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Unità 3 Quinta coreutico.

TRA LE DUE GUERRE: FUTURISMO, NEOCLASSICISMO, MUSICA E REGIMI

Parigi negli anni ‘20


L’avanguardia parigina degli anni ’20 mostra apparentemente un aspetto più leggero, e comunque dopo le
provocazioni artistiche rappresentate dalle correnti pittoriche dadaista e surrealista e i legami col
movimento futurista italiano (che attirò l’interesse del genio teatrale di Diaghilev per i suoi Balletti russi),
raccoglierà l’esigenza di un rappel à l’ordre (ritorno all’ordine) che fu rappresentato dalla corrente del
Neoclassicismo. Numi ispiratore dell’avanguardia parigina degli anni ’20 furono il compositore Erik Satie e lo
scrittore Jean Cocteau. Satie frequentò i cabaret di Parigi e fu fortemente influenzato dalla musica “leggera”
di quegli anni come anche dalla semplicità ed essenzialità della musica antica (Gymnopedie). Ironia e
distacco sono le caratteristiche principali della sua musica. A partire dal 1913 si avvicina all’estetica
surrealista e dadaista (vedi esempi di pittori) e allo scrittore Jean Cocteau, che scriverà il soggetto del
balletto Parade realizzato nel 1917 per Diaghilev. I ballets Suedois allestirono numerosi spettacoli con
musiche dei compositori del cosiddetto Gruppo dei sei (Auric, Tailleferre, Milhaud, Honneger, Durey,
Poulenc) ispirati al maestro Erik Satie.

La compagnia di Diaghilev in quegli anni si avvicina al movimento futurista italiano. Il pittore Balla,
firmatario del Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo collaborerà con Diaghilev per il balletto
Feu d’artifice . Cocteau e Picasso, vicini ora a Diaghilev si ispirano al futurista Depero per la realizzazione del
testo e dei costumi di Parade, andato in scena il 18 maggio 1917 al theatre Chatelet. La coreografia di
questo spettacolo, pietra miliare nella storia del teatro e delle arti sarà affidata a Leonide Massine, nuovo
coreografo di Diaghilev.

Parade
Estratti https://youtu.be/_Chq1Ty0nyE balletto intero versione pianoforte a 4 mani
https://youtu.be/pnCMMJOKXJM
Balletto realistico in un atto

Libretto Jean Cocteau

Coreografia Léonide Massine

Musica Erik Satie

Parigi, Théâtre du Châtelet, Les Ballets Russes de


Prima rappresentazione Serge de Diaghilev, 18 maggio 1917

Sipario, scene e costumi Pablo Picasso

Direttore d’orchestra Ernest Ansermet


Pablo Picasso, schizzo del sipario per il
balletto “Parade” (10,60 x 17,25 metri)
Si tratta praticamente di un balletto senza trama. C’è solo un sottile filo di ironia che ci
conduce attraverso la “parata” (da qui il titolo) di artisti. Questi artisti di music hall si
esibiscono di domenica pomeriggio nella strada fuori dal loro teatro, con lo scopo di attirare
spettatori. Il finale è malinconico: il pubblico non ha più bisogno di entrare in teatro e quindi di
pagare il biglietto, perché lo spettacolo gli è già stato offerto gratuitamente. Crollano speranze
e illusioni e la grottesca Parade sfuma nella delusione più sconsolata.
È importante considerare il periodo in cui il balletto venne rappresentato per la prima volta.
Siamo nel corso della Prima guerra mondiale e, forse per reazione, a Parigi proliferano
fermenti artistico-letterari. Ma la ricerca del nuovo è pressoché comune in tutte le parti
d’Europa: da Zurigo arrivano gli echi del dadaismo; in Italia, il futurismo sforna manifesti e
proclami. Infine, grazie ad Apollinaire, sta per vedere la luce il surrealismo. In quel clima si
trova immerso un pittore come Picasso, che da molti viene già considerato “straordinario” e
che inizia a distanziarsi dal cubismo grazie alla particolare raffinatezza del suo lavoro. Verso la
fine del 1916, quando l’artista spagnolo decide di buttarsi nell’avventura teatrale, il cubismo ha
già espresso quanto doveva e poteva. Sul finire del 1915 firmava ancora i famosi Arlecchini,
nel linguaggio geometrico e colorato del cubismo sintetico, e i ritratti disegnati. Stili che ancora
coesistono nel periodo in cui collabora con i Ballets Russes di Diaghilev. La collaborazione
nasce quasi per caso: Eva, la compagna di Picasso, muore improvvisamente; gli amici Braque
e Apollinaire vengono chiamati sotto le armi e al pittore, triste e solo nella grande città, non
resta altra compagnia che quella del giovane e brillante poeta Jean Cocteau. L’incontro
decisivo per Parade avverrà nell’autunno del 1915. Cocteau vuole coinvolgere Satie e Picasso
nel suo progetto di un balletto realistico e moderno. Nell’estate del 1916 ottiene la loro
adesione e subito inizia il lavoro a tre, che li vedrà a Roma per un periodo di grande
interscambio creativo.
I Ballets Russes si erano sciolti a causa della guerra, ma Diaghilev era riuscito a radunare a
Losanna alcuni dei suoi collaboratori e stava cercando di ripartire, riproponendo titoli ormai
storici per la sua compagnia e nuove produzioni di grande rottura dal punto di vista artistico.
Ed è rimasta celebre la frase con cui apostrofò Cocteau, sfidandolo: “Etonné-moi”
(sorprendimi).
Il décor di Picasso farà sì che questo lavoro, così come altri della compagnia di Diaghilev,
venga definito «ballet de peintre». L’importanza della trouvaille di Picasso supera la struttura
dell’opera coreografica e si inserisce in quel panorama di rinnovamento del balletto che ha
origine con l’inizio del Ventesimo secolo.
Guillaume Apollinaire, caposcuola del surrealismo, la corrente artistica che vide la luce nel
1917, a proposito di questo balletto ebbe a dire che vi trovava “una specie di sur-realismo nel
quale vedo un punto di partenza per una serie di manifestazioni di quel Nuovo Spirito che
promette di trasformare arti e costumi dall’alto al basso…”.
La prima del balletto suscitò uno scandalo ancora più grande del Sacre del 1913. L’anno
successivo lo scrittore Cocteau produrrà il testo “Le coq et l’Arlequin”, che diventerà il
manifesto della nuova estetica musicale del Gruppo dei sei, un’estetica che mette insieme
elementi del futurismo, del cubismo, del dadaismo. Dal testo si evincono questi punti chiave:

Richiamo alla semplicità e alla quotidianità: l’opera d’arte non esprime concetti alti, si nutre
anche del “nonsense” contrapposto al “pieno di significato”. La partitura di Parade si
arricchisce di suoni tratti dalla realtà, in linea con l’estetica dadaista e futurista: sirene, spari di
revolver, macchina da scrivere, ruota della lotteria.

Abbandono del senso del grandioso: rifiuto delle grandi orchestre, del linguaggio
complesso. Per questo rifiuta sia la retorica del teatro wagneriano (una musica che come
l’oppio, stordisce lo spettatore); sia il preziosismo della musica di Debussy, troppo raffinata; sia
la grandezza delle orchestre dei balletti di Stravinsky (che Satie chiamava il Wagner russo) e
la complessità della sua scrittura

Rinnovamento delle forme: la figura di Satie con la sua stravaganza e la sua semplicità al
contempo incarna l’ideale del nuovo artista. . La nuova “opera d’arte totale “ si identifica con il
balletto, profondamente rinnovato: un genere dalla grande tradizione storica accoglie al suo
interno la musica di intrattenimento, il repertorio dei music-hall, del circo, del cafè-concerto,
delle prime bande di jazz che iniziavano a vedersi a Parigi (Sousa, John King)

Il Neoclassicismo modernista
In questi anni a Parigi erano frequenti i ritorni alla classicità (alcune composizioni di Debussy e Ravel si
ispiravano alla musica del ‘700 francese). Si diffuse anche la pratica di riorchestrare brani antichi per
moderni allestimenti. Per i suoi balletti su coreografie di Massine Diaghilev sceglierà tra il 1919 e il 1920 il
compositore italiano Ottorino Respighi, che riorchestrerà musiche di Rossini ne La boutique fantasque, e
ancora Igor Stravinskij che rielaborerà alla sua maniera Pergolesi e altri compositori del ‘700 napoletano per
Pulcinella. Quest’ultimo lavoro fu così originale e particolare da essere considerato il primo vero lavoro del
neoclassicismo modernista: un ritorno al passato per niente nostalgico e pieno di spunti rivolti al futuro.

