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VITA

Publio Virgilio Marone nacque ad Andes (oggi Pietole), presso Mantova, da


un'agiata famiglia di agricoltori, nel 70 a.C.
Ebbe la sua prima educazione a Cremona, a Milano, e specialmente a Roma
(dove apprese la retorica da Epidio, maestro anche di Ottaviano) e a Napoli
(dove apprese la filosofia sotto l'epicureo Sirone).
Il fatto fondamentale della vita di Virgilio è rappresentato dalla perdita del
podere, in seguito alla distribuzione delle terre ai veterani (la questione
agraria è sempre la questione più assillante della politica interna di Roma):
-una prima volta (41 a.C.), distribuendosi le terre ai veterani delle guerre
civili, il poeta si vide tolto il podere; tuttavia poté riaverlo appellandosi ad
Asinio Pollione, allora governatore della Gallia Cisalpina (cfr. Ecloga I);
-una seconda volta (40 a.C.), distribuendosi le terre ai veterani dopo la guerra
di Perugia (combattuta da Ottaviano contro il fratello di Antonio; questi,
mentre Antonio era in Asia, sollevò contro Ottaviano gran parte dell'Italia
centrale), lo perse definitivamente e, poiché tentò di opporsi con la forza al
centurione che doveva entrane in possesso, corse serio pericolo di vita (cfr.
Ecloga IX).
Venne allora a Roma, dove conobbe Mecenate e Ottaviano, che gli
donarono censo e ville a Nola, a Taranto e in Sicilia, ma si stabilì
definitivamente a Napoli, dove comprò la villa di Sirone che nel frattempo
era morto.
Neppure ciò valse pero a dare pace e soddisfazione al suo animo, tutto
preso dalle campagne della sua Mantova: da questo deriva quella che fu
chiamata malinconia virgiliana, o dissidio romantico tra ideale e reale,
tra l'aspirazione a un bene irrevocabilmente perso e la nuda prosaica
realtà della vita (cfr. Il dramma spirituale di Didone).
Nell'ultimo anno di vita compì un viaggio in Grecia per conoscere da vicino i
luoghi descritti nell'Eneide, ad Atene incontrò Augusto che proveniva
dall'Oriente, e con lui compì il viaggio di ritorno. A Brindisi, colpito da mal di
stomaco, moriva nel 19 a.C. Fu sepolto sulla via di Pozzuoli, presso
Napoli; ma un ignoto cataclisma, avvenuto nel Medioevo, fece inghiottire
strada e tomba dal mare.

PERSONALITÀ DI VIRGILIO

Virgilio fu di carattere mite e buono: Orazio lo chiama anima candida. A


Napoli il popolo lo chiamava partenio (verginale) per la sua timidezza; a Roma,
quando si accorgeva di venire mostrato a dito da qualcuno, si nascondeva nella
casa più vicina. Nel Medioevo fu considerato come un mago, forse per l'Ecloga
IV, in cui si volle vedere una profezia del Cristianesimo.
OPERE

