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Restauro

Oggetto del restauro


-Monumento: da “moneo” ⇒ ricordo, ricordare, ammonimento, documento. Si lega al concetto di lunga durata

Ossessione del restauratore anche nell’intervento tecnico di restauro.


Non sono consentite cose che durano poco poiché si ha a che fare con un patrimonio che dura da molti secoli.

Non esiste l’eternità: volontà di allungare la vita di un manufatto antico di 50-60 anni. Interventi che mirano alla lunga durata del
manufatto antico.

• Nel ‘700 si usa il termine “Monumenta” per indicare come monumenti non solo il patrimonio costruito o scultoreo, ma anche i testi
scritti, per evidenziarne il valore di testimonianza della parola monumento. Non solo presenza materiale ma anche presenza
concettuale. Oggetti interessanti sia dal punto di vista artistico che testimoniale.
• Dopo l’unità, intorno alla metà dell’800, in Italia, esisteva la nozione di monumento nazionale : monumento al quale, all’atto dell’unità,
si dava l’incarico di rappresentare la nuova nazione, il nuovo stato unitario. Il monumento, in questo caso, è anche un simbolo politico.
Vi è infatti la volontà politica di voler rappresentare attraverso il monumento nazionale l’identità della nuova nazione. Si prendono
grandi monumenti, in genera afferenti all’epoca medioevale, epoca dei liberi comuni in cui vi era un momento di pace e di benessere,
che si presta a ricordare agli stati preunitari un loro comune passato, e quindi la possibilità di costruire un loro comune futuro. I
monumenti nazionali erano una trentina, tra questi c’erano il duomo di Milano e le grandi cattedrali delle capitali italiane , grandi
monumenti nel senso di emergenze architettoniche che potevano rappresentare l’identità della nuova nazione.
• Negli anni ‘50 e ‘60 si fa strada la definizione di monumento storico artistico

Storico: dal punto di vista di documento del passaggio di un particolare momento politico, sociale, culturale
e architettonico. Testimonianza documentaria di una fase della storia.
Artistico: relativo all’arte in generale.

• Nella metà degli anni ‘60, tra il 1964 e il 1966, avviene in questo percorso una rivoluzione significativa: si riunisce a Roma la
commissione Franceschini-Papaldo (esperti di diritto dei beni culturali ) per aggiornare le due leggi di tutela del 1939: la nº 1089 e la
nº 1497. La commissione non riesce ad ottenere un aggiornamento dal punto di vista legislativo ma introduce una nuova nozione,
quella contemporanea di bene culturale -> qualsiasi testimonianza materiale avente valore di cultura.
• Dai 30 monumenti del 1800 a questa nuova definizione del 1966 l’oggetto della tutela si amplia a dismisura includendo qualsiasi tipo
di oggetto ( volendo anche l’aratro diventa testimonianza di come l’uomo coltiva la terra ). Oggi riteniamo infatti patrimonio costruito
non solo le grandi emergenze architettoniche o i prodotti di grandi architetti, ma anche elementi come, ad esempio, una masseria
storica in muratura costruita su resti romani, in quanto testimonianza dell’abitare e delle tradizioni costruttive e patrimonio
costruito, culturale e naturale.
• Questa nuova definizione postula quindi competenze maggiori e più ampie e il ricorso ad una interdisciplinarità di approccio: non
esiste più il grande singolo autore di restauro ma un team, una complessità di autori e competenze tra loro coordinate.

PAROLE SIGNIFICATIVE DA CONSIDERARE:


• Restauro dei monumenti: la parola restauro viene dal latino reficere che vuol dire rifare. Questo concetto non è da intendersi in
senso stretto come sostituzione ma implica un intervento, un intervenire sul manufatto architettonico. Il restauro si attua quando
non è stata fatta manutenzione. Interventi sui monumenti, su luoghi in cui si identifica la collettività. Anche se appartenenti a privati
vengono riconosciuti come beni identitari che appartengono alla memoria di tutti, del luogo, delle radici. Come diceva Victor Hugo
“l’uso è dell’uomo, la bellezza è di tutti”.
• Recupero e riuso: non sono sinonimi. Si tratta di due operazioni diverse dal restauro che sono finalizzate ad utilizzare un edificio
preesistente, non specificamente di carattere artistico. Il loro obiettivo è quello di reindirizzare l’edificio, tramite l’utilizzo di tabelle
prestazionali ed operazioni specifiche, ad una nuova funzione. Fine ultimo: riutilizzo.

Il restauro ribalta questo approccio: da metà ‘800 è convinzione comune che l’abbandono sia la peggiore delle distruzioni. È stato
sempre chiaro che l’utilizzazione del manufatto antico fosse fondamentale in quanto garante di processi di manutenzione, degrado e
inserimento nella vita contemporanea, rendendolo attrattivo è più vicino a noi.
La domanda per il restauro è: qual è la funzione che può ospitare l’edificio senza che vengano stravolte le sue caratteristiche strutturali,
formali, architettoniche, etc. ?
Il restauro vede la rifunzionalizzazione e la riutilizzazione come mezzo per la conservazione, non come fine ultimo dell’intervento.
Conservare l’edificio in tutte le sue caratteristiche. L’obiettivo diventa quello di come fare per conservare il manufatto rendendolo
riutilizzabile.
• Conservazione: contrariamente al restauro, che implica un intervento, la conservazione tende ad allungare la vita del manufatto con
una serie di interventi tecnici che però non tendono necessariamente a stravolgere in modo significativo le sue parti strutturali.
• Consolidamento: intervento tecnico volto ad allungare la vita con interventi strutturali o di conservazione delle superfici. [es.
consolidare un arco in muratura e allo stesso tempo consolidare l’intonaco struttura superficiale].

