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FILOSOFIA E FELICITA’

Comune a tutte le scuole ellenistiche è l’interesse verso i problemi dell’esistenza individuale e l’obiettivo
dell’imperturbabilità, intesa come privazione di ogni turbamento e quindi di ogni dolore.

Comune ai diversi filosofi (Epicurei, Stoici e Scettici) è un obiettivo essenziale di questa “arte del vivere”:
l’atarassia, cioè uno stato caratterizzato dall’assenza di turbamento e coincidente con la felicità stessa.
Condizioni per raggiungere questo stato sono la rimozione del dolore (aponia) e l’apatia, cioè l’assenza di
patimenti. Le varie filosofie suggeriscono comunque diversi modelli di saggezza con le rispettive ‘ricette
della felicità’.

Lo stoicismo pone a fondamento della propria proposta etica l’osservazione che tutti gli esseri tendono a
realizzare pienamente sé stessi, per raggiungere questo obiettivo l’uomo deve seguire la ragione, a
differenza degli animali che seguono l’istinto. Nell’essere umano il logos si esprime sia come tendenza alla
sopravvivenza che come razionalità consapevole. Il bene morale (la VIRTU’) esalta la nostra natura umana,
al contrario il male morale (il VIZIO) lo danneggia.

Dall’esercizio dell’etica, ossia dall’uso pratico della ragione, deriva la felicità che gli stoici considerano un
bene prezioso, come Epicuro. A differenza di questo, però, non credono che essa possa essere
immediatamente perseguita e posta come obiettivo primo dell’esistenza.

Essi affermano che la felicità è il piacere che possono darsi solo come conseguenza, come risultato
dell’azione virtuosa. L’unica felicità possibile è la soddisfazione, la pace interiore che nasce dalla
consapevolezza di aver compiuto il proprio DOVERE.

Gli stoici quindi invitano l’uomo a VIVERE SECONDO NATURA, cioè SECONDO RAGIONE. Gli uomini che non
seguono la ragione, o la seguono solo in parte, non saranno mai veramente felici. Gli uomini che che si
comportano in modo autolesionistico, desiderando ciò che non potranno mai avere e lasciandosi dominare
dalle passioni invece che liberarsene e arrivare all’imperturbabilità, continueranno ad essere angosciati e
infelici.

In molti adulti la razionalità è malata perché corrotta dal vivere in società che suggerisce falsi valori e offre
pessimi esempi, instillando nella loro mente false opinioni.

Epicuro afferma che il piacere è il fine di una vita felice, il bene primo che muove ogni nostra scelta.
Secondo Epicuro il piacere è di due tipi:
CATASTEMATICO, stabile e costante. Si raggiunge tramite l’assenza di dolore, fisico e psichico.
CINEMATICO, in movimento, in cui si agisce per soddisfare i propri desideri.

Il piacere stabile (Catastematico) è una condizione di serenità, equilibrio armonia con sé stessi e con
l’ambiente. Si identifica con l’assenza di sofferenza fisica e con l’ATARASSIA, cioè l’assenza di turbamenti e
l’assenza di desideri inutili. Le passioni sono pericolose perché chi ne è dominato non ragiona più e si lascia
andare a forti oscillazioni d’umore. Momenti di grande esaltazione alternati a momenti di grande
disperazione.

Per raggiungere l’imperturbabilità è necessario l’annullamento dei turbamenti che agitano l’animo umano:

1. Il timore degli dei


2. La paura della morte
3. L’ansia di raggiungere la felicità
4. La paura del dolore fisico
Lo scetticismo pone come centro della riflessione la questione dell’esistenza dell’uomo e della sua felicità,
prefiggendosi di assicurare all’anima quella stessa imperturbabilità cercata da tutti i filosofi ellenistici.

La ricetta scettica parte dalla massima NE PERSEGUIRE, NE EVITARE NULLA. La ragione dell’infelicità deriva
da qualche turbamento e tutti gli sconvolgimenti provengono dal fatto di perseguire o evitare intensamente
qualcosa. Certamente essi concordano sul fatto che non sono da considerare valori da perseguire il denaro,
il successo e la salute in quanto effimeri e portatori di turbamenti. La soluzione infatti non è desiderare le
cose giuste, ma non desiderare più nulla. Lo scetticismo intende anche liberare il soggetto anche da cosa sia
giusto o cosa sbagliato.

