L’INQUISIZIONE
in Europa, in Italia e in Sabina
Gianfranco Trovato
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L’ I N Q U I S I Z I O N E
Non è possibile eguagliare l’istituto della Santa Inquisizione a nessun’altra umana istituzione, e ciò per
insensatezza, efferatezza, crudeltà, ottusità e perversità.
Come è stato possibile che un credo religioso come quello cristiano che scaturisce, per sua stessa reiterata
e salda dichiarazione, dagli insegnamenti e dalla figura di Gesù Cristo il cui primo più grande
insegnamento è stato l’amore per il prossimo, la mitezza ed il perdono? Come è stato possibile che tale
credo abbia fatto atrocemente soffrire, seviziare e mandare ad orribile morte decine di migliaia di persone,
tra cui uomini, donne e bambini, non è cosa facile da comprendere.
Non si ha qui la pretesa di rispondere esaustivamente a tali domande, che richiedono più piani di
indagine, più categorie da esplorare, il supporto di diverse discipline e diversi secoli da studiare, e d’altra
parte gli studiosi mostrano le più varie e divergenti ipotesi in proposito.
Si tenterà almeno di inquadrare il problema, limitandosi ad intravedere cause e concause del fenomeno, e
quindi le strade che è necessario percorrere per avvicinarsi ad una maggiore comprensione.
No!, io credo, e spero che molti lo credano con me, che vi sono atrocità tali la cui quiescente accettazione
altererebbe quel concetto di “umanità” che Gesù stesso, e poi tanti altri grandi uomini ci hanno tracciato,
ma che comunque è, e deve essere, un concetto saldo, forte e connaturato in tutti “gli uomini di buona
volontà”, a prescindere da religione, etnia, cultura, censo ed epoca.
INTRODUZIONE
Dal 1100 circa al 1812 circa sotto i vari nomi che ebbe l’Inquisizione, tra i quali il più noto è quello di
“Santa Inquisizione”, furono arse sui roghi o uccise con altri sistemi circa 500.000 persone, secondo un
calcolo prudentemente ristretto, altri calcoli portano questa cifra a diversi milioni.
Incalcolabile è il numero di quanti furono esiliati, torturati, processati o che comunque subirono un danno
fisico, morale o economico a seguito dei sommari processi subiti.
Di queste vittime gran parte erano donne; su di esse infatti, soprattutto nei secoli XVI-XVII, si abbatté
ferocemente una persecuzione ceca e spietata, certamente perché sospettate di essere streghe, ma il fatto
grave è che tutte le donne, in quanto tali, si riteneva fossero facile preda del Demonio e perciò
potenzialmente streghe.
È possibile dare una spiegazione in qualche chiave razionalistica a tanta aberrazione? É quello che si
tenterà di dare in questo lavoro; lavoro che certamente sarà carente sotto tanti aspetti, innanzi tutto per la
necessaria sua stringatezza.
Ma ciò che si tenterà di dare in queste pagine non è tanto la dettagliata storia dell’Inquisizione, bensì si
tenterà di offrire una visione dei questo istituto attraverso gli occhi (e la carne!) di chi la subì; ciò
attraverso alcuni processi più o meno esemplari.
Va poi precisato che piuttosto che di Inquisizione sarebbe più giusto parlare di “inquisizioni”, perché un
istituto che abbraccia circa settecento anni, che si è sviluppato diversamente in paesi diversi ed ha avuto
motivazioni svariate, non può essere monolitico e di fatto non lo è.
L’INQUISIZIONE MEDIEVALE
L’INQUISIZIONE SPAGNOLA
L’INQUISIZIONE NELL’ EUROPA CATTOLICA E PROTESTANTE
L’INQUISIZIONE ROMANA
Dedicando a ciascuna le poche righe che i limiti connessi a questo lavoro concedono.
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Capitolo 1
L’INQUISIZIONE MEDIEVALE
L’Inquisizione medievale ha una chiara e netta connotazione: combattere gli eretici e le eresie che
numerose si andavano diffondendo in Europa. Ciò avviene molto prima che venga istituzionalizzata
l’Inquisizione nonché i suoi tribunali e metodi.
Tra l’XI secolo ed il XIII nel corpo della Chiesa Cattolica sorsero interpretazioni, impulsi e tentativi di
tornare ad un cristianesimo originale.
D’altra parte la Chiesa ed il papato offrivano uno spettacolo indegno di lussuria, sfrenatezza e lusso
ostentato, dando quindi vita per reazione a tentativi di seguire opposti modelli di religiosità.
Sia il potere secolare che quello religioso vedevano in questi movimenti sia un pericolo per la stabilità
sociale e quindi per il loro potere, sia ovviamente un pericolo per la saldezza della Chiesa Cattolica;
entrambi quindi erano interessati alla loro repressione.
Il primo rogo che si conosca sembra essere quello del 1022, quando il concilio di Orleans, cui partecipava
il re Roberto II di Francia, fece bruciare dieci canonici della cattedrale di Orleans che sembra
perseguissero un’eresia di tipo manicheo.
Tale eresia, che prende nome dal nobile persiano Mani del III secolo d.C, perseguita dai così detti catari,
riteneva che Iddio avesse creato tutto ciò che era celeste ed ultraterreno, mentre il Demonio aveva creato
tutto il mondo materiale. Se non si voleva cadere in un ciclo perpetuo di morte e rinascita nel mondo
materiale e quindi del Demonio, bisognava allontanarsi da tutto ciò che è terreno e materiale, rifuggire il
sesso, perseguire l’ascesi e la mortificazione della carne, solo così si sarebbe entrati nel mondo celeste e
quindi di Dio.
No ci è possibile proseguire nella disamina dei vari movimenti eretici sorti tra il’XI ed il XV secolo, si
tratterebbe di svolgere la storia delle eresie, basterà accennare ai catari ai valdesi, e ai catari della
Linguadoca chiamati albigesi, la cui repressione si accompagnava spesso a intrecci ed interessi politici.
Innocenzo III, divenuto papa nel 1198, affidò ai monaci cistercensi il compito di indagare sulle eresie ed
intervenire sia con la conversione che con la repressione; ma l’azione dei cistercensi non fu mai molto
incisiva.
Nel 1203, una missione del vescovo di Osma partì dalla
Castiglia diretta in Danimarca; tra i partecipanti vi era Domingo
Guzman di Calaruega, che sarebbe divenuto famoso come San
Domenico. Domingo rimase impressionato dalla vastità e
penetrazione delle eresie presenti nella Francia meridionale.
Maturò allora il progetto di fondare un ordine che con l’esempio
e la parola riconducesse all’ovile cristiano gli eretici. Sorse così
l’ordine dei Predicatori o Domenicani: i “cani di Dio”, come
amava precisare Domenico, coloro cioè che fiutano e stanano
l’eresia.
Nel quarto Concilio Laterano (Roma, 1215), si stabilì l’esatta
connotazione della fede cristiana e quindi stabilì le azioni da
intraprendere contro gli eretici impenitenti: scomunica,
sequestro dei beni, e consegna al braccio secolare per ricevere le
punizioni.
Papa Gregorio IX nel 1229 istituì la prima Inquisizione ufficiale,
affidando gran parte del compito repressivo ai Domenicani.
L’azione dei Domenicani nella Francia meridionale ed in Italia
fu di una crudezza inimmaginabile, tanto da attirasi l’ira delle
popolazioni ma anche dei governatori e regnanti. Non mancano
episodi di spietata efferatezza. Quando, dopo la sua morte,
Domenico fu canonizzato, l’ordine festeggiò l’evento con una
messa cui sarebbe seguito un pranzo; terminata la messa, giunse
ai Domenicani la notizia che un’anziana donna, sospetta catara,
era in punto di morte; essi lasciarono messa e si recarono dalla moribonda iniziando ad interrogarla,
questa credendo di avere di fronte prelati catari, confessò tranquillamente la sua professione eretica. A
quel punto fu presa con tutto il letto e arsa viva sulla piazza; dopodiché i monaci andarono a pranzare.
Certamente non tutte le azioni dei Domenicani furono così feroci ed arbitrarie, ma certo che si stentò a far
nascere una normativa organica ed omogenea a disposizione dell’Inquisizione e, anche quando questa vi
fu, come vedremo, prevarranno più le deroghe, le interpretazioni capziose, e troppo spesso, il completo
dispregio di ogni regola.
Intanto la repressione nel sud della Francia, promotore il re, si intensificava producendo centinaia di roghi
in cui bruciavano gli eretici.
