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La complessità del reale secondo

Edith Stein, Pavel A. Florenskij


e Romano Guardini
Ľubomír Žák

1. Introduzione

La teoria della complessità si propaga nel mondo delle scienze con


insistenza e velocità, stimolando dibattiti sui metodi inter – /transdisciplina-
ri e facendo nascere progetti di ricerca che coinvolgono numerosi studiosi
e molte università. La sua diffusione e i suoi utilizzi nella ricerca e nella di-
dattica mostrano, al contempo, che più che di una teoria al singolare si deve
parlare di teorie al plurale, dato che variano le concezioni che i sostenitori
di tale approccio metodologico hanno della stessa complessità (riguardante
sia i  metodi che gli oggetti di conoscenza). Le cause del differenziarsi di
dette concezioni sono senz’altro di diverso genere, ce n’è una, però, che ra-
dicalizza al massimo le distanze tra alcune di esse: l’apertura, o meno, della
conoscenza scientifica alla trascendenza (intesa e spiegata con le categorie
filosofiche e/o teologiche)1.
Tra gli studiosi di spicco, appartenenti al mondo delle scienze naturali
e umanistiche, che hanno optato convintamente per l’apertura vanno citati
Pavel Aleksandrovič Florenskij (Павел Александрович Флоренский) (1882
– 1937), matematico, fisico, ingegnere elettrotecnico, filosofo e teologo ar-
meno-russo, e Romano Guardini (1885 – 1968), filosofo e teologo italo-te-
desco, conosciuti soprattutto da chi oggi s’interroga sul contributo che la
filosofia e la teologia potrebbero offrire allo sviluppo di una condivisibile

Per un sintetico sguardo su questa problematica rimando all’articolo di Sergio


1

Rondinara: Dalla interdisciplinarietà alla transdisciplinarietà : una prospettiva epi-


stemologica. In: Sophia : ricerche su i fondamenti e la correlazione dei saperi (Roma), vol.
1, 2008, pp. 61 – 70. Tra le opere che indagano sulla possibilità di un ampliamento
del concetto di complessità alla trascendenza e sul contributo della teologia alla
teoria della complessità segnalo il saggio di Calogero Caltagirone: Scienze e teologia
: incontri e scontri ai confini della conoscenza. Bologna : Edizioni Dehoniane, 2002.
210 p. (in particolare il capitolo 6: Nuove visioni del mondo e ragione teologica : la
sfida della transdisciplinarietà).

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teoria della complessità e alla sua applicazione pratica. Il fatto è che analiz-
zando l’Endliches und ewiges Sein (= EeS) della filosofa tedesca Edith Stein
(1891 – 1942) si avverte di trovarsi di fronte a un pensiero che, quanto alla
questione della complessità e della conoscenza del reale, contiene intuizio-
ni epistemologiche e approfondimenti tematici di importanza pari a quelli
degli altri due pensatori2.
L’intento del presente contributo è mettere in luce, seppur con estrema
sintesi e solo a mo’ di colpi di sonda, alcune sorprendenti affinità riscon-
trabili tra le interpretazioni florenskijana e  guardiniana del reale e  quella
steiniana proposta in EeS, attente tutte e tre all’orizzonte della trascendenza
e alla sua fondazione in chiave ontologica.

2. La simbolicità del reale

Desidero iniziare rimarcando che in EeS vi sono delle afferma-


zioni che gli studiosi di Florenskij e  di Guardini non possono non ap-
prezzare, in quanto sono in sintonia con il credo filosofico-teologico dei
due autori. Mi riferisco a espressioni come: «è proprio dell’essenza delle
cose finite essere “simbolo”»3; «ogni cosa porta in sé, con la sua essenza,
il suo segreto»4; «tutto ciò che è  materiale ha una profondità nascosta,

2
Per il tema della complessità del reale sono da segnalare e verranno da me citati:
quanto a Florenskij, i saggi Столп и утверждение истины : опыт православной
феодицеи в двенадцати письмах. Москва : Путь, 1914. 818 p. (Trad. it.: La co-
lonna e il fondamento della Verità : saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere. Cinisello
Balsamo : San Paolo, 2010. LXXXIX, 816 p.); Воплощение формы : действие
и орудие [1917 – 1922], in: Павел А. Флоренский: Сочинения в 4 томах [Opere
in quattro volumi]. Москва : Мысль, 1999, vol. 3/1, pp. 374 – 452. (Trad. it.:
L’incarnazione della forma : l’azione e lo strumento, in: Pavel A. Florenskij:
Il simbolo e la forma : scritti di filosofia della scienza. Torino : Bollati Boringhieri,
2007, pp. 121 – 229); quanto a Guardini, i saggi Vom Wesen katholischer
Weltanschauung, in: Die Schildgenossen, 4, 1923, pp. 66 – 67. (Trad. it.: La visione
cattolica del mondo, in: Romano Guardini: Opera omnia. Brescia : Morcelliana,
2008, vol. II/1, pp. 65 – 87); Gegensatz und Gegensätze : Entwurf eines Systems der
Typenlehre. Freiburg i. Br. : Caritas, 1914. 20 p. (Trad. it.: Opposizione e opposti
polari : abbozzo d’un sistema della teoria dei tipi, in: Romano Guardini: Opera om-
nia, Brescia : Morcelliana, 2007, vol. I, pp. 45 – 64); Der Gegensatz : Versuche zu einer
Philosophie des Lebendig-Konkreten. Mainz : Matthias Grünewald Verlag, 1925. 257 p.
(Trad. it.: Opposizione polare : tentativi per una filosofia del concreto-vivente, in:
Romano Guardini: Opera omnia, vol. I, pp. 67 – 251).
3
Edith Stein: Essere finito e essere eterno : per una elevazione al senso dell’essere (trad. it.).
Roma : Città Nuova, 19993, p. 278.
4
Ibidem.

