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Itali Svevo

Questo nome è uno pseudonimo, il suo vero nome è Aron Hector Schmitz, di origini ebraiche e
tedesche.
Nasce a Trieste nel 1861 (la città ancora non era italiana e lo diventerà nel 1920) e morirà nel
1928.
Nel 1719 gli Asburgici concessero a Trieste lo Statuto di Porto Franco (nel porto di Trieste non
c’erano dazi per le merci) e per questo diventa uno dei principali porti dell’Adriatico, cos’ la città si
arricchisce e si crea un crocevia di culture e lingue (sloveni, croati austriaci e italiani).
Svevo scrive in italiano nella ricerca di un’identità culturale, vuole riconoscersi come un italiano
tanto che si forma da autodidatta su testi italiani
Viene educato in una scuola elementare israelitica, infatti notiamo che nelle sue produzioni c’è
un’influenza ebraica:
- Centralità della figura paterna
- Forte ironia e autoironia
- Compare molto spesso la figura del folklore dello Schlemiel, ovvero l’inetto, che non vuole
fare le cose
A 12 anni va a studiare in Germani, avrà quindi una formazione liceale tedesca tedesco e in quel
periodo entra in contatto con la cultura filosofica tedesca e si appassiona particolarmente a
Schopenhauer, ma consocerà anche i pensieri di Marx e Nietzsche. A 19 anni torna in Italia e
frequenta l’Istituto Commerciale (Trieste vive di commerci marittimi). Nel 1880 comincia a
lavorare in banca con grande insoddisfazione perché nel frattempo matura la sua passione
letteraria, infatti nel tempo libero inizia a dedicarsi alla lettura e alla scrittura. Nel 1892 pubblica il
suo primo romanzo: Una vita e nel 1898 pubblica il secondo: Senilità, ma entrambi sono un fiasco.
Intanto nel 1896 si sposa con Livia Veneziani che era la figlia di un imprenditore (aveva un
colorificio). Nel 1899 lascia la banca e inizia a viaggiare per tutta Europa per il suo nuovo lavoro nel
colorificio. Non conoscendo bene l’inglese se lo fa insegnare di James Joyce, un irlandese che si era
traferito a Trieste (le loro opere sono considerate d’avanguardia, termine utilizzato per un
movimento che rompe con il passato e dà una spinta innovativa, esempi di avanguardie sono
proprio La coscienza di Zeno e Ulisse).
Nel 1911 il cognato di Svevo ha problemi mentali e decide di iniziare una terapia con Freud, dalla
quale però non ebbe molti vantaggi, infatti alla fine di essa si suicidò e questo porterà Svevo a
muovere una critica alla psicoanalisi.
Nel 1923 pubblica “La coscienza di Zeno”, opera che piacque molto a Joyce e anche a Montale, che
decise di pubblicare un articolo in cui parla della grandezza dell’autore, scoppia il “caso Svevo e
riscuote molto successo. Muore a Firenze nel 1928. Tutta la sua vita ruota intorno a triste, dove vi
tornerà sempre, è l’epicentro della sua produzione letteraria e ha un rapporto quasi viscerale con
essa.
Influenze filosofiche
- Svevo condivide con Schopenhauer la visione dell’uomo non libero e dominato dalla
volontà, le azioni umane sono frutto di una forza che si serve dell’uomo per portare a
termine i propri scopi, anche secondo lui la realtà è solo un’apparenza (velo di Maya) e in
essa non c’è nulla di razionale.
- Legge le opere di Nietzsche in tedesco e apprezza la sua critica alla borghesia e l’idea che il
soggetto non è qualcosa di unitario, ma è formato da pluralità di stati miscelati.
- Con Marx non condivide la rivoluzione, la dittatura e il progetto politico ma trova acuta
l’analisi della società e dell’economia (marxismo speculativo).
 Ne “La tribù” si vede l’influenza marxista. Parla di una tribù che si vuole evolvere,
manda degli ambasciatori in Europa per analizzarsi e per conoscere la società.
Questi tornano e raccontano cosa hanno capito: bisogna accettare il capitalismo,
demolirlo con una rivoluzione, instaurare una dittatura e vivere in armonia. A
questo punto la tribù capisce di avere già la felicità e che quindi non ha bisogno di
evolversi
- Da Darwin il darwinismo di carattere sociale delineato da Spencer (lotta per la
sopravvivenza, supremazia e dominio del più forte). Non utilizza il pensiero darwiniano per
giustificare le disuguaglianze sociali, ma per indagare sulle dinamiche sociali.