La boutique fantasque, P 120 https://youtu.be/3oyLJl4bqqY


Balletto su musiche di G. Rossini

Musica: Ottorino Respighi (1879 - 1936)

● Tarantella: Allegro con brio, Vivo


● MazurKa: Vivo. Lento. Moderato. Vivacissimo
● Danse cosaque: Allegro marcato. Vivo. Allegretto brillante, Vivace
● Can-Can: Allegretto grottesco. Vivacissimo. Andantino mosso
● Valse lente: Andantino moderato. Con brio, Allegretto moderato
● Nocturne: Andantino
● Galop: Vivacissimo. Allegro brillante, Prestissimo. Tempo I

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba,
timpani, grancassa, tamburo, triangolo, xilofono, campane, piatti, celesta, arpa, archi
Composizione: 1918
Prima rappresentazione: Londra, Teatro Alhambra, 5 Giugno 1919
Edizione: Chester, Londra, 1919

Proprio dai peccati di vecchiaia, da quei Pechés de vieillesse scritti da Rossini durante il "silenzio" francese, attinse
Ottorino Respighi nel 1918 per volere dell'impresario Sergej Diaghilev, sempre volpescamente a caccia di musica
moderna, per i suoi sensazionali Ballets Russes. Per Diaghilev e il suo entourage la parola "moderno" faceva sempre
più rima con "antico", inteso nella sua precipua accezione di "anti-romantico". La scelta del Rossini sconosciuto offriva
un duplice vantaggio: da una parte i Pechés de vìeillesse erano geniali e irriverenti interpretazioni di varie "icone"
ottocentesche (Meyerbeer, Liszt, Chopin ecc.), adattissimi quindi per non épater troppo les bourgeoises; dall'altra,
proprio per la loro natura dì "gioco" compositivo impertinente e distaccato, i Pechés erano un interessante punto di
partenza per l'impresa di progressiva e indolore demolizione di un gusto ancora imperante. E per questa operazione di
modernità non troppo eccessiva e costantemente monitorata Diaghilev si rivolse, saggiarnente, al musicista che meglio
di altri manteneva il difficilissimo e naturalissimo equilibrio con il piede letteralmente in due scarpe. Anche per ragioni
puramente anagrafiche, Ottorino Respighi (nato nel 1879) aveva aderito infatti alla combriccola degli svecchiatori della
musica italiana definita più tardi "Generazione dell'Ottanta" dalla più o meno comune data di nascita (ne facevano
parte Pizzetti, Casella, Malipiero). Ma per questioni varie, non da ultimo i suoi decisivi anni di formazione presso
Rimskij-Korsakov, uno dei maestri del grande sinfonismo tardo ottocentesco, il suo rapporto con la tradizione europea
pre-modernista non si era mai guastato e il "nuovo", tra cui soprattutto la riscoperta dell'antico, divenne per Respighi
in sostanza un'arma in più, con cui arricchire le possibilità della propria tavolozza compositiva. Dai Ballets Russes, da
Diaghilev e da Respighi passò quindi una delle strade maestre che nell'immensa distilleria musicale del primissimo
Novecento avrebbe poi condotto Stravinskij alla formula del "neoclassicismo", il più efficace rimedio contro i fumi, le
nebbie e i contorcimenti dell'appena trascorso Ottocento.

Non si sottolineerà mai abbastanza quanto Sergej Djaghilev, il geniale impresario dei Ballets Russes, sia stato
determinante per gli sviluppi della musica del nostro secolo, pur non essendo direttamente coinvolto nella creazione
artìstica. Senza di lui probabilmente il giovane Stravinsky non avrebbe ne scritto tra il 1911 e il 1913 i tre rivoluzionari
balletti che sarebbero rimasti tra le sue creazioni più originali, ne effettuato nel 1919-1920 la sorprendente virata dal
fauvisme al neoclassicismo sancita dal balletto Pulcinella su musiche di Pergolesi. Poi è andata a finire che Stravinsky è
stato considerato l'iniziatore del neoclassicismo, ma in realtà questo titolo spetterebbe a Djaghilev, che prima di
coinvolgere Stravinsky aveva già commissionato analoghe rivisitazioni della musica del passato a Vincenzo Tommasini e
a Ottorino Respighi: il primo aveva rielaborato alcune sonate clavicembalistiche di Domenico Scarlatti per un balletto di
soggetto goldoniano, Le donne di buon umore, rappresentato a Roma nel 1917, mentre il secondo nel 1918 aveva
"arrangiato e trascritto" musiche di Rossini per il balletto La boutique fantasque

La commissione per La Boutique fantasque (La bottega magica) venne a Respighi in occasione della tournée londinese
dei Ballets Russes. Diaghilev e la sua troupe vennero invitati all'Alhambra Theatre dall'impresario di questa
curiosissima istituzione. Il teatro aveva infatti trovato posto a Leicester Square presso il "Royal Panopticon of Science
and Arts", che da serioso luogo di culto del sapere era divenuto uno dei templi del divertimento cittadino della più
varia natura. Accanto a dimostrazioni scientifiche - o sedicenti tali - nel teatro trovavano posto anche spettacoli di
circo, di varietà, di balletto, e fu così che all'allora direttore Andre Charlot venne l'idea di importare uno spettacolo
della famosa compagnia di Diaghilev. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto (nei quali sarebbero stati coinvolti a turno
Debussy e Ravel), il progetto giunse in porto con La Boutique fantasque, un balletto spettacoloso e coloratissimo su
uno scenario di Léonide Massine, che ne fu anche coreografo e interprete. Il soggetto è disneyano ante litteram: di
notte in un negozio di giocattoli le bambole si animano e si danno al bel tempo ballando allegramente. Ma il cattivo
giocattolaio separa, vendendoli a diversi acquirenti, una coppia di innamorati (un ballerino e una ballerina di cancan)
che alla fine verrà salvata dalla rivolta delle altre bambole.

Respighi colse la palla al balzo e nella Boutique fantasque riuscì mirabilmente a coniugare il sorriso ammiccante di
Rossini - che faceva il verso ai suoi contemporanei - con la sua consumatissima abilità di colorista orchestrale, creando
una partitura che mette insieme furbissimi brividi novecenteschi in uno stile che deve ancora tanto a Cajkovskij.
L'operazione fu un successo: la somma Diaghilev, Massine, Respighi, Rossini era proprio quello che impresario e
pubblico dell'Alhambra volevano. In questa veste modernissima di reinventore dell'antico Respighi si sentì
perfettamente a suo agio, tanto che dalla Boutique in poi tornò con frequenza e rinnovato amore sia al Rossini dei
Pechés (con Rossiniana del 1925), sia più in generale al passato remoto del rinascimento italiano (Antiche arie e danze
per liuto, Gli uccelli, ecc.). Ma alla Boutique fantasque, forse anche per il suo grande successo, il compositore restò
particolarmente affezionato: pochi anni dopo la prima del balletto Respighi ne trasse una Suite sinfonica che ha
guadagnato un posto stabile nel repertorio sinfonico internazionale. La Suite si compone dei movimenti più
caratteristici della partitura coreografica: L'Ouverture è chiaramente composta da due parti: una vivace marcia,
punteggiata dai tocchi degli strumenti a fiato, che sembra venire da lontano e avvicinarsi con un leggero ma costante
crescendo, è seguita da un brioso Allegretto, che s'interrompe brevemente per lasciare spazio a un'espressiva e
cullante melodia dell'oboe, quindi riprende e conclude l'Ouverture, conducendo alla Tarantella, un'esplosione gioiosa e
spumeggiante, ma allo stesso tempo controllata e al riparo da qualsiasi cedimento popolaresco. Anche la Mazurka è
divisa in due parti; la prima alterna un tema volteggiante e leggero dei violini agli interventi pesati e goffi dei fagotti,
tuba e contrabbassi, la seconda, dopo un breve intermezzo in tempo lento, viene introdotta da un velocissimo staccato
dei violini e prosegue con un dialogo tra un pettegolo ottavino e gli archi disinvolti ed eleganti. I cosacchi della Danse
cosaque, nonostante qualche ritmo rudemente scandito e qualche cadenza dal leggero sentore di Russia,
sembrerebbero essersi ormai dimenticati delle steppe e piroettare a proprio completo agio nei saloni della buona
società ottocentesca. L'approccio ironico e deformante è evidente anche nell'Allegretto grottesco del Cancan,
brulicante e frenetico, in cui risuonano anche i clacson delle automobili (se ne ricordò probabilmente Gershwin
all'inizio del suo Un americano a Parigi). Il Cancan s'intenerisce poi in un Andantino, che porta senza scosse alla Valse
lente, il brano di maggiori dimensioni del balletto: ci si alternano vari valzer, languidi e malinconici, delicatamente
orchestrati, un po' cajkovskiani: sarebbe facilmente intuibile che l'atmosfera è notturna, anche se non ci fossero i
rintocchi della campana ad annunciare, proprio all'inizio, che sono le dieci. La notte è ormai fonda nel Nocturne,
l'ennesimo prodigio d'orchestrazione di Respighi, che dipinge una notte incantata, sospesa e arcana con pochi, magici
tocchi: una melodia del violino e del violoncello soli, aureolata dall'eco lontana degli strumenti a fiato, dai placidi
arpeggi dell'arpa e dal lieve tintinnare argenteo della celesta, col sottofondo delle note tenute dagli archi gravi. Con un
cambio repentino d'atmosfera attacca il brillante Galop finale, vorticoso e inarrestabile, orchestrato in modo sempre
leggero, nitido, luminoso, un vero caleidoscopio di timbri.