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L’eresia catara allora si spostava con gli esuli verso la Catalogna. I re spagnoli vi videro subito un
pericolo e proclamarono l’eresia delitto di lesa maestà; vedremo le conseguenze di ciò.
Capitolo 2
L’INQUISIZIONE SPAGNOLA
EBREI E CONVERSOS
Gli ebrei fino ad allora avevano goduto di una certa
tolleranza e, come detto, l’Inquisizione non aveva alcun
potere, tuttavia presso il popolino venivano ritenuti
capaci di ogni nefandezza: sacrifici di bambini cristiani,
spargimento di pestilenze e via dicendo.
Così pure i conversos, che spesso occupavano alte
cariche pubbliche, venivano invidiati per tale posizione
ed odiati in quanto, pur convertiti, si supponeva che
fossero ancora ebrei.
Prima che fosse ufficialmente inserita l’Inquisizione vi
furono numerosi episodi di violenza contro i conversos,
come nel marzo 1473, quando furono uccisi o feriti
centinaia di conversos e molti dovettero fuggire in Italia
e Francia, le loro case bruciate e i loro beni
saccheggiati.
Vi era dunque in Spagna una certa instabilità sociale
che non poteva essere accettata dai regnanti i quali
avevano grossi problemi politici e bellici con il resto
dell’Europa; bisognava eliminare qualsiasi problema
interno.
Sollecitato dai regnanti spagnoli, Sisto IV il 1° novembre 1478 con una bolla concesse ai sovrani di
nominare alcuni inquisitori; l’11 febbraio del 1482 Sisto IV con altra bolla nominava altri inquisitori, tra
cui il frate Tomàs de Torquemada.
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Tra il 1481 ed il 1488 l’Inquisizione consegnò al braccio secolare circa 700 conversos, che furono arsi sul
rogo, mentre 5.000 furono “riconciliati”, ovvero riammessi nella Chiesa dopo più o meno lunghe
penitenze.
È del 6 febbraio 1481 il primo autodafé (atto di fede) avvenuto a Siviglia.
Numerose le proteste e le missive dirette a Sisto IV in cui si accusavano i giudici di interessi privati e
abusi. Certo è che i tribunali ed i giudici dell’Inquisizione traevano la loro sussistenza, ovvero il loro
tenore di vita, unicamente dai beni confiscati agli inquisiti.
Si poteva essere condannati, vale a dire arsi sul rogo, anche solo per aver cambiato la tovaglia il venerdì
(giorno prima del sabato ebraico) o per aver comprato carne da un macellaio Kosher (uccisione di
animali secondo i precetti ebraici) e condannati vuol dire arsi sul rogo, case e beni sequestrati, famiglie
distrutte e ridotte sul lastrico.
Il 31 marzo 1492 Ferdinando ed Isabella emisero l’editto di espulsione di tutti gli ebrei dalla Spagna
qualora non si fossero convertiti. Seguì la diaspora di circa 100.000 ebrei.
ISLAMICI E MORISCOS
Nel XV secolo in molte comunità (villaggi, borghi e quartieri) vi era una maggioranza, a volte totalità, di
moriscos che seppure erano battezzati cristiani, tuttavia continuavano innocentemente ad usare la propria
lingua, i propri usi e costumi, le proprie abitudini alimentari, non escludendo che alcuni in maniera più o
meno larvata continuassero a professare la religione islamica.
Essi subirono una sorte analoga a quella di ebrei e conversos. Da un’iniziale tolleranza si passò alla totale
intolleranza, con conversioni forzate, espulsioni, processi e roghi. Furono inoltre emanate leggi che
impedivano di parlare arabo, di frequentare bagni pubblici, di possedere il Corano e, insomma, di avere
uno stile di vita che facesse supporre l’aderenza all’Islam.
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Capitolo 3
L’INQUISIZIONE NELL’ EUROPA CATTOLICA E PROTESTANTE
Mentre, come visto, l’Inquisizione spagnola si occupava essenzialmente di ebrei moriscos e conversos,
quella europea, sia cattolica che protestante, si interessò certamente di eresie ed eretici;
ma soprattutto l’Inquisizione si accanì in modo particolare contro le supposte streghe o stregoni che
fossero, essendo giunto a compimento quello strano processo culturale che “inventò” quasi di sana pianta
il Sabba.
Forse si sono usati e si useranno in questa modesta dispensa troppo spesso aggettivi “estremi”, come
mostruoso, feroce, insensato, disumano ecc., ma trattando l’argomento è difficile non ricorrervi.
Ebbene quello della così detta caccia alle streghe è un capitolo tutto particolare in cui si sente il bisogno
di aggettivi ancora più estremi; cercheremo di limitarci dedicando appunto uno dei prossimi capitoli a
questo aspetto particolare dell’Inquisizione.
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Capitolo 4
L’INQUISIZIONE ROMANA
Capitolo 5
LA CACCIA ALLE STREGHE
Il Canon Episcopi, scritto da Reginone di Prün nel X secolo e introdotto con modifiche nei testi della
Chiesa nel XIII, che pur non dubitando dell’esistenza delle streghe, tuttavia metteva in guardia gli
inquisitori a non credere alle streghe volanti, ai loro sabba, e a tutta la relativa coreografia che in certi
ambienti si andava elaborando sulla stregoneria.
Nel 1486 nel Malleus Maleficarum si sostiene senza mezzi termini che è eretico che non crede ai sabba.
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Cosa era accaduto tra queste due date per giungere ad un simile ribaltamento? Vi sono spiegazioni
razionali per tale inversione di rotta?
Ancora oggi il dibattito è aperto tra gli studiosi delle varie discipline coinvolte nella disamina, tra le quali
psicologia, sociologia, economia e,
ovviamente, storiografia, ma si è
ancora lontani da un’unanimità di
vedute.
Qui verrà data la più diffusa e
accreditata spiegazione, avvertendo
che di certo non vi fu un unico fattore
scatenante, ma essi furono molteplici.
Caliamoci per un momento tra la fine
del Quattrocento e la fine del
Seicento: la situazione in Europa era
davvero poco allegra tormentata
com’era dalle ripetute epidemie di
peste bubbonica, dalle lunghissime
guerre, dalle ripetute carestie, dovute
sia alla peste che alle guerre ma
anche al peggioramento climatico
dovuto alla così detta “piccola
glaciazione” (900 d.C. – 1850 d.C.);
da ciò elevata mortalità infantile,
banditismo, fame e miseria. Si può
comprendere come in tali circostanze
qualsiasi società viva in uno stato di
tensione latente, pronta ad esplodere
in ogni momento e soprattutto pronta
ad individuare in un qualcosa di
fisico e alla portata della
comprensione dei più l’origine di
tante disgrazie, quale mezzo liberatorio dall’oppressione di un fato altrimenti incomprensibile; si tratta
insomma della ricerca del capro espiatorio.
Se questo era l’atteggiamento degli gli strati più bassi della società, presso la classe dominante,
ecclesiastica o laica che fosse, vi erano ben altri problemi, dovuti in gran parte alle paure che l’esperienza
della Riforma aveva portato, vale a dire rivolte contadine contro i signori, castelli bruciati, signori e
prelati uccisi o cacciati, il tutto culminato con la traumatica Riforma luterana, in seguito alla quale sia
l’Europa cattolica che quella protestante vivevano in una situazione di cittadella assediata, sensazione
acuita dopo che la Controriforma, come emersa dal Concilio tridentino, aveva definitivamente sancito la
demonizzazione dello scisma protestante e quindi la lacerazione incolmabile tra i due credi.
A seguito dunque della paura di perdere il controllo e quindi il potere sulle masse popolari che
inaspettatamente avevano mostrato una loro presa di posizione rispetto al potere costituito, si sentì il
bisogno di stringere o restringere il controllo su tali masse e certamente lo strumento già in uso e
collaudato dell’Inquisizione poteva offrire, ed offrì, una sostanziale soluzione al problema.
Si è accennato anche al fatto che spesso gli inquisitori vennero cacciati da molti comuni dove essi
stavano agendo, avendo destato il disgusto e la ribellione per le evidenti ingiustizie che essi
commettevano; fu la compattezza e solidarietà sociale di tali comunità che permise ciò.
Si doveva allora trovare il metodo per scardinare tale solidarietà, di affievolire la loro saldezza, di far sì
che ognuno guardasse l’atro con sospetto.
