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L’esposizione del Werkbund del 1914

 La prima importante uscita internazionale del Werkbund e fissata per il luglio 1914 a Colonia e programmata
sin dal 1911, subito dopo il successo della mostra del 1910 sul cemento, cui si era recato anche il giovane Le
Corbusier di passaggio per la Germania.
 Tra i numerosi architetti invitati a realizzare opere dimostrative per gli oltre 100 padiglioni, vi sono Peter
Behrens, Alfred Fisker, Henry van de Velde, Bruno Taut e Walter Gropius. Emergono non poche divergenze, di
temperamento e cultura. Soprattutto tra conservatori e innovatori.
 Lo capiamo dalla chiusura dell’esposizione alle avanguardie cubiste e futuriste la cui presenza viene giudicata
dannosa e dalla caotica diversita degli stili dei padiglioni: moderni, romantici, neobarocchi, classicisti,
biedermeier…
 e linee direttrici per il futuro del Werkbund: priorita per forme standardizzate e tipizzate, lavoro di gruppo,
produzione di massa, sospetto per la ricerca artistica e per il suo desiderio d’inventare forme nuove, invito a
perfezionare quelle esistenti, rifiuto dell’imitazione degli stili del passato.

Werkbund : van de Velde, Gropius e Taut

partecipano all’esposizione rispettivamente con un teatro, una fabbrica e un padiglione. Le


tre opere, nonostante nessuna sia un capolavoro, mettono sul tappeto numerosi temi di
riflessione per la successiva ricerca figurativa. Tra questi: la dinamica del volume, la
scomposizione per piani, la trasparenza.

La fabbrica con uffici di Gropius e Meyer

combina suggestioni di varia natura. Piani a sbalzo ripresi dal lessico wrightiano, elementi
stereometrici behrensiani e un’originale ricerca in direzione della leggerezza e della
capacita di smaterializzazione del vetro. E un pasticcio stilistico, di temi ancora
giustapposti, la cui fertilita si rivelera solo nei lavori successivi e in particolare nell’edificio
del Bauhaus del 1923.

padiglione del vetro di Bruno Taut.

 Del tutto inconsueto, per voglia assoluta di trasparenza, e il padiglione del vetro di Bruno Taut. Abbiamo gia
notato come vi siano strette attinenze tra la poetica dell’architetto tedesco e la Glasarchitektur di Paul
Scheerbart. Nel padiglione il richiamo e esplicito e frasi del poeta si intervallano ai partiti architettonici: “La
luce vuole il cristallo”, “Il vetro porta con se una nuova epoca”, “Siamo rattristati dalla cultura del mattone”,
“Il vetro colorato elimina l’odio”, “L’edificio di mattoni ci danneggia”. Il padiglione, pero, non e privo di
retorica monumentale ed e di scarso interesse volumetrico: una cupola a forma di semilimone, vagamente
goticizzante, con all’interno i gradoni delle scale rigorosamente assiali e simmetrici.
PARC GUELL E SAGRATA FAMILIA

Arcaici sino al paradosso, i giardini del parco Guell


(1900-1914) e la chiesa della Sagrada Famiglia
(iniziata nel 1883, ma la cui costruzione e ancora
in corso, come in un immenso cantiere
medioevale) oscillano tra la dimensione ctonia e
quella celeste. Esasperanti, eccessivi, certo fuori
misura, i due complessi hanno a robustezza del
dorico e la leggerezza del gotico.

PERRET

 Nel 1906 Perret abbandona il rivestimento e sperimenta nel garage al 51 di rue de Ponthieu a Parigi la
struttura in cemento armato lasciata a faccia vista. E al ritmo delle travi e dei pilastri che e lasciato ogni
intento formale. Da qui un alternarsi nei prospetti di campiture piccole e grandi, in una composizione che
vagamente assomiglia a un quadro astratto.

