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Biogeografia
Studio degli aspetti spaziali e spazio-temporali della biodiversità. La biogeografia studia la dimensione spaziale dell’evoluzione biologica ed ha come
principale oggetto di studio l’analisi causale della distribuzione spaziale degli esseri viventi sia nella sua dimensione attuale che in quella storica”. La
Fitogeografia rappresenta la branca “vegetale” della Biogeografia (infatti esiste anche la zoogeografia che riguarda il lato faunistico).
Esempi di taxa la cui distribuzione è strettamente legata ad un’area geografica come le Dracene dell’Isola di Sokotra (A) o i Baobab del Madagascar (B). In (C)
invece una rappresentazione sintetica di areale.
Le piante Competitive (C) sono quelle che utilizzano la maggior parte delle proprie energie per competere con le piante vicine in ambienti indisturbati o ad
elevata produttività e quindi caratterizzati da abbondanza di risorse. Si tratta quindi di ambienti “affollati” in quanto appetibili da molte specie. La piante
competitive sono per la maggior parte perenni che durante la crescita tendono ad occupare in maniera “voluminosa” lo spazio, invadendolo grazie ad un
rapido accrescimento fogliare e/o ricambio fogliare e ad una elevata capacità di riproduzione vegetativa. Normalmente non producono troppi semi.
Le piante stress-tolleranti (S), vengono così definite in quanto occupano ambienti “oligotrofici” ossia caratterizzati da stress nutritivo. Fanno parte di questa
strategia le piante casmofite, ossia quelle che crescono nelle fessure delle rocce oppure quelle che crescono in ambiti caratterizzati da fattori limitanti la
crescita quali i substrati salini, le argille compatte, le torbiere acide ecc. Le piante stress tolleranti sono, nella maggior parte dei casi, piante perenni di
limitate dimensioni ed a crescita molto lenta le quali normalmente producono pochi semi per pianta.
Le piante ruderali (R) come dice il nome (che deriva dal latino “rudus” che vuol dire “detrito”) vivono in ambienti particolarmente degradati, i quali non sono
stati ancora invasi dalle specie competitive. Si tratta normalmente di piante annuali a ciclo breve, che investono tutto il loro impegno nella produzione di
semi. Infatti, la produzione di semi nelle piante ruderali è notevolissima ed è finalizzata a diffondere nella maniera più ampia e capillare possibile la specie
prima dell’arrivo dei competitori. I semi sono spesso capaci di germinare in maniera progressiva nel tempo e quindi le banche-semi di specie ruderali nel
terreno possono durare anche decine di anni.
Il triangolo di Grime
Secondo Grime esistono tre strategie fondamentali nelle piante che consentono di suddividerle in Ruderali, Stress resistenti e Competitive. Queste tre
strategie fondamentali definiscono i vertici di un triangolo composto da vari triangoli interni dove le strategie intermedie (CR, CS, SR....) sono funzione della
combinazione delle prime tre.
Specialisti e generalisti
La maggiore o minore capacità di una specie di adeguarsi alle limitazioni o alla diversa combinazione dei fattori
ambientali presenti in un nuovo territorio dipende dalla sua “capacità di adattamento” a tali variazioni dell’ambiente ,
che spesso sono sfavorevoli. In relazione a ciò spesso si tende a suddividere le specie, vegetali ed animali, in due
gruppi: specie specialiste e specie generaliste.
Specie specialiste: sono quelli che risultano estremamente adattati all’ambiente in cui vivono, per cui riescono a
trarne il massimo profitto possibile grazie al loro estremo grado di specializzazione. Normalmente questi organismi
vivono in habitat ben caratterizzati a livello di clima, substrato, ecc. per cui le loro esigenze ecologiche saranno ben
standardizzate e presenteranno poche variazioni. Gli organismi specialisti sono spesso caratterizzati da una variabilità
genetica molto ridotta dovuta alla progressiva eliminazione di quei geni che davano luogo a caratteristiche
fenotipiche non richieste da quel tipo di ambiente. Per questo motivo tali organismi mostrano solitamente una ridotta
plasticità ecologica ed un certa incapacità ad adattarsi a variazioni rilevanti dell'ambiente . Al contrario essi subiscono
spesso conseguenze negative da variazioni in qualsiasi senso dell'ambiente stesso. Per questo motivo le specie
specialiste presentano spesso areali distributivi molto limitati e, laddove presenti, lo sono con un numero di individui
ridotto.