Vi sono due grandi famiglie con cui si lavora nel progetto di restauro:
-dissesto: parti strutturali, fondazioni, murature verticali fuori terra, orizzontamenti (solai)
-degrado: elementi di finitura, intonaco, decorazioni, balconi, ringhiere, elementi a vista

TEMA DEL RESTAURO:


Il restauro nasce con l’architettura, poiché già gli antichi si rapportavano con il preesistente. Già gli architetti romani si rapportavano
alle preesistenze dell’età greca. Non si trattava di restauro ma comunque si operava con la preesistenza che aveva un significato che
cambiava di secolo in secolo.
Il restauro viene codificato dopo la Rivoluzione francese nei primi dell’800. Dal punto di vista della codificazione, infatti, il restauro può
essere definito come una disciplina giovane. Tuttavia, l’architetto si relaziona da sempre alla preesistenza con delle varianti determinate
dalle varie epoche (avanzamenti rispetto alle epoche precedenti e consapevolezza sempre maggiore verso il passato).
Il restauro moderno è diverso dalle operazioni del passato di cui la cultura occidentale ha avuto consapevolezza solo a partire dalla fase
successiva alla Rivoluzione francese del 1789, che costituisce uno spartiacque significativo. Ci si rende conto che si è persa una parte
significativa del patrimonio identitario in maniera irreversibile. Non si possono più ricostruire nell’800 cattedrali medioevali se non
facendo un falso.

La cultura occidentale ha una concezione lineare del tempo, una linea retta mono dimensionale, per cui se un oggetto viene prodotto in
una determinata epoca esso rappresenta il prodotto irriproducibile di quel momento storico come tecnica costruttiva, arte del costruire
e cultura architettonica. Le condizioni specifiche sono irriproducibili in un momento successivo. Per cui se nel 2019 si progetta un
edificio secondo le forme del 1800 si sta producendo un falso storico.
Il restauro ha il compito di mantenere un prodotto poiché irriproducibile realtà storica umana: tutelare, conservare, restaurare non solo
nel suo significato, ma anche nella sua fisicità e matericitá.

La concezione orientale è invece diversa, c’è una visione ciclica del tempo. Il tempio si ricostruisce ogni 15 anni uguale a sé stesso, viene
demolito e ricostruito affianco, come simbolo di dedizione al dio ISEE.
Il concetto di autenticità cambia anche in funzione alla cultura in cui ci troviamo.

ESEMPI DI OGGETTO DI TUTELA:

Calascibetta (Enna, Sicilia): oggetto di tutela non di tipo architettonico ma di tipo urbano:
si tratta di un centro storico. È segnato significativamente dalla presenza di case e di edifici
antichi e da un tessuto urbano che è esso stesso una testimonianza storica. Paese che nasce
sul promontorio a guardia di un territorio. La localizzazione è essa stessa un valore che
connota gli insediamenti urbani. È naturalmente difeso nel suo sviluppo dall’orografia del
terreno che ne ha preservato la specificità e impedito la crescita a dismisura (diversamente
da come accade negli insediamenti in pianura). Vi è un rapporto tra patrimonio costruito e
naturale del territorio.

Castellammare di Stabia: torre di avvistamento che sorge su uno scoglio, è costruita


con il materiale cavato in loco. Le architetture, quindi, sono sempre a stretto contatto
con la natura. Nell’architettura tradizionale conta il materiale naturale di
approvvigionamento (la vicinanza delle cave e dei luoghi di estrazione). La natura incide
sulla conservazione di questa torre flagellata dal sale marino, dal vento (erosione eolica)
e dall’umidità dovuta alla risalita dell’acqua. Nessun intervento di restauro su di essa
può prescindere dalla condizione del contesto in cui è inserita.

Costiera amalfitana - Conca dei marini - Convento di S. Rosa: rapporto tra patrimonio costruito e naturale significativo.
Terrazzamenti, come patrimonio di civiltà, sono una preesistenza da conservare così come l’edificio. Rappresentano il modo con cui
l’uomo ha risposto ad un territorio difficile da coltivare. Hanno trasformato delle criticità in una specificità paesaggistica che va
conservata in modo strettamente correlato all’edificio.

Crapolla, fiordo, Massa Lubrense: magazzini testimonianza dell’architettura rupestre


marina. Non di facile accesso (solo via mare) . Servono a immagazzinare le barche.
Architettura rurale in muratura con volte estradossate ricoperte in battuta di lapillo (modo
in cui gli antichi impermeabilizzavano le volte estradossate), con aperture a forbice unico,
mancanza di elementi in ferro ma presenza di elementi in legno (fragili): specificità
dell’architettura da rispettare.

Pozzuoli, masseria frá vecchio: patrimonio delle masserie in Campania nelle zone storicamente agricole (Campania felix) nell’area
flegrea. Questa è in stato di abbandono da più di 15 anni. Era una masseria-residenza con grate di legno e volte che sembrano quasi
romane data l’importanza.

Pozzuoli, rione terra: ristrutturato negli anni ‘80, intervento che ha cancellato i valori di superficie e di patina. Intervento fortemente
sostitutivo degli intonaci, non pienamente consoni.

Cretto di Burri, Gibellina: Burri è un artista del ‘900 tra i più dotati. Gibellina è un paesino
della Sicilia che è stato colpito negli anni ‘70 da un terremoto devastante, il terremoto della
valle del Belice. Burri decise, negli anni ‘70, di fare questa grande opera di land art che in
qualche modo richiama l’idea del terremoto che ha creato fratture nella terra che hanno
inghiottito l’antica Gibellina. Pertanto, fa questa operazione di valenza artistica molto significativa realizzando questo cretto sul
territorio delle Gibellina antica. Questa colata di cemento rappresenta un particolare modo di rispondere ad un intervento nel centro
storico. Non esistendo più il centro lo si trasforma in un memento che ricorda l’evento luttuoso. Invece di consolare con una serie di
nuove casette viene lasciato questo segno che ricorda l’evento del terremoto. Si costruisce Gibellina nuova a valle e ogni architetto degli
anni ‘70 contribuisce regalando un progetto per la nuova cittadella

Agrigento, tempio della concordia: patrimonio inteso come monumento in senso


tradizionale, monumento archeologico. Elemento fondamentale della nostra storia
archeologica.

