Sei sulla pagina 1di 8

IL CORPO COME COSTRUZIONE BIO-SOCIO-CULTURALE (SENZA DIMENTICARE IL

BIO)

LEZIONE 02 del 6 ottobre 2021.

Lo scopo di questa lezione è stato duplice:

1. dimostrare che la cultura non è un accidente o una conseguenza della nostra umanità,
ma ne è invece l'ingrediente più vistoso, fin dentro la forma fisica.

2. Secondariamente, la lezione ha anche la funzione di farci riflettere sulle costrizioni che


ciò comporta sull'identità, che non è una "libera scelta" ma la risultante di questo sistema di
de-limitazioni e costruzioni del nostro essere tra "indole" e "ambiente", in una circolarità
costante. I gusti sono in un certo senso co-costruiti in un’interazione costante tra noi e il
nostro ambiente. La nostra identità, chi sono io, chi siamo noi, a livello individuale quindi e
ancor più a livello collettivo, non sono scelte libere.

Un effetto immediato della coscienza di avere una coscienza è il dramma della riflessività,
come racconta l'apologo del millepiedi e della formica: la consapevolezza della propria
coscienza produce un nuovo campo del reale, che dobbiamo chiamare simbolico, un
campo attraverso cui gli umani hanno imparato a connettere qualunque cosa con
qualunque altra cosa. La coscienza della coscienza ha un punto centrale che è la forza e la
debolezza di questa coscienza della coscienza. La forza perché tu puoi provare a pianificare
le tue azioni, la fragilità è perché la pianificazioni di queste azioni avviene sempre dentro un
soggetto che può iniziare a dubitare.

L’antropologia è una sorta di vita ordinaria in condizioni esageratamente consapevoli di sé.

La consapevolezza della propria coscienza quindi produce un nuovo campo del reale, cioè
rispetto ad un cane o un delfino o una scimmia, il mondo è effettivamente diverso. Per loro si
tratta in gran parte di un presente ricordato. La metafora è quella di entrare in una stanza
completamente buia con una torcia e non hai il quadro della stanza, hai la luce solo in quel
punto, se sposti la luce c’è un’altra cosa ma l’altra è andata. Invece con questa capacità di
essere coscienti di essere coscienti, è come se la stanza intera si illumini. Diventa un altro
spazio. Cos’è che la illumina? Un campo che chiamiamo simbolico per ora, un campo
attraverso cui gli umani hanno imparato a connettere qualunque cosa potenzialmente con
qualunque altra: il simbolico è questa disposizione umana che dipende da questo feedback
neuronale. Alcuni neuroni che si attivano insieme attivano delle retroazioni che rinforzano
quella funzione specifica del gruppo neuronale, questo produce la coscienza e, ad un certo
punto, produce la coscienza della coscienza, che funziona come capacità di
interconnessione dentro quella stanza, ora illuminata, di qualunque cosa con qualunque
altra. I collegamenti sono letteralmente infiniti perché gli stimoli sono infiniti e allora la cultura
è quel meccanismo che ci seleziona quali sono quei meccanismi significativi., ci insegna,
dentro questo caos della percezione, quali sono i collegamenti che vale la pena
memorizzare, elaborare cognitivamente, verso cui sentire un legame affettivamente forte o
anche di repulsione.

Quindi, gli esseri umani non solo sono coscienti, non solo sono coscienti di esserlo, ma sono
consapevoli di questa coscienza della coscienza, e ne parlano da sempre. Il mito di
Prometeo e Epimeteo raccontato nel Protagora di Platone (che noi abbiamo letto nella
sintesi che ne ha dato DAN SPERBER nel suo Il sapere degli antropologi) è proprio una
riflessione su questa incompletezza costitutiva della nostra specie, che ha bisogno di
risposte extrasomatiche per completarsi.

Ma questa costruzione della propria identità non è solo nel corpo come materia inerte, lo è
anche nel corpo come sistema di funzioni e schemi di azione, come ci ha raccontato
MARCEL MAUSS con "Le tecniche del corpo" e i suoi esempi.

Abbiamo proseguito accennando quanto questa costruzione del corpo da parte della cultura
tocchi certamente anche le differenze di genere, ma ho chiarito che il tema è davvero
troppo complesso per pensare di poterlo elaborare di passaggio.