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Specie generaliste: specie in grado di adattarsi ad un ampio spettro di condizioni ambientali e a trarre
vantaggio in ambienti mutevoli. Questi organismi non risentono (o risentono minimamente) in maniera
sfavorevole di un ambiente che è cambiato in maniera significativa e che non è più il loro. Per tale motivo
le specie generaliste tendono ad occupare la nicchia ecologica delle specie specialiste, le quali, proprio in
virtù del cambiamento d’ambiente non sono in grado di fornire una risposta adattativa adeguata,
lasciando a disposizione dei generalisti le risorse trofiche espaziali., le quali altrimenti rimarrebbero non
utilizzate. Le specie generaliste, grazie alla loro capacità di colonizzare diversi ambienti sono spesso
cosmopolite e quindi in grado di operare scambi genici con popolazioni estranee a quelle locali. Questo
porta ad avere un pool genico molto variegato che fornisce la possibilità di far fronte ai cambiamenti ambientali. Le attività antropiche sono, come è noto,
causa di rapidi e significativi cambiamenti dell’ambiente che hanno portato al proliferare delle specie generaliste a scapito di quelle specialiste. Soprattutto
nei dintorni delle città e negli ambienti degradati si ritrovano spesso ambienti caratterizzati dalla presenza di poche specie ognuna delle quali in forza con un
elevato numero di individui, in quanto non vale più la relazione: una specie una nicchia ecologica, ma si avrà: una specie più nicchie ecologiche.
Fitogeografia
Scienza che studia la presenza e la distribuzione delle piante sulla superficie terrestre secondo l’aspetto floristico, storico ed ecologico.
Nell’ambito della fitogeografia le piante possono essere studiate sotto due differenti aspetti, ossia come specie prese “singolarmente” (aspetto
idiobiologico) o come “insieme di più specie” o anche “comunità vegetali” (aspetto simbologico)
Flora: elenco delle specie facenti capo ad un determinato territorio.
Vegetazione: Insieme di popolazioni di specie presenti in un determinato territorio soggette ad interazioni di tipo abiotico (con l’ambiente fisico) e biotico
(tra di loro). Alla vegetazione fa riferimento la “Geobotanica simbiotica” o “Fitocenologia” o “Fitosociologia”.
Fattori intrinseci: Sono quei fattori legati alle caratteristiche biologiche (fisio-ecologiche) della specie stessa
(mobilità, capacità riproduttiva, valenza ecologica, tipo di diffusione ecc.) e che quindi ne condizionano la
distribuzione in relazione alle sue esigenze ecologiche.
Fattori estrinseci: Sono quei fattori che non dipendono dalla specie e sono per lo più di natura fisica quali le
barriere geografiche (presenza di mari, catene montuose, deserti ecc.). o le barriere ecologiche (clima, tipo di
suolo, presenza di competitori, ecc.). Gli areali vengono rappresentati graficamente segnando su una carta
geografica i limiti all’interno dei quali una specie si presenta o ricoprendo con una tinta uniforme o con una
campitura l’area occupata. All’interno del proprio areale le specie non sono presenti ovunque ma restano
inevitabilmente vincolate a quello che è il loro ambiente di preferenza (o esclusivo). Quindi anche all’interno
del proprio areale la distribuzione di una specie è alquanto discontinua.
L’Areale di una specie delimitato sulla mappa geografica da una linea continua chiusa, non comprende tutti i punti in cui la specie è presente, ma piuttosto
esclude tutti i punti in cui la specie è sicuramente assente.
Fattori intrinseci
Considerando che questi fattori sono quelli legati alle caratteristiche biologiche delle specie, essi possono essere meglio compresi se si considera che una
specie è in grado di vivere in condizioni climatiche che consentano:
Sulla base dei cambiamenti climatici le sopracitate condizioni sono andate cambiando nel corso degli ultimi periodi geologici ed analogamente l’estensione
degli areali ha seguito queste variazioni.
