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PROPRIETÀ TERMICHE

Quando studiamo le proprietà termiche ci riferiamo alla descrizione del comportamento dei materiali
quando sono sottoposti a delle sollecitazioni termiche.
Durante le tecnologie di produzione di molti alimenti spesso, per gli alimenti, è previsto un trattamento
termico che può essere di raffreddamento o riscaldamento successivamente alla chiusura del contenitore.
Per cui il contenitore insieme all’alimento, subisce questi trattamenti termici come le confetture, il tonno in
scatola, tutti i prodotti surgelati, sia che vengano confezionati prima o dopo la surgelazione, devono essere
comunque mantenuti a -18°C.
Quello che ci interessa è sapere come si comporta il materiale quando è sottoposto a questo tipo di
sollecitazione, durante il trasporto ci possono essere degli sbalzi termici; quindi, oltre a capire come
l’alimento reagisce alle diverse temperature dobbiamo capire come la confezione reagisce alle temperature
perché se l’alimento deve essere sottoposto ad un trattamento termico dopo la chiusura del contenitore
chiaramente il contenitore dovrà avere determinate caratteristiche.
Se devo conservare l’alimento a temperature basse ho bisogno di una confezione che funga da isolante, un
contenitore che sia caratterizzato da una bassa trasmissibilità del calore.
I contenitori che vengono chiusi mediante saldatura, devo conoscere come il materiale si comporta. Se io
devo selezionare un film che so che dovrà essere sottoposto a saldatura, dovrò prendere in considerazione
anche le proprietà termiche.

La conducibilità termica è la proprietà termica più importante, è la quantità di calore trasferita per
conduzione, in direzione perpendicolare ad una superficie unitaria a causa di un gradiente termico
nell’unità di tempo.

La legge di Fourier, descrive questa relazione ed indica che la quantità di calore quindi il flusso di calore che
misuriamo in Joule al secondo o in Watt, sarà direttamente proporzionale alla conducibilità termica,
proporzionale alla superficie di contatto e proporzionale al gradiente di temperatura.
Il segno meno, indica il flusso contro gradiente.
ⅆT
φ=−λA
dx

Questa capacità di condurre calore dei materiali, li classifica in materiali buoni conduttori e materiali
cattivi conduttori.
Nella tabella possiamo vedere i valori di conducibilità termica di alcuni materiali utilizzati per il food
packaging

Da bravi tecnologici, sceglieremo buoni conduttori di calore per tutte quelle applicazioni in cui l’alimento
deve essere sottoposto a pastorizzazione o sterilizzazione dopo il confezionamento. Es. Conserve
Sceglierò cattivi conduttori di calore quando ho necessità di isolare l’alimento dalle condizioni ambientali.
Ad esempio, il pesce fresco viene sempre conservato in materiale di polistirene espanso che è un cattivo
conduttore per permettere l’isolamento.

Le proprietà termiche di un materiale dipendono dal materiale e si parla di:


Buoni conduttori quando la conducibilità termica è superiore ad 1 Watt su metro lineare per grado
centigrado.
Cattivi conduttori quando la conducibilità termica è inferiore ad 1 Watt.
I materiali plastici sono dei cattivi conduttori di calore, il metallo e l’alluminio sono dei buoni conduttori di
calore.

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L’aria è un cattivo conduttore di calore, perciò, inglobare aria all’interno dei materiali plastici consente di
aumentare la capacità isolante dei materiali stessi.
Il polistirolo espanso consente rispetto al polistirene di aumentare la capacità isolante.
Se è espanso è più isolante perché l’aria che andiamo ad inserire all’interno ha una bassa conducibilità
termica e quindi agisce come se fosse più isolante.

Nelle conserve che devono essere sottoposte a trattamenti di sterilizzazione o pastorizzazione è utile
utilizzare sempre un liquido di copertura. Il liquido di copertura oltre ad avere lo scopo di aromatizzare, ha
lo scopo di favorire la diffusione del calore fino ai punti tecnicamente più sfavorevoli perché se non ci fosse
stato il liquido di governo all’interno del vasetto ci sarebbe stata aria e quindi la conducibilità termica
all’interno del vasetto sarebbe stata molto più bassa.
L’aria inglobata all’interno dei materiali plastici consente di ridurre notevolmente la conducibilità termica
nei casi in cui è necessaria l’azione isolate.

Un’altra proprietà termica è la capacità termica che possiamo definire come la quantità di calore che
dobbiamo fornire al materiale per provocare un aumento di 1°C della sua temperatura.
Q J
C= =
T 2−T 1 ° C

La capacità termica è uguale alla quantità di calore diviso il gradiente termico (temperatura iniziale -
temperatura finale).
È un parametro che senza l’indicazione dell’unità di massa o di superficie non ha senso.

Il calore specifico detto anche capacità termica massiva è la quantità di calore necessaria per aumentare di
un grado Kelvin, la temperatura di un’unità di massa del materiale ovvero 1 Kg di materiale. Si esprime
come KJ Kg °C.

Quindi capacità termica è il rapporto tra il calore fornito ad un corpo e l’aumento di temperatura che esso
subisce di conseguenza. Molto più applicativa è un’altra proprietà che deriva da questa ovvero il calore
specifico.

Questi sono i valori del calore specifico dei materiali utilizzati per il food packaging.

Più basso è il valore ovvero meno calore devo fornire al chilo per avere un incremento di 1°C, meglio il
calore viene condotto dal materiale.
I buoni conduttori di calori avranno valori espresso in calore specifico più bassi.
I cattivi conduttori hanno un calore specifico elevato ovvero serve tanto calore per poter aumentare di un
grado centigrado la temperatura della massa.
La cosa che cambia tra calore specifico e capacità termica è che il calore specifico viene espressa per unità
di massa.

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L’intervallo utile di temperatura è il range minimo e massimo della temperatura di utilizzo del materiale.
Quindi in una scheda potremmo trovare questo range, ad esempio, di 0 gradi e 30 gradi.
Quindi indica il range termico entro cui il materiale mantiene inalterate le proprietà fisiche, diffusive,
originarie.

Generalmente, il limite inferiore dei vari materiali è indicato come la temperatura di massima fragilità del
materiale. Si effettuano delle determinazioni della fragilità del materiale a temperature diverse; ogni
materiale è sottoposto a determinazione delle proprietà meccaniche a temperature diverse, alla
temperatura di minore fragilità è quella indicata nel range minimo.
Il range superiore è indicato dalla temperatura di distorsione o rammollimento del materiale. Soprattutto
per i materiali plastici questa informazione è di estrema importanza, perchè ad esempio durante le fasi di
pastorizzazione del materiale o di saldatura, si raggiungono temperature molto alte.

La temperatura minima corrisponde al punto massimo di fragilità e la temperatura massima rappresenta la


temperatura di rammollimento del materiale.

Esempio: temperatura di utilizzo= -30/ +40°C


Questo materiale lo posso utilizzare per il packaging da destinare
nei paesi tropicali in cui la temperatura ambientale è di circa
40°C. Sopra i 40°C il materiale tende a rammollirsi e non è più
idoneo.

Un’altra cosa che succede ai materiali quando sono riscaldati o raffreddati, è che questi tendono a dilatarsi
o restringersi. C’è un parametro termico che esprime questa tendenza che prende il nome di coefficiente di
dilatazione termica.