- Da Freud le teorie utili per comprendere la psiche ma non pensa che la psicoterapia possa
avere successo
Una vita
La presenza dell’articolo indeterminativo pone la storia su un livello di non eccezionalità, comune.
Il protagonista, Alfonso Nitti, un intellettuale, è costretto a vivere in un mondo banale, conduce
un’esistenza comune, è un impiegato in banca. Un giorno conosce Annetta e ci si fidanza. Non
trova mai il coraggio di chiederla in moglie perché è un inetto e prende come scusa la malattia
della madre. Ad un certo punto scompare e fa perdere le sue tracce, così Annetta si rifà una vita
con Macario, un uomo totalmente opposto a Alfonso. Alfonso scopre questo fidanzamento e
scrive una lettera molto ambigua ad Annetta, sembrava quasi che stesse minacciando lei e la sua
famiglia, tanto che il fratello di Annetta sfida Alfonso a duello che però non ha il coraggio di
presentarsi e si suicida
Senilità
Emilio Brentani, il protagonista della vicenda, si sente un uomo eccezionale e sopra la media, ma
conduce una vita grigia: vive con la sorella Amalia e nessuno dei due ha relazioni amorose.
Entrambi sono gelosi l’uno dell’altro tanto che si controllano fra loro. Un giorno Emilio incontra
Angiolina, una bellissima popolana che però è ignorante per cui prova un sentimento di attrazione
repulsione. Si propone di istruirla, ma lei offesa da questa critica lo lascia e si innamora di Balli, uno
scultore molto energico, quindi l’opposto di Emilio, ma anche Amelia era innamorata di Balli infatti
quando lei scopre del fidanzamento tra i due comincia a soffrire molto tanto da suicidarsi. Il
romanzo finisce con Emilio rimasto solo e senza uno straccio di relazione sentimentale.
La coscienza di Zeno
Il titolo è molto importante, il termine coscienza indica la moralità e la consapevolezza di sé, e allo
stesso tempo ambiguo perché leggendo il romanzo ci si chiede se il protagonista sia cosciente o
meno.
Il romanzo ha 7 capitoli: preambolo, il fumo, la morte di mio padre, la storia del mio matrimonio,
la moglie e l’amante, storia di un’associazione commerciale e psicoanalisi. Non è una biografia di
Zeno e non ha un ordine cronologico, ma per nuclei tematici raccontando fatti importanti della vita
come la difficoltà di smettere di fumare. Quest’opera nasce come elemento terapeutico, infatti la
prefazione è scritta dal Dottor S (riferimento sa Sigmund Freud) che decide di pubblicare le
memorie del paziente perché ha abbandonato la terapia (vendetta dello psicologo). La
pubblicazione di questi capitoli nasce da una ripicca dello psicologo e di conseguenza la prefazione
getta un’ombra sull'attendibilità della narrazione. Non è attendibile anche perché Zeno è
nevrotico. Il nevrotico vede la realtà in modo distorto, ha una forte tendenza alla menzogna. Ma la
storia magari potrebbe essere stata manipolata per infangare il suo paziente .
Svevo demolisce il topos del manoscritto, l’opera viene presentata come opera genuina di un
uomo che parla di sé (Manzoni invece lo usa per aumentare la veridicità del romanzo). Svevo lo
mette in discussione sin dall’inizio, questa non è la storia di un uomo ma la storia di una malattia
che si genera dal conflitto con la figura paterna (complesso di Edipo)
Il fumo
Uno dei grandi problemi di Zeno è il vizio del fumo, dal quale proprio non riesce a liberarsi.
Il protagonista ricorda di aver iniziato a fumare già nell'adolescenza, a causa del rapporto
conflittuale con il padre, al quale inizialmente rubava soldi per comprare le sigarette. In seguito,
dopo essere stato scoperto, raccoglie i sigari fumati a metà sparsi per casa. Nonostante più volte si
sia riproposto di smettere, non vi riesce proprio, e per questo si sente frustrato. I numerosi sforzi e
tentativi non portano però a nessun risultato.
Il dilazionare e rimandare sono il tema principale di questo capitolo.
Ogni sigaretta sarà l’ultima si dice Zeno, e riempie il suo taccuino proprio con la scritta “ultima
sigaretta”, ma ogni volta, dopo aver assaporato il sapore di quell’ultima, comincia a fumarne una
serie, cosa che dimostra la sua mancanza di volontà e la sua incapacità di perseguire un suo
proposito.