Einsteintrum, opera di Mendelssohn: patrimonio del costruito moderno. Primi 10 anni del
1900, viene utilizzata la capacità plastica del cemento armato per creare ed utilizzare forme
plastiche. Il restauro si riferisce anche alle opere del ‘900 per cui vengono utilizzati gli stessi
criteri cambiando però le tecniche rispetto ai restauri delle epoche precedenti.

Teatro La Fenice, Venezia: le opere e gli interventi che vanno al di fuori del concetto di
linearità del tempo non vengono riconosciuti come restauro. È il caso di questa
ricostruzione, avvenuta a seguito di un concorso indetto nel 1996, portata avanti da
progettisti italiani che viene considerata un falso storico.
Nell’ottobre del ‘96 il teatro viene completamente stravolto da un incendio doloso appiccato
dalla ditta di elettricisti che vi lavorava. L’incendio ha distrutto la quasi totalità del teatro
lasciando in piedi solo le 4 mura perimetrali e il foyer, tutto il resto delle parti interne
essendo interamente in legno ( requisiti di acustica ) sono state bruciate. 15 giorni dopo
l’incendio il sovrintendente chiama vari colleghi per valutare lo stato dei luoghi e ragionare
sul da farsi. Essendo un simbolo per la città, i veneziani
chiedevano un intervento veloce per riavere il teatro nuovamente li com’era. Venne indetto un
bando, in cui la sovrintendenza si preoccupa di conservare solo quello che è rimasto in piedi. Il
bando viene vinto da Gae Aulenti, ma a seguito del ricorso il progetto viene assegnato ad Aldo
Rossi, che già aveva costruito il teatro a Genova. I docenti di restauro italiano spingevano per una
ricostruzione moderna delle parti mancanti del teatro, lasciando intatti il foyer, le 4 mura e la
facciata, poiché ricostruire nel ‘97 il teatro com’era privo di senso. Il bando, che viene impostato
come una ricostruzione di com’era e dov’era, influenza molto il progetto che pur essendo stato
affidato ad Aldo Rossi (uno dei più bravi architetti italiani contemporanei) porta ad un intervento
di rifacimento in stile di quello che c’era prima. Il teatro risulta così essere ad oggi un falso storico.
La facciata viene lasciata nello stato in cui era e il resto del teatro viene ricostruito nei tre anni
successivi. Vengono riprodotte meticolosamente all’interno tutte le decorazioni in stucco, i putti e
persino lampadari e lampioni, ci si pone persino lo scrupolo filologico sugli affreschi che non
vengono ricostruiti interamente ma vengono lasciati con delle lacune in cui è visibile solo la sinopia
( parte in matita che funge da sfondo all’affresco ). Vi sono però adeguamenti necessari per un
teatro moderno, come rampe per disabili o pilastri e struttura interamente in cemento armato. Aldo
Rossi si impuntò per la conservazione di capriata storica rimasta intatta per la quale venne
effettuato un consolidamento. Questo intervento risulta essere di RIPRISTINO STILISTICO, non di
restauro storico occidentale.

Castello di Baia, Bacoli: sistemazione del museo, il sacello degli augustali, a cura di Enrico
Guglielmo. Attraverso dei piccoli elementi fuoriesce la lettura dei frammenti.

Anni ‘60
• Sicilia, piazza Armerina da Franco Minissi, Villa romana del casale: coperta
da una coltre di sabbia per oltre due secoli . Pavimentazione musiva composta da
mosaici del 400 di età alessandrina che quindi dovevano essere protetti.
L’intervento riconfigura l’unità potenziale alludendo alla configurazione che la
villa aveva in origine. Viene progettata una struttura in acciaio e plexiglas che si
aggancia alle superfici di sacrificio riprese con i materiali dell’epoca. L’utilizzo del
plexiglas è dovuto al fatto che in quegli anni questo materiale era ritenuto molto
valido nell’ambito architettonico (es. mostra d’oltremare utilizzo di materiale
plastico dopo i bombardamenti). A 40 anni dalla realizzazione il plexiglas
risultava di colore viola. L’idea era quella di ricostruire L’Unità potenziale dell’opera d’arte con materiali diversi andando a creare un
sistema di protezione per i mosaici, viene inoltre creato un sistema un sistema di percorrenza per il pubblico di miglioramento della
fruizione dall’alto. Vengono utilizzate infatti una serie di passerelle sospese che consentono di visitare e vedere la villa romana
dall’alto ma soprattutto di guardare i mosaici senza andare a creare eventuali danni di usura su di essi. La problematica principale di
questo intervento è dovuta al fatto che una struttura del genere con il caldo della Sicilia andava a creare un effetto serra all’interno che
rendeva irrespirabile l’aria per i turisti e un microclima umido è troppo caldo per i mosaici. Sette anni fa si ha la necessità di adeguare
la struttura per creare areazione e riciclo dell’aria negli ambienti interni per migliorare il benessere sia per i fruitori che per i resti
conservati. Viene indetto un concorso di idee, però Vittorio Sgarbi era assessore alla cultura del comune quindi il bando viene fatto in
modo da mirare alla sostituzione della struttura di Menissi. I docenti di restauro fecero una petizione affinché fosse lasciata la
struttura di Minissi e adeguata dal punto di vista tecnologico. L’idea di Menissi era molto importante dal punto di vista della
configurazione esterna poiché andava a creare, per il fruitore, il rapporto tra interno ed esterno della domus romana rendendo chiara
la percezione senza falsificare. Viene reso visibile il mosaico delle donne in bikini che si trovava al di sotto di un altro mosaico con
interventi reversibili. Nel 2006 viene rimosso totalmente il lavoro di Franco Menissi e si è costruito una sorta di enorme “canile”, una
struttura in muratura in grado di mitigare l’effetto del sole. La percezione che si aveva nella formula di Menissi si perde, ora vi è un
hangar che protegge i resti che però dal punto di vista della lettura del manufatto non è come il lavoro precedente.