Pulcinella https://youtu.be/nFNl6D75Jxo https://youtu.be/WgSIKMrKgH4


https://youtu.be/WgSIKMrKgH4 https://youtu.be/M1_QWhI-6Oc
https://youtu.be/2oK-ebUAphE

Balletto con canto in un atto

Musica: Igor Stravinskij (1882 - 1971)


Libretto: Léonide Massine
Quando non diversamente specificato, si tratta di composizioni di Pergolesi.

1. Ouverture. (Dal primo movimento della prima "Sonata a tre", in sol maggiore, di Domenico Gallo) - Allegro
moderato
2. Serenata: Mentre l'erbetta pasce l'agnella (Da "Il Flaminio", atto I, Pastorale di Polidoro) - Larghetto
3. Scherzino. (Dalla seconda "Sonata a tre", in si bemolle maggiore, di Domenico Gallo) - Allegro
Poco più vivo: Benedetto, maledetto (Da "Il Flaminio", atto III, canzone del Checca) - questo brano non ha
numero - Poco più vivo
4. Allegro. (Dal terzo movimento della seconda "Sonata a tre", in si bemolle maggiore, di Domenico Gallo) -
Allegro
5. Andantino. (Dal primo movimento dell'ottava "Sonata a tre", in mi bemolle maggiore, di Domenico Gallo) -
Andantino
6. Allegro. (Da "Lo frate 'nnamorato", atto I, Aria di Vannella) - Allegro
7. Allegretto: Contenta forse vivere (Dalla Cantata "Luce degli occhi" - Aria tratta da "Adriano in Siria" e
parodiata in "L'Olimpiade") - Allegretto
8. Allegro assai. (Dal terzo movimento della terza "Sonata a tre", in do minore, di Domenico Gallo) - Allegro assai
9. Allegro alla breve: Con queste paroline (Da "Il Flaminio", atto I, aria di Vastiano) - Allegro alla breve
10. Largo: Sento dire no' ncè pace (Da "Lo frate 'nnamorato", atto III, Arioso di Ascanio)
Allegro: Chi disse cà la femmena (sempre da "Lo frate 'nnamorato", atto II, Canzone di Vannella)
Presto: Ncè sta quaccuna pò / Una te fa la nzemprece (Duetto) - Larghetto
11. Allegretto alla breve. (Dal terzo movimento della settima "Sonata a tre", in sol minore, di Domenico Gallo) -
Allegro alla breve
12. Tarantella. (Dal "Concertino n. 6" in si bemolle maggiore di Fortunato Chelleri)
13. Andantino: Se tu m'ami (Da attribuire probabilmente a Alessandro Parisotti)
14. Allegro. (Dalla "Suite per clavicembalo n. 1", in mi maggiore, di autore anonimo)
15. Gavotta con due variazioni. (Dalla "Suite per clavicembalo n. 3", Rondò in re maggiore, di autore anonimo) -
Allegro moderato
16. Vivo. (Dalla "Sinfonia per violoncello e basso continuo" in fa maggiore)
17. Tempo di minuetto: Pupillette, fiammette d'amore (Da "Lo frate 'nnamorato", atto I, «canzone di Don Pietro»)
- Molto moderato (Trio)
18. Allegro assai. (Dal terzo movimento della dodicesima "Sonata a tre" di Domenico Gallo)

Organico: soprano, tenore, basso, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, tromba, trombone, archi
Composizione: Morges, 1919 - Biarritz, 20 aprile 1920
Prima rappresentazione: Parigi, Théâtre de l'Opéra, 15 maggio 1920

Tra il 1910 e il 1913, con L'oiseau de feu, Petrouchka e Le sacre du printemps, Stravinsky aveva dato uno scossone alle
abitudini d'ascolto del pubblico della ville lumière che, dopo essere appena riuscito a digerire le delicate nuances
timbriche e armoniche di Debussy, si era trovato improvvisamente a doversi confrontare con colori barbarici, ritmi
violenti e scale evocanti mondi primitivi estranei alla civiltà musicale occidentale. Subito dopo, la guerra del 1914-1918
aveva frapposto grossi ostacoli all'attività di quel giovane "barbaro" venuto dalla Russia, tanto che il Sacre stesso non
fu stampato che nel 1921, mentre Renard e Les noces, nonostante fossero stati già completati durante la guerra,
poterono avere la prima rappresentazione pubblica rispettivamente nel 1922 e nel 1923: ma nel frattempo, il 15
maggio 1920, Stravinsky aveva presentato Pulcinella all'Opera, riuscendo nuovamente a sorprendere il suo pubblico
con un'altra rivoluzione, più tranquilla e pacifica della precedente ma altrettanto inaspettata. Di tali cambiamenti di
fronte sono capaci le persone che hanno un innato senso teatrale, come i grandi artisti, o un infallibile intuito tattico,
come i grandi politici: fu anche grazie a queste doti che Stravinsky riuscì a prendere le redini del mondo musicale e a
mantenerle per mezzo secolo.

Pulcinella segnò un discrimine non soltanto nell'arte di Stravinsky ma in tutta la musica del ventesimo secolo. Eppure
(ma questo è tipico delle "avventure amorose") era nato in modo totalmente casuale: galeotto era stato ancora una
volta Diaghilev, il geniale impresario dei "Ballets russes", che aveva sottoposto al compositore una serie di
composizioni di Pergolesi (o a lui erroneamente attribuite) perché ne ricavasse un balletto su una trama ispirata a un
canovaccio napoletano del 1700. L'impresario dei "Ballets russes" voleva ripetere il successo delle Donne di
buonumore e della Boutique fantasque, due balletti su musiche rispettivamente di Domenico Scarlatti e di Rossini, da
lui commissionati a Vincenzo Tommasini e Ottorino Respighi negli anni immediatamente precedenti: a Stravinsky,
come ai due compositori italiani, chiedeva soltanto di restaurare quelle antiche musiche con un'orchestrazione abile e
aggiornata. Le sue indicazioni, precise e vincolanti quanto alle linee generali del balletto, erano invece elastiche
riguardo alla realizzazione pratica, e questo permise a Stravinsky d'affermare la propria genialità e d'emergere sui due
compositori di cui Diaghilev si era precedentemente servito. Mentre Tommasini e Respighi si erano limitati a una libera
trascrizione, Stravinsky con pochi tocchi diede un'impronta assolutamente personale alle musiche di Pergolesi,
assimilandole così totalmente che spesso si è tentati di riconoscere la sua mano anche in passaggi che sono invece
rimasti sostanzialmente immutati rispetto all'originale settecentesco. Stravinsky stesso osservò che «la cosa più
notevole di Pulcinella consiste non tanto nel rilevare quanto sia stato aggiunto e cambiato, ma quanto poco». Le linee
melodiche di Pergolesi non sono modificate ma tutt'al più integrate qua e là da alcuni passaggi di raccordo e anche i
bassi sono sostanzialmente rispettati, eppure il contributo di Stravinsky è essenziale: infatti, se alcuni pezzi sono
rimasti così com'erano senza mutarne la forma, altri vengono del tutto
riplasmati, la veste strumentale è interamente rifatta, dissonanze e note
"sbagliate" s'infiltrano nell'armonia settecentesca e la regolarità ritmica viene
spezzata da accenti spostati, sincopi e tempi bruscamente interrotti. Il risultato
è un intrigante e stimolante gioco di scambi e di rimandi, in cui Pergolesi non è
più Pergolesi, Stravinsky non è più Stravinsky e diventa difficile se non
impossibile capire a chi dei due attribuire la paternità di ciò che si sta
ascoltando, se al compositore del Settecento o a quello del Novecento.