Certo non stiamo proponendo che la classe dominante si sia messa al tavolino per cercare una soluzione e
ne abbia quindi individuata in maniera razionale e scientifica una; si trattò invece di un processo
complesso e quasi inconsapevole, “quasi” in quanto se gli elementi costruttivi del processo vi entrarono
più o meno casualmente, il disegno complessivo fu ben chiaro a chi occupava i vertici del potere o
almeno ad alcuni di loro.
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femmine. Da notare che secondo tale visione la donna nella maternità è solo un ospite cui è demandata
l’incombenza della gestazione, ma è solo l’uomo il vero generatore.
In quanto essere imperfetto, la donna è facilmente preda del Demonio, ed avendo la donna una smodata
voglia sessuale, pur di soddisfarla si unisce con il Demonio, divenendo a quel punto un suo discepolo.
Questo è, in estrema sintesi, il principio su cui si baseranno tutte le successive costruzioni culturali circa i
sabba, i voli notturni, l’adorazione del capro nero, e via dicendo.
Ma le streghe esistevano? Possibile che credenze che portarono alla tortura ed al rogo decine di migliaia
di persone fossero tutte invenzioni?
In realtà qualcosa di vero c’era, vediamo cosa.
È ben noto quanto la superstizione e la credenza nella magia ancora oggi siano vive, basta aprire riviste e
televisione per esserne convinti. Nei secoli di cui stiamo osservando erano vivissime tra il popolo e
soprattutto nelle campagne tradizioni popolari antichissime, come pure, in assenza di medici e farmaci
efficaci, per curare qualche malattia ci si rivolgeva a donne che avevano conoscenze approfondite di
erboristeria, le quali nell’offrire ai pazienti il rimedio terapeutico a base di erbe l’accompagnavano con
frasi e gesti ritualizzanti. Il prestigio che esse godevano era spesso accompagnato da un certo timore,
ritenendo che esse potessero rivolgere il loro potere, se contrariate, contro chi le aveva in qualche modo
offese.
L’altra faccia della medaglia è che se qualcosa andava storto, se un animale si ammalava, se il raccolto
era stato scarso, se un figlio si ammalava, se si soffriva di impotenza o altro, esse erano le prime ad essere
sospettate.
È ovvio che in un situazione di crisi come era la situazione europea in quei secoli, tutto ciò si esasperava.
Quando poi qualcuno di potente ed altamente rispettabile come un sacerdote o un ottimate suggerivano
che erano le streghe la causa di tutto ciò, ecco pronto il capro espiatorio.
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IL VOLO DELLE STREGHE ED IL SABA DA UNA STAMPA DEL SEICENTO
Il bacio nel sedere, gesto di sottomissione Il Demonio battezza alla sua fede
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LE BASI DEI VOLI DELLE STREGHE E DEI SABBA
“Nato con la camicia” è un comune modo di dire che allude al “fato” benevolo che arride al soggetto
fortunato di cui si parla. I più attribuiscono alla frase un significato letterale, cioè di essere nato
indossando quell’indumento, ma non è così. La camicia in questione non era costituita di tessuto, bensì di
parte del sacco amniotico; quando un bimbo nasceva con frammenti del sacco amniotico aderenti alla
pelle, si vedeva in ciò un benevolo segno del destino.
Inoltre in gran parte dell’Europa centrale e dei Balcani il folklore popolare riteneva che tali fortunati,
chiamati “benandanti” nell’Italia settentrionale, avessero una sorta di privilegio nonché di dovere, quello
cioè di combattere tutto ciò che poteva influire negativamente sui raccolti. Tali credenze sono state
interpretate come retaggi arcaici dei riti di fertilità che si svolgevano nell’Europa preistorica.
Essi pertanto, in certe sere, dopo essersi addormentati erano convinti di recarsi in un luogo di raccolta e lì
combattere contro le forze negative, divenute con il cristianesimo diavoli e stregoni.
Carlo Ginzsburg, che ha messo in evidenza e studiato il fenomeno in alcuni suoi fondamentali testi: I
Benandanti e Storia Notturna , mostra con chiarezza come i processi dell’Inquisizione svoltisi nel primo
Quattrocento contro questi “nati con la camicia” si risolsero con la completa assoluzione o con qualche
leggera penitenza da scontare, mentre un secolo dopo, essendo venuto a compimento il percorso di totale
demonizzazione dei qualsiasi forma di devianza dai canoni religiosi, e con l’introduzione della tortura,
molti furono arsi sul rogo.
ESECUZIONI IN EUROPA
Tabella delle esecuzioni attestate con sicurezza dai documenti processuali. Va considerato che il numero
effettivo è enormemente più alto, data la distruzione, voluta o accidentale, di molti archivi
circoscrizionali, parrocchiali e diocesani.
(Da Levack, modificato).
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Capitolo 6
LE MOSTRUOSITÀ GIURIDICHE E MORALI DELL’INQUISIZIONE
IN QU IS IZ IO N E P ER S EN T IT O D IR E
Il concetto iniziale di giustizia, ereditato dal diritto barbarico, fu l’ordalia, ovvero la così detta prova di
Dio. Secondo questa visione l’imputato veniva costretto a camminare sui carboni ardenti, oppure a tenere
in mano un ferro rovente o a immergere un braccio in un liquido bollente, se dopo qualche giorno il
danno fisico era superato significava che Dio lo aveva aiutato e quindi l’innocenza dell’accusato,
altrimenti era ovviamente colpevole, vale a dire che erano tutti colpevoli.
A mitigare di molto tale aspetto giuridico assai poco razionale, vi era fortunatamente l’impostazione
procedurale secondo il metodo accusatorio, consistente nel fatto che si poteva sottoporre ad Inquisizione
un presunto colpevole solo se vi fosse stato un testimone accusatore, ed era a carico di costui l’onere di
portare prove irrefutabili della colpevolezza dell’accusato, pena il pagamento delle spese e altre penalità
da scontare; ciò faceva sì che ben pochi erano coloro che se la sentivano di accusare qualcuno.
Innocenzo III con due decretali del 1199 sancì che il dissenso dai dogmi della Chiesa doveva essere
considerato un crimine; sancì inoltre che l’accusa contro un supposto eretico poteva essere mossa, come
era già stabilito, da una sola persona, ma peggiorò di molto la situazione giuridica di un sospettato
introducendo la norma per cui bastava anche solo la fama pubblica che l’imputato godeva per avviare il
processo.
.Soffermiamoci con attenzione su quest’ultima possibilità, noteremo che essa eleva il “si dice...”, il “corre
voce...” a principio giuridico e penale. Va notato anche che mentre nelle cause civili occorrevano almeno
due testimoni d’accusa per dar luogo alla formale incriminazione dell’accusato, nella procedura
inquisitoria ne bastava uno.
Ebbene, si potrebbe pensare, certo che se “la gente” ritiene che Tizio o Caio siano in odor di eresia o
stregoneria, ci sarà pure una base di verità...
Per smontare tale subdola ratifica legale, vediamo i punti che seguono.
S T IM O LI A L L E FA LS E A C C U S E
Un potente stimolo alle false accuse era la norma secondo la quale l’accusatore, se l’accusato fosse stato
condannato o giustiziato, avrebbe goduto di una certa percentuale dei beni che sarebbero stai sequestrati
al condannato; non solo, ma qualora l’accusatore aveva dei debiti verso l’accusato, questi sarebbero
automaticamente risultati estinti!
Ma poniamo il caso che in una comunità “sana”, nessuno si sarebbe mai sognato di accusare
ingiustamente qualcuno per pura avidità (caso che riteniamo pessimisticamente pressoché impossibile),
ma in comunità, come accadeva in quei secoli, sottoposte a carestie, pestilenze, elevata mortalità infantile,
malattie, guerre, povertà e via dicendo, tali comunità erano sottoposte a tensioni altissime, sempre latenti
ma pronte ad esplodere al minimo evento critico. Vediamo a questo punto come agiva il Tribunale del
Sant’Uffizio.
ARRIVA L’INQUISITORE
Tale prassi è presa da uno dei più diffusi e seguiti manuali inquisitori, quello di Eymerich, ovvero il
Malleus Maleficarun.
Quando il Sant’Uffizio stabiliva che un borgo, una cittadina doveva subire il controllo contro eresie o
stregonerie, iniziava incaricando ufficialmente un Inquisitore.