Zeno è un inetto, non è mai riuscito a concludere gli studi, non lavora e vive di rendita r lui ne è
totalmente consapevole ma, nonostante ciò, cerca degli alibi che giustifichino il suo
comportamento e quello principale è la presunta malattia dovuta al suo accanimento verso il
fumo.
Dietro questo vizio però si nasconde la non intenzione di voler smettere di fumare e il complesso
di Edipo, ovvero la soggezione e l’identificazione nei confronti del padre, Zeno è combattuto tra il
desiderio di trasgredire e la necessità di dover essere rimesso sulla giusta strada da una figura
autorevole. Oltre a questo bisogna dire che Zeno comincia a fumare perché lo fa il padre (mio
padre lasciava per casa dei sigari fumati a mezzo) ma anche perché suo padre glielo proibisce (non
fu poi la mancanza di denaro che mi rendesse difficile soddisfare il mio vizio), quindi per Zeno
accendere una sigaretta significava ribellarsi al padre.
Le condizioni del protagonista sono espresse sotto forma di monologo interiore e questo scardina
la struttura tradizionale della narrazione, c’è un tempo misto, Zeno ormai vecchio scrive e giudica il
suo passato anche con delle anticipazioni del futuro.
La morte del padre
Una sera, il padre aveva intenzione di parlargli ma questo tentativo fu inutile perché la stessa
notte il padre fu colpito da un edema celebrale. Successivamente c’è uno scontro tra Zeno e il
Dottor Coprosich, che voleva in tutti i modi tenere in vita il padre nonostante stesse soffrendo,
mentre Zeno si augurava morisse, cosa di cui però ebbe subito il rimorso. L’ultimo gesto
involontario del padre moribondo fu uno schiaffo che Zeno interpretò come una definitiva
punizione.
Il quarto capitolo racconta uno degli episodi più drammatici della vita di Zeno, la morte di suo
padre. Come già si può vedere dal “Fumo” il rapporto tra i due è molto conflittuale e il padre
risulta al lettore cattivo e corrosivo. Si può notare in particolare l’inettitudine di Zeno, lui vuole
inconsciamente essere inetto per contrapporsi al padre borghese e alle sue solide convinzioni che
non possono essere sottoposte a dubbio critico (pensa alla riluttanza del padre ad accettare che la
terra si muove) e questo è un modo per aggredire il padre e ferirlo. È ovvio che questi impulsi
aggressivi si scatenano quando il padre è corroso dalla malattia, che lo priva delle sue forse e del
suo potere simbolico. Dietro lo sgomento di Zeno si nasconde sempre il desiderio che muoia il
padre, lui rifiuta questi impulsi e cerca di rimuoverli costruendosi alibi e scuse, ma dobbiamo
ricordare che offre una prospettiva del tutto inattendibile. Alla fine il padre nella sua confusione
mentale percepisce l’odio aggressivo che c’è in Zeno e lo schiaffo è una coerente conseguenza di
ciò. Questo gesto scatena dei forti sensi di colpa nel protagonista che sembra tornare un “bambino
punito” e cerca di dimostrare in tutti i modi che ha torno ma ovviamente non ci riuscirà a causa
dell’improvvisa morte. Tutto questo è dimostrato dall’uso di attributi paterni come, la chioma
bianca, il corpo superbo e minaccioso, le mani grandi e potenti.
La salute malata di Augusta
In questo estratto Zeno proclama il suo amore per sua moglie Augusta, ma anche la sua
ammirazione per la sua perfetta salute e la volontà di diventare come lei. Tutto questo rivela il
disperato bisogno di Zeno di integrarsi con la società borghese, di essere “normale”, ovvero essere
un buon padre di famiglia e abile negli affari. Ma come già detto non possiamo affidarci troppo alla
prospettiva di Zeno, infatti la sensazione di benessere che si può evincere dal testo deriva dal fatto
che Augusta rappresenti la sostituta della figura materna e della dolcezza di cui li ha bisogno, con
lei quindi può illudersi di essere un “patriarca”, ma in realtà la sua dipendenza al seno materno
rivela che tutte le sue debolezze restano immutate. Quindi la sua speranza di essere in salute
come lei è smentita totalmente in quanto Zeno confessa l’insorgere di disturbi patologici di tipo
fobico già durante il viaggio di nozze, come la paura di essere aggredito da nemici o di essere
accusato di furto o addirittura la paura di morire, da cui nasce un alibi per la gelosia per Augusta,
che dopo la sua morte darà il suo conforto ad altri uomini.
