Se guardiamo un alimento, così come ci viene presentato al supermercato, generalmente il costo del
materiale non incide per meno del 10-15% rispetto al costo complessivo dell’alimento. Quindi, il packaging
ha una quota parte importante rispetto al costo complessivo dell’alimento.
Il packaging è considerato come il principale strumento di promozione dell’alimento stesso. Nel packaging
noi guardiamo l’aspetto informativo che il packaging ha e questa è una delle funzioni più importanti e le
industrie investono maggiormente. Noi guardiamo la confezione e la confezione ci attrae se fatta bene, ci
dà informazioni su quello che è il contenuto, l’etichetta inoltre ci dice il contenuto dell’alimento.
Quanti di voi acquistano gli alimenti, perchè magari il packaging è più attrattivo rispetto ad altri.
Considerate che la vista, è il primo organo di senso, con il quale il consumatore esprime un giudizio circa la
qualità dell’alimento.
Il packaging è il primo strumento con il quale il consumatore decide se acquistare il prodotto e quindi
chiaramente, molta cura si ha nel packaging dei prodotti.
Tutte le aziende alimentari hanno all’interno della loro struttura, un ufficio dedicato al packaging.
Quando si parla di innovazione, nell’ambito di “food sciences”, generalmente l’innovazione il più delle
volte, riguarda il materiale per il packaging.
Quando una azienda decide di innovarsi, può innovarsi o nell’ambito del prodotto, cercando di fare un
prodotto innovativo, con caratteristiche diverse ecc., con un processo diverso ecc.; oppure, investire
proprio sul packaging.
Spesso le aziende innovano guardando come aspetto da migliorare, proprio il packaging, perchè oggi tutto
si muove attraverso la sostenibilità, oggi i consumatori hanno una maggiore sensibilità riguardo la
sostenibilità ambientale.
Quando si parla di alimento, una delle parti in cui è possibile migliorare la sostenibilità del prodotto
alimentare, è proprio legata al packaging.
Confezioni sempre più green, il 42% degli italiani acquista il cibo, in base all’impatto ambientale del
packaging.
Inoltre, si lotta contro lo spreco alimentare, ancora oggi una parte degli alimenti che vengono prodotti,
vengono sprecati. Sprecati nei paesi industrializzati nella fase della vendita e consumo domestico.
L’alimento può essere perso o sprecato durante il ciclo di produzione perché ad esempio abbiamo tanti
scarti, e questo succede soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
Nei paesi industrializzati, invece, è la fase di vendita o di consumo domestico, la quota principale in cui vi è
spreco alimentare. Fondamentalmente perchè il prodotto arriva alla scadenza e quindi ha una shelf-life
inferiore, rispetto a quella che è la shelf-life del prodotto o si perde a livello domestico, perchè noi magari
apriamo il contenitore e poi dopo lo facciamo stare in frigo per tanto tempo.
Una delle proprietà principali che i materiali per il packaging devono avere, è l’inerzia ossia questi devono
interagire il meno possibile con l’alimento e quindi non devono cedere nulla all’alimento. Il packaging attivo
capovolge questa idea ovvero cede qualcosa all’alimento o assorbe sostanze dall’alimento.
Il packaging deve essere anche connesso ossia questo deve parlare con il consumatore. Il QR code ci
permette di ricevere informazioni dalla confezione e ci permette di conoscere l’alimento. Un packaging
connesso permette appunto la connessione del consumatore con l’alimento.
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Le funzioni del packaging
CONTENIMENTO: storicamente, è la funzione più antica. Questa è una funzione essenziale.
PROTEZIONE: la funzione di protezione, è spesso quella che più interessa il tecnologo alimentare.
La confezione rappresenta l’interfaccia tra il prodotto e l’ambiente. Protezione significa ad esempio
protezione dalle sollecitazioni meccaniche, dagli urti, dalle sovra pressioni ad esempio generate dalle
bevande gasate. Quindi i fil del packaging devono avere determinate proprietà meccaniche, per essere
idonee al confezionamento degli alimenti. Il packaging protegge dalla luce, ad esempio, e ditemi un
alimento per cui la luce è un fattore di alimentazione, ad esempio l’olio.
La protezione dalla luce è per alcuni alimenti importante per l’estensione della shelf-life. Ecco perchè,
dovremo scegliere soluzioni di packaging caratterizzate da determinate proprietà elettromagnetiche,
che sono quelle che influenzano la capacità del fil a sollecitazioni di tipo elettromagnetico.
1. L’umidità esterna, l’ambiente inteso come umidità, voi sapete benissimo che se l’alimento si idrata e
acquisisce umidità dall’ambiente esterno e questo perderà ad esempio la croccantezza, ma gli alimenti
risultano anche più suscettibili alle attività microbiologiche. Quindi è anche importante che il fil,
protegga l’alimento dall’umidità.
2. Ad esempio, la presenza dell’ossigeno è deleteria per alcuni alimenti, come la frutta, l’olio, prodotti ittici
ecc. Quindi avere dei film che proteggano l’alimento dal contatto con l’ossigeno, è molto importante.
3. Le proprietà diffusive, sono quelle che regolano il comportamento del film, quando viene sottoposto al
contatto con ossigeno, anidride carbonica ecc.
4. Il film ha una funzione di protezione, nei riguardi delle contaminazioni chimiche e microbiologiche, è
uno schermo; perciò, i microorganismi presenti nell’ambiente, non possono entrare all’interno del
prodotto alimentare.
5. Protezione anche nei riguardi delle contaminazioni indesiderate, vedremo ad esempio come le bottiglie
di plastica, il fatto di avere la protezione sotto il tappo (ring), quell’anello serve per farci capire se quella
bottiglia è stata aperta o meno. Quindi un packaging che protegge anche dalle manipolazioni esterne.
Ovviamente il tipo di protezione, va calibrata rispetto all’alimento.
LOGISTICA: il packaging permette il flusso degli alimenti in maniera più efficace, deve rispondere quindi
alla logistica; deve essere tale da proteggere l’alimento, estendere la Shelf-life, ma anche favorire la
logistica ossia tutte le operazioni di movimentazione all’interno dell’azienda.
COMUNICAZIONE: l’azienda ha necessità che il packaging comunichi, ossia comunichi proprietà,
etichetta, la presenza di gadget, la decorazione, sconti ecc. Tutte queste cose vanno inserite
nell’etichetta, come la data di scadenza, le diciture di scadenza che cambiano rispetto al prodotto,
codice a barre ecc.
SERVIZIO: è la funzione più recente, ma è divenuta di grande importanza per la possibilità di
assecondare le esigenze del consumatore. Ad esempio, il riso insieme al condimento, lo yogurt insieme
ai cereali, il mais insieme all’insalata e aceto ecc.;
ECOLOGICA: dobbiamo avere un packaging a basso impatto, magari un bio-packaging che non significa
degradabile attenzione, ma bio perchè si ottiene da fonti rinnovabili. Quindi deve facilmente essere
smaltito, deve importare le informazioni riguardo allo smaltimento nell’etichetta.
Quindi vediamo come l’operazione di packaging, si trova a monte della produzione dopo che produco, ossia
come devo confezionare, che film usare ecc.
Il packaging, quindi, è la prima interfaccia con cui il consumatore si trova a dover interfacciarsi; da una
parte, quindi, deve rispondere alle esigenze dell’azienda produttrice, ma dall’altra deve rispondere anche
alle esigenze del consumatore.
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Dobbiamo capire che quando parliamo di materiali di confezionamento, questi possono riguardare anche
quello che è l’imballaggio primario, questo è il materiale che entra in contatto con l’alimento. Non tutti i
materiali usati per il packaging, entrano in contatto con l’alimento. Ad esempio, nella vendita dei succhi,
abbiamo una confezione primaria che entra a contatto con i succhi e poi altri che non entrano. L’imballo
primario, si definisce come quel materiale che entra in contatto con l’alimento. All’imballaggio primario
quindi sono richieste caratteristiche di inerzia, per cui non deve cedere sostanze all’alimento ecc.
L’imballaggio terziario, questo tiene insieme più imballaggi primari e secondari, disposti in maniera
specifica per il trasporto e movimentazione dei materiali. Questo viene definito anche imballaggio di
trasporto.
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LE PROPRIETÀ DEI MATERIALI DI PACKAGING
Le proprietà chimiche: Sono definite chimiche le proprietà che dipendono dalla natura chimica (atomica,
molecolare) dei materiali. Tali proprietà variano solo in seguito a modificazioni, il più delle volte irreversibili,
della struttura chimica a seguito delle quali anche molte proprietà fisiche dei materiali vengono modificate.
Ad esempio, l’inerzia, oppure la capacità di assorbire acqua, olio dai materiali ecc. sono alcune proprietà
chimiche.