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Dimensione degli areali
Gli areali possono avere dimensioni molto diverse tra loro, alcuni possono occupare quasi l’intera superficie terrestre (gli areali di
molti funghi, alghe, briofite e pteridofite oppure spermatofite che hanno una grande capacità di diffusione quali le piante acquatiche
quali Alisma, Potamogeton sp.pl.), mentre altri sono limitati a territori molto ristretti (Centaurea horrida, in Sardegna, Abies
nebrodensis in una vallata delle Madonie in Sicilia etc). Le specie la cui distribuzione si estende a gran parte della superficie del globo
vengono dette “Cosmopolite”. Le specie a distribuzione limitata ad un solo territorio vengono dette “endemiche”. Ovviamente il
concetto di endemismo a livello geografico può dar luogo a numerose interpretazioni a seconda della scala che si adotta.
Goniolimon italicum è una plumbaginacea endemica italiana presente solo in alcuni punti della provincia dell’Aquila (Abruzzo);
Arenaria bertolonii è una Caryophyllacea endemica di tutto l’Appennino e delle Isole maggiori (compresa la Corsica); Fagus sylvatica è
endemica dell’Europa.
Molti endemismi rappresentano in realtà “paleoendemismi” ossia specie affermatesi come endemismi sin da epoche remote e quindi
isolate sistematicamente dalle specie affini. I paleoendemismi sopravvivono in un areale ristretto che rappresenta solo una minima
parte di un areale pregresso molto più ampio. Ovviamente vi sono luoghi più suscettibili di altri ad ospitare endemismi. Tra questi vi
sono quelli caratterizzati da condizioni ambientali estreme che hanno favorito fenomeni di speciazione, (le vette delle montagne, i
deserti o le coste) oppure quelli soggetti ad isolamento geografico quali appunto le isole dove la mancanza di contatti con i territori limitrofi dovuta alla
presenza delle acque ha interrotto il flusso genico favorendo la differenziazione in taxa locali (Il Madagascar possiede circa l’85% di flora endemica, le Isole
Hawaii, l’82%)
Areali disgiunti s.s.: quando, nell’ambito dell’areale sono riconoscibili un areale principale e una o più disgiunzioni minori spesso
(ma non sempre) interpretabili come “aree relitte”.
Tra gli areali di tipo disgiunto vi sono vari esempi come quello delle cosiddette specie artico-alpine (Saxifraga oppositifolia, Elyna
myosuroides), aventi un areale principale nelle zone artiche (Groenlandia, Canada, Alaska, Siberia e Scandinavia) e un areale
disgiunto sulle montagne delle zone temperate (Alpi, Carpazi, Pirenei, Caucaso) e meridionali (Appennini, Balcani).
Oppure areale disgiunto è quello di una leguminosa legnosa molto conosciuta quale Cercis siliquastrum che prevede un’areale
principale sui Balcani meridionali sino al Mar Nero e un areale relitto in Appennino centrale. Oppure l’areale di Genista anglica, con
areale principale sulle coste atlantiche di Europa e Africa settentrionale e un areale relitto su Sila, Serre calabre e Aspromonte. Tra
gli areali di tipo parziale quello di Daphne sericea nell’Europa meridionale o di Sesleria juncifolia.
Areali pregressi: area nella quale una specie era diffusa in passato. Es.: Attualmente la Sequoia gigantea, risulta essere limitata a piccole aree della California
e dell’Oregon. Tuttavia resti fossili ritrovati in depositi terziari dimostrano che questa specie presentava un areale pregresso comprendente buona parte
degli Stati Uniti, Canada, e Groenlandia. Forme affini sono state ritrovate addirittura in Europa, Siberia, Giappone, Australia, Nuova Zelanda).
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Compensazione
Nell’ambito dell’areale le esigenze ecologiche di una specie sono sostanzialmente le stesse, anche nel caso in cui gli areali siano molto vasti e comprendano
ambiti bioclimatici molto differenti tra di loro. Tuttavia nei diversi settori del proprio areale una specie può vivere in contesti ambientali anche molto diversi
tra loro. Tutto ciò avviene per il meccanismo della compensazione. Si tratta nella maggior parte dei casi di un reciproco bilanciamento tra i fattori del suolo e
quelli del clima.