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che si manifesta come superficie esterna»5. Non è questo il momento per
interrogarsi se un tale sguardo sul reale sia per la Stein e  la sua filosofia
determinante allo stesso modo in cui lo è  per Florenskij e  Guardini, in-
clini a  riconoscervi l’inizio obbligatorio di ogni filosofare e  teologare e,
di conseguenza, convinti che l’esperienza concreta (dell’oggetto da parte del
soggetto di conoscenza) sia la via aurea della gnoseologia sia filosofica che
teologica. Va piuttosto ricordato che, nonostante il campo di ricerca della
fenomenologia sia la coscienza e  non il “mondo naturale”6, lo sguardo
della Stein ha caratteristiche che sono riscontrabili, come essenziali, sia in
Florenskij che in Guardini.
Mi riferisco, prima di tutto, all’idea del reale – visto sia nel suo insieme
cosmico che nelle sue più minuscole particelle – come rete fatta di infinite
e ritmiche connessioni che intercorrono tra tutto ciò che esiste nel macro/
microcosmo, che si tratti degli elementi singoli o delle unità da essi com-
poste come una sorta di “totalità”. «Il mondo» – spiega a questo proposito
la Stein, commentando certuni brani presi in prestito da Die Seele der Pflanze
di H. Conrad-Martius – «è un cosmo di tali “totalità”, che si mostrano unite
una con l’altra e una dopo l’altra per costruire unità formali superiori, dando
così origine a  serie ritmicamente concatenate sin dall’“inizio del mondo”
(…)»7. Che tale ritmicità sia un aspetto costitutivo del reale è  stato messo
bene in luce da Guardini8; che essa faccia vibrare e suonare, come infiniti
“corpi orchestrali” di varie dimensioni, tutti quanti gli elementi/strati del
reale (a  partire da quelli fisico-energetici e  chimico-biologici fino a  quelli
psico-spirituali e intellettivi) è stato ribadito con forza da Florenskij.
Un’altra caratteristica dello sguardo steiniano sul reale sta nell’interpre-
tarlo come un insieme fatto a  strati, come una complessa composizione
costituita da diversi gradi, come una totalità che ha un fuori e un dentro, una
superficie che si dà a conoscere e un interno che è nascosto, ma soprattutto
nel voler operare una distinzione tra ciò che, tra gli elementi (strati, piani…)
di tale composizione, dà il sostegno e ciò che viene sostenuto9, ossia tra ciò che
è il fondamento e ciò che è fondato. Queste differenziazioni, però, non signifi-
cano che il reale sia come spaccato in due parti a sé stanti, distaccate l’una
dall’altra. Da alcune pagine di EeS traspare, infatti, la stessa convinzione sui

5
Ibidem, p. 228.
6
Cfr. ibidem, p. 73.
7
Ibidem, p. 293.
8
Cfr. Romano Guardini: Opposizione e opposti polari, in: Opera omnia, vol. I, p. 59;
Romano Guardini: Opposizione polare, in: Opera omnia, vol. I, pp. 160 – 162.
9
Cfr. Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 86.

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processi di comunicazione che attraversano il reale, espressa da Guardini
con le parole: «Qualcosa di esterno procede verso qualcosa di interno fino
ad arrivare a un punto di profondità estremo; e qualcosa di interno va verso
qualcosa di esterno fino ad un limite estremo»10.
Com’è  noto, percorrendo la via fenomenologica, la ricerca della Stein
mira a esaminare la sfera dell’interno (interiorità), della profondità del reale,
tuttavia il suo è un approccio conoscitivo rispettoso, dalla sensibilità apofa-
tica, consapevole del fatto che più uno si spinge verso la profondità di un
determinato oggetto di conoscenza – indipendentemente se esso sia di origi-
ne organica o anorganica, se si tratti, cioè, di un sasso, di una pianta o di un
essere umano –, più inizia a sperimentare l’oscurità, percependo di trovarsi
al cospetto del mistero. Quanto piena sia la convergenza tra questo modo
di vedere e quello di Florenskij si può apprendere facilmente, ad esempio,
dalle lettere dal gulag del pensatore armeno-russo, ove viene ribadita a più
riprese la convinzione della necessità di considerare quella di mistero come
una categoria gnoseologica di prim’ordine. La piena sintonia tra la Stein ed
entrambi i pensatori si può, però, intravedere anche in un’ulteriore specifi-
cazione – riscontrabile in EeS – dell’idea della centralità dell’interno e del suo
nesso con il mistero, una specificazione che comprende l’interno come luogo
di cruciale importanza per tutto il reale (inteso nella sua globalità cosmica
e nei suoi singoli particolari), che da esso riceve determinazioni decisive11.
Le spiegazioni del perché le cose dovrebbero stare proprio così si fonda-
no in tutti e tre sull’attenzione verso quel qualcosa, presente all’interno delle
cose del reale, che essi descrivono con l’aiuto del termine “forma/forme”,
concependolo come realtà di universale valore fondativo. Volendo spiegare
il concetto, la Stein mette prima di tutto in luce che «le materie possono en-
trare nell’esistenza certamente soltanto se sono attuate dalla forma» e, quin-
di, solo se sono «agenti verso l’esterno conformemente alla loro forma»12.
Inoltre fa capire che la “forma” è una realtà complessa e paradossale, dato
che la sua caratteristica «è di essere composta e unitaria insieme, conclusa
come un tutto e  nello stesso tempo dispiegata nella molteplicità dei suoi
singoli elementi caratteristici essenziali»13.

10
Romano Guardini: Opposizione polare, in: Opera omnia, vol. I, p. 74; cfr. anche p. 110.
11
Che la preminenza del ruolo dell’interno nella costituzione del reale non debba essere
compresa come se le sue singole parti (elementi, strati...) non fossero determinate dalle
reciproche interconnessioni viene dato per scontato da tutti e tre i pensatori.
12
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 281.
13
Ibidem, p. 198.