Le proprietà fisiche: Sono proprietà dei materiali di packaging, che dipendono da fenomeni che non
comportano una variazione della struttura chimica dei materiali, che sono spesso reversibili.
Per cui, è possibile variare queste proprietà con variazioni che sono spesso reversibili.
Quando parliamo di proprietà fisiche dei materiali, ci riferiamo ad un insieme di proprietà che possiamo
classificare in 5 raggruppamenti o tipologie:
proprietà meccaniche,
proprietà elettromagnetiche: influenzano la trasparenza e l’opacità,
proprietà diffusionali: che regolano la permeabilità dei film rispetto agli aeriformi,
proprietà di superficie (influenzano la stampabilità dei materiali, la bagnabilità, adesibilità ecc.,
proprietà termiche: la capacità di diffondere calore ecc.
Quindi le proprietà fisiche non dipendono dalla natura chimica e dai ligandi presenti all’interno della
materia. Le variazioni spesso di queste proprietà sono spesso reversibili e le possiamo classificare in 5
categorie.
LE PROPRIETÀ FISICHE
Una caratteristica di tutte le proprietà fisiche è che sono misurabili, perfettamente definibili da unità di
misura, per cui nelle schede tecniche le ritroviamo definite da un valore numerico con delle unità di misura
ben specifiche per ciascuna delle proprietà.
LE PROPRIETÀ MECCANICHE
Le proprietà meccaniche sono le proprietà che descrivono il comportamento di un materiale quando è
sottoposto ad una forza. Dunque, come si comporta un materiale sottoposto ad una forza.
Esempio:
L’impilaggio ovvero le confezioni vengono poste una sull’altra, dunque, la confezione posta sotto subisce
un’azione compressiva e statica, dunque, i materiali sottoposti a questa forza subiscono delle variazioni che
devono essere chiaramente contenute.
Lo scorrimento o frizione è una proprietà meccanica, quando devo spingere un materiale sull’altro, ci sono
materiali che ben si prestano a questa azione, ma ci sono altri che si prestano meno.
Gli urti e le sollecitazioni esterne di tipo compressivo ma discontinue come nel caso in cui cade una
confezione dall’alto dello scaffale, oppure i trasportatori prendono e buttano le confezioni all’interno dei
camion con poca delicatezza, chiaramente la confezione deve proteggere l’alimento da questi danni
meccanici.
Finora abbiamo parlato sempre di forze esterne di tipo compressivo, ma le forze possono essere anche
interne e di tipo intensivo. Nelle bevande gasate c’è una forza interna alla confezione che agisce sul
materiale e applica una tensione.
Le forze di trazione sono più importanti di quelle di compressione. Quando io devo effettuare il
confezionamento dei prodotti alimentari, devo avere confezioni che soni in grado di dilatarsi perchè
durante le fasi di confezionamento queste si dilatano e poi vengono utilizzate per avvolgere i contenitori.
Durante la produzione del film plastico, avviene sottoponendo il film a delle forze di trazione. Dopo aver
creato il polimero, il film viene tirato per essere poi avvolto in bobina ed è una forza esterna, non
compressiva, ma di trazione.
Le proprietà che il film ha di resistere a queste forze è una delle più importanti caratteristiche che il film
deve avere e che noi dobbiamo valutare nei film, per l’applicazione in ambito food. Immaginate il
confezionamento dei prodotti plastici, lì dobbiamo tirare il film e questa azione di trazione non deve
comportare delle modifiche delle proprietà del film. Quindi dovrò scegliere il film, caratterizzati da una
determinata caratteristica o proprietà meccanica.
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Le proprietà meccaniche le possiamo distinguere in:
Resistenza allo scorrimento o alla frizione
Resistenza meccanica:
Resistenza alla trazione;
Resistenza allo strappo;
Resistenza allo scoppio;
Resistenza allo snervamento;
Resistenza delle saldature;
Resistenza alle vibrazioni;
Resistenza agli impatti.
Qualunque scheda tecnica che accompagni qualunque materiale, riporta sempre fra le specifiche, alcuni
parametri relativi alle proprietà meccaniche.
Le proprietà meccaniche sono tutte misurabili con dei test standardizzati. La valutazione viene fatta
seguendo un protocollo standardizzato ed ognuna delle proprietà ha una sua unità di misura. Tutte
proprietà fisiche possono essere valutate da numeri e unità di misura.
Quando parliamo di resistenza meccanica, parliamo del comportamento che il materiale assume quando è
sottoposto ad una forza. La forza può essere statica o dinamica, interna o esterna.
In relazione poi alla direzione di applicazione della forza, parliamo di forze di trazione e compressione.
L’applicazione di una qualunque forza sia di trazione che di compressione ha come effetto sul materiale una
variazione di quelle che sono le proprie dimensioni ossia una deformazione.
Se io comprimo un materiale avrò una riduzione delle dimensioni rispetto alle dimensioni iniziali; se io
applico una forza di trazione al materiale avrò un allungamento delle dimensioni rispetto a quelle iniziali.
La deformazione, si esprime sempre come variazione percentuale %, rispetto alla dimensione iniziale.
Riguardando la scheda precedente, vediamo che l’allungamento è espresso come 136% ovvero quel
materiale sottoposto a trazione si allunga del 136% rispetto alla dimensione iniziale.
Se il materiale iniziale è 10 cm si allunga a 23 cm perché l’allungamento è del 136%.
Ci sono dei materiali che sottoposti a trazione, non si allungano per niente, come ad esempio il metallo, che
ha un grado di allungamento molto basso.
I materiali a seconda della possibilità che hanno di essere sottoposti a trazione di allungarsi li distinguiamo
in rigidi (non ha la possibilità di allungarsi ma non è duro) e duttili.
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Ad esempio: se L0 (L con zero) è lo spessore iniziale del materiale, se sottoposto a trazione, esso subirà una
diminuzione di quello che è lo spessore. Se consideriamo lo spessore, la percentuale di deformazione potrà
essere calcolata, nel caso di una forza tensile, come:
F
Stress(σ )=
A
Per valutare la resistenza alla trazione di un materiale la possono rappresentare in un diagramma in cui
sull’asse delle ascisse inserisco la deformazione in percentuale, sull’asse delle ordinate lo sforzo inteso
come rapporto tra la forza applicata per la trazione e la superficie su cui la forza viene applicata.
Per poter capire bene che cosa succede vediamo un test di trazione.
Quello che vi sto facendo vedere, è come si fa il test di resistenza alla trazione, in questo caso di un solido
deformabile. Capiremo così cosa si intende per sforzo e deformazione.
Si determina la superficie perchè lo sforzo è la forza applicata sulla superficie e per cui chiaramente, devo
calcolare il diametro del profilo che sto sottoponendo a trazione.
Dopodiché, il test si fa mettendo il profilo su di un macchinario che si chiama dinamometro che ha una
parte fissa dove viene agganciato il profilo e una parte mobile detta traversa mobile superiore che pian
piano si solleva, sollevandosi il profilo subisce uno sforzo di trazione ovvero lo tira. Attraverso l’applicazione
di una forza di trazione costante e lo sforzo riportato nel grafico, dunque, è il rapporto tra la forza applicata
e la dimensione (che è un parametro fisso).
Man mano che la parte mobile (traversa superiore) tende a sollevarsi, il comportamento del materiale,
viene registrato in un diagramma sforzo/deformazione. Quindi descriviamo come si allunga il materiale, in
funzione dello sforzo a cui viene sottoposto.
Quello che viene descritto durante il test è un diagramma in cui abbiamo: sull’asse delle ordinate lo sforzo (
forza −2
sforzo= =N mm ) ovvero il rapporto tra la forza applicata e la superficie su cui la forza viene
superficie
applicata e sull’asse delle ascisse c’è la deformazione espressa in percentuale (%) ed è il rapporto
percentuale tra la variazione di lunghezza (L-L0) e la dimensione iniziale del provino (L0).
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DT= 100 x (L – L0) / L0
Non sempre lo sforzo aumenta all’aumentare dell’allungamento perché, ad esempio, per allungare un film
plastico prima devo applicare un grande sforzo ma dopo aver vinto la prima resistenza magari si allunga di
più e in maniera più che proporzionale allo sforzo che sto applicando.
Il grafico che vediamo è tipico di un materiale plastico, infatti, all’inizio quando inizio ad applicare lo sforzo il
materiale si allunga in maniera proporzionale allo sforzo cioè se raddoppio lo sforzo si raddoppia
l’allungamento. C’è una proporzionalità diretta tra l’applicazione dello sforzo e la deformazione del
materiale. Dopo un po' c’è la perdita della proporzionalità diretta tra applicazione dello sforzo e
deformazione, quindi, devo applicare uno sforzo più basso oppure lo stesso sforzo produce una maggiore
deformazione. All’applicazione di uno sforzo, corrisponde una deformazione più che proporzionale (parte
della curva in cui c’è l’inversione di pendenza EY).