Dietro all’amore e all’ammirazione per Augusta Zeno ci dà un ritratto perfido e corrosivo e rivela la
diffidenza, il disprezzo e l’ostilità nei suoi confronti. Augusta appare come un campione della
normalità borghese, per lei tutto ha un posto stabilito, si rinchiude nella ristretta cerchia delle sue
abitudini e nella sua realtà dove tutto è solido e rassicurante, ha pi una fiducia incrollabile nelle
istituzioni ufficiali, politiche e mediche. Si potrebbe dire che è un ritratto simmetrico del padre di
Zeno, lei, come lui, è caratterizzata dall’immobilità con cui è piantata nel mondo, la sua sicurezza
neutralizza qualsiasi tipo di movimento di qualsiasi tipo.
Per Svevo quest’immobilità e pericolosa e finisce per inquinare, finisce per far ammalare, infatti sia
Augusta che il padre di Zeno sono inquinati da questo veleno. Quindi vediamo le due figure di
Zeno e di sua moglie, totalmente diverse, lui in quanto inetto è mutevole, incostante.
Quindi se lui cerca di integrarsi nel mondo borghese, se cerca di trovare un rimedio per diventare
“normale” e sano, dovrebbe in realtà ammalarsi di quella malattia della società borghese.
Psicoanalisi
Zeno ha terminato la psico-analisi che era durata un anno e mostra tutto il suo risentimento verso
la presunzione del Dottor S che dice di averlo guarito quando (gli dice che aveva il complesso di
Edipo) in realtà, secondo lui, ha solamente aggravato la malattia.
Dalle parole di Zeno si può ricavare il giudizio critico dell’autore verso la psico-analisi, emerge
infatti la convinzione del medico di aver guarito il paziente quando in realtà lui è ancora malato,
quindi emerge la convinzione di Svevo della fallacità della psicoanalisi come terapia se non
addirittura dannosa. È anche vero che dobbiamo sempre filtrare le parole di Zeno e il suo
atteggiamento nei confronti del Dottor S, l’aggressività contro di lui, l’intenzione di screditarlo in
tutti i modi, dimostrano la tipica resistenza del malato alla terapia che fa crollare il tutto
l’innocenza dell’uomo, in cui per molto si era rifugiato (tieni presente che il dottore mette a nudo i
reali sentimenti verso il padre). C’è una sottile ironia dietro a tutte le proteste di Zeno che da al
personaggio delle scuse quasi ridicole.
È avvolto dall’ironia anche l’entusiasmo con cui Zeno proclama di essere guarito, l’eroe si ritiene
guarito ma in realtà la sua “grande salute” e “forza” sono solo illusioni, Zeno si tradisce quando
dice di soffrire come prima dei suoi dolori psicosomatici e poi ancora quando dirà che la vita in sé è
una malattia
La profezia di un’apocalisse cosmica
L’ultima pagina del diario di Zeno contiene una riflessione tanto amara quanto realistica sulla
condizione dell’uomo: la sua riflessione estende la malattia a tutta l’umanità, perché la malattia
secondo Zeno è identificata con la vita stessa ma in modo particolare con la vita attuale che è
inquinata alle radici. Infatti negli ultimi secoli l’uomo ha occupato spazi che erano della natura e ha
inquinato l’aria con i suoi fumi (Zeno prevede un futuro in cui l’uomo occuperà tutto lo spazio
disponibile). Il suo discorso si fonda sull’evoluzione di Darwin, infatti dice che la salute è
prerogativa delle sole bestie, che sviluppano i loro organismi per adattarli alle necessità vitali
(rondine e talpa), l’uomo invece non conosce questo tipo di evoluzione verso il meglio e compensa
questa mancanza creando ordigni fuori dal proprio corpo. Così facendo diventa sempre più debole
gli ordigni cancellano la legge della selezione naturale, che fa sopravvivere solo il più forte, non
domina più il più forte ma colui che ha più ordigni e dato l’indebolimento del genere umano
aumentano le malattie e i malati. In questa sua prospettiva pessimistica Zeno da una soluzione
drastica, dice che servirebbe un’apocalisse distruttiva che purificherà il mondo dalle malattie. Un
esplosivo incomparabile verrà attivato da un uomo più malato degli altri e questo provocherà
un’esplosione immane che ucciderà tutto e tutti, infatti se la vita dell’uomo è malattia solo la sua
scomparsa potrà eliminare la malattia dalla terra.
Questa visione apocalittica è certamente suggestionata dallo sviluppo delle macchine dell’ultimo
secolo e a noi sembra quasi profetica visto il potenziale distruttivo degli ordigni del XX secolo.

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