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Riassumendo le dettagliate riflessioni steiniane sulla forma, presenti in
EeS, si può dire che la quaestio della distinzione tra ciò che, nelle e tra le cose
del reale, è il fondamento e ciò che è fondato, tra ciò che sostiene e ciò che è soste-
nuto, è da comprendere come quaestio della corretta distinzione tra la realtà
chiamata “forma” e ciò che da essa viene informato. Dato che l’esistere, nel
mondo naturale, coincide con l’essere-informati, è di grande rilevanza – per
la filosofa tedesca – che si comprenda con precisione l’entità della realtà
chiamata “forma”, tenendo conto di un duplice fatto: a) essa agisce nella di-
rezione che va dall’interno verso l’esterno, con un’azione che coincide con il
manifestarsi della realtà agente in ciò che essa informa; b) l’azione d’informare
è, al contempo, un evento processuale, il che vale in particolare per ogni vi-
vente (pianta, animale, essere umano), di cui, difatti, si deve dire: il «vivente
non è  mai compiuto, è  sempre in cammino verso la propria attuazione»,
avendo in sé «la potenza di formarsi»14.
Chi conosce gli scritti di Guardini e  di Florenskij potrebbe comporre
facilmente una sinossi, affiancando queste e altre simili considerazioni stei-
niane alle spiegazioni dei due pensatori. Esse convergono su molti punti con
quanto pensato e detto dalla filosofa tedesca. Soprattutto, però, contengono
formulazioni della stessa idea che con chiarezza si trova espressa in EeS:
e cioè che la ritmicità, a cui ho fatto riferimento all’inizio, indicando in essa
l’aspetto costitutivo del reale, riguarda il processo chiamato “azione d’in-
formare”. Un processo tanto più ramificato e poliritmico quanto più si trova
a determinare e a organizzare i livelli di esistenza più alti del reale (quelli
degli esseri viventi e, soprattutto, degli esseri personali), ma comunque unito
e lineare, al punto da farsi percepire come un’armoniosa melodia che miste-
riosamente risuona dalle profondità di tutto ciò che esiste, come una sorta
di lingua universale del reale15.

3. Processi interni e la realtà chiamata “forma” o “anima/vita”

Con il termine “forma” la Stein indica una realtà che: agisce dal-
l’interno verso l’esterno; cresce in complessità in modo esponenziale secon-
do il livello di perfezione di ciò al cui interno agisce; agendo si manifesta
in ciò che informa. Il fatto è che tale modo di vedere e descrivere i processi

14
Ibidem, p. 304. Anche per questo la filosofa asserisce: «La realtà terrena, tutto il
creato visibile costituiscono il regno del divenire.» (Ibidem, p. 281.)
15
Pavel A. Florenskij: Le antinomie del linguaggio, in: Pavel A. Florenskij: Attualità
della parola : la lingua tra scienza e mito. Milano : Guerini e Associati, 1989,
pp. 77 – 78; Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 281.

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interni, considerati di valenza fondativa e performativa, fa parte di un’inter-
pretazione e  descrizione, di questi ultimi, ancora più ampia e  ramificata.
Uno se ne accorge facilmente, in quanto nelle spiegazioni della Stein con
“forma” s’intende un qualcosa di fondamentale, sì, ma difficilmente afferra-
bile per via della sua intrinseca paradossalità: esso, infatti, può essere o origi-
nario o derivato, o stabile (forme pure) o modificabile (ad esempio per via delle
fusioni delle forme, che danno origine a  una nuova forma composta), di
ordine o superiore o inferiore (tanto da poter distinguere – mi permetto di pa-
rafrasare Aristotele – tra una forma subalternans e una forma subalternata) ecc.
Contemporaneamente si nota che quando la filosofa tedesca adopera
il concetto e  il termine di “forma” per sviluppare riflessioni sulle vexatae
quaestiones connesse con le classiche analisi e descrizioni filosofiche del reale
(volte a stabilire le distinzioni tra “essere essenziale” ed “essere attuale-rea-
le”, “essenza/sostanza, forma e  materia”, “corpo, anima e  spirito”…), con
l’intenzione di coglierne e  di esprimerne la complessità dei processi interni
costitutivi e performativi, si dimostra consapevole della necessità di un ulte-
riore ampliamento concettuale/terminologico, da effettuare con il ricorso ad
altri concetti e termini, tra cui quelli di “vita” e “anima”. Mi spiego: riferen-
dosi, ad esempio, alla complessa realtà degli esseri viventi, la Stein asserisce
che la «forma essenziale deve essere considerata anima, perché è  nascosta
e tende a darsi una struttura e a manifestarsi in un contenuto corporeo»16,
sottolineando che il vivente, pur essendo sempre in cammino verso la propria
attuazione, «ha in sé – nella sua anima – la potenza di formarsi»17. In un
altro contesto tematico, poi, avanza l’idea che l’«essere della forma è la vita»18,
offrendone ulteriori approfondimenti.
Soprattutto quest’ultima idea e, assieme ad essa, il concetto steiniano di
vita sarebbero da segnalare per un fruttuoso confronto con Guardini e Flo-
renskij, propensi a utilizzare il termine “vita” per indicare una delle caratte-
ristiche fondamentali del reale, collocata nell’interno di quest’ultimo e da lì
procedente fino agli strati più estremi della sua superficie (manifestandosi in
essi come un turgor vitalis). «Il dato di fatto che si chiama “vita” significa» –
scrive a tal proposito Guardini – «che essa ha un punto di origine che giace
all’interno, “al di là” di ciò che è  sperimentabile. L’atto vivente è  tale da
rimandare, secondo tutta la sua struttura, ad un qualcosa di interno. Ogni
atto vivente si mostra come qualcosa che proviene da un che di interno»19.
16
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 280.
17
Ibidem, p. 304.
18
Ibidem, p. 299.
19
Romano Guardini: Opposizione polare, in: Opera omnia, vol. I, p. 112.

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Questa stessa realtà, chiamata “vita”, «sperimenta se stessa come forza e atto,
flusso e mutamento», ma anche come «quiete, restar fermi e durare»20. E an-
cora: secondo Guardini la «vita si sperimenta come forma e come forza for-
matrice, cioè: come forza che afferra e dà impronta; come luce che illumina,
pervade e chiarisce; come un ordinare, articolare, definire; come la capacità
di determinare con chiarezza, e di esprimere, ciò che è ed accade nel suo
profilo, nella sua linea, misura e peso, nella sua proprietà, nel suo rapporto
ed atteggiamento»21. Eppure, la vita è un qualcosa che allo stesso tempo “ec-
cede” le forme, «che non si può cogliere, catturare, su cui non si può lasciare
l’impronta. Sempre sfuggente, perennemente straripante, debordante ogni
forma e figura. Inesprimibile, inspiegabile»22.
Torniamo, però, all’osservazione di prima; il procedere della riflessione
steiniana sul reale seguendo la via dell’ampliamento concettuale e termino-
logico aumenta certamente l’efficacia del pensiero, rendendone più incisive
le analisi e completandone il quadro descrittivo. Esso, però, rappresenta so-
prattutto una scelta obbligatoria quando il pensiero intende spingersi fino
a quelle misteriose profondità del reale, in cui giace ed è attivo quel “qualco-
sa” che i tre pensatori chiamano all’unanimità “struttura (delle cose)”.

