome è comune, mentre gli altri sono tutti hapax
legomena. Altri propendono invece decisamente per il nome-gancio,
come ad esempio VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 237; W.
acclara il suo movente. Per alcuni, egli nutriva rancore
verso Vasti e voleva stornare la sua vendetta.0 Per altri è
la longa manus di Assuero che voleva sbarazzarsi della
moglie, fatto verosimile, data la nota volubilità dei
sovrani persiani.0 Ciò che conta, è la sua progressiva
esautorazione di Vasti, nel chiamarla prima «regina» (vv.
16.17), poi solo per nome (v. 19), paventandola come una
minaccia per la nazione (v. 16), preparando alla sua
sostituzione con «un'altra migliore di lei» (v. 19). Assolto
il compito, Memucan sparisce, destando così curiosità e
attese su chi subentrerà a Vasti; dialetticamente, dipinge
un Assuero che confonde problemi personali con quelli
politici, delegandoli ai subalterni.
Il lettore ghigna per la ridicolizzazione della
pachidermica burocrazia persiana, per il timore di
DOMMERSHAUSEN, Die Estherrolle, Stuttgart 1968, 31.
0
Così il Targum II e b. Meg 12b. Per Flavio Giuseppe, invece,
Assuero era innamorato di sua moglie, ma dovette cedere alla ragion
di Stato. GERLEMAN, Esther, 64, nota: «Per il narratore l'unica cosa
importante è che la disobbedienza al re e ai suoi consiglieri venga
percepita come iniqua e biasimevole, perché l'autorità del re viene
messa a rischio dinanzi a tanti ospiti».
0
Cf. CANDIDO, I testi del libro di Ester, 126: «La domanda di
Assuero indica già un certo approccio alla sua soluzione». Cf. anche
A. MEINHOLD, Das Buch Esther, Ziirich 1983, 28. Per qualche
rabbino Memucan era Aman travestito che voleva vendicarsi perché
Vasti non aveva invitato sua moglie al suo banchetto.
un'emula insubordinazione femminile, laddove un
problema domestico si trasforma in affare di Stato, (vv.
17-18), probabile indizio di un problema esistente
all'epoca della stesura del racconto.0 Memucan avrebbe
figurato ottimamente nella Lisistrata di Aristofane,
allorché si stigmatizza lo sciopero erotico con la diversa
motivazione di incitare i loro sposi a cessare le guerre. Il
lettore non può evitare la sensazione che Assuero,
apparentemente sovrano assoluto, in realtà è manipolato
dai suoi eunuchi, compiacenti nell'assecondarlo nei suoi
istinti e capricci. La scena si prolunga in una seconda,
con i cortigiani del re0 che consigliano la ricerca della
sostituta di Vasti, analoga a quella di 1 Re 1,1-4, ma con
la differenza che si tratta della futura regina e non di
un'assistente. Nel preludio alla sfilata che vede Ester
spuntarla su tutte (2,8-17), è l'eunuco Egai, responsabile
0
Aspetto segnalato da molti, in particolare cf. O'CONNOR,
«Humour and Turnabouts and Survival in the Book of Esther», 58-
61, che mette in risalto l'ottusità di Memucan come riflesso di quella
del re, facendosi difensore di una legge da non violare; in tal senso a
p. 61 cita il detto di Mister Bumble di Oliver Twist di C. Dickens:
«La legge è un asino/idiota».
0
per VÌLCHEZ LÌNDEZ, Ruth y Ester, 243, si tratta probabilmente
degli stessi ministri di Est 1. Si noti comunque che sono sempre dei
subalterni che favoriscono altri sudditi, manipolando
umoristicamente il re.
dell'harem e confidente di Assuero, che funge da
pigmalione di Ester (2,9.15), a pilotare la scelta del re,
anch'egli ignaro strumento della regia divina, che nel
testo masoretico resta elusiva.
1.4.3. In ISam 6 il problema è costituito dal danno
che sta causando l'arca dell'alleanza catturata dai filistei.
Per la soluzione, sono escogitati i sacerdoti e indovini del
posto0 come scorciatoia per il ritorno dell'arca in Israele e
per dimostrare in modo incontestabile che la sua potenza
deriva da YHWH. La loro consultazione collima con la
rinomata arte divinatoria filistea (cf. Is 2,6) e il loro
programma catalizzatore occupa quasi tutta la scena (vv.
2-9). Molti esegeti vi ravvisano inserzioni redazionali;
nel racconto attuale funziona da doppio test,0 con
0
1 LXX aggiungono un terzo gruppo di «maghi», cui 4Sam a acclude
«divinatori»; cf. FLAVIO GIUSEPPE, AG VI, 8-10, elimina i maghi e
gli indovini, parla genericamente di persone sagaci ed esplica la
storia in modo più razionale; i consiglieri intervengono in una
contesa tra due partiti filistei, il primo a favore del rinvio dell'arca,
che riteneva Dio la causa dei mali, mentre il secondo era contro il
rinvio, pensando a una pura accidentalità naturale, da sopportare
stoicamente.
0
Per altri tipi di test oggettivi, cf. Gen 28,20-22; 42,15; Nm
16,16-35; 17,16-25; Gdc 6,33-40 e 7,4-7; ISam 14,8-13; IRe 10; 18;
22,28; Dn 1,12. Si vedano pure riferimenti a ordalie come Nm 5,11-
18; Es 22,9; ISam 14,41 (LXX). Nel NT citiamo la figura
emblematica di Tommaso (Gv 20,24-29) e testi come Gv 8,6; 2Cor
8,8; Mt 16,1; 22,35 e paralleli.
un'offerta riparatoria per accertare se l'epidemia che li ha
colpiti è casuale o causata dall'arca (vv. 3-5), poi il
trasporto su un carro affidato a due vacche allattanti, mai
aggiogate, separate dai piccoli e fatte partire
spontaneamente (vv. 7-9), prova apparentemente
insormontabile poiché ci si aspetterebbe il loro istintivo
ritorno dai propri vitellini.0
Il testo è ellittico riguardo alla tecnica divinatoria
con cui i sacerdoti e gli indovini hanno ottenuto questo
responso; per qualcuno0 il loro consiglio è suggerito dal
Signore, ma il testo resta silente, più attento a far scattare
la veridizione da parte dei filistei, ma soprattutto del
lettore (v. 11), creando tensione, prima della sorpresa di
vedere le vacche raggiungere senza deviazioni il
territorio israelita. Intertestualmente, il narratore sfrutta la
loro voce per dipingere il ritorno come un nuovo esodo,
0
In FLAVIO GIUSEPPE, AG VI, 11, le vacche invece vengono
condotte a un trivio e poi lasciate andare spontaneamente, attenuando
la portata del miracolo.
0
Così BRESSAN, Samuele, 119: «Essi erano senza dubbio degli
idolatri [...] ma senza dubbio era il Signore che suggeriva loro le
parole affinché disponessero tutto in modo che ne venisse a lui il
massimo onore; più o meno come aveva fatto con Balaam». Tuttavia,
per Balaam c'è una precisa ispirazione del Signore (Nm 22-24), che
qui è completamente assente, così come accadrà per la sua asina (Nm
22,21-35), a differenza delle vacche che guidano il carro dell'arca.
fatto già noto ai filistei (cf. ISam 4,8) mediante una
fraseologia allusiva,0 invitandoli espressamente a non
cadere nell'ostinazione degli egiziani (v. 6). In tal senso,
una corrispondenza non rilevata è che le vacche non
deviano né a destra, né a sinistra, ma vanno dritte verso
Bet-Shemesh («la casa del sole», v. 12), come gli israeliti
quando attraversarono il mare verso est (Es 14,22).0 In un
solo colpo il narratore consegue due effetti ironici: a) fa
che siano dei sapienti nemici a facilitare il ritorno
dell'arca in terra d'Israele; b) si serve del loro arduo test
per mettere in rilievo il potere dell'arca e dell'occulta
regia che la guida.
1.4.4. In 2Re 7,13-15, quando il re di Samaria non
ritiene credibile o paventa, come Laocoonte, una trappola
greca la notizia della fuga degli assedianti aramei (v. 12)
riportata dai lebbrosi, il narratore escogita un anonimo

0
Le allusioni all'esodo sono state notate da A. BENTZEN, «The
Cultic Use of the Story of the Ark in Samuel», in JBL 67(1948), 48;
cf. tra altri STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 143. Per contatti di
vocabolario cf. «sterminare» (ISam 6,5; Es 12,23), «peso» (ISam
6,5.6; Es 14,18), «ostinarsi» (ISam 6,6; Es 13,15; 14,1),
«maltrattare» (ISam 6,6; Es 10,2), a cui possiamo aggiungere la
mano di YHWH (ISam o,9; Es 14,31) e gli oggetti d'oro (ISam 6,8;
Es 12,35).
0
Al riguardo rinviamo a SKA, Le passage de la mer, 128-136.
ufficiale del re di Samaria come l'espediente per
districare la trama dall'impasse, ovviando al disappunto
del lettore che è al corrente della fuga degli Aramei e
pregustava la vittoria (vv. 5.6). L'ufficiale serve a
prolungare la scommessa pascaliana dei lebbrosi,
suggerendo, con il suo buon senso antitetico alla cautela
del re, di tentare il tutto per tutto, con una perlustrazione
che, oltre a descrivere lo stremo della città, conferma la
fuga e la profezia d'Eliseo sulla fine dell'assedio (v. 1).
1.5. Consiglieri inascoltati
L'introduzione di consiglieri inascoltati - altro
motivo folklorico0 - echeggia il punto di vista del
narratore rispetto a quelli contrapposti del protagonista,
interpellando il lettore a soppesarli e a schierarsi.
1.5.1. In Gdc 19 un insolito consigliere inascoltato
è il servo di un levita, in un viaggio di andata e ritorno
per recuperare la sua concubina fuggita a Betlemme per
motivi che restano ignoti, poiché non devono distrarre i
lettori dalla posta in gioco del racconto, che verte su un
0
II topos è frequente: cf. Il XXII, 90; Eneide II, 40-50.246-249;
ESCHILO, Sette contro Tebe 712-721; EURIPIDE, Ippolito 88-120,
oltre alle figure che costellano la Fedra di Seneca; cf. anche
Marianna e Dorina nel Tartufo di Molière, il grillo parlante, la fatina
e Geppetto nel Pinocchio di C. Collodi.
infame stupro. Vale la pena di sottolineare che
l'anonimato di tutti gli attori mette in evidenza i nomi
delle città, cui va l'interesse del narratore. Nella prima
parte del viaggio in cui il levita va a recuperare la sua
concubina fuggita a Betlemme, il servo funge da
accompagnatore introdotto da una circostanziale («e il
suo servo con lui», wena'àrò 'immò, v. 3) che lo relega a
una mera comparsa.0 Se il narratore lo fa parlare una sola
volta nel ritorno,0 affidandogli il ruolo di sparring
partner, è perché vuole costruire una scena preparatoria
spiazzante. Infrangendo la gerarchia, il servo consiglia di
pernottare nella vicina città dei gebusei (v. 11) a causa
della notte incombente, dando spicco al rifiuto del levita
che opta invece ben due volte per città israelite come

0
Così H.W. JÙNGLING, Richter 19. Ein Plàdoyer fiìr das
Kónigtum. Stilistische Analyse der Tendenzerzàhlung Ri 19,l-30a;
21,25 (AnBib 84), Rome 1981, 97. Alcune versioni aggiungono il
servo anche nel v. 10, sulla scia dei LXX nella recensione lucianea e
della Siroesaplare; manca però nel TM e nelle versioni antiche.
0
Cf. ivi, 169; J.P. FOKKELMAN, «Structural Remarks on Judges
9 and 19», in M. FISHBANE - E. Tov (a cura di), «Shar'arei Talmon»:
Studies in the Bible, Qumran and the Ancient Near East Presented to
Shemaryahu Talmon, Winona Lake, IN 1992, 41. Per R.G. BOLING,
Judges (AB 6A), New York 1975, 275, il servo esercita un ruolo-
cardine, ma non spiega il perché.
Gabaa o Rama (vv. 12-13).0 Dato l'esito, il dialogo
poteva esser omesso, passando dal v. 10 al v. 14b; qui
costringe il lettore a ponderare la risposta del levita.
Forse l'assenza di replica del servo indica che il levita,
dopo una breve riflessione, è convinto di sé, ma, più
probabilmente, la ripresa è indice di un'aggiunta
redazionale,0 che nel testo attuale ristabilisce la gerarchia
infranta. Si può notare, con sensibilità moderna e cara
all'esegesi femminista, la marginalizzazione della con-
cubina, per nulla consultata, anzi considerata alla stessa

0
Cf. JÙNGLING, Richter 19. Ein Plàdoyer fiìr das Kónigtum,
155: «Generalmente, è il padrone, che prende per primo la parola e
impartisce ordini al servo o perlomeno fa la proposta per azioni
ulteriori [...]. Il fatto è ancor più degno di nota, perché il padrone del
racconto sino a ora non ha parlato a nessuno». FLAVIO GIUSEPPE, AG
V, 136-141, amplifica diegeticamente la paura del servo nel
paventare pericoli.
0
Così BAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 43-45, per cui il
doppio «e disse» (wayyò'mer) può indicare nessuna possibilità di
replica del servo (cf. IRe 2,42-44), o che il levita si prende una pausa
di riflessione (cf. Gdc 11,36-37), il peso della sua decisione (cf.
2Sam 11,7-8), oppure un'affermazione generica di propri desideri
(cf. 2Sam 15,3- 4). Propendono per la ripresa redazionale S.A.
MEIER, Speaking of Speaking. Marking Direct Discours in the
Hebrew Bible (VT.S 46), Leiden 1992, 76-78, che contesta Efrat; lo
contesta anche G. FISCHER, Jahwe, Unser Gott: Sprache, Aufbau und
Erzdhltechnik in derBerufung des Moses (OBO 91), Freiburg 1989,
41-45.
stregua degli asini, in un mondo che resta declinato al
maschile.0
L'effetto drammatico più importante del discorso
del levita è un interludio che induce il lettore ad
approvare la sua scelta e immedesimarsi nella sua
fierezza etnica (v. 18). Ma è la quiete prima della
tempesta, che genera l'ironia tragica del racconto,0 perché
sarà tale decisione a fargli sperimentare a Gabaa
un'antipatica inospitalità (v. 15), il tentativo di violenza
personale e lo stupro della sua concubina (vv. 22-25).
Quel che egli temeva in una città cananea accade proprio
in una città israelita, dipinta intertestualmente come un
duplicato di Sodoma (Gen 19)!0
Senza questo interludio, il lettore non sarebbe stato
scioccato dal colpo di scena che stravolge il copione

0
Così ad esempio P. TRIBLE, Texts of Terror. Literary-Feminist
Readings of Biblical Narrative, Philadelphia, PA 1984, 70: «Se
l'attendente è subordinato al padrone, lei è inferiore a entrambi»,
come rileva pure REINHARTZ, «Why ask My Name?». Anonymity and
Identity in Biblical Narrative, 125.
0
Così STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative, 309;
JÙNGLING, Richter 19. Fin Pladoyer fiXr das Kónigtum, 170.
0
Già notato dai rabbini e dai padri, cf. fra altri S. LASINE,
«Guest and Host in Judges 19: Lot's Hospitality in an Inverted
World», in JSOT 29(1984), 37-59; NIDITCH, Judges: A Commentary,
192-193.
immaginato; dietro la voce del servo rifiutata dal levita, il
narratore prepara i lettori ad accettare Je-
bus/Gerusalemme come la città scelta da Dio per futura
capitale, rispecchiando il sogno di una convivenza
pacifica contro ogni pregiudizio razzista. Ma se è di
buona memoria, non può scordare che l'inospitale Gabaa
è il luogo nativo di Saul, mentre l'accogliente Betlemme
quello di Davide, per cui potrebbe insinuarsi una
polemica non troppo velata.0 Per il momento - e lo reitera
l'inclusione tra Gdc 19,1 e 21,25 - questo è quel che
succede in un tempo in cui non «c'è re in Israele».
1.5.2. In Es 10 i consiglieri inascoltati sono i
ministri del faraone (v. 7); se nelle sette piaghe
precedenti figuravano come comparse- testimoni, 0

0
Cf. M. Avioz, «The Role and the Significance of Jebus in
Judges 19», in BZ 51(2007), 249-256. G.T.K. WONG, Compositional
Strategy of the Book of Judges. An Inductive, Rhetorical Study (VT.S
111), Leiden 2006, 29-.r|0, parla di Jebus presentata come foil per i
beniaminiti di Gabaa ed evidenzia la paranoia xenofobica e il
pregiudizio razziale del levita; così pure FOKKELMAN, «Structural
Remarks on Judges 9 and 19», 44- 45. Sull'importante ruolo dello
spazio topografico per la polemica Saul-Davide, cf. J.-P. SONNET,
«L'espace dans le récit de la Bible: repères théoriques»,
pubblicazione on line sul sito del RRENAB
(http://www.unil.ch/rrenab), 6.
0
Come testimoni cf. 7,10.20; 8,20.27; 9,11.34; come
destinatari dei flagelli cf. 7,28.29; 8,5.7.17.25; 9,14.30; 10,6.
parlano solo ora perché funzionali allo snodo della trama,
perché la trattativa tra Mosè e il faraone si è interrotta e
l'ottava piaga è stata preannunciata come più grave (vv.
3-6). Flavio Giuseppe non li menziona, tranne un vago
accenno finale ai notabili egiziani (AG II, 293), e Filone
li fa intervenire soltanto dopo che la piaga ha colpito
(Vita di Mosè 1,120). Qui invece modificano la sequenza
stereotipata e parlano prima per costruire un'intensa scena
preparatoria.0
Come entourage del faraone separato dal popolo,0
sono competenti e autorizzati a sollevare una questione
riguardante non solo lui, ma l'Egitto intero minacciato da
un pericolo; la loro audacia può essere giustificata
dall'esperienza della piaga precedente della grandine, che
alcuni di loro avevano preso sul serio (Es 9,20-21);
stavolta, il loro fronte è compatto e il loro consiglio
rasenta l'accusa, riprendendo ironicamente il «fino a