Le filosofie ellenistiche, nel proporre all’individuo un ideale di saggezza capace di condurre alla felicità, sono
costrette a confrontarsi con il contrario di quest’ultima, ad assumere cioè come sfondo della propria
riflessione il rapporto con l’infelicità. La pratica filosofica si misura costantemente col problema
dell’infelicità e del dolore, mirando ad alleggerire la condizione umana dal fardello di sofferenze da cui è
gravata. Questi filosofi appaiono sorprendentemente vicini alla nostra sensibilità in quanto “concepirono la
filosofia come una via per affrontare i problemi più dolorosi della vita umana. Essi guardarono al filosofo
come ad un medico compassionevole la cui arte è in grado di curare molte delle sofferenze umane più
diffuse” (Martha Nussbaum).

Per Plotino, invece, il destino più autentico e vero dell’anima risiede nella trascendenza dell’Uno, al di là del
mondo sensibile. Plotino individua la vera “patria” dell’anima, il suo bene supremo e destino di felicità,
nell’Uno. L’anima intraprende l’ascesi che la conduce all’Uno. Solo “lassù”, congiungendosi all’Uno-Bene,
essa potrà godere della più pura e completa felicità. Per giungere a questo scopo l’uomo deve percorrere
una serie di tappe che lo portano ad elevarsi sempre più. Si giunge al Bene supremo attraverso:

1. Il rispetto dei doveri sociali


2. La contemplazione della bellezza e la pratica dell’arte
3. L’amore
4. La sapienza e la filosofia
5. Il superamento della dimensione razionale e il raggiungimento dell’estasi.
La “felicità” è una delle mete più ambite dall’uomo occidentale. È divenuta una condizione cercata
e rincorsa, e spesso anche difficile da raggiungere. Nella società di oggi si considera la felicità un
diritto, da raggiungere a tutti i costi, sancito anche nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati
Uniti d’America. La Dichiarazione d’indipendenza americana lo riconosce a tutti gli uomini. È
difficile anche solo dare una definizione di cosa sia, in realtà.
Io mi sento, almeno in parte, d’accordo con il pensiero di Epicuro quando sostiene che ci sono
piaceri dinamici (cinetici) che durano poco e lasciano l’uomo più insoddisfatto di prima e piaceri
statici (catastematici) che invece durano a lungo, frutto della capacità del saggio di godere ogni
momento della propria vita come fosse l’ultimo, senza preoccupazioni per l’avvenire e
accontentandosi di quello che la vita ci riserva.
Naturalmente questo modo di vedere le cose è profondamente in contrasto con tutto ciò di cui
siamo circondati oggi nella società in cui viviamo, dove sembra non si possa vivere pienamente
senza essere sempre alla ricerca e alla conquista di beni materiali o esperienze, da mostrare agli
altri e condividere sui social. Invece una vita felice, secondo il pensiero epicureo è una vita di
serenità profonda e duratura e non una vita volta ad inseguire piaceri fugaci ed effimeri che alla
fine lasciano l’uomo più affamato di prima (su questo punto è convergente il pensiero dello
psicologo Martin Seligman).
Mi piace immaginare una vita serena, fatta di piccole gioie quotidiane come ci insegna la storia del film “Il
meraviglioso mondo Amelie”. La vita di una giovane che passa il suo tempo libero a rendere più felici le vite
delle persone che le stanno intorno, non dimenticandosi però di sé stessa, ricercando la felicità nelle piccole
cose quotidiane.

Meno si possiede e meno si teme di perdere, per questo il filosofo divideva i piaceri in naturali e necessari
(come bere o mangiare), naturali e non necessari (come bere vino al posto di acqua quando si ha sete), e
non naturali e non necessari (come il desiderio di ricchezza o di potere), consigliando di perseguire sempre i
primi.

Se la vogliamo intendere come uno stato permanente, l’idea di una persona che è felice tutta la vita, senza
dubbi, dolori, crisi, questa vita sembra corrispondere a quella di un personaggio senza aspirazioni e senza
desideri che viva isolato dal mondo, soprattutto dal nostro mondo odierno.

La questione è che la felicità, come pienezza assoluta, vorrei dire ebbrezza, il toccare il cielo con un dito, è
situazione molto transitoria, episodica e di breve durata: è la gioia per la nascita di un figlio, per l’amato o
l’amata che ci rivela di corrispondere al nostro sentimento, magari l’esaltazione per una vincita al lotto, il
raggiungimento di un traguardo (l’Oscar, la coppa, il campionato), persino un momento nel corso di una
gita in campagna, ma sono tutti istanti appunto transitori, dopo i quali sopravvengono i momenti di timore
e tremore, dolore, angoscia o almeno preoccupazione.

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