Quanto questa costruzione "fisica" della cultura sia misurabile è chiaro da un articolo
scientifico del 2000, in cui è stato misurato l'ippocampo di un gruppo di tassisti londinesi
confrontato con l'ippocampo di un gruppo di persone che non guidano. Quello dei tassisti
nella sua parte posteriore è mediamente più spesso in misura significativa dell'ippocampo
dei non-tassisti, e questo dato è così letto dagli autori dell'articolo: "Sembra che ci sia una
variazione plastica locale nella struttura del cervello umano adulto sano in risposta
agli stimoli ambientali". Niente male come interazione tra corpo e ambiente, no?

Per esemplificare ulteriormente questa capacità del corpo di "fare sua" la conoscenza
appresa, vale a dire la cultura, abbiamo letto un passaggio dal libro Pensare come un
antropologo, di MATTHEW ENGELKE, in cui un malinteso sul senso della parola "cricket"
diventa una rappresentazione plastica del riflesso del vomito.

Abbiamo aggiunto un aspetto interessante sempre in questa direzione: che cioè il senso del
disgusto che abbiamo elaborato molto prima di diventare umani, per difenderci dal pericolo
di ingerire qualcosa di intossicante o altrimenti pericoloso, è stato dirottato in senso
morale (quel personaggio mi fa schifo, questa azione è veramente perversa e mi dà la
nausea) ma è sollecitata dalla stessa zona cerebrale (la corteccia insulare, non me lo
ricordavo a lezione, ma questo lo racconta ROBERT SAPOLSKY con la sua usuale
maestria; nel video linkato spiega poi come questa connessione tra disgusto fisico e
disapprovazione morale si ripercuota nel nostro giudizio del mondo, traendone inferenze
errate come questa, che possono avere conseguenze politiche enormi: se una cosa mi
ripugna, dev’essere moralmente sbagliata).

Questo fatto, che cioè il nostro sapere culturale si inscrive nel corpo mutandolo, è al centro
dell'articolo di CLIFFORD GEERTZ che costituisce con EDELMAN la lettura di riferimento di
queste prime due lezioni, vale a dire "L'impatto del concetto di cultura sul concetto di
uomo", ma non abbiamo avuto il modo di parlarne veramente in questa lezione, e lo
riprenderemo alla prossima.

Per concludere, ci siamo posti una domanda retorica: ma allora, se il sapere appreso (la
cultura) agisce in profondità nella Psiche e nel Soma degli umani, che differenza c'è con il
sapere innato, che invece prevale comunque negli animali? C'è davvero una differenza
nella loro natura costitutiva, tra questi due tipi di sapere, oppure, visto che l'effetto è
sempre quello di far interagire funzionalmente il corpo adattivamente con il suo ambiente,
possiamo disinteressarci della genesi (naturale o culturale, rispettivamente) di questo
sapere e trattare il tutto come un sistema adattivo?

Ecco, abbiamo concluso la lezione proprio tornando un poco sui nostri passi: se pure gli
animali hanno cultura, se pure gli umani hanno istinti e riflessi condizionati, tra sapere
acquisito prevalentemente per trasmissione genetica (come quello delle api, che sanno
comunicare informazioni molto complesse con le compagne) e sapere culturale (come
quello di una banda di cacciatori di conigli) vi è una differenza enorme per quanto riguarda la
flessibilità e fragilità: il sapere culturale è molto più flessibile (può adattarsi più
rapidamente) del sapere trasmesso geneticamente, ma è anche molto più fragile nel suo
mantenimento perché ha bisogno di costante manutenzione per essere trasmesso. Venerdì
ripartiamo da qui.