Il coefficiente di dilatazione termica esprime la variazione in lunghezza di una superficie, un volume ecc.
che il materiale subisce per una variazione di temperatura. Le formule che esprimono questi coefficienti di
dilatazione termica a seconda che si consideri la lunghezza o il volume, sono quelle che vedete qui in basso:
l−l 0
l=l 0 (1+ α T ) α = T
I0

V −V 0
v=v 0 (1+ β T ) β= T
V0
Dove:
I e v = lunghezza e volume alla temperatura T (°C)
L0 e v0 = lunghezza e volume alla temperatura di 0°C
α e β = coefficienti di dilatazione lineare e cubica (volumica) con dimensione T -1

La lunghezza del materiale ad una temperatura di applicazione x sarà uguale alla lunghezza del provino a
0°C per 1+ α che è il coefficiente di dilatazione termico per la temperatura.
Quindi, il coefficiente sarà dato dal rapporto tra le dimensioni alla temperatura di applicazione e a 0°C
diviso la lunghezza a 0°C per la temperatura.
Se consideriamo il volume è la stessa cosa.
In questa slide possiamo vedere alcuni coefficienti di dilatazione
termica di alcuni materiali.
Il primo caso 110 x 10-6°C, significa che per ogni °C di incremento il
materiale subisce una dilatazione pari a 110 x 10 -6 m2

Quindi questo coefficiente riflette quella che è la variazione di lunghezza o volume, che i materiali subiscono
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quando vengono sottoposti a calore. Il materiale quando viene sottoposto al calore si dilata, una volta che si sta
In alcuni materiali sommando l’effetto della dilatazione termica e della conducibilità termica otteniamo un
parametro molto importante per alcuni materiali ovvero la resistenza allo shock termico.
Importante per materiali che dovranno subire cicli di riscaldamento e di raffreddamento durante i cicli di
produzione, ad esempio le conserve, all’interno dell’autoclave vengono sterilizzate a temperature molto
elevate e poi vengono raffreddate.
Soprattutto per i materiali che sono cattivi conduttori di calore, immaginiamo il vetro, la trasmissione del
calore avviene lentamente lungo lo spessore. Il vetro è caratterizzato da uno specifico coefficiente di
dilatazione termica, perciò, se viene riscaldato tende a dilatarsi, quando invece raffreddo il vetro lo
raffreddo solo all’esterno, quindi, all’esterno tenderà a perdere la dilatazione, essendo un cattivo
conduttore di calore fa si che però questa dilatazione non venga persa in tutta la dilatazione del vetro ma
viene persa in maniera graduale. La gradualità porta all’instaurarsi di tensioni che si evidenziano con la
comparsa di striature, punti di tensione, che rendono il vetro inadatto a determinate applicazioni.
In laboratorio si utilizza un vetro speciale chiamato pyrex, che viene trattato con ingredienti particolari, che
permettono la resistenza del vetro agli shock termici.

Un’altra proprietà termica da considerare dei materiali sono le temperature di transizione.


Per transizione si intende un passaggio di fase quando si passa da un sistema termodinamico ad un altro.
A seconda del tipo del materiale possiamo parlare di temperatura di fusione o di temperatura di
transizione vetrosa.

La temperatura di fusione: è quella temperatura alla quale fase solida e fase liquida, coesistono in un
equilibrio termodinamico, senza che vi sia transizione di fase. A quella temperatura vi è un equilibrio
termodinamico tra la fase solida e la fase liquida, se supero quella temperatura il prodotto fonde.

Non tutti i materiali hanno una specifica temperatura di fusione. I materiali cristallini sono caratterizzati
nell’ avere una specifica temperatura di fusione.

Il grafico: riscaldamento (Y) e temperatura del materiale (X)


Riscaldo il materiale e la sua temperatura aumenta fino ad un certo punto
ovvero fino alla temperatura di fusione, si ha il passaggio di stato, dopodiché
posso fornire calore al materiale ma non si riscalda più perché il calore è preso
dall’energia cinetica delle particelle nel passaggio dallo stato solido a quello
liquido.

In generale, i materiali cristallini che hanno una struttura ordinata sono caratterizzati dall’avere una
specifica temperatura di fusione, quindi, passano da solidi a liquidi.
Invece, i materiali amorfi, come il vetro, non hanno una temperatura di fusione in cui passano da solidi a
liquidi ma hanno una temperatura di transizione vetrosa. In questo stadio il materiale tende a passare allo
stato plastico, ad esempio, il vetro viene riscaldato fino a quando diventa plastico e viene modellato e poi
raffreddato. Nel caso in cui si superasse la temperatura di transizione vetrosa verrebbe fuso il vetro. Il vetro
non si fonde immediatamente a quella temperatura, ma le particelle cominciano a ridurre i loro legami di
attrazione però non passano subito in fase liquida ma c’è uno stato plastico.
Lo stato plastico è fondamentale per tutti quei contenitori che devono essere formati.

In questo grafico possiamo riscaldare il materiale, arrivati alla


temperatura di transizione vetrosa il materiale continua a riscaldarsi ma
più lentamente.

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Quando proviamo a sciogliere con l’accendino la plastica, essa non si scioglie subito ma è caratterizzata da
una temperatura di transizione vetrosa.
La temperatura di transizione vetrosa è importante perché se devo prendere il polimero PVC, ad esempio,
per fare il contenitore, quella forma la può assumere solo quando il materiale si è trovato nella fase di
transizione vetrosa perché plastico lo possiamo inserire all’interno dello stampo o l’ho potuto lavorare
affinché assuma quella forma.

Molte caratteristiche fisiche e chimico fisiche dei polimeri dipendono dalla temperatura di transizione
vetrosa (Tg): quando si trovano al di sotto di questa temperatura, i polimeri hanno un comportamento
definito vetroso, bassa permeabilità, elevata fragilità; mentre se il materiale si trova alla temperatura
superiore rispetto alla temperatura di transizione vetrosa avrà un comportamento plastico e gommoso,
quindi, caratterizzato elevata permeabilità e bassa fragilità.

La temperatura di transizione vetrosa è determinata dalla forza dei legami intermolecolari e dalla flessibilità
dei materiali stessi, che in relazione alla temperatura ambiente, consente di definire le materie plastiche
come gommose o vetrose e spiegarne molti comportamenti.

Se il polietilene a bassa densità, ad esempio, ha una temperatura di transizione vetrosa compresa tra i
meno 90°C e i meno 25°C. Significa che a temperatura ambiente, si troverà allo stato gommoso perché la
temperatura ambiente è la temperatura di transizione vetrosa.

In questo grafico possiamo vedere il comportamento all’incremento di temperatura di tre materiali diversi
caratterizzati da diverso grado di cristallinità.
Guardiamo la line A continua, avviene il riscaldamento di un materiale amorfo, prima passa è allo stato
vetroso poi passa nella fase di transizione/plastico, dopo lo stato plastico passa allo stato liquido.
La grandezza dello stato plastico dipende dal grado di cristallinità.
Guardate la linea tratteggiata che rappresenta la linea B1 e B2, questi sono due polimeri parzialmente
cristallini e quindi con diverso grado di cristallinità.
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Nella tecnologia di produzione dei materiali plastici è importante conoscere queste temperature.
Conoscendo la temperatura possiamo sapere se il materiale avrà una consistenza plastica o vetrosa.
LE PROPRIETÀ DI SUPERFICIE
Le proprietà di superficie sono proprietà che si all’interfaccia di materiali differenti, quindi, sono proprietà
che si riferiscono allo stato superficiale di un materiale.
È importante perchè spesso i materiali di food packaging che troviamo sono materiali diversi l’uno annesso
all’altro oppure molti materiali vengono stampati e per poter essere stampati devono essere in grado di
assorbire l’inchiostro.
Le caratteristiche di idrorepellenza o di oleorepellenza si devono alle caratteristiche di superficie, quindi,
sono caratteristiche che dipendono dallo strato superficiale.
La conoscenza delle proprietà di superficie di un materiale è fondamentale per capire se il materiale è
stampabile o meno, se il materiale è repellente all’acqua o meno, repellente ai grassi o meno, la
brillantezza.