Si lavora con il restauro critico alla ricostruzione post-bellica anche nel resto d’Europa, in particolare nell’Europa dell’est in cui sono
state svolte molte sperimentazioni.
1963-66 in Ungheria, chiesa della torre Salomon a Visegrad, dove i bombardamenti avevano abbattuto parte della copertura e
delle volte della torre. L’idea dal punto di vista architettonico lascia perplessi, risulta quasi insufficiente dal punto di vista materico.
Riconfigura l’unità potenziale della sala crociera demolita con un materiale diverso, con un graticcio in acciaio che doveva ricreare la
spazialità. Si tratta di un intervento sperimentale con un valore simbolico importante.

Anni ‘90-2000

Complesso delle terme di Diocleziano, Roma - L’attuale chiesa di S. Maria degli


angeli. Giovanni Bullian, allestimento dell’aula ottagonale. Il complesso è di epoca
romana con muratura di mattoni pieni che nel corso dell’800 viene utilizzata come
planetario della città di Roma, data la forma ottagonale e l’ampiezza dello spazio. Bullian,
nel restaurare questo stratificato complesso romano, deve tenere conto di doverlo
allestire per un museo. Al di sotto dell’aula ottagonale vi è un’opera archeologica di età
greca. Nello scegliere se lasciare o meno il planetario, Bullian elimina il telone delle
proiezioni lasciando però le colonne in ghisa dell’800 che lo reggevano, come
testimonianza di un passaggio di quel manufatto. Oggi le colonne sono un elemento di
interesse che arricchisce di significato lo spazio. Bullian crea un ottagono centrale che
genera la visione del pavimento. Nel livello inferiore dell’aula ottagonale progetta un
sistema di passerelle cercando di collegare il pozzo archeologico inferiore con la
struttura museale. Da questo punto di vista molte sono le analogie con il tempio Duomo
di Pozzuoli, che ha una struttura vicino ad un’area archeologica, il Rione Terra che
presenta questo tipo di passerella.

Chiesa di S. Filippo neri, Bologna. Intervento di restauro effettuato da


Pierluigi Cervellati 1997-99. Questa chiesa, di proprietà del comune, era stata
bombardata durante la Seconda guerra mondiale e aveva avuto dei crolli
significativi nella parte della volta. L’intervento prevedeva di reintegrare la
spazialità della chiesa barocca ma con materiali diversi. Intervento capace di
non sovrastare la preesistenza ma di dialogare con essa. Non rimargina le parti
bombardate della volta, le lascia sfrangiate ma ricompone le parti crollate con
una struttura di legno lamellare. La parte esterna viene invece costruita come
capriata. In questo intervento si possono trovare collegamenti con la teoria di
Cesare Brandi: “restaurare significa riconfigurare l’unità potenziale dell’opera
d’arte senza commettere un falso storico è un falso estetico”.
Modica, S. Maria di Gesù. Emanuele Fidone e Bruno Messina, due architetti che insegnano
all’università di Catania e di Palermo, intervento del 2001. La chiesa venne bombardata
nella Seconda guerra mondiale e versava in una condizione di degrado molto avanzata. La
scelta è stata quella di creare una nuova
copertura in legno lamellare senza intervenire
sulle superfici ma lavorando sui colmi su cui
poggia la struttura. Il punto di forza
dell’intervento consiste nella parte esterna:
copertura nuova in verde rame, non è una
copertura impattante, ma si tiene al di sotto della
linea di colmo, quasi a filo, creando uno stacco
che all’interno si percepisce come una linea di
luce. Questa aggiunta è stata coperta con molta
discrezione, in modo non mimetico, senza
falsificare né prevaricare la preesistenza.
Chiesa di S. Pietro a Ortigia, Siracusa. E. Fidone 2005-2008. Chiesa medioevale che aveva perso la struttura pavimentale, Fidone
utilizza una struttura battuta in coccio pesto (materiale naturale che garantisce una maggiore compatibilità con la struttura, con una
durata più sperimentata nel tempo). L’idea di riconfigurare l’unità potenziale dell’opera d’arte senza commettere falso storico ed
estetico. Volontà di favorire la lettura attraverso il restauro senza falsificare. C’è anche l’idea di creare dietro la struttura in legno
lamellare una struttura che faccia passare i cavi dell’illuminazione.
Questo leggero elemento ligneo, formato dalla stretta successione di sottili luci e ombre, filtra l’impatto visivo della struttura a capriate
del tetto e modula la luminosità diurna che penetra delle finestre superiori realizzate negli anni ’50.

Berlino, Neues museum, David Chipperfield 2009 restauro inaugurato in


occasione del ventennale della caduta del muro. Muse o ottocentesco che
ospita la collezione egizia. La cultura museografica dell’800 richiedeva che
l’allestimento richiamasse le opere esposte, specificità che Chipperfield
intende conservare. Intervento frutto anche di docenti di restauro tedeschi che
hanno affiancato Chipperfield. La facciata del museo aveva subito un
bombardamento significativo: era caduta l’intera ala sinistra. Nella
riconfigurazione della facciata la scelta non è mimetica ma viene prestata
grande attenzione nella ricucitura sul rapporto tra pieni e vuoti, le
proporzioni, la luce, il colore dei materiali ma non i materiali stessi ( a destra,
infatti, c’è l’intonaco conservato a macchia di leopardo mentre a sinistra c’è
una muratura a faccia vista di una pietra gialla alternata a mattoni ). Materiali
diversi ma con una configurazione dell’unità potenziale tale che al primo
sguardo ci appare con un’unica facciata omogenea. Esercizio nel contenere il
nuovo con regole rispettose verso la preesistenza. Nella star hall, l’ingresso non interviene sulle superfici, segnando anche le tracce
dell’antica scala che era stata distrutta dai bombardamenti. Testimonianza della tecnologia dell’800: pilastri in ghisa, volte con tondi di
laterizio, volte in foglio; repertorio dell’arte del costruire nell’800 in Germania che deve essere conservato. Intervento conservativo
dell’esistente non solo di affiancamento del nuovo ( es. nelle sale Megalskall ed Easter Kunstkammer sal ).