Parallelamente alla musica, anche la veste teatrale di questo "balletto con canto
in un atto" presentava un simile connubio di moderno e d'antico, perché
coreografia e scene erano di Leonide Massine e di Pablo Picasso, mentre il
soggetto era ricavato da un canovaccio napoletano ancora più antico di
Pergolesi: tutte le ragazze del paese sono innamorate di Pulcinella e i loro
fidanzati gelosi s'accordano per ucciderlo, ma l'astuto Pulcinella si fa
rimpiazzare da un amico, Furbo, che finge di morire sotto i colpi dei rivali.
Pulcinella stesso si traveste da mago e viene a resuscitare il suo sosia. Quando i
giovani, che credono d'essersi sbarazzati di lui, si presentano alle loro fidanzate,
il vero Pulcinella appare e sistema tutti i matrimoni: egli stesso sposa
Pimpinella, con la benedizione di Furbo, ora travestito a sua volta da mago.

La partitura prevede un'orchestra di dimensioni e trasparenza settecentesche


(notare che un concertino di cinque soli si stacca dalle file degli strumenti ad
arco, secondo lo stile del Concerto grosso) e consta di una breve ouverture e di
otto scene. Le musiche di Pergolesi che vi vengono travasate sono numerose,
perché alcune scene ne utilizzano più d'una: in realtà soltanto nove di questi
pezzi sono autentici (sono tratti dalle opere Il Flaminio, Lo frate 'nnammorato e
Adriano in Siria e da una Sonata per violoncello e basso continuo) mentre gli
altri fanno parte della grande quantità di falsi pubblicati sotto il nome di
Pergolesi subito dopo la sua precoce morte. Autentiche o meno che fossero
quelle musiche, Stravinsky vi trovò quel che cercava: un Settecento napoletano
sprizzante vivacità ritmica, schiettezza popolaresca e gestualità vivacissima.
Tutta quella musica gli sembrava animata da ritmi danzanti, che egli assorbì nel
suo Pulcinella che, pur essendo infinitamente meno violento e aspro del Sacre
du printemps, è egualmente innervato da una pulsazione ritmica irrefrenabile e
tagliente.

Questa musica costruita sulla base di una musica preesistente non è un pastiche
o un ibrido stilistico, perché quando «i vocaboli formali del passato vengono
completamente rifusi nel crogiuolo della sensibilità e del gusto di un artista
appartenente ad un'epoca posteriore, essi possono benissimo ricevere una
nuova investitura significativa e comporsi in opere nuove e originali» (Roman
Vlad). Una tale capacità di forgiare il nuovo a partire dalla tradizione è un
aspetto fondamentale e modernissimo del camaleontico genio di Stravinsky.

Negli anni successivi tra i balletti di Diaghilev si distinsero Renard


e Les noces, sempre su musiche di Stravinskij, con la coreografia
di Bronislava Nijinska, sorella di Vaslav; Les biches con musiche
di Poulenc. Con un nuovo coreografo, George Balanchine,
Diaghilev realizzò Les pas d’acier con musiche di Prokofiev,
Apollon musagete su musiche di Stravinskij, omaggio alla grecità
e alla classicità.
IL CONTESTO DELL’EUROPA DELL’EST E CARATTERISTICHE STILISTICHE

Vedi Lo Stile ungherese nell’Europa dell’Ottocento (cap 8 del I volume pag 98-100 e 104-106)

Nel ‘900:

- Nuovo rapporto con il folklore: nasce l’etnomusicologia (Bartok, Kodaly)


- L’esito delle loro ricerche rinnovò il concetto di musica popolare ungherese, affrancandolo
dalle ascendenze tardoromantiche e lisztiane (la musica tzigana delle città non aveva nulla a
che vedere con l’autentica musica popolare)
- La constatazione che la musica folklorica è “esclusivamente tonale” porta Bartok alla scelta
del diatonismo, “inconciliabile con la musica atonale e dodecafonica”
- Il linguaggio si arricchisce del modalismo e delle scale pentatoniche delle musiche delle
campagne ungheresi, bulgare e transilvane (la raccolta didattica Mikrokosmos aveva lo
scopo di educare i giovani a questa nuova sensibilità)
- La stessa libertà è applicata ai ritmi, spesso asimmetrici (5/8, 7/8) o determinati dalla
scomposizione della battuta in gruppi asimmetrici
- Aspetti linguistici e grammaticali della musica popolare forgiano uno stile nuovo:
ri-creazione dello stile popolare. Le specificità ritmiche e melodiche della musica contadina
studiata da Bartok (bulgara, rumena, moldava) rinnovano il linguaggio e tradizionale
Tre tipologie d’inclusione del folklore:
a) Uso testuale di melodie contadine, senza modifiche o con varianti minime (gioielli
incastonati)
b) Invenzione di melodie a imitazione di quelle popolari
c) Creazione di musiche originali concepite nelle modalità della musica contadina
- La scoperta degli interscambi fra popolazioni confinanti sviluppò una mentalità protesa oltre
i limiti del nazionalismo, che afferma la fusione delle culture in antitesi all’artificialità dei
confini politici.
“La mia vera idea è l’affratellamento dei popoli, l’affratellamento ad onta di tutte le guerre e
tutti i contrasti,..perciò non mi sottraggo ad alcun influsso, provenga esso da fonte slovacca,
rumena, araba o qualsiasi altra”
- Folklore, neoclassicismo e modernismo si affiancano
- Si affiancano folklore contadino e forme classiche (il quartetto); Reinterpretazione su base
simmetrica della Sonatenform: Forma a ponte

-
L’ ETNOMUSICOLOGIA
L’etnomusicologia è termine entrato in uso nella seconda metà del ‘900 per designare
l’ambito e i metodi di studio della musica d’arte non europea e delle tradizioni musicali
europee e americane trasmesse per via orale.
L’attenzione alle musiche degli “altri” si ebbe già a partire dal XVI sec. In coincidenza
con le prime esplorazioni nelle terre da poco scoperte. Sostenuta dalla cultura
illuminista (Rousseau nel Dictionnaire de musique 1768), col primo Romanticismo
questa attenzione si indirizza con maggiore intensità verso la sfera delle musiche
popolari occidentali. Le raccolte ottocentesche di canti popolari delle varie nazioni
(Scott per la Gran Bretagna, von Arnim e Brentano per la Germania) sono concepite
come strumenti di identità e autonomia socio-culturale e si indirizzano sulla musica
rurale e contadina percepita come patrimonio di un mondo incorrotto e primitivo.
La mentalità scientifica del positivismo, l’impiego dal 1890 delle prime apparecchiature
di registrazione e riproduzione del suono hanno portato a sviluppi più sistematici della
disciplina (Carl Stumpf, Guido Adler). Il fonetista inglese A.J. Ellis, con la divisione
del semitono in 100 parti (il cent) dimostra che la formazione delle scale è risultato
artificiale e storicamente determinato di un processo culturale e che pertanto non
esistono scale più naturali di altre (come affermava Helmholtz)
La “ricerca sul campo”, che recepisce il dato musicale in modo immediato, diventa il
metodo fondamentale dell’etnomusicologia moderna. La registrazione sostituisce la
trascrizione basata su un sistema semiografico in uso per la musica d’arte e dunque
impreciso e limitato. Gli studi sulla musica etnica si pongono in un’ottica
pluridisciplinare. Nel primo ‘900 la musica extraeuropea è particolarmente studiata in
Olanda, Belgio, Gran Bretagna (in virtù dei loro possedimenti coloniali), mentre la
musica popolare europea è stata studiata nell’est Europa, in luoghi ricchi di tradizioni
“altre” (Brailoiu, Bartok, Kodaly). Anche la classificazione degli strumenti è stata
fondata su opportuni criteri che comprendessero la estrema varietà dei modelli in
tutto il mondo (Sachs, Schaeffner)

