Di ordine equestre, nato a Volterra nel 34 e morto a 28 anni in una sua villa a La Spezia,
probabilmente di una malattia allo stomaco.
Ci sono pervenuti del suo corpus letterario:
6 satire: in cui stigmatizza i costumi della società romana dell'epoca, tra i quali:
la consuetudine delle declamationes (esecuzioni pubbliche in cui si faceva sfoggio
della propria conoscenza letteraria),
l'immoralità dei religiosi,
la superficialità degli affari pubblici.
Sono in forma dialogica o epistolare
A differenza di Orazio, Persio risulta lontano dal lettore, non si rivolge ad una cerchia di
amici, ma ad un pubblico generico, si atteggia a censore, rifiuta i toni
dell'ammaestramento amichevole e comprensivo e assume spesso quelli dell'invettiva.
Marziale
Di Marziale sappiamo, dalla lettura delle sue opere, che nacque a Bilbilis in Spagna e che
fu contemporaneo di Seneca, anche se più giovane rispetto a lui. A Roma fece la vita
del “cliens”, ed esordì verso l'80, in occasione dei giochi inaugurali dell'Anfiteatro Flavio,
quando Marziale pubblicò il primo libro di epigrammi detto Liber de spectaculis (sugli
spettacoli del Colosseo) che gli procurò il favore di Tito, poi confermato da Domiziano.
Qualche anno dopo scrisse gli "Xenia" (doni per gli ospiti) e gli Apophoreta (doni da
portar via alla fine del banchetto)
Caduto in disgrazia sotto Nerva e Traiano e poco incline al clima austero venutosi a creare
durante il loro governo, si ritirò a Bilbilis dove sposò una ricca vedova e visse gli ultimi anni
nell'agiatezza.
Di Marziale ci sono pervenuti quindici libri di epigrammi. I libri sono preceduti da una
prefazione in prosa che ha la funzione di fornire al lettore elementi sulla composizione
dell'opera.
Dappertutto, nella sua opera, l'autore è presente in prima persona ed è sempre possibile
scorgere la sua personalità. Ciò che risalta spesso è la sua insofferenza verso la vita da
cliente, che vive come una vera e propria mortificazione, che contrasta fortemente con le
aspirazioni e i sogni della sua vita. Ciò che prevale, comunque, è l'aspetto comico-
satirico, spesso reso dal fulmen in clausula, o in cauda stat
venenum (in italiano stoccata finale), ovvero la tendenza a concentrare gli elementi
comici e pungenti nella chiusa dei componimenti, terminati con una battuta
inaspettata
Tale tecnica è si realizza attraverso:
• una frase ad effetto
• una iperbole
• un paradosso
• una rivelazione finale
Marziale dimostra di riuscire sempre a cogliere la comicità che si annida nelle situazioni
reali, specie nei vizi e nei difetti umani. Nei suoi versi ci sono molti tipi umani: dal pervertito
al finto ricco, dalla lussuriosa all'ubriacona e così via.
Non mancano però esempi di elevata delicatezza e lirismo: è il caso della poesia funebre
(non molto frequente) che ci permette di scoprire un Marziale insolitamente delicato e
raffinato (è il caso dell'epigramma dedicato a Erotion, una bimba morta a sei anni, per la
quale il poeta chiede alla terra di non gravare sul suo piccolo corpo, giacché lei non l'ha
fatto su di essa). Di grande originalità si rivelano i componimenti caratterizzati dalla
commistione di elementi di comicità a motivi funebri.
Con Marziale si ha l'affermazione dell'epigramma come strumento letterario: prima di
lui l'epigramma, risalente all'età greca arcaica, aveva una funzione essenzialmente
commemorativa e veniva usato per ricordare positivamente una cosa o una persona (ed
infatti la parola "epigramma" deriva dal greco e significa "iscrizione"); grazie alla sua opera
invece esso, pur conservando la sua brevità, si occupa di nuovi temi quali la parodia, la
satira, la politica e l'erotismo.