TEMA DELLA PERDITA DI UN MONUMENTO


L’incendio del teatro “La Fenice” infonde nei cittadini un senso di perdita che riguarda tutto il mondo occidentale, in quanto il teatro “La
Fenice” è il simbolo del teatro lirico italiano, realizzato con materiali che riguardano l’architettura italiana ed occidentale.
Da qui si evince il valore sovranazionale del bene culturale: se ad esempio il Partenone subisse un danneggiamento, sarebbe un
danno solo per la memoria dei greci o per tutta la cultura occidentale? Istintivamente, saremmo portati a dire che il danno è anche
nostro in quanto il Partenone è per antonomasia un monumento che trascende il valore nazionale o i confini geografici e politici: è un
simbolo di una cultura, uno dei massimi simboli della cultura occidentale.
La perdita di un monumento, tanto più è improvvisa, e quindi legata a imprevedibili ed improvvise cause (come ad esempio l’incendio
della ditta che stava lavorando al teatro, che nessuno poteva immaginare, rivelato dai magistrati essere un incendio doloso) più forte è la
voglia delle persone di annullare l’evento che ha portato alla perdita del monumento; l’unico modo per fare questo, come diceva Marco
Dezzi Bardeschi è “girare all’indietro le pale del mulino della storia” e riproporre una ricostruzione com’era e dov’era, come visto dalla
Fenice, oppure con il museo Petruzzelli di Bari, anch’esso distrutto da un incendio, il caso del crollo della torre di Pavia, crollata per
schiacciamento in pochi minuti come accadde alle torri gemelle a Groundzero. A Groundzero adesso vi è un vuoto, e non un nuovo
edificio, a ricordare l’evento all’intera umanità e perciò occorreva lavorare sul vuoto, sull’assenza, ricordando l’importanza della pace.
Un altro caso importante di crollo per schiacciamento è il Campanile di Piazza San Marco a Venezia avvenuto nel 1902, in due ore. Già
nei primi anni del ‘900 questo tema dell’improvvisa distruzione del monumento inizia ad attivare un dibattito significativo su tutto il
mondo architettonico in quegli anni per l’architettura e per le arti in generale. Questo crollo ebbe una risonanza internazionale,
naturalmente vi erano coloro i quali volevano una ricostruzione com’era e dov’era, altri invece ritenevano che non si dovesse ricostruire
il manufatto.
Si deve ricordare che il primo brevetto MBIC del cemento armato fu brevettato in Francia alla fine dell’800, quindi nel 1902 già si aveva
a disposizione per queste strutture snelle il nuovo materiale.
Molti si chiesero come ricostruire se si dovesse ricostruire con le stesse forme o con materiali nuovi, in cemento armato oppure
ricostruire con materiali e forme innovative e segnare un distacco tra antico e moderno.
Il dibattito prende fuoco in tutta Italia.
Una rivista napoletana fondata da Benedetto Croce, ancora attiva, “Napoli Nobilissima” ha registrato tra le sue pagine il dibattito sul
restauro, ed ospita un articolo di un ingegnere napoletano che afferma “è antistorico ricostruire il campanile com’era e dov’era perché si
deve segnare la mancanza”.
Giacomo Boni, che all’epoca era il responsabile della conservazione dei monumenti a Venezia, fece partire una meticolosa opera di
recupero dei pezzi del campanile anche se ben poco si salvò.
La questione che assillava gli architetti e gli intellettuali dell’epoca furono quelle precedentemente dette. Si decide di ricostruire il
campanile, completato nel 1912, dieci anni dopo il crollo, nelle forme antiche ma con materiali nuovi, diversi, per cui l’ossatura
dell’attuale campanile di San Marco è in cemento armato interamente rivestito in mattoni.
Le nuove istanze nascono sempre da questioni di natura tecnica, economica, culturale e politiche. In linea di massima ancora oggi, come
il caso della Fenice, si tende a costruire com’era e dov’era. C’è quindi questa significativa componente emotiva.
Il tema della mancanza è centrale in un momento storico quale il secondo dopoguerra, con la distruzione avvenuta con i
bombardamenti (es. S. Chiara a Napoli).
Il tema della mancanza del manufatto e dei luoghi nella memoria collettiva a causa dei bombardamenti genera una voglia di intervento
di ricostruzione che in qualche modo risarcisca la comunità dalla perdita. In questo senso il tema si lega fortemente agli anni del
dopoguerra.