Raggiunto un certo punto se non voglio rompere il materiale devo ridurre la forza che sto applicando ma
continuando l’allungamento. Ad esempio, i materiali plastici, si allungano anche se abbasso lo sforzo
applicato dopo il punto Y.
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Nel momento in cui vi è rottura vi è il collasso del diagramma perché non vi è più allungamento e finisce il
test.
Nel grafico possiamo descrivere una zona di deformazione elastica e una zona di deformazione plastica.
La zona di deformazione elastica è rappresenta il tratto lineare della curva con pendenza costante della
retta, quella in colore arancione, questa zona è importante perché è la zona nella quale le deformazioni che
il materiale subisce sono reversibili ovvero se smetto di applicare lo sforzo il materiale torna alle dimensioni
originarie.
forza
Il punto E si esprime in N mm2, sforzo= ; è il limite di elasticità ovvero rappresenta la forza per
superficie
unità di superficie che possiamo applicare ad un materiale senza provocare deformazioni irreversibili al
materiale.
Quindi, quando troviamo sulle confezioni: limite di elasticità= 13 mega Pascal oppure 13 N/mm 2, significa
che io posso applicare una forza pari a 13 mega Pascal, senza provocare una deformazione reversibile di
quel materiale. Io posso applicare quella forza, ma non cambia la forma di quel prodotto, ma anche se si
dovesse deformare togliendo la forza, il materiale torna alla sua dimensione principale.
La zona di deformazione plastica è quella compresa tra le linea arancione e quella blu ovvero la parte
centrale (EB); da questo momento in poi la deformazione diventa irreversibile ovvero togliendo la forza
applicata, il materiale non torna più nelle dimensioni originarie.
Il grafico ci dice qual è il limite di elasticità, qual è la zona elastica e plastica di un materiale.
Inoltre, dal provino posso trarre informazioni su alcuni parametri specifici del materiale ovvero quelli che si
riportano nelle schede tecniche perché nelle scede tecniche non è riportato il grafico ma troveremo dei
parametri specifici e che bisogna capire quando si legge una scheda tecnica.
La presenza della zona plastica ci fa capire quanto un materiale è duttile, maggiore è la zona plastica più
duttile è il materiale, l’assenza invece ci fa capire quanto un materiale è rigido. Il materiale che non ha la
zona plastica è rigido e fragile perché non avendo la zona plastica, chiaramente non è in grado di
rispondere alle deformazioni e quindi si rompe.
Questo è un altro grafico di un materiale plastico, possiamo capire che il materiale è plastico perché
presenta innanzitutto la zona plastica. Un materiale plastico è deformabile almeno una volta quindi si
deforma, siccome nella deformazione posso vedere la zona plastica significa che quello è un materiale
plastico. Mentre, il vetro, ad esempio, non ha una zona plastica a temperatura ambiente e può essere
deformato fino al punto E non presenta la zona plastica, ma se lo poniamo alle elevate temperature può
essere deformato.
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Il punto A del grafico è definita resistenza alla trazione del materiale ed è il punto in cui ho avuto il
massimo sforzo. Questa viene espressa in Newton su millimetro quadrato, rappresenta la massima
sollecitazione registrata che non corrisponde necessariamente a quello di rottura.
Il punto di rottura non è detto che sia quando applico la forza maggiore; infatti, il pinto di rottura b
possiamo vedere che non è stato applicato il massimo sforzo.
Il punto B è il limite di rottura è espresso sempre in Newton su millimetro quadrato e rappresenta lo sforzo
registrato al momento della rottura del provino.
Può essere che A e B siano coincidenti ovvero applico una forza maggiore del limite di rottura, quindi A è
maggiore di B.
Il dinamometro registra quanto sta resistendo il materiale all’applicazione della forza.
All’applicazione di una forza sempre costante la curva può scendere perché la resistenza del materiale è
minore perché abbiamo vinto determinate forze di legame o abbiamo destrutturato il prodotto.
Il punto D è il limite di elasticità è espresso sempre in Newton su millimetri quadri. Rappresenta la massima
sollecitazione, che il materiale può subire, senza che si verifichi una deviazione della proporzionalità diretta
tra sforzo e deformazione. Quando le deformazioni sono reversibili ma anche quando c’è proporzionalità
tra aumento dello sforzo e aumento della deformazione. Fino a questo punto le deformazioni sono
reversibili oltre questo punto le deformazioni sono drastiche e irreversibili.
Esempio: se aumento la forza di 1 N la deformazione aumenta di 1 mm.
Il punto E modulo di snervamento (N/mm2): rappresenta la pendenza del segmento lineare che unisce
l’origine del diagramma, al limite di snervamento. Anche questo se ragioniamo come il modulo di Young,
andando a tracciare una retta che è lineare, posso utilizzare questo modulo per calcolarmi le forze fino a
questo limite di snervamento. Dall’origine al punto C.
Il punto F modulo di elasticità anche detto modulo di Young (N/mm2). Il modulo di Young corrisponde alla
pendenza della retta nel tratto lineare della curva, è la pendenza della retta che unisce il punto D all’origine
degli assi. Matematicamente il modulo di Young è il rapporto tra lo sforzo e la deformazione, nel tratto
lineare della curva sotto il limite di proporzionalità.
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Essendo proporzionale il rapporto tra lo sforzo e la deformazione, questo valore è sempre costante, lungo
tutto il tratto della curva fino al punto D. Questo rapporto ci consente di determinare una serie di
parametri, molto importanti tra cui ad esempio: la deformazione che è espressa in millimetri che il dominio
può subire conoscendo lo sforzo a cui è sottoposto nel tratto lineare oppure data una deformazione lo
sforzo a cui esso può essere sottoposto per dar vita alla deformazione.
Il modulo di Young che indichiamo con E è dato dallo sforzo diviso la deformazione nel tratto lineare della
curva.
σ → sforzo(F / A)
E=
ε → deformazione (∆ L/ L)
Lo sforzo non è altro che la forza (F) applicata sulla superficie (A), mentre la deformazione è differenza di
lunghezza prima e post applicazione dello sforzo diviso la dimensione originale.
Quindi se il modulo di Young è sforzo, su deformazione; evidentemente lo sforzo, sarà dato dal modulo di
Young per la deformazione.
Sforzo = modulo di Young x deformazione (σ =E x ε )
F ∆L ∆L FL
=E F=ES ∆ L=
S L L SE
Quindi, conoscendo il modulo di Young, posso conoscere la forza, conoscendo ∆ L . Se conosco ∆ L ovvero
conosco la deformazione posso sapere a quella deformazione quale forza corrisponde.
Infatti, la forza corrisponde al modulo di Young per la superfice per la deformazione.
Data una deformazione del 10%, conoscendo il modulo di Young posso sapere qual è la forza che mi
provoca quella deformazione del 10%.
La deformazione, espressa in millimetri o in cm e non in percentuale, sarà data dalla forza per la lunghezza
del provino diviso la superficie per il modulo di Young. Otterremo di quanti millimetri si è deformato il film
plastico.
In questo caso posso sapere, applicando una forza di 5 Newton, qual è la deformazione che il provino
subisce, è importante conoscere quale deformazione subisce il provino applicando una forza di trazione
pari ad x Newton.
Tutti i materiali plastici hanno lo stesso andamento iniziale ovvero fino al punto C mentre la parte dal punto
C al punto B in cui si verifica la rottura non è detto che avvenga.
Il modulo G è la pendenza della retta che collega l’origine degli assi (diagramma sforzo/ deformazione) al
punto C ossia il punto di limite di rottura.
Oltre a dei parametri numerici, questo grafico ci permette anche di esprimere giudizi sulle caratteristiche e
proprietà fisiche dei materiali. Da questo grafico possiamo definire la tenacità di un materiale.
La tenacità è una misura dell’energia, che un provino può assorbire prima di rompersi, è il lavoro che
bisogna compiere per rompere un provino.
Matematicamente è il rapporto tra l’area sottesa alla curva (energia che è necessario conferire al provino
prima che lo stesso si rompa) e l’area del provino. Si esprime in J mm-2, è il lavoro che devo fare per poter
rompere quel provino; quanto maggiore è l’area tanto più il materiale è tenace, tanto minore è l’area tanto
minore è la tenacità del materiale.
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Questo è un esempio di tre curve di tre materiali diversi, se volessimo esprimere un giudizio sulla tenacità,
il materiale più tenace è il B, perché ha un’area sottesa alla curva maggiore.
Un altro parametro importante è la resilienza che misura il valore massimo di energia che può essere
immagazzinata da materiale senza che subisca danni.
L’idea è che fin che sto nella zona di elasticità, con deformazioni che sono reversibili, le altre caratteristiche
legate al materiale come, ad esempio, lo spessore del materiale, non vengono mutate; quindi, il materiale
mantiene le caratteristiche che aveva all’inizio.