0
Così M. GREENBERG, Understanding Exodus. The Heritage of
Biblical Israel, New York 1969, 163; J. DURHAM, Exodus (WBC 3),
Waco, TX 1987, 136.
0
Cf. J. VERGOTE, Joseph en Égypte: Genèse chap. 37-50 à la
lumière des études égyptologiques récentes (OBL 3), Leuven 1959,
45-48.
quando?» lanciato da Mosè nel v. 3.0 Vari commentatori
colgono disprezzo nella definizione degli israeliti come
«uomini», come pure nel pronome «questo» (zeli) riferito
a Mosè, definendolo per la prima volta una
«trappola/sfortuna» (cf. Es 23,33; Gdc 2,3; ISam 18,21;
Am 3,5) per il Paese. Il fatto che non coinvolgano
Aronne mira a spostare il riflettore su Mosè.0 Spingendo
il faraone alla prima vera trattativa con Mosè, essi
servono soprattutto a porre il lettore dinanzi alla posta in
gioco che verte su chi è il vero sovrano d'Israele. Il loro
invito a lasciare la sovranità a YHWH (v. 7) sembra
incompatibile con la loro ostinazione iniziale (Es 10,1;
cf. 9,34). La rilettura midrashica a

0
per DURHAM, Exodus, 136: «L'appello appassionato dei
cortigiani al faraone denota un'accusa»; così pure DOZEMAN,
Exodus, 242. V.P. HAMILTON, Exodus, Grand Rapids, MI 2011, 156,
lo vede come un'espressione che rinvia a qualcosa che è talmente
ovvio ed evidente da non poter essere ignorato.
0
HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13,106 traduce «uomini» nel senso
di «quei buoni a nulla»; non viene usato «popolo» e il plurale può
indicare gente/persone, ma anche riferirsi ai soli maschi, come
preciserà il faraone nel v. 11. Sul «costui» riferito in tono sprezzante
a Mosè cf. B. JACOB, Das erste Buch der Torah: Genesis, Berlin
1934, 288; HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13, 105. DURHAM, Exodus, 131,
lo riferisce all' impasse creatasi; PROPP, Exodus 1-18, 337, sulla scia
dei LXX preferisce riferirlo alla detenzione degli israelii.
Es 1,15 lo spiegherà riallacciandosi a un sogno
avuto dal faraone sulla nascita di un figlio che sarebbe
stato la rovina dell'Egitto. Al solito, l'esigenza
drammatica scavalca quella della verosimiglianza, per
portare il confronto all'acme. La critica dei ministri
egiziani rientra in una serie di avvertimenti al faraone che
la sua è una battaglia perduta.0 Se costoro hanno capito
gli eventi, significa che il piano di Dio è comprensibile e
solo il faraone si ostina a non capirlo. Il lettore può non
scartare una sua capitolazione, ma il seguito mostra che è
stata una chance illusoria. Se il loro consiglio fosse stato
accettato, la storia avrebbe preso un'altra piega; invece,
deve proseguire secondo il disegno di Dio.
I ministri come agenti di contrasto evidenziano la
caparbietà e l'arroganza del faraone, che lotta non solo
con Mosè, ma addirittura con loro. L'uditorio di sempre
gongola nel sentire caratterizzato dalle loro autorevoli
voci un Mosè determinato, sullo stesso piano del faraone,

0
Cf. Es 8,14-15; 9,20.21; cf. l'ammissione di sconfitta in
11,3.8. M. STERNBERG, Hebrews Between Cultures: Group Portraits
and National Literature, Bloomington, IN 1998, 151, commenta:
«Quanto più le piaghe si moltiplicano, tanto più le falle in campo
egiziano». HAMILTON, Exodus, 158, parla del «castello di sabbia del
faraone che crolla».
curiosi di sapere come sarà una «trappola» (v. 7) per
l'Egitto.0
1.6. Consiglieri strumentalizzati
Talvolta compaiono consiglieri strumentalizzati da
un mandante, che resta il vero catalizzatore dietro le
quinte. Tralasciando agenti meramente ripetitori (cf. Gdc
9,1-5; ISam 18,20.26), ci soffermiamo su due secondari,
che assurgono per l'importanza del plot a comprimari.
1.6.1. Il racconto di 2Sam 14 vede Ioab, generale di
Davide, che vuole far ritornare a corte Assalonne, reo
dell'assassinio di suo fratello Amnon e per questo bandito
da suo padre Davide. Per convincere Davide, il narratore
presenta Ioab come il protagonista manipolatore, che si
serve di una donna di Tekoa, opportunamente pilotata. Il
testo è ellittico sul movente e varie sono le ipotesi:
a) Ioab vuol togliere le castagne dal fuoco a
Davide, che aveva mutato atteggiamento verso suo figlio;

0
GREENBERG, Understanding Exodus, 164: «Mosè si rivela
l'avvocato inflessibile di una posizione che sfida i consolidati
rapporti di potere politico»; HOUTMAN, Exodus 1,1-7,13: «Il lettore
ammira di nuovo Mosè per la sua autodeterminazione [...] e il modo
in cui intima che il gioco tra gatto e topo non può più continuare per
sempre».
b) ha capito che Assalonne restava il candidato alla
successione, per cui cerca di ingraziarselo;
c) vuole controllarlo, perché costituiva un soggetto
pericoloso; di fatto, sono tutte plausibili per la sua
Realpolitik.0
La donna è dipinta funzionalmente al copione:
proviene da Tekoa, per cui Davide non dovrebbe
conoscerla; è saggia (hàkàmàh), cioè abile nell'arte
persuasiva; l'espressione «cercare una donna saggia» può
indicare per Claudia Camp che ve ne fossero altre, ma
evidentemente essa aveva più talento retorico;
l'anonimato evidenzia la sua funzione e il suo
abbigliamento vedovile (vv. 2.5) rende credibile il caso
fittizio di vendetta che esporrà per commuovere Davide.0
0
Per tali spiegazioni che spesso si compenetrano cf.
HERTZBERG, Die Samuelbu- cher, 272; STOEBE, Das zweite Buch
Samuelis, 340; ROSSIER, L'intercession entre les hommes dans la
Bible hébraïque, 148-150.
0
Per C.V. CAMP, «The Wise Women of 2 Samuel: A Role
Model for Women in Early Israel», in CBQ 43(1981), 14-29, la
tekoita godeva della stessa autorità della maacaita, ma ciò si evince
solo per quest'ultima. FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans
l'Ancien Testament, 143, nega il suo ruolo di prèfica, tesi sostenuta
da F. STOLZ, Das erste und zweite Buch Samuel, Ziirich 1981, 251.
Per G. NICOL, «The Wisdom of Ioab and the Wise Woman of
Tekoa», in Studia Theologica 36(1982), 97-104, il vero saggio è
proprio Ioab. STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 342, nota: «La
prolissità della donna è solo apparente; essa è dovuta alla difficoltà
Il lettore non ha il privilegio di anticipazioni; sa
solo che Ioab ricorre a un inganno e, benché in una
posizione superiore a quella di Davide, visto che conosce
il retroscena, deve scoprire con lui il contenuto della sua
intercessione (v. 3), ascoltandola con un orecchio
diverso.0La donna non è pagata come una prèfica di
mestiere, ma deve solo eseguire una missione, con un
vestito di lutto che richiama piuttosto quello del re che ha
«perso» un figlio. Ovviamente non può dare ordini al re,
ma agisce in modo maieutico, con tutta la deferenza
dell'etichetta di corte (v. 4). In gioco, al contrario di
quanto pensano vari autori, non ci sono i suoi sentimenti,
ma la missione di Ioab.0

del caso giuridico, in cui la decisione non può essere automatica


senza comportare problemi».
0
Ben rilevato da STERNBERG, The Poetics of Biblical Narrative,
314; BRESSAN, Samuele, 611; A. WÉNIN, «Le jeu de l'ironie
dramatique dans les récits de ruse et de tromperies», in A. PASQUIER
- D. MARGUERAT - A. WÉNIN (a cura di), L'intrigue dans le récit
biblique. 4e Colloque international du RRENAB, Université Laval-
Québec, 29 mai-1 juin 2008 (BEThL 237), Leuven 2010, 163-164.
0
Contro STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 339, che parla di
tristezza e umiltà, o F. STOLZ, Das erste und zweite Buch Samuel
(ZBK 9), Ziirich 1981, 161; forse si tratta di H.J. STOEBE, Das
Zweite Buch Samuelis (KAT VIII/2), Gutersloh 1994, 339 che insiste
sulla modestia; K. ENGELKEN, Frauen im Alien Israel (BZAW 130),
Stuttgart 1990, 130, che parla di sottomissione ossequiosa.
La sua supplica di aiuto richiama la parabola
giuridica di Natan (2Sam 12,1-13)0 in cui l'accusa sfrutta
lo sdoppiamento dell'accusato per suffragare la propria
verità, ma con differenze dovute ai propri obiettivi. Se
Natan si limitava a un problema di «rivelazione» della
colpa del re, anche la donna la rivela (v. 13), ma catalizza
la «soluzione» (v. 14b);0 se Natan parlava in nome di
YHWH, la donna si avvale del buon senso; inoltre,
l'applicazione del suo caso a Davide (vv. 12-14) è più
rischiosa di quella del profeta. Per alcuni0 la ripresa del
suo caso personale (vv. 15-17) sarebbe incoerente, per
cui la spostano subito dopo il v. 7, non cogliendo la
tecnica a mo' di bambola russa; infatti, di primo acchito,
nella sua fiction la tekoita intercede presso il re in favore
di suo figlio, ma in realtà lo fa per Assalonne, riflettendo

0
per ii caso fittizio, cf. C. WESTERMANN, Grundformen
prophetischer Rede, Miinchen 1960, 145; altri esempi 2Sam 12,1-7;
IRe 20,35-43; cf. anche Is 5,1-7; Ger 2; Ez 23.
0
CF. STERNBERG, THE POETICS OF BIBLICAL NARRATIVE, 429-
430; L. ALONSO SCHÒKEL, «DAVID Y LA MUJER DE TECUA: 2 SAM
14 CORNO MODELO HERMENEUTICO», IN BIB 57(1976), 196-197;
BAR EFRAT, NARRATIVE ART IN THE BIBLE, 149.
0
Così BUDDE, Die Biicher Samuel, 267; MCCARTER, 2 Samuel,
345; ACKROYD, The Second Book of Samuel, 131-133.
le preoccupazioni di Ioab per un diniego che potrà avere
conseguenze nazionali (v. 16).0
Il lettore si chiede se la donna, che ha già convinto
il re sul suo caso fittizio, la spunterà su quello reale del
contro-interrogatorio di Davide, che sospetta la longa
manus di Ioab, confermata dalla tekoita. Il gap se essa sia
colta in contropiede e risponda di propria iniziativa o im-
beccata da Ioab (cf. 2Sam 11,20)0 è irrilevante, poiché è
stata scelta apposta. Sul piano drammatico, è più incisivo
ritardare la svolta, incuriosendo il lettore sulla reazione di
Davide. Per il narratore, l'essenziale non è svelare se il re
ha compreso la fiction, bensì soffermarsi sulla sua
decisione di seguire il consiglio di Ioab (v. 21); egli
avrebbe potuto risparmiarci la tekoita e condensare il
racconto in «Assalonne, per intercessione di Ioab, potè

0
Secondo HERTZBERG, Die Samuelbucher, 273, «questa
tecnica avrà fatto ridere sotto i baffi il lettore antico, giacché anche
oggi un orientale ricorrerebbe al medesimo espediente: d'altro canto,
le parole della donna nascondono un doppio senso». CAMPBELL, 2
Samuel, 134, sottolinea l'abilità diplomatica della tekoita ma anche il
rischio che affronta.
0
A.A. ANDERSON, ^ Samuel (WBC 11), Dallas, TX 1989, 187,
la trova mancante di autonomia e la reputa una marionetta; la
FISCHER, Femmes sages et dame Sagesse dans VAncien Testament,
47, ne valorizza l'esperienza diplomatica per una missione così
delicata.
ritornare a Gerusalemme», ma il lettore sarebbe stato
privato di una caratterizzazione dei personaggi. La
tekoita serve dunque a un duplice effetto: quello di
coinvolgere il lettore in una decrittazione della sua
strategia, aumentando la suspense e la curiosità, e quello
di caratterizzare un Davide paziente nei suoi confronti e
non ingenuo riguardo a Ioab, anche se non sappiamo se
riottoso a capire. Quanto a Ioab, essa è veicolo della sua
scaltrezza e prudenza, preparandogli un ingresso in scena
senza timori.
L'elogio della donna a Ioab come capace di
«mutare il corso degli eventi» (v. 20) - potere
squisitamente divino (cf. IRe 12,15) - e quello a Davide,
paragonato per saggezza a «un angelo di Dio» (vv.
17b.20), con il senno di poi risulteranno ironicamente
illusori e smentiti, perché creeranno i presupposti della
ribellione di Assalonne. Di nuovo, una saggezza umana
si rivela alla lunga, nel gioco delle libertà, strumento di
quella misteriosa di Dio. Ma c'è di più nell'ideologia del
mondo del racconto: la donna, madre, mette in crisi il
diritto riconosciuto alla vendetta di sangue. Così come fa
Rut, questo appello/sfida ridona possibilità ai più poveri
dei poveri, nel nostro caso a dei perdenti, di ricominciare
a vivere. Quest'arte tutta femminile di far comprendere
aiuta a eliminare la disumanità del ciceroniano summum
ius summa iniuria.
1.6.2. In Ne 6,10-13 cambia l'impatto drammatico,
perché solo alla fine il lettore scopre con un colpo di
scena che il profeta Semaià è stato prezzolato da nemici
contro Neemia. Il contesto più ampio è la ricostruzione
delle mura di Gerusalemme da parte dei rimpatriati
dall'esilio sotto la guida di Neemia, che devono
fronteggiare l'ostilità e i sabotaggi del popolo rimasto nel
Paese. Caso raro nell'AT, è la stessa voce narrante il
protagonista che fa capire, con la già vista autorevolezza
omodiegetica, di selezionare un agente di contrasto
credibile, tra altri adducibili (cf. v. 14). Semaià,
consigliere strumentalizzato e inascoltato, è funzionale a
far stagliare il coraggio e l'incorruttibilità di Neemia. Non
si chiarisce perché Neemia vada a visitare Semaià (v.
IO),0 unico caso in cui si reca a casa di un profeta.