CRITERI SU CUI SI FONDA LA TEORIA BASE CONDIVISA_TERRENO COMUNE

• Allargamento della tutela, attenzione anche alle opere minori. Tutti i beni culturali meritano la stessa attenzione e lo stesso
impegno civile, e tutti i beni vanno esaminati secondo la loro popolarità storica ed estetica (testimonianza storica e prodotto
dell’arte).
• Attenzione alla materia di cui è composto il manufatto antico ed ai suoi aspetti strutturali e non visibili. Es. Palazzo
Gravina nel 1936 ha avuto la trasformazione da Palazzo delle Poste a sede universitaria di architettura. In quell’occasione le
trasformazioni prevedevano che alcune volte dell’edificio vennero demolite e sostituite con dei solai latero-cementizio
occultati da volte in gesso (volte del primo piano). Questo intervento oggi sarebbe vietato perché sostituisce il comportamento
strutturale dell’edificio, adottando un atteggiamento puramente visibilistico, basato solo sulla forma. Oggi si tende a
conservare testimonianze anche dell’arte del costruire. Tutta la prima metà del ‘900, dal 1902 agli anni ’80 si è dedicato allo
studio del cemento armato, dimenticando l’importanza dello studiare il comportamento strutturale degli edifici in muratura e
dimenticando che il patrimonio con cui confrontarsi era in muratura. Abbiamo così assistito nel corso del ‘900 ad interventi su
edifici in muratura che ne hanno stravolto il funzionamento strutturale, dovuto anche alla assenza delle maestranze.
• Attenzione a tutte le fasi storiche, anche le più recenti che il manufatto presenta perché qualsiasi tentativo di cancellare una
fase della storia porterebbe ad un irreversibile danneggiamento del manufatto. Es. Se si ha a che fare con una chiesa medievale,
realizzate nel 1284, che dal medioevo ad oggi ha avuto trasformazioni nel corso dell’800, il compito del restauro è conservare i
segni delle epoche diverse, che sono una ricchezza del manufatto, e quindi anche il favorire la lettura delle epoche. Obiettivo
non è più l’unità di stile.
• Minimo Intervento: su un manufatto antico devo fare il meno possibile. Ad oggi si hanno molte tecniche a disposizione e da
conoscere, nello scegliere tra una tecnica e l’altra devo tenere sempre presente la logica del minimo intervento, cioè cosa
invade meno. Questo perché si ha a che fare con un bene irriproducibile: se per esempio si sbaglia a consolidare un arco in una
chiesa barocca e l’arco crolla, nessuno può produrre di nuovo quell’arco. Per questo una delle doti del restauratore è essere
umile nel porsi nei confronti della preesistenza. “Io posso progettare il restauro solo dopo 15 giorni in comunanza continua
con il grande muto”. Non esiste il restauratore che fa il gesto autoriale gratuito, che impone la sua legge progettuale. Vi è la
responsabilità di usufruire di un bene a lungo, tramandarlo ai posteri senza commettere falso storico sostituendolo.
• Reversibilità dell’intervento di restauro: pur se si hanno varie possibilità di intervento, si deve scegliere quella che, se
rimossa, non altera l’edificio. Questo perché si può rischiare di creare ad esempio un consolidamento o che non sia efficace o
che ne sia addirittura dannosa. Deve essere quindi possibile rimuovere l’intervento.
• Compatibilità Materica: tra materiali che si utilizzano e quelli propri del manufatto architettonico preso in esame. Esempio è
di nuovo il Partenone di Atene composto in marmo pentelico che quando ha dovuto “digerire” l’inserimento delle travi di
cemento armato, che si è corroso all’aperto, ha avuto problemi di compatibilità, a causa del diverso comportamento meccanico,
fisico, chimico tra il cemento e il marmo. Pertanto, quando si va ad accostare materiali simili o uguali, il concetto di
compatibilità è verificato, mentre se si accostano materiali diversi, cosa possibile, ci si deve preoccupare della convivenza tra
questi. In tal caso si lascia una distanza (ad esempio tramite giunti) in modo da non generare “rigetti” tra i diversi materiali. Si
parla di distanza spaziale, di distanza materica.
• Conservazione delle superfici: prima non ci si preoccupava delle superfici architettoniche, decorate o no, si riteneva che non
entrassero nel compito dell’architetto. Oggi invece ci si è resi conto della loro importanza. Negli anni ‘60 e ‘70 l’intonaco era
ritenuto un elemento sacrificale da sostituire con uno nuovo. Questo dava al manufatto un’immagine fortemente nuova (Brand
New) che però oggi non sempre è accolta dall’architettura e dalla concezione contemporanea. Sulle superfici, alla fine degli
anni ‘50, ad intonaci storici fatti di calce, fortemente compatibili con la struttura muraria, si sono sostituiti intonaci cementizi
che hanno creato un problema di compatibilità tra la superficie e la struttura. L’intonaco cementizio, infatti, si degrada in breve
tempo. Quindi oltre a dare quell’immagine sgradevole del nuovo, ha anche una scarsa durata. Oggi, si riconosce alle superfici
un valore testimoniale almeno pari all’edificio stesso, infatti, oltre ad essere un elemento di protezione sono anche segni di
sedimentazione della storia. In particolare, Cesare Brandi parlava, a metà degli anni ‘60 del ‘900, di rispetto della patina nel
restauro architettonico, come già nell’800 John Ruskin affermava che il valore di un edificio risiedesse nel mezzo pollice di
superficie e cioè nello strato sottilissimo che gli conferisce vecchiezza e quindi autorevolezza perché luogo della
sedimentazione dei segni.
• Piano di gestione: nel momento in cui il cantiere per il restauro si chiude ha inizio una nuova fase, quella di monitoraggio e di
verifica degli esiti. Da quel momento inizia un piano di manutenzione che non deve essere sostitutivo, ma conservativo. Il
suddetto piano non è successivo all’intervento ma deve essere previsto nel progetto, pensando già come ripetere ciclicamente
l’operazione. Un esempio è la chiesa di San Gregorio Armeno in cui vi è una capriata in cemento armato, sostituita negli anni
’60, e un cassettonato ligneo attaccato da parassiti: si attua nel progetto di restauro un trattamento antiparassitario, da
ripetersi ogni estate. Così approfittando del progetto di consolidamento, del cassettonato, si è anche andata a creare la
possibilità di attuare annualmente, in modo semplice, un insufflaggio antiparassitario. È stata progettata, quindi, una passerella
in acciaio inox che passa tra la capriata e il cassettonato che consente il trattamento nell’estradosso di quest’ultimo. La
ripetitività di certi cicli deve quindi essere già progettata quando si progetta il restauro.

Alcuni dei principi condivisi possono essere riassunti in: Minimo intervento, Distinguibilità, Compatibilità, Reversibilità, Rispetto
dell’autenticità.

GLI ATTUALI ORIENTAMENTI DI METODO


pura conservazione/ manutenzione e ripristino/ restauro critico

Negli anni ’80, si consolidano tre grandi correnti che fanno capo ad atenei italiani:
1. Politecnico di Milano: Mina Gregori, storica dell’arte; Amedeo Bellini e Marco Dezzi Bardeschi (capogruppo del progetto di
restauro del Duomo di Pozzuoli). Orientamento della Pura Conservazione.
2. Università Roma Tre: Paolo Marconi, Elia Mario. Orientamento di Manutenzione e Ripristino.
3. Facoltà di Napoli e Roma “La Sapienza”: Affonda le sue radici negli anni del secondo dopoguerra quando si mette mano alle
lacune architettoniche lasciate dai bombardamenti. Figure come Cesare Brandi e Roberto Pane. Orientamento del Restauro
Critico.