4. La centralità della “struttura”

La Stein, in EeS, non offre una definizione di ciò che intende per
“struttura” (Aufbau), tuttavia questo termine è molto ricorrente nel suo lin-
guaggio ed è intrinsecamente connesso con tutti quei succitati termini (“for-
ma”, “anima”, “vita”) che descrivono movimenti e ritmi che abitano l’interno
del reale, innervandolo dalla profondità fino alla superficie, facendosi senti-
re in ogni parte e in ogni strato delle cose. Movimenti e ritmi che sono una
sorta di manifestazione di ciò che sostiene (particelle, elementi, strati ecc.
di un determinato livello o  ordine) in ciò che viene sostenuto (particelle,
elementi, strati ecc. di un livello o ordine inferiori), di ciò che fonda in ciò
che viene fondato, di ciò che forma in ciò che viene informato. Il termine
“struttura” indica stringatamente, nelle riflessioni steiniane, sì, proprio ques-
ta dinamica complessità del reale, tuttavia – come in Florenskij e in Guardi-
ni – è orientato a dire di più: a descrivere, cioè, quella realtà che attraversa
e rende unita, e quindi se stessa, ogni cosa. È essa a dare stabilità alle cose,

20
Ibidem, p. 99.
21
Ibidem, p. 101.
22
Ibidem, p. 103.

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a comportare la loro durata e a conferire regolarità ai processi di organizza-
zione interna del reale. Il termine “struttura” indica, però, in particolare che
la res con esso intesa è costitutiva per ogni cosa del reale, essendolo in quella
misura che, tradizionalmente, è studiata, rimarcata e definita dall’ontologia.
Il ricorso della Stein al tradizionale strumentario concettuale/terminologico
di quest’ultima – nelle sue versioni risalenti sia alla filosofia greca che alla
filosofia scolastica – ne è una palese dimostrazione, ma lo è altrettanto l’uso
steiniano della concettualità/terminologia fenomenologica, fatto con un’in-
negabile sensibilità metafisico-ontologica.
Il radicamento della riflessione sulla realtà chiamata “struttura” nell’on-
tologia è ciò che caratterizza anche il pensiero di Florenskij e di Guardini,
i quali, al contempo, sono in sostanziale convergenza con la filosofa tedesca
su due punti: a) dover considerare la struttura come una realtà ordinata gerar-
chicamente; b) dover interpretare tale ordine in chiave relazionale. C’è soltan-
to da aggiungere che, mentre in Florenskij tali considerazioni e interpretazione
vengono compiute con l’intenzione di descrivere le caratteristiche e le dina-
miche della struttura del reale in una prospettiva rigorosamente interdisci-
plinare – e quindi con gli strumenti non solo della filosofia e della teologia,
ma anche della matematica, della fisica, della chimica e  della biologia –,
Guardini e Stein le svolgono concentrandosi soprattutto sulla sfera del nucleo
di fondo (nucleo essenziale)23 della cosa, considerandola – pur trattandosi solo
di una (benché essenziale) parte – di notevole complessità.
a) Che cosa intende la filosofa tedesca per struttura ordinata gerarchicamente
si può apprendere da numerosi passaggi di EeS, in cui si fa frequente uso dei
lemmi “gradi”, “gradazione”, “gradualità” ecc. In uno di essi, dopo aver distinto
tra le cosiddette “essenzialità” (Wesenheit) e l’“essenza”, la Stein spiega:
«Il mondo dell’essere essenziale deve essere pensato come un regno com-
posto di gradi. Le essenzialità sono in esso l’elemento semplice e archetipo
del più alto grado. Secondo le essenzialità sono riprodotte le caratteristiche es-
senziali delle strutture composite (zusammengesetzte Gebilde) che noi chiamia-
mo quid essenziali. (…) Le essenze e le essenzialità mostrano una gradazione
che segue la loro più o meno grande generalità. (…) Secondo il loro essere

Cfr. Edith Stein: Essere finito e essere eterno, pp. 124 – 125. La ragione di tale scelta chia-
23

riscono bene ad esempio le seguenti parole della filosofa: «Se esaminiamo la struttura
del mondo materiale, ci accorgiamo che è essa fondata nell’essenza delle cose, e dei
nessi causali in cui le cose possono entrare; d’altra parte sono i nessi causali a rivelarci
qualche cosa dell’essenza.» (Ibidem, p. 152.) E ancora: «Gli oggetti reali hanno una
struttura che è molto più complicata e che ha una fondazione più profonda e ad essa
corrisponde la particolarità dello sviluppo della loro essenza.» (Ibidem, p. 199.)

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essenziale, le strutture di diverso grado sono separate l’una dall’altra e riferite
l’una all’altra solo mediante un sistema della sovra-sotto o  coordinazione
delle une rispetto alle altre. Però, secondo il loro essere attuale, le essenze
e le quiddità di più alto grado esistono con il loro quid pieno nelle essenze,
loro subordinate, quindi meno universali, e infine nelle essenze individuali
e nei corrispettivi oggetti»24.
Il testo citato fa capire che si può e si deve parlare di gradualità non solo
della struttura complessiva di una cosa (un oggetto), ma anche della struttura-
zione del suo nucleo di fondo, suggerendo che la realtà interna chiamata “strut-
tura” sia da comprendere come un qualcosa che, nella sua complessità dinami-
ca e gerarchicamente organizzata, è determinato costitutivamente dalle “realtà
ultime”, ossia, per dirla con la fenomenologia, dalle cosiddette “essenzialità”.
b) Inoltre, è proprio della struttura avere una composizione relazionale,
fatta di molteplici nessi, anzi di dinamiche interconnessioni, da intravede-
re prima di tutto sul piano verticale della composizione. Gli elementi che
compongono tale piano sono distinti, ma allo stesso tempo dinamicamente
relazionati l’uno all’altro, cosicché quello inferiore è, in qualche modo, il
luogo del manifestarsi di quello di grado superiore. Al contempo, le singole
strutture delle cose del reale (e quindi, di conseguenza, le cose stesse) sono
interconnesse orizzontalmente tra di loro e  ciò per via della comune co-
stituzione a gradi gerarchici: sia perché i nessi tra gli elementi, di differenti
gradi, di ogni singola struttura vengono costituiti e tenuti in atto secondo
la stessa e identica modalità, vibrando dello stesso ritmo; sia perché quanto
più gli elementi di una singola struttura sono di grado superiore, tanto più
acquistano una valenza sempre più universale (significativa, cioè, per ogni
struttura individuale).
Ebbene, che cosa si può sapere e dire di più a proposito dell’ordine ge-
rarchico e delle connessioni che sono propri della realtà fondamentale (del
reale) chiamata “struttura”? Con la Stein si deve ammettere che, fintantoché
non si abbia una risposta a questa domanda, «ci manca la chiave che ci apre
tutta la ricchezza dell’essenza [e, in generale, del reale in quanto tale – L.Ž.]
come edificio in sé compaginato»25. La filosofa tedesca, da parte sua, ha
compiuto esattamente la stessa scelta di Florenskij e Guardini, considerando
tutta la problematica indagata «sotto una nuova prospettiva»26: quella della
Rivelazione.
24
Ibidem, pp. 122 – 123; cfr. anche p. 141.
25
Ibidem, p. 124.
26
Ibidem, p. 61. La «Rivelazione parla di un linguaggio accessibile alla ragione natu-
rale e offre materiale per una concettualizzazione puramente filosofica.» (Ibidem):