0
Per L.W. BATTEN, A Critical and Exegetical Commentary on the
Book of Ezra and Nehemiah (ICC), Edinburgh 1913, 255, è
probabile che Neemia dipendesse in qualche misura dai profeti,
capaci di informarlo sui movimenti dei nemici.
Il nome Semaià non sembra avere un particolare
impatto ominoso e il suo patronimico non lo confonde
con altri omonimi. Diversi autori hanno cercato di
individuare indizi per attribuirgli una stirpe sacerdotale e
una fama eminente in Gerusalemme, vista la sua facilità
di accedere al tempio, ma si tratta di congetture non
suffragate dal testo.0 La sua condizione di «rinchiuso»
('àsur, v. 10) è variamente interpretata:0
a) si trovava in stato d'impurità o segregato per voto;
b) era depresso o in estasi;
c) voleva anticipare il rinchiudersi di Neemia nel
tempio per sfuggire all'assassinio;

0
Cf. Esd 8,13.16; 10,21.31; Ne 3,29; 10,9; 11,15;
12,6.18.34.35.42. Per LOSCH, All the People in the Bible, 398, è un
gerosolimitano preminente e un falso sacerdote, come sostiene pure
H.G. WILLIAMSON, Ezra. Neemiah (WBC 16), Waco, TX 1985, 258.
È arzigogolato pensare che il suo nome («YHWH ascolta») alluda
alle dicerie presso la gente e il re (w. 6-7) come suggerisce C.
BALZARETTI, Esdra e Neemia, Milano 1999, 137 nota 6. Non va
escluso un richiamo intertestuale al falso profeta Semaia di Ger
29,24-32.
0
per IE varie ipotesi, rinviamo a J.P. WRIGHT - J. MILGROM,
«'àsar», in TWAT, VI, 335-336; W. RUDOLPH, Esra und Nehemia
(HAT 20), Tubingen 1949, 135-137; J. BLENKINSOPP, Ezra-
Nehemiah (OTL), London 1988, 270-271. Per R. ALTHANN,
«Shema- iah», in ABD, V, 1200, l'espressione «rinchiuso» potrebbe
essere un caso di identificazione ritardata.
d) la reclusione mirava a ingannare Neemia,
fingendosi perseguitato dagli stessi avversari.
La prima soluzione va scartata, poiché l'impurità
non permetteva il contatto con altre persone e cozza
contro la proposta di Semaià di recarsi nel santuario (v.
10). La seconda non ha basi filologiche, perché il verbo
impiegato ('sr) non designa mai un'estasi. La terza è
incongrua, perché egli stesso propone di richiudersi nel
tempio e il verbo è diverso (ci si aspetterebbe un sàgur).
Per l'ultima, è più semplice pensare a un Semaià chiuso
dentro casa, in contrasto con i precedenti tentativi di
abboccamento degli avversari di Neemia all'aperto e fuori
Gerusalemme (vv. 1-9). Il testo evade questi gaps per
soffermarsi sul suo consiglio formulato a mo' d'oracolo
profetico.0 Per alcuni autori0 è un invito a Neemia di
avvalersi del diritto d'asilo (cf. Es 21,14; IRe 1,50), ma

0
BLENKINSOPP, Ezra-Nehemiah, 271, nota che «il suo
messaggio è espresso con versi seri o burleschi in ciò che ben
potrebbe essere inteso come una parodia di un discorso profetico».
0
Cf. C. FENSHAM, The Book of Ezra and Nehemiah, Grand
Rapids, MI 1982, 204 e A.H.J. GUNNEWEG, Nehemia, Giitersloh
1987, 98. Contrari sono BATTEN, A Critical and Exegetical
Commentary on the Book of Ezra and Nehemiah, 258; D.J.A.
CLINES, Ezra, Nehemiah, Esther (NCB), Grand Rapids, MI 1984,
175; BLENKINSOPP, Ezra-Nehemiah, 270-271.
questo non regge, giacché Neemia non aveva commesso
reati; inoltre, Neemia disponeva di un corpo di guardia
personale, per cui non aveva ragioni di temere. Per altri, 0
Semaià voleva proclamarlo re, istigandolo a
impossessarsi del tempio come roccaforte e provargli la
sua solidarietà. Queste spiegazioni cozzano con la se-
gretezza di un evento che doveva essere pubblico e con
l'assenza di un contingente militare; è palmare invece la
sua interpretazione come invito alla fuga, che offre a
Neemia l'occasione di difendersi da accuse di codardia e
di sacrilegio (vv. 12-13), le quali avrebbero infangato la
sua leadership, giacché, essendo laico, avrebbe violato
l'interdetto di entrare nell'area sacra del tempio, punibile
con la pena di morte (cf. Nm 18,7; 2Cr 26,16-20).
C'è un'ellissi su come Neemia lo abbia
smascherato. Visti i legami del nemico Tobia con il
personale del tempio, Neemia non poteva aspettarsi di
uscirne vivo; ma, pur plausibili, il lettore saprà di questi
legami solo dopo (cf. 13,4-9). Semaià sparisce senza
diritto di replica; il lettore si chiede se sia andata così,
0
Cf. U. KELLERMANN, Nehemia, Berlin 1967, 21-23; 154-159, e
A.L. IVRY, «Nehe- miah 6,10: Politics and the Tempie», in JSJ
3(1972), 35-45.
chiamato a fidarsi di Neemia, intuendo che «se c'è stato
fumo, c'è stato fuoco». Rendendo Semaià burattino dei
suoi nemici, Neemia l'ha trasformato nel proprio.
1.7. Consiglieri dissuasivi
1.7.1. In 2Sam 18,1-5, nel contesto della battaglia
finale tra Davide e Assalonne, ritroviamo l'esercito come
in ISam 14,45, ma stavolta nel ruolo di consigliere,
utilizzato dal narratore, come abbiamo visto per altre
figure secondarie, per un'apologia di Davide. Di fatto,
essi sono l'espediente per evitare l'imbarazzante
partecipazione di Davide alla battaglia, dissipando ogni
sospetto di vendetta agli occhi del lettore, che conosce la
decisione divina della rovina di Assalonne (2Sam 17,14).
La voce collettiva dell'esercito si presta ad avere il suo
peso persuasivo sul re; inoltre, la battaglia non è soltanto
un problema tra Davide e Assalonne, ma una guerra
civile. La finestra sulla ripartizione dell'esercito più
organizzato di Davide (cf. ISam 11,11; 13,17) spiega
perché sbaraglierà quello meno esperto del figlio (cf.
2Sam 17,10-11). Il rallentando del racconto fa
ascoltare al lettore la chiara volontà del re di partecipare
alla battaglia (v. 2) e la netta decisione dei suoi soldati di
impedirla («Non uscirai», lo' tése\ v. 3).0Ufficialmente, i
motivi addotti dall'esercito suonano verosimili nel non
voler perdere l'unto del Signore, carismatica fonte di
prosperità per il popolo, poiché in guerra il primo
bersaglio era il re dell'esercito nemico e la sua cattura, o
uccisione, segnava la disfatta (cf. ISam 31,2; IRe 20,29-
30; 22,32). Il consiglio di rimanere in città a dare
manforte, se rientra nelle consuetudini, per qualcuno è
una pietosa bugia motivata dalla senilità del re, ma il
testo non lo esplicita come altrove (cf. 2Sam 21,15; IRe
1,1). Per altri, più probabilmente, l'esercito, intuendo che
Davide vuole uscire in battaglia per salvare Assalonne,
ne stronca l'ingerenza.0
Ci si chiede se l'iniziativa sia dettata dalla segreta
regia di Ioab, che aveva tutto l'interesse a eliminare
Assalonne poiché, nel caso di una riconciliazione con suo
padre, egli non avrebbe avuto futuro.0 Tali interpretazioni
non si escludono; al narratore preme manifestare che
0
J. BRIGHT, «The Apodietic Prohibition: Some Observations»,
in JBL 92(1973), 197-198, nota che questo è l'unico caso in cui la
negazione lo' viene usata da inferiori nei confronti di superiori; cf.
anche CONROY, Absalom Absalom!, 57.
0
BRESSAN, Samuele, 653, parla di «pietoso tranello», mentre
ANDERSON, 2 Samuel, 224, e STOEBE, Das zweite Buch Samuelis,
403, optano per lo sbarazzarsi di ostacoli.
Davide non è stato un vigliacco e voleva la salvezza di
Assalonne (v. 5). Il testo non scava nei sentimenti dei
soldati, se ammirino la magnanimità del re o ne siano
sdegnati. Questa scena predispone con suspense e
curiosità il lettore all'evolversi degli eventi. I soldati
parlano iperbolicamente da perdenti (v. 2) per persuadere
Davide; in un'ironica inversione, se Cusai aveva spinto
Assalonne a guidare l'esercito (2Sam 17,11), essi
distolgono Davide dal partire; se Achitòfel aveva
suggerito come bersaglio Davide (2Sam 17,2), essi ne
scongiurano il rischio. Tramite loro, il narratore rivela
Davide diviso tra ragione di Stato e di cuore: come re,
appare in balia di altri, privo di senso della realtà politica;
come padre, non sa censurare il suo affetto.0 Mentre i
soldati pongono la vita di Davide al di sopra della
propria, per lui la vita del figlio vale più della loro. Se
Davide non li avesse ascoltati, chissà quale esito avrebbe

0
Così, tra altri, S.K. BIETENHARD, Des Kònigs General Die
Heerfiihrertraditionen in der vorstaatlichen und friihen staatlichen
Zeit und die Joabgestalt in 2 Sam 2-20-lKó 1-2 (OBO 163),
Gottingen 1998, 180-181; CAMPBELL, <2 Samuel, 156-157.
0
Cf. CONROY, Absalom Absalom!, 58; K.K. GROS LOUIS, «The
Difficulty of Ruling Well: King David of Israel», in Semeia 8(1977),
15-33.
avuto il racconto; ma il narratore era complice di Dio,
stavolta dietro le fila anonime dell'esercito.
1.7.2. Un consigliere dissuasore in IRe 12,22-24 è
Semaià, uomo di Dio, inscenato per impedire, dopo lo
scisma di Sichem, la battaglia di Roboamo, re di Giuda,
contro gli israeliti del Nord che avevano proclamato
Geroboamo re d'Israele. Dinanzi a Roboamo, figlio di Sa-
lomone, che intendeva riprendersi (lehàsìb) il regno con
un poderoso esercito, Semaià invita i giudaiti a tornare a
casa (subii), adducendo una decisione da parte di Dio. È
evidente il contrasto tra il punto di vista del re e quello
del profeta, perché Roboamo giustifica i suoi intenti nel
nome di suo padre Salomone, mentre Semaià interpreta
lo scisma come conseguenza della tirannica iniquità di
Salomone, in conformità alla decisione divina.0
1.7.3. Per quanto concerne consiglieri non israeliti (v.
13), in ISam 29 i capi filistei (sarnè / sàrè pelistìm),0 che

0
A. FRISCH, «Shemaiah the Prophet versus King Rehoboam:
Two Opposed Interpretations of the Schism, 1 Kings 12.21-24», in
VT 38(1988), 467, nota che «questa accettazione dell'intervento
profetico da parte del re, che implica un'accettazione dello scisma
come un fatto legittimo, è la fine effettiva della narrazione dello
scisma».
0
HERTZBERG, Die Samuelbucher, 181, seguito da STOEBE, Das
erste Buch Samuelis, 498, ipotizza una distinzione tra i principi
inducono il re Achis ad allontanare Davide, suo ospite a
corte, sono orchestrati per un provvidenziale off side.
Diversamente da ISam 21,11-15, dove hanno salvato
Davide, qui gli evitano in maniera insperata, senza
esplicito intervento di Dio, di partecipare alla battaglia
imminente contro Saul; stavolta si tratta di tutti i principi
filistei, il cui peso persuasivo aumenta nei confronti del
re, che deve cedere a quello che non è più un
avvertimento, ma un consiglio.0 Il lettore sa che ora
Davide non può più bluffare (cf. ISam 27,8-12); è
davvero una quinta colonna?
Abbiamo una duplice ironia: la prima è
nell'ambiguità dell'anti- frasi di Davide, quando risponde
di combattere contro «i nemici», che potrebbero essere
proprio i filistei; la seconda sta nel fatto che sono i
principi filistei, citando di nuovo il ritornello di ISam

(.sarim) effettivi responsabili militari superiori ai capi (serdnim), pur


avvertendo che la distinzione non è chiara nel TM e nei LXX. Da
notare che i LXX sopprimono la frase «sei come un inviato di Dio»
nel v. 9.
0
Per STOEBE, Das erste Buch Samuelis, 501, i principi in ISam
21 ammoniscono Achis, mentre qui lo consigliano espressamente.
Cf. anche Y. SHEMESH, «David in the service of King Achish:
Renegade to his People or a Fifth Column in the Philistine Army», in
VT 57(2007), 73-90.
21,12, che paventano Davide come avversario (,satàn, v.
4), esonerandolo così da un'onta che sarebbe stata
imperdonabile per i lettori ebrei. Se il lettore sa che i
filistei sono nel giusto, sorride ancor più compiaciuto
rispetto a ISam 21 nell'ascoltare l'apologia del re Achis
su Davide (vv. 6a.9a), perché egli è stato da lui beffato
più volte.
1.8. Duelli tra consiglieri
Un altro topos è la tenzone tra singoli o gruppi di
consiglieri, spesso nell'antitesi tra un consiglio saggio e
uno stolto.
1.8.1. In 2Sam 15,12-17,23 la sfida tra Achitòfel e
Cusai deriva dalla posta in palio che è la salvezza di
Davide messa a repentaglio da Assalonne; essa crea
l'illusione che la vittoria arriderà a quest'ultimo grazie ad
Achitòfel, il più blasonato dei consiglieri (yó'és) di
Davide, che ha aderito alla sua congiura (15,31), per poi
ribaltare il pronostico con Cusai, «amico» (ré'eh)0 di
Davide (15,37; cf. lCr 27,33). Il narratore poteva
condensare il racconto nelle sue due intrusioni: «in quel
0
Cf. U. RÙTERSWÒRDEN, Die Beamten der israelitische
Kònigszeit (BWANT 117), Berlin 1985, 73, che intende il termine
nel senso di consigliere privato.
tempo un consiglio dato da Achitòfel era come una
parola data da Dio a chi lo consulta» (2Sam 16,23), ma
«il Signore aveva stabilito di mandare a vuoto il saggio
consiglio di Achitòfel per far cadere la sciagura su Assa-
lonne» (2Sam 17,14). Invece ritarda quest'ultima,
facendola precedere dalla precettazione di Cusai come
antidoto ad Achitòfel (15,34). Con questa inversione
cronologica e causale, il narratore mette in primo piano la
libera iniziativa umana di Davide e della sua quinta
colonna Cusai, in sinergia con la decisione divina, 0
lasciando il lettore sulla corda prima di conoscerla.
La caratterizzazione dei due antagonisti è dosata
negli snodi della trama. I loro nomi suonano orninosi;
forse quello di Achitòfel è stato sarcasticamente distorto
(= mio fratello è insipienza), 0 mentre quello di Cusai (=
affréttati [o Dio]) può anticipare la contromossa divina.0
0
Cf. Y. AMIT, «The Dual Causality Principle and his Effects on
Biblical Literature», in VT 37(1987), 397; J. GROSSMANN, «The
Design of "Dual Causality" Principle in the Narrative of Absalom's
Rebellion», in Bib 88(2007), 558-566.
0
Così BRESSAN, Samuele, 626, che pensa a una deformazione
derisoria di un originario nome Achiba'al; HERTZBERG, Die
Samuelbiicher, 278, opta invece per Elifelet; per una sintesi di altre
interpretazioni, cf. STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 365.
0
Così BRESSAN, Samuele, 635; altri ritengono problematica
l'etimologia, come STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 365;
C'è un'ellissi sul movente del tradimento di
Achitòfel (15,12); per alcuni voleva vendicare la
seduzione della nipote Betsabea (2Sam 11,3; 23,24) e
l'assassinio di Uria, ma questo è incomprensibile perché
Betsabea era diventata regina; per altri ambiva a
diventare re, oppure era disgustato dal malgoverno di
Davide (cf. 2Sam 15,l-5);0 è più semplice arguire il suo
fiuto del cambio politico. Altri0 ritengono la richiesta di
Davide di «rendere folle il suo consiglio» rivolta a Dio e

MCCARTER, 2 Samuel, 371, lo identifica con l'omonimo di IRe 4,16


(corrigendum); di parere diverso R.W. NYSSE, «Hushai», in ABD,
III, 338-339, che distingue giustamente i due.
0
Per la vendetta, cf. Sanhedrin 101b, seguito da BUDDE, Die
Biicher Samuel, 271, da HERTZBERG, Die Samuelbiicher, 278, e da
K. BODNER, «Motives for Defection: Ahi- thophel's Agenda in 2
Sam 15-17», in SR 31(2002), 63-68; se BRESSAN, Samuele, 628,
cautamente la ritiene possibile, viene confutata, tra molti altri, da
STOEBE, Das zweite Buch Samuelis, 357. Per l'ambizione regale e il
disgusto, cf. L. GINZBERG, The Legends of the Jews, Philadelphia,
PA 1909-1938, IV, 94-97; MCCARTER, 2 Samuel, 358.
0
Cf. E. WURTHWEIN, Die Erzahlung von der Thronfolge
Davids-teologische oder politische Geschichtschreibung? (ThZ 115),
Zurich 1974, 40-42; F. LANGLAMET, «Ahi- tofel et Houshai.
Rédaction prosalomonienne en 2 S 15-17?», in Y. AVISHUR - J.
BLAU, Studies in Bible and the Ancient Near East. Presented to S. E.
Loewenstamm, Jerusalem 1978, 59-61; 82, che sviluppano la vecchia
tesi di S.A. COOK, «Notes on the Composition of 2 Samuel», in
AJSL 16(1899/1900), 145-177, secondo cui si tratterebbe di aggiunte
redazionali filosalomoniche. Le aggiunte teologiche per Langlamet
sono 15,31.34.35aa; 16,16-19.20b(3.23; 17,5-14.15b.23, con
un'ultima redazione che aggiunse 16,21-22.
poi quella a Cusai (2Sam 15,31.34abb), aggiunte
redazionali in un racconto che originariamente era privo
di esplicazioni teologiche, lasciando al lettore il compito
di percepire l'azione divina nei nudi fatti umani; nel testo
attuale ha il suo impatto drammatico, perché solo adesso
Davide viene a sapere ciò che il lettore sa già da 15,12,
facendo emergere i suoi timori sull'apporto di Achitòfel
come consigliere. In modo decisivo, profila un Cusai che,
mediante la tecnica della simultaneità, appare come il suo
provvidenziale esaudimento,0 perché Davide lo trasforma
in un sosia di Achitòfel contro Assalonne. Il lettore è così
preparato a un confronto ad altissima tensione e di
intensa ironia verbale nel rischioso doppio gioco di
Cusai, quando ossequia Assalonne (2Sam 16,16-19).0
Con un dialogo ritmico e ricco di allitterazioni che si
0
Così BRESSAN, Samuele, 632; CAMPBELL, 2 Samuel, 149;
ALTER, The David Story, 289; cf. pure GROSSMANN, «The Design of
"Dual Causality" Principle in the Narrative of Absalom's Rebellion»,
558-566.
0
Cf. CONROY, Absalom Absalom!, 114; FOKKELMAN, Narrative
Art in Genesis, I, 206s; HALPERN, David's Secret Demons: Messiah,
Murderer, Traitor, King, 45-46; J.-L. SKA, «I nostri padri ci hanno
raccontato». Introduzione all'analisi dei racconti dell'Antico
Testamento, Bologna 2012, 98; WÉNIN, «Le jeu de l'ironie
dramatique dans les récits de ruse et de tromperies», 159. In FLAVIO
GIUSEPPE, AG VII, 211-213, l'ironia scema, mentre si esplicita che
Cusai vince i sospetti d'Assalonne.
corrispondono e si oppongono, espone la sua fedeltà al re
non nominato (v. 16b); se apparentemente suona per
Assalonne, in realtà resta per Davide, l'unico eletto da
YHWH (v. 18). L'ironia però è anche drammatica, perché
il lettore sa quello che non sa Assalonne; la sottile
distinzione tra l'inusuale «servire al cospetto» Càbad
lipnè) del padre, e il semplice «essere al cospetto» (lipnè)
del figlio (v. 19) è un'antifrasi per cui Cusai non intende
servire Assalonne come ha servito Davide e il suo intento
è aiutare quest'ultimo.0 Poi ascolta il duplice responso di
Achitòfel, nella consultazione collettiva richiesta da
Assalonne (v. 20).
Per qualcuno,0 la prima proposta di appropriarsi
dell'harem paterno (v. 21) è un'aggiunta redazionale; nel
testo attuale, serve a dimostrare che il potere di Davide è
decaduto e a rassicurare i seguaci di Assalonne dal timore
di vendetta.0 Con un incesto infamante, infatti, sancisce