Tutte le proprietà di superficie dipendono dalla tensione superficiale o energia libera superficiale che si
manifesta sulla superficie di separazione (un liquido o un aeriforme) e un altro mezzo di natura differente
(liquida, solida o aeriforme).

Alla base della tensione superficiale di qualsiasi molecola in qualsiasi stato vi è la forza di coesione tra le
molecole costituenti il mezzo.
Esempio: immaginiamo una bacinella d’acqua in cui c’è una molecola in uno stato profondo, questa
molecola grazie alle forze di coesione sarà circondata da molecole simili in tutte le direzioni. Pertanto, la
risultante di tutte queste forze di coesione di questa molecola è nulla.
Le molecole presenti in superficie non saranno circondate da molecole tutte uguali, ma nella bacinella
d’acqua ci sarà un velo di liquido la cui risultante delle forze non è nulla, ma avrà una diversa intensità in
funzione delle forze di coesione. Le particelle in superficie avranno legami con le molecole sottostanti ma
verso l’alto no perché c’è l’aria oppure c’è un altro materiale per cui la risultante media delle forze non è
libera e sarà tanto più forte quanto più forte sono i legami di coesione.

Si parla di tensione superficiale come l’energia che devo dare a quel liquido per aumentare di un metro
quadro o centimetro quadro la sua superficie. Più forza di coesione ho maggiore sarà la tensione
superficiale.

La tensione superficiale si definisce come il lavoro necessario (energia che devo dare), per aumentare la
superficie libera nel mezzo di un’unità (metro quadro o centimetro quadrato).
Maggiori sono le forze di coesione, maggiore sarà il lavoro che devo fare per aumentare la superficie di un
centimetro quadrato e quindi maggiore sarà la tensione superficiale.
Quindi il lavoro che devo compiere per aumentare di un’unità la superficie.

W=y∆ A
W= lavoro di deformazione della superficie (N m, J)
Y= tensione superficiale (N m-1)
∆ A = variazione di superficie (m2)

Nella tabella troviamo i valori della tensione superficiale a temperatura ambiente di fluidi e materiali per
imballaggio.
Quando parliamo di solidi, non si parla di tensione superficiale, ma di tensione superficiale critica perchè
dobbiamo considerare anche le proprietà di superficie dei materiali solidi.

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Quando parliamo dei solidi si parla di tensione superficiale critica intesa come la capacità che i solidi hanno
ad essere bagnati da un determinato liquido, più basso è il valore della tensione superficiale critica minore
sarà la tendenza del solido ad essere bagnato dal liquido. Maggiore sarà la tensione superficiale del solido
maggiori saranno le interazioni interfacciali con il liquido.
I valori in tabella sono i valori di tensione superficiale dei materiali rispetto all’acqua a temperatura
ambiente. A parità di solido a seconda della tipologia di liquido cambia la tensione superficiale.
Quindi, è riportata la tensione superficiale dei materiali nei confronti dell’acqua a temperatura ambiente.

Quando un liquido ed un solido vengono in contatto, la presenza di


molecole, dell’altra fase (attraverso forze di adesione) influenza la
tensione superficiale venendosi a stabilire una tensione
interfacciale che è definita come l’energia addizionale per unità di
area dovuta alla formazione di un’interfaccia solido/liquido.

La bagnabilità è la capacità di un liquido ad entrare in contatto con un solido, e quindi oltre alle forze di
coesione del liquido e del solido che tengono insieme liquido e solido, abbiamo l’istaurarsi delle forze di
adesione.
Quando il liquido bagna il solido abbiamo 2 forze: forze di coesione del liquido con il solido che quando più
forti sono più contrasta la bagnabilità perché il liquido tende ad assumere la forma più piccola possibile
(goccia) e poi ci sono le forze di adesione che avvengono sulla superficie.
I legami verdi sono le forze di adesione mentre i legami rossi forze di coesione all’interno del liquido.

Le forze di adesione che si instaurano sull’interfaccia ovvero sulla superficie di separazione sono dette
tensione interfacciale.
La coesione è la forza che lega due molecole simili tra di loro mentre l’adesione è la forza che attrae due
molecole di diversa natura.
Affinché un liquido o un solido sia bagnato da un liquido dobbiamo considerare le forze di coesione e quelle
di adesione.

Le forze di adesione: queste forze che si vengono a creare, vengono definite anche come tensione
interfacciale, quindi l’instaurarsi di forze di adesione sull’interfaccia, ossia sulla superficie di separazione.
Quindi affinché un solido o un liquido sia bagnato da un liquido, dobbiamo considerare le forze di coesione
e le forze di adesione. Nel senso che, le forze di adesione (liquido-solido) poste sull’interfaccia facilitano la
bagnabilità del solido; le forze di coesione invece (liquido-liquido o solido-solido), si oppongono alla
bagnabilità.

La bagnabilità è proprio la più importante caratteristica tra quelle di superficie, che possano interessare i
materiali di packaging.

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La bagnabilità può essere definita come: la capacità di un liquido di mantenere il contatto con la superficie
solida, dovuta alle interazioni intermolecolari sull’interfaccia, che tendono a instaurarsi quando i due
materiali entrano in contatto, presenti quando liquido e solido vengono a contatto.

Una fase liquida bagna completamente una superficie solida solo se la sua tensione superficiale è inferiore
alla tensione superficiale critica (λc) del solido. La conoscenza della bagnabilità di un materiale consente,
per esempio, di definire il grado di idrorepellenza e oleorepellenza delle superfici, caratteristiche molto
importanti ai fini della resistenza rispettivamente all’acqua e all’olio dei materiali di confezionamento.
Queste caratteristiche sono molto richieste, per esempio, per i materiali cellulosici (cartoncini, cartoni)
destinati all’avvolgimento o al contenimento di prodotti alimentari umidi o grassi.
La conoscenza di tale grandezza, inoltre, consente di scegliere in modo adeguato gli inchiostri da stampare
e da utilizzare sui differenti substrati.

Questo è importante perché nella scelta dell’inchiostro da usare devo garantire che esso aderisca al
materiale che sto usano.
Se il solido ha una tensione superficiale critica bassa (vedi grafico) la tendenza ad essere bagnato sarà
limitata perchè devo scegliere liquidi con tensione superficie inferiore alla tensione superficiale critica del
solido. L’inchiostro deve avere una tensione superficiale di almeno 10 ⴏN2 (microniuton) su metro.
In funzione della tensione superficiale critica i materiali si dividono in materiali stampabili e altri su cui è
difficile stampare.
Si deve conoscere la tensione superficiale critica solida e l’inchiostro deve avere una tensione superficiale
che deve essere scelta in base al solido. La conoscenza della bagnabilità di un materiale consente, per
esempio, di definire il grado di idrorepellenza e oleorepellenza delle superfici, caratteristiche molto
importanti ai fini della resistenza, dei materiali di confezionamento.

Se il solido ha una tensione superficiale critica bassa, ad esempio vediamo questo grafico:

Abbiamo la tensione superficiale della goccia del liquido e l’energia superficiale del solido. Se l’energia
superficiale critica è bassa la tendenza a dare adesione e il solido ad essere bagnato sarà limitata.
Questo perchè dovrò scegliere liquidi caratterizzati da una tensione superficiale inferiore a quella bassa
tensione superficiale che è tipica del solido.

Ad esempio: la scelta degli inchiostri di stampa. Affinché l’inchiostro possa espandersi sul materiale,
dobbiamo avere una tensione superficiale di almeno 10 micro Newton su metro.
Se la tensione superficiale critica del solido è pari, ad esempio, a 18,5 io se dovrò stampare su questo
materiale, dovrò scegliere un inchiostro con una tensione superficiale almeno pari a 10 Newton su metro
cubo e quindi inferiore.
Chiaramente è un aspetto che devo tenere in considerazione e in funzione della tensione superficiale critica
i materiali si suddividono in: materiali stampabili nei quali è facile effettuare operazioni di stampa e
materiali sui quali è complicato effettuare operazioni di stampa.
Quindi per effettuare questo tipo di analisi, devo conoscere chiaramente la tensione superficiale critica del
solido e la tensione superficiale degli inchiostri.