Quando invece sono fuori la zona dell’elasticità siccome le deformazioni sono irreversibili, può succedere
che le altre caratteristiche vengano variate come la trasparenza, la permeabilità ecc.
La resilienza non è altro che la variazione che posso incamerare senza avere variazioni delle proprietà.
Graficamente corrisponde all’area sottesa alla zona elastica ovvero dal punto D in giù. Quanto maggiore è
l’area tanto maggiore è la resilienza del materiale.
Guardando il grafico il materiale B è quello che ha maggiore resilienza.
Possiamo esprimere un giudizio sulla fragilità e duttilità del materiale, in particolare questi due giudizi
dipendono da quanto è grande la zona di deformazione plastica.
Se la zona di deformazione plastica è ridotta o assente e quindi il punto di rottura coincide con il limite di
elasticità, il materiale è fragile, non c’è zona plastica come nel vetro.
La curva A non ha deformazione se non una deformazione di tipo elastico, il materiale è fragile perché non
c’è parte della curva di deformazione plastica e soprattutto in questa curva il limite di elasticità corrisponde
con il limite di rottura. Il vetro a temperatura ambiente non può essere deformato quindi è fragile perché
non ha una zona plastica.
I materiali duttili sono quei materiali che presentano una ampia zona di deformazione plastica.
La duttilità esprime la capacità che ha un materiale di deformarsi, prima di rompersi. La proiezione di D
sull’asse delle x fino al valore i; quanto si allunga il materiale nella zona plastica.
Nel grafico sottostante sono posti a confronto i diagrammi sforzo/deformazione di materiali con
caratteristiche di resistenza differenti.
La curva A è tipica di un solido caratterizzato da alta resistenza, la sua rottura richiede molta forza ma poca
energia (piccola area sottesa alla curva).
Tale materiale presenta bassa duttilità poiché non si allunga molto prima della rottura ed è perciò definito
fragile (Vetro).
La curva B si riferisce ad un materiale resistente e tenace, non resistente quanto A, ma assorbe più energia
prima di rompersi (meno sforzo ma maggiore energia) come i materiali cellulosici (carta, cartone); inoltre, si
allunga più del campione A.
La curva C è caratterizzata da bassa resistenza rispetto alla curva A si rompe con minore forza, bassa
tenacità infatti l’area sottesa alla curva è limitata, però è molto duttile ovvero è in grado di allungarsi molto
prima della rottura. (materiale plastico)
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In questo grafico vediamo i diagrammi tipici dei materiali che sono un po' più reali.
La deformabilità di un metallo è molto simile a quella dei film plastici ma con un impiego di forza maggiore.
Valutando in modo comparato due o più curve di sforzo/deformazione, è quindi possibile esprimere un
giudizio sulla rigidità di un materiale (il valore della pendenza nel tratto lineare), sulla duttilità (ampiezza
della deformazione subita), sulla fragilità se risulta assente, o molto ridotta, la zona di deformazioni
plastiche e il punto di rottura coincide con il limite di elasticità, sulla durezza confrontando i valori di
sollecitazione che determinano la rottura, sulla tenacità, la capacità di assorbire le sollecitazioni,
considerando l’area sottesa dalla curva.
Esempio: il materiale che stiamo testando è il film che avvolge il provino, che è di peso costante. In questo
caso stiamo valutando lo sforzo di frizione materiale su materiale, del materiale che avvolge il provino.
La resistenza dei materiali allo scorrimento, viene generalmente espresso attraverso il coefficiente di
frizione o di attrito.
La resistenza si definisce come il rapporto tra la forza di frizione tangenziale (F) che si oppone allo
scorrimento (misurata attraverso un dinamometro) diviso la forza di peso che agisce perpendicolarmente
alle due superfici (Fg)
F
COF=
Fg
Ad esempio, io tiro e il dinamometro misura quanto il materiale sta resistendo a questa azione di
scorrimento, quanto tiro dipende dalle caratteristiche del materiale.
Il materiale che utilizzo per avvolgere il provino deve avere un peso costante perché il test deve essere
uniformabile anche su formati diversi.
Il coefficiente di frizione è il rapporto tra la resistenza che il materiale oppone allo scorrimento diviso il
peso.
Il coefficiente di frizione può essere statico o dinamico.
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Si parla di coefficiente di frizione statico come la forza necessaria per far muovere il provino, da fermo lo
comincio a far camminare.
Si parla di coefficiente di frizione dinamico quando si fa riferimento alla forza necessaria per vincere la
resistenza al movimento di una superficie sull’altra ad una velocità costante cioè quando il materiale è già
in movimento.
Si parla di coefficiente di frizione film su film quando avvolgo il provino con un film e si valuta lo
scorrimento o sullo stesso film o su un film diverso.
Si parla di coefficiente di frizione film su piano quando mi interessa lo scorrimento del film sul piano
Resistenza allo snervamento: misura la deformazione del materiale nel tempo, quando è sottoposta ad una
forza o carico costante. In questo caso esprimiamo la vita del materiale scelto per l’imballaggio, esprimendo
di conseguenza la shelf-life del materiale che stiamo confezionando. Quindi, se termina la shelf-life
dell’imballaggio probabilmente termina anche la shelf-life del prodotto che abbiamo confezionato.
Resistenza delle saldature: I difetti di saldatura, sono la prima causa di perdita di ermeticità delle
confezioni e di conseguenza entra ossigeno e microrganismi. Possono verificarsi anche in assenza di reali
cattivi funzionamenti della macchina, quando le saldature sono sollecitate prima che abbiano avuto il
tempo di raffreddarsi. Consiste quindi nella valutazione della resistenza a caldo delle saldature, che
potrebbero ridurre l’efficacia della saldatura.
La saldatura richiede dei tempi, se subito dopo la saldatura applico uno sforzo alla confezione possono
manifestarsi dei difetti di saldatura per cui è importante sapere quanto la saldatura resiste al caldo, in
quanto la saldatura si effettua a caldo. La resistenza della saldatura si verifica a caldo e non a temperatura
ambiente. È importante sapere la resistenza alla saldatura perché ci permette di conoscere a quale
temperatura bisogna effettuare la saldatura, perché se viene effettuata a temperature diverse o inferiori
potremmo non avere una saldatura efficacie, maggiore è la resistenza dalla saldatura al calore maggiore
sarà la tenuta della saldatura.
Resistenza allo scoppio: Consente di conoscere il valore della pressione richiesta per ottenere la rottura
del materiale in condizioni standard ed è generalmente espressa in kPa (kilo Pascal). Si tratta di un
parametro che è necessario conoscere, nel caso di materiale come bottiglie di vetro o materiale plastico
che dovranno contenere liquidi in sovrapressione.
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LE PROPRIETÀ DIFFUSIONALI O DIFFUSIVE
All’interno di una confezione, si viene a creare una atmosfera che può essere uguale o diversa da quella
atmosferica. Sulla composizione interna dell’atmosfera intervengono una serie di fenomeni.
Ci sono ad esempio dei prodotti, come quelli ortofrutticoli che respirano e respirando producono anidride
carbonica e tolgono ossigeno, perciò se ho creato un’atmosfera diversa da quella atmosferica in cui
inserisco un prodotto ortofrutticolo (5% O2 e 95% CO2) so che a questa composizione nel tempo tenderà
avariare in funzione dei fenomeni di metabolismo e di respirazione dei frutti, per cui verrà prodotto CO2 e
verrà sottratto ossigeno con la respirazione e quindi l’atmosfera che ho creato verrà variata nel tempo.
Questa è una delle proprietà più importanti per un tecnologo perché molti fenomeni degradativi che
compromettono la shelf life dell’alimento sono legati a fenomeni di diffusione o di mancata diffusione degli
aeriformi. L’ingresso di ossigeno all’interno della confezione può causare fenomeni ossidativi e quindi può
accorciare la shelf life dei prodotti andando ad accelerare i fenomeni di degradazione ossidativa.
Se mantengo un’atmosfera modificata arricchita in un componente che ha attività antimicrobica come la
CO2, è chiaro che la shelf life di quel prodotto cambierà se la CO2 passa dall’interno all’esterno della
confezione perché l’atmosfera che ho creato viene persa.
L’accumulo di off-flavour all’interno delle confezioni, si sviluppano i fenomeni ossidativi, l’impermeabilità
del film fa si che questi composti volatili che influenzano le proprietà sensoriali rimangano all’interno della
confezione come sentire l’odore di rancido nel momento in cui si apre una confezione.
Anche l’accumulo di composti volatili indesiderati all’interno della confezione sono fattori influenti sulla
shelf life dei prodotti.
L’impermeabilità degli aeriformi significa anche non permettere il passaggio del vapore acqueo, il passaggio
del valore acqueo dall’interno della confezione all’esterno è segno di decadimento del prodotto.