0
Sul procedimento retorico equivoco di Cusai, cf. FOKKELMAN,
Narrative Art in Genesis, I, 206-208; FISCHER, Femmes sages et
dame Sagesse dans VAncien Testament, 74-76.
0
WÙRTHWEIN, Die Erzdhlung von der Thronfolge Davids-
teologische, 40-41, la ritiene determinata dalla supplica di Davide in
15,31, ma sicuramente non era questa l'intenzione del re.
0
per MCCARTER, 2 Samuel, 384-385, «rivendicando Yharem
regale, Assalonne rende pubblica la sua pretesa del trono». STOEBE,
pubblicamente un punto di non ritorno,0 caratterizzando
in- tertestualmente Assalonne alla stessa stregua di
Ruben (Gen 49,4) o di Adonia (IRe 2,22); inoltre, mira
ad adempiere per il lettore la profezia di Natan (2Sam
12,11). L'assenza di Cusai nella consultazione0 deriva
dall'indispensabilità di non ostacolare l'adempimento
profetico. Anche l'elogio della fama divina goduta da
Achitòfel come consigliere (v. 23) viene considerato
un'altra aggiunta redazionale;0 se rafforza il precedente
timore di Davide, ascoltata adesso serve ad allarmare il
lettore, perché pronostica la sicura vittoria di Achitòfel.
La seconda proposta di Achitòfel, in uno stile nervoso ma

Das zweite Buch Samuelis, 383, parla di una «simbolica


dichiarazione di un decesso di Davide in quanto reggente». Per la
rassicurazione dei seguaci, cf. WÙRTHWEIN, Die Erzdhlung von der
Thronfolge Davids- teologische, 39; FOKKELMAN, Narrative Art in
Genesis, I, 210.
0
Cf. BUDDE, Die Biìcher Samuel, 278; BRESSAN, Samuele, 642;
ANDERSON, 2 Samuel, 213.
0
Propendono per la presenza WÙRTHWEIN, Die Erzdhlung von
der Thronfolge Davids-teologische, 40, che però sopprime 2Sam
17,5s, e ALTER, The David Story, 294; altri, proprio in base a 2Sam
17,5, propendono per l'esclusione, come ad esempio FOKKELMAN,
Narrative Art in Genesis, I, 205, per cui la richiesta di Assalonne è
rivolta a un consiglio nazionale.
0
Cf. A. CAQUOT - P. DE ROBERT, Les Livres de Samuel (CAT
V), Genève 1994, 537, sulla scia di Wùrthwein e Langlamet. Per
ALTER, The David Story, 295, l'elogio suona ironico, visto che ha
provocato un'infamia.
lineare ed efficace, con ben nove verbi di azione, di cui
l'ultimo è un vero epilogo, è l'eliminazione del solo
Davide, al fine di evitare una guerra civile. In ebraico la
frase non è del tutto comprensibile e normalmente viene
tradotta con «ti riporterei tutto il popolo; l'uomo che tu
cerchi è il ritorno di tutti; allora tutto il popolo vivrà in
pace» (2Sam 17,1-3).0 C'è un'ellissi su come sappia che
Davide è scoraggiato (2Sam 17,2), ma si può inferire che
a corte circolassero notizie (cf. 2Sam 16,5-13; 17,29); ciò
che conta è che Assalonne ritiene giusto il suo consiglio
(2Sam 17,4), inquietando il lettore per una sicura
sconfìtta di Davide.
La successiva consultazione di Cusai, a questo
punto superflua - a meno che Assalonne non voglia
avvalersi della sua competenza o metterlo alla prova -
0
Così FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, I, 213.
Mantengono il TM, BARTHÉLEMY (a cura di), Critique textuelle de
VAncien Testament, I, 278-280, STOEBE, Das zweite Buch Samuelis,
385. Molti seguono i LXX: «Ti riporterei tutto il popolo, come
ritorna la fidanzata al suo sposo. La vita di un solo uomo tu cerchi:
tutto il popolo sarà in pace»; così tra altri BRESSAN, Samuele, 642, e
MCCARTER, 2 Samuel, 381. Il Targum Jonathan recita: «Tutti coloro
che ritorneranno dietro l'uomo che tu cerchi saranno uccisi». Per S.R.
DRIVER, Notes on the Hebrew Text and the Topography of the Books
of Samuel: with an Introduction on Hebrew Paleography and the
Ancient Versions and Facsimiles of Inscriptions and Maps, Oxford
2
1913, 320, parte della frase si è persa per aplografia.
deriva dal fatto che Cusai deve sapere il consiglio di
Achitòfel per sventarlo. Secondo la convenzione per cui
l'ultimo intervento risulta più convincente del primo (cf.
Pr 18,17), la stroncatura di Cusai è un capolavoro
retorico; se riconosce l'eccellenza dei consigli di
Achitòfel è per rinforzare la sua eccezione: «Non è buono
il consiglio di Achitòfel questa volta» (v. 7). L'assenza di
replica e la ripresa di Cusai (v. 8) potrebbero indicare
un'aggiunta redazionale0 che nel testo attuale segna una
sincope decisiva, perché nello smentire l'avvilimento di
Davide esagera uno smacco che scoraggia Assalonne; se
Achitòfel parlava da solista, Cusai gli consiglia un
inseguimento da protagonista (vv. 11-13), lusingando il
suo narcisismo. Il lettore è in bilico tra la saggezza di
Achitòfel e il pirotecnico, ma pur sempre fragile, bluff di
Cusai,0prima della sanzione di Assalonne che «il
0
Così MEIER, Speaking of Speaking, 76; CONROY, Absalom
Absalom!, 130 nota 65, è più cauto e insiste sulla pausa drammatica.
0
FOKKELMAN, Narrative Art in Genesis, I, 222: «I tre punti
deboli in 9abc e la contraddizione nel v. IOa inducono il lettore
critico a notare che Cusai occasionalmente lascia cadere una maglia
e quasi perde il controllo nel corso del suo arduo compito di distrarre
dalla realtà, elaborando brillanti dissimulazioni a un livello
costantemente alto». W. BRUEGGEMANN, First and Second Samuel,
Louisville, KY 1990, 312, rileva la spudoratezza di Cusai. Per una
serie di bluffatori o di mezze-verità nella letteratura greco-romana,
consiglio di Cusai è migliore del consiglio di Achitòfel»
(v. 14). Solo ora viene rivelata la previa decisione di
YHWH «di rendere vano il consiglio migliore di
Achitòfel, per far cadere la rovina su Assalonne» (v.
14b).0 Anche qui l'analessi fa sì che la regia divina
assorba quella umana e offre la chiave del racconto,
riaprendo la lotta in favore di Davide.
Un suggestivo e non noto parallelo si riscontra
nell'Iliade, che oppone i consigli del prudente
Polidamante all'impetuoso Ettore; mentre il primo
consiglia di ritirarsi a Troia senza affrontare in campo
aperto Achille, lo sdegnato Ettore propone il contrario,
ma ciò gli costerà la morte in duello:
Ettore parlò così, i troiani acclamarono stolti! Il
senno tolse loro Pallade Atena: tutti approvarono Ettore
che mal consigliava, ma nessuno Polidamante
che aveva esposto un buon piano (//. XVIII, 310-
313).

rinviamo al già citato Stratagemmi di Polieno che, pur tardivo,


riporta tradizioni antiche.
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VII, 221, attenua: «Tuttavia, fu Dio
che ispirò alla mente di Chusis un consiglio migliore dell'altro». Per
MCCARTER, 2 Samuel, 387, «ciò dimostra una volta per tutte ciò che
è nei pensieri di YHWH» e richiama la finale di ISam 2,25.
Mentre il lettore dell 'Iliade sa già in anticipo della
morte di Ettore sancita dal fato (cf. II. XVI, 854; XVIII,
134), qui viene informato della rovina di Assalonne solo
alla fine. Cusai e Achitòfel escono di scena in modo
molto diverso. Cusai ritorna al suo ruolo di «talpa», nel
consigliare a Davide di salvarsi oltre il Giordano (vv. 15-
16); per alcuni0la sua fretta è contraddittoria, perché
sembrerebbe che infine abbia prevalso il consiglio di
Achitòfel, ma in realtà non è affatto incompatibile,
perché paventava un ripensamento di Assalonne0 e
rinfocola la suspense nel lettore, che si rilassa solo dopo
che Davide si troverà dall'altra parte del fiume (v. 22).
Quanto ad Achitòfel che si suicida (v. 23), è ovvio che il
suo fiuto politico aveva intuito che la vittoria di Davide
gli precludeva ogni futuro; nell'antichità il gesto era
normale per cortigiani coinvolti in una congiura fallita. 0
0
Cf. WÙRTHWEIN, Die Erzàhlung von der Thronfolge Davids-
teologische, 40-42; LANGLAMET, «Ahitofel et Houshai», 66.
0
Cf. D.M. GUNN, The Story of King David: Genre and
Interpretation (JSOT.S 6), Sheffield 1978, 116; MCCARTER, 2
Samuel, 387-388. Il timore di un ripensamento è esplicito in FLAVIO
GIUSEPPE, AG VII, 222.
0
BRESSAN, Samuele, 650, ricorda quello dei cortigiani egiziani
dopo la congiura fallita contro Ramses III, cf. ANET, 215; cf. anche
HALPERN, David's Secret Demons: Messiah, Murderer, Traitor,
King, 22.
Tradizioni ebraiche lo spiegheranno, colmando la
reticenza biblica, affermando che la morte avvenne per la
maledizione di Davide e che Achitòfel volle evitare il suo
castigo, scegliendo di morire da uomo libero. Nel testo
non c'è nessun giudizio morale, come hanno fatto
interpreti antichi e moderni.0 La descrizione della sua
morte prefigura quella di Assalonne; l'asino con cui torna
a casa, nella sua città, le disposizioni ai familiari, l'impic-
cagione e la sepoltura nella tomba del padre,
occhieggiano al mulo e alla sospensione all'albero di
Assalonne, che muore lontano dalla città, sepolto in un
tumulo qualsiasi (2Sam 17,9.16.18).
Senza Cusai e Achitòfel il narratore non avrebbe
messo in rilievo, nella sinergia misteriosa dell'agire
divino e della libertà umana, che la sapienza degli
uomini, per quanto eccellente, nulla può contro la
decisione di Dio - come si afferma costantemente nella

0
Cf. GINZBERG, The Legends of the Jews, IV, 95, e FLAVIO
GIUSEPPE, AG VII, 228. Per BRESSAN, Samuele, 649, «oltre alla
vendetta di Davide, si devono tenere in conto la superbia di
Achitòfel, il bruciore per lo scorno subito proprio nell'arte del
consiglio in cui eccelleva, forse anche il disprezzo di servire della
gente così ottusa e volgare». Questo ricorda il discorso di Petronio
dinanzi a Nerone (TACITO, Annales XVI, 19).
Bibbia0 - ma anche che lo stesso Dio si serve di soggetti
sulla carta perdenti, ma nei fatti più scaltri.
1.8.2. In IRe 12,1-19 per spiegare lo scisma tra
Giuda e Israele, che il lettore privilegiato sa già decretato
come causa prima da YHWH (IRe 11,11-13; 31-40), si
ricorrre come causa seconda o miccia politica all'antitesi
tra gli «anziani» (zeqènìm, v. 6) e i «giovani» (yelàdìm, v.
8).0
Sul piano diacronico, qualcuno ha ipotizzato la
conflazione di due fonti: una di origine meridionale, che
addossa la responsabilità a Roboamo, l'altra
settentrionale, che legittima lo scisma per la sua
oppressione, in particolare sull'Israele del Nord.0 Nel
testo attuale, il problema concerne «tutto Israele» e il
tenore è antimonarchico.

0
Cf. Ne 4,9; Is 8,10; 19,3; Sal 33,10; Pr 16,1.9; 19,21.
0
Cf. D.G. EVANS, «Rehoboam's Advisers at Shechem and
Political Institutions in Israel and Sumer», in JNES 25(1966), 273-
279; S. ZALEWSKI, «Rehoboam and His Advisors (1 Kings 12)» in.
R. GIDEON - H.J. KATZENSTEIN - M. ANBAR (a cura di), Proceedings
of THE 9TH WORLD CONGRESS OF JEWISH STUDIES, JERUSALEM,
AUG. 1985: DIV. A-PERIOD OF THE BIBLE, Jerusalem 1986, 51-57.
0
Così P. ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, Estella 2011, 249.
Rinviamo a J.C. TREBOLLE BARRERA, Salomon y Jeroboan. Historia
de la recension y redacción de 1 Reyes 2-12,14 (Bibliotheca
Salmaticensis 3), Salamanca-Jerusalem 1980.
Il racconto è ellittico e crea suspense mista a
curiosità, perché ci informa che solo Geroboamo è al
corrente della sua designazione a re, e non ci dice se
Roboamo sappia di non essere il prescelto; così come il
popolo, all'oscuro della decisione divina, sembra
inizialmente voler confermare la successione dinastica di
Roboamo. La complicazione è la richiesta di tutto Israele
di alleggerire il giogo della dura schiavitù imposta da
Salomone, un termine che rievoca quella egiziana (Lv
26,30), ma espresso in modo partitivo, a indicare che il
popolo non vuole essere completamente esonerato dalla
corvée, bensì dai suoi eccessi (v. 4), impetrando
Roboamo di non comportarsi come un nuovo faraone.0 I
due gruppi di consiglieri (yaas, vv. 6.8.9) sono orchestrati
per la soluzione del problema; anziché un'assemblea
bicamerale, composta da quella alta degli «anziani» e
quella bassa dei «giovani»,0 è più probabile supporre che

0
Così L. ALONSO SCHÒKEL, Reyes, Madrid 1973, 99; W.
DIETRICH, «Das harte Joch (1 Kòn 12,4): Fronarbeit in der Salomo-
Uberlieferung», in BN 24(1986), 7-16.
0
La tesi della bicamerale è stata proposta da A. MALAMAT,
«Kingship and Council in Israel and Sumer: A Parallel», in JNES
22(1963), 247-253, corretta nel suo «Origins of Statecraft in the
Israelite Monarchy», in BARead 3(1965), 163-198. Viene
giustamente contestata da M. NOTH, Kònige (BKAT 9/1),
i primi rappresentino la vecchia guardia che godeva del
favore {'ó'medim 'et penè, v. 6) di Salomone,0 mentre i
secondi quella rampante dei compagni educati insieme a
Roboamo ('ómedìm lipnè, v. 8), in cui non sfugge la
connotazione di ragazzi privi d'esperienza.0
Tradizionalmente si adduce come parallelo il poema