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La bagnabilità di una superficie viene misurata determinando l’angolo di contatto tra il liquido e la
superficie. Quindi, si guarda l’ampiezza dell’angolo di contatto tra la superficie e la goccia.
 Quando questo angolo di contatto è superiore a 90 gradi, il materiale è scarsamente bagnabile. Se
abbiamo un angolo di contatto compreso tra 90 e 180 gradi, abbiamo una scarsa bagnabilità della
superficie. Mi trovo in questo caso, quando ho bassa energia superficiale del solido e alta tensione
superficiale della goccia e non c’è interazione tra liquido e solido.
 Quando invece ci troviamo con ampiezze dell’angolo di contatto comprese tra 0 e 90 gradi, abbiamo
una buona bagnabilità, che migliora avvicinandoci al valore di zero. Ci troviamo in questa situazione
quando abbiamo energia superficiale del solido alta e bassa tensione superficiale del liquido.

Quindi affinché ci sia bagnabilità, la tensione superficiale critica del solido deve essere alta e la tensione
superficiale del liquido bassa.

Quando parliamo di solido parliamo di tensione superficiale critica.


In generale, i materiali plastici hanno una bassa bagnabilità. Polietilene e polipropilene sono caratterizzati
da una bassa bagnabilità.
La scarsa bagnabilità dei materiali plastici nei confronti dell’acqua è per esempio la causa della formazione
di goccioline di acqua nella superficie interna dei contenitori, contenenti alimenti ad elevata umidità.
Queste goccioline saranno tanto più evidenti, quanto minore è la bagnabilità del materiale.

Se i materiali assorbono umidità cambiano la loro proprietà diffusiva rispetto alla diffusività degli aeriformi
(fattori ambientali), perciò da un lato si sviluppano queste goccioline che danno fastidio al consumatore,
ma d’altro canto la mancata interazione del materiale con l’acqua, ci assicura la permanenza e stabilità
della permeabilità del film stesso.

Un’altra proprietà importante sempre legata alle proprietà di superficie è rappresentata dalla adesività.
Non è detto che dobbiamo stampare l’etichetta, ma possiamo anche incollarla. Vedremo come nella sintesi
dei materiali plastici spesso abbiamo la necessità di far aderire (la laccatura) su un materiale, un altro
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materiale oppure ad esempio il tetrapak è un materiale composto da più materiali diversi che devono tra
loro aderire.

Quindi l’adesività (è un’altra proprietà di superficie) rappresenta la forza di legame tra due superfici solide
(film + film= film composito), tra una superficie ed un adesivo oppure tra un adesivo ed un rivestimento.

Anche in questo caso per ottenere buone adesività, la tensione superficiale dei due materiali interessati
deve essere inferiore alla tensione superficiale critica del solido.
Si prende in considerazione la tensione superficiale critica dell’adesivo che deve essere inferiore a quelle
del solido.

Oltre alle caratteristiche proprie del polimero è possibile intervenire tecnologicamente nel cambiare le
proprietà di superficie dei materiali.
Quando abbiamo dei materiali che non si prestano bene alla stampa, abbiamo due soluzioni o non li
utilizziamo oppure miglioriamo le proprietà di superficie di questi solidi per renderli idonei alle operazioni.

Per modificare le proprietà di superficie dei materiali possiamo eseguire modificazioni mediante azioni
chimiche e fisiche ossia trattare le superficie con agenti chimici, tra cui gli acidi ossidanti, o agenti fisici, tra
le quali le radiazioni UV.
Questi trattamenti effettuati su una superficie corrispondono ad una variazione delle proprietà di superficie
senza però modificare le altre proprietà.

Il materiale per poter variare le proprietà di superficie può essere trattato con agenti chimici ossidanti
oppure con agenti fisici ora di radiazioni al plasma oppure possono essere effettuati dei rivestimenti del
materiale, dunque, il materiale viene ricoperto con un'altra specie chimica e in questo modo cambia la
superficie del materiale.
Quindi, posso rivestire il film con un materiale caratterizzato da una minore tensione superficiale, così da
prestarsi meglio alle operazioni di bagnabilità o di adesione. Posso volere una maggiore bagnabilità come
anche una minore bagnabilità. (es: per la focaccia voglio una carta oleorepellente).

Possiamo effettuare anche l’aggiunta, durante la produzione del film di additivi in grado di ridurre la
tensione superficiale del materiale.
Quindi, durante la tecnologia di produzione del film inserisco tra gli ingredienti oltre al polimero, anche
questi additivi. Perciò, avrò un polimero attivato caratterizzato da più bassa tensione superficiale. Questa
cosa è quella che si fa per la produzione di film così detti antifog. Questi packaging riducono la formazione
di queste gocce all’interno della confezione quando confezioniamo alimenti caratterizzati da elevata
umidità.

Abbiamo un esempio, di un additivo antifog chiamato ADM-PE-AF-2020, che aggiunto in una


concentrazione dal 3 al 5 % rispetto al polimero del film. Avremo un polimero con una più bassa tensione
superficiale e quindi in grado di essere bagnato più facilmente e di assorbire quell’acqua che si viene a
creare limitando la creazione di queste goccioline all’interno della confezione.

La troppa umidita non diventa un difetto perché questo antifog viene adattato per quei prodotti che hanno
una ridotta shelf life come l’insalata che viene consumata subito.
Quando mettiamo l’adesivo si valuta la colla ovvero ci deve essere l’adesività tra colla e superficie.

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PROPRIETÀ ELETTROMAGNETICHE
Le proprietà elettromagnetiche dei materiali sono influenzate dal loro stesso comportamento quando viene
sottoposto a irraggiamento con radiazioni elettromagnetiche (luminose o meno), le caratteristiche che il
materiale assume sono la trasparenza, l'opacità e la brillantezza ma anche l’idoneità del materiale ad essere
adatto ad effettuare determinati tipi di operazioni per cui le radiazioni elettromagnetiche sono richieste.

Ad esempio, immaginiamo di utilizzare le radiazioni UV per sanificare un alimento da confezionare


Molte applicazioni tecnologiche richiedono l’applicazione di radiazioni elettromagnetiche per cui il film
indipendentemente dal fatto di essere più o meno trasparente deve essere idoneo a questo processo.
Ad esempio, per il microonde ci devono essere dei film adatti ma ci possono essere dei film non adatti.
Quindi è importante conoscere il comportamento del film in base all’applicazione che vogliamo.

Un campo elettromagnetico è caratterizzato dalla presenza in contemporanea di un campo elettrico e di un


campo magnetico, dipendenti tra loro e perpendicolari rispetto alla propagazione.

Ogni radiazione elettromagnetica è caratterizzata da:


Frequenza f: il numero di oscillazioni compiute nell’unita di tempo in un secondo, misurata in cicli al
secondo o Hertz (Hz);
Lunghezza d’onda λ: intesa come la distanza percorsa dall’onda durante l’oscillazione, espressa in metro o
suoi multipli e sottomultipli. f=v/λ
v= velocità di propagazione dell’onda espressa in m s-1

Queste caratteristiche permettono di classificare le radiazioni elettromagnetiche in radiazioni ionizzanti e


radiazioni non ionizzanti.
A seconda della lunghezza d’onda in raggi gamma, UV, la luce del visibile compresa tra i 400 e 700
nanometri, le onde radio ecc.