Appunti lezione 2°

Lo scopo di questa lezione è duplice: da un lato la cultura non è una conseguenza della
nostra umanità, ma ne è l’ingrediente più vistoso, fin dentro la forma fisica di ciascuno di noi.
Secondo punto, l’identità, non è una scelta libera autonoma del soggetto o del gruppo. I
gusti sono in un certo senso co-costruiti in un’interazione costante tra noi e il nostro
ambiente. La nostra identità, chi sono io, chi siamo noi, a livello individuale quindi e ancor
più a livello collettivo, non sono scelte libere.
Siccome oggi prevale questa concezione che ognuno possa liberamente scegliere di essere
quello che vuole essere, l’antropologia culturale ci porta un sacco di elementi per dire che
così esattamente non è, siamo molto meno liberi di quanto potremmo pensare.
L’altra volta parlavamo di come questo livello ulteriore di coscienza di cui parla Edelman sia
una peculiarità veramente riconoscibilmente umana, alcune scimmie hanno dei barlumi di
essere coscienti. L’avere cultura è una cosa che ci unisce a moltissimi altri animali. Cultura
come sapere appreso e trasmissibile e la cultura ci precede, come specie, probabilmente da
un milione di anni, cioè esisteva la cultura un milione di anni prima che comparisse l’Homo
sapiens sapiens. La cultura come sapere appreso, non innato e poi trasmesso ci precede da
almeno un milione di anni, non solo perché gli ominidi ne erano portatori ma anche perché
abbiamo visto altre specie come gli orsi, che sono in grado di trasmettere questa cultura.
Questo significa agire con i comportamenti affinché il tuo patrimonio genetico abbia più
possibilità di trasmettersi. La coscienza della coscienza ha un punto centrale che è la forza e
la debolezza di questa coscienza della coscienza. La forza perché tu puoi provare a
pianificare le tue azioni, la fragilità è perché la pianificazioni di queste azioni avviene sempre
dentro un soggetto che può iniziare a dubitare.
(Esempio: c’è un millepiedi che se ne va nel suo ramo e ad un certo punto vede che sul
ramo a fianco c’è una formica con gli occhi a palla che lo guarda. Così lui dice tra sé: cosa
c’è?
Come cosa c’è dice la formica, cosa fai? Come fai a muovere così armonicamente tutte
quelle zampette così senza inciampare? E lui risponde: lo faccio e basta.
Il giorno dopo si incontrano di nuovo, il bruco sta su un angoletto, passa la formica e il bruco
le dice: ma lo sai che mi hai proprio rovinato la giornata ieri? Io non avevo mai pensato a
questa cosa, ma da quando tu m’hai detto come fai, io ho cominciato ad inciampare, ho
cominciato a pensare anche io come faccio, prima non avevo bisogno di pensarci.)

Ecco questo se vogliamo è la cultura. Continuamente domandarsi, osservarsi, la coscienza