Le lacune possono essere previste in quanto dipendono dalle caratteristiche del film. La molecola del
polimero è costituita da materiali, la cui morfologia può essere tale da poter far lasciare degli spazi vuoti.
Gli spazi vuoti possono derivare da spazi tra le molecole oppure all’interno della molecola stessa,
soprattutto quelle di grandi dimensioni, vi può essere il passaggio di aeriformi.
Un polimero o blend di polimeri ha un determinato valore di spazi vuoti diverso da un altro, quindi, è un
fenomeno dipendente dal polimero, può essere misurato, previsto e in qualche modo si può modulare
attraverso operazioni tecnologiche. Può anche non essere un polimero, es. carta, cartone ecc.
Le lacune intermolecolari: queste lacune della materia, sono conseguenza della natura e della
morfologia del polimero, hanno dimensioni non costanti perché soggette ai moti molecolari.
Le lacune intramolecolari: in molecole di grandi dimensioni, è possibile che vi sia spazio sufficiente per
il passaggio di sostanze gassose o di vapori; queste discontinuità possono variare la loro dimensione per
effetto di moti termici.
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Quando parliamo di permeabilità di film, ci riferiamo non al passaggio degli aeriformi attraverso le fessure
ecc, ma parliamo di quelli aeriformi che passano attraverso le lacune intermolecolari e intramolecolari.
Quando si parla di coefficiente di permeabilità del film o permeabilità del film ci riferiamo al passaggio
attraverso le lacune intermolecolari e intramolecolari.
Il meccanismo di diffusione degli aeriformi attraverso le fessure o pori e canali o le lacune è completamente
differente.
In presenza di fessure o pori e canali si parla di un flusso capillare o diffusione indifferenziata. Gli aeriformi
si muovono praticamente senza ostacolo all’interno di queste discontinuità e con la stessa velocità.
Diffusione indifferenziata perché qualunque gas passano tutti allo stesso modo attraverso la discontinuità in
maniera indifferenziata tra un aeriforme e l’altro.
Possono entrare anche i liquidi e persino delle cellule microbiche, i flussi sono di notevole entità e non sono
prevedibili.
Il passaggio attraverso le lacune intra ed intermolecolari avviene secondo un meccanismo che non è una
semplice azione di passaggio e basta, questo meccanismo di diffusione dei gas è più complesso. Viene
chiamato flusso selettivo e il meccanismo di diffusione è definito diffusione attivata.
È selettivo perchè cambia da gas a gas, attivata perchè c’è bisogno di una energia di attivazione per far si
che questo flusso avvenga.
L’energia di attivazione è rappresentata dalla differenza di concentrazione dell’aeriforme tra una faccia e
l’altra del film oppure una differenza di pressione o da una differenza di temperatura tra una faccia e l’altra
del film.
A differenza del flusso capillare in questo caso si parla di un flusso selettivo perché cambia a seconda del
gas e affinché possa avvenire il passaggio deve esserci un’energia di attivazione.
Il cambiamento da gas a gas possiamo capirlo solo se riusciamo a capire come avviene il meccanismo di
diffusione selettiva.
Il flusso selettivo o diffusione attivata di un gas da una faccia all’altra del film avviene in tre fasi:
Prima fase fase di adsorbimento: l’aeriforme viene adsorbito sulla superficie esterna o interna a
maggiore concentrazione. Ci deve essere un’interazione tra l’aeriforme e il film. Questo fenomeno
viene regolato da un coefficiente di solubilità.
Seconda fase fase di diffusione. L’ aeriforme è stato adsorbito sulla faccia, attraversa il film e migra
fino all’altra faccia. La diffusione all’interno del film è regolata da un coefficiente di diffusione.
Terza fase fase di desorbimento. L’aeriforme che è arrivato nella faccia più interna del film viene
desorbito per entrare all’interno della confezione stessa. Questo fenomeno è dipendente dal
coefficiente di solubilità
PRIMA FASE ADSORBIMENTO solubilità (S): le molecole del gas o del vapore permeante vengono
adsorbite superficialmente, disciogliendosi nella matrice. Tutte le variabili che condizionano la
solubilità di un gas all’interno di una qualunque matrice influenzano la solubilità, tra cui
temperatura, pressione assoluta, e la solubilità nel polimero; ci deve essere interazione e affinità tra
l’aeriforme e il polimero.
La solubilità (S) espressa in cm3, cm-3, bar-1 è rappresentativa di questa fase e rappresenta l’affinità tra
l’aeriforme e il polimero. La solubilità cambia a seconda della coppia polimero-gas.
A parità di materiale la solubilità cambia in base al gas e a parità del gas la solubilità cambia in base al
materiale, infatti, ogni materiale ha la sua scheda tecnica.
L’adsorbimento cambia a seconda della coppia; abbiamo il coefficiente di solubilità per coppia gas-
polimero; infatti, ogni materiale ha la propria scheda tecnica rispetto alla permeabilità rispetto alla CO2, O2,
vapore acqueo ecc.
Quindi, possiamo dire che la legge di adsorbimento può essere regolata dalla legge di Henry secondo cui la
concentrazione del permeante adsorbito sulla faccia del film è dipendente dal coefficiente di solubilità per
la pressione parziale del permeante ovvero la concentrazione dell’aeriforme.
c=S x p
La prima fase o step prevede che la concentrazione del permeante è variabile all’inizio finché il permeante
arrivi da una parte all’altra del film, dunque, le concentrazioni non sono costanti da una parte all’altra del
film ma sono variabili.
All’inizio sulle due facciate abbiamo due concentrazioni differenti, man mano che si diffonde al tempo T2
avremo ancora una differenza di concentrazione, man mano che l’aeriforme comincia ad arrivare sulla
facciata che inizialmente aveva minore concentrazione, la concentrazione cambia.
Questo step è trascurabile in quanto la concentrazione è variabile e dura poco perché si arriva all’equilibrio.
Nella vita di una confezione questo tempo in cui si raggiunge l’equilibrio è trascurabile rispetto a tutto il
tempo in cui rimane in equilibrio.
La seconda fase: Immaginiamo la concentrazione di permeante sulla faccia del film a minore
concentrazione. La concentrazione del permeante all’inizio è bassa poi aumenta fino a raggiungere
l’equilibrio. Quindi possiamo distinguere uno stadio stazionario a concentrazione costante e uno stadio a
concentrazione variabile. Lo stadio a concentrazione variabile è trascurabile come tempo. rispetto allo stato
stazionario per cui a noi interessa più misurare la permeabilità non allo stato in cui la concentrazione è
variabile ma nello stato stazionario.
Fino ad un certo punto sulla faccia a minore concentrazione ci sarà nel tempo all’inizio una concentrazione
nel tempo che aumenti in maniera meno che proporzionale, dopodiché si raggiunge l’equilibrio nel tempo e
la concentrazione sulla faccia sarà costante nel tempo e quindi una fase stazionaria, l’incremento nel tempo
della concentrazione sarà costante ma all’inizio non è così perché devo dare il tempo affinché si sviluppi
l’adsorbimento e la diffusione.
Consideriamo questo grafico come la concentrazione del permeante sulla faccia a minore concentrazione.
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Se parlassi di concentrazione del permeante solo sulla faccia a maggior concentrazione, parlerei solo del
fenomeno di assorbimento.
Quindi il grafico ci dice che la concentrazione del permeante nel tempo, sulla faccia a minore
concentrazione, segue un primo step a concentrazione variabile nel tempo ed un secondo step in uno stato
stazionario, in cui la concentrazione aumenta sempre nella stessa maniera nel tempo.
Nello stato stazionario la concentrazione sulla faccia meno concentrata aumenta linearmente nel tempo a
differenza della prima.
Siccome il primo tempo è un tempo trascurabile, in una shelf life di 21 giorni, considerare la permeabilità
che avviene all’interno del periodo a concentrazione variabile è poco significativa mentre ci interessa di più
capire com’è il flusso del permeante nella fase stazionaria.
È importante capire matematicamente come varia il flusso del permeante nella fase a concentrazione
variabile e come varia il flusso di permeante nella fase stazionaria.
La cosa che io devo capire è come cambia il flusso del materiale nel tempo sia nel caso in cui mi trovi una
fase a concentrazione variabile o nella fase stazionaria.
Nella fase stazionaria, la velocità del flusso dell’aeriforme viene regolata dalla prima legge di Fick nella fase
a concentrazione variabile, il flusso del permeante viene regolato dalla seconda legge di Fick.
Quello che ci interessa maggiormente è capire cosa succede nella fase stazionaria perché dal punto di vista
delle tempistiche prende molto di più il periodo di shelf life del prodotto.