Questi tre orientamenti hanno molti aspetti in comune e si sono contaminati tra di loro al punto che oggi non si possono più distinguere.
Differenza significativa è la distinguibilità dell’intervento.

Pura Conservazione
Il nostro concetto di storia si è molto allargato negli ultimi anni. Con gli Annales, siamo passati a studiare gli scarti di una civiltà ritenuti
più significativi rispetto alle grandi opere architettoniche frutto di geni isolati. Dal punto di vista del restauratore, il rispetto dell’istanza
storica postula oggi la difesa di molti più beni. Non è compito della storiografia del restauro fare una selezione: ogni giudizio storico-
critico è soggettivo, perché influenzato dalla contemporaneità, quindi, occorre conservare tutto, anche le trasformazioni più
incongrue, più recenti, perché segni della storia. Non esiste il tema della rimozione: tutto si conserva. L’edificio è un documento
materiale, artistico e assume il valore di fonte di informazione autentica, si può solo aggiungere una parte progettuale che serve a
adeguare l’edificio alle nuove funzioni. Manifesto principale è il Palazzo della Ragione a Milano.
Anche le superfici vengono assoggettate alla logica del Non Rimuovere, si lasciano le lacune superficiali perché sono segno del
passaggio dell’uomo nella storia. In particolare, Amedeo Bellini afferma che non è più
possibile oggi un intervento di restauro soggetto ad una mera indagine storiografica.
Per molti anni, infatti, i restauratori sono stati il braccio secolare degli storiografici
(storici dell’arte).
Negli anni ’50 il sovraintendente Schettini rimuove elementi barocchi da una chiesa:
elimina l’altare marmoreo così come gli stucchi perché facenti parte di un’epoca
minore (Il Barocco). Ora, che la storiografia è stata considerata soggettiva, così come
il giudizio critico, non può guidare l’operatività su un patrimonio che dura più di una
generazione. Questo è l’assunto di tale orientamento che induce il restauro al
mantenimento dello stato di consistenza del manufatto architettonico, prestando
attenzione al valore testimoniale
dell’edificio piuttosto che al valore estetico-
formale, potendo aggiungere comunque
elementi nuovi. La Preesistenza, dunque,
viene vista come palinsesto stratificato, una sedimentazione di epoche diverse che fanno parte
dell’edificio.
PALAZZO DELLA RAGIONE (oggi museo comunale): quando fu effettuato il cantiere negli anni
’70, i milanesi non videro nessuna differenza rispetto a prima dell’intervento: si gridò allo
scandalo. In realtà la scelta fu quella di non intervenire lì dove la preesistenza lasciava
intravedere il mattone per la caduta di intonaco e si pensò di procedere andando ad applicare
uno strato protettivo a pennello sul mattone a vista. Per adeguare il manufatto alla
preesistenza, inoltre, all’interno venne fatta una pavimentazione in battuto di cemento
realizzato su disegno di Marco Dezzi da una mosaicista siciliana, un segno di interesse
contemporaneo (ad oggi il Palazzo è sotto restauro con il rischio che venga nuovamente
intonacato). Tra le varie fasi che si susseguirono sul manufatto ricordiamo: quella tra il 1978 e
il 1982 in cui ci si occupò della facciata; tra il 1984 e il 1986 in cui vi fu la sistemazione a museo
comunale, infine quella tra il 2001 e il 2003 in cui si fece la scala antincendio, sperimentazione
ad opera di Marco Dezzi che volle farla esterna di vetro.
Altri interventi di Marco Dezzi:
1. Palazzo Gotico a Piacenza: ringhiera a merlo come intervento, aggiunta del nuovo.
2. Biblioteca Classense di Ravenna: nuova sistemazione.