L’inquisitore per prima cosa annunciava per lettera al parroco del borgo il suo arrivo previsto per un certo
giorno, scrivendo:
“ ...in virtù dell’autorità papale di cui siamo investiti in questi luoghi, Vi preghiamo, chiediamo ed
ordiniamo di annunciare al popolo, domenica prossima, che esso dovrà recarsi la domenica ancora
successiva nella chiesa cattedrale... così da ascoltare cose che riguardano l’ortodossia della fede”.
L’annuncio del parroco dato la prima domenica, già metteva in moto tutta una serie di meccanismi
psicologici, soprattutto iniziava a suscitare ansie, disagi e paure (tutti ormai conoscevano tristemente da
tempo le conseguenze dell’Inquisizione in una comunità.
“...ciascuno sappia che, se è venuto a conoscenza di parole o atti compiuti contro la fede, è tenuto a
rivelarlo all’inquisitore. Nessuno pensi che denunciare amici o compaesani sia una vergogna! Anzi,
questo è da considerarsi un gesto di meravigliosa obbedienza alla legge di Gesù nostro Signore. Per
ciò, evitando ogni confusione, si ascolti bene ciò che il notaio leggerà”.
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Nel silenzio totale dei fedeli radunati in chiesa il notaio saliva sul pulpito, apriva una pergamena e
leggeva:
«... Noi, con l'autorità del Papa di cui siamo investiti, in virtù della santa obbedienza e sotto pena di
scomunica, ordiniamo e stabiliamo a tutti e ad ognuno, laici, membri del clero secolare e del clero
regolare, viventi nei confini di questa città ed in un raggio di quattro miglia fuori le mura, che entro
sei giorni a partire da oggi, ci dicano se hanno saputo o hanno sentito dire che una qualche persona
sia eretica, conosciuta come eretica, sospetta di eresia o parli contro il tale o il tal altro articolo di fede
o contro i sacramenti o non si comporti come gli altri o eviti il contatto dei credenti o invochi demoni e
renda loro culto».
«Chiunque - Dio non voglia! - non si piegherà al nostro ordine di delazione - e trascuri così la salvezza
della propria anima - sappia che è sottoposto a scomunica. Chi invece ci aiuterà nell'espletare il nostro
compito, potrà lucrare tre anni di indulgenza. Il notaio, che vi ha letto queste ultime parole, ha appena
guadagnato, a sua volta, tre anni di indulgenza. Siate obbedienti, dunque, e non perdete l'occasione di
lucrare le indulgenze».
L’attenta regia perfezionata nel corso dei secoli mette a questo punto in atto una serie di meccanismi
psicologici atti a indebolire le volontà, aizzare le paure e dividere i singoli cittadini:
«L'autorità apostolica di cui siamo investiti ci consente di mostrare da subito la bontà del Signore:
perciò noi accordiamo una speciale grazia a tutti gli eretici, simpatizzanti di eretici, protettori di eretici,
sospetti di eresia, benefattori di eresiarchi, oggetti di quella diffamazione per la quale siamo giunti qui,
che si presenteranno spontaneamente a noi, entro il mese, senza attendere di essere denunciati,
accusati o arrestati. Ma non avremo la medesima misericordia più oltre».
“....io non sono certo eretico, tutti lo possono dire...; però.., certo ho bestemmiato qualche volta... e
poi tempo fa ho criticato con gli amici i comportamenti della curia, sarà grave, e se qualcuno di essi
mi denuncia? E poi quella volta che mio figlio era malato, non avessi mai chiamato la levatrice che
conosce anche le erbe, dicono che chi conosce le erbe è una strega...”.
In tali situazioni, chi è più pericoloso del pavido che vuole essere furbo? Immaginiamo che dopo i
ragionamenti di cui sopra il pavido fa una mossa che ritiene furba; dopo aver atteso che la chiesa si sia
pressoché svuotata, costui andrà dal parroco o meglio direttamente dall’inquisitore per confessarsi e
quindi assicurarsi, lui crede, l’immunità. Ma l’inquisitore intanto non è il confessore e quindi lo respinge
(pur avendo appuntato in un registro il nome dell’incauto) andrà quindi dal parroco. Ma tale agire ha
messo in moto un meccanismo pericoloso: l’inquisitore sa che quel parrocchiano ha qualcosa da dire o
nascondere, guai a lui quindi se non si presenterà in seguito. Poi l’ingenuo no sa, perché l’Inquisizione
non lo dice, che nei processi di eresia o stregoneria non è ammesso il segreto confessionale!
Inoltre i suoi concittadini lo hanno visto andare dall’inquisitore (basta che lo abbia visto uno solo!) e
cominceranno, ovvero qualcuno comincerà a chiedersi:
“...perché è andato dall’inquisitore? Che voleva dire? Chi voleva accusare? Forse me che mesi fa
abbiamo litigato? Mi vuole far passare dei guai? Che posso fare”?
A questo punto il dubbioso pensa anche lui di essere furbo e va anche lui dall’inquisitore, ma non per
confessare le sue colpe, bensì per dirgli che lui sa cosa voleva dirgli il suo compaesano, lui sa le colpe che
costui ha commesso...; poi farà una recita del tipo: ... ma che ho fatto! Ho tradito un amico, gli ho fatto
forse del male!..”
L’inquisitore conosce i suoi polli, lo consola, ma con parole assai inquietanti: “... non temere, hai fatto
bene, adesso va in pace, poi torna quando ti chiamerò e allora ricordati di non dimenticare od omettere
nulla delle cose che sai...”
e intanto annota nome e dettagli del colloquio nel suo registro.
Il pseudo-furbo delatore è perplesso: ma come, non bastava denunciare per avere la salvezza dell’anima
(e del corpo!) insieme a i tre anni di indulgenza?
Ma anche il delatore è stato visto a colloquio con l’inquisitore.
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È facile immaginare che presto, sull’onda montante dei sospetti, dubbi e intrighi, si sarà formata una coda
davanti la porta dell’inquisitore: ognuno vuole pararsi da delazioni altrui, ognuno vuole un occhio di
riguardo per se stesso denunciando altri!
Ma l’Inquisizione e l’inquisitore conoscono bene tutte queste infantili pochezze e sanno come estrarre da
simili paure e miserie morali consistenti frutti per la causa che perseguono. Gli appunti sul registro si
allungano parecchio.
Trascorso il mese di intervallo annunciato in chiesa e scaduti quindi i limiti di tempo della Grazia,
l’inquisitore comincia a chiamare quanti segnati sul registro, dando la precedenza a chi ritiene possa
essergli più utile, o perché più interessante o più importante.
Da ciascun colloquio emergono altri nomi sospetti, fatti insignificanti o significativi, venendosi così a
creare nel registro dell’inquisitore una ragnatela, o meglio una rete in cui pressoché tutta la comunità è
collocata.
I sospettati più seriamente, finiscono per sapere di esserlo, e nei vari colloqui pensano di cavarsela con
vari sotterfugi, tutti ampiamente previsti dal manuale di Emerych:
1 – Primo giuoco linguistico: alla domanda dell’inquisitore del tipo: “credi tu in questo sacramento (o
altra realtà cattolica)?; l’imputato pensa di cavarsela affermando: “se Dio lo vuole, lo credo”,
2 – Secondo giuoco linguistico: alla domanda di cui sopra l’imputato può invece rispondere ancora più
evasivamente: “ a cos’altro devo credere?”
3 – Finzione di estrema semplicioneria: alle domande l’imputato tende a trincerasi dietro un “...ma io
sono un poveretto, che volete che ne sappia di certe grandi cose?, ho moglie figli!, queste domande mi
confondono, non so che dire”.
5 – Santità: L’imputato manifesta una profonda umile e santa devozione, cercando di rispondere su un
piano di elevata misticità, di fatto non rispondendo
Ovviamente anche nell’inquisitore più smaliziato può nascere il dubbio sulla perfetta buonafede o
sull’effettivo malore o pazzia dell’imputato, ma l’Inquisizione ha un metodo infallibile per dirimere tali
dubbi: “...per esserne sicuri occorrerà torturare il pazzo, il malato o il santo, vero o falsi che siano:
sotto tortura la verità scaturirà”!
Capitolo 7
NORMATIVA GIURIDICA E PROCEDURALE NEI PROCESSI DI INQUISIZIONE
Sul piano giuridico e procedurale i processi di Inquisizione erano tutt’altro che una barbarie giuridica,
anzi, alcune delle prassi seguite in quei processi sono utilizzate anche nella moderna giurisprudenza. Va
tenuto conto, inoltre, che i tribunali ed i processi civili non erano meno duri e violenti dei tribunali
dell’Inquisizione, e forse lo erano di più.