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 Raggi gamma (radiazioni ionizzanti) e i raggi x, ad esempio, sono spesso utilizzati per sanificare i
materiali.
Vedremo l’anno prossimo che per le tecnologie di packaging, a volte è previsto anche una fase di
sterilizzazione dei materiali e dei film, quando questa non avviene contemporaneamente alla
sterilizzazione dell’alimento. Quando facciamo il confezionamento asettico ciò consente di fare una
conservazione asettica, alcuni materiali devono essere sterili prima e questa sterilizzazione avviene
attraverso le radiazioni ionizzanti.
 I raggi x si usano per lo spessore
 Altra applicazione importante, possono essere i raggi UV.
I raggi UV vengono utilizzati per alimenti non caratterizzati da spessore, come ad esempio i liquidi,
vengono utilizzati per sanificare alimenti caratterizzati soprattutto dal non spessore, poiché i raggi UV
non penetrano in profondità ma restano in superficie.
Quando si deve sterilizzare senza riscaldare il prodotto si utilizzano i raggi UV in strato sottile, però non
penetrano in profondità, dunque, la sterilizzazione è solo di superficie.
 Tutto il comportamento del visibile influenza il colore, la trasparenza, opacità e brillantezza delle
confezioni.
 L’infrarosso è una tecnica analitica interessante e possiamo utilizzarla per determinare alcune sostanze
all’interno dell’alimento stesso. I raggi uv servono per determinare l’aflatossina in una confezione e
vediamo anche il materiale come reagisce. In funzione del comportamento che l’alimento ha
nell’infrarosso prossimo vedere come l’alimento si comporta a queste radiazioni. Tecniche immediate e
non distruttive. Le non ionizzanti sono quelle che non creano ionizzazioni del materiale, queste
radiazioni sono usate anche come tecnologie innovative per proteggere l’alimento ai microrganismi.
Posso studiare il comportamento del film
 Poi abbiamo il microonde, che servono per riscaldare l’alimento ecc.

Queste sono tutte le applicazioni possibili delle radiazioni ionizzanti in ambito del food sciences.
Quando un materiale viene sottoposto ad una radiazione elettromagnetica, possono avvenire alcune cose,
in funzione delle quali dipendono le proprietà del materiale.
La prima cosa che può succedere è che la radiazione non passa ossia viene riflessa sulla superficie.
Vedremo più tardi che la brillantezza, è proprio in funzione di quanto un materiale è in grado di riflettere la
luce nella lunghezza d’onda del visibile.

La radiazione può oltrepassare la superficie e all’interno del materiale essere rifratta attraverso la
superficie. La rifrazione è molto usata, Il rifrattometro si basa sulla misura del limite di rifrazione delle
sostanze che da un punto di vista analitico è molto importante (zucchero nel mosto).
Quindi siamo in rifrazione, quando vi è una variazione dell’angolo di incidenza. Nell’attraversamento della
superficie il raggio entra all’interno del materiale ma subisce una variazione dell’angolo.

Quando la radiazione entra all’interno del materiale questa può essere assorbita dal materiale stesso,
diffusa o trasmessa. (quindi viene o riflessa e non entra, viene rifratta e può essere assorbita.)
A seconda se il materiale assorba, diffonda o trasmette le radiazioni nella lunghezza d’onda del visibile
abbiamo l’influenza sulle proprietà di opacità e trasparenza
Se la luce passa dal materiale, il materiale è trasparente. Se non riusciamo a vedere vuol dire che il
materiale è opaco e l’opacità misura quanta radiazione viene assorbita.
Se la luce viene trasmessa attraverso il materiale, avremo che il materiale è trasparente.
Quindi abbiamo 5 fenomeni: riflessione, rifrazione (la rifrazione sta passando nel materiale ma la superficie
ne comporta una variazione dell’angolo incidente), nel materiale la radiazione può essere: assorbimento,
diffusione e trasmissione.
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LA RIFLESSIONE
Ho una superficie di separazione aria-acqua ad esempio. (linea di separazione aria acqua quella del disegno)
Arriva la radiazione e questa viene riflessa e quindi la superficie è riflettente.
La riflessione può a sua volta essere anche riflessione speculare, in cui secondo la legge di Snell l’angolo di
incidenza è uguale all’angolo di rifrazione o riflessione.
Se la superficie è opaca o non omogenea, io posso avere una riflessione diffusa e quindi non c’è solo un
angolo, in seguito alla riflessione, ma una diffusione di queste radiazioni in più angolazioni.
Questa diffusione della riflessione può essere omogenea, uniforme oppure mista.

Se il materiale non è omogeneo ma è costituito da materiali diversi caratterizzati da un diverso


comportamento, potrei avere la riflessione ma non una riflessione speculare ma una diffusione che può
essere omogenea o mista.

In quella mista ho sempre la componente speculare, più o meno ampia perchè il raggio speculare è sempre
maggiore rispetto a tutti gli altri.

Alla base della riflessione, c’è la trasparenza. La superficie può essere non riflettente, ma sulla superficie
può avvenire una variazione della pendenza della retta della luce incidente, e allora troviamo la rifrazione.

LA RIFRAZIONE
Il fenomeno di rifrazione è quel fenomeno secondo cui, nel passaggio da un mezzo ad un altro (n1 e n2) vi è
una variazione dell’inclinazione della radiazione incidente. Questa variazione prende il nome di rifrazione.
In particolare, quando si passa da un mezzo più denso a uno meno denso, (aria- acqua) il raggio rifratto
tende ad avvicinarsi alla normale.
Esempio: se prendiamo un becher e mettiamo una matita dentro vedremo che la matita si sposta la
protezione nel becher, questo avviene perché cambiamo l’angolazione dell’osservazione.
Quando la variazione invece passa da un mezzo più denso ad uno meno denso, l’angolo tende ad
allontanarsi dalla normale questo lo rifacciamo nel rifrattometro.

La seconda legge di Snell regola la rifrazione e dice che: l’indice di rifrazione nel mezzo n2, rispetto al mezzo
n1, è uguale al seno dell’angolo incidente fratto il seno dell’angolo rifratto.

seni n 2
Ir= =
senr n 1
Nel passaggio attraverso il materiale vi può essere una deviazione di quella che è l’angolazione della
radiazione della luce incidente e che tenderà ad avvicinarsi alla normale se il passaggio avviene da un
mezzo meno denso ad uno più denso.
Avremo un allontanamento dalla normale se abbiamo il passaggio da un mezzo più denso a quello meno
denso. N1 e n2 sono: indice di rifrazione del mezzo 1 e l’indice di rifrazione del mezzo 2.
I=incidente r=rifratto. Ir=indice di rifrazione.
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LA DISPERSIONE
La rifrazione incidente viene scomposta all’interno del materiale stesso. Questo è il fenomeno che avviene
quando noi guardiamo la luce attraverso il prisma, notiamo che vi è un ingresso del raggio luminoso e poi vi
esce la reazione sotto diversi colori.
Ad esempio, il fenomeno dell’arcobaleno è proprio dovuto al fatto che la luce visibile che noi vediamo
essere un unico fascio di luce in realtà è caratterizzata da più fasci che non possono essere distinti in realtà
sono fatti da raggi luminosi a lunghezza d’onda diverse.

L’indice di rifrazione è in funzione anche della lunghezza d’onda, per cui nell’attraversare un prisma o un
materiale, la rifrazione che subisce è diversa in funzione della lunghezza d’onda.
Noto questa scomposizione del raggio che ad occhio nudo non riesco a distinguere, ma nella goccia d’acqua
vengono distinti. Escono fuori scomposti, e allora ho tanti colori. Perché l’indice di rifrazione è in funzione
della lunghezza d’onda.

Questa cosa può avvenire anche all’interno


dei materiali. Ne ho una espressione di una
diversa tonalità di colorazione.