Tramite la compensazione, infatti, una differenza climatica tra due località può essere compensata da una contemporanea differenza di suolo (potremmo
dire “di segno opposto”) che “neutralizza” il disagio derivante dal diverso assetto climatico e consente ad una determinata specie di vivere in entrambe le
località, sebbene in habitat apparentemente diversi. Sulla base della compensazione, infatti, si spiega come Fagus sylvatica (il faggio) sia presente nei boschi
montani nell’Appennino sopra i 1000 m e contemporaneamente nei boschi della campagna di Londra a livello del mare.
Quercus robur vive in tutti i boschi dell’Europa centrale sui versanti delle montagne in clima temperato-boreale, anche su suoli apparentemente sottili e
nella duna antica del Parco del Circeo a meno di un km dal mare nelle «piscine» della Foresta demaniale in clima termo-mediterraneo
ES: le specie della macchia mediterranea che si trovano nel bacino del mediterraneo potrebbero vivere anche in California, dove sussistono condizioni
ambientali simili. Tuttavia la presenza dell’Oceano Atlantico e la separazione dei continenti avvenuta centinaia di milioni di anni fa ha determinato una
divergenza nell’evoluzione della flora delle due aree e non consente attualmente alcuno scambio genico.
Robinia pseudoacacia areale effettivo (sinistra) e areale virtuale (destra) quest’ultimo coincidente con la distribuzione attuale della specie dovuta
all’introduzione di questa specie in tutti i continenti da parte dell’uomo e alla successiva invasione della specie degli ambienti naturali.
Cupressus macrocarpa
Il Cipresso di Monterey (Cupressus macrocarpa) è specie originaria della California ed esportata nel XIX
secolo nel resto del mondo per scopi soprattutto ornamentali. È tuttavia usato spesso nelle zone
costiere in qualità di barriera frangivento dato il suo elevato livello di tolleranza all’aerosol salmastro.
Un suo ulteriore utilizzo è quello di specie da rimboschimento, dato il suo accrescimento velocissimo. Il
suo areale effettivo comprenderebbe la sola Baia di Monterey, in California, dove questa specie
risultava confinata per motivi esclusivamente ecologici. Il suo areale virtuale invece risulta essere molto
più grande come dimostrato nei fatti dal suo sapersi ambientare molto bene anche alle condizioni
ecologiche di territori molto lontani dal suo areale originario.
Descrittivo-sistematico
Causale
Approccio descrittivo-sistematico
La fitogeografia regionale tende a riconoscere sulla superficie della terra tutta una serie di categorie (regioni, distretti, province ecc.) e a classificarle in
maniera gerarchica. La delimitazione delle varie categorie tra loro (ad esempio la linea di demarcazione geografica tra due diversi regni quali Olartico e
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Paleotropicale o tra due diverse regioni quali quella Eurosiberiana e quella Mediterranea) si basa sulla compattazione statisticamente significativa delle linee
di confine degli areali (non degli interi areali) delle specie vegetali.
La corologia si basa sul riconoscimento dei corotipi, ossia una etichetta che fa capo ad “una data porzione di territorio derivante dalla coincidenza
statisticamente significativa degli areali di determinati gruppi sistematici (specie, generi, famiglie) relazionata a parametri di tipo fisiografico e climatico”.
Approccio causale
Ha come scopo l’interpretazione dei fattori che condizionano o che hanno condizionato l’attuale distribuzione geografica degli esseri viventi.
Analisi sincronica: confronto tra areali e parametri abiotici (geografia, geomorfologia, clima) e biotici (aspetti fisionomico-strutturali e cenologici delle varie
comunità) che agiscono in un determinato territorio.
Analisi diacronica: ricostruisce la distribuzione attuale delle specie viventi in termini di cause pregresse utilizzando dati di tipo paleogeografico,
paleoclimatico, paleobotanico, oppure le relazioni filetiche ed evolutive degli elementi che occupano i vari areali.