Neukirchen 1968, 273-274; da TREBOLLE BARRERA, Salomon y


Jeroboàn, 220; da M. WEINFELD, «The Counsel of the Elders to
Rehoboam and Its Implications», in Maarav 3(1982), 27-53.
0
Cf. G. BETTENZOLI, «Gli "Anziani di Israele"», in Bib
64(1983), 66-71; J.-L. SKA, «L'istituzione degli anziani nell'AT», in
M. LORENZANI (a cura di), Gli anziani nella Bibbia, L'Aquila 1995,
456-457; J.L. MCKENZIE, «The Elders in the Old Testament», in Bib
40(1959), 522-540; J. BUCHHOLZ, Die Alte sten Israels im
Deuteronomium (GTA 36), Gòt- tingen 1988; V. WAGNER,
«Beobachtungen am Amt der Àltesten im alttestamentlichen Israel.
1: Der Ort der Àltesten in den Epochen der Geschichte und in der
Gliederung der Gesellschaft», in ZAW 114(2002), 391-411. Il
sintagma 'àmad 'et penè è sinonimo del più frequente 'àmad lipnè, cf.
H. RINGGREN, «'àmad», in TWAT, VI, 198-199, e H.
SIMIAN-YOFRE, «pànìm», in TWAT, VI, 647. NOTH, Konige, 274,
ribadisce giustamente il favore di Salomone, mentre la tesi di
Lipinsky secondo cui gli anziani si erano opposti a Salomone è
improponibile.
0
per gAR EFRAT, Narrative Art in the Bible, 34, ed E. Di PEDE,
«Roboam et Jéroboam héritiers de Salomon», in C. LICHTERT - D.
NOCQUET (a cura di), Le roi Salomon un héritage en question.
Hommage à J. Vermeylen (Le livre et le rouleau 33), Bruxelles 2008,
288 nota 16, il termine «giovani» sarebbe di per sé dispregiativo,
altrimenti, come antonimo, il narratore poteva usare ne'ârîm. Per tali
compagni di educazione, cf. Dn 1; IMac 1,6; 2Mac 9,29, secondo
l'uso nelle corti persiane ed ellenistiche, cf. TREBOLLE BARRERA,
Salomon y Jeroboân, 213.
sumero di Gilgamesh e Agga;0 questo però spicca per le
pedanti ripetizioni e per la lunghezza. Nella prosa asciut-
ta di IRe 12, Roboamo si rivolge in modo diverso ai due
gruppi. Agli anziani propone una questione neutra, e solo
gli anziani riprendono la questione del servizio avanzata
dal popolo. La tesi di E. Lipinski per cui gli anziani
avevano resistito a Salomone è improponibile, perché
non si registra una loro opposizione al re. L'aspetto
decisivo è che Roboamo abbandonò il loro consiglio (v.
8). Quanto ai giovani, il narratore lo mostra palesemente
schierato dalla loro parte, con un parziale resoconto della
richiesta del popolo, insistendo sul giogo e omettendo il
servizio.0 Gli anziani gli consigliano in modo
gattopardesco la condiscendenza formale di «diventare
oggi servo» degli israeliti, per poi averli «servi tutti i
giorni» (v. 7); un'ambiguità rilevata si registra nella frase
«se risponderai loro (waànitam)» che, vocalizzato

0
Cf. ANET, 45-46, e G. PETTINATO, La saga di Gilgamesh,
Milano 1992, 303-329.
0
Cf. E. LIPINSKI, «Le récit de Rois XII,1-19 à la lumière de
l'ancien usage de l'hébreu et de nouveaux textes de Mari», in VT
24(1974), 430. Per WALSH, 1 Kings, 162, si tratta di una «questione
di maniera, non di contenuto; è questo il modo che gli anziani gli
propongono. Ai più giovani Roboamo chiede "cosa" dire, e costoro
gli scrivono il discorso».
altrimenti, significherebbe «se li affliggerai
(we'innìtàm)». Gli esegeti divergono sul reputare questa
condiscendenza come captatio benevolentiae tempo-
ranea, o come sincera e permanente; 0 ciò che conta è una
dimostrazione di disponibilità che serve per l'unzione
regale. I giovani gli propongono tre slogan aggressivi
(vv. 10-11): il primo è probabilmente machista,
alludendo con musicale oscenità al suo membro virile più
grande dei reni di suo padre (qàtònnì 'àbàh mimmotnè
'abi); il secondo è un aggravamento del giogo; il terzo è
la sostituzione delle sferze con scorpioni - forse fruste
acuminate.0 Non si motivano gli intenti dei due gruppi,
ma è plausibile che gli anziani volessero rientrare in
gioco, mentre la durezza dei giovani si può spiegare con

0
per i'ip0tesi gattopardesca si veda NOTH, Konige, 275: «Il loro
consiglio è certamente intelligente, ma di certo non molto fine... il
consiglio infatti tende ad ingannare il popolo, lo induce a far
credergli di piegarsi "adesso" dinanzi alle sue richieste, per poi, una
volta che Roboamo è stato riconosciuto re, poterlo manipolare a
proprio piacimento». Così pure S. DE VRIES, 1 Kings (WBC 12),
Waco, TX 1985, 159; J.T. WALSH, 1 Kings, Collegeville, MN 1996,
162, mentre DI PEDE, «Roboam et Jéroboam héritiers de Salomon»,
290 nota 20, non dubita della sincerità degli anziani.
0
Cf. NOTH, Kònige, 275, e Z. WEISMAN, Politicai Satire in the
Bible (Semeia 32), Atlanta, GA 1998, 108-109, che nota come i
giovani parodiano le istanze del popolo, trasformando il lamento in
un ritornello ritmato.
l'interesse a non perdere i vantaggi della mensa del re.
Dato l'esito, anche qui il narratore avrebbe potuto
sorvolare sui due gruppi; se li inscena è per far soppesare
al lettore la scelta di Roboamo. Grazie alla loro espe-
rienza degli eccessi megalomani di Salomone, sono i
veterani a dare un autentico consiglio, senza accennare a
un'opposizione possibile tra padre e figlio. Ma,
rifiutandolo, Roboamo si rivela privo di tatto e di tattica
(cf. Sir 47,23); pur omettendo la provocazione oscena,
risulta peggiore di suo padre, privilegiando una
dimostrazione di forza anziché di sapienza, come chiosa
P. Abadie:
Il gruppo degli anziani e quello dei giovani
rappresentano due modi di apprendere [...]. Se il primo
prende in conto le giuste rivendicazioni del popolo al
servizio dell'unità, il secondo rafforza l'arbitrarietà di una
funzione che non può essere che fonte di divisione. La
rottura è dunque iscritta in una certa rottura del potere
nella fine del non ascolto e la logica occlusiva dello
stesso.0
0
Così P. ABADIE, «Bible et critique du pouvoir: Roboam, le roi
qui ne sut pas être serviteur», in La vie spirituelle (1999)153, 410; cf.
anche B.O. LONG, 1 Kings (FOTL 9), Grand Rapids, MI 1991, 137:
Il contrasto dimostra all'uditorio un'alternativa che
avrebbe potuto evitare lo scisma, ma, anche qui, non
poteva essere altrimenti, perché il narratore ribadisce
come causa prima la disposizione di Dio (v. 12; cf. v.
24), in sinergia con la causa seconda di Roboamo, sulla
spinta dei suoi insipienti coetanei, che imprime un nuovo
corso alla storia. Il testo, nella linea della teologia
deuteronomista, è una satira di Roboamo come un nuovo
faraone rispetto ad altri re come Davide (2Sam 5,3),
Ezechia (2Re 19,2) o Giosia (2Re 23,1), che hanno
valorizzato l'apporto degli anziani.
1.8.3. Il racconto di IRe 20,1-34 nel contesto di una
guerra tra Israele e Aram registra un'antitesi a distanza tra
consiglieri israeliti e ara- mei istituzionali, che
incastonano l'intervento di un anonimo profeta decisivo.
Tutti, dai loro punti di vista, sono funzionali a far scattare
due battaglie decisive che sanciscono il trionfo di Acab
su Ben Adàd, ma con esiti diversi, destinati alla
riflessione del lettore. Si tratta del primo racconto nel
Primo libro dei Re dedicato interamente a una guerra con
«In un colpo solo, il narratore annoda gli eventi complicati a una
profezia e a un folle». Per ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, 251: «La sua
risposta trasuda un crudo dispotismo da tutti i pori del racconto».
un Paese limitrofo; tuttavia, com'è caratteristico dello
stile biblico, le guerre non vengono descritte, ma si dà
spazio ai discorsi. La prima battaglia si svolge nei
dintorni di Samaria (vv. 1-21), a causa dell'assedio di Ben
Adàd (v. 1), che pretende la consegna totale della città (v.
7). La convocazione di «tutti gli anziani del Paese»
associati al popolo (vv. 7-8)0 è comoda per districare
Acab dal problema dell'assedio.
Il testo è ellittico; il loro subitaneo assembramento
nella città di Samaria appare inverosimile ed è spiegato in
più modi:
a) essi si trovavano già nella città;
b) altri emendano il testo per cui si tratta degli anziani
della città, ma mancano appoggi testuali;
e) l'assedio non è cominciato e Acab aveva il tempo
necessario per convocarli dalle varie località;0
0
Sempre ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, 388 nota 5, pur
ammettendo la scarsità di dati, suppone che «gli anziani detengano ai
primordi un'autorità locale (cf. IRe 21,8.11; 2Re 10,1) e, per
derivazione, una leadership morale, soprattutto in periodi critici di
necessaria unità nazionale».
0
Per la prima ipotesi DE VRIES, 1 Kings, 248; per la seconda E.
WÙRTHWEIN, Die zweite Biìcher der Kónige; 2 Kón 17-2 Kón 25
(ATD), Gòttingen 1984, 238, e J. GRAY, I-II Kings. A Commentary
(OTL), Westminster 21970, 419; per la terza, Y. YADIN, «Some
Aspects of the Strategy of Ahab and David (1 Re 20; 2 Sam 11)», in
d) non si chiarisce dove si svolge la consultazione,
se Acab ha parlato prima agli anziani che poi informano
il popolo e se il «popolo» designa la popolazione - come
riteniamo preferibile - oppure l'esercito;0così pure il
lettore non sa se il re li convoca perché titubante o ha
deciso di far loro avallare la sua decisione.0
Al di là dell'avallo, è drammaticamente più utile la
loro caratterizzazione di Acab, presentato per la prima
volta positivamente dal narratore, rispetto all'arroganza,
all'eccesso di fiducia e all'ubriachezza di Ben Adàd. Nel
confronto tra la pretesa del re arameo («devi darmi il tuo
argento, il tuo oro, le tue donne e i tuoi figli», v. 5), con
la significativa inversione di Acab nel riferirla agli astanti
(«quando mi ha richiesto le mie donne, i miei figli il mio
argento e il mio oro, non gli ho rifiutato nulla», v. 7), il

Bib 36(1955), 332- 351, che ipotizza l'accampamento arameo a


Sukkot (v. 16); ZAMORA GARCÌA, Reyes, esclude uno stretto assedio.
0
Alternativa segnalata da M. COGAN, 1 Kings (AB 10), New
York, NY 2001, 463, ma il collegamento con gli anziani conferma
che si tratta del popolo da loro rappresentato. FLAVIO GIUSEPPE, AG
VIII, 368-370, risolve il problema eliminando gli anziani e insce-
nando solo la folla.
0
Così WÙRTHWEIN, Die zweite Biìcher der Kónige; 2 Kón 17-2
Kón 25, 238: «Con ciò si prendono in considerazione gli interessi dei
samaritani, almeno dei "notabili", e, così pensa il narratore, sono resi
partecipi alla consultazione su richiesta di Ben Hadad».
lettore coglie la vera scala di valori che interessa al re. 0
Questo interludio lo immedesima nella ripulsa dei
consiglieri israeliti, ma anche nel rischio, vista la
sproporzione di forze. I due re si controbattono con
espressioni proverbiali (vv. 10-11).
Per il vero innesco della battaglia viene messo in
scena un anonimo profeta identificato posteriormente con
Michea di IRe 22, che garantisce in modo stilizzato e
allitterato il sicuro successo accordato da YHWH e
consiglia un attacco a sorpresa guidato dai naàrè sàrè
ham- medìnòt, che può significare gli assistenti dei
governatori dei distretti, o i più giovani dei governatori
dei distretti (vv. 14.15).0
Oltre una preziosa informazione
sull'organizzazione militare dell'epoca, l'aspetto più
significativo è che la vittoria è conseguita da agenti non
0
II cambio di ordine è notato da STERNBERG, The Poetics of
Biblical Narrative, 391-393. Manteniamo il TM, che è in linea con il
v. 3; molti autori, seguendo i LXX, lo emendano invece con «mi ha
mandato a chiedere le mie donne e i miei figli dopo che io non gli
avevo rifiutato né il mio argento né il mio oro», così ad esempio S.
GAROFALO, Il libro dei Re, Torino 1960, 148.
0
ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, 390, propende per il primo
significato, ma chiosa: «Il narratore gioca con le parole e non
misconosce che na'ar può fare anche riferimento a un corpo militare
speciale (cf. ISam 2,3.5; 25,5; 26,22; 2Sam 2,14)».
epici, non consumati nell'arte bellica, ma efficaci segrete
pedine per rivelare la potenza di YHWH nel trionfo di
Acab (vv. 13- 21). La seconda battaglia si svolge ad Afek
(vv. 22-34) e, stavolta, il medesimo profeta anonimo
interviene per primo ad avvisare del pericolo, consigliare
Acab e anticipare la vittoria (vv. 22.24). L'introduzione
dei ministri aramei è funzionale a rialzare la posta in
gioco (vv. 23-25), che è l'esaltazione della potenza
universale di YHWH, ma anche la trasformazione della
vittoria di Acab in una mela avvelenata. La loro
identificazione con i re alleati della precedente coalizione
(v.
I)0 va esclusa, perché i ministri ne chiedono la
sostituzione (v. 9). Nel primo intervento fungono da
catalizzatori in una scena preparatoria di forte tensione;
correggono gli errori di strategia, e la loro sicumera di
vincere il dio d'Israele, ritenendo la sua sfera d'azione
limitata alle colline (v. 25), serve a far stagliare invece un
Dio più forte di carri e cavalli (Sai 20,8; Is 31,1; Os 1,7).
Quando tutto sembra perduto per Ben Adàd (vv. 29-30),
0
Così LONG, 1 Kings, 214-125. FLAVIO GIUSEPPE, AG VILI,
379, li identifica con gli «amici del re» che, contrariamente al
racconto biblico, sono convocati da Ben Hadad.
sono loro a facilitare la riconciliazione tra lui e Acab (v.
31). Se i consiglieri israeliti sottraggono Acab alla
precedente antipatia, quelli aramei rispolverano la sua
indole di vassallo prono a convenienze politiche, senza
mancare di far emergere la codardia di Ben Adàd.
Il lettore nota la somiglianza dei due re nel bisogno
di essere spalleggiati da sudditi, gli unici a tenere
visibilmente le redini del gioco! Grazie a questo dittico,
abbiamo un altro esempio deuteronomistico di come
Acab sarebbe stato un buon re se avesse ascoltato i suoi
anziani, il popolo e i profeti, anziché lasciarsi sedurre da
sirene straniere. Il tutto serve a dissolvere il precedente
ritratto positivo, per preparare alla pantomima profetica
del giudizio di condanna (vv. 35-43).
1.8.4. In IRe 22,1-28, di nuovo nel contesto della
guerra di Acab, re d'Israele, e di Giosafat, re di Giuda,
contro gli aramei per riconquistare Ramot di Galaad, il
narratore ricorre come motore della trama al topos del
«tutti contro uno», vale a dire ai quattrocento profeti
capeggiati da Sedecia, come antagonisti del profeta
Michea,0 per far discernere al lettore chi veramente parla
in nome di YHWH, ma soprattutto per realizzare i
precedenti oracoli della morte di Acab (IRe 20,42;
21,19). Il duello è costruito mescolando verità e
menzogna ed è funzionale alla doppia complicazione (vv.
5.7) sollevata da Giosafat, re di Giuda, ad Acab, re
d'Israele, di consultare il Signore prima della battaglia. Si
tratta di un'altra finestra su una prassi spesso affidata ai
sacerdoti (cf. Nm 27,21; Gdc 20,27-28; ISam 23,9; 30,8),
qui rimpiazzati dai profeti (cf. IRe 20,13.20.28).0 II testo
non spiega perché Giosafat non si accontenti dello
schiacciante responso dei quattrocento profeti (v. 6); per
alcuni,0 egli sospettava l'unanimità come segno di falsa
profezia, ma la richiesta di un «altro profeta di YHWH»
dimostra che non li considerava tali; più semplicemente,
è l'espediente per agevolare l'ingresso di Michea. Il suo
0
Cf. A. ÀLVAREZ-VALDÉZ, «E1 enfrentamiento entre profetas
y falsos profetas», in RevBib 53(1991), 217-229.
0
Per COGAN, 1 Kings, 489, «i profeti rimpiazzano i sacerdoti
come consultori, e le parole divine rimpiazzano gli oracoli mantici».
Per ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, 429, il rimpiazzamento è dovuto alla
teologia deuteronomistica.
0
Così FLAVIO GIUSEPPE, AG VILI, 402, e b. Sanhedrin 89. Per
GAROFALO, Il libro dei Re, 159, Giosafat ricerca un genuino profeta,
perché i quattrocento erano subentrati a quelli veri fatti uccidere da
Acab (IRe 18,4; 19,10.14), ma la sua tesi non è suffragata.
intervento, pur fugace nella storia della monarchia, è
introdotto con un grande apparato narrativo, nel
susseguirsi di contrasti e dilazionando il suo oracolo. La
sua assenza fa capire che non è un profeta al servizio di
Acab come il gruppo dei convocati (cf. vv. 22-23). Il suo
arrivo viene climaticamente ritardato prima dall'astio di
Acab, perché non gli «predice mai cose buone, ma solo
cattive» (v. 8),0 poi dalla pantomima di Sedecia, che
simboleggia la vittoria di Acab, corroborata dagli altri
profeti (vv. 10-12), infine dall'eunuco-messaggero che
cerca di addomesticarlo, perché si adegui al coro in
favore del re. È chiaro che il consiglio dell'eunuco è
autonomo, vista la reazione di Acab (v. 16) e serve a
caratterizzare Michea come una sorta di Balaam
nell'essere fedele solo a quanto il Signore gli dirà (v. 14;
cf. Nm 22,18). Drammaticamente, porta all'acme la
tensione.
Il primo responso di Michea (v. 15b) è all'unisono
con il positivo vaticinio dei profeti (vv. 6.12) e fa sperare
il lettore in un terzo trionfo contro Aram (cf. IRe 20),
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VIII, 389-392.404, identifica Michea
con l'anonimo profeta travestito che aveva vaticinato la disgrazia di
Acab in IRe 20,38-43 ed elimina il primo falso responso di Michea.
prima di restare sbalordito dall'incredulità senza motivo
di Acab. Per qualcuno, Acab vuole sentirsi ripetere la
previsione di un successo (v. 16) ma, più probabilmente,
visti i precedenti, egli ha colto il sarcasmo della risposta
destinata all'arbitrato del lettore.0 Più impellente è
enfatizzare le due visioni di Michea, nella sequenza
inversa (hysteron-proteron), in cui il suo personale
racconto della situazione cozza contro un uditorio ostile.
La prima è terrestre (v. 17; cf. 2Sam 5,2; Zc 13,7) e
implica la morte del re e il ritorno a casa del popolo in
pace; la seconda è quella celeste della sua partecipazione
al «consiglio divino»0 con cui ribalta il «sali, avrai
successo» degli altri profeti (v. 15) con la decisione di
YHWH di far «salire e cadere Acab» (v. 20). Vale la
pena notare l'insolita menzione dell'«esercito divino»,
solitamente stigmatizzato come idolatrico nei testi