LA TRASMISSIONE
All’interno del materiale la radiazione luminosa può essere interamente trasmessa; quindi, l’intensità della
radiazione incidente è uguale all’intensità della radiazione in uscita trasmessa, per cui non vi è
assorbimento.
All’interno del materiale la radiazione viene completamente trasmessa, significa che l’intensità della luce
incidente è uguale all’intensità della radiazione trasmessa.
Quando la radiazione viene completamente trasmessa significa che l’intensità con cui entra è uguale
all’intensità con cui esce.

La trasmissione può essere speculare oppure diffusa in maniera uniforme o mista.


A seconda che la trasmissione avviene in maniera speculare o più o meno diffusa, distinguiamo ad esempio
le proprietà di trasparenza e opacità dei materiali.
Nella rifrazione e nella dispersione non c’è mai assorbimento perchè nella rifazione il raggio viene riflesso.

La prima cosa che può succedere è che la radiazione anziché di essere trasmessa, venga assorbita.
Quindi il materiale acquisisce energia durante il passaggio della radiazione mentre nella trasmissione il
passaggio avveniva senza assorbimento di energia da parte del mezzo, infatti, l’intensità con cui entrava è
uguale a quella con cui usciva non c’era assorbimento di energia.
Nel caso dell'assorbimento il materiale serve energia elettromagnetica per cui l'intensità della radiazione
trasmessa sarà più bassa dell'intensità della luce incidente. Lo spettrofotometro ci dice di quanto una
lunghezza d’onda che entra è stata trasmessa e quanta ne è assorbita. Non c’è mai trasparenza, c’è sempre
un minimo di assorbimento.
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La legge di lambert e beer dice quanta luce viene assorbita.
L’assorbimento è il fenomeno che riguarda l’acquisizione di energia elettromagnetica da parte del
materiale. Quando una radiazione attraversa un materiale la sua intensità diminuisce in funzione della
tipologia di materiale e dello spessore dello spesso.
I0
A=ε ⋅ C ⋅ t =log 10
It
I0=Intensità della luce incidente
IT=Intensità della luce trasmessa
A=assorbanza del campione
ε=coefficiente di estinzione molare, specifico per ogni sostanza
t=lunghezza del cammino ottico della cella(cm)
C=concentrazione molare del campione (mol/l)

Rispetto al comportamento alla luce del visibile, distinguiamo le proprietà tipiche dei materiali che sono la
trasparenza, brillantezza e opacità.

LA TRASPARENZA
È una proprietà estetica perché riferita alla trasmissione della luce visibile.
La trasparenza corrisponde alla trasmittanza speculare, quando la trasmittanza è speculare abbiamo la
trasparenza, quando invece non è speculare abbiamo l’opacità.

La trasparenza corrisponde alla trasmittanza speculare, ossia quando la trasmissione avviene nella stessa
direzione di quella della radiazione incidente, con una deviazione massimo di 0,1 gradi.

Il test di misura consiste nell’utilizzare una radiazione incidente nell’arco del visibile, quindi tra 540 e 550
nanometri. La sorgente luminosa ha una determinata e fissa intensità, si determina l’intensità della
radiazione alla stessa direzione della luce incidente. Si esprime in %, rispetto alla radiazione incidente. Ossia
si fa l’intensità della radiazione trasmessa, fratto l’intensità della radiazione incidente x 100. Quindi per
valutare la trasparenza del materiale, si indica quanto della radiazione incidente è stata trasmessa nella
stessa direzione. Per la stessa direzione si intende che la radiazione non abbia subito una deviazione
superiore allo 0,1 gradi.

Cosa troviamo sulle schede tecniche

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Il vetro, ad esempio, ha una trasmittanza
speculare di 92,1%. più il valore si avvicina a
100 più il materiale è trasparente. Il 92,1 %
significa che dell’intensità della luce
incidente, il 92,1% è stato trasmesso nella
stessa direzione. Questi sono stati realizzati
tramite dei test. Il test indica il
comportamento del materiale alla luce del
visibile. Il test deve essere standardizzato ad
una lunghezza d’onda (es: 550 nm).

L’OPACITÀ
Parliamo di opacità che è sempre una caratteristica estetica dei materiali ed è definita come la percentuale
di luce trasmessa che attraversando il materiale devia il raggio incidente per fenomeni di diffusione o di
rifrazione per un angolo superiore a 2,5 gradi.

Mentre per la trasparenza la fotocellula viene posta nella stessa direzione, perchè per calcolare la
trasparenza devo captare solo gli angoli nella stessa direzione della radiazione incidente; in questo caso per
valutare l’opacità, devo invece porre la fotocellula (che mi valuta l’intensità della radiazione trasmessa) ad
un angolo superiore a 2,5 gradi e mi indica quindi quanto di quella luce incidente, viene deviata all’interno
del materiale per un angolo superiore a 2,5 gradi.
Anche l’opacità viene espressa in %. Significa che il 30 % dell’intensità della radiazione incidente viene
deviata per un angolo > di 2,5 gradi.

Devo considerare i raggi che hanno una deviazione di 2,5 gradi

LA BRILLANTEZZA
La brillantezza è una misura della capacità della superficie di riflettere specularmente la luce incidente.
La sorgente luminosa sarà posta con un angolo uguale all’angolo di incidenza. In questo caso viene valutata
l’intensità.
La brillantezza è l’espressione di quanta intensità della luce incidente viene riflessa in maniera speculare.
Speculare= con lo stesso angolo di incidenza.
La fotocellula viene posta in direzione in modo tale che l’angolo della luce incidente sia uguale all’angolo
della luce riflessa. Non viene calcolata in percentuale rispetto alla luce incidente, qui abbiamo una intensità
fissa della luce incidente, e poi si calcola l’intensità della luce trasmessa.

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Comportamento di un materiale irraggiato con microonde:
le onde del microonde sono molto usate da noi. E quindi sono applicazioni molto usate. Un esempio: un
materiale usato per cuocere il cibo. In funzione della radiazione elettromagnetica delle lunghezze d’onda
del microonde può succedere che li materiale sia riflesso, in questo caso non è adatto al microonde come
acciaio o banda stagnata. La superficie viene irradiata. Se il materiale riflette, se deve riscaldare l’alimento
dovrà assorbire l’onda e poi trasmetterla. Le microonde sono radiazioni con frequenze comprese tra 300
MHz e 30 GHz; trovano largo impiego, in ambito sia domestico sia industriale, per riscaldare, scongelare e,
in parte, sanitizzare prodotti alimentari anche già confezionati. La radiazione può essere presa e assorbita e
il cibo si riscalda. Questa proprietà deve essere per tutti i materiali che devono cuocere un alimento.

Se il materiale riflette la radiazione, chiaramente nell’assorbirà e quindi se si deve riscaldare l’alimento non
deve rifletterla, ma assorbirla e trasmetterla. Pu succedere che la radiazione sia presa e assorbita del
materiale, che quindi sottoposto a radiazione tenderà a riscaldarsi. Queste proprietà sono desiderate per
tutti quei contenitori che devono supportare la cottura dell’alimento, se il contenitore dovrà supportare la
cottura dell’alimento al microonde. i materiali non devono essere trasparenti alle onde microonde ma le
devono assorbire. È necessario che esso si riscaldi in modo da coadiuvare l’effetto della temperatura di
riscaldamento. Quindi non dobbiamo avere materiali perfettamente trasparenti alle microonde, ma questi
devono anche assorbire le microonde.