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5. La “struttura” vista sub Revelationis luce

Che cosa offre la nuova prospettiva alla comprensione e all’approfon-


dimento di quanto emerso finora? Prima di tutto va rimarcato che essa non
si profila, nei nostri tre pensatori, come un approccio alternativo al reale, con
un’interpretazione intenzionata a metterne tra parentesi le analisi e le descri-
zioni filosofiche. Frattanto, però, queste non hanno per la nuova prospettiva
un valore tale da farla considerare come una sorta di complemento, con un
approccio puramente aggiuntivo. La sua pretesa – difesa da tutti e tre – sta nel
voler intravedere nella Rivelazione cristiana una sorta di orizzonte ermeneutico
fondamentale che permetta di elaborare e adoperare una «globale visione del
mondo»27, quella che – spiega Guardini – si orienta alla «totalità dell’essere», ve-
dendo «sin dal principio ogni cosa “a mo’ di totalità”», ossia «come una totalità
in sé e come inserita in una totalità»28. Per dirla con Stein, si tratta di un oriz-
zonte che, se adoperato sotto certe precise condizioni, è in grado di aiutare la
filosofia a raggiungere quel pieno compimento a cui essa mira in quanto “aspi-
razione verso la sapienza”: ad avvicinare, cioè, «la stessa sapienza divina, quella
visione semplice mediante la quale Dio abbraccia se stesso e tutto il creato»29.
Dunque la nuova prospettiva non elimina, non sminuisce, ma valorizza le
analisi e le descrizioni filosofiche della complessità del reale e delle dinami-
che gerarchico-relazionali di quella sua parte costitutiva che viene chiamata
“struttura”. Contemporaneamente essa osa dire di più, gettando lo sguardo
verso le misteriose profondità del reale, semmai solo intuite dal filosofo e dal-
lo scienziato. Ovviamente in questo modo fornisce un’interpretazione più
ampia e  maggiormente integrata (non frammentata) dei risultati raggiunti
dalla ricerca filosofica.
Mi preme sottolineare che l’intenzione della nuova prospettiva è di met-
tere in luce la reale estensione del piano verticale della struttura (del reale)
e  la modalità di interconnessione dei poli più estremi di questa, facendo
riferimento alla verità di fede cristiana che Dio crea e continuamente sostie-
ne in essere ciò che ha creato, una verità che permette di intravedere in Dio

quest’affermazione esprime con precisione la stessa convinzione su cui poggia il


pensiero di Florenskij.
27
Павел А. Флоренский: Автореферат [1925 – 1926], in: Павел А. Флоренский:
Сочинения в 4 томах [Opere in quattro volumi]. Москва : Мысль, 1999, vol. 4,
p. 38. (Trad. it.: Avtoreferat : nota autobiografica, in: Pavel A. Florenskij: Il simbolo
e la forma, p. 5.)
28
Romano Guardini: La visione cattolica del mondo, in: Opera omnia, vol. II/1,
pp. 67 – 68.
29
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 64.

La complessità del reale secondo Edith Stein, Pavel ... 815


Creatore e  Sostenitore il riferimento ultimo di quelle realtà che vengono
chiamate “fondamento”, “forma/forme”, “(l’essere delle) essenzialità” o “es-
sere assoluto”, e quindi un riferimento indispensabile per poter compren-
dere con più precisione il fatto della consistenza relazionale della struttura.
Tanti sono i brani di EeS che andrebbero citati a conferma di una tale
intenzione. Ad esempio quello in cui – rimarcando la distinzione tra essere
finito ed essere eterno – la Stein asserisce:
«Così l’essere delle essenzialità e delle quiddità non si deve pensare come
un che di autonomo accanto all’essere eterno. È l’essere eterno stesso, che in
sé foggia le forme eterne – non in un accadere temporale –, forme secondo
le quali crea il mondo nel tempo e col tempo»30.
E riferendosi alla distinzione tra essenza di Dio ed essenza creata, scrive:
«Dobbiamo considerare tutti gli enti finiti copia dell’essenza divina che
deve rispecchiare un raggio della sua magnificenza. Essi provengono da Dio
e sono fondati in sé; dotati di essenza propria e di esistenza autonoma (ousia
= sostanza). La loro essenza è determinata dall’essenza divina ma è inferiore
ad essa sotto molti aspetti: non può contenere in sé, nella sua finitezza, la
infinita perfezione di quella, e non può raggiungere la perfezione divina. La
loro porzione di essere (essenza ed esistenza) è  commisurata a  lui mentre
non c’è  misura per l’Essere divino (neppure nel fatto che l’Essere divino
è modello dell’ente finito)»31.
E ancora:
«L’intero mondo creato ci rimanda alle forme, eterne e non divenienti,
di tutto ciò che è  creato, alle essenzialità o  forme pure, che noi abbiamo
concepito come idee divine. Nel suo essere essenziale è ancorato ogni essere
reale, che è un divenire e un venir meno. Sulla loro immobilità si fonda ogni
legge e ordinamento del mondo creato che si trasforma continuamente. La
sua molteplicità, tuttavia è unita in un Essere divino, infinito, che si limita
e si articola in esso come archetipo del mondo creato. In questo Uno, fonda-
mento ultimo non fondato, è racchiusa ogni pienezza dell’essere»32.