della coscienza appunto che è una condizione difficile da sostenere perché è sempre stare
in bilico tra la scioltezza della coscienza e l’impaccio della coscienza della coscienza. Non
significa che non siano stati appresi quei modelli di azione, ma se lo fai spontaneamente lo
vivi subconsciamente, inconsciamente, cioè viviamo senza pensarci.
Quella formica è il tarlo dell’umanità che tutto il tempo ti dice: ma come la fai sta cosa? Ci
hai mai pensato? E questo è tipicamente umano e l’antropologia è una specie di
sistematizzazione. di questo modo di pensare che se ne va in giro per il mondo a seguire le
stranezze, le usanze dei popoli primitivi, arretrati etc...ma poi non c’è niente da fare, la
formica, una volta che si è chiesta come fa il bruco a muoversi, inevitabilmente il tarlo se lo è
portato a casa. Il confronto con l’altro, il riconoscere che c’è qualcosa che non capisco
nell’altro e il mio sforzo di capirlo diventa retroattivamente, proprio perché siamo animali
coscienti di essere coscienti, non c’è soltanto io guardo, ma io mi guardo guardare.
L’antropologia è una sorta di vita ordinaria in condizioni esageratamente consapevoli di sé.
La consapevolezza della propria coscienza quindi produce un nuovo campo del reale, cioè
rispetto ad un cane o un delfino o una scimmia, il mondo è effettivamente diverso. Per loro si
tratta in gran parte di un presente ricordato. La metafora è quella di entrare in una stanza
completamente buia con una torcia e non hai il quadro, hai la luce solo in quel punto, se
sposti la luce c’è un’altra cosa ma l’altra è andata. Invece con questa capacità di essere
coscienti di essere coscienti, è come se la stanza intera si illumini. Diventa un altro spazio.
Cos’è che la illumina? Un campo che chiamiamo simbolico per ora, un campo attraverso cui
gli umani hanno imparato a connettere qualunque cosa potenzialmente con qualunque altra:
il simbolico è questa disposizione umana che dipende da questo feedback neuronale. Alcuni
neuroni che si attivano insieme attivano delle retroazioni che rinforzano quella funzione
specifica del gruppo neuronale, questo produce la coscienza e, ad un certo punto, produce
la coscienza della coscienza, che funziona come capacità di interconnessione dentro quella
stanza, ora illuminata, di qualunque cosa con qualunque altra. Noi non connettiamo
qualunque cosa con qualunque altra, perché sarebbe il delirio, noi impariamo dalle altre
persone, esattamente come quegli scimpanzè, quali sono le connessioni importanti. I
collegamenti sono letteralmente infiniti perché gli stimoli sono infiniti e allora la cultura è quel
meccanismo che ci seleziona quali sono quei meccanismi significativi., ci insegna, dentro
questo caos della percezione, quali sono i collegamenti che vale la pena memorizzare,
elaborare cognitivamente, verso cui sentire un legame affettivamente forte o anche di
repulsione. Certo che ci sono dei collegamenti di base che facevamo prima di essere umani,
è probabile che il serpente fosse nell'immaginario ominide associato al pericolo. La cultura è
avere pochi strumenti, tantissimi ingredienti e decidere che cosa fare. Gli esseri umani
hanno da sempre riflettuto su questa cosa: su questa straordinaria capacità di crearsi le
strutture portanti del loro mondo e l'hanno raccontato in tanti modi diversi. Ne leggiamo uno
tratto dal libro: “Il sapere degli antropologi, 1982.”
“Il sofista Protagora pretendeva formare buoni cittadini. Socrate e Beltemora. La cultura può
essere veramente insegnata? Oggi si chiederebbe: è acquisita o innata? Protagora risponde
con una favola: quando gli dei ebbero plasmato le specie mortali, incaricarono Prometeo
(significa colui che ci pensa prima) e Epimeteo (potremmo dire lo sbadato, il cialtrone) di
ripartire tra quelle tutte le qualità desiderabili. Fu Epimeteo che eseguì quella ripartizione,
fornì ad ogni specie i mezzi per assicurarsi la sopravvivenza: ad alcuni la forza, ad altri la
velocità, alle une unghie e corna, alle altre ali per fuggire (..) Assegnò ad ogni specie un cibo
diverso, rese carnivore certe specie e fece sì che le loro prede fossero molto feconde.
Ahimé Epimeteo, il nome stesso ne evoca l’imprevidenza, si dimenticò della specie umana.
Prometeo, arrivato troppo tardi, vide che a tutti gli animali si era provveduto mentre l’uomo
restava nudo e indifeso. Come ultima risorsa Prometeo rubò agli dei il fuoco e le
conoscenze tecniche per farne dono agli uomini. Gli uomini allora resero onore agli dei,
acquisirono l’uso della parola e impararono a costruire case, fare vestiti e coltivare la terra
(...)”.
Questo è il mito. Gli antichi greci avevano riflettuto su questa incompletezza costitutiva