Possiamo avere anche materiali completamente trasparenti, ma fungono da supporto dell’alimento e che
sono utilizzati ad esempio per decongelare l’alimento. Il microonde agisce nel mezzo

A seconda del comportamento dei materiali rispetto alle radiazioni elettromagnetiche risetto alle onde del
microonde, possiamo avere materiali riflettenti e quindi non adatti; materiali inerti e quindi perfettamente
trasparenti alle microonde e che possono essere utilizzati come contenitore del materiale, ma che non
hanno nessun effetto rispetto all’operazione di cottura; materiali che assorbono la radiazione alla
lunghezza del microonde, in questo caso riscaldano e quindi supportano la fase di cottura e sono usati per
alimenti che devono essere cotti.

Il materiale deve essere un buon conduttore.

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LE PROPRIETÀ CHIMICHE
Parlando di proprietà chimiche, ci riferiamo a quelle che sono proprietà influenzate, derivanti dalla natura
chimica dei materiali. Intendiamo come natura chimica sia gli atomi che entrano nella costituzione dei
materiali, sia anche la loro organizzazione, quindi, come sono legate tra loro (legame intermolecolari,
atomici ecc.), ma anche l’organizzazione spaziale delle molecole.

Si tratta di proprietà che difficilmente possono essere espresse con dei valori numerici, come abbiamo visto
per tutte le proprietà meccaniche o fisiche, quindi la permeabilità, la trasparenza con una specifica unità di
misura ecc. per la maggior parte delle proprietà chimiche una espressione numerica circa la loro identità,
risulta essere complessa. Ci possono essere materiali più soggetti alla combustione piuttosto che altri
oppure in seguito ad una combustione a fumi con diverse caratteristiche però non c’è una unità di misura.

La variazione di queste proprietà chimiche avviene solo se vi è una variazione dei costituenti atomici, i
legami atomici, i legami intermolecolari e quindi modificazioni della struttura chimica, che possono essere
imprevedibili e il più delle volte irreversibili.
Le modificazioni sono imprevedibili ed irreversibili e la conseguenza di questo porta a variazioni delle
proprietà chimiche ma anche a variazioni fisiche dei materiali.
Dunque, si hanno variazioni delle proprietà chimiche con conseguenze sulla permeabilità, sulla variazione
delle proprietà di superficie, vie è una variazione della trasparenza.

Le proprietà chimiche dipendono dalla natura chimica del polimero ovvero dal materiale che stiamo
considerando.
Quando parliamo di struttura chimica ci riferiamo ai costituenti anatomici e quindi il tipo di atomi che
troviamo all’interno del polimero.

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Rispetto al tipo di atomi che entrano all’interno della materia costituente il nostro materiale, possiamo
trovare materiali organici quando formati essenzialmente da carbonio e idrogeno e materiali inorganici
quando il carbonio e l’idrogeno vengono sostituiti da altri materiali come da ferro, rame, stagno, acciaio.
I materiali cellulosici (carta, cartone ecc.) e i polimeri plastici sono i tipici materiali organici e quindi
costituiti essenzialmente da carbonio ed idrogeno.

La composizione chimica formata essenzialmente da carbonio ed idrogeno rende questi materiali più
sensibili all’utilizzo di solventi e più suscettibili alla ossidazione; la natura chimica degli atomi costituenti il
materiale fa sì che questi abbiano più bassa densità, più basso punto di fusione e più bassa temperatura di
combustione.
Questo ci fa capire come la natura degli atomi sia influente su queste caratteristiche.
Al contrario, i materiali inorganici tra cui per esempio vetro e metalli, costituiti da altri atomi oltre a
carbonio e idrogeno avranno una maggiore densità, maggior punto di fusione e maggiore temperatura di
combustione. Rendendoli così sensibili all’uso dei solventi e meno suscettibili all’ossidazione.
Quindi quando parliamo di struttura chimica intendiamo in primo luogo i costituenti atomici e quindi gli
atomi che costituiscono il materiale e dai quali distinguiamo materiali organici ed inorganici.

Sono legati tra loro mediante legami la cui natura è influente su alcune proprietà. In particolare:
 il legame covalente è tipico della maggior parte dei materiali plastici, del vetro e dei materiali
cellulosici. La presenza del legame covalente è il motivo per cui questi materiali sono caratterizzati da
una scarsa conducibilità termica.
 Il legame metallico tipico dell’acciaio e alluminio, è quello che comporta l’esistenza all’interno di questi
materiali di elevata conducibilità.
 il legame ionico proprio di alcuni materiali plastici e del vetro, è il motivo dell’alta tenacità (resistenza
meccanica espressa dal diagramma sforzo deformazione). Esempio di come fondamentalmente il tipo
di legami tra gli atomi, va ad influenzare alcune proprietà dei materiali.

La biodegradabilità dipende dalle molecole che sono all’interno e dai costituenti interni. Quelli inorganici li
ritroviamo anche dopo la degradazione, quindi si parla di degradazione biologica.

Oltre ai legami atomici, anche se meno influenti, abbiamo i legami intermolecolari e quindi tra le molecole
costituenti il materiale.
La presenza di legami più o meno forti, come ad esempio legami dipolo-dipolo, forze di Van der Waals e
legami idrogeno, anche questi sono sebbene meno forti rispetto ai legami atomici, influenzano le proprietà
fisiche dei materiali.
Questi influenzano gli aspetti di aggregazione del materiale e influenzano le proprietà di superficie.

Le proprietà di superficie sono influenzate soprattutto dal legame intermolecolare.


Più forti sono i legami più il materiale è coeso e meno si presterà alla bagnabilità o all’adesione. Anche la
viscosità dipende dallo stato di aggregazione del materiale. Quando riscaldiamo diminuisce la viscosità
perché i legami intermolecolari del materiale o di qualunque sostanza tendono a rompersi.

Quando abbiamo visto la diffusione attivata abbiamo detto che avviene attraverso le lacune inter e
intramolecolari, quindi, quanto più forti sono i legami intermolecolari tanto minore sarà lo spazio lasciato
per le lacune e tanto minore sarà la permeabilità del materiale agli aeriformi.
Meno forti sono questi legami intermolecolari e intramolecolari e meno ravvicinate sono le molecole tra di
loro, lasciano più lacune e questi materiali si lasciano diffondere maggiormente dagli aeriformi.

In funzione dell’organizzazione molecolare, se questa è ordinata, simmetrica e periodica oppure


disordinata, asimmetrica e aperiodica, è una caratteristica fortemente influente sulla distribuzione chimica
delle molecole nello spazio e può influenzare tutte le proprietà fisiche.
Abbiamo già fatto la distinzione e la faremo anche dopo dei materiali cristallini, semi cristallini ed amorfi. I
materiali cristallini caratterizzati da una distribuzione uniforme, periodica ed ordinata delle molecole;
oppure una sequenza disordinata, aperiodica delle molecole all’interno dello spazio, tipica del vetro e di
altri materiali plastici.

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La presenza di una struttura ordinata e cristallina dà ragione di bassa trasparenza, alta conducibilità, alta
tenacità e bassa o nulla permeabilità.
La presenza invece di una organizzazione molecolare disordinata, dà ragione ad una elevata trasparenza,
bassa conducibilità e tenacità e media o alta permeabilità in rapporto sempre gas materiali.

Soprattutto nei polimeri plastici è possibile durante la fase di produzione influenzare il grado di cristallinità
con la conseguenza di avere, partendo dallo stesso polimero, materiali caratterizzati da diverse proprietà.
La fase di raffreddamento, dopo la formatura del film o del materiale è quella che influenza il grado di
cristallinità dei materiali. In base a come avviene la fase di aggregamento, posso avere materiali cristallini o
amorfi e quindi, partendo dallo stesso polimero ottengo materiali con caratteristiche differenti.
Per molti materiali è possibile modulare in fase di produzione il grado di cristallinità e quindi le
caratteristiche. Quindi durante il raffreddamento si può cambiare l’organizzazione spaziale, questo solo per
i materiali plastici non per tutti gli organici.