La Regione Mediterranea e quella Eurosiberiana sono due unità biogeografiche regionali di alto rango. Il loro limite reciproco (linea tratteggiata rossa) deriva
dalla compattazione statisticamente significativa di linee di areale di specie. Infatti vi saranno numerose specie Mediterranee il cui areale terminerà in
prossimità della linea tratteggiata in quanto impossibilitate a vivere nei territori più a nord a causa della rigidità del clima. Allo stesso tempo numerose
specie nordiche troveranno il loro limite meridionale posto in prossimità di quella linea in quanto impossibilitate a vivere più a sud dall’aridità estiva troppo
marcata.
Corotipi
Come già detto i corotipi, o forme corologiche, sono un’etichetta che fa capo ad una certa porzione di territorio (area geografica) derivante dalla coincidenza
statisticamente significativa degli areali di determinati gruppi sistematici (specie, generi, famiglie) relazionata a parametri attuali di tipo fisiografico e
climatico ma anche a parametri storici pregressi relativi ad eventi paleoclimatici o paleogeografici.
Per coincidenza statisticamente significativa significa che una certa area geografica è interessata dalla copertura degli areali di un numero di specie che è
abbondantemente superiore a quello che coprirebbe ipoteticamente una parte di questa stessa area geografica unita ad una porzione di territorio adiacente
(ad esempio il corotipo “stenomediterraneo” è rappresentativo di una porzione di territorio che borda il perimetro del mediterraneo allontanandosi al
massimo di 200-300 km dalla linea di costa. Il numero di entità che hanno grosso modo questa distribuzione (e che quindi vengono considerate
stenomediterranee) è sicuramente maggiore a quello delle specie (ad esempio) che sono presenti lungo le coste del mediterraneo centrale e che
proseguono la loro distribuzione in Svizzera, Austria e nel centro Europa. Questo perché esistono numerose specie termofile e xerotolleranti sono ben
adattate all’ambiente costiero e sub-costiero mediterraneo mentre sono sicuramente in numero inferiore le specie capaci di adattarsi contemporaneamente
al clima mediterraneo a quello alpino e a quello centroeuropeo che consentirebbe un areale mediterraneo-svizzero-germanico (senza contare che le Alpi
costituiscono (e hanno costituito in passato) una efficacissima barriera all’espansione verso nord delle specie mediterranee. Lo stesso discorso vale anche
per il corotipo “artico-alpino” rappresentativo di specie che hanno il baricentro del proprio areale nella regione boreale-artica (Scandinavia) e che, a seguito
delle glaciazioni e del susseguente ritiro dei ghiacci presentano disgiunzioni (areali relitti) sulle vette delle principali catene montuose sud-europee quali Alpi,
Pirenei, Carpazi, Appennini, Balcani.
Tipi corologici
Corotipo Circumboreale: zone fredde e temperato fredde dell’Europa, Asia e Nordamerica.
Corotipo Eurasiatico: Specie che dalle pianure europee prolungano il loro areale al di là degli Urali, in Siberia meridionale, a volte fino all’Estremo Oriente.
(Ovviamente in questo caso l’areale di Viburnum opulus prosegue ad est fino a coinvolgere anche l’Europa (segnata in grigio) altrimenti l’areale non sarebbe
Eurasiatico).
Es. Fagus sylvatica subsp. sylvatica; Fagus moesiaca; Fagus sylvatica subsp. orientalis
Europeo-Caucasiche: Specie ad areale esteso dalla Gran Bretagna agli Urali, comprendente anche le montagne del Caucaso.
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Es. Quercus robur L.; Sempervivum montanum.
Corotipo Atlantico: Specie con areale centrato sulle coste atlantiche dell’Europa.
Corotipo SE-Europeo: specie ad areale prevalentemente incentrato sulla regione carpatico-balcanica (possono comprendere anche gli Appennini e le Alpi
orientali).
Corotipo Orofilo SE-Europeo: specie montane ed alpine dei rilievi dell’Europa meridionale (Pirenei-Cordigliera cantabrica, Alpi, Appennini, Balcani ed
eventualmente Caucaso).