dell’umano di cui abbiamo già parlato, questa mancanza di dotazione naturale che è
effettivamente notevole a cui gli umani rispondono con la varietà delle soluzioni culturali.
Non c’è una risposta umana, non c’è un modo esclusivamente umano o specificamente
umano di rispondere. La specificità dell’umano se vogliamo è proprio questa di trovare
soluzioni extra somatiche (fuori dal proprio corpo) per il proprio bisogno.
Questa incompletezza e plasmabilità dell’umano prende forme curiose (stiamo sempre
parlando di sapere culturale appreso) e le forme curiose a volte facciamo fatica a
riconoscerle perché sono facilmente naturalizzate, facilmente date per scontate.
C’è un libro di Mauss che si chiama “Le tecniche del corpo” e ci sono delle teorie molto
divertenti. Ad esempio racconta che dopo la prima guerra mondiale si era accorto che le
infermiere e le donne in Francia si muovevano tendendo a muovere di più i fianchi rispetto a
quello che lui era abituato a vedere. E si era reso conto che questo dipendeva
dall’immaginario di Hollywood che stava arrivando in quegli anni, stava proponendo un’idea
di movimento femminile diverso da quello a cui erano abituati i cittadini francesi e per
imitazione l’ancheggiare era più evidente. Sono tecniche del corpo non innate ma apprese.
La disposizione umana è innata ma questa disposizione deve essere attivata culturalmente,
socialmente dall’ambiente. Il bambino impara a camminare, vuol dire che ha le potenzialità
per farlo ma deve avere un gruppo che lo aiuta. Quindi la più ovvia delle cose è che siamo
animali sociali per imparare ad essere banalmente umani, per camminare su due zampe, o il
linguaggio.
Mauss ci spiega come c’è una cosa curiosa che ci fa imparare cose anche nel corpo.
Ridere ad esempio di sicuro è una qualità umana, ma non si può ridere senza mettere quel
tipo di azione dentro un contenitore culturale in cui impari come si ride, la forma. Lo stesso
vale per piangere. L’espressione dei sentimenti quindi, come si soffre, come si esprime la
rabbia etc è culturalmente appreso.
La questione della costruzione del genere: maschi e femmine. Non ci sono società umane in
cui non esista questa distinzione tra maschi e femmine. Ci sono tante società umane in cui
non è ‘unica differenza, o posizioni intermedie, estreme di quà o estreme di là etc..
Dobbiamo ricordarci che questa costruzione avviene sui nostri corpi (ritornando al secondo
punto della lezione che dice che l’identità non è una libera scelta. Molte persone tendono a
vivere il loro genere come un’imposizione, una stereotipizzazione, quindi è importante capire
che il nostro margine di libertà è più ampio di quello che vorrebbe un’ampia parte di società
conservatrice, ma comunque non è così ampio da consentirci di sentirci qualunque cosa
indipendentemente dal modo in cui gli altri ci categorizzano. Come ci sentiamo
(identificazione) e come gli altri ci vedono (categorizzazione). Bisogna sempre tenere a
mente queste due definizioni.
Un’altra cosa importante è la dimensione incorporata di questo sapere. Questo sapere
appreso diventa corporeo e non è una metafora. I tassisti londinesi, per prendere la licenza
di tassista, devono passare un esame che si chiama “The knowledge - la conoscenza”. Il
tassista sale nel tassì e prende una qualunque via del centro e deve portare l’esaminatore
senza gps a quell’indirizzo, seguendo la strada migliore. Ci vogliono anni di studio. Queste
informazioni sono memorizzate nella parte posteriore dell’ippocampo. Hanno misurato con la
risonanza magnetica strutturale, lo spessore effettivo dell’ippocampo posteriore e anteriore
in tassisti e persone che non guidavano l’auto. Si è visto che sistematicamente i tassisti
hanno l’ippocampo posteriore più spesso delle persone che non guidano e l’ippocampo
anteriore più sottile delle persone che non guidano.
L’articolo, pubblicato nel 2000, nella parte finale dice: questi dati sono in accordo con l’idea
che l’ippocampo superiore memorizza una rappresentazione spaziale dell’ambiente e può
espandersi regionalmente per ospitare l’elaborazione di questa rappresentazione nelle
persone con una forte dipendenza dall’abilità di navigazione. Sembra che ci sia una capacità
di variazione plastica locale nella struttura del cervello umano adulto sano in risposta alle
richieste ambientali.
Il cervello di un adulto sano subisce delle modificazioni misurabili in risposta alle richieste o
stimoli ambientali. Questo fa piazza pulita di qualunque concezione soggettivistica
dell’identità. In risposta alle stimolazioni ambientali, addirittura cambia la forma del cervello.
Nel momento in cui studi “The knowledge” diventi un’altra persona fisicamente. Non siamo