Numerosi altri brani potrebbero essere citati, ma quelli riportati sono più
che sufficienti perché sia possibile sviluppare una riflessione sul tipo di con-
tributo che la nuova prospettiva, nella versione sia steiniana che florenskijana

30
Ibidem, p. 146.
31
Ibidem, p. 275.
32
Ibidem, p. 360.

816 Liberté et Patrie I


e guardiniana, offre alla comprensione del reale. Che cosa, però, si può ap-
prendere da essi, se preferiamo concentrarci soltanto sul tema della struttura?
La ricerca della risposta deve partire dalla constatazione secondo cui la
Stein non comprende la relazione tra l’essere eterno e l’essere finito, l’essere
che fonda e l’essere fondato, l’essere che sostiene e l’essere sostenuto, insom-
ma il Creatore e il creato, nei termini di una relazione esterna di causalità,
come se Dio fosse soltanto un principio causale completamente distacca-
to da ciò che crea. La comprensione steiniana è, al contrario, debitrice di
quell’orientamento di pensiero, proprio di non pochi intellettuali cristiani
del passato, tra i quali lo Pseudo-Dionigi, Massimo il Confessore, Bonaven-
tura, che Florenskij – appartenente anche lui a tale schiera – chiamò “pa-
nentheismo”33. Ma si tratta di un panentheismo conseguente, elaborato cioè
alla luce della verità del detto paolino: «In Lui infatti viviamo, ci muoviamo
ed esistiamo» (At 17,28) – citato alla conclusione del primo capitolo (Atto
e potenza come modi dell’essere) di EeS34 –, interpretata in chiave rigorosamente
ontologica.

6. La prospettiva del panentheismo trinitario

Difatti, il vivere, muoversi, esistere in Dio è da comprendere, se-


condo la Stein (in piena sintonia con Florenskij), come un dato di fatto ri-
guardante tutto il reale, nonostante il suo stato di corruzione a  causa del
peccato originale35. Al contempo, esso viene messo in relazione alla verità
che colui che, da Creatore, sostiene nell’essere ciò che ha creato, lo fa non
dal di fuori, ma dal di dentro, rendendosi manifesto nel creato con la Sua
forza e potenza creatrici. Inoltre la filosofa tedesca fa capire che tale rendersi
manifesto di Dio determina il reale prima di tutto sul piano della struttura.
A  questo proposito sembra chiaro che, per lei – come anche per Floren-
skij –, la realtà chiamata struttura è di intrinseca paradossalità: essa da un
lato riceve determinazioni dalla singola spazio-temporalità di ogni cosa e di
ogni essere vivente, dall’altro è  determinata permanentemente dall’azione

33
Cfr. Павел А. Флоренский: Философия культа : опыт православной
антроподицеи [1919 – 1922] [Filosofia del culto : saggio di antropologia ortodos-
sa]. Москва : Мысль, 2004, p. 300.
34
Cfr. Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 98; si vedano inoltre Pavel A.
Florenskij: La colonna e il fondamento della Verità, p. 41; Павел А. Флоренский:
Философия культа, p. 300; Pavel A. Florenskij: Iconostasi : saggio sull’icona. Milano
: Medusa, 2008, p. 119.
35
Cfr. Edith Stein: Essere finito e essere eterno, pp. 275 – 276.

La complessità del reale secondo Edith Stein, Pavel ... 817


sostenitrice del Creatore. Questa seconda determinazione è talmente impor-
tante che, senza di essa, la realtà chiamata “struttura” non ci sarebbe. Il che
significa che non ci sarebbero nemmeno quei processi interni (ad es. l’azione
di informare) che per essa sono non solo caratteristici, ma anche costitutivi.
Occupandosi proprio di questo difficile argomento, Florenskij, nella sua
celebre opera La colonna e il fondamento della Verità (1914), imposta la sua
lunga e impegnativa trattazione sull’idea della distinzione tra ciò che, sul
piano della struttura del creato, è di Dio (quale Sua permanente proprietà)
e  ciò che, simultaneamente, è  dell’essere creato. La Stein, da parte sua,
è convinta anche lei che tale argomento possa e debba essere trattato. Tut-
tavia è ben consapevole che i concetti formulati dal pensiero speculativo
non sono in grado di cogliere Colui che è prossimo a ogni essere creato più
di quanto questo lo sia a se stesso, e che essi situano Dio «a quella distanza
che è propria di tutto ciò che è concettuale»36. Ma, pur ammettendo che «la
via della fede ci dà di più della vita della conoscenza filosofica»37 e conclu-
dendo con queste parole il primo e introduttivo capitolo di EeS, la Stein
non fa altro, in ogni successivo capitolo del libro, fino a quello conclusivo,
che esplorare speculativamente, con approcci differenti, la questione della
relazione strutturale – ossia della costituzione relazionale della realtà chiamata
“struttura” – tra Dio e il creato.
Voglio rimarcare due passi che la Stein compie sulla via dell’approfon-
dimento della questione in esame. Il primo consiste nell’impostare l’inda-
gine nell’orizzonte cristologico, prendendo di mira e  analizzando alcuni
brani biblici, tra cui i vv. 16 – 17 della Lettera ai Colossesi, contenenti l’idea
«che le cose sono state create per mezzo del Logos, e in Lui hanno consistenza
e connessione»38. Persuasa dell’importanza di tali versetti per il tema della
struttura, la filosofa cerca di esaminare il concetto paolino del con-stare, del
consistere delle cose in Dio, ovvero nel Logos di Dio. Esso – a suo dire – af-
ferma l’unità di tutto ciò che esiste, un’unità tessuta dai nessi tra le cose non
solo causali, ma anche e  soprattutto di significazione, e  che esiste, quindi,
come «una totalità significante (Sinn-Ganze)» che riceve il proprio significato
universale dal Logos di Dio. La Stein mette inoltre in evidenza che se è vero
che «tutte le cose hanno il loro prototipo nel Logos divino»39, allora il Logos
«comprende in sé tutti i modelli finiti»40. Non solo; se è corretto sostenere