Danze popolari rumene per piccola orchestra, BB 76, SZ 68

Musica: Béla Bartók (1881 - 1945) https://youtu.be/4HAIHSqiwAA

1. Jocul cu bâtă (Danza del bastone) - Energico e festoso


2. Brăul (Danza della fascia) - Allegro
3. Pe loc (Danza sul posto) - Andante
4. Buciumeana (Danza del corno) - Moderato
5. Poargă românească (Polka rumena) - Allegro
6. Măruntel (Danza veloce) - Allegro
7. Măruntel (Danza veloce) - Più allegro

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, cornoo inglese, 2 clarinetti, clarinetto piccolo, 2 clarinetti bassi, 2 fagotti,
4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, triangolo, 2 tamburelli, piatti, grancassa, tam-tam, 2 arpe, archi
Composizione: 1917
Prima esecuzione: Budapest, 11 Febbraio 1918
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1922

È noto come Bartók sia stato un ricercatore appassionato e scrupoloso di temi e di materiale folcloristico
autentico, sia per riposarsi dalle fatiche di compositore di "musica colta" e sia molto probabilmente per
rinfrescare la propria fonte di ispirazione. Questa attività gli permise di annotare e di raccogliere mediante
registrazioni un numero impressionante di melodie popolari provenienti dall'Ungheria, dalla Romania, dalla
Slovacchia e perfino dall'Anatolia. Lo stesso compositore scrisse in uno schizzo autobiografico: «Lo studio di
questa musica contadina era per me di decisiva importanza, perché esso mi ha reso possibile la liberazione
dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole
del materiale raccolto si basava sugli antichi modi ecclesiastici o greci o anche su scale più primitive... Mi
resi conto allora che i modi antichi ed ormai fuori uso nella nostra musica d'autore non hanno perduto nulla
della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo. L'impiego siffatto
della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo delle scale maggiore e minore ed
ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti e dodici
i suoni della scala cromatica». Un esempio dell'intelligenza e del gusto del Bartók folclorico si può cogliere
nelle sette brevi Danze popolari rumene, composte per pianoforte nel 1915 e trascritte poi per orchestra nel
1917. Sono componimenti piacevoli e musicalmente estroversi nei loro ritmi caratteristici, rispettosi dei
costumi della comunità e della regione di origine, senza alcuna manipolazione accademica. La Danza del
bastone, indicata da una melodia disuguale negli accenti, è stata raccolta a Mezözabad, nel distretto di
Maros-Torda; la Danza della fascia affidata al violino è stata ascoltata a Egres, distretto di Tarontàl; della
stessa provenienza è la Danza sul porto con il suono del violino in rilievo, mentre la Danza del corno
proviene da Bisztra, distretto di Torda-Aranyos. La Polka rumena, vivace e spigliata, è stata registrata a
Belényes, distretto di Binar. Le ultime due danze brillanti e festose provengono da Belényes e Nyàgra nella
zona di Torda-Aranyos e concludono in un clima di cordialità popolaresca questo profilo folclorico di Bartók.
Musica politica e ideologia in Germania tra le
due guerre
Il contesto storico politico, le correnti artistiche
- Germania degli anni ’20: la repubblica di Weimar, il kabarett,
- Il teatro d’avanguardia, il teatro “epico” di Brecht; l’impegno sociale
- Diffusione del concetto di Gebrauchmusik (musica d’uso),
a) analogia con le avanguardie artistiche della Nuova oggettività
(mostra 1925 di Dix e Grosz) e il Bauhaus di Gropius
b) Fruizione nelle sale di musica: contaminazioni con ritmi e melodie
della musica leggera, comunicazione con il pubblico (Hindemith
Kammermusik 1)
c) Produzione di musica destinata a dilettanti, per l’uso quotidiano di
società amatoriali;
d) Diffusione radiofonica per un pubblico eterogeneo
e) Semplificazione della scrittura senza compromettere la qualità
(Hindemith: “Fare musica è meglio che ascoltare musica”; operina
“Costruiamo una città”)
f) Opera d’attualità (Zeitoper): Hindemith “Novità del giorno”
Krenek “Jonny spielt auf”
- Con l’avvento del nazionalsocialismo si afferma un’arte di regime
fondata sul concetto di razza. Attraverso la sezione musicale della
Camera della cultura presieduta da Goebbels, la campagna contro la
musica “estranea alla razza” si indirizzò contro:
a) la musica politicizzata di Weimar e il bolscevismo musicale dei
compositori di tendenze socialiste e comuniste (Weill e Eisler)
b) i musicisti di origine ebrea: la musica atonale di Schoenberg era
ritenuta una forma di contestazione all’architettura tradizionale
della musica tedesca e quindi all’ordine sociale
c) la nomina di Schoenberg a docente dell’Accademia di Berlino e le
rappresentazioni di opere come Jonny spielt auf di Krenek, a causa
del soggetto e dello stile vicino al jazz
- La famigerata esposizione di Dusseldorf
del 1938 attribuì le colpe dei mali della
società tedesca a quella che fu definita
“Musica degenerata”(Entartete Kunst)
- La musica di compositori ebrei del passato
(Mendelssohn, Mahler) e del presente fu
messa al bando, mentre furono esaltati e
mistificati autori come Wagner, Beethoven,
Bruckner
Dal discorso di Zieglel “Una resa dei conti”,
che inaugurò a Dusseldorf la mostra sull’Arte
degenerata: “… Se i più grandi maestri della
musica hanno tratto sensibilità e creato nella
tonalità e dall’elemento con tutta evidenza
germanico dell’accordo di tre note, noi
abbiamo il diritto di bollare come dilettanti e
ciarlatani coloro che spazzano via questi
principi fondamentali tonali e li vogliono
migliorare con una qualche combinazione di
suoni, in realtà svalutandoli…. Ritengo che
l’atonalità come esito della distruzione della
tonalità significhi degenerazione e
bolscevismo culturale. Poiché inoltre
l’atonalità ha il suo fondamento nella teoria
dell’armonia del’’ebreo Arnold Schoenberg,
la proclamo il prodotto dello spirito ebraico.
Chi la assaggia ne muore… Ancora più
evidente diventa la degenerazione dopo
l’irruzione del brutale ritmo del jazz e della
sonorità del jazz nel mondo musicale
germanico… Chi vuole spostare
continuamente i confini della combinazione
dei suoni, dissolve il nostro ordine tonale
ariano…”
IL SUONO DEI LAGER
- A dispetto delle condizioni di vita disumane, è esistita nei lager
un’attività musicale esecutiva e creativa
- E’ documentata a Dachau e Mathausen un’intensa pratica vocale. Il
brano Boergermoorlieder, trascritto dall’esule Eisler, fu diffuso e
tradotto in Spagna, Inghilterra, Olanda, Francia e Italia (Canto dei
deportati) diventando una sorta di inno europeo della resistenza al
nazifascismo
- Gran parte dei canti sono scomparsi coi loro autori
- Il canto era usato dai nazisti come strumento di tortura: i prigionieri
erano costretti a intonare canti denigratori del popolo ebraico e inni
militari nazisti e canti del folklore tedesco, come forma di profonda
costrizione della personalità.
“ esse giacciono nelle nostre menti, saranno l’ultima cosa del Lager che
dimenticheremo: sono la voce del Lager, l’espressione sensibile della
sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come
uomini per ucciderci poi lentamente” (Primo Levi)
- Complessi strumentali di vario tipo accompagnavano le squadre di
lavoro ai campi, allietavano le pause, festeggiavano i compleanni dei
comandanti, accompagnavano le esecuzioni capitali
- Caso particolare il campo di concentramento di Terezin (Opere
Brundibar di Krasa e L’imperatore di Atlantide di Ullmann, i Ghetto
singers, gruppo di jazz)
BRECHT _- WEILL: L’OPERA DA TRE SOLDI