Bucoliche o Eclogae

Il titolo Bucoliche deriva dal termine bucoloi=pastori, mentre Eclogae


significa poesie scelte, poemetti.
Si tratta di 10 componimenti in forma dialogica e di argomento
pastorale, in esametri dattilici.
Furono scritti per consiglio di Asinio Pollione, governatore della Gallia
Cisalpina.
Il poeta vi raffigura le vicende di pastori-poeti, che immersi nella natura
trascorrono le giornate badando al gregge e dialogando tra loro,
improvvisando canti, per lo più di argomento amoroso, oppure
sfidandosi in serene competizioni poetiche.
La composizione si protrasse per circa sette anni fra il 42 e il 35 a. C.
Il tono delle Ecloghe riflette non solo le esperienze biografiche di Virgilio
in quegli anni cruciali, ma anche il clima politico e spirituale dell'Italia: un
decennio in cui gli scontri sociali, la violenza politica, il diffuso clima di
incertezza e di illegalità fecero temere a molti l'imminente tracollo dello
stato.
Il Virgilio delle Ecloghe non è dunque ancora il poeta della pax augustea, ma
un osservatore inquieto di una realtà da un lato animata da speranze di
rinnovamento, ma ma dall'altro anche segnata dai lutti e dalle devastazioni
delle guerre civili.
Nell'opera leggiamo riferimenti espliciti alle drammatiche conseguenze della
politica degli espropri fondiari forzati, accanto a espressioni di sincera
gratitudine nei confronti di Ottaviano, ritratto come un deus
pacificatore; e ancora l'attesa di una palingenesi universale che,
chiudendo il doloroso capitolo dei conflitti civili ridoni al mondo la pace
virtuosa e semplice dell'età dell'oro, accanto al lamento per la fragilità
della bellezza che soccombe all'annientamento e alla morte.
Virgilio imitò il genere dal poeta greco Teocrito e lo introdusse per primo
nella letteratura latina; ma proprio nel rapporto conflittuale con il modello è
possibile cogliere gli autentici tratti dell'originalità e della maturità artistica
raggiunta dal poeta mantovano.
Virgilio trovò in questo genere, forse per la sua origine campagnola di
cui andò sempre fiero, una sorta di naturale veicolo per il proprio
affetto sincero nei confronti del mondo dei campi e dei contadini.
Virgilio punta a perfezionare il suo modello: ignora il tono
maliziosamente ironico di Teocrito, che nasce dal distacco per la
materia trattata.
Virgilio cerca di disegnare personaggi capaci di suscitare
l'immedesimazione dei lettori, le storie poetiche dei suoi pastori dovevano
commuovere non divertire.
L'umanità che popola gli idilli di Teocrito vive in uno spontaneo accordo con
la natura, cosa che non avviene per i pastori di Virgilio: la loro sofferenza
è intima e continua.
Il paesaggio teocriteo è quello del meriggio estivo o autunnale, caratterizzato
da una natura in pieno rigoglio disegnata da una luce netta e tagliente; invece
Virgilio ama la mezza stagione, il colore sfumato e l'ora del tramonto,
l'ora della malinconia, del ricordo, del rimpianto. Siamo di fronte a una
vera e propria raffigurazione affettiva del paesaggio, sul quale finiscono
per proiettarsi i sentimenti e gli stati d'animo dei poeti-pastori.
Virgilio di rado esplicita coordinate spaziali immediatamente
riconoscibili, alcune ecloghe appaiono ambientate in Italia, forse
proprio nell'ager mantovano.
In compenso ovunque si avverte la presenza dell'Arcadia che assume i
contorni irreali di un locus amoenus, un incanto tanto fiabesco quanto
artificioso. Virgilio sembra scegliere la fuga, l'isolamento in un mondo
ricostruito attraverso le sole leggi dell'arte: un mondo che tuttavia non
riesce a sottrarsi del tutto al dolore.
Profondo è poi il valore simbolico della geografia virgiliana: nelle
Ecloghe, nelle Georgiche e nell'Eneide ritroviamo tre luoghi allegorici.
All'Arcadia pastorale, universo immaginario, luogo dello spirito, si sostituirà
prima l'Italia, la terra benedetta dagli dei e infine Roma, il centro del mondo.
I personaggi, dietro la maschera grecizzante, nascondono non di rado
allusioni precise a personalità del tempo, amici e protettori di Virgilio,
oppure Virgilio stesso. Si tratta di omaggi metaletterari di V. ai suoi modelli
artistici più immediati (Licino Calvo, Cornelio Gallo, Cinna).
Per quanto riguarda il contenuto:
-le ecloghe I e IX sono relative al podere mantovano: nella I Virgilio,
sotto il nome di Titiro, ringrazia Ottaviano per avere riavuto il podere; nella IX,
sotto il nome di Menalca, si lamenta per averlo perso.
-l'ecloga IV, in cui si volle veder una profezia del Redentore, parla infatti di un
bimbo alla cui nascita il mondo dovrà rinnovarsi (forse il figlio di Asinio
Pollione o - più probabilmente - il figlio nascituro di Augusto, che fu poi la
famosa Giulia).
-l'ecloga VI narra del vecchio Sileno, sorpreso dai pastori Cromi e Mnasilio,
che canta l'origine del mondo e molti miti secondo la filosofia epicurea.
-l'ecloga X è dedicata all'amico Cornelio Gallo, per consolarlo di una
delusione d'amore.