36
Ibidem, p. 98.
37
Ibidem.
38
Ibidem, p. 151.
39
Ibidem, p. 275; cfr. anche p. 277.
40
Ibidem, p. 177.

818 Liberté et Patrie I


che gli enti finiti sono «copia dell’essenza divina» e che «l’essenza divina ci
è inaccessibile in questa vita»41, è altrettanto corretto pensare che l’essenza di
Dio si manifesta ed è partecipabile proprio nel Logos fattosi uomo42.
Il secondo passo, poi, scaturisce dal primo. Esso mette giustamente in luce
che il Logos di Dio è, sì, la parola eterna del Creatore, ma che il Suo nome
è anche “Figlio del Padre” e, dunque, che Egli è una delle tre Persone divine.
Ovviamente ampliare la cristologia alla prospettiva trinitaria rende ancora
più complessa la trattazione del tema della relazione tra il Creatore e il cre-
ato quale relazione costitutiva per la struttura (ossia quale relazione strutturale
che costituisce il reale in quanto essere finito); allo stesso tempo però la
orienta verso una soluzione decisiva.
Infatti, riconoscere nel Logos di Dio – nel quale tutte le cose hanno re-
almente (e  non solo idealmente) consistenza e  connessione, e  per mezzo
del quale il Creatore continua a  sostenere in essere il mondo creato – il
Figlio di Dio significa dover comprendere il dinamico nesso tra la realtà
chiamata “essenza divina” e quella chiamata “struttura” (del reale) in chiave
rigorosamente trinitaria. Se l’essenza divina, come spiegato sopra, è una realtà
esemplare che costitutivamente determina la struttura del reale nel nucleo
di fondo (l’essenza), è evidente che la trinitarietà della prima non può non
essere incisiva per la seconda, e ciò non solo nel momento della messa in es-
sere di una cosa (di natura anorganica o organica/vitale), ma anche per tutto
il tempo della sua esistenza. Tutto ciò che esiste è come attraversato, dal di
dentro del suo nucleo di fondo verso il suo esterno, da processi interni le cui
ritmicità e sonorità ricevono determinazioni trinitarie, rispecchiando il “rit-
mo” dell’essenza del Dio unitrino. Per questo Florenskij parla dell’esistenza,
nel mondo creato, di una catena che si protende sempre più avanti e «che ha
la sua origine nella Trinità Assoluta, la quale tutto attira, come una calamita
sostiene i trucioli di ferro»43. E sempre per lo stesso motivo la Stein sostiene
che tutte «le creature hanno una struttura una e trina, sono fondate su di sé,
piene di senso e di forza»44.

41
Ibidem, p. 275 – 276.
42
Cfr. ibidem, p. 159. Per dirla con Guardini: «Nell’incontro con Lui si svela la vera
essenza del mondo.» (Romano Guardini: La visione cattolica del mondo, in: Opera
omnia, vol. II/1, p. 77.)
43
Pavel A. Florenskij: La colonna e il fondamento della Verità, p. 103.
44
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 477. Per dirla in altri termini: «(…) la
struttura dell’ente creato, in quanto è “qualcosa che è”, è immagine della Trinità
divina.» (Ibidem, p. 437.)

La complessità del reale secondo Edith Stein, Pavel ... 819


Ma come interpretare tali considerazioni? E, in particolare, cosa si può
dire a proposito della trinitarietà dell’essenza divina?

7. A mo’ di conclusione: verso un’ontologia trinitaria

I nostri tre pensatori offrono, ognuno da parte sua, una risposta


che si sviluppa dallo stesso punto di partenza, considerando cioè la persona
di Cristo – incarnato Logos eterno del Creatore, Figlio del Padre – quella
porta che permette alla conoscenza di sbirciare verso la misteriosa realtà
della trinitarietà di Dio. Comunque sia, sono soprattutto Florenskij e la Ste-
in a mantenere le loro riflessioni su questo difficile ma centrale argomento
ancorate nel suolo dell’ontologia, sapendo di dover misurare il significato di
termini come “essenza”, “sostanza”, “essere (eterno/assoluto)” e altri in un
modo che rispetti l’eccedenza della “realtà unitrina” chiamata “Dio” e il suo
assoluto e permanente prius ontologico su tutto ciò che era, è e sarà in essere.
Quanto a  Florenskij, egli è  noto non solo per aver riconosciuto nella
trinitarietà quel qualcosa che esprime al massimo la verità della realtà tradi-
zionalmente chiamata, nell’ambito filosofico-teologico e della dottrina ec-
clesiale, “essenza”, “sostanza” ed “essere” di Dio, ma anche per aver tentato
di descriverla utilizzando questi termini con la persuasione che in Dio non
vi sia alcuna struttura interna, che in e per Lui non ci siano un dentro e un
fuori, una parte più centrale (nucleo di fondo) e una parte esterna, e che,
quindi, la trinitarietà sia qualcosa che Egli è in quanto Dio e che – per così
dire – lo rende e manifesta come vero (Verità assoluta). Volendo esprimere
sinteticamente questa visione, Florenskij scrive:
«Ecco la definizione metafisica della “sostanza-ousía” dell’auto-dimostra-
bile Soggetto che, come si vede, è una relazione sostanziale. Il Soggetto della
Verità è la Relazione di Tre, ma relazione che è sostanza, relazione-sostanza. Il
Soggetto della Verità è la Relazione di Tre. E siccome la relazione concreta
è un sistema di atti di attività vitale, nel nostro caso un sistema infinito di atti
sintetizzati in unità, ossia un atto unico infinito, possiamo affermare che l’ousía
della Verità è l’Atto infinito di Tre nell’Unità»45.
La riflessione trinitaria della Stein si muove nella stessa direzione, ma
sviluppando di più l’idea che in Florenskij, nell’ambito delle riflessioni sulla
Trinità immanente, si trova solo abbozzata, cioè che quell’atto-sostanza-re-
lazione dell’unico Soggetto assoluto – che è Dio – sia da interpretare come
amore quale essere-in-movimento fatto di due correnti inverse: il darsi totale

Pavel A. Florenskij: La colonna e il fondamento della Verità, p. 56.