Struttura chimica del vetro, la sabbia ha una struttura periodica, ordinata del tetraedro. Dopo fusione
raffreddamento abbiamo una produzione del vetro dove vediamo una fusione e raffreddamento con la
costruzione sempre delle stesse molecole, lo stesso materiale, stessi atomi, ma la distribuzione
completamente amorfa e quindi aperiodica e disordinata, e questo rende le proprietà differenti. Quindi il
vetro passa dalla silice che ha una struttura perfettamente ordinata, con un passaggio ad una struttura
perfettamente amorfa. Il vetro è sostenibile, non perché la sabbia sia un bene in abbondanza ma perché la
fusione per produrre nuovo vetro se parto già da vetro, lo fondo ed uso poca energia. Si parla di economia
circolare. Il vetro è sempre vetro perché può essere riutilizzabile e inoltre è sostenibile perché se devo
fondere la sabbia uso temperature alte, ma se fondo il vetro abbiamo temperature più basse.

Quindi abbiamo detto che la struttura chimica è influente sulla maggior parte delle proprietà fisiche ma
anche ci sono alcune proprietà dette chimiche dei materiali.

Le proprietà chimiche dei materiali più importanti sono:


 il comportamento all’ossidazione: quindi la resistenza o meno del materiale all’ossidazione o alla
corrosione;
 Il comportamento alla combustione;
 La resistenza alla corrosione;
 La resistenza agli agenti aggressivi: quindi agli acidi, agli alcani;
 La bio-deteriorabilità o deteriorabilità;
 Caratteristiche antimicrobiche;
 La formazione di biofilm;

Raramente queste proprietà sono associate a grandezze facilmente ed oggettivamente misurabili.


Le proprietà chimiche di un materiale sono importanti soprattutto per valutare l’idoneità del materiale ad
un determinato impiego.

Generalmente la maggior parte di queste proprietà, vengono definite ed indicate come la cosiddetta
resistenza chimica o inerzia chimica.
Un materiale è resistenze o inerte chimicamente quando mantiene le proprie caratteristiche anche se
esposto in particolari condizioni estreme o aggressive.
Ci riferiamo a fenomeni di rimozione della materia per dissoluzione, ad esempio, il rilascio di molecole di
plastica all’interno dell’acqua per distruzione, abrasione o fenomeni di decomposizione chimica o fisica dei
materiali quando sono esposti agli agenti atmosferici.
Ci sono dei test per valutare il comportamento dei materiali agli agenti chimici, ad esempio, c’è un metodo
standard usato per misurare la resistenza chimica del prodotto esposto ad agenti chimici controllati per
tempi controllati, successivamente si valuta il peso, le dimensioni e l’aspetto del materiale.

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Abbiamo un altro metodo che valuta l’assorbimento di acqua del materiale o la resistenza agli oli e grassi
oppure la diffusione del grasso attraverso il film.

Test di penetrazione del grasso attraverso il film: Il materiale deve essere poco penetrante per il grasso
perché non deve ungere. Questo è un metodo che valuta l’assorbimento di acqua e grasso del materiale.
Valuta anche la diffusione del grasso attraverso il film.
Possiamo avere anche la valutazione allo strass cracking: questa è la resistenza agli agenti chimici aggressivi
e agli agenti ambientali, come ad esempio luce, umidità ecc.
Resistenza allo stress cracking: Si tratta di esprimere la resistenza del materiale all’azione di agenti chimici
e ambientali (temperatura, umidità). I test sono diversi ma si basano sulla esposizione forzata agli agenti
aggressivi da testare.

Resistenza agli oli e grassi: L’affinità per le sostanze grasse di un materiale può limitarne il suo impiego
come materiale per l’imballaggio Penetrando nel materiale, l’olio ed il grasso possono danneggiare la
stampa, provocare il distacco di materiali accoppiati.

Qui si valuta il comportamento del materiale quando viene sottoposto all’esposizione forzata a questi
agenti.
Un test che vi ho voluto riportare è quello per valutare la resistenza agli oli e ai grassi. In quanto l’affinità
verso le sostanze grasse di alcuni materiali le può limitare nell’impiego.
Se l’olio oltrepassa la confezione la stampa, l’adesività e le proprietà chiaramente vengono compromesse.

Come si effettua il test: Abbiamo del cotone imbevuto di olio e poi un peso di 50 grammi. Si effettua il test a
60 gradi e si valuta il tempo di diffusione dell’olio, attraverso il materiale.
Si valuta il tempo di diffusione, ossia quanto tempo il materiale a queste condizioni impiega ad essere
attraversato dall’olio e si scrivono le ore.

Abbiamo anche la resistenza alla combustione, non è il tempo della combustione ma è il comportamento
alla combustione ossia indica cosa succede quando il materiale è sottoposto a combustione. Mediante
combustione, ad esempio, possono essere considerati aspetti diversi quale l’eventuale sviluppo di fumo,
odore e colori della fiamma.

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Resistenza alla combustione Molti materiali di packaging, in diverse circostanze possono andare incontro a
fenomeni di ossidoriduttivi.
L’ossidazione più rapida e distruttiva è la combustione. Mediante la combustione si possono considerare
aspetti diversi come l’eventuale sviluppo di fumi, di odori e colori particolari della fiamma.

Questa proprietà non è misurabile come tutte le altre ma si vedono come sviluppa fumo, avremo una
valutazione non misurabile, ma di comportamento come ad esempio:

Finiamo con le proprietà chimiche con una cosa interessante, che riguarda le caratteristiche antimicrobiche
dei film.
Alcuni materiali tipo l’argento, ma anche alcuni bio-polimeri o biofilm, quali ad esempio il chitosano, sono
caratterizzati dall’avere una attività antimicrobica. Quindi essi per via della loro composizione rallentano lo
sviluppo microbico dell’alimento confezionato. Quindi questo è un completo cambiamento del packaging.

Finora noi abbiamo visto il packaging come elemento che proteggesse l’alimento dai fenomeni di
degradazione provocato dall’agente esterno (ossidazione, sviluppo microbico), con questa proprietà
iniziamo a considerare il packaging, non più come qualcosa di passivo, ma anche come qualcosa che
interviene in maniera attiva nell’influenzare i fenomeni di decadimento dei prodotti alimentari.
Infatti, la nuova frontiera del packaging non è più quella di guardare il packaging rispetto alla semplice
protezione, ma il packaging viene considerato anche come qualcosa che interviene in maniera attiva contro
i fenomeni di decadimento.

Fin ora abbiamo parlato di inerzia chimica dove il materiale non doveva cedere niente all’alimento, la nuova
frontiera dice che il packaging deve cedere sostanze utili all’alimento o assorbire sostanze non utili
(assorbitori di etilene, assorbitore di umidita, packaging attivi).
Il chitosano viene usato per fare i film edibili, si immerge il frutto in acqua e chitosano e poi si ha un
rivestimento sul prodotto. Il packaging deve essere attivo e oggi c’è un cambio di visione, dove la shelf- life
del prodotto è migliorata dal packaging. Il cloruro di sodio, ad esempio, interviene nei cicli della produzione
microbica e ne arresta il processo, ma ha una attività tossica.
L’acido lattico è un conservante, come anche nitrati e nitriti. Questi vengono intrappolati nel packaging e
ceduti all’alimento in maniera graduale. L’antiossidante viene ceduto dal film all’alimento.

Non si parla più di diffusione ovvero il packaging non ha nulla a che fare con l’alimento, ma oggi la frontiera
del packaging è oggi attivo e intelligente perché deve dare informazioni sullo stato dell’alimento. deve
comunicare con il consumatore.
La molecola che da positività all’alimento deve essere ceduto all’alimento in maniera lenta.

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