Ma detto ciò si è appena sfiorato il problema, che se da un lato prettamente procedurale e giuridico tali
processi erano, forse, ineccepibili, tuttavia vi erano delle particolarità che, sebbene non gravissime prese
una per una, nel complesso sbilanciavano enormemente i processi a sfavore dell’accusato.
Proviamo ad elencarne alcune:
Bastava un accusatore per iniziare il processo, erano però necessarie almeno due testimonianze
perché vi fosse pienezza di diritto nell’agire contro l’imputato. Si è visto come era facile avere,
grazie alla catena di delazioni, più di un accusatore.
All’accusato non veniva mai svelato il nome dell’accusatore o degli accusatori, non vi era mai
confronto diretto.
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Dopo la deposizione degli accusatori, negli interrogatori successivi agli accusatori venivano letti
tutti i capi d’accusa, anche quelli deposti da altri, con la richiesta di confermare o smentire le
accuse mosse da tutti gli accusatori, con il risultato che le conferme finivano per superare di
gran lunga le accuse mosse inizialmente.
Durante il processo, che spesso durava anni, l’imputato viveva nel più totale isolamento, senza
alcun contatto – mai – con il mondo estero, familiari, congiunti ecc. Unico contatto era con la
freddezza glaciale degli inquisitori e, a volte, di qualche compagno di cella, a volte molto
pericolosa , come si vedrà nel processo a Giordano Bruno.
L’imputato aveva diritto ad un avvocato difensore, ma attenzione, esso era spesso nominato
dagli stessi inquisitori; ma quale avvocato avrebbe condotto con vigore una causa contro un
sistema così potente come il Tribunale della Santa Inquisizione, con il rischio di porsi lui stesso
in luce di sospetto eretico? Rarissime le coraggiose eccezioni.
Al condannato venivano sequestrati tutti i suoi beni, case, terreni, attrezzi ecc. (pensiamo alle
mogli e a figli del condannato!), ma quel che è peggio è che all’accusatore andava parte di
quanto sequestrato, e spesso le delazioni venivano fatte da chi aveva debiti verso l’accusato e
comunque per avidità. Il resto andava ai Tribunali dell’Inquisizione, che de facto e de jure
vivevano del sequestro dei beni dei condannati. Vi sono casi in cui vennero processate e
condannate, ovviamente virtualmente, persone decedute da tempo, ed agli eredi vennero
sequestrati comunque tutti i beni.
Quanto sopra sarebbe poco, se insieme a tutto ciò non vi fosse stata la pratica della tortura.
Capitolo 8
LA TORTURA
E veniamo alla più dolente trista e sconvolgente pratica della santa Inquisizione: la Tortura.
Prima di tutto c’é da chiedersi come ha potuto un istituto ispirato dalla figura di Cristo accedere ad un
simile crudele e violento sistema di procurare inimmaginabili sofferenze ad uomini e donne.
Si stenterà a credere, ma l’Inquisizione attingeva giustificazione e supporto giuridico e morale proprio
dalle parole di Gesù.
Erano infatti riusciti a trovare nel Vangelo secondo Giovanni (15, 6), l’unico verso in tutti e quattro i
Vangeli che mostra una vaga e latente crudezza; solo menti contorte e in malafede hanno potuto ritenere
che tale verso desse indicazioni su comportamenti violenti da utilizzare contro “colui che non dimora in
me”.
Ma anche l’Antico Testamento veniva citato come precisa indicazione all’Inquisizione; non aveva infatti
il Signore Dio nella Genesi indagato Caino nelle forme di un processo ante litteram?.
Si potrà obiettare che e in altre parti della Bibbia è scritto esplicitamente che le streghe devono essere
uccise:
“non lascerai vivere la fattucchiera” (Esodo 22,17)
Secondo il diritto romano nessun uomo libero poteva essere sottoposto a tortura, solo gli schiavi. Ciò
rimase giuridicamente valido (solo giuridicamente però!) fino al Duecento, quando, con un incredibile
regressione giuridica, la tortura tornò ad ammessa anche per gli uomini liberi
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Fu Innocenzo IV ad autorizzare l’uso della tortura nei processi di Inquisizione con la bolla, dal titolo
parlante, ad Extirpanda, del 1252.
Anche sulla tortura vi è una lunga storia ed un’ampia letteratura, qui accenneremo alle tecniche e agli
strumenti più in uso dal Duecento al Settecento.
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MASTECTOMIA: alcune torture erano elaborate non solo per infliggere dolore fisico, ma anche per
sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di queste. La carne delle donne era lacerata
per mezzo di tenaglie, a volte arroventate. Uno dei più orribili casi noti in cui fu usata questa tortura era
quello di Anna Pappenheimer. Dopo essere già stata torturata con lo "strappado", fu spogliata, i suoi seni
furono strappati e, davanti ai suoi occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi figli adulti. Questa
vergogna era più di una tortura fisica; l'esecuzione faceva una parodia sul ruolo di madre e nutrice della
donna, imponendole un'estrema umiliazione;
ACQUA INGURGITATA: l'accusato, incatenato mani e piedi ad anelli infissi nel muro e posato su un
cavalletto, è costretto a ingurgitare più di NOVE litri d'acqua, e ancora altrettanti se il primo tentativo non
risulta convincente, per un totale di DICIOTTO litri.
PULIZIA DELL'ANIMA: era opinione diffusa in molte zone che l'anima di una strega o di un eretico
fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al mondo. Per pulirla prima del giudizio,
qualche volta le vittime erano forzate a ingerire acqua calda, carbone, perfino sapone. La famosa frase
"sciacquare la bocca con il sapone", che si usa oggi, risale proprio a questa tortura;
IL TOPO: Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito nella vagina o nell'ano con
la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l'apertura veniva cucita. La bestiola,
cercando affannosamente una via d'uscita, graffiava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati. Chissà
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come i disgraziati riuscissero a sopportare il terrore provocato alla sola vista del topo che da li a poco
sarebbe entrato nel suo corpo
TURCAS: questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Nel 1590-1591 John Fian è stato
sottoposto a questa e altre torture in Scozia. Dopo che le sue unghie vennero strappate, degli aghi furono
inseriti nelle sue estremità;
VEGLIA: consisteva nel privare del sonno gli accusati. Matthew Hopkins la usava in Essex. La vittima,
legata, era costretta a immersioni nei fossati anche per tutta la notte per evitare che si addormentasse.
SPILLONE: Non veniva nemmeno considerato una tortura ma un semplice mezzo d’indagine. Vi era
infatti la convinzione che sul corpo delle streghe e stregoni vi fosse il “marchio del Demonio” , vale a
dire una piccola particolarità, come un neo, un porro, una voglia ecc, che se punta non era sensibile al
dolore. Se mancava un segno visibile, si pungeva il corpo del disgraziato in ogni centimetro fino a trovare
il punto sensibile. La vittima dopo qualche tempo era costretta a dire che un punto non faceva male, pur di
far cessare quel tormento.
Capitolo 9
LE ESECUZIONI
Nei seicento anni di Inquisizione furono ideati numerosi perversi modi di uccidere facendo soffrire il più
possibile la vittima, tra cui l’impalamento, il segare a metà il condannato, l’annegarlo e via dicendo; ma i
metodi più largamente usati furono il rogo, l’impiccagione ed il dissanguamento.
ROGO: una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per mezzo di roghi, un destino
riservato anche agli eretici. Il rogo spesso era una grande manifestazione pubblica. L'esecuzione avveniva
solitamente dopo breve tempo dall'emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una strega era preceduto
da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega veniva strangolata, avendo cura di farla rimanere in
uno stato di stordimento; il suo corpo, a volte, era immerso in un barile di catrame prima di venire legato
a un palo e messo a fuoco. Se poi, per qualche fortuita coincidenza la strega fosse riuscita a liberarsi dal
palo e ad uscire dalle fiamme, la gente la respingeva dentro.
DISSANGUAMENTO: era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere annullato dal
dissanguamento o dalla purificazione, tramite fuoco, del suo sangue. Le streghe condannate erano
"segnate sopra il soffio" (sfregiate sopra il naso e la bocca) e lasciate a dissanguare fino alla morte.
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FORNO: questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e
assomiglia ai forni crematori dei nazisti. La differenza era che
nei campi di concentramento le vittime erano uccise prima di
essere cremate. Nel XVII secolo più di duemila fra ragazze e
donne subirono questa pena nel giro di nove anni. Questo
conteggio include anche 2 bambini;
SEGA: terribile
metodo di
esecuzione
applicato, nella
maggior parte
delle volte, agli
omosessuali. Il
condannato
veniva appeso a
testa in giù con
le gambe
divaricate e con
una sega veniva
tagliato in 2
verticalmente.