Nasce l’avanguardia:
intesa come una continua ricerca che mette costantemente in discussione ciò che e'
acquisito.
Dalla distruzione degli stili e dell’arte ottocentesca sino alla completa distruzione della
forma, anche oltre l’astrazione.
È impossibile capire l’arte della prima parte del Novecento al di fuori di una così forte
tensione mistica, di una così profonda fede laica.
Kandinskij parla di spiritualità;
Malevicˇ idealmente sostituisce un quadrato nero su fondo nero a un’icona religiosa
- Mondrian fa coincidere forme astratte e teosofia;
- Klee sonda un mondo sospeso tra i valori dello spirito e
quelli della fantasia.
Il manifesto L’architettura futurista, stilato da Antonio Sant’Elia, è pubblicato il 1° Sono parole
anticipatrici, se consideriamo che ancora nel 1914 l’Europa è incapace – come mostra l’esposizione del
Werkbund di Colonia di declinare con sicurezza un nuovo lessico architettonico:
“Gli ascensori non debbono rincanttucciarsi come vermi solitari nei vani delle scale; ma le scale,
divenute inutili, devono essere abolite e gli ascensori devono inerpicarsi, come serpenti di ferro e di
vetro, lungo le facciate. La casa di cemento, di vetro, di ferro senza pittura e senza scultura, ricca
soltanto della bellezza congenita alle sue linee e ai suoi rilievi, straordinariamente brutta nella sua
meccanica semplicità, alta e larga quanto più è necessario, e non quanto è prescritto dalla legge
municipale, deve sorgere sull’orlo di un abisso tumultuante: la strada la quale non si stenderà più come
un soppedaneo al livello delle portinerie, ma si sprofonderà nella terra per parecchi piani, che
accoglieranno il traffico metropolitano e saranno congiunte, per i transiti necessari, da passerelle
metalliche e da velocissimi tapis roulants.”
- Dell’opera di Sant’Elia, così fugace, rimangono solo disegni e progetti per “inventare e rifabbricare la
città futurista simile a un immenso cantiere tumultuante e la casa futurista simile a una macchina
gigantesca”.
- nei disegni compaiono, insieme a notevoli anticipazioni, anche residui della cultura simbolista e
decadente del periodo. Troppo poco per dare vita a un’architettura futurista.

EXPO: I BOCCIATI

 L’Expo di Parigi, programmato sin dal 1912 per il 1915, spostato al 1925 a causa dello scoppio della prima
guerra mondiale, e la vetrina di questo gusto, esasperato ed estremizzato. Ventuno gli stati presenti. Il
padiglione italiano, disegnato da Armando Brasini, spicca per bruttezza. Deludenti anche i padiglioni disegnati
da Horta, la cui produzione sta regredendo verso un vuoto e pomposo accademismo, e da Josef Hoffmann,
elegante come sempre, ma snervato in un estetismo di modanature ingigantite alla scala dell’edificio, che i
critici dell’epoca definiscono una conversione al barocco italiano.

EXPO: I PROMOSSI
 Si salvano il padiglione danese progettato da Kay Fisker, ritmato da corsi di mattoni rossi intervallati da fasce
di cemento, il padiglione polacco, che colpisce piu per la sua sognante bizzarria che per il valore
architettonico, e il sobrio padiglione neoclassico della Richard-Ginori, disegnato da un trentaquattrenne
promettente: Gio Ponti. Abbondano tempietti e mausolei. Il padiglione olandese disegnato da Jan Frederik
Staal fa pensare agli edifici di culto orientali.
 Sono i sovietici, con il padiglione di Konstantin Mel’nikov, gli unici a puntare su un’architettura decisamente
contemporanea.

EXPO: I SOVIETICI

 Il padiglione realizzato e il risultato di una snervante opera di revisione, per stare nei tempi e nei costi, che
porterà una notevole semplificazione del progetto iniziale, impostato su generatrici curve. Le revisioni,
tuttavia, non nuociono all’architettura. Nella versione definitiva il padiglione è un corpo di fabbrica prismatico
tagliato in diagonale da una scala. I due triangoli hanno coperture con inclinazioni opposte raccordate da
pannelli inclinati e incrociati che fungono da copertura alla scala stessa. Una torre, realizzata con un traliccio
reticolare, posta su un lato della scala, funge da richiamo visivo. La costruzione, per motivi di economia, e
interamente in legno. Il colore rosso fiammante. Lo stile costruttivista. Josef Hoffmann lo definisce il migliore
edificio dell’esposizione. Mostrano interesse Perret e Mallet-Stevens. Le Corbusier lo apprezza tanto da
familiarizzare con Mel’nikov, scarrozzandolo per Parigi. Non mancano ovviamente i giudizi negativi dei
tradizionalisti.

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