La prima di questa opera nel 1928, libera rielaborazione della Beggar's Opera (1728) di J. Gay, fu
il più grande successo teatrale degli anni venti. Il pubblico era entusiasta, l'opera rimase in
scena per un intero anno. E nel 1931 seguì il film tratto da questo pezzo teatrale. I personaggi
principali sono il re dei mendicanti che organizza il "lavoro" dei mendicanti come un affare
qualsiasi (e si arricchisce parecchio), il criminale senza scrupoli Mackie Messer che in fondo è
un esempio di rispettabilità borghese, il capo di polizia che è corrotto fino all’ osso e non
mancano nemmeno le prostitute. Una sceneggiatura spettacolare, colpi di scena, canzoni e
ballate (tra queste molte delle più più famose della sua intera produzione) scritte dal
compositore Kurt Weill (1900-1950), assicuravano il divertimento del pubblico.

L'Opera da tre soldi fu uno strepitoso successo e allo stesso tempo uno scandalo enorme: la
differenza tra criminali e persone rispettabili sparisce del tutto in questa opera, i soldi rendono
tutti uguali, cioè corrotti. Tutto si concentra nel motto: "La pappatoria viene prima, la
morale dopo!" E quando uno dei protagonisti esclama: "Che cos'è l'effrazione di una
banca di fronte alla fondazione di una banca?" persino il borghese rideva, anche se forse
alla fine gli rimaneva l'amaro in bocca.

La musica di Kurt Weill che è un elemento importante dell'opera e che ha dato un notevole
contributo nel successo con il pubblico contiene molti elementi diversi: dal jazz alla musica di
intrattenimento, ma contiene anche elementi di opera lirica e di musica sacrale. Le ballate
"Lied der Seeräuber-Jenny", "Morität von Mecky Messer" fanno ancora oggi parte delle
melodie che si canticchiano un po' dappertutto.

L’Opera da tre soldi rivela una delle principali abilità dello scrittore di Augusta: quella di saper
confondere, ribaltare, mettere a soqquadro, fino poi a scardinare i valori di riferimento della
società capitalistico-borghese: in una parola, di straniare lo spettatore, facendogli vedere per
la prima volta le cose come non le ha mai viste..

Alla fine degli anni venti Brecht ha sviluppato la sua teoria del teatro epico che si avvale di una
particolare tecnica di recitazione, il cosiddetto effetto di straniamento che è diametralmente
opposta alla tecnica tradizionale che promuove l’immedesimazione dello spettatore. L’attore
sulla scena non dà luogo alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, egli mostra
il proprio personaggio, "mantenendo il contegno di chi si limita a suggerire, a proporre",
tenendosi a distanza dal personaggio e sollecitando lo spettatore alla critica del personaggio.

Moritat von mackie Messer da Opera da tre soldi


https://youtu.be/SHFXEPYU0FQ

Un sopravvissuto di Varsavia
di Arnold Schönberg
https://youtu.be/HuzYhq15Yrk
Nell’agosto del 1947, Arnold Schönberg, da anni rifugiato in USA e naturalizzato americano
(ebreo, viennese di nascita, era fuggito negli Stati Uniti nel 1933, appena Adolf Hitler aveva
conquistato il potere), compone quello che da più parti verrà considerato un monumento alla
Shoah: A Survivor from Warsaw, op. 46, oratorio per voce recitante, coro maschile e
orchestra.

In meno di sette minuti, Schönberg condensa orrore, disperazione, incubo, dolore, paura, quegli


stessi sentimenti che avevano provato i 450.000 ebrei concentrati nel Ghetto di Varsavia che tra il
1940 ed il 1943 erano stati sistematicamente trucidati con il crudele rito della decimazione.

Milan Kundera [scrittore, saggista, poeta e drammaturgo ceco naturalizzato francese] ha


scritto che “…si tratta del più grande monumento che la musica abbia mai dedicato
all’Olocausto“. E che “…tutta l’essenza esistenziale del dramma degli Ebrei del XX secolo è in
quest’opera viva e presente. In tutta la sua atroce grandezza. In tutta la sua bellezza atroce. Ci si
batte perché degli assassini non vengano dimenticati. E Schönberg, lo abbiamo dimenticato” .
(da Repubblica del 23 ottobre 2007).

Schönberg, ascoltato personalmente il racconto di uno dei pochi scampati dall’eccidio continuato
perpetrato dai tedeschi a Varsavia, decide di mettere in musica il breve racconto. Sceglie la forma
dell’oratorio, se pur brevissimo, con una voce recitante (il narratore), un coro maschile che
impersona i condannati e una nutrita orchestra. La tecnica di composizione è quella della
Dodecafonia, da lui stesso messa a punto, che si basa sull’uso dei dodici suoni della scala
cromatica in diverse forme e simmetrie e che si adatta molto bene a descrivere il senso si terrore e
straniamento che traspare dal racconto.

In un crescendo drammatico che culmina con il canto dello Shemà Israel, il credo ebraico, il
compositore condensa tutta la sua maestria nell’utilizzare i timbri dell’orchestra per descrivere i
momenti allucinanti della conta dei condannati.

L’opera fu presentata per la prima volta ad Albuquerque, nel Nuovo Messico dalla Civic
Symphony Orchestra nell’agosto del 1948, sotto la direzione di Kurt Frederick. La prima italiana
si è tenuta a Torino il 20 ottobre 1961 da parte del Coro e dell’Orchestra Sinfonica della RAI di
Torino.

Il testo è abbastanza semplice e non presenta grandi difficoltà di lettura e comprensione.

Arnold Schönberg, A survivor from Warsaw, op. 47

1. Introduzione strumentale (sola orchestra)


 
2. Introduzione del narratore
Inizia il racconto, l’uomo dice di non poter ricordare ogni cosa: era rimasto privo di sensi per la maggior
parte del tempo a causa delle percosse subite dai soldati; in questa breve introduzione ricorda il grandioso
momento (che corrisponde all’ultima parte di quest’opera) in cui i suoi compagni intonarono un canto
ebraico poco prima di portati via per essere uccisi nelle camere a gas.

Non posso ricordare ogni cosa. Devo essere


I cannot remember everything. I must have been rimasto privo di conoscenza per la maggior parte
unconscious most of the time. del tempo. Ricordo soltanto il grandioso
I remember only the grandiose moment when they all momento quando tutti cominciarono a cantare,
started to sing, as if prearranged, the old prayer they come se si fossero messi d’accordo, l’antica
had neglected for so many years the forgotten creed! preghiera che essi avevano trascurato per tanti
But I have no recollection how I got underground to anni – il credo dimenticato! Ma non so dire come
live in the sewers of Warsaw for so long a time. riuscii a vivere nel sottosuolo nelle fogne di
Varsavia, per un così lungo tempo.

