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1. dimostrare che la cultura non è un accidente o una conseguenza della nostra umanità,
ma ne è invece l'ingrediente più vistoso, fin dentro la forma fisica.
Un effetto immediato della coscienza di avere una coscienza è il dramma della riflessività,
come racconta l'apologo del millepiedi e della formica: la consapevolezza della propria
coscienza produce un nuovo campo del reale, che dobbiamo chiamare simbolico, un
campo attraverso cui gli umani hanno imparato a connettere qualunque cosa con
qualunque altra cosa. La coscienza della coscienza ha un punto centrale che è la forza e la
debolezza di questa coscienza della coscienza. La forza perché tu puoi provare a pianificare
le tue azioni, la fragilità è perché la pianificazioni di queste azioni avviene sempre dentro un
soggetto che può iniziare a dubitare.
La consapevolezza della propria coscienza quindi produce un nuovo campo del reale, cioè
rispetto ad un cane o un delfino o una scimmia, il mondo è effettivamente diverso. Per loro si
tratta in gran parte di un presente ricordato. La metafora è quella di entrare in una stanza
completamente buia con una torcia e non hai il quadro della stanza, hai la luce solo in quel
punto, se sposti la luce c’è un’altra cosa ma l’altra è andata. Invece con questa capacità di
essere coscienti di essere coscienti, è come se la stanza intera si illumini. Diventa un altro
spazio. Cos’è che la illumina? Un campo che chiamiamo simbolico per ora, un campo
attraverso cui gli umani hanno imparato a connettere qualunque cosa potenzialmente con
qualunque altra: il simbolico è questa disposizione umana che dipende da questo feedback
neuronale. Alcuni neuroni che si attivano insieme attivano delle retroazioni che rinforzano
quella funzione specifica del gruppo neuronale, questo produce la coscienza e, ad un certo
punto, produce la coscienza della coscienza, che funziona come capacità di
interconnessione dentro quella stanza, ora illuminata, di qualunque cosa con qualunque
altra. I collegamenti sono letteralmente infiniti perché gli stimoli sono infiniti e allora la cultura
è quel meccanismo che ci seleziona quali sono quei meccanismi significativi., ci insegna,
dentro questo caos della percezione, quali sono i collegamenti che vale la pena
memorizzare, elaborare cognitivamente, verso cui sentire un legame affettivamente forte o
anche di repulsione.
Quindi, gli esseri umani non solo sono coscienti, non solo sono coscienti di esserlo, ma sono
consapevoli di questa coscienza della coscienza, e ne parlano da sempre. Il mito di
Prometeo e Epimeteo raccontato nel Protagora di Platone (che noi abbiamo letto nella
sintesi che ne ha dato DAN SPERBER nel suo Il sapere degli antropologi) è proprio una
riflessione su questa incompletezza costitutiva della nostra specie, che ha bisogno di
risposte extrasomatiche per completarsi.
Ma questa costruzione della propria identità non è solo nel corpo come materia inerte, lo è
anche nel corpo come sistema di funzioni e schemi di azione, come ci ha raccontato
MARCEL MAUSS con "Le tecniche del corpo" e i suoi esempi.
Abbiamo proseguito accennando quanto questa costruzione del corpo da parte della cultura
tocchi certamente anche le differenze di genere, ma ho chiarito che il tema è davvero
troppo complesso per pensare di poterlo elaborare di passaggio.
Quanto questa costruzione "fisica" della cultura sia misurabile è chiaro da un articolo
scientifico del 2000, in cui è stato misurato l'ippocampo di un gruppo di tassisti londinesi
confrontato con l'ippocampo di un gruppo di persone che non guidano. Quello dei tassisti
nella sua parte posteriore è mediamente più spesso in misura significativa dell'ippocampo
dei non-tassisti, e questo dato è così letto dagli autori dell'articolo: "Sembra che ci sia una
variazione plastica locale nella struttura del cervello umano adulto sano in risposta
agli stimoli ambientali". Niente male come interazione tra corpo e ambiente, no?
Per esemplificare ulteriormente questa capacità del corpo di "fare sua" la conoscenza
appresa, vale a dire la cultura, abbiamo letto un passaggio dal libro Pensare come un
antropologo, di MATTHEW ENGELKE, in cui un malinteso sul senso della parola "cricket"
diventa una rappresentazione plastica del riflesso del vomito.
Abbiamo aggiunto un aspetto interessante sempre in questa direzione: che cioè il senso del
disgusto che abbiamo elaborato molto prima di diventare umani, per difenderci dal pericolo
di ingerire qualcosa di intossicante o altrimenti pericoloso, è stato dirottato in senso
morale (quel personaggio mi fa schifo, questa azione è veramente perversa e mi dà la
nausea) ma è sollecitata dalla stessa zona cerebrale (la corteccia insulare, non me lo
ricordavo a lezione, ma questo lo racconta ROBERT SAPOLSKY con la sua usuale
maestria; nel video linkato spiega poi come questa connessione tra disgusto fisico e
disapprovazione morale si ripercuota nel nostro giudizio del mondo, traendone inferenze
errate come questa, che possono avere conseguenze politiche enormi: se una cosa mi
ripugna, dev’essere moralmente sbagliata).