Georgiche (=cose attinenti all'agricoltura)

Poema epico didascalico in quattro libri in esametri dattilici, dedicato


alla coltivazione dei campi e all'allevamento del bestiame.
Venne scritto tra il 37 e il 29 a.C.
Le Georgiche furono composte per ordine di Mecenate, allo scopo di
appoggiare il tentativo riformatore di Augusto: si trattava di esaltare
la sana vita dei campi contro la molle e corrotta vita della città.
Lo stesso Virgilio afferma nell'opera che Mecenate lo avrebbe orientato verso le
ideologie augustee. Il poeta appare avviato a cantare cose un po' più
impegnative pur rimanendo legato all'ambiente agreste.
In un'epoca ancora dilaniata dalle guerre civili il poema si propone come
messaggio di speranza rinnovata e di fiducia orgogliosa nell'uomo e
nelle sue capacità.
La materia deriva dalle Opere e i Giorni di Esiodo, dall'Economico di
Senofonte, dalle Georgiche di Nicandro, dal De re rustica di Catone e di
Varrone ecc.
Rispetto ai modelli a Virgilio non interessa per niente fornire un manuale
tecnico sulla conduzione di un'azienda agricola: il suo scopo, in realtà,
può essere definito ideologico.
Per quanto riguarda il contenuto:
-il I libro tratta dell'agricoltura in generale (aratura, semina, cure varie,
stagioni, pronostici meteorici ecc.);
-il II libro tratta della cultura delle piante (vite, ulivi e alberi da frutta);
-il III tratta dell'allevamento del bestiame (specialmente delle greggi);
-il IV libro dell'apicoltura.
L'opera si chiudeva con un elogio all'amico Cornelio Gallo, governatore
imperiale d'Egitto; ma quando questi, ribellatosi ad Augusto, fu
costretto a darsi la morte (29 a.C.), Virgilio sostituì l'elogio con il
bellissimo episodio di Aristeo e la conseguente avventura di Orfeo ed
Euridice.
Nelle Georgiche appare il sentimento più intimo dell'anima virgiliana, quello
georgico: la natura è sentita con mistica religiosità, nella sua
immanenza divina (cfr. Lucrezio); e le cose, le piante, gli animali sono
trasfigurati come creature sensibili e umane.
Le Georgiche nascono in un clima di generalizzata preoccupazione per la
decadenza del mondo contadino italico di fronte all'avanzata del
latifondo.
Virgilio avverte che l'età dell'oro non può rappresentare la soluzione:
occorre non fuggire dalla realtà, bensì impegnarsi nella costruzione di
un mondo meno idillico e più concreto.
L'opera mira a descrivere l'azione positiva che l'uomo attraverso le sue
artes può e deve esercitare nei confronti della natura, non sempre
benefica.
Importante è la nuova concezione che il poeta ci propone del lavoro: la
fatica è concepita come un dono del padre Giove agli uomini affinché la
loro mente non si assopisca nell'ozio che genera solo fiacchezza e
vizio.
La personale fatica, quotidiana e incessante dell'agricoltore, la sua
lotta contro il clima e la terra grama appaiono come le basi stesse di
quei mores maiorum che la politica culturale augustea si proponeva di
restaurare.
Questo orizzonte ideale si incontrava con gli orientamenti politici di
Ottaviano che aveva saputo trasformare la lotta per il potere con
Antonio in un conflitto di più ampia portata fra Occidente e Oriente, fra
le sane tradizioni italiche e le degenerate mollezze orientali, attuando
una politica tesa ad affermare l'assoluta centralità dell'Italia a tutti
livelli.
Tutto questo attraverso un vasto programma di riforme, distribuzioni di
terre e prestiti agevolati per impiantare nuove aziende agricole, per
restituire i romani alla terra e ripristinare quel ceto di agricoltori e
piccoli proprietari che storicamente aveva costituito la base politica e
militare della Roma repubblicana.
Per Augusto era perciò indispensabile la ricostruzione di una ideologia
del ritorno alla terra: il lavoro del contadino doveva ritornare a essere
moralmente lusinghiero oltre che economicamente vantaggioso.
E proprio su questa linea si colloca la poesia georgica di V.
Il poeta afferma che la terra ricompensa l'uomo del suo lavoro e lo fa
fruttificare.
Importante è poi il motivo epicureo dell'autárkeia, che è il valore di chi,
come il saggio, pone il principio della felicità dentro di sé e che perciò
sa vivere secondo equilibrio e misura.
Episodi di bellezza insuperabile sono: nel libro I la narrazione dei prodigi che
seguirono la morte di Cesare; nel II il famoso elogio all'Italia e le lodi della vita
rustica; nel III libro la peste che colpisce gli animali; nell'ultimo libro la favola
del pastore Aristeo.