Il flusso dell’aeriforme nella fase stazionaria viene quantitativamente espresso dalla legge di Fick che dice
che il flusso del permeante ovvero dell’aeriforme, inteso come la quantità di permeante che diffonde
nell’unità di superficie nell’unità di tempo, è proporzionale al coefficiente di diffusione D e maggiore sarà la
quantità di permeante che diffonde sulla superficie, per unità di tempo. Maggiore sarà la diffusione,
maggiore sarà il flusso.
Per la differenza di concentrazione per il rapporto tra: la differenza di concentrazione del permeante da una
parte all’altra del film, maggiore la differenza di concentrazione, maggiore sarà la quantità di permeante
nell’unità di superficie e di tempo, è inversamente proporzionale alla lunghezza della dimensione del flusso
ossia allo spessore del film.
dc
F=−D( )
dx
F= flusso (o velocità di trasmissione del permeante), (cm3 cm-2s-1) = Quantità di permeante (cm3) che
diffonde nell’unità di superficie (cm2) nell’unità di tempo (s)
D = coefficiente di diffusione (cm2s-1);
c = concentrazione del permeante nel mezzo permeato (cm3 cm-3);
x = lunghezza nella direzione del flusso (cm).
Quindi possiamo sostituire F con questa formula per cui possiamo scrivere
Q
At
=D (
c 1−c 2
l )
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Sostituiamo dc con c1 – c2 ovvero la concentrazione di una faccia 1 meno la concentrazione della faccia 2,
diviso l (L minuscolo) inteso come spessore del filtro.
A x t x D(c 1−c 2)
Q=
l
Q sarà uguale all’area della superficie del film per il tempo per D per la differenza di concentrazione, diviso l
ovvero lo spessore.
Ma dalla legge di Henry so che c1 ovvero la concentrazione sulla faccia 1 del film del permeante è uguale al
coefficiente di permeabilità per la pressione parziale su quella faccia. c1 = S x P1
Così come c2 = S x P2
Siccome S è uguale è perchè stiamo parlando della stessa coppia aeriforme-film possiamo scrivere quella
relazione come:
A x t x D x S (P 1−P 2)
Q=
l
D e S sono due costanti, uno è il coefficiente di diffusione e l’altro è il coefficiente di solubilità costanti per la
coppia film-aeriforme, questo rapporto D X S = Kp prende il nome di coefficiente di permeabilità.
A x t x Kp(P 1−P 2)
Q=
l
Sulle schede tecniche troviamo il coefficiente di permeabilità; che si può esprimere come:
Q= cm3
Q xl l = ⴏm
Kp=
A x t (P 1−P 2) A= cm2
t= ore, secondi, 24h
(P1- P2) = 0
Il coefficiente di permeabilità che troviamo sulle schede tecniche e non è altro che la quantità di permeante
Q espressa in centimetri cubi che attraversa uno spessore unitario del film espressi in micron, caratterizzato
da una superficie unitaria in centimetri quadri di spessore, nell’unità di tempo espressa in secondi o ore,
sottoposta ad una differenza di pressione parziale.
La volta scorsa abbiamo visto la permeazione e quindi la diffusione com’era suddivisa in uno stato
stazionario e in uno stato transitorio.
Fondamentalmente all’inizio della diffusione dobbiamo considerare la concentrazione del permeante nella
faccia a minore concentrazione perché all’inizio della permeazione il gas passa dalla faccia a maggiore
concentrazione alla faccia a minore concertazione.
Considerando la faccia del permeante a minore concentrazione rimane stabile a parità di differente
concentrazione tra l’interno e l’esterno della superficie.
L’andamento della concentrazione del permeante sulla superficie a più bassa permeabilità è quella che
viene descritta dal grafico in cui possiamo dividere nel tempo 2 fasi: uno stato transitorio e uno stazionario.
La prima fase detta di stato transitorio prevede che la concentrazione del permeante sulla faccia a
concentrazione minore non è costate nel tempo.
All’inizio della permeazione ovviamente c’è prima lo step di assorbimento sulla faccia a maggiore
concentrazione, poi la fase di diffusione con l’investimento da parte del permeante che va nelle lacune inter
e intra molecolari, poi arriva il permeante nella faccia a minore concentrazione.
La concentrazione tende ad aumentare nel tempo quindi, al minuto 1 avremo 1, 2 minuti 1,5, 3 minuti 2
ecc. dopodiché superato il primo step la concentrazione della faccia a concentrazione inferiore avrà una
concentrazione costante nel tempo. Dal 3 al 4 minuto sarà 2 dal 4 al 5 minuto sarà sempre 2 ecc. quindi un
incremento di concentrazione costante o lineare nel tempo.
Questo stato in cui la concentrazione sulla faccia a minore concentrazione incrementa in maniera costante
nel tempo prende il nome di stato stazionario.
La grandezza dello stato transitorio dipenderà (a parità di materiale) dal suo spessore.
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Per spessori piccoli, lo stato stazionario sarà basso, per spessori grandi lo stato stazionario sarà maggiore.
Nel complesso del fenomeno della diffusione lo stato transitorio è comunque meno rilevante rispetto allo
stato stazionario, per questo lo stato transitorio può essere trascurato rispetto allo stato stazionario.
Se pensiamo ad una shelf-life di 6 mesi, quello che succede all’inizio può essere trascurato.
Le leggi che ci consentono di calcolare la diffusione dei gas nello stato transitorio e nello stato stazionario
sono diverse.
Nel caso dello stato stazionario abbiamo la prima legge di Fick, se invece ci troviamo nello stato transitorio
ricorriamo alla seconda legge di Fick.
Dalla prima legge di Fick riusciamo a determinarci il coefficiente di permeabilità nello stato stazionario.
Il coefficiente di permeabilità è la quantità di permeante che attraversa uno spessore unitario (1 mm o 1 ⴏ)
di una superficie unitaria (1 cm2, 1 mm2) nell’unità di tempo (1 sec, 1 min, 1 h, 24h) per effetto di una
differenza di pressione parziale unitaria (espressa in atm).
Qxl
Kp=D X S Kp=
A x t (P1−P2)
Nelle schede tecniche dei film a volte non viene riportato lo spessore perché il coefficiente di permeabilità
non è l’unico parametro che permette di descrivere il meccanismo di diffusione dell’aeriforme.
Per esempio, se calcoliamo sperimentalmente la costante di permeabilità su spessori diversi dello stesso
materiale si ottengono valori differenti, invece, partendo da un’unità di spessore il coefficiente di
permeabilità non cambia perché lo spessore è un valore unitario.
Dunque, la proporzionalità del coefficiente di permeabilità ha una proporzionalità indipendente dallo
spessore.
Per questo motivo nelle schede tecniche non troviamo il coefficiente di permeabilità ma troviamo la
permeabilità, che seppur sembrano simili sono parametri diversi.
La permeabilità è un parametro che non considera lo spessore unitario ma si riferisce ad un determinato
spessore del materiale (lo spessore è un dato definito).
La permeabilità si esprime come la quantità di aeriforme che attraversa la superficie unitaria di dato
spessore e non di spessore unitario.
Nel coefficiente di permeabilità lo spessore non viene dato ed è un valore unitario mentre la permeabilità
viene calcolata su un determinato spessore.
Nel caso in cui troviamo nelle schede tecniche la permeabilità dobbiamo capire quel valore su quale
spessore è stato calcolato.
Infatti, la permeabilità non prevede la presenza dell’unita di misura dello spessore e si calcola rapportando
il coefficiente di permeabilità allo spessore. Dunque, la permeabilità dipende dallo spessore.
KP
P=
l
KP dice che ogni mm di spessore di questo materiale ha una diffusione di cm 2 di spessore.
La permeabilità dipende anche da fattori ambientali per cui le misure vengono effettuate in determinate
condizioni ambientali che devono essere definite.
Se consideriamo la permeabilità non è importante solo lo spessore ma anche le differenze di pressioni
parziali dei gas. Per questo motivo, possiamo trovare parametri di determinazione della permeabilità che
non considerano la differenza di pressione parziale dei gas unitaria ovvero il KP ma che considerano solo K
perché abbiamo informazioni anche sulla differenza di pressione parziale a cui è stato effettuato il test.
Questo parametro prende il nome di velocità di trasmissione e possiamo considerare tale velocità
all’ossigeno, all’azoto, alla CO2 ecc.
Avremo una velocità di diffusione in base al verso perché è una diffusione differenziale.
La velocità di trasmissione del gas si calcola moltiplicano il KP per lo spessore per la differenza parziale
della pressione.
KP
GTR=P x( p 1−p 2)= ( p 1− p 2)
l
La velocità di trasmissione non è molto utilizzata, infatti la più usata è la permeabilità.