Corotipo Anfiadriatico: Specie con areale centrato sull’Appennino e sui Balcani (talora anche sulle Alpi orientali).
Corotipo Stenomediterraneo: Specie ad areale compreso tra Gibilterra e il Mar Nero e limitato alle coste del bacino del Mediterraneo fredde dell’Eurasia.
Corotipo Eurimediterraneo: Specie ad areale gravitante intorno alle coste del Mediterraneo ma in grado di superare le Alpi e raggiungere le zone calde
dell’Europa media.
Es. in Italia: Cerastium palustre (Sardegna); Cerastium tomentosum (dal Lazio alla Calabria e il nord della Sicilia); Cerastium thomasii (Marche); Cerastium
soleirolii (Corsica).
Es. in UE: Asyneuma trichocalycinum: Dapprima si pensava che questa specie fosse presente sia in Italia che nei Balcani. Successivamente si è scoperto che
l’entità balcanica era in realtà molto diversa e da assegnarsi a specie diversa (Asyneuma pichleri).
Appennino centrale
Spettro corologico delle specie legnose presenti sopra il limite della vegetazione forestale nell’Appennino centrale (da 1800 metri in su).
Corotipi dominanti risultano quello Boreale e quello Orofilo SE-Europeo. Il primo deriva dall’influenza che le glaciazioni hanno avuto
sull’Appennino centrale durante il quaternario. Il secondo invece deriva dal fatto che molte piante dell’Appennino centrale si ritrovano anche su
alcune montagne SE-Europee quali i Balcani in quanto Appennino e Balcani sono stati in collegamento terrestre durante i periodi freddi del
Quaternario poiché il Mar Adriatico centro settentrionale era asciutto.
Appennini meridionali
Spettro corologico delle specie legnose presenti sopra il limite della vegetazione forestale nell’Appennino meridionale e in Sicilia; corotipi
dominanti sono quello Endemico e quello Mediterraneo Montano. Al contrario il corotipo boreale, che pure era abbondante nell’Appennino
centrale, è qui estremamente ridotto in quanto l’influenza delle glaciazioni nell’Appennino meridionale è stata molto blanda. Il contingente di
specie boreali, quindi perde forza scendendo verso il sud, dove il clima Mediterraneo si fa sentire anche alle quote più elevate. Le specie
Mediterraneo montane invece, sono condivise dalle montagne che costeggiano il Mediterraneo meridionale e la loro origine risale spesso al
tardo miocene quando tali montagne erano in parziale collegamento.
PARTE 2 giù
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2. Piante in Italia
Faggi
Fagus sylvatica (faggio)
Corotipo: europeo
Distribuzione italiana: È in tutta la Penisola ma esclusivamente nelle
aree montane. Manca in Pianura Padana e in Sardegna.
Ecologia: Principale costituente del bosco montano di latifoglie sciafile
rappresenta la specie che termina la zonazione altitudinale della
vegetazione forestale appenninica mentre sulle Alpi viene vicariato ad
alta quota dal bosco montano e subalpino di conifere (larice, abete
rosso, cembro). È piuttosto indifferente al substrato; infatti, dà luogo a
faggete calcicole (ricche in specie) e faggete acidofile (povere in specie).
È specie competitiva, capace, in condizioni ecologiche idonee di
monopolizzare le risorse e dar luogo a cenosi forestali quasi monofitiche.
Morfologia: Albero di prima grandezza che può raggiungere i 50 metri di altezza. La corteccia è liscia e di color grigio chiaro. Le foglie sono ovato-
ellittiche lunghe fino a 10-15 cm e larghe 5-10 cm, generalmente ondulate sul bordo dove è presente una fitta peluria. La pianta è monoica e i fiori sono
unisessuali. I fiori maschili formano glomeruli pendenti lungamente peduncolati, i fiori femminili formano glomeruli eretti. Composti da 2 fiori circondati
da quattro brattee esterne ovali e da numerose brattee più interne di forma lineare. Il frutto è un achenio di forma trigona e di colore rossastro,
commestibile, che si trova rinchiuso all’interno di un astuccio riccioluto a 4 valve chiamato
faggiola.