Eneide

Poema in 12 libri attorno a cui Virgilio lavorò per ben dieci anni (29-19
a.C.), ma senza poter dare l'ultima mano perché sorpreso dalla morte:
prima di morire ordinò agli amici Vario e Tucca di bruciare l'opera,
riconoscendola imperfetta, ma Augusto vi si oppose e volle che fosse
pubblicata.
Scopo dell'Eneide fu per Virgilio quello di dare ai Romani un poema che fosse
quello che i poemi omerici erano per i Greci, cioè un poema nazionale che
celebrasse le origini della potenza di Roma, cui avevano collaborato
uomini e dei, e insieme le origini di quella gens Iulia alla quale apparteneva
l'uomo che reggeva allora i destini di Roma.
La materia deriva dal poeta Stesicoro, che fu il primo a parlare di una fuga di
Enea da Troia verso l'Esperia; dallo storico greco Timeo; dagli epici romani
Nevio (Bellum Poenicum) ed Ennio (Annales), ecc.; ma soprattutto da
Varrone Reatino, che aveva ordinato la leggenda nella forma comunemente
accettata.

Il protagonista

V. sceglie il genere epico per narrare le peripezie del troiano Enea che fugge
da Troia con il padre Anchise, il figlio Iulio/Ascanio e un pugno di
compagni, per fondare una nuova città.
Egli stesso narra le proprie avventure alla corte di Didone, regina di
Cartagine con la quale vive una intensa ma breve relazione d'amore:
gli dei che hanno in serbo altri destini per l'eroe, gli impongono di
riprendere il mare alla volta dell'Italia; nel Lazio egli è infatti chiamato
a dare origine a una progenie che diverrà la dominatrice del mondo.
Il progetto divino che vuole Enea progenitore del popolo romano viene
chiarito nel libro VI, in cui l'anima di Anchise, morto da poco, mostra al
figlio sceso nel regno dei morti per incontrarlo, la teoria dei grandi
uomini che, dopo la fondazione di Roma, porteranno la città a
diventare caput mundi, in particolare grazie al contributo della gens
Iulia, la discendenza di Iulo, figlio di Enea, e dei suoi massimi
esponenti, Cesare e Augusto.

La composizione

La composizione dell'Eneide, avviata intorno al 30 a. C., richiese circa un


decennio, ma V. non concluse il poema.
Dalle fonti sappiamo che l'Eneide venne prima abbozzata in prosa e distribuita
in 12 libri e poi che V. la compose senza seguire alcun ordine.