Formula: la differenza di concentrazione del gas nell’unita di tempo non è più costante ma è variabile, per
cui si valuta la quantità di gas che passa in quell’arco di tempo perché varia la concentrazione del gas sulla
faccia a minore concertazione. Questo rapporto è uguale al coefficiente di diffusione (D) per il rapporto tre il
quadrato della differenza di concertazione diviso il quadrato dello spessore (x).
Lo stato transitorio è poco rilevante nel meccanismo di diffusione del gas, questo valore ci può interessare
nel caso in cui si volesse determinare il tempo di ritardo (tr) che rappresenta il tempo necessario affinché
venga raggiunto lo stato stazionario.
2
l
tr=
6D
Questo stato transitorio ha poca importanza nello studio del complesso della permeabilità perché riguarda un
tempo trascurabile rispetto alla shelf-life del prodotto.
Il coefficiente di permeabilità non ha importanza determinarlo nel poco lasso di tempo quando si raggiunge
la costanza dello stato stazionario.
Il tempo di ritardo τ (tao) graficamente può essere visto come la proiezione sull’asse delle x della retta
indicante lo stato stazionario; a livello di equazione può anche essere calcolata matematicamente come il
rapporto tre il quadrato dello spessore diviso 6 volte il coefficiente di diffusione.
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Il coefficiente di permeabilità di un film è influenzato da diversi fattori, quelli interni al materiale, fattori
ambientali e fattori tecnologici.
In base alle operazioni tecnologiche a cui è sottoposto il film la sua permeabilità cambia, inoltre, durante la
produzione del film possono essere aggiunti elasticizzanti ovvero degli additivi che vengono aggiunti per
aumentare la plasticità del materiale e la conseguenza è anche quella di aumentare la permeabilità.
Tra i fattori interni ovvero propri del materiale abbiamo il coefficiente di permeabilità che è in funzione
della massa volumica ovvero della sua densità. (Massa volumica e densità sono sinonimi).
La densità può essere considerata come una stima del volume libero; quindi, la presenza di lacune inter e
intra molecolari attraverso cui avviene il meccanismo di diffusione attivata.
Generalmente maggiore è la densità dei materiali minore è la loro permeabilità perché ci sono meno
lacune.
L’acciaio ha una elevata densità infatti è poco permeabile, e viene utilizzato per le conserve che devono
durare per tantissimo tempo. Man mano che la densità diminuisce il materiale diventa più permeabile
come ad esempio la carta. La carta ha una bassissima densità, infatti, ha molte lacune inter e intra
molecolari, non protegge dall’ossigeno che si diffonde velocemente al suo interno.
Il tipo di materiale e la sua densità influenzano la permeabilità.
Tra i fattori interni del polimero abbiamo che il coefficiente di permeabilità è in funzione in primis della
massa volumi, costituito dalla sua densità. La densità può essere considerata come una stima del volume
libero; quindi, della presenza di lacune intra e intermolecolari e in generale nei materiali maggiore è la
densità minore è la loro permeabilità.
L’acciaio, ad esempio, è il materiale che ha la maggiore densità ed infatti ha una bassa permeabilità.
Man mano che andiamo valori di densità inferiori, abbiamo una maggiore permeabilità. Ad esempio, la carta
ha una bassa densità e non ha nessuna capacità di impermeabilità.
Per ogni materiale c’è un valore di permeabilità ovvero c’è un range per i vari gas sui diversi materiali.
La permeabilità dipende anche dagli aspetti tecnologici soprattutto nei polimeri plastici in cui posso
intervenire in vario modo per determinare anche delle leghe, come ad esempio polivinilcloruro in cui
abbiamo 2 monomeri ma posso mettere insieme più polimeri per creare un film oppure posso fare una
serie di operazioni tecnologiche che cambiamo la permeabilità per cui ci sono dei range di permeabilità
differenti.
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Struttura atomica del polimero
Un altro fattore che influenza la permeabilità del film è la struttura atomica del polimero.
Per creare un polimero abbiamo bisogno di un monomero, ad esempio il monomero dell’etilene viene
polimerizzato per addizione per creare il polietilene.
A seconda del tipo di polimero la permeabilità del film cambia perché cambiano i gruppi funzionali presenti
sulle catene del polimero. La presenza sulla catena del polimero di sostituenti polari ed idrofili
generalmente riduce la permeabilità ai gas (O2-N2- CO2) ma aumentano la permeabilità al vapore acqueo
essendo più polari.
A seconda del gruppo funzionale che viene aggiunto la permeabilità del film cambia perché ci sono
sostituenti più affini ai gas rispetto ad altri
Il polietilene è più permeabile del polipropilene perché cambia la molecola in quanto c’è un sostituente più
polare.
La cristallinità
Molto importante è la cristallinità del polimero. I polimeri possono essere cristallini o amorfi.
Un materiale che è perfettamente cristallino è impermeabile, invece, un materiale amorfo è permeabile.
I polimeri, soprattutto quelli plastici non sono cristallini o amorfi, ma possono avere un diverso grado di
cristallinità. Al cambiare il grado di cristallinità cambia la loro permeabilità.
Infatti, il polietilene ha il 50% di cristallinità e ha una maggiore permeabilità all’ossigeno rispetto al
polietilene che ha l’80% di cristallinità.
Il grado di cristallinità posso deciderlo durante la tecnica di produzione, in particolare durante la fase di
raffreddamento del film.
La cristallinità è inversamente proporzionale alla permeabilità. Maggiore è la cristallinità minore è la
permeabilità. Il vetro è molto cristallino, mentre i materiali plastici 100% cristallini non esistono.
Tra le altre caratteristiche del polimero abbiamo il peso molecolare, la transizione vetrosa e il crosslinking.
Peso molecolare: ha un modesto effetto sulla permeabilità che si esplica soprattutto ai bassi valori di
peso molecolare maggiore il peso molecolare, minore la permeabilità.
Transizione vetrosa: Il valore della Tg in riferimento alla temperatura ambiente, consente di descrivere il
comportamento del polimero come gommoso o vetroso. In quest'ultimo stato la diffusione è
decisamente più lenta.
Crosslinking: i legami crociati tra le molecole possono essere una caratteristica propria del polimero,
essere determinati dall'invecchiamento del materiale o venire indotti da trattamenti con radiazioni
ionizzanti maggiore il crosslinking minore la permeabilità.
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Fattori ambientali
A parità di film ci sono fattori ambientali che possono avere effetto sulla permeabilità. Tra quasi fattori
ambientali abbiamo l’umidità relativa e la temperatura.
L’umidità relativa
L’umidità relativa cambia notevolmente la permeabilità dei film soprattutto dei polimeri polari. Se il film è
costituito da un polimero polare esso tenderà ad assorbire l’acqua e quando ciò avviene vi è aumento di
permeabilità del film stesso.
Questa è una problematica di tutti i biofilm, biopolimeri fatti da molecole polari, queste tendono ad
assorbire acqua e quindi perdono quello che è il loro potere impermeabile.
La traspirazione, ad esempio, con liberazione di acqua ha un effetto negativo sulla permeabilità del film,
infatti, l’umidità a contatto coni polimeri polari viene assorbita e la permeabilità cambia.
Nella tabella osserviamo il coefficiente di permeabilità all’ossigeno (KPO2) dei diversi composti a differente
gradiente di umidità (UR%).
Nelle schede tecniche è indicato quando si parla di permeabilità all’ossigeno, al vapore, alla CO2, è indicata
l’umidità relativa. Visto l’importanza che ha l’umidità nell’influenzare la permeabilità, quando si effettuano i
test bisogna indicare anche l’umidità relativa in cui si effettua il test perché generalmente il test prevede
l’applicazione di umidità dello 0%.
È un parametro sottostimato che dipende dal polimero, il test non è efficace nel caso in cui si analizza un
polimero polare a umidità relativa dello 0% perché nel momento in cui viene sottoposto ad un’umidità
maggiore dell’0% la permeabilità è differente rispetto a quella rilevata.
Quindi devo scegliere accuratamente il polimero in quanto questa scelta porta ad una diversa permeabilità
del film. Bisogna preferire un film che sia permeabile all’umidita ma impermeabile ai gas, questo è
importante per gli ortofrutticoli.
Si sceglie un film rispetto all’equilibrio che si deve raggiungere. Il film viene scelto in funzione della
respirazione che dobbiamo affrontare. Aumenta la permeabilità perché l’acqua agisce come un
plasticizzante cioè aumenta negli spazi e rende il materiale più plastico. Quando un materiale è polare e ci
aggiungi l’acqua esso diventa meno denso e questo influenza sulla permeabilità. L’acqua allarga le lacune.
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Temperatura
La diffusione attiva viene attivata dalla differenza di pressione e la differenza di temperatura.
Per cui la temperatura ha una forte influenza su quella che è la trasmissione di qualunque gas attraverso
qualunque materiale. Questo perché il coefficiente di diffusione e il coefficiente di solubilità di un
aeriforme all’interno di un materiale sono fortemente influenzati dalla temperatura.