Notare come il limite naturale della vegetazione forestale preveda individui di dimensioni
sempre più ridotte procedendo verso la timberline. Molto spesso questo non succede perché
il limite attuale della vegetazione forestale è stato determinato dall’uomo per cui può trovarsi
anche centinaia di metri più in basso di quello naturale.
Aceri
Acer pseudoplatanus L. (acero di monte)
Ambiente: faggete e boschi di forra.
Corotipo: Orofilo C e S europeo.
Distribuzione italiana: È presente lungo tutta la porzione montana della penisola (Alpi, Appennini, alte montagne della
Sicilia). Manca in Sardegna. ambiente: faggete e boschi di forra.
Sinecologia: Principale specie arborea compagna nelle faggete alpine e appenniniche (microtermiche). In ambiti di forra
o valloni profondi ed incassati può costituire l’elemento dominante di fitocenosi cui partecipano anche altri aceri, tigli e
frassino maggiore.
Morfologia: È il più grande e longevo acero europeo, che può arrivare anche a 35-40 metri di altezza e a tronchi con
diametro superiore a 2 metri. La foglia, che è caratterizzata da 5 lobi profondi acuti e dentati con seni a loro volta acuti.
La pagina superiore è verde e glabra mentre la pagina inferiore è glaucescente e glabra con minutissimi peli sono
all’ascella delle nervature principali. Il picciolo è lungo come la lamina, glabro e rossastro e non emette lattice al
distacco. I fiori sono riuniti in pannocchie pendule. Il frutto è una disamara con le ali che formano un angolo di circa 90°.
Embrioni dormienti che hanno bisogno di una post-maturazione da chilling (freddo) di 6-8 settimana.
Acer opalus: (= A. opalus subsp. obtusatum). Acer opalus subsp. opalus (vicariante A. obtusatum nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi);
Acer opalus Mill. subsp. obtusatum (W. et K. Ex Willd.) Gams (acero d’Ungheria)
Ambiente: boschi mesofili di caducifoglie del piano sub-montano e montano inferiore; faggete termofile, leccete microtermiche.
Corotipo: SE-Europeo.
Distribuzione italiana: È specie a distribuzione anfiadriatica presente nella porzione centro-meridionale della penisola dall’Emilia-
Romagna alla Sicilia. Manca in Sardegna.
Sinecologia: Questa specie è fedele compagna di Ostrya carpinifolia negli ostrieti freschi sub-montani dei suoli calcarei. È tuttavia
presenta anche nelle cerrete fresche su suoli arenacei o marnoso arenacei e nelle faggete termofile su diversi tipi di substrato.
Specie tassonomicamente vicine: Per alcuni Acer obtusatum va considerata una sottospecie di A. opalus (= A. opalus subsp.
obtusatum). Acer opalus subsp. opalus (vicariante A. obtusatum nell’Appennino settentrionale e nelle Alpi); Acer neapolitanum
(Taxon di dubbio valore caratterizzante l’appennino meridionale).
Tigli
Tilia cordata Mill. (tiglio nostrano)
Ambiente: boschi mesofili.
Corotipo: Eurosiberiano
Distribuzione italiana: È presente lungo la penisola sino alla Basilicata. È assente nelle isole.
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Sinecologia: Accompagna le specie che costituiscono i boschi mesofili tra cui il faggio, il cerro, la rovere, il carpino nero e il carpino bianco. Nelle forre
può risultare anche dominante. È più resistente all’escursione termica rispetto a T. platyphyllos e resiste ad una maggiore aridità estiva.
Morfologia: Tilia cordata è una latifoglia nobile dei nostri boschi, particolarmente rara in quelli appenninici dove la specie trova il limite
meridionale del proprio areale europeo. Può arrivare ad un’altezza di 20-25 metri ed ha corteccia grigio bruna che si fessura in strie
longitudinali con l’età. Le foglie sono piccole (10 cm) sebbene quelle dei polloni possono essere molto più grandi, tipicamente cordate e
asimmetriche alla base. La pagina superiore è verde scuro quella inferiore è glauca con una caratteristica peluria rosso ferruginosa
all’ascella delle nervature. Le infiorescenze sono portate da una lunga brattea verde di consistenza membranacea. Il picciolo è glabro.