Il contenuto dell'Eneide

Per quanto riguarda il contenuto i primi 6 libri (periplo di Enea)


richiamano l'Odissea, mentre i rimanenti (guerra di Enea con Turno, re
dei Rutuli, cui Latino aveva promessa in sposa la figlia Lavinia)
richiamano l'Iliade:
I libri più importanti sono:
-il II libro, che narra la distruzione di Troia (episodi di Sinone, di Laooconte,
ecc.);
-il IV libro, che narra la tragedia di Didone, tutta soffusa dalla vaga
malinconia virgiliana;
-il libro VI, che narra la discesa all'Averno e la predizione da parte di
Anchise della futura grandezza di Roma: la missione di Enea assume qui una
nota sacra, e tutto il poema acquista uno sfondo mistico-religioso che gli dona
una risonanza più vasta;
-l'VIII libro, che si può considerare il libro della religione georgica
(Evandro e la città di Pallanteo) e della potenza romana (scudo di Enea).
I caratteri sono tutti ben delineati:
-Enea, piuttosto freddo e povero di individualità, è l'eroe predestinato,
in continuo potere della divinità: deve sempre, non è libero mai. Vi è
tuttavia anche un Enea umano, individuale: è l'Enea in cui si riflette
l'indole del poeta, che lotta e soffre nell'animo;
-Turno, carattere meglio riuscito ma poco originale perché ci ricorda
Ettore per il suo eroico amor di patria;
-Didone, l'eroina appassionata e tragica, ispirata al poeta dalla Medea
di Apollonio Rodio (Gli Argonauti) e dall'Arianna di Catullo, ma
superiore di gran lunga a entrambi;
-Camilla, figura originale e ben riuscita, è eroina bellicosa, ma non
priva di bellezza e vanità muliebre. È infatti l'istinto della vanità femminile
che ne provoca la morte: è uccisa da Arubte mentre contempla le gioie del
giovinetto Cloro.
Non meno grandi e commoventi le figure di Latino, di Evandro, ecc.; e quelle
dei giovani eroi come Pallante, Eurialo e Niso, Lauso.
Omero fu il grande modello di Virgilio e, come Omero, Virgilio seppe
conciliare e rifondere l'umano con il divino, lo storico con il
leggendario e il soprannaturale.
Non bisogna tuttavia dimenticare le differenze tra i due poeti: entrambi
descrivono epoche lontane, ma mentre in Omero c'è l'ingenuità dei
tempi eroici e l'intento artistico prevale, in Virgilio c'è uno studio
accurato della tradizione e l'intento politico prevale.

Virgilio e Omero

Omero con i suoi poemi costituisce il modello con cui V. dovette confrontarsi.
Molto fitta è l'eco di rimandi, citazioni e allusioni al poeta greco.
Anche sul piano strutturale l'Eneide riprende il modello omerico: passa da 24
a 12 libri contaminando la materia omerica e rovesciandone l'ordine: i primi 4
libri sono infatti odissiaci, imperniati cioè sul tema del viaggio
raccontato dal protagonista attraverso un flashback, il VI
rappresentano una pausa e una sutura, infine sono iliadici, fondato
cioè sul motivo della guerra (l'assedio scatenato da una donna contesa
fra due uomini) i libri dal VII al XII.
V. vuole fare del suo poema ciò che i poemi omerici erano stati per la cultura
greca, cioè una sintesi programmatica e una summa paradigmatica di
un'intera civiltà: siamo di fronte a un momento topico del classicismo
augusteo.
L'azione eroica, fondamentale in Omero, in V. è subordinata alle sue rifrazioni
sentimentali e psicologiche: i fatti dell'interiorità assumono grande
importanza, si ha il passaggio dall'oggettività alla soggettività.
In Omero domina l'oggettività come coincidenza tra il piano umano e
quello divino, in V. invece si é aperta una frattura tra il mondo
soprannaturale e quello reale, dove gli uomini annaspano privi di
riferimento certo, vittime predestinate non solo della reciproca
malvagità, ma anche della storia.
Confrontando Omero e Virgilio è fondamentale pensare che fra i due c'è stata
la cultura ellenistica.
Non stupisce che in V. ci sia un forte spostamento di attenzione sulle
figure femminili e sulla loro componente intimistica: il suo modello è
costituito soprattutto dalle Argonautiche di Apollonio Rodio e dalla sua
eroina Medea.
Un altro elemento chiaramente ellenistico è il gusto per l'eziologia
(trattazione delle cause, cioè delle origini, di nomi, di culti).
V. sapeva bene che la tradizione epica a Roma vantava già gli Annales di Ennio,
ma se ne discosta tematicamente prendendo a soggetto della propria
materia epica il patrimonio mitico-leggendario di tradizione greca a
differenza dei suoi predecessori, sia Ennio che Nevio.