plasmabili soltanto perché cambiamo idea, ci cambia il corpo e questa interazione
l’antropologia l’ha studiata cento anni fa. Franz Boass laureato in fisica ha studiato gli
immigrati ebrei polacchi e siciliani calabresi che arrivavano a New York e ha studiato vuol
dire misurare i crani, la lunghezza delle ossa, misurare l’altezza, prendere misure quindi
antropometriche e ha scoperto una cosa sconvolgente: una stessa coppia che aveva dei figli
nati in Italia, quei figli avevano certe misure (altezza ad esempio), se la stessa coppia faceva
uno o più figli in America i fratelli biologici di questi bambini nati in Italia o Calabria o Sicilia,
erano molto diversi come misurazioni (cranio, altezza, peso) e la stessa cosa valeva per gli
ebrei polacchi. Boass dice che le razze non sono fisse e che non è vero che tu erediti queste
caratteristiche geneticamente e basta, tu erediti alcune disposizioni che poi nell’interazione
ambientale hanno un amplissimo rango di variazione. Quello che interessava a Boass non è
appunto dimostrare l’inesistenza delle razze però non negava l’esistenza di afroamericana,
anglosassoni, tedeschi in America. Riconosceva che queste differenze erano la risultante
della complessissima equazione e quelle variabili erano altissime e quelle genetiche non
erano le più importanti.
La plasticità del corpo umano è una cosa di cui dobbiamo assolutamente tener conto.
Un altro esempio lo fa Edelman: le mappe corticali della mano sinistra dei violinisti (lo
avevamo già accennato) che sono molto più estese della media. Il corpo non è soltanto
neuroni o cellule muscolari o cellule nervose, è anche riflessi, cioè attivazione di movimenti.
Una serie di comportamenti che sembrerebbero assolutamente spontanei. anche questi
riflessi possono avere una componente culturale fortissima.
Lettura del libro: “Pensare come un antropologo” di Matthew Engelke e racconta di lui
ventenne che va a fare un primo viaggio in Africa, in Zimbawe. Lui non parlava lingue locali
e non si trovava lì per fare ricerche professionali ma solo un’esperienza e finisce per
conoscere un ragazzo Philippe e parlano in inglese: “L’inglese di Philippe non era un
granché e il mio shona era persino peggiore, sicché le nostre conversazioni erano tutte
piuttosto basilari.” Se ne vanno in giro e ad un certo punto Philippe gli chiede se gli piaceva il
cricket, disse proprio così: Do you like play cricket? (sport molto importante in America e in
tutte le colonie britanniche) e lui risponde un po’ per cortesia: “Si mi piace”
“Come with me” lo porta verso casa sua e quando Philippe uscì non portava con sé una
mazza o una palla come si aspettava, bensì una ciotola di metallo contenente un grillo
(cricket) cioè un insetto appena fritto nell’olio. Philippe aveva un’enorme sorriso stampato
nel volto. Mi ero messo davvero in un bel pasticcio, avevo fatto un madornale errore di
categoria semantica. Gli usi legati all’ospitalità sono abbastanza comuni in tutto il mondo e
se mi fosse stato offerto quel grillo in una diversa situazione probabilmente non avrei avuto
difficoltà ad accettarlo. A quel punto tutto naturalmente acquistava senso,sapevo ad
esempio che i bruchi erano una leccornia locale quindi perché non i grilli, anzi, i grilli
occupano un posto ancora più alto nell’elenco delle prelibatezze perché sono estremamente
difficili da catturare. Quell’offerta voleva onorarmi. Mentre prendevo quella creatura e la
portavo alla bocca, mi si spalancò improvvisamente nella mente un anno e mezzo di corsi di
antropologia “il cibo è un costrutto culturale” Sapete che alcuni popoli mangiano carne di
cane, di cavallo e persino il cervello di scimmie. è una cosa che potete gestire. Tutto il
sapere che esiste nei libri tuttavia, non può annullare vent'anni di vita che rappresentano un
apprendimento di tipo diverso. Non appena misi in bocca il grillo cominciai a masticarlo (era
troppo grande per ingoiarlo intero) e lo inghiottì, il mio corpo ebbe una scossa. Il petto si
piegò all’interno e nel volgere di credo tre secondi il grillo, insieme alla mia colazione, risalì
dallo stomaco e si ritrovò di nuovo fuori.”
Questa è incorporazione della cultura. Un riflesso del vomito che, con tutto lo sforzo della
razionalizzazione, dell’istruzione formale ricevuta, lezioni sul cibo etc, se ne sbatte il tuo
corpo. Se tu hai associato il grillo, gli insetti, con disgusto, lì ti è partito un messaggio a
livello cerebrale che non puoi controllare razionalmente, hai naturalizzato il tuo istinto. La tua
costruzione culturale ti fa vivere istintivamente come repellente quell’associazione tra insetto