Questo fatto, che cioè il nostro sapere culturale si inscrive nel corpo mutandolo, è al centro
dell'articolo di CLIFFORD GEERTZ che costituisce con EDELMAN la lettura di riferimento di
queste prime due lezioni, vale a dire "L'impatto del concetto di cultura sul concetto di
uomo", ma non abbiamo avuto il modo di parlarne veramente in questa lezione, e lo
riprenderemo alla prossima.
Per concludere, ci siamo posti una domanda retorica: ma allora, se il sapere appreso (la
cultura) agisce in profondità nella Psiche e nel Soma degli umani, che differenza c'è con il
sapere innato, che invece prevale comunque negli animali? C'è davvero una differenza
nella loro natura costitutiva, tra questi due tipi di sapere, oppure, visto che l'effetto è
sempre quello di far interagire funzionalmente il corpo adattivamente con il suo ambiente,
possiamo disinteressarci della genesi (naturale o culturale, rispettivamente) di questo
sapere e trattare il tutto come un sistema adattivo?
Ecco, abbiamo concluso la lezione proprio tornando un poco sui nostri passi: se pure gli
animali hanno cultura, se pure gli umani hanno istinti e riflessi condizionati, tra sapere
acquisito prevalentemente per trasmissione genetica (come quello delle api, che sanno
comunicare informazioni molto complesse con le compagne) e sapere culturale (come
quello di una banda di cacciatori di conigli) vi è una differenza enorme per quanto riguarda la
flessibilità e fragilità: il sapere culturale è molto più flessibile (può adattarsi più
rapidamente) del sapere trasmesso geneticamente, ma è anche molto più fragile nel suo
mantenimento perché ha bisogno di costante manutenzione per essere trasmesso. Venerdì
ripartiamo da qui.
Appunti lezione 2°
Lo scopo di questa lezione è duplice: da un lato la cultura non è una conseguenza della
nostra umanità, ma ne è l’ingrediente più vistoso, fin dentro la forma fisica di ciascuno di noi.
Secondo punto, l’identità, non è una scelta libera autonoma del soggetto o del gruppo. I
gusti sono in un certo senso co-costruiti in un’interazione costante tra noi e il nostro
ambiente. La nostra identità, chi sono io, chi siamo noi, a livello individuale quindi e ancor
più a livello collettivo, non sono scelte libere.
Siccome oggi prevale questa concezione che ognuno possa liberamente scegliere di essere
quello che vuole essere, l’antropologia culturale ci porta un sacco di elementi per dire che
così esattamente non è, siamo molto meno liberi di quanto potremmo pensare.
L’altra volta parlavamo di come questo livello ulteriore di coscienza di cui parla Edelman sia
una peculiarità veramente riconoscibilmente umana, alcune scimmie hanno dei barlumi di
essere coscienti. L’avere cultura è una cosa che ci unisce a moltissimi altri animali. Cultura
come sapere appreso e trasmissibile e la cultura ci precede, come specie, probabilmente da
un milione di anni, cioè esisteva la cultura un milione di anni prima che comparisse l’Homo
sapiens sapiens. La cultura come sapere appreso, non innato e poi trasmesso ci precede da
almeno un milione di anni, non solo perché gli ominidi ne erano portatori ma anche perché
abbiamo visto altre specie come gli orsi, che sono in grado di trasmettere questa cultura.
Questo significa agire con i comportamenti affinché il tuo patrimonio genetico abbia più
possibilità di trasmettersi. La coscienza della coscienza ha un punto centrale che è la forza e
la debolezza di questa coscienza della coscienza. La forza perché tu puoi provare a
pianificare le tue azioni, la fragilità è perché la pianificazioni di queste azioni avviene sempre
dentro un soggetto che può iniziare a dubitare.
(Esempio: c’è un millepiedi che se ne va nel suo ramo e ad un certo punto vede che sul
ramo a fianco c’è una formica con gli occhi a palla che lo guarda. Così lui dice tra sé: cosa
c’è?
Come cosa c’è dice la formica, cosa fai? Come fai a muovere così armonicamente tutte
quelle zampette così senza inciampare? E lui risponde: lo faccio e basta.
Il giorno dopo si incontrano di nuovo, il bruco sta su un angoletto, passa la formica e il bruco
le dice: ma lo sai che mi hai proprio rovinato la giornata ieri? Io non avevo mai pensato a
questa cosa, ma da quando tu m’hai detto come fai, io ho cominciato ad inciampare, ho
cominciato a pensare anche io come faccio, prima non avevo bisogno di pensarci.)