45

820 Liberté et Patrie I


e incondizionato di ognuna delle Persone divine alle altre due; la glorifica-
zione reciproca quale atto del confermare nell’essere ogni Persona da parte
delle altre due. La Stein intuisce giustamente, e spiega con ammirabile pre-
cisione teologica, che è proprio il come dell’essere-Persona divina (di ognuna
delle Tre) a offrire la chiave di accesso al mistero della trinitarietà dell’essen-
za divina (ossia al mistero dell’unitrinità del Soggetto divino, del Suo essere
simultaneamente Uno e Tre). Un come che in Cristo si è manifestato nella
Sua verità: l’amore quale dono di sé ad un tu, un dono reciproco di sé.
Nell’approfondire quest’idea, la filosofa tedesca adopera espressioni
e compone formulazioni che difficilmente avrebbe potuto ricavare dai libri
di teologia della sua epoca46 e che appaiono innovative e originali anche nei
confronti del pensiero trinitario di Agostino e di Tommaso – da lei tenuto
in considerazione come un costante e sicuro punto di riferimento –, dando
l’impressione di essere cresciute e maturate nel contesto delle meditazioni
sui testi dello Pseudo-Dionigi e della mistica carmelitana. Al centro di tali
espressioni e formulazioni sta il concetto di reciprocità dell’amore trinitario,
introdotto e interpretato in chiave ontologica. La Stein, infatti, in un intenso
brano spiega:
«L’amore supremo è amore reciproco, eterno (…). La vita intima di Dio
è  l’amore eterno, reciproco, interamente libero, indipendente da tutte le
creature, delle Persone divine. Esse si donano reciprocamente l’unica eterna
infinita essenza, e l’essere, che ognuna comprende perfettamente e tutte as-
sieme comprendono. Il Padre la dona – dall’eternità – al Figlio generandolo,
e mentre Padre e Figlio se ne fanno dono reciproco, dal loro amore e dono
reciproco procede lo Spirito Santo. Quindi l’essere della seconda e  della
terza Persona è un essere ricevuto e tuttavia non è generato, come quello
creato: è l’unico Essere divino che è dato e ricevuto – il dare e il ricevere ap-
partengono all’Essere divino in quanto tale. Si può cercare un altro accesso
al mistero della Trinità: l’essere di Dio è vita, cioè movimento che parte dal
di dentro, è un essere che genera. Non è movimento verso l’ente come quel-
lo del finito, del creato; neppure un movimento al di là di sé, come quello
di chi genera nel tempo, ma un movimento eterno in sé, un eterno crea-
re-se-stesso dalla profondità del proprio essere infinito, come dono dell’Io
eterno ad un Tu eterno, ed un reciproco eterno donarsi e riceversi. E poiché
l’essere uno che sfocia eternamente da questo dare e ricevere genera ancora

La teologia di quel periodo faceva riferimento quasi esclusivamente al modello della


46

manualistica, la cui riflessione sul dogma trinitario, debitrice degli schemi con-
cettuali e della terminologia neoscolastici, non poteva soddisfare chi, come Stein,
desiderava fondare il pensiero nell’orizzonte agapico-ontologico.

La complessità del reale secondo Edith Stein, Pavel ... 821


una volta insieme da se stesso ciò che è dato e ciò che è ricevuto – poiché
il supremo essere uno deve in quanto tale dare frutto –, l’anello della vita
intima di Dio si chiude nella terza Persona, che è Dono, Amore e Vita»47.
Ma il pensiero trinitario della Stein contiene ancora un altro punto di
originalità, praticamente sconosciuto alla teologia cattolica della prima metà
del XX sec. e sviluppato, in quel periodo, con convinzione e sistematicità
solamente da alcuni filosofi e teologi ortodossi russi, in particolare da S.N.
Bulgakov, autore della monumentale trilogia pubblicata con il sottotitolo
Sulla Divinoumanità48. Mi riferisco all’idea della kenosi intratrinitaria. Pur
non ricorrendo a questo termine, la filosofa tedesca ne conosce il significato,
integrandolo nella sua descrizione della trinitarietà dinamica ed essenziale
(sostanziale e ontologica) di Dio Amore. Ella, infatti, parla di un uscire da
sé di ognuna delle tre Persone divine, da intendere come atto essenziale e,
quindi, come «totale “perdita di sé” (das völlig “Selbstlose”): non nel senso che
[la Persona divina – L. Ž.] non ha un in sé, ma nel senso che dà interamente
il suo sé senza perderlo (…)»49. E spiega che nel «darsi senza riserve (in der
restlosen Selbsthingabe) delle Persone divine, in cui ogni Persona si priva intera-
mente della sua essenza pur conservandola intatta, ogni Persona è completa-
mente in sé e nelle altre (…)»50.
Il discorso sulla dipendenza costitutiva della struttura del reale dall’essenza
divina di Dio Trinità non può prescindere da queste ultime puntualizzazioni.
Tuttavia esse devono essere interpretate e sviluppate nella prospettiva che, per
il pensiero della Stein, di Florenskij e Guardini, risulta essere centrale: quella
antropologica. Perché se vale che la struttura di tutto il creato è in qualche modo
immagine dell’essenza trinitaria, questo dato di fatto necessita di un’ulteriore
specificazione, e ciò nella direzione messa in luce dall’affermazione: «L’Esse-
re-Persona divino è l’archetipo di tutti gli esseri-persona finiti»51.

47
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 374. E ancora: «Poiché Dio è Amore, l’Es-
sere divino deve essere l’essere-uno di una pluralità di Persone, ed il suo nome “Io
sono” è equivalente a “io mi do totalmente ad un tu”, “sono un tutt’uno con un tu”
e quindi anche ad un “noi siamo”.» (Ibidem, pp. 373 – 374.)
48
Della trilogia fanno parte: L’Agnello di Dio (1933), Il Paraclito (1936) e La Sposa
dell’Agnello (1945, postumo). Per una presentazione dell’idea bulgakoviana della
kenosi in Dio Trinità rimando a Piero Coda: L’altro di Dio : rivelazione e kenosi in
Sergej Bulgakov. Roma : Città Nuova, 1998. 233 p., in particolare pp. 87 – 129.
49
Edith Stein: Essere finito e essere eterno, p. 383.
50
Ibidem (corsivo mio).
51
idem, p. 373.

822 Liberté et Patrie I

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