Questo vale per tutto, infatti, se io devo solubilizzare lo zucchero nel caffè se il caffè è freddo avremo poca
% di solubilità, se è caldo avremo molta solubilità.
Cambia il coefficiente di solubilità e di diffusione al cambiare della temperatura.
Maggiore è la temperatura più aumenta il coefficiente di diffusione e più aumenta la solubilità, questo
maggiore aumento lo posso determinare matematicamente attraverso la legge di Arrhenius.
La legge di Arrhenius mette in relazione la variazione della solubilità e della diffusione in relazione della
temperatura.
La legge di Arrhenius dice che il coefficiente di diffusione è uguale ad un valore costante di diffusione D0
indipendente dalla temperatura elevato al negativo dell’energia di attivazione del coefficiente di diffusione
diviso R (costante universale dei gas) X T che è la temperatura.
−E d
D=D 0 exp ( )
RT
Ed= energia di attivazione del coefficiente di diffusione Exp = elevato a
R= costante universale dei gas
T= temperatura
Anche la solubilità è influenzata dalla legge di Arrhenius e dice che la solubilità è uguale ad una costante di
solubilità indipendente dalla temperatura (S0) elevato all’energia di attivazione della solubilità diviso R x T.
−Es
S=S 0 exp ( )
RT
L’energia di attivazione è importante nei packaging di shelf-life accelerati ovvero facciamo sì che il
meccanismo di decadimento che abbiamo come target di ossidazione dei grassi possa essere accelerato in
modo da ridurci il tempo di ossidazione del fenomeno.
Se aumento la temperatura di 10-20°C come viene accelerato il fenomeno degradativo? In questo modo di
può calcolare la shelf-life rapportata alla temperatura accelerata e alla temperatura ambientale.
In questo modo determino sperimentalmente l’energia di attivazione.
Si stabilisce la temperatura del campione e si studia come cambia il fenomeno con l’inclinazione della retta.
−E p
KP=KP 0 exp( )
RT
Il coefficiente di permeabilità può essere espresso anche come D x S oppure come KP0 elevato alla somma
tra l’energia di attivazione del coefficiente di diffusione più l’energia di attivazione del coefficiente di
solubilità. E p =Ed + E s diviso RT.
Noi dobbiamo sempre capire l’influenza che la temperatura sulla permeabilità, come cambia il coefficiente
di permeabilità al cambiare della temperatura.
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Riepilogo.
Quella è una equazione esponenziale che posso trasformare in equazione lineare considerando i logaritmi.
Ep
log n KP=log n KP 0−( )
RT
Questa equazione la posso porre graficamente in un sistema di assi cartesiani in cui log KP è uguale a log KP
Ep
che è sempre costante meno −( ).Ep/R non è altro che il coefficiente angolare dell’equazione perché io
RT
posso scrivere logKP= logKP0 che è sempre sostante - Ep/R x 1/T Dove Ep /r non è altro che il coefficiente
angolare dell’equazione di quella retta che vede sulle y il logKP e sull’asse delle x 1/T.
Non considerando log KP0 che è un valore costante e non dipendete dalla temperatura, possiamo
determinare sperimentalmente i valori Ep/R considerando il coefficiente di permeabilità del film a diverse
temperature
Quel coefficiente angolare Ep/R è quello che mi dice come si comporta il materiale al variare della
temperatura.
Devo allora prendere il film e prima determino il coefficiente di permeabilità del film a una T (10°) e allora
mi segno il KP di 10°. Poi faccio a 20° la sperimentazione e osservo, l’obbiettivo è quello di determinarmi il
valore dell’energia di attivazione che mi consente di capire come cambia il comportamento del film al
variare della temperatura.
Nel grafico vediamo il comportamento di due film diversi al variare della temperatura, a temperature più
elevate il film ha una impermeabilità maggiore rispetto al secondo film.
Man mano che aumento la temperatura mi avvicino all’origine degli assi, quindi, il film più vicino agli assi ha
un coefficiente di permeabilità maggiore rispetto all’altro film.
Il comportamento rispetto alla variazione di temperatura è diverso tra i due film e lo possiamo dedurre
dall’inclinazione della retta.
A temperature più basse, più distante dall’origine degli assi, il film ha un coefficiente di permeabilità
maggiore rispetto all’altro film.
Hanno un andamento diverso rispetto alla permeabilità in funzione della differenza di temperatura.
Questo è importante da capire perché generalmente i test che si effettuano sulla permeabilità sono fatti a
25°C o a 37°C ovvero le temperature di conservazione.
Nelle schede tecniche non avremo queste informazioni ma potremo determinare questo comportamento
in maniera sperimentale. Sperimentalmente vengono fatte delle prove e allora si possono rilevare.
Chi vende un film per il confezionamento di un surgelato, ad esempio, o ci dà il coefficiente di permeabilità
misurata a quella temperatura oppure ci fa vedere un grafico e vediamo l’andamento.
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Il test viene fatto generalmente a 37° a 25° a con 0% di umidità relativa, ma se tu hai parametri di
conservazione differente ovviamente tutto cambia e allora dobbiamo calcolare la permeabilità sulle
performance che noi vogliamo.
Tipo di gas
La permeabilità è influenzata dal tipo di gas.
È una diffusione selettiva ovvero lo stesso film si comporta in maniera diversa al cambiare del tipo di gas
perché cambia la sua solubilità. Generalmente il gas che diffonde più facilmente di tutti è la CO2.
Quindi ogni materiale cambia la propria permeabilità in funzione del tipo di gas.
Si può avere una permeabilità all’O2 oppure una permeabilità alla CO2 ecc. tuttavia i rapporti di
permeabilità sono costanti, nel senso che il polietilene ha una diversa permeabilità all’O2, all’CO2 tutti i
fenomeni possono cambiare ma i rapporti restano costanti.
Un film ha un rapporto O2/N2 di 4,4 questo significa che potrei calcolarmi solo 1 coefficiente di
permeabilità e poi su quei rapporti avere, anche con qualche trasformazione, tutti gli altri rapporti di
permeabilità. I rapporti sono studiati sperimentalmente.
Se noi prendiamo un film e facciamo il coefficiente di permeabilità all’O2 all’azoto hai dei valori; se noi
variamo alcuni aspetti tecnici, cambierà in termine assoluto il valore della permeabilità al singolo elemento
O2 CO2 ma il rapporto resta costante. E come se entrambi subissero lo stesso effetto sulla permeabilità.
In generale i rapporti di permeabilità (detti anche selettività) dei tre più importanti aeriformi, sono piuttosto
costanti in tutti i polimeri plastici utilizzati per il confezionamento, nonostante le ampie differenze di valore
assoluto delle permeabilità.
Queste selettività sono estremamente utili in quanto consentono di stimare, con sufficiente
approssimazione, la permeabilità di un gas avendo misurato quella di un altro.
Fattori tecnologici
Per fattori tecnologici si intendono i fattori che vengono inseriti a livello tecnologico per la produzione del
film.
Plastificanti: Per esempio, tra gli additivi utilizzati nella tecnologia di produzione di alcuni film ci sono i
plastificanti che sono sostanze in grado di aumentare la deformazione massima che i materiali possono
subire, rendono più elastico il polimero. La presenza di questi plastificanti aumenta la permeabilità del film.
Cariche: A volte durante la tecnologia di produzione del film possiamo aggiungere oltre al polimero altre
sostanze ovvero i pigmenti colorati. Anche questi hanno l’effetto sulla permeabilità del film.
In generale si aggiungono queste cariche in quanto posso aumentare la densità del polimero e quindi
tecnicamente avendo un polimero più denso diminuiscono la permeabilità.
Ricordiamo che maggiore è la densità (riempimento delle lacune) minore è la permeabilità.
Solventi residui: Generalmente quando si effettuano le operazioni di laccatura del polimero, queste
operazioni vengono eseguite solubilizzando con un solvente che poi viene allontanato.
Se l’allontanamento dei solventi non è effettuato in maniera efficace la loro presenza come residui
all’interno del materiale può andare ad aumentare la permeabilità ai gas di quei film.
Orientazione: Poi abbiamo l’orientazione che è una operazione di stiratura del materiale che anch’esso
influenza sulla permeabilità del film.
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Quando la diffusione non riguarda aeriformi ma riguarda molecole non aeriformi; quindi, quando vi è il
passaggio attraverso il film o dal film all’alimento di molecole non aeriformi non parleremo più di
permeazione ma parleremo di fenomeni di migrazione.
Le migrazioni possono avvenire dall’alimento all’ambiente; dall’ambiente all’alimento, dall’imballaggio
all’ambiente; dall’ambiente all’imballaggio, dall’alimento all’imballaggio (migrazione negativa) e
dall’imballaggio all’alimento (migrazione positiva).
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