Dal punto di vista stilistico egli contrappone la mobilità dell'epigramma sia al genere epico,
sia alla tragedia greca, che con i loro temi illustri e "pesanti" si tenevano lontani dalla realtà
quotidiana. Costante è infatti nei suoi versi la polemica letteraria, spesso usata per
difendersi da chi considerava il genere epigrammatico di scarso valore artistico, ma anche
da coloro che gli rimproveravano di essere aggressivo o osceno.
La lingua da lui usata risulta colloquiale e quotidiana. Il suo costante realismo gli permette
però di sviluppare un linguaggio ricco facendo passare nella letteratura molti termini e
locuzioni che non avevano mai trovato posto prima. Riesce, infine, a dimostrare grande
duttilità nell'alternare frasi eleganti e ricercate a frasi sconce e spesso vernacolari.
Giovenale
VITA
Le notizie sulla sua vita sono poche e incerte, ricavabili dai rari cenni autobiografici
presenti nelle sue sedici Satire scritte in esametri giunte fino ad oggi e da alcuni
epigrammi a lui dedicati dall'amico Marziale.
Giovenale nacque ad Aquino, nel Lazio meridionale, da una famiglia benestante che gli
permise di ricevere una buona educazione retorica. Visse soprattutto all'ombra di uomini
potenti, nella scomoda posizione di “cliens”, privo di libertà politica e di autonomia
economica: è probabilmente questa la causa del pessimismo che pervade le sue satire e
dell'eterno rimpianto dei tempi antichi.
Scrisse fino all'avvento dell'imperatore Adriano e non si sa con certezza la data della sua
morte, sicuramente posteriore al 127, ultimo termine cronologico ricavabile dai suoi
componimenti.
Ideologia e pensiero
L'intento moralistico (cosi come in Persio) è una delle componenti più importanti della
poetica di Giovenale, così come l'astio sociale. Inoltre Giovenale considerò la
letteratura mitologica ridicola in quanto troppo lontana dal clima morale corrotto in cui
viveva la società romana del suo tempo La differenza principale rispetto a Persio sta nel
fatto che Giovenale non crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli
uomini perché, a suo dire, l'immoralità e la corruzione sono insite nell'animo umano
( atteggiamento che si concretizza in un primo mento nella indignatio, mentre nelle satire
più tarde prevale la disillusione).
Egli pensa inoltre che nella Roma del suo tempo non ci siano più le condizioni sociali che
possano portare alla ribalta grandi letterati come Virgilio ed Orazio nel
periodo augusteo perché il poeta è ormai bistrattato e spesso vive in condizioni di estrema
povertà. Giovenale fu un idealizzatore del passato, ovvero quel buon tempo in cui il
governo era caratterizzato da una sana moralità "agricola".
Bersaglio privilegiato delle satire di Giovenale sono le donne (misoginia), in special modo
quelle emancipate e libere tra le matrone romane, che per il loro disinvolto muoversi nella
vita sociale personificano agli occhi del poeta lo scempio stesso del pudore.
Quelli che egli considerava i vizi e le immoralità dell'universo femminile gli ispireranno
la satira VI, la più lunga, che rappresenta uno dei più feroci documenti di misoginismo di
tutti i tempi, dove campeggia la cupa grandezza di Messalina, definita Augusta
meretrix ovvero "prostituta imperiale". Messalina viene presentata appunto come un'entità
dalla doppia vita: non appena suo marito Claudio si addormenta, ne approfitta per
prostituirsi in un lupanare fino all'alba, "lassata viris necdum satiata" (stanca degli uomini,
ma non soddisfatta)
Altro comune bersaglio di Giovenale fu l'omosessualità (omofobia). Giovenale
contrappone sempre l'omosessuale molle, urbano e sur-raffinato al ruvido e pio contadino
repubblicano, in cui si concentrano per contrasto tutte le qualità di una civiltà guerriera
gloriosa e perduta.