Manutenzione e Ripristino
Contrariamente all’orientamento precedente, questo vede il restauro come strumento di rimessa a nuovo, di ringiovanimento
dell’opera, affinché i manufatti segnati dall’azione del tempo riacquistino la faces di un manufatto nuovo. Da un punto di vista teorico e
concettuale, il ragionamento che sostanzia questo orientamento è l’istanza estetica e che elementi superficiali, che nascono con il
compito di proteggere gli elementi di finitura, siano considerati superfici di sacrificio (concetto che deriva dall’archeologia, per
proteggere un manufatto antico situato all’aperto si crea uno strato di muratura, di 30/40 cm, fatto con le stesse tecniche e gli stessi
materiali da aggiungere alla preesistenza in modo che si consumi la parte aggiunta e si preservi la parte originale al di sotto). Questo
concetto di aggiunta viene applicato agli intonaci poiché non hanno nessun valore testimoniale, ma sono solo un prodotto tecnico per
coprire la struttura portante, in modo che questa possa funzionare efficacemente. L’operazione consiste nel rimuovere ciclicamente
l’intonaco per poi andarlo a rifare: logica sostitutiva di ciclico rifacimento. In questo orientamento è lecita l’esecuzione in differita:
possibilità di lavorare, rimettere a nuovo. Il tema fondamentale è della compatibilità, infatti, vengono utilizzati nel restauro
esclusivamente materiali e tecniche tradizionali riportate nei manuali e studiate nei corsi per la formazione di maestranze per realizzare
le vecchie tecniche dell’arte del costruire. Viene sicuramente meno il tema della distinguibilità del restauro, poiché usando la stessa
materia e tecnica si cade facilmente nella falsificazione. Di fatto in questo orientamento si legittima la rimozione, il rifacimento e la
concessione al ripristino. Si lavora per analogia pur non avendo le tracce fondamentali della struttura dell’edificio, ricadendo in una
ricostruzione arbitraria della preesistenza (criterio analogico) che tende a falsificare ed ingannare il fruitore. Tra le opere restaurate
seguendo tale criterio, ricordiamo:
• Cattedrale di Chichester: tema dell’autenticità ripetuto in molti casi europei. L’intervento, risalente al 2000, riguardò la
ricostruzione di intere porzioni della cattedrale. Risultato: parametro maculato dettato da una sostituzione massiccia delle
pietre di costruzione. Si ricostruirono tutti i costoloni e il sistema delle grotte di congestione delle acque senza nessuna
preoccupazione per l’autenticità, rifacendoli con gli stessi materiali, con totale indifferenza verso il tema della distinguibilità. Si
rifoderò la muratura del costolone da un lato e dall’altro con una nuova, costruita con le pietre della cava originale, senza
preoccuparsi della timbratura dei nuovi mattoni (intervento minimo di distinguibilità). All’epoca dell’intervento si poteva
distinguere la nuova parte, più chiara, dalla preesistenza (oggi non è più possibile per colpa delle intemperie). Interventi del
genere sono spesso adoperati per le grandi cattedrali, che hanno i propri fabbricieri (es. S. Pietro e il Duomo di Milano),
responsabili della manutenzione e del restauro. Questo comporta una continuità d’intervento, per questo il tema della
ricostruzione in questi luoghi è più forte che in altri. Oggi chi entra nella cattedrale mira direttamente a vedere le vetrate di
Chagall, poiché sono un segno contemporaneo che riscuote interesse al contrario del restauro che passa inosservato.
• Castello dei conti di Modica, Sicilia, Alcamo: intervento di Paolo Marconi. Il castello, risalente al XIV secolo, destava in
condizioni di degrado molto avanzato, dovuto anche dall’addossamento delle fabbriche di polvere da sparo che con le loro
polveri contribuivano ad aggravare la situazione. Così si scelse di intervenire con un ripristino delle murature sommitali,
tramite una muratura a sacco, e delle merlature, costruite in
relazione con quelle nella torre. Si rimuovono le trasformazioni e si
ricostruiscono per analogia anche le parti mancanti con tecniche
tradizionali e materiali compatibili, ma non distinguibili.
L’immagine non è quella di un edificio rimesso a nuovo, l’intonaco
mancante viene sostituito con una scialbatura (intonaco slavato),
per la corrispondenza di un’immagine del castello ormai
storicizzata nel tempo, e si portano alla luce le finestre crociate che
erano state cancellate nella fase in cui l’edificio era un carcere,
prima di diventare museo di etnografia. Dal punto di vista del
fruitore è interessante, ma di fatto non consente all’architettura
contemporanea di entrare nel manufatto. Non consente, inoltre, di
far capire al fruitore quali sono le parti originali rispetto a quelle
restaurate. Risultato soddisfacente dal punto di vista dei materiali,
ma non si può dire lo stesso per la sua distinguibilità.

Restauro Critico
Anni ‘50/’60, 20 anni in più rispetto agli altri due orientamenti. Costituisce una posizione centrale rispetto alle precedenti, che affonda le
sue radici nella scuola italiana di restauro che fa capo a Camillo Botta e a Giovannoni.
Concetti fondamentali:
1. Distinguibilità delle aggiunte: impostare il restauro affinché il fruitore non venga ingannato. Non basta mettere la data sulla
pietra, poiché viene vista solo dal tecnico.
2. Minimo intervento: controlla pagine precedenti.

Questi interventi vengono elaborati da personaggi di spicco, tra cui Cesare Brandi, Roberto Pane e Renato Bonelli. L’orientamento del
restauro critico viene codificato in un documento ufficiale di tutela a livello internazionale quale la Carta di Venezia del 1964, ultimo
documento di tutela firmato da tutti gli stati europei (Pane uno dei redattori), e che viene tradotto in Italia nel 1972 nella Carta italiana
del Restauro. Sono le due carte con cui un restauratore oggi lavora.
La posizione del restauro critico nasce dalla conferma della necessità di contemperare nel restauro, come afferma Cesare Brandi,
l’istanza estetica con quella storica, ritenendo inevitabile l’esercizio di un’azione critica da parte del restauratore così come l’esercizio
della scelta da parte del progettista, e quindi, l’esercizio di un giudizio colto, riflessivo ma anche condiviso da una comunità. Tale
restauro non nega la legittimità di azioni innovative, progettuali, che alterino il meno possibile il testo della fabbrica da restaurare. Per
questo orientamento, il restauro appartiene all’architettura, non esiste scissione come nella “Pura Conservazione”, si fa un unico
progetto interdisciplinare controllato da una regia affidata all’architetto. Il compito del restauratore è quello di individuare i valori del
manufatto attraverso una profonda fase di conoscenza intrapresa anche attraverso gli strumenti propri dell’architettura, come la lettura
diretta della fabbrica, che porta a un esercizio possibile di giudizio critico. Vi è la possibilità di aggiungere il contemporaneo, rendendo
l’intervento sempre distinguibile e favorendo la lettura del palinsesto. L’obbiettivo è quello di far capire al fruitore i valori del manufatto,
garantendo il godimento dell’opera in pieno comfort, favorendo la sicurezza statica e il comfort termoidrometrico.

• Statua Domiziano-Nerva, nel castello di Baia, Bacoli, torre Nord-Ovest: la scultura


con il corpo di Domiziano e la testa di Nerva è un palinsesto, frutto di epoche diverse.
L’intervento di Paolo Martellotto, capo della sovraintendenza archeologica negli anni
’80, fa in modo di favorire la lettura dell’opera configurando la sua unità spaziale senza
commettere un falso storico o un falso estetico. Dà l’idea di come l’opera sarebbe stata
se fosse stata completa. Effettua una pulitura per la conservazione della materia
originaria e favorisce la lettura del nuovo utilizzando un colore diverso. Questo tipo di
intervento richiede una sensibilità artistica e architettonica.

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