0
Qui, secondo BULLINGER, Figures of Speech Used in the
Bible, 972, abbiamo retoricamente una epitropè, cioè l'ammissione di
qualcosa di erroneo, illudendo l'avversario, in modo da conseguire
ciò che sta a cuore. Il destinatario principale è il lettore come arbitro.
0
per ia partecipazione al consiglio divino, cf. Ger 23,18; Am
3,7; Gb 15,8; Is 6,2; cf. anche Cf. H.G. FABRY, «sòd», in TWAT, V,
778-779; M.S. KEE, «The Heavenly Council and its Type-scene», in
JSOT 31(2007), 259-273.
profetici, che qui viene collegato allo spirito di menzogna
deputato a ingannare Acab (v. 23).0
La sobrietà della narrazione biblica si staglia
rispetto allo sviluppo che Omero accorda al «sogno
cattivo» e al concilio degli dèi (cf. II. II, 6-34; IV, 1-70);
qui appare un'ironica replica celeste di quello alle porte di
Samaria (vv. 10-12), per legittimare Michea. Il lettore è
chiamato a prendere posizione tra due scommesse: la
prima è tra Sedecia che schiaffeggia Michea come
impostore (v. 24)0 e quest'ultimo che gli predice una fuga
vergognosa (v. 25); la seconda è tra Acab che imprigiona
Michea fino al suo ritorno (v. 27) e la replica di Michea
che, se questo avverrà, sarà il segno che YHWH non ha
parlato per suo mezzo (v. 28).
Sedecia non accetta l'idea di una pluralità di spiriti
e rivendica il monopolio dello spirito profetico. Arduo è
0
Segnalato da ZAMORA GARCÌA, Reyes, I, 431-432, per cui
«Michea starebbe illustrando il carattere volubile della
comunicazione mediante lo spirito», adducendo le satire di Mi 2,11;
Ger 5,13 e Os 9,7. Cf. anche E.J. HAMORI, «The Spirit of
Falsehood», in CBQ 72(2010), 15-30.
0
FLAVIO GIUSEPPE, AG VILI, 407-409, amplifica il racconto,
presentando Sedecia che persuade Acab facendo notare che il suo
schiaffo impunito a Michea era la prova che non era un vero profeta
come quello che aveva paralizzato la mano di Geroboamo (cf. IRe
13,4-7).
il dilemma, perché entrambi i contendenti si appellano a
YHWH e il narratore non offre indizi di autenticazione,
anche se insinua un certo contrasto tra l'iniziativa umana
di Sedecia di forgiarsi corna di ferro (v. 11) e la visione
divina di Michea. Espletata la loro funzione, Sedecia e
Michea spariscono, perché ciò che conta è la morte di
Acab.0
L'epilogo conferma la partecipazione di Michea al
consiglio divino (cf. Ger 28,9), in cui abbiamo la
degradazione delle divinità astrali, che stanno ai piedi di
YHWH come servi, e il lettore ha una trascrizione del
criterio di autenticità profetica espresso in Dt 13,1-4 e
18,21-22. Michea poteva corroborare l'inganno tacendo il
piano di Dio e accodandosi, ma la necessità narrativa è
quella di radicalizzare l'antagonismo tra Acab e YHWH e
di offrire al re una chance di salvezza che non ha saputo
cogliere, come il testardo faraone. Il duello mostra come,
dinanzi all'indurimento del cuore, neppure la rivelazione
dell'inganno divino può bloccarne la realizzazione, ma

0
Per R.D. NELSON, 1&2 Kings, Louisville, KY 1987, 151:
«Dopo tutto, vera e falsa profezia non è il focus della storia, il vero
obiettivo del racconto è la sorte di Acab». Cf. COGAN, 1 Kings, 498
nota 3.
conduce un atteggiamento malvagio alle sue estreme
conseguenze (cf. Is 6,8-10).0
1.8.5. La storia degli esploratori nel racconto
tardivo di Nm 13-140ha un ruolo cruciale nell'architettura
teologico-letteraria del libro, perché segna il passaggio
dalla vecchia alla nuova generazione (dal primo
censimento in Nm 1 al secondo censimento in Nm 26).
Prima del passaggio, per alzare la tensione, il narratore
inserisce uno scontro tra due punti di vista, 0 all'interno di
un medesimo gruppo di esploratori, tratti dalla crema
delle tribù d'Israele e non estemporanei, reduci dal loro
pacifico monitoraggio di Canaan,0 che esprimono un
preciso consiglio. Da una parte abbiamo quello
0
Così A. SCHENKER, «Gerichtverkiindigung und Verblendung
bei den vorexilischen Propheten», in RB 83(1986), 577-580; P.
Buis.Le livre de Rois (CÉ 86), Paris 1993, 171.
0
Cf. 0. ARTUS, Études sur le livre de Nombres. Récit, Histoire
et Loi en Nb 13,1- 20,13 (OBO 157), Gôttingen 1997, 91-92; L.
SCHMIDT, «Die Kundschafterzâhlung in Nm 13-14 und Dtn 1,19-46:
Eine Kritik neuerer Pentateuchkritik», in ZAW 114(2002), 40- 58; J.-
L. SKA, «Le récit sacerdotal: Une "histoire sans fin"?», in T. RÔMER
(a cura di), The Books of Leviticus and Numbers (BEThL 215),
Leuven 2008, 643-647.
0
Cf. M. STERNBERG, «Point of View and the Indirections of
Direct Speech», in Language and Style 15(1982), 67-117; J.-P.
SONNET, «À la croisée des mondes. Aspects narratifs et théologiques
du point de vue dans la Bible hebraïque», in M. BAUKS - C. NIHAN
(a cura di), Manuel d'exègése de l'Ancien Testament, Genève 2008,
75-100.
dissuasivo della maggioranza degli esploratori
(13,26.29.31-33), che scoraggiano il popolo. In effetti,
pur confermando la bontà della terra (v. 27), per la prima
volta, introducendo un decisivo «ma» avversativo
(13,28), la screditano iperbolicamente come micidiale 0 a
causa del titanismo della «gente che abita il paese» (vv.
28.32), sottostimando la potenza d'Israele. Per ironia,
guardano il loro popolo dal punto di vista degli avversari,
paragonandolo a locuste commestibili (cf. v. 33), e
adottano inconsciamente in modo autolesionista le
tecniche della guerra psicologica del mondo assiro, con
una «dissonanza cognitiva» che mira a minare

0
Sulla natura pacifica degli esploratori, caratterizzati dal verbo
di ricerca twr, distinti dalle spie che hanno una connotazione più
militare espressa fra altri dal verbo rgl (piel), cf. S.E. MCEVENUE,
The Narrative Style of the Priestly Writer (AnBib 50), Rome 1971,
120-121; sulla tecnica di intelligence biblica, rinviamo a P.
DUBOVSKY, Hezekiah and the Assyrian Spies (BibO 49), Roma
2006, 243. Sulla «dissonanza cognitiva» disgregatrice, cf. ivi, 22.
0
Cf. N. LOHFINK, «Die Ursiinden in der priesterlichen
Geschichtserzàhlung», in ID., Studien zum Pentateuch (AT 4),
Stuttgart 1988, 38-57. Per S.E. MCEVENUE, The Narrative Style of
the Priestly Writer (AnBib 50), Rome 1971, 135-136, gli esploratori
descrivono la terra divoratrice di Canaan come lo sheol. B.
BAENTSCH, Exodus-Leviticus- Numeri (HAT 2), Gòttingen 1903,
522-523, ne sottolinea la connotazione di infertilità. SONNET, «À la
croisée des mondes», 94, richiama l'anticipo dei Viaggi di Gulliver di
J. Swift o il Micromégas di Voltaire. Possiamo aggiungere la poesia
di A. Killigrew, On the Death, che cita l'episodio.
l'entusiasmo del popolo e renderlo più propenso alla
defezione. Tali esploratori, che con Xambulano compiuta
come segno di possesso giuridico del Paese 0 dovevano
segnare il raccordo tra questo e gli israeliti, in realtà lo
vanificano.
Questo disfattismo degli esploratori costituisce il
filo rosso della mormorazione del popolo contro Mosè. In
antitesi, c'è dapprima il punto di vista ottimistico di Caleb
(v. 30), cui si associerà a una sola voce Giosuè (14,6).
Caleb viene introdotto senza particolari presentazioni,0
perché l'essenziale è che faccia tacere il popolo che si era
ribellato (come è da presumere nell'ellissi del v. 30a), ma
soprattutto per far suonare per la prima volta il verbo
«ereditare» (yàras, v. 30b), che ripeterà insieme a
Giosuè, rilanciando la conquista sicura della terra come
dono di YHWH. A differenza degli altri esploratori, che

0
Su tale procedimento giuridico del percorso che anticipa il
possesso effettivo, cf. D. DAUBE, Studies in Biblical Laws,
Cambridge 1947, 37; N. LOHFINK, Studien zum Deu- teronomium
und zur deuteronomistichen Literatur, Stuttgart 2005, V, 273-275.
0
Rimarcato da J. VAN SETERS, The Life of Moses: The Yahwist
as Historian in Exodus-Numbers, Westminister 1994, 75.
temono i titanici cananei più del Signore, essi sanno che
YHWH è molto più forte (14,6-9).0
Diacronicamente, molti accostano quest'episodio a
quelli di Esd 3,3 e di Esd 4,4-16, in cui, però, il narratore
inverte i ruoli, trasformando la «gente del Paese» in
sabotatori della ricostruzione del tempio operata dai
rimpatriati della Gòlàh. Nel nostro testo, servono a
giustificare il ritardo dell'ingresso nella terra promessa,
qui dovuto al peccato degli esploratori, e a continuare il
tema dell'alternanza tra fallimento e speranza. Sul piano
drammatico, con questa scena preparatoria Mosè, ma
soprattutto il lettore, sono posti dinanzi al dilemma di
schierarsi o con gli esploratori, come fa il popolo che
minaccia di lapidare i suoi leader, condividendo
puerilmente la mai sopita nostalgia dell'Egitto (Nm 14,2-
4), oppure con Caleb e Giosuè, che consigliano di non
temere la «gente del Paese», fiduciosi dell'assistenza
divina. La scena prepara a far risaltare Mosè nel suo
ruolo di intercessore (vv. 13-19), ma anche alle due

0
Così G. BERNINI, Il Libro dei Numeri, Torino 1972, 151; R.P.
KNIERIM - G.W. COATS, Numbers (FOTL 4), Grand Rapids, MI
2005, 186; S.K. SHERWOOD, Leviticus, Numbers, Deuteronomy,
Collegeville, MN 2002, 158.
sentenze in cui Dio nella prima sembra punire tutto il
popolo risparmiando Caleb (14,11-25), per poi
correggersi - come solo lui può fare nelle convenzioni
bibliche - nella seconda, in cui la punizione cade solo
sulla generazione dell'esodo, ricompensando Caleb e
Giosuè (14,26-38).
CAPITOLO 5: I MOTIVI DELLA
MESSA IN SCENA DEI
PERSONAGGI SECONDARI
NELL'ANTICO TESTAMENTO

Giunti al termine della nostra indagine senza


pretese d'esaustività, cercheremo di enucleare i motivi
soggiacenti alla scelta dell'AT di accordare spazio ai
personaggi secondari sul piano formale e nel mondo del
racconto. Un adagio folgorante recita che «lo stile è
l'uomo stesso»,0lungi da ogni dicotomia tra forma e
contenuto, perché «lo stesso racconto è il significato».0
Questa peculiarità dell'arte narrativa biblica può spiegarsi
a partire dall'esperienza storica vissuta da «Israele»,
nome che qui intendiamo come comodamente

0
L'adagio è tradizionalmente attribuito a G.L. DE BUFFON,
Discours sur le style, Paris 1753.
0
H.W. FREI, The Eclipse of Biblical Narrative: A Study in
Eighteenth and Nineteenth Century Hermeneutics, New Haven, CT
1978, 270: «Il racconto stesso è il significato del testo [...]. Non si
riferisce a nessun altro "argomento principale", e il significato, nella
misura in cui lo si pensa come del tutto distinto dal testo, emerge
cumulativamente dal testo stesso».
complessivo delle diverse realtà e idee in base alle
epoche e ai testi in cui risulta usato.0

1. Esigenze drammatiche

1.1. Risorse sceniche


Una prima motivazione è di ordine stilistico e
deriva dall'osservazione fatta da H. Gunkel per cui i
personaggi secondari vengono escogitati per arricchire la
povertà intrinseca allo stile biblico, facendo di necessità
virtù:
Siffatta brevità dei racconti è, come abbiamo visto,
il segno della povertà di quest'arte antica; ma, nello
stesso tempo, tale povertà ha i suoi vantaggi particolari.
L'esiguo perimetro all'interno del quale il narratore deve
muoversi lo costringe a condensare tutto il suo potere
artistico nel punto più piccolo. Tanto più queste creazioni
sono piccole, tanto più sono concentrate e più forte è il
loro effetto. La ristretta capacità di composizione di cui
sono testimoni queste piccole opere d'arte ha anche come

0
Cf. al riguardo N.P. LEMCHE, The Israelites in History and
Tradition, London 1998, 20-21 e 86-132.
risultato di forgiare delle narrazioni altrettanto chiare e
altrettanto trasparenti per quel che è possibile.0
Abbiamo visto come la loro messa in scena, benché
brevemente complanare, tranne qualche eccezione,
soddisfa due fondamentali necessità drammatiche. La
prima è l'influsso sul dinamismo della trama, specie nelle
funzioni di raccordo, di svincolo e di catalizzazione, che
servono a orientare l'intreccio. La seconda è
l'arricchimento della caratterizzazione del protagonista,
in particolare nelle funzioni di contrasto, con impatti sul
piano del ritmo, della vivacità e della tensione, provocati
dai dialoghi che s'instaurano con gli altri personaggi
principali. Nei casi di agenti catalizzatori, alcuni
appaiono insostituibili per l'intreccio, come la sorella di
Mosè (Es 2) o la piccola schiava di Naaman (2Re 5),
perché senza di loro non ci sarebbe storia; in altri casi,
soprattutto gli agenti di raccordo sono sostituibili e

0
H. GUNKEL, Genesis (GHAT 1), Gottingen 31910, XXXIV. Cf. Y.
AMIT, Reading Biblical Narratives. Literary Criticism and the
Hebrew Bible, Minneapolis, MN 2001, 70-71: «Non è erronea
l'ambivalenza delle affermazioni di Gunkel. Egli descrive l'inferiorità
dell'antico racconto ebraico e nel medesimo tempo nota il vantaggio
del minimalismo. Sappiamo che la creazione di personaggi con gli
scarni mezzi di un racconto di breve azione non è meno sofisticata
dell'opera di autori che si soffermano sulla vita mentale».
servono da cerniera, o rimpolpamento di un canovaccio,
che potrebbe essere una riprova dell'ipotesi di A.F.
Campbell. Altre volte assumono, pur brevemente, il ruolo
di controfigure dei protagonisti.
L'apporto saliente della modalità mimetica
dell'interazione di questi agenti è che ha come
destinatario precipuo il lettore. Il narratore, infatti, nella
loro voce, e in particolare nella voce di personaggi secon-
dari femminili, stimola la riflessione, suscita domande,
media la sua assiologia. Di fatto, sarebbe ingenuo
pensare che il narratore si limiti a verbalizzare
registrando su nastro i loro discorsi, senza aggiungere,
enfatizzare o selezionare.01 personaggi di un racconto
sono figure letterarie, pur non negando un loro eventuale
aggancio nella realtà storica che va dimostrato; in quanto
attori di un dramma, sono «di finzione» e «di fazione»,
rappresentati dalla polifonia delle voci narranti. Oltre a
ciò, talvolta, come si è constatato, la loro messa in scena
diventa un prezioso veicolo per arricchire la competenza
del lettore su ambienti, costumi e istituzioni, in

0
Cf. M. STERNBERG, «Proteus in Quotation-Land. Mimesis and
the Forms of Reported Discourse», in Poetics Today (1982)3, 107.
particolare per incastonare delle eziologie. Non di rado,
poi, a livello di architettura narrativa, vengono messi in
scena per creare suggestive inclusioni, parallelismi,
richiami, o per conferire una certa continuità là dove
risulta funzionale.