Veniva tenuto a testa in giù affinché il dissanguamento fosse
più lento e perché il maggior afflusso di sangue al cervello
acuisse la sensibilità al dolore. Pare anche che la vittima
restasse cosciente finché la sega arrivava al cranio;
PRESSA: anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte. Adottata come misura
giudiziaria durante il XIV secolo, raggiunse il suo apice durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne
abolita nel 1772.
Capitolo 10
I LIMITI GIURIDICI ALLA TORTURA E LE VIOLAZIONI
Certamente l’uso della tortura era regimentato da norme giuridiche precise; vi erano quindi dei limiti
previsti per la tortura:
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Non potevano essere torturate donne in cinta
La tortura non doveva essere di tale intensità da uccidere l’inquisito
Se tali norme fossero state rispettate non vi sarebbe stato il massacro di centinaia di migliaia di persone e
la caccia alle streghe non sarebbe mai avvenuta, ma... Già, vi è un ma. Quando si sa di avere mano libera
e di combattere per una “santa” causa, ogni perversione è lecita, vedi il drammatico recente esempio
delle torture inflitte agli iracheni a Guntanamo.
Il primo punto era brillantemente superato stabilendo che le numerose sedute di tortura non erano diverse,
ma era la stessa seduta che continuava. Circa poi la norma di massimo un’ora si sanno numerosi casi di
torture prolungate anche di 14 ore.
Tutte le norme venivano allegramente violate, così furono torturate donne in cinta, e innumerevoli sono
coloro che morirono sotto tortura.
Basta poi leggere questa dichiarazione fatta nel 1631 dal boia ella città tedesca di Draissigacker nel corso
di un processo ad una strega:
«Io non ti torturerò per uno, due, tre, nemmeno otto giorni, e nemmeno poche settimane, ma
per sei mesi o un anno, per tutta la tua vita, finché non confesserai: e se non confessi, ti
torturerò a morte, e dopo sarai bruciata».
Non mancarono voci di persone illuminate che contribuirono a far cessare la caccia alle streghe, come
questa del gesuita Friedrick von Spee, che di processi alle streghe aveva avuto grande esperienza, avendo
assistito centinaia di donne, tra cui bambine, mandate al rogo, e che nella Cautio criminalis (1631, guarda
casa lo stesso anno della dichiarazione del boia sopra riporatata) afferma:
«Ma perché cerchiamo tanto affannosamente le streghe? Andiamo, giudici, vi dirò io, in quattro e
quattr'otto, dove sono. Prendete i Cappuccini, i Gesuiti, e tutti i religiosi, torturateli, confesseranno. Se
alcuni di loro negano, ripetete tre o quattro volte la tortura, confesseranno: se si dimostrassero ostinati,
esorcizzateli, rapateli: si servono di arti magiche, è il diavolo che li rende insensibili. Andate avanti
imperterriti, alla fine confesseranno. Ma se non vi basta, mettete le mani sui prelati della Chiesa, sui
canonici, sui dottori, confesseranno. Come potrebbero resistere questi poveri infelici, delicati come sono?
Se ancora non vi bastano, ci penserò io a torturare voi, e poi voi torturerete me: Sono sicuro che
confesseremo tutti. Così saremo tutti colpevoli di magia».
«Le detenute possono ben piangere, parlare, spiegare il proprio caso, smantellare le basi dell'accusa, o
anche solo chiedere di essere ascoltate. (...) È inutile, si trovano di fronte solo statue insensibili che si
animano soltanto per continuare a rinfacciare loro di essere delle streghe o, quasi fossero tutte colpevoli, a
chiamarle con i peggiori epiteti come: testarde, cocciute, sporche puttane, invasate. (...) Come se non
bastasse, questi sacerdoti non fanno altro che spingere continuamente giudici, carcerieri e guardie ad
inquisirle e a torturarle spietatamente (...) che quindi è certo il demonio che serra loro la bocca (...) che si
giocherebbero la testa che quelle sono vere streghe, e via di questo passo, senza ritegno».
«Dicono i giudici: alcune si sono riconosciute colpevoli senza tortura. Ho ascoltato con le mie orecchie, e
non una sola volta, giudici e sacerdoti fare affermazioni del genere, ...È incredibile fin dove si spinge la
licenza nel linguaggio. Quando poi mi proposi di vedere come stavano veramente le cose, mi accorsi che
tutte erano state torturate. Si trattava solo di una grossa morsa di ferro con punte acuminate applicata agli
stinchi, parte sensibilissima, e con forza tale che la carne sprizzava sangue dai lati e vi restava pressata
come una focaccia. (...) Eppure, costoro affermavano che si era trattato di confessione senza torture. È
questo che diffondono in mezzo alla gente».
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Capitolo 11
I PROCESSI
Addentrandosi in alcuni dei processi promossi a più titoli dall’Inquisizione, non si potrà che constatare, il
più delle volte, della correttezza della prassi procedurale, spesso assai più corretta dei processi tenuti dai
giudici del braccio secolare per reati comuni.
Regolare si, ma finché nell’iter sopraggiunge la tortura, e ciò non tanto per le sofferenze che essa reca,
ma alla stortura giuridica che essa arreca.
Parigi, 1390 – Un caso complesso che rivela un mondo di povertà fisica e morale straziante. L'amante di
Macete, invece di sposarla come le aveva promesso l'ha abbandonata per fuggirsene in Spagna con
un'altra donna di malaffare.
Macete produce un incantesimo: ella ha appreso a memoria l'esordio del vangelo di Giovanni, e per mez-
zo di questa formula, recitata ad alta voce, riesce a mettersi in contatto con un diavolo, di nome
Haussibut. L'amante torna da lei, rifiutando comunque di sposarla.
Macete rinnova la fattura, rendendola più potente, con l'aiuto di cera e pece, con le quali compone una
pastella che spalma per tre notti di seguito, tra le scapole dell'amato, evocando Satana.
L'uomo cede, infine, e la sposa. Ma non sboccia l'amore. Gli anni che seguono sono difficili. Lui la
maltratta, la picchia.
Macete non sa fare altro che rivolgersi, per l'ennesima volta, al suo diavolo: la cera e la pece vengono
nuovamente impastate, questa volta per foggiare una figura di bimbo, che ella mette a galleggiare sulla
paglia, in una pentola d'acqua bollente.
Macete continua ad essere percossa e maltrattata. Eccola, allora, disperata per la campagna a rincorrere
rospi, che infilza con aghi, fino a farne scempio.
Il marito la maltratta, nonostante tutto, finché, probabilmente deciso a liberarsi di lei, dice di averla colta
sul fatto egli stesso e la denuncia all'Inquisizione.
Il marito produsse prova della colpevolezza di Macete: un rospo morto. Sulla base di questa
inoppugnabile prova Macete fu arsa viva.
Figlia naturale di Angelo Orsini, Nasce a Collevecchio, ove riceve una certa istruzione. Viene messa a
servizio della famiglia Orsini nel castello di Monterotondo.
Qui Isabella conosce Lucia De Lorenzo di Ponzano, esperta nell’arte erboristica, che le trasmette le sue
conoscenze. Isabella diventa così un’apprezzata terapeuta, chiamata anche da preti e cardinali; tra l’altro,
per meglio esercitare la sua arte, è entrata a far parte dell’ordine dei francescani, come lei afferma: “... me
so vestita de questo ordine de santo Francesco benedecto...”; ed è molto orgogliosa della sua Arte e di un
“olio fiorito” di su invenzione.
Su Isabella si addensano una serie di sospetti e di accuse di maleficio, tanto che il giudice di Fiano,
Marco Callisto da Todi, è costretto ad aprire l’istruttoria a suo carico.
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«Staenno male un mio nipote, che si domandava Angilo. Per la sua infermità io andai ad Collevecchio per dicta
Bellezza ad ciò venisse ad medicare e guarire, perché era stato streato o da lei o da altri (...) e el nostro Angilo
morse».