e cibo. Robert Sapolwsky spiega per esempio che quando una cosa ti fa moralmente schifo,
sappiamo che è attivata una parte nel cervello che controlla effettivamente la repulsione
olfattiva e gustativa. Quando mangiamo del cibo guasto, certi odori, attivano un meccanismo
di difesa e viene il vomito. Questo meccanismo ce l’abbiamo come tantissimi animali,
abbiamo un pattern di azioni prefissata, uno schema di azione. E tanti bambini quando
hanno il terrore del vomito credo lo abbiano perché non lo possono controllare.
è un meccanismo adattivo. Gli esseri umani con la loro azione simbolica riescono ad attivare
lo stesso meccanismo per situazioni di ordine morale. Alcune persone hanno esattamente
quel genere di nausea perché si attiva la stessa parte del cervello che si attiva quando senti
un odore nauseabondo. Questa è la funzione simbolica incorporata.
Noi non siamo animali simbolici perché colleghiamo le cose dentro il nostro corpo e ci sono
tremendamente reali per questo motivo. Se riuscissimo a incorporare il senso di disgusto dal
piano fisico a quello morale, applichiamo lo stesso modello biologico che abbiamo elaborato
per certe forme di disgusto fisico, lo applichiamo addirittura al disgusto morale.
Questo sapere appreso e incorporato produce gli stessi effetti che produce il sapere
genetico però mentre il sapere incorporato nei geni è già predisposto dalla nostra macchina
biologica, il sapere incorporato attraverso la cultura è incredibilmente veloce nei suoi
mutamenti e molto fragile nel suo mantenimento. Fragilità e flessibilità sono le due
caratteristiche fondamentali di questo sapere appreso.
Questo saper fare, anche pensare è saper fare (associare grillo con disgusto è un pensiero
che produce un effetto), se appreso cambia la sua forma rispetto al saper fare innato.
L’esempio è rimarcare la differenza tra umano e animale. Se vogliamo capire la specificità di
questo sapere appreso consapevole che chiamiamo cultura umana, dobbiamo cominciare a
ragionare un po’ sulla differenza. Immaginiamo un alveare spontaneo di api. Le api sono
molto organizzate per comunicare, quando trovano uno spazio ricco di polline tornano
all’alveare e fanno una danza molto specifica in cui sculettano e girano in senso orario, ri-
sculettano e girano in senso antiorario. Questa danza dà delle informazioni molto precise
alle altre api che osservano perché l’angolo fra il sole e l’angolo dice alle api dove devono
andare. La velocità dello sculettamento e quante volte questa danza viene ripetuta, è
l’informazione che viene trasmessa e questo è sapere innato.
Il margine di apprendimento delle api è molto basso. Nel momento in cui il contesto muta (ad
esempio spariscono i fiori), le api muoiono.
Mettiamo che il contesto, l’ambiente è mutato a che condizione noi torniamo lì fra un anno e
troviamo ancora le api? L’unico modo è che le api trovino un altro modo di raccogliere il
polline, dalla corteccia etc..Qual è il costo per la specie ape? Il mutamento di
comportamento, di azione, ha un limite oltre il quale devi rinunciare a te stesso.
Più il sapere è innato e più tende ad essere fisso, immobile.
Immaginiamoci invece un gruppo di umani che siano specializzati nella caccia al coniglio e il
loro ambiente è ricco di conigli. Lo sanno cucinare, ci sono dei rituali legati al coniglio etc..di
colpo una catastrofe ecologica porta a far scomparire i conigli. Se spariscono oggi i conigli,
che possibilità c’è che fra un anno voi tornate lì e quel gruppo c’è ancora?
Imparano a cacciare altre cose. Facciamo il confronto tra l’ape mutante e il cacciatore
“mutante”, qual è la differenza enorme? L’insegnamento! Cioè il fatto che questa mutazione
non passi per la gran parte attraverso il corpo, attraverso una mutazione di tipo genetico,
modifica radicalmente quel sapere. Perché una crisi ecologica dell’ambiente è terribile per il
sapere innato e è molto più gestibile per il sapere appreso.
Poi c’è la fragilità, perché una volta che le api si sono organizzate per una serie di mutazioni
genetiche, una volta che è successo, quelle vanno per inerzia. Una volta che gli umani
imparano a cacciare altro, poi lo devono insegnare ai propri figli. Ogni generazione riparte da
zero con il sapere appreso. Le culture sono strutture fragilissime perché hanno bisogno del
lavoro di cura della manutenzione educativa. Se non la educhi la nuova generazione speri
automaticamente che sia uguale a te, ma no! Non basta essere di una cultura x per
trasmettere una cultura x.
Riassumendo il corpo non è un accessorio, la cultura non si attacca così come una pellicola
ma entra dentro il corpo degli esseri umani che la praticano.

Potrebbero piacerti anche