L’antesi fiorale avviene tra la metà di giugno alla metà di luglio, l’impollinazione è entomofila e particolarmente mellifera. Il legno è omoxilo (non c’è
differenza tra alburno e duramen) leggero e resistente e viene usato soprattutto nella modellistica.
Frassini
Fraxinus excelsior L. (frassino maggiore)
Ambiente: boschi mesofili di latifoglie.
Corotipo: Europeo SW-Asiatico.
Distribuzione italiana: Comune nel settore alpino, prealpino e nella Padania in genere si rarefà lungo la penisola s.s.dove
raggiunge il proprio limite meridionale in Molise.
Sinecologia: Accompagna le specie che costituiscono i boschi mesofili sia in montagna che in pianura. Nelle forre può assumere un
ruolo costruttivo rilevante.
Morfologia: Albero che può avere dimensioni imponenti (fino a 40 metri di altezza) e oltre 1 metro di diametro. Le foglie sono composte,
imparipennate, lucide e scure di sopra, più chiare di sotto e possono arrivare a 25-30 cm di lunghezza. Le gemme sono tomentose e di colore
nero. Le infiorescenze sono delle pannocchie laterali portate all’ascella dei rami. I frutti sono delle samare lunghe 4-7 cm formanti
infruttescenze che dapprima sono verde chiaro, poi giallastre e poi rossastre a maturazione e rimangono attaccate per tutto l’inverno. Fiorisce
da marzo a maggio. Il legno è elastico, resistente e molto duttile per cui questa specie è particolarmente utilizzata per mobili e attrezzi sportivi.
Lecceta mista a caducifoglie dei versanti calcari dei Monti Sabini. Come si Nell’Appennino centrale, sui substrati calcarei le leccete non sono mai
nota La presenza di Fraxinus ornus L. (orniello) è importante e può essere pure ma sempre frammiste a specie caducifoglie orientali quali Fraxinus
quantificata solo a metà primavera (fine Aprile inizio Maggio) quando gli ornus, Carpinus orientalis (verde chiaro qui nella foto), Cercis siliquastrum
ornielli sono in fiore e spiccano tra le chiome sempreverdi del leccio. (nelle situazioni più termofile) e Ostrya carpinifolia (nelle situazioni più
mesofile)
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rami. Fiorisce da aprile a maggio. I frutti sono delle samare lunghe 2-3 cm. Si può confondere con Fraxinus excelsior il quale tuttavia ha gemme nere e
dentellatura della foglia con denti più numerosi delle nervature e segmenti delle foglie significativamente più larghi.
Aggruppamento a Fraxinus angustifolia e Ulmus minor sul fondo della “Gravina del Bradano” (BASILICATA, Matera)
Carpini
Carpinus betulus L. (carpino bianco)
Ambiente: boschi planiziali a Quercus e Ulmus, Cerrete mesofile, Boschi di farnia e rovere dei substrati eutrofici della Pianura padana e del centro-
Europa; faggete planiziali.
Corotipo: centro-europeo.
Distribuzione italiana: È presente in tutta la Penisola Italiana dove occupa una fascia altitudinale compresa tra 0 e 1400 m; manca
nelle Isole e in Val d’Aosta.
Sinecologia: È specie mesofila che predilige suoli profondi e ricchi di nutrienti. Piuttosto indifferente al tipo di substrato sebbene
rifugga i suoli troppo acidi ed oligotrofici. Normalmente è specie compagna nei Querco-ulmeti planiziali; tuttavia può dar luogo anche
a cenosi proprie nel piano collinare laddove i suoli mostrino una elevata ritenzione idrica e una elevata percentuale di nutrienti.
Morfologia: Albero che raggiunge i 20-25 metri di altezza. Poco longevo in quanto difficilmente supera i 200 anni di età. La corteccia è liscia
e grigia, il tronco è scanalato e costoluto e la sezione trasversale da luogo a un contorno sinusoidale. Le foglie sono alterne lunghe fino a 6-8
cm. e larghe 3-4 cm, il margine seghettato, la consistenza è cartacea e la nervatura sulla