La celebrazione metastorica della Roma augustea

Almeno in un primo tempo la direzione presa dal progetto virgiliano andò


contro le aspettative di Augusto, che auspicava proprio un poema storico
dedicato alle guerre civili vittoriosamente combattute contro Antonio e che
consacrasse il suo ruolo di restauratore della tradizione e di garante della pace.
Ma trattare la contemporaneità avrebbe significato riaprire il terribile capitolo
delle guerre civili e secondo una prospettiva di parte. Ciò era inaccettabile
per Virgilio, perciò nell'Eneide la contemporaneità avrà un ruolo solo di
raccordo o di excursus.
Un poema sulle origini concedeva invece all'autore di trattare con
maggiore libertà la materia prescelta, procedendo per allusioni più che
per elogi espliciti.
Virgilio volle cantare il princeps e l'impero di Roma rovesciando i
termini della questione: partì dal presente per cercarne una
giustificazione nel remoto passato, cercando le motivazioni profonde
che avevano condotto Roma a un dominio tanto vasto.
Virgilio dà valore di storia, attraverso la poesia, a leggende e miti che
appartenevano alla tradizione omerica o, al più latina, piuttosto che al
patrimonio culturale romano in senso stretto. Il poeta riesce a fondere
presente, passato e futuro nell'episodio della nascita di Roma che
avvenne con le nozze tra Enea e Lavinia e la successiva fusione tra
troiani e latini.
Uno dei caratteri più nuovi dell'Eneide è la tendenza a valorizzare il
contributo offerto un po' da tutti i popoli mediterranei all'edificazione
dell'imperium romano: Virgilio sottolinea l'influsso positivo che greci,
troiani, etruschi, genti del Lazio, cartaginesi hanno esercitato sulle
remote origini dell'Urbs.
Virgilio si prefisse due scopi: il primo di carattere culturale-politico era quello
di descrivere l'ordine del mondo attraverso la fondazione di Roma,
l'altro consisteva nel sondare le profondità dell'animo umano mediante il
racconto delle gesta degli eroi.
Dalla prima finalità discende l'anima augustea del poema, che si può
riassumere nel racconto di una missione (quella di Enea) voluta dal fato, grazie
a cui sono state rese possibili la fondazione di Roma e la successiva sua
salvazione per mani di Augusto.
I segni del compimento della profezia sono concentrati fra i libri VI e
VIII; i rimandi alla storia suggeriscono al lettore i riferimenti
all'attualità.
Tutto ciò era profondamente augusteo: il princeps voleva persuadere i
romani che il nuovo sistema politico si fondava sul ritorno alla virtù
degli antichi: in tal senso Enea è veramente padre ideale dei latini;
Pater Aeneas, insieme a Pius Aeneas, è, non a caso, l'epiteto formulare
più ricorrente nel poema.

Enea nell'oltretomba

Il libro VI segna un momento cruciale, tutto dedicato alla catabasi (discesa)


di Enea nell'oltretomba, dove riceverà dal padre Anchise la conferma
della propria missione di fondatore e la visione delle future glorie
romane.
L'aldilà virgiliano deriva per molti aspetti dal libro XI dell'Odissea, che
racconta l'evocazione dei morti da parte di Ulisse, inoltre entrambe gli
eroi scendono nell'oltretomba per acquisire nuove conoscenze. Ma
Virgilio racconta una vera e propria catabasi, cioè una discesa fisica
nell'aldilà.
Lo scopo preciso però non è la descrizione dell'Averno, ma la celebrazione
di Roma e di Augusto: la discesa di Enea è la solenne investitura del
suo destino di fondatore: la visione delle glorie future lo spronerà al
compimento dell'impresa.
Anche la dottrina platonica della metempsicosi viene introdotta come cornice
utile a esaltare Roma e la sua storia: la visone dei grandi personaggi che
stanno per incarnarsi conferisce alla rivelazione del futuro un carattere mitico-
eroico. Inoltre siamo davanti a un quadro della storia di Roma tutto
convergente su Augusto: prima viene la prole albana nata da Enea e
Lavinia, al termine della quale Ilia genererà, dal dio Marte, Romolo;
seguono i sette re di Roma, quindi i consoli della res publica e i suoi
generali e infine Marcello l'erede al trono di Augusto.