Ma il paese è piccolo... e così Isabella viene a conoscenza di quanto si sta addensando su di lei e tenta di
fuggire, ma viene arrestata e condotta nel castello di Fiano, ove nel primo interrogatorio le viene chiesto
se conosce le ragioni del suo arresto, ed Isabella prova a fare “la furba”:
«Io non so perché me ce stia iqui. Penso che vogliate io medichi qualcuno.(...) Curo e medico ogni male, ogni
infirmità, so guarire doglie francese, ossa rotte, chi fosse adombrato da qualche ombra cattiva, e multe altre
infirmità. Non feci mai se non bene, e per far meglio me so vestita de questo ordine de santo Francisco
benedecto (...) quanto ne ho guariti con certo olio che io ho: se domanda olio fiorito. (...) Io ho un libro di 180
carte, dove stanno tucti li secreti del mondo, boni e captivi. Con quello ho imparato e insegnato ad altri, e
imprestatelo a grandi maestri e signori. Lo voglio imprestare anche a vuj, e beati vuj che starete in grazia de
patroni, e tucto quello che desiderate, haverete».
Per indurla a confessare le fanno vedere gli strumenti di tortura che verranno usati su ddi lei se non confessa.
Isabella ne rimane sconvolta, tanto che tornando in cella tenta il suicidio.
Sollecitata nuovamente e forse torturata, ma ciò no risulta dagli atti, poiché la confessione che rilascia sembra
una resa su tutti i fronti e troppo attinente agli schemi inquisitori:
«Me voglio confessar de ogni cosa (...) che ogni volta che voliva guastare uno homo o una donna di farlo stentare
infermo o di farlo morire, che pigliasse un mammolo (neonato, ndr.), che fosse nato morto, dalla madre, e se
fusse stato sotterrato lo scavasse, e poi pigliasse de lui tucte le parti de membri, de ogni cosa un poco (...) e
facessene composizione de tucte queste cose insieme e mettessele a seccar al fumo e poi se ne fa polvere. E
questa polvere se butta addosso alle persone (...) basta se voli (che si derideri, ndr.) che mora o stenti, como voli
(come si vuole che accada, ndr.), cusì fa effecto...
E cusì el cominciai adoperare in Colevecchio, a istanza de un mio amico (...) che mei fece guarire el cardinale
Ursino (si tratta di Giambattista Orsini). (...) E per guarire tal cosa, me imparò che facesse olio fiorito in questo
modo: bisogna bavere de tucti li fiori che ingenera la natura de tucti arbori e tucti quilli che fanno herbe. (...) E con
quest'olio io o guarito (...) per tucto el mondo, fino a Zara, e per mare, in Roma e per tucto».
Ma i giudici non sono contenti, vogliono avere ampio materiale per condannarla a morte, così viene
torturata ripetutamente con il supplizio della corda. Ovviamente Isabella “confessa”:
«...scioglieteme, che ve voglio dire el vero d'ogni cosa. È vero che io so strea: ho facto ogni male.. » ecc.
eccc.
Segue una confessione che comprende tutti gli stereotipi dei manuali inquisitori. Ella quindi va alla noce di
Benevento (!), si sottomette al Demonio, dissottera il corpicino di un neonato e gli taglia la testa per farne
unguenti, si unisce carnalmente con il Demonio, il quale però “...usa al canto dereto, perché non pò fare davanti,
ma non butta niente, e faccio più volte..”, utilizza un gatto per fare malie nelle case, fa ammalare o impazzire
diverse persone, e via dicendo.
Dopo la confessione, Isabella sa d che la sua sorte è segnata, sicuramente sarà sottoposta ad altre torture e poi verrà
arsa viva. La poveretta no resiste, estrae un chiodo da qualche mobile della sua cella e con questo per due volte si
ferisce la gola:
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...noctis tempore, cum uno chiodo vel clavo se percussit in gula duabus percussionibus cum
maxime maxime sanguinis effuctione, et remansit quasi semi mortua.
I giudici, forse timorosi della loro condotta e per giustificare il loro operato, vogliono che la moribonda confessi che
il suo suicidio è stato ispirato da Diavolo:
Item supradicta interrogata dixit tentata a diabolico spiritu se voluit occidere et non putavit plus
ultra nisi carere et evadere de hoc mundo. (E così, interrogata la sopradetta, disse di essersi
voluta uccidere tentata dal demonio, e non pensò più a volere altro che a lasciare questo mondo,
ndr.).
Giustizia è fatta!
Nato a Nola nel 1548. A diciassette anni, nel 1565, diventa novizio
dei Domenicani. Nel 1573 viene ordinato sacerdote e nel 1575 si
laurea in teologia. Nel 1576 abbandona l’ordine, la “prigione angusta
e nera” e fugge aRoma. Nel 1579 è a Ginevra dove aderisce al
calvinismo; poco dopo viene processato per aver parlato male di un
esponente calvinista. Viene ammonito. Dal 1579 al 1581 è in in
Francia dove diviene lettore di filosofia in varie università, tra cui
quella di Parigi, preceduto dalla fama del suo enorme sapere e della
sua incredibile memoria (semiosi infinita). Re Enrico III resta
affascinato da Giordano e gli assegna una cattedra sl College de
France, entusiasmando i suoi allievi. Ovviamente con le sue idee si
mette contro gli ambienti clericali. Nel 1583 - 1590, data la situazione
pericolosa che si sta creando contro di lui, sbarca in Inghilterra e negli
anni successivi gira per la Germania.Intanto ha pubblicato le sue
opere fondamentali: la cena delle ceneri, De la causa principio uno,
De l’infinito universo e mondi. Nel 1590 è a Francoforte, dove viene
raggiunto dall’invito di un nobile veneziano, Giovanni Mocenigo, un
giovane di 33 anni che avendo letto un’opera di Giordano vorrebbe
averlo come docente privato per apprendere la sua arte.
Giordano Bruno accetta e ne 1591 è a Venezia, non è ben chiaro
perché, trattandosi di tornare in un territorio che, ancorché con una
sua autonomia da Roma, tuttavia è soggetto all’Inquisizione.
Probabilmente per una miscela di pulsioni ma soprattutto perché
voleva avvicinarsi prudentemente verso Nola, poi perché con ingenuità pensava che la sua conoscenza astrologica
lo avrebbe protetto o almeno avvertito dei pericoli – ciò ci insegni sulla bontà dell’astrologia!.
Il Mocenigo, presuntuoso, collerico, vendicativo, spocchioso e profondamente ignorante, si aspetta che avendo
Giordano “al suo servizio” e quindi pagandolo, semplicemente gli trasmetta tutta la sua sapienza e le sue
conoscenze; inoltre è roso dall’invidia per la mente eccelsa del Nolano. Il Mocenigo non nascondeva con
conoscenti che non appena avesse avuto il più possibile da Giordano, lo avrebbe denunciato al Sant’Uffizio.
Giordano, stanco del suo falso discepolo, manifesta l’intenzione di tornare a Francoforte. La notte de 22 maggio
Giordano sta dormendo nel suo letto, quando irrompono il Mocenigo con 5 gondolieri ed un servitore, lo afferrano
e lo rinchiudono in un solaio da cui è impossibile fuggire. Il Mocenigo lo minaccia che se non rinuncia a partire lo
denuncerà all’Inquisizione. Giordano infuriato non prende sul serio la minaccia e rifiuta. Il Mocenigo che forse
sperava di aver domato Giordano è preso in contropiede; ma a questo punto procede nel suo ignobile intento. Il
mattino dopo il Mocenigo manda a chiamare un capitano di giustizia e alle 3 del sabato 24 maggio 1591 Giordano
Bruno è rinchiuso nel carcere del tribunale del Sant’Uffizio. Il Mocenigo, vile e spregevole, ha paura di ciò che ha
fatto, ha paura di Giordano e paura del Sant’Uffizio, per questo oltre alla prima denuncia nei giorni seguenti, sia
aggiungendo particolari che inventando o distorcendo parole di Giordano, depone altre due denunce; ma già la
prima contiene elementi micidiali:
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«...che lui è nemico della messa; che niuna religione gli piace; che (lui ha affermato) che non vi è distinzione
in Dio di persone...; che il mondo è eterno et che sono infiniti mondi...; che la Vergine non può aver
partorito...; che bisognerebbe levar le entrate ai frati...» e così via.
Il 26 maggio Giordano viene ascoltato per la prima volta dai giudici. Egli è cosciente di ciò che rischia, e ha già
fatto una scelta: vivere!, tornare libero!, continuare i suoi studi! Ma con amarezza sa che questo vorrà dire doversi
piegare, essere umile davanti ai giudici.