3. Sveglia e conta degli ebrei – Percosse dei nazisti

Inizia la descrizione di una giornata nel ghetto di Varsavia: tutti venivano svegliati molto presto, prima
che sorgesse il sole. Erano stati separati da tutti i loro cari e nessuno sapeva che fine avessero fatto. Le
preoccupazioni tenevano sveglie le persone tutta la notte impedendo loro di dormire: il narratore lancia
un grido doloroso: “How could you sleep?” – “Come potevi dormire?”
Dopo la sveglia ognuno si doveva recare al punto di raccolta per la conta. Il sergente ha fretta e urlando
comincia a colpire i prigionieri con il calcio del fucile, imitato distanza dai propri aiutanti che non
risparmiano le loro percosse a nessuno. Tutti i prigionieri che non si potevano reggere in piedi erano
allora colpiti sulla testa: le urla di quelle persone sono marcate sia dalla musica che dalla voce narrante:
“It was painful to hear them groaning and moaning” – “Era doloroso sentirli gemere e lamentarsi“. Il
narratore, pronuncia le parole “groaning” e “moaning” come due deboli urla. In inglese,  il verbo “to
moan” possiede una sfumatura più leggera del verbo “to groan“: Schönberg ha voluto sottolineare in
questo punto la forte presenza di dolore ma anche la progressiva perdita di energie da parte delle persone
colpite con straordinaria ferocia dalle guardie naziste anche con una scelta appropriata delle parole.
The day began as usual: reveille when it still was
dark. Get out! – Whether you slept or whether worries Il giorno cominciò come al solito: sveglia
kept you awake the whole night. You had separated quando era ancora buio. Venite fuori! – Sia che
from your children, from your wife, from your dormiste o che le preoccupazioni vi tenessero
parents; you don’t know what happened to them – how svegli tutta la notte. Eravate stati separati dai
could you sleep? vostri bambini, da vostra moglie, dai vostri
The trumpets again – Get out! The sergeant will be genitori; non si sapeva che cosa era accaduto a
furious! They came out; some very slow; the old ones, loro – come si poteva dormire?
the sick ones; some with nervous agility. They fear the Di nuovo le trombe – Venite fuori! il sergente
sergeant. They hurry as much as they can. In vain! sarà furioso! Vennero fuori; alcuni molto lenti; i
Much too much noise, much too much commotion – vecchi, gli ammalati; alcuni con agilità
and not fast enough! The Feldwebel shouts “Achtung! nervosa.Temono il sergente. Si affrettano quanto
Stillstanden! Na wird’s mal? Oder soll ich mit più possibile. Invano! Molto, troppo
dem Gewehrkolben nachhelfen? Na jutt; wenn ihr’s rumore, molta, troppa agitazione – e non svelti
durchaus haben wollt!” abbastanza! Il sergente urla: Attenzione! Attenti!
The sergeant and his subordinates hit everybody: Beh, ci decidiamo? O devo aiutarvi io con il
young or old, quiet or nervous, guilty or innocent. It calcio del fucile? E va bene; se è proprio questo
was painful to hear them groaning and moaning. I che volete!”
heard it though I had been hit very hard, so hard that I Il sergente e i suoi aiutanti colpivano tutti;
could not help falling down. We all on the ground, who giovani e vecchi, remissivi o agitati, colpevoli o
could not stand up were then beaten over the head. innocenti. Era doloroso sentirli gemere e
lamentarsi. Sentivo tutto sebbene fossi stato
colpito molto forte, così forte che non potei
evitare di cadere.  Eravamo tutti stesi per
terra, chi non poteva reggersi in piedi era allora
colpito sulla testa.
 

4. Perdita della conoscenza


L’uomo perde conoscenza a causa delle percosse subite: tutto intorno a lui si fa silenzio perché nessun
prigioniero è stato risparmiato dalla ferocia dei soldati, e nessuno ha più le forze per rialzarsi. Ma il
silenzio porta con sé “fear and pain“, “paura e dolore”. Il narratore declama con straordinaria lentezza e
drammaticità le due parole: prima “fear“, seguita da una brevissima risposta, priva di forze,
dell’orchestra, poi “and”… a questo punto un breve silenzio è interrotto improvvisamente dalla parola
“pain“, molto marcata, ma pronunciata quasi senza fiato.
 
 
Devo essere rimasto privo di conoscenza. La
I must have been unconscious. The next thing I knew
prima cosa che udii fu un soldato che diceva:
was a soldier saying: “They are all dead”, whereupon
“sono tutti morti”, al che il sergente ordinò di
the sergeant ordered to do away with us. There I lay
sbarazzarsi di noi.  Io giacevo da una parte –
aside half-conscious. It had become very still – fear
mezzo svenuto. Era diventato tutto tranquillo –
and pain.
paura e dolore .

5. Conta dei prigionieri

E’ il drammatico momento della conta di coloro che, sopravvissuti alle percosse, devono essere portati
alle camere a gas: questo episodio viene accompagnato da una continua accelerazione del ritmo sino a
sfociare nell’inno di chiusura, un canto ebraico col quale i condannati hanno ancora la forza di
proclamare il loro credo religioso. Il momento è drammatico: i soldati devono contare – uno ogni dieci –
quante persone devono essere mandate alla camera a gas (**). La conta però non viene fatta bene, ed
allora il sergente ordina di ricominciare da capo: la conta riprende, partendo prima lentamente, poi
accelerando sempre di più, di più, creando un tumulto simile a “una fuga di cavalli selvaggi”. Da notare
la contrapposizione testo/significato, usata per marcare ancora maggiormente la drammaticità degli
avvenimenti. Quando il testo recita “became faster and faster, so fast that it…“, “divenne più veloce e
sempre più veloce, così veloce che…“, il narratore legge le parole “faster,… faster, …fast” in una maniera
particolare: invece di accelerare, come del resto procede la musica seguendo quello che è il significato
del testo, la voce narrante declama le parole che indicano un aumento di velocità rallentando e
fermandosi su di esse. L’effetto che si genera è di forte contrasto, poiché parole che esprimono un
significato di rapidità e di progressione veloce vengono messe in risalto attraverso la loro lettura
rallentata e marcata.

(**) In realtà nel ghetto di Varsavia non esistevano camere a gas. Probabilmente venivano
trasportati in campi di sterminio come Auschwitz. Il dato è quindi storicamente poco accurato;
probabilmente deriva dalla frammentarietà delle notizie che arrivavano negli USA
nell’immediato dopoguerra, man mano che si veniva a conoscenza di ciò che era accaduto.
L’imprecisione storica non toglie nulla alla drammaticità del brano

.Il racconto si conclude il crescere dell’intensità e velocità dei suoni, sempre più disordinati in cui si
perde la voce del narratore culminando nello “Shema Ysroël“, cantato dai prigionieri prima di essere
mandati nelle camere a gas (**).

Fu allora che udii il sergente che gridava:


“Contateli!”. Cominciarono lentamente e in
Then I heard the sergeant shouting: “Abzählen!” They
modo irregolare: uno, due, tre-quattro –
started slowly and irregularly: one, two, three, four –
“Attenzione!” il sergente urlò di nuovo, “Più
“Achtung!” the sergeant shouted again,
svelti!” “Cominciate di nuovo da capo! Fra un
“Rascher!” “Nochmal von vorn anfangen! In einer
minuto voglio sapere quanti devo mandare alla
Minute will ich wissen, wieviele ich zur Gaskammer
camera a gas! Contateli!”.
abliefere! Abzählen!”.
Ricominciarono, prima lentamente: uno, due, tre,
Then began again, first slowly: one, two, three, four,
quattro, poi sempre più presto, sempre più presto
became faster and faster, so fast that it finally sounded
tanto che alla fine risuonò come una fuga
like a stampede of wild horses and all of a sudden, in
precipitosa di cavalli selvaggi, e tutto ad un
the middle of it they began singing the Shema Ysroël.
tratto, nel mezzo del tumulto,essi cominciarono a
cantare lo Shema Ysroël.

6. Inno ebraico “Shema Ysraël”


Il coro intona all’unisono l’inno che vuole essere la coraggiosa risposta del fedele dinanzi alla cieca
brutalità dell’uomo e della guerra. Neppure nei momenti più difficili l’uomo dimentica la propria fede e
la propria speranza in Dio, fonte di amore e di pace.

Shemà Ysroël Ascolta Israele,


Adonoi, Elohenu, il Signore è il Dio nostro,
Adonoi echod; il Signore è uno.
Vehavto et Adonoi elohecho Amerai il Signore tuo Dio
bechol levovcho, con tutto il tuo cuore
uvchol nafshecho con tutta la tua anima
Uvchol meaudecho. e con tutte le tue forze.
Vehoyù had e vorim E saranno queste parole
hoéleh asher onochi metsavacho che io ti comando oggi,
hajom al levovechò sul tuo cuore
veshinantòm levonechò le ripeterai ai tuoi figli
vedibarto bom e ne parlerai con loro,
beschitechò, bevetecho stando nella tua casa
uv’lechetecho vadérech camminando per la via,
uvshochbecho quando ti coricherai
evkumechò. e quando ti alzerai.

   
 

Breve riflessone sul brano da parte di Moni Ovadia, scrittore, ricercatore, cantante e interprete di
musica etnica e popolare di vari paesi.