La sensibilità verso la sofferenza dei vinti

La guerra nel mondo virgiliano rappresenta una triste necessità, avvertita


come un eccidio inutile e fratricida.
Lo stesso Enea affronta la guerra a malincuore, ne sopporta le
conseguenze e non la esalta mai.
Nel poema nessuna morte appare gloriosa, neppure quella degli eroi sul
campo di battaglia: lo stesso Turno muore circondato da un alone di rimpianto,
dal sospetto che il suo sia un sacrificio vano.
Emerge inoltre l'attenzione al mondo dei vinti, che soffrono a causa di
una superiore giustizia, avvertita però spesso come imperscrutabile e
intollerabile.
La sensibilità di Virgilio per il soffrire dell'uomo è una delle caratteristiche
profonde della sua poesia.
Le figure più riuscite del poema sono quelle dei giovani eroi (Eurialo,
Niso, Pallante, Camilla), caduti prematuramente, le cui morti sono
salutate dal commosso cordoglio del poeta.

Enea, l'eroe della pietas

Il personaggio di Enea è moderno: è eroe di un epica e di un'epoca che si


avvia a non essere più eroica.
Già nell'Iliade, dove comunque ricopre un ruolo di primo piano, appare in
qualche modo lontano dal destino collettivo, e piuttosto più simile a
Ettore, che si fa carico del destino collettivo, a rischio della vita.
Enea è innanzitutto il portavoce del fato, l'esecutore di quella volontà
cosmica che soffoca le ragioni dei singoli: in questo consiste la sua
pietas, la sua devozione alla patria, alla famiglia, agli dei.
L'eroe però non è prigioniero del fato: è un personaggio autentico,
detentore di una voce personale, di una volontà relativa.
Quando si innamora di Didone, credendo di poter dimenticare il
fardello che gli grava sulle spalle, commette secondo la logica epica,
un errore quasi imperdonabile: dovrà porvi rimedio con fatica e
sofferenza, ma è appunto nella rinuncia che lo tocca negli affetti,
nell'Enea fiaccato dalla perdita dei suoi cari, dalla moglie Creusa a
Didone, dal padre Anchise fino al giovane Pallante, che si sente
maggiormente vibrare la sua umanità.
A ogni distacco, a ogni perdita egli soffre, anche se si sforza di tenere
sotto controllo i propri sentimenti: la sensibilità stoica era assai diffusa nel
mondo augusteo e più in generale alla fondamentale gravitas dell'uomo
romano.
La figura di Enea riassume in sé le virtù attribuite dal mos maiorum al
pater familias ideale (pietas, autocontrollo e capacità di leadership), se
non fosse per quella dose di perplessità, di dubbio costante che lo
rende, ai nostri occhi, così moderno.

Il personaggio tragico di Didone

Un ulteriore tratto di modernità è dato dal ruolo che nel poema di Enea è
assegnato ai personaggi femminili.
Tra le molte figure dell'Eneide ha un rilievo eccezionale il personaggio di
Didone. Dopo che la sposa di Enea, Creusa è scomparsa nella notte
dell'incendio di Troia e prima che la nuova sposa, Lavinia, consenta all'eroe di
dare forma alla sua missione provvidenziale, Didone diviene per lui l'ostacolo
maggiore sulla via della fondazione della nuova Troia.
Il libro IV che la vede protagonista, è una sorta di grande excursus tragico:
fin dall'inizio Didone è segnata da un destino che assume la forma
dell'amore-passione irresistibile e fatale che infine si trasforma in odio
e in disperazione contro se stessa.
Modelli di Virgilio sono stati Nevio, la Medea di Euripide, le Argonautiche
di Apollonio Rodio, l'abbandono di Arianna nel carme 64 di Catullo.
Come Enea Didone si presenta come condottiera e fondatrice di città: il
suo dramma nasce dalla volontà di sottrarsi ai propri doveri verso la
comunità sia di volerne distogliere l'uomo amato.
Enea si identificherà ancora una volta con i valori della civitas e deciderà di
abbandonare la donna per adempiere il proprio compito storico.
L'amore viene a compromettere la loro funzione di guida dei rispettivi
popoli, ma in Didone l'amore è maggiormente colpevole perché
comporta il tradimento del voto di fedeltà a suo tempo fatto al defunto
marito Sicheo.
Il compromesso fra l'amore e il dovere non può essere risolto: alla fine
Didone si uccide perché alla vergogna e al dispetto di essere stata
tradita da Enea si unisce la consapevolezza di avere tradito se stessa e
la propria dignità.
La religiosità di Virgilio