Il 29 maggio Mocenigo aggiunge un altra denuncia con ulteriori frasi udite dire da Giordano. Vi è inoltre
l’aggravante che l’accusato ha passato mesi e anni in paesi in cui regna l’eresia protestante.
Giordano imposta la sua difesa asserendo di non aver mai aderito al protestantesimo e anzi di non essersi mai
occupato di religione, ma di filosofia, e quindi di seguire la filosofia naturale, e questo, ammette, può averlo messo
in posizioni diverse da quelle che la Chiesa vede. Mostra cioè una certa ingenuità, come se gli Inquisitori già
capissero la differenza tra scienza e religione: no! Le sacre scritture e i testi religiosi hanno già detto tutto sulla
natura, cercare oltre è eresia!
Viene interrogato ancora il 2 ed il 3 giugno ed in questi interrogatori gli inquisitori usano le tecniche contrapposte di
blandizie e minacce: “...si vuol pregar e supplicar con ogni affetto... che continui a scaricarsi la coscienza..” e il
giorno dopo: “se perseverà ostinatamente in negar... non ne avrete a maravigliare se si procederà contro di voi...”.
Vi è una lunga sosta negli interrogatori – anche questa è una tecnica dell’Inquisizione . Giordano sa di dovere
giungere prima possibile a conclusione, costi che quel costi alla sua dignità, per tema che il processo venga trasferito
a Roma, sede assai meno tollerante di quella veneziana.
Il 30 luglio 1592 subisce un altro interrogatorio, in cui gli vengono più volte ripetute le stesse domande già poste in
passato. É chiaro che i giudici sanno di avere tra le mani un caso particolare ed un uomo diverso da altri, si
muovono quindi con una certa cautela e vogliono essere sicuri delle cose che giordano risponde.
Giordano gioca il tutto per tutto e si mostra contrito: “ Può essere che io in tanto corso di tempo habbi ancor errato et
deviato dalla santa Chiesa... Ho confessato e confesso ora li errori miei...” e si getta in ginocchio davanti ai giudici:
“...domando perdono al Signor Dio ert alle Signorie Vostre illustrissime de tutti li errori da me commessi...”
I Giudici rimangono certo impressionati, e invitano più volte l’imputato ad alzarsi. Tuttavia, data l’importanza del
caso, non se la sentono di prendere decisioni autonome e, come vuole Roma, inviano gli atti al Sant’Uffizio romano
che, com’era immaginabile, avoca a se gli atti processuali.
Il 27 febbraio 1593 Giordano entra nel tristemente noto carcere del Sant’Uffizio non lontano dal Vaticano.
Nell’autunno 1592 avviene un fato esiziale per la sorte di Giordano, accade infatti che un cappuccino, tale Celestino
da Verona, compagno di cella di Giordano a Venezia, ritenendosi danneggiato da certe affermazioni di Giordano,
ma in realtà per pura invidia, lo accusa di frasi ingiuriose contro la figura di Gesù, contro la Chiesa e la religione
cattolica. Inoltre Celestino invita a deporre altri tre detenuti i quali, certo per ottenere riguardi dall’Inquisizione,
sostengono le accuse
Il fatto è gravissimo perché questa volta vi sono più testimonianze contro Giordano, mentre prima vi era solo quella
del Mocenigo.
Il tribunale si rimette in moto e prima della fine del 1593 Giordano è sottoposto a 8 interrogatori, nel corso dei quali
si difende con veemenza dalle basse accuse.
Si da corso al processo ripetitivo, in cui all’accusato vengono sottoposti nuovamente tutti i capi d’accusa e gli
accusatori devono ripetere le accuse precisando data, ora, luogo, parole esatte ecc. Aspetti questi che mostrano una
correttezza giuridica innovativa di cui ci si avvale ancora oggi, inficiata però dal fatto che agli accusatori vengono
letti tutti i capi d’accusa, anche quelli mossi da altri, così che le conferme finiscono per superare le accuse iniziali.
Nel giugno 1594 vengono consegnati all’imputato copia degli atti dell’intero processo, in modo che possa
approntare le difese, visto che Giordano ha rifiutato l’avvocato d’ufficio e assunto la difesa.
Il 20 dicembre 1594 Giordano consegna la sua difesa scritta. Il processo potrebbe con ciò potrebbe avere termine,
qualunque siano gli esiti; ma... Ma Giordano non è fortunato. Lo stesso papa Clemente VIII, sulla cui clemenza
Giordano contava, Fa notare che manca una ricognizione completa delle opere data in stampa da Giordano Bruno.
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Si mette in moto una difficoltosa ricerca, in tutta Europa, degli scritti, spesso divenuti rari, dell’Imputato. La ricerca
inizia nel marzo 1595 e termina nel dicembre 1596.
Viene chiesto a Giordano di rispondere circa passi dei suoi scritti che secondo i giudici contengono eresie. Qui
Giordano, forse esaurito dai tanti anni di detenzione, si mostra di nuovo ingenuo, ripetendo la sua distinzione tra
religione e scienza.
Ma i Giudici non sono più disposti a tollerare distinguo e reticenze ed a fine marzo 1597 si decide che l’imputato
“interrogetur stricte” vale a dire che sia sottoposto a tortura. Giordano viene portao nei sotterranei, ove sono tutti
gli strumenti di tortura, i boia chiacchierano tra di loro con l’indifferenza dell’abitudine di loro affari personali, il
segretari ed i giudici siedono al tavolino pronti a registrare.
Giordano viene sollevato a due metri da terra, le braccia si schiantano slogandosi, il dolore è tremendo, un urlo lo
sottolinea, la cassa toracica è compressa, le corde entrano nelle carni, il corpo sembra farsi sempre più pesante. I
giudici iniziano l’interrogatorio che dura un’ora, il tempo massimo concesso alla tortura.
La tortura si ripete più volte nei giorni seguenti, ma Giordano non cede e i giudici che speravano in una piena
confessione restano delusi.
Il 12 gennaio il cardinale Bellarmino decide che per evitare ulteriori distinguo e altre sottigliezze, si estraggano dagli
atti le proposizioni sicuramente eretiche sulle quali Giordano dovrà dare spiegazioni esaurienti; ne vengono estratte
8.
Il 18 gennaio 1599 i giudici consegnano a Giordano una copia degli 8 estratti dei suoi libri ritenuti eretici dandogli
tempo fino al 25 gennaio per rispondere e chiedendogli di abiurarli. Il 25 Bruno si mostra disposto all’abiura a
condizione che si tenga conto che su certi aspetti la Chiesa non si era mai pronunciata. I giudici respingono la
richiesta asserendo che l’eresia è stata da sempre condannata.
Il 5 aprile Giordano scrive la sua abiura ma con riserve su due delle 8 proposizioni.
Il 24 agosto, presente Clemente VIII, si discute dell’abiura non completa e si decide di sottoporre di nuovo
Giordano alla tortura.
In una nuova seduta del 16 settembre 1599 Giordano abiurando chiede umilmente perdono, ma incautamente ed
incredibilmente presenta a Clemente VIII un memoriale in cui difende certe sue posizioni. Errore gravissimo, o
forse Giordano non vuole rinunciare alla sua identità culturale, il Papa ed i giudici ne sono fortemente adirati, poiché
tutto il processo inquisitorio che ha come obiettivo fondamentale la soggezione delle menti e delle coscienze è
fallito; Giordano non si è piegato.
Il 21 dicembre il tribunale e due superiori dei Domenicani chiedono a Giordano di abiurare, ma senza successo.
Il 20 gennaio 1600, sono passati circa 2800 giorni dall’arresto, Clemente VIII ordina che venga messo a morte.
Giordano Bruno viene affidato al braccio secolare con la solita ipocrita richiesta di clemenza. Giordano con
sprezzo e amarezza afferma: “forse avete più timore voi nel pronunziare la mia sentenza che io nel riceverla”!
L’8 febbraio viene condotto a Piazza dei Fiori per l’esecuzione. Per evitare altre pericolose frasi, viene condotto al
rogo con la lingua pressata da una morsa. Con quest’ultima terribile umiliazione, Giordano Bruno viene arso vivo.
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PROCESSO AL BORGOMASTRO JOHANNES JUNIUS
Anno 1600 c.a. , Bamberg, Franconia
CONCLUSIONE
Fintanto che gli uomini, di qualsiasi nazione e ideologia, continueranno a creare vittime pensando di
agire per una giusta causa, sarà necessario essere vigili contro ulteriori «inquisizioni».
(John Edwards, Storia dell’Inquisizione)
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BIBLIOGRAFIA
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