Il racconto di quel giorno, fatto appunto da un ebreo di Varsavia sopravvissuto alla strage, può
apparire a volte molto crudo: leggendo il testo e ascoltando la musica non possiamo evitare di
riflettere e meditare; la ferocia della persecuzione, la forza e la fiducia in Dio degli Ebrei, la
condanna di ogni tipo di fratricidio: tutto questo traspare chiaramente dalla musica e dal testo,
entrambi a forte impatto emotivo.
Schönberg attraverso questo lavoro vuole far comprendere l’assurdità della strage
antisemita: perché esistono odii fra gli uomini? Perché l’uomo opera distinzioni di razza, di colore,
di religione? Perché l’uomo uccide i propri simili? Non siamo forse tutti uguali? Non dovremmo
essere tutti fratelli?
Eppure più volte, nel corso della storia, l’uomo ha odiato, segregato, ucciso. L’opera “Un
sopravvissuto di Varsavia” deve allora aiutarci a non dimenticare ciò che è successo al fine di
non sbagliare nuovamente.
Il lavoro fu scritto nel 1947 e pubblicato negli Stati Uniti. Si pensi che solo in quegli anni successivi
alla Seconda Guerra Mondiale incominciarono a diffondersi le raccapriccianti notizie sui campi di
concentramento nazisti: lo stesso Schönberg aveva da poco appreso che in uno di questi mostruosi
“lager” era morto un suo nipote. Ciò spiega perché il pubblico, dopo che il brano fu presentato per
la prima volta, non applaudì, ma rimase assorto in silenzioso, stupefatto raccoglimento

MUSICA NELL’URSS: DAL MODERNISMO AL “RITORNO ALL’ORDINE”


- Alla Rivoluzione politica del ’17 si affiancò una parallela rivoluzione artistica che in
campo letterario e pittorico si espresse nel Futurismo di Majakovskij, in campo
musicale attraverso l’avvicinamento alle avanguardie occidentali (Schoenberg,
Berg, Stravinskij, i Sei francesi)
- Nasce l’Associazione per la Musica Contemporanea nel 1923 (Asaf’ev)
- La vita musicale completamente nazionalizzata conosce un notevole impulso:
orchestre, concerti, fattorie collettive (kholkoz). L’URSS divenne il centro più fertile
del modernismo (Skriabin Theremin)
- In questa prima fase si afferma il linguaggio innovativo del compositore S. Prokofiev
(Suite scita 1914, Sinfonia classica 1918) che andrà all’estero per consolidare la
sua fama di pianista e compositore (collaborazioni con Diaghilev in Storia di un
buffone 1920, Il figliuol prodigo 1929; L’amore delle tre melarance 1921;Passo
d’acciaio 1925)
- Sinfonismo epico (seconda e terza sinfonia) di Shostakovich; Il naso da Gogol; La
cimice da Majakovskij
- Dagli anni ’20 aumenta il dissenso verso il modernismo occidentalizzante
- Nasce l’Associazione Russa dei Musicisti Proletari (RAPM) nel 1923
(antimodernista, antioccidentale, contraria persino al jazz)
- Stalin promuove il piano quinquennale (1928) e una nuova rivoluzione culturale
(Gorkij e Zdanov):
a) La musica sovietica doveva essere convenzionale, non problematica,
rigorosamente tonale
b) Rigetto delle tendenze linguistiche decadenti (atonalità, dodecafonia)
c) Unione degli Artisti sovietici (1933)
d) Il realismo socialista si contrappose al formalismo e all’individualismo elitario
dell’arte occidentale
e) Utilizzo in senso nazionalista del folklore (sgradito però quando implicava
rivendicazioni centrifughe di alcuni stati sovietici): interiorizzazione creativa dei
canti popolari
f) Utilizzo della sinfonia come il più solido pilastro dell’edificio ideologico dell’URSS
(mezzo migliaio dal 1917 al 1989, 15 di Shostakovich)
- Per i compositori russi cominciò un periodo di repressione e censura
- Schostakovich fu il compositore più preso di mira dal regime (1936 articolo sulla
Pravda Caos anziché musica) soprattutto le due opere lady Macbeth nel distretto di
Mzensk 1932 e Il limpido ruscello. Anche i suoi balletti Il bullone e Il limpido ruscello
furono accolti negativamente e accusati dalla “Pravda” di formalismo
filo-occidentale La settima sinfonia (1941) fu l’opera della sua piena riabilitazione

Musica, teatro e balletto durante il “realismo socialista”

Stalin nei 24 anni di dittatura personale (1929-53) trasformò un paese agricolo in


potenza industriale, privilegiando nei piani quinquennali l’industria pesante. La sua
teoria del “comunismo in un solo paese” prevedeva la collettivizzazione
dell’agricoltura, la mobilitazione degli operai incentivati con premi. Una visione
statalista anche del teatro finì per subordinare l’interesse dell’artista al Partito e portò
ad un’eccessiva burocratizzazione dei meccanismi di formazione, produzione e
distribuzione dello spettacolo; all’appiattimento nell’elaborazione artistica e alla
totale chiusura all’esterno.
La teoria estetica del realismo socialista, sancita da Andrej Zdanov nel 1934 si fonda
sul principio leninista del “rispecchiamento della realtà” in rappresentazioni artistiche
capaci di promuovere la crescita dei lavoratori nello spirito del socialismo: contro il
pessimismo e l’individualismo della società borghese si deve affermare l’ottimismo e
la solidarietà del romanticismo rivoluzionario. Rinunciando al modernismo e al
formalismo, soggetti e coreografie non si presteranno a sottintesi: sport e ginnastica
rappresenteranno nei balletti l’energia dei giovani sovietici, temi e passi del folklore
la linfa vitale che proviene dal popolo. In teatro i ballerini sono prima di tutto dei
lavoratori e poi degli attori. Ma un affrettato giudizio su un periodo definito buio non
rende giustizia degli sforzi dei singoli artisti con i loro conflitti umani, poetici e
politici. La vita di musicisti come Shostakovich e Prokofiev, di coreografi come
Jakobson e Lopuchov riassume in sé le peripezie di artisti combattuti fra arte e
propaganda.

I balletti di Schostakovic (Il bullone 1931, Il limpido ruscello 1935), al pari di opere
come Lady Macbeth nel distretto di Mcensk , furono accusati di formalismo e di
“solleticare i pervertiti gusti del pubblico borghese con una musica urlante e
nevrastenica”.

Altri compositori furono più ligi alle direttive del partito (Chachaturian con la sua
celebre Danza delle spade del 1942 dall’opera Gajane; Afasiev, con l’opera Le
fiamme di Parigi ispirata alla rivoluzione francese)

Leonid Lavroski fu direttore dei principali teatri russi dal 1935 al 1964. I suoi balletti
aderiscono alle nuove tendenze del regime che caratterizzano gli anni dopo la
depressione economica del 1929, quando oltre a spettacoli propagandistici, viene
promossa la produzione di balletti educativi per divulgare tra le masse i classici della
letteratura universale. Per i russi furono preferiti i grandi scrittori Puskin e Gogol;
nella letteratura straniera si vide in Shakespeare il genio universale capace di
rappresentare ogni passione umana. Il capolavoro di Lavroskij è appunto tratto
dall’immortale storia shakespeariana di Romeo e Giulietta, con le musiche del grande
Sergej Prokofiev. Allievo di Rimskij Korsakov come Stravinskij e Diaghilev, aveva
rivelato la sua natura russa e il suo modernismo nelle musiche scritte per i Ballets
Russes (Il passo d’acciaio, 1925, Il figliuol prodigo 1929). Stimato all’estero come
pianista ma sottovalutato come compositore, al suo rientro definitivo in patria nel
1932, sentendosi investito di nuove responsabilità che venne a ricoprire, si abbandonò
alla sua vena lirica e al suo stile personale, che seppe però adeguare alla necessità di
chiarezza e di comunicazione con le masse , come richiesto dal Partito. Nella
riduzione di Romeo and Juliet di Shakespeare fu affiancato dal regista Radlov e dal
coreografo Lavrovskij: una lunga e travagliata collaborazione tanto che la partitura fu
ultimata nel 1936 e rappresentata a Brno nel 1938 e a Leningrado nel 1940.

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