Virgilio non ha alcuna facile risposta da offrire sul grande problema del
"perché" della sofferenza che segna l'esistere degli uomini e di tutte le
creature; non si calma all'idea che il mondo sia retto dalla volontà degli dei che
guidano la storia verso il trionfo di Roma.
Virgilio ha colto e cantato uno dei nodi fondamentali di ogni civiltà
umana: l'esistenza storico-politica non è quasi mai in sintonia con la
problematica esistenziale e non basta a dare senso alla vita.

Lo stile

Il lessico virgiliano

Il lessico virgiliano può essere percepito a prima vista come una lingua
semplice e quotidiana, grazie soprattutto alla sua purezza e armonia:
ma a un esame più attento esso si rivela un linguaggio raffinatamente
letterario.
Nelle Bucoliche e nelle Georgiche Virgilio ricorre a designazioni precise e
realistiche: nomi di piante, lavori campestri, oggetti della vita del
pastore.
Nell'Eneide Virgilio mette in versi essenzialmente le parole della lingua
quotidiana: ciò è senza precedenti nella poesia latina e richiama il
linguaggio dei grandi tragici greci. Pochi gli arcaismi e i poetismi.
Il tratto forse più tipico dello stile epico di Virgilio è però la sua
polisemia, cioè la molteplicità di significato che può assumere una stessa
parola.

L'esametro virgiliano

Sul piano metrico Virgilio si è sforzato di dare all'esametro un assetto


riconoscibile: ha dato una regolarità di fondo indispensabile a uno stile
epico, ma anche quella varietà che libera il verso da ogni monotonia.
Ha inoltre limitato il ricorso all'allitterazione, tipico dell'epica arcaica.
Spezza e dilata il ritmo sintattico della narrazione attraverso il frequente
ricorso all'enjambement.
Inoltre la raffinata tecnica virgiliana sa creare effetti musicali attraverso
fenomeni di omoteleuto, di assonanza ecc.

Opere pseudo Virgiliane o Aapendix Vergiliana

Ricordiamo le principali:

Culex (=la zanzara): poemetto in esametri, in cui una zanzara rimprovera in


sogno un pastore di averla uccisa.
Ciris (=uccelli marino): altro poemetto in esametri in cui si parla di Scilla ch,
per aver tradito il padre, viene trasformata in uccello marino.
Moretum (=focaccia piccante con aglio): poemetto in esametri, in cui un
contadino si prepara una salsa piccante per la colazione. Questo poemetto è
veramente degno di Virgilio, e molti tendono a ritenerlo autentico.
Copa (=ostessa): pochi distici elegiaci, in cui un'ostessa invita i passanti a
entrare nella sua osteria.
Catàleptona (=poesie alla spicciolata, ritagli): si tratta di alcuni epigrammi, di
cui tre sono iscrizioni per le statue del dio Priapo, guardiano degli orti; e gli
altri appaiono composti per circostanze varie.
Tra le opere pseudo virgiliane ricordiamo anche i poemetti Dictynna e Lydia,
che più probabilmente appartengono a Valerio Catone; e il poemetto Aetna,
che con ogni probabilità appartiene a un tale Lucilio, detto minor.

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