2. Finestre di una nuova Weltanschauung

La scelta di questi agenti secondari, non solo sul


piano formale, ma nel mondo del racconto, siano essi
protagonisti o gregari, segna un'inedita e sovversiva
Weltanschauung, per certi aspetti affine a quella che
rappresenterà il verismo nella letteratura europea
dell'Ottocento - E. Auerbach, come si è visto, preferiva
parlare di realismo - che resterà un fenomeno interno alla
letteratura giudaica, pur assorbendo i fermenti e
respirando le istanze che stavano baluginando nella
letteratura ellenistica. S. Talmon0 spiega il ripudio dei
canoni epici come una deliberata e drastica presa di
0
Cf. S. TALMON, «Did There Exist a Biblical National Epic?»,
in Proceedings of the Seventh World Congress of Jewish Studies in
the Bible and the Ancient Near East, Jerusalem 1981, 41-61. Cf. ivi,
57 il suo perentorio giudizio: «L'Israele biblico non produsse e
neppure promosse il genere epico».
distanza da un genere che nel mondo dell'antico Vicino
Oriente e del bacino mediterraneo era inscindibilmente
collegato alla mitologia e alla magia, per tutelare
l'integrità della propria memoria storica dalla tabe di
influenze pagane.
Tale tesi è condivisibile, ma va sicuramente
integrata alla luce della storia d'Israele, in particolare di
due eventi spartiacque quali la fine della monarchia, con
la caduta di Gerusalemme (587/586 a.C.) dopo quella di
Samaria (722/721 a.C.), e la ricostruzione della comunità
del secondo tempio (dal 520 a.C. in poi), con un
giudaismo poliedrico, che viveva nel Paese ma
contemporaneamente nella diaspora egiziana e
babilonese, in ogni caso in una situazione di subalternità
all'impero di turno. Come la storia insegna, normalmente
è una monarchia a costituire il naturale «contesto vitale»
CSitz im Leberì) di ogni opera epica, sia come
committente, sia come destinataria privilegiata di tale ge-
nere funzionale all'ideologia di potere. Ora, l'istituzione
monarchica in «Israele», sia unita che divisa, durò troppo
poco per consentire ai propri scribi di palazzo di
comporla (come fecero, ad esempio, Cal- listene e
Clitarco per Alessandro Magno, Virgilio per Augusto).
Fatto più importante, costoro non potevano attingere a
una tradizione particolarmente gloriosa, perché più
crivellata di disfatte che costellata di vittorie, pressata
dalle superpotenze che si avvicendavano.
In modo significativo, contrariamente all'afflato di
una gloriosa epica nazionale, essi sembrano coltivare
piuttosto un'«epica della sconfitta». Infatti, da una parte
non risparmiarono gli eventi umilianti, come il
vassallaggio e la campagna di Sisak (IRe 14,25-26), e
quelli traumatici della caduta e deportazione prima di
Samaria (2Re 17) e poi di Gerusalemme (2Re 25), senza
rimuoverli come era prassi nelle altre culture coeve;
dall'altra, non menzionarono minimamente il successo di
Omri (876-869 a.C.) contro Moab, attestato dalla stele di
Mesha, né della battaglia di Qarqar (853 a.C.) citata dalle
fonti di Salmanassar III, che, verosimilmente, vide la
vittoria della coalizione siro-israelita cui partecipava il re
Acab contro l'espansione degli assiri.0
0
Per la stele di Mesha, cf. J.A. DEARMAN (a cura di), Studies in
the Mesha Inscriptions and Moab, Atlanta, GA 1989; M. LIVERANI,
Oltre la Bibbia. Storia antica d'Israele (Storia e Società), Roma-Bari
2003, 127; per le fonti assire su Qarqar, cf. A.K. GRAYSON, Assyrian
and Babylonian Cronicles, Winona Lake, IN 2000, 23; LIVERANI,
Il giudizio sulla monarchia fu severamente
negativo,0 condotto in base a criteri più religiosi che
politici, perché si era dimostrata incapace di tutelare
l'indipendenza del popolo. Se fino ad allora l'esistenza
era impensabile senza di essa come pilastro di stabilità da
ostentare, a questo punto, tolto di mezzo il re, il
destinatario cambiò e divenne - accanto ai ceti
sacerdotali, legati al tempio - principalmente il popolo,
come basamento e fruitore della storia d'Israele; questo
naturalmente comportò l'adozione di uno stile che, per
essere più efficace, doveva essere simpateticamente più
omogeneo e improntato ad attori popolari. Confermando
l'adagio eschileo «la piazza ama criticare il potere»
CSupplici, 485), tipico del popolino che non esita a
mettere in ridicolo la casta dei governanti, i narratori
biblici elaborano una «controstoria» il cui messaggio

Oltre la Bibbia, 126.


0
Su tale giudizio negativo rinviamo a LIVERANI, Oltre la Bibbia,
121-123; 140-142; in generale, cf. F. CRÙSEMANN, Der Wider stand
gegen das Kónigtum. Die antikónigliche Texte des Alten Testament
und der Kampf um denfrùhen israelitischen Staat (WMANT 49),
Neukirchen-Vluyn 1978; A. MOENIKES, Die grundsàtzliche
Ablehnung des Kónig- tums in der hebràischen Bibel. Ein Beitrag
zur Religionsgeschichte des Alten Israel (BBB 99), Weinheim 1995;
R. MULLER, Kónigtum und Gottesherrschaft. Untersuchungen zur
Alttestamentlichen Monarchiekritik (FAT 2.3), Tubingen 2004.
finale è che i re possono essere inferiori al popolo e qual-
siasi persona dotata di saggezza può surclassarli. In
questo non sono dissimili dalla dissacrazione della
commedia attica antica o dall' italum acetum dei saturni
di un Nevio.
Le narrazioni bibliche, scardinando lo status quo,
incarnano un'autentica svolta antropologica, un nuovo
modo radicale di pensare Dio e l'uomo, che ormai vede
da una parte Dio e dall'altra l'intera umanità, senza pochi
privilegiati di mezzo. Inoltre, sempre come notava E.
Auer- bach in Fortunata, i racconti biblici, a differenza di
Omero, rendono palese il processo di trasformazione
storica contro ogni mera illusione di un'immutabilità
della struttura sociale, accanto alla quale l'evolversi delle
persone e dei loro destini sembra relativamente senza
importanza.0 Diversi studiosi0 ravvisano le matrici e gli
influssi di questa controstoria principalmente nell'ambito
profetico e sapienziale, ossia di coloro la cui autorità
0
E. AUERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der
Abendlàndischen Litera- tur, Bern 21959, 32.
0
Rinviamo, fra altri, a G. GARBINI, Letteratura e politica
nell'Israele Antico (StBib 162), Brescia 2010, 114-116; cf. anche
R.N. WHYBRAY, The Intellectual Tradition in the Old Testament,
Berlin 1974; J. BLENKINSOPP, Sage, Priest, Prophet. Religious and
Intellectual Leadership in Ancient Israel, Louisville, KY 1995.
risiedeva nell'arte della parola e del consiglio. Non è
casuale che i personaggi secondari si concentrino nel
corpus della cosiddetta «Storia deuteronomistica», di
tendenza laica rispetto all'elitarismo sacerdotale di
Gerusalemme, legata al popolo e agli «anziani», visti
come antenati dei notabili e magistrati dell'epoca del
secondo tempio.0
Stando ad alcuni studiosi, persino il libro delle
Cronache, nelle sue genealogie, sembra distanziarsi dalla
prospettiva separatista dei libri di Esdra e Neemia, non
esprimendola dal punto di vista dell'élite urbana
gerosolimitana, ma da quello rurale dei villaggi intorno,

0
Sullo status quaestionis della storia deuteronomistica la
bibliografia è sterminata. Qui rinviamo specialmente a: A. DE PURY -
T. RÒMER - D. MACCHI (a cura di), Israël construit son histoire.
L'historiographie deuteronomiste à la lumière des recherches
RÉCENTES (Le Monde de la Bible 34), Genève 1996; A.F. CAMPBELL
- M. O'BRIEN, UNFOLDING THE DEUTERONOMISTIC HISTORY:
ORIGINS, UPGRADES, PRESENT TEXT, Minneapolis, MN 2000; G.N.
KNOPPERS - J.G. MCCONVILLE (a cura di), RECONSIDERING ISRAEL
AND JUDAH: RECENT STUDIES ON THE DEUTERONOMISTIC HISTORY,
Winona Lake, IN 2000; R.F. PERSON, THE DEU- TERONOMIC
SCHOOL. HISTORY, SOCIAL SETTING, AND LITERATURE, Atlanta, GA
2002; T. ROMER (a cura di), THE SO-CALLED DEUTERONOMISTIC
HISTORY. A SOCIOLOGICAL, HISTORICAL AND LITERARY
INTRODUCTION, New York, NY 2006. Si veda pure C. BALZARETTI,
«La storiografìa deute- ronomistica», in G. BORGONOVO (a cura di),
TORAH E STORIOGRAFÌE DELL'ANTICO TESTAMENTO (Logos 2),
Torino 2012, 321-348.
abbracciando componenti anche non israelite, come nel
caso della genealogia di Giuda.0 Questi custodi
dell'identità d'Israele subentrano alla monarchia come
punto di riferimento e collante delle varie istanze e
correnti post- esiliche. Storicamente, anche nel periodo
del secondo tempio, Israele è restato una minuscola entità
politico-sociale, mai del tutto autonoma, prima come
satrapia transeufratena persiana, poi come provincia dei
diadochi ellenistici. Tale consapevolezza d'inferiorità
nello scacchiere internazionale appare in modo
significativo nella Tavola delle nazioni (Gen 10), testo
redatto in epoca persiana dove è assente l'eponimo
«Israele», segno, come afferma J.-L. Ska, che
i redattori biblici lo reputavano un popolo
«giovane» latecomer che fa tardi la sua entrata sul
palcoscenico della storia universale, per cui è ben
probabile che in questo testo si rifletta la consapevolezza
di una situazione di subordinazione o d'inferiorità nei
confronti di altre nazioni più potenti.0
0
Cf. Y. LEVIN, «Who was the Chronicler Audience? A Hint
from His Genealogies», in JBL 122(2003), 229-245, in particolare
243-245.
0
Così J.-L. SKA, «Le genealogie della Genesi e le risposte alle
sfide della storia», in C. TERMINI (a cura di), L'elezione d'Israele:
È improbabile, come accennato nel capitolo 1, che i
narratori della comunità del secondo tempio non
conoscessero le epopee che celebravano il patrimonio
nazionale di altri popoli; ma, nel recupero della memoria
storica del passato per ricostruire l'identità del presente,
partirono dalla loro esperienza di un Israele «vaso di
terracotta in mezzo a vasi di ferro», come avrebbe detto il
Manzoni. In questa ricostruzione identitaria, i pilastri
furono il tempio e il Libro, quest'ultimo con il suo corpus
narrativo, oltre che profetico e sapienziale, che
prospettava nei racconti «personaggi-faro» di
sopravvivenza, ricompattazione e coesione sia ad intra
sia ad extra, conservando una memoria di tradizioni e di
personaggi che diventavano creazione del futuro in un
presente in fase d'assestamento.

origini bibliche, funzione, ambiguità di una categoria teologica. Atti


delXIII Convegno di studi veterotestamentari, Foligno 8-10 set-
tembre 2003 (RSB), Bologna 2005, 94; per la datazione tardiva della
Tavola, cf. C. STREI- BERT, Schòpfung bei Deuterojesaia und in der
Priesterschrift (BEATAJ 8), Frankfurt a.M. 1993. A. MOMIGLIANO,
Alien Wisdom: the limits of Hellenization, Cambridge 1978, 77,
sottolinea che «i greci non registrarono l'esistenza degli ebrei. La
piccola nazione che più tardi doveva avanzare la sfida più radicale
alla sapienza dei greci non è mai menzionata nei testi preellenistici a
nostra disposizione».
Tanto per fare un esempio, i giudei ellenizzati della
diaspora si sentivano legittimati come «ebrei» nei
racconti di Giuseppe, Ester e Daniele, che si
configuravano come paradigmi per chi vive in terra
straniera, ma anche in un Paese che resta sotto il
controllo straniero. Quello di Giuseppe non è un
exemplum solo di riconciliazione tra fratelli e di sostegno
familiare, ma anche di collaborazione fattiva con non
ebrei dominatori, come lungimirante consigliere e
amministratore. Ester sfrutta la sua bellezza, l'astuzia e la
circospezione per salvare il suo popolo dal genocidio,
come Mardocheo aveva salvato Assuero. Daniele, più di
Giuseppe, sdogana il genere della mantica, nel solco di
una «sapienza apocalittica» più attenta alla storia
universale; in Daniele, i sovrani si alternano, la visione
ottimistica dei rapporti degrada in contrasti più virulenti,
ma egli li consiglia nonostante minacciose peripezie,
ottenendo alla fine il loro favore.0
0
Cf. H.P. MÙLLER, «Mantische Weisheit und Apokalyptic», in
G.W. ANDERSON ET AL. (a cura di), Congress Volume. Uppsala 1971
(VT.S 22), Leiden 1972, 268-293; A. VANEL, «Sagesse (Courant dej»,
in DBS, XII, 32-45; M. KÙCHLER, Fruhjudische Weisheitstradi-
tionen - Zum Fortgang weisheitliche Denkens im Bereich des
fruhjudische Jahwesglau- bens (OBO 26), Freiburg 1979, 62-64; M.
SETTEMBRINI, Sapienza e storia in Dn 7-12 (AnBib 169), Roma 2007,
Questi tre personaggi, pur non giungendo mai al
vertice del potere, dimostrano come i giudei possano
sopravvivere e salvaguardare la propria identità nella
diaspora, dettare decisioni risolutive dei problemi in virtù
non della loro potenza, ma della loro sapienza, intesa non
solo in senso intellettuale ma precipuamente pratico di
ars vivendi,0 arrivando a persuadere chi detiene il potere,
persino ad «affascinare» altre nazioni e diventare la porta
di irruzione della sovranità di Dio al di fuori della propria
terra. Questi protagonisti di spicco restano forse meno
accessibili all'uditorio, che trova più affini underdogs
ordinari, gregari sovente anonimi e quindi più facili a un
processo di immedesimazione o replica. Tutti, però, da
Daniele al servo di Abigail, da Ester alla donna di Maacà,
incarnano una «teologia/psicologia della debolezza» che
rassicura l'uditorio, attrezzandolo a vivere le contingenze

67-153.
0
Così A. MEINHOLD, «Die Gattung der Josephsgeschichte und
des Estherbuches: Diasporanovelle I», in ZA W87(1975), 323, in
riferimento a Is 47,10-15 rileva come nella diaspora l'ambito
primario del dibattito teologico e spirituale del giudaismo sia il
mondo degli intellettuali e dei saggi.
e a superare momenti critici, sfruttando le uniche armi
dei deboli, «scaltrezza e destrezza».0
Se nel mondo greco-romano la polemica contro i
tiranni si è tradotta in ribellioni, la narrativa biblica la
esprime in quella di «un popolo di uguali», un principio
fondativo sancito dallo stesso diritto biblico, per cui
nessuno è intoccabile agli occhi dei narratori e la Legge è
destinata a ogni israelita e non monopolio di un'élite. A
questo si aggiunge il compito per ognuno di apportare un
contributo fattivo alla ricostruzione e sussistenza della
comunità, in base alle proprie condizioni e possibilità
personali. Nella democratizzazione di questa saggezza,
incarnata dai più disparati attori e che dà voce a chi non
aveva ufficialmente voce - denunciando che «il re è
nudo»,0 non così potente e intangibile -, sia a livello
israelita, sia a livello internazionale, l'uditorio popolare
vedeva trascritta la propria voglia di rivincita e di

0
L.M. WILLS, The Jew in the Court of the Foreign King.
Ancient Jewish Court Legends, Minneapolis, MN 1990, 204: «Le
leggende di corte affermano una teologia di debolezza, ma anche una
"psicologia" di debolezza; detto altrimenti, esse forniscono un
auspicato compimento di un ideale scribale di sapienza e giustizia».
0
In tal senso WILLS {ivi, 69) mette in risalto la ricorrenza della
«confusione» dei sovrani stranieri in racconti del genere.
valorizzazione,0 nonché la speranza di fondare il
presente, spiegarlo e dissiparne le inquietudini.

3. L'unico eroe dei racconti

Abbiamo più volte visto come il ricorso ad agenti


umani marginali, soprattutto nel caso di informatori e
consiglieri come homines ex machina - dal viandante
incontrato da Giuseppe ai soldati che informano Davide
su Golia, o ai cortigiani persiani - permette ai narratori di
sostituire spesso interventi miticamente divini o
soprannaturali con intromissioni o cooperazioni a prima
vista ordinariamente umane, che talvolta risultano ascritte
espressamente all'iniziativa di Dio, come nel caso di
Cusai che sbaraglia Achitòfel ai fini della rovina di
Assalonne, molto più spesso, però ne occultano la regia
dietro le quinte, come nel caso del servo di Saul o del
soprintendente di Booz, laddove, per dirla con A. France,
0
R. GNUSE, «From Prison to Prestige: The Hero who helps a
King in Jewish and Greek Literature», in CBQ 72(2010), 40, annota:
«Chiunque ama la storia di una persona astuta che sopravvive e ha
successo». Cf. anche J. ASSMANN, Das kulturelle Gedàchtnis.
Schrift, Erinnerung und Politische Identitàt infrixhen Hochkulturen,
Miinchen 1992, 83; S. NIDITCH, Underdogs and Tricksters. A
Prelude to Biblical Folklore, Chicago, IL 2000, 145.
«il caso è lo pseudonimo di Dio quando non voleva fir-
mare» (convinzione ribadita a modo loro sia da G.
Bernanos che da A. Einstein!). In ogni caso, esplicito e
implicito, il narratore mette in primo piano la causalità
esercitata dagli esseri umani, in cui prende carne la
causalità del Deus absconditus (Is 45,18) che non si
congeda, ma resta sovrano degli eventi, timoniere della
storia. Come nota Y. Amit:
Nei racconti di duplice causalità, Dio non appare
personalmente sulla scena degli eventi e, così, il narratore
deve elaborare tecniche che convogliano il sistema di una
causa divina per vie indirette.0
Quanto esposto apre il sipario sul motivo più
profondo dell'assenza di eroi epici e della «secondarietà
strutturale» dei personaggi dell'AT: Israele non ha eroi,
perché l'unico eroe è YHWH, sovrano non solo d'Israele,
ma di tutto l'universo, che sovrasta campioni e sovrani
stranieri. Il giudaismo del secondo tempio, artefice della

0
Y. AMIT, «The Dual Causality Principle and his Effects on Biblical
Literature», in VT 37(1987), 397; cf. anche J. GROSSMANN, «The
Design of "Dual Causality" Principle in the Narrative of Absalom's
Rebellion», in Bib 88(2007), 558-566. Rimandiamo alla monografia
più volte citata di L. SCHMIDT, Menschlicher Erlfolg und Jahwes
Initiative (WMANT 38), Neukirchen-Vluyn 1970.
stesura finale dell'AT, nutre questa consapevolezza
foriera di speranza, anche se immediatamente non
tangibile. Possiamo ovviamente affermare che nei
racconti biblici YHWH domina la scena, ma con due
sfumature. Anzitutto, non è ovviamente un personaggio
alla stregua degli altri, ma è colui che narrativamente li
plasma. Si discosta dagli dèi che intervengono nelle
vicende umane in altre culture e non può essere affatto
paragonato ad essi: ad esempio, egli non parla mai in
modo criptico, come fanno gli dèi egiziani o babilonesi,
ma diretto, in una lingua comprensibile a tutti, dal
faraone al re di Gerar, a Nabucodònosor come ad
Antioco. Laddove c'è raramente qualche enigma (come la
scrittura in Dn 5 o vari sogni), esso viene svelato dai suoi
inviati. Potremmo dire che egli è il primordiale agente di
contrasto in quanto Dio e non un uomo (Nm 23,19; ISam
15,29), ma non come deus otiosus bensì in una
intenzionalità altrettanto iniziale, anzi trascendente ogni
principio di raccordo tra lui, l'umanità e il mondo. Egli
soprattutto è il catalizzatore di ogni azione, in una storia
che è attesa da parte sua della risposta delle sue creature,
ovviamente con modalità di presenza «scenica» che
possono variare dalla pervasività al nascondimento.
Di fatto, si riscontra una presenza mimetica e
diegetica varia di YHWH nell'AT. Ad esempio, nella
Genesi YHWH interviene spesso all'inizio e sempre
meno nel prosieguo, fino, come visto, alla scomparsa
completa nel ciclo di Giuseppe.0 Nella sequenza che va
dall'Esodo al Deuteronomio, YHWH si rivela quasi
esclusivamente tramite Mosè. Nella storia di Davide
appare quasi assente, anche se nella vicenda di Assalonne
il narratore ci informa del suo disegno. Nei libri dei Re,
Dio parla due volte a Salomone (IRe 3,1-14 e 9,1-9) e poi
sparisce, mentre parlerà più volte a Elia (IRe 17,2-3.8-9;
18,1; 19,9.11; 21,17-24.28; cf. 2Re 2,3), ma non parla
mai direttamente a Eliseo e ai re che si susseguono.
Tuttavia, Dio rimane sempre a una certa distanza, anche
nei casi in cui sembra più vicino come Gen 2-3 o 18,1-
35. Il libro di Ester nel TM non menziona mai Dio,
tranne una misteriosa allusione in Est 4,14 e forse in un

0
Ben evidenziato da R. COHN, «Narrative Structure and
Canonical Perspective in Genesis», in JSOT 25(1983), 89-102, e da
W.L. HUMPHREYS, The Character of God in the Book of Genesis. A
Narrative Appraisal, Louisville, KY 2001.
crittogramma in 5,4.0 Agli antipodi abbiamo i libri delle
Cronache, che insistono sull'immediata regia divina degli
eventi.0 Nei diversi racconti di guerre, è sempre Dio che
«accorda la vittoria» e nessuno può usurparne la gloria;
l'episodio in cui Dio ordina a Gedeone di ridurre
l'esercito, perché «gli israeliti potrebbero gloriarsi
dell'impresa contro di me, pensando di essersi salvati per
opera loro» (Gdc 7,2), come già visto, risuona
programmaticamente più volte nell'AT a dissipare
qualsiasi fraintendimento da parte d'Israele e dei nemici.
Tale protagonismo vittorioso attribuito a Dio, in sé non è
inedito nelle letterature dell'antico Vicino Oriente, perché
si registrano paralleli in Mesopotamia e in Egitto; ad
esempio, nella celebrazione delle imprese di Mernefta, e
in altri testi, i sovrani e il proprio dio non si stancano di

0
Come notano vari autori, in 4,14 si parla del «luogo»
(màqòm), un termine usato dal giudaismo per salvaguardare la
trascendenza divina. In 5,4 avremmo in ebraico una frase le cui
iniziali rendono il nome YHWH: «che venga il re e Aman oggi
{Yàbò' Ham- melek Wehàmàn Hayyòm). Rinviamo a C. VIGÉE - V.
MALKA, Le puits d'eaux vives, Paris 1993, 216-217; 226-227.
0
Per tale differenza, cf. S.B. BERG, «After the Exile. God and
History in the Books of Chronicles and Esther», in J.L. CREANSHAW
- S. SANDMEL (a cura di), The Divine Helmsman. Studies on God's
Control of Human Events. Presented to Lou Siberman, New York
1980, 107-127.
elencare ciò che l'uno ha fatto per l'altro, per la pacifi-
cazione del Paese e per il loro personale vantaggio. 0
Inedito, invece, è come l'AT, a mo' di un bassorilievo,
ingigantisce la figura di Dio, ridimensionando ed
eclissando altri eroi umani.
Il Siracide, nel suo elogio degli uomini illustri (Sir
44-50), li introduce come «coloro nei quali Dio ha
rivelato la sua gloria e la sua grandezza» (Sir 44,2), con
lo scopo di celebrare i magnalia Dei, più che tessere
l'encomio dei grandi eroi del passato.0 L'immagine e
l'azione di YHWH «guerriero» è innegabile, ma egli non
0
Per i testi, oltre alla stele di Mernefta, cf. l'Inno della vittoria
di Ramsete II a Qa- desh, quello di Tutmosi III, in E. BRESCIANI,
Letteratura e poesia dell'antico Egitto, Torino 1999, 405-450; per la
lettera di Sargon al suo Dio, cf. M. WEIPPERT, «"Heiliger Krieg" in
Israel und Assyrien. Anmerkungen zu Gerhard von Rad Konzept des
Heiligen Krieges im Alten Israel», in ZAW 84(1972), 460-493. Si
veda nel complesso K.L. YOUNGER, Ancient Conquest Accounts: A
Study in Ancient Near Eastern and Biblical History Writing (JSOT.S
98), Sheffield 1990.
0
Cf. in tal senso J.-L. SKA, «L'éloge des Pères dans le Siracide
(Si 44-50) et le canon de l'Ancien Testament», in N. CALDUCH
BENAGES - J. VERMEYLEN (a cura di), Treasures of Wisdom: Studies
in Ben Sira and the Book of Wisdom. FS. M. Gilbert (BEThL 143),
Leuven 1999, 181-193; A. NICCACCI, «La lode dei padri. Ben Sira
tra passato e futuro», in R. FABRIS (a cura di), Initium sapientiae. FS.
F. Festorazzi (RivBibS 36), Bologna 2000, 199-225; al contrario,
B.L. MACK, Wisdom and the Hebrew Epic. Ben Sira's Hymn in
Praise of the Fathers, London 1985,184-186, parla di «racconto
epico», «epica ebraica» e di «figure mitologiche».
ama usare le tradizionali armi epiche come «l'arco, la
spada, la guerra, cavalli e cavalieri» (cf. Os 1,7), anzi è il
Dio che «stronca le guerre» (Es 15,3; Sai 46,10; 68,31;
Gdt 16,2).0 Nella celebrazione delle sue gesta, va colta
una differenza tra la prosa narrativa e la poesia dei cantici
incastonati nei racconti; l'uso di queste inserzioni
accomuna l'AT ad altre letterature - mesopotamica,
egiziana e greco-latina - e viene attribuito alle istanze e ai
gusti letterari del secondo tempio. 0 Tali poemi
approfondiscono teologicamente l'evento narrato,

0
Su questo tema, cf. H. FREDRICKSSON, Jahwe als Krieger.
Studien zum alttesta- mentlichen Gottesbild, Lund 1945; G. VON
RAD, DerHeilige Krieg im alten Israel (ATANT 20), Zurich 1951;
P.D. MILLER, The Divine Warrior in Early Israel (HSM 5),
Cambridge, MA 1973; P. WEIMAR, «Die Jahwekriegserzàhlungen in
Exodus 14, Joshua 10, Richter 4 und 1 Samuel 7», in Bib 57(1976),
38-73; M.C. LIND, Yahweh is a Warrior, Scottdale, PA 1980; S.M.
KANG, Divine War in the Old Testament and the Ancient Near East
(BZAW 177), Berlin 1989; A. VAN DER LINGEN, LES GUERRES DE
YAHVÉ. L'IMPLICATION DE YHWH DANS LES GUERRES D'ISRAËL
SELON LES LIVRES HISTORIQUES DE L'ANCIEN TESTAMENT (LD 139),
Paris 1990; A. RUFFING, JAHWEKRIEG ALS WELTMETAPHER.
STUDIEN ZU JAHWEKRIEGTEXTEN DES CHRONISTISCHEN
SONDERGUTES (SBB 24), Stuttgart 1992.
0
Così J.W. WATTS, Psalm and Story, Inset Hymns in Herbrew
Narrative (JSOTS 139), Sheffield 1992,196-197, che, oltre a inni
nelle narrazioni assunti da parte della letteratura post-esilica di
antichi generi non ebrei, annovera anche la citazione di ritornelli
liturgici in testi altrettanto tardivi (cf. lCr 16,41; 2Cr 5,13; 7,3.6a; Es
3,11).
traguardando il futuro, sollecitando la partecipazione del
lettore ed enfatizzando l'eroicità di YHWH in una
descrizione metatemporale, come appare nei peana di Es
15,1-21 e Gdc 5 (cf. Gdt 16), posti sovversivamente sulle
labbra di donne.0 Nelle narrazioni, invece, l'eroicità di
YHWH appare più misurata, calata nella storia, e
conosce «cause seconde», ricorrendo imprevedibilmente
proprio ai più umili e più deboli, addirittura a emarginati
e falliti, per portare a termine i suoi disegni.
Questa è l'autocoscienza che l'AT esprime a partire
dall'esperienza storica d'Israele, «il più piccolo di tutte le
nazioni», non certo prestigioso e significativo per
capacità di mezzi, bensì in virtù di un'elezione impensata
e gratuita da parte di Dio (Dt 7,7-8), un «vermiciattolo»,
che può appoggiarsi solo sulla propria debolezza e
minoranza, come insisteranno i profeti (cf. Am 7,3-5; Is
41,14-16; 60,22).0 Questo principio strutturante del «più
piccolo» esprime la certezza del credente nella libertà
0
Rinviamo a J.-L. SKA, «Il Cantico di Mosè (Es 15,1-21) e la
regalità del Dio d'Israele. Riflessione sulla poetica ebraica», in G.
BORTONE (a cura di), Il bello della Bibbia, visione poliedrica del
«Bello Ideale», L'Aquila 2005, 3-34; J.-P. SONNET, «C'est moi qui,
pour YHWH, c'est moi qui veut chanter (Jg 5,3). La poésie lyrique
au sein du récit biblique», in C. FOCANT - A. WÉNIN (a cura di),
Analyse Narrative et Bible (BEThL 191), Louvain 2005, 373-387.
imponderabile di Dio, che sceglie di partire e di ripartire
dai piccoli numeri, da ciò che è ultimo e disprezzabile,
come accade all'inizio per Abramo e nel post-esilio per il
«resto» e pervaderà la teologia dei «poveri di YHWH»
nel Primo e nel Secondo Testamento (cf. ISam 2; Gdt 16;
Mt 21,42; Le 1,52; ICor 1,26).

4. Percorsi di senso

Dinanzi al problema della sopravvivenza in tempi


calamitosi, di una frustrazione identitaria e di ricerca
della propria «verità», i narratori biblici, grazie a una
mimesi reciproca, plasmano i propri personaggi dai
lettori reali, e performano i lettori impliciti con siffatti
personaggi. Detto altrimenti, c'è un ruolo per tutti.
Costoro non si prestano soltanto a una mera
contemplazione estetica, ma a un'offerta di senso, sia

0
Cf. P. BOVATI - R. MEYNET, Le Livre du prophète Amos
(Rhétorique Biblique 2), Paris 1994, 284: «Israele non saprebbe
essere salvato che per la sua piccolezza»; cf. H. SIMIAN-YOFRE,
Amos, Milano 2002, 143. Per Isaia, cf. J. STUHLMÙLLER, Creative
Redemp- tion in Deutero-Isaiah (Is 40-55) (AnBib 43), Rome 1970,
99-131.
nelle loro luci, sia nelle loro ombre, come già avvertiva
Agostino:
Lo Spirito del Signore infatti ciò che decide di fare
lo effettua non solo per mezzo dei buoni ma anche dei
cattivi, per mezzo di coloro che lo sanno ma anche
tramite quelli che non lo sanno. Dio, che sa bene uti-
lizzare in bene i nostri mali, ha usato gli stessi peccati di
costoro per significare quel che voleva (iQuest. in Hept.:
PL 34,814).
Essi orientano il cammino, tramite un'intelligenza
che trionfa sulla forza cieca e la possibilità di persuadere
i detentori del potere, addirittura nemici, a esercitarlo in
maniera equa e vantaggiosa, senza pretese di rivoluzioni
o d'indipendenza. Parafrasando L. Pirandello, sono «per-
sonaggi in cerca di attore». Nella ricerca e nel servizio a
questa verità, le figure più infime e ordinarie,
misconosciute dalla storia ufficiale, non si discostano da
quelle salienti e rimembrate. La narrazione biblica invita
i lettori a decostruirle, a riscriverle per le proprie storie,
sollecitando un'attenzione alla quotidianità della
commedia umana nelle sue ombre e nelle sue luci e
all'incarnazione di una logica divina che sovverte i
canoni della «sapienza di questo mondo» (ICor 1,23; cf.
Mt 11,25; Le 1,48-54; Gc 2,1) e può cambiare in positivo
l'esistenza:
Nel loro insieme, gli eroi della Bibbia possono
appartenere a qualsiasi classe sociale e le loro esperienze
sono quelle di un comune mortale. In termini più
semplici, le persone di tutte le classi, finanche le più
umili, possono fare delle esperienze di portata universale
e le azioni più ordinarie possono essere il luogo di una
«verità» che concerne l'esistenza umana come tale.0

0
Cf. J.-L. SKA - A. WÉNIN - J.-P. SONNET, L'analyse narrative des
récits de l'Ancien Testament (CE 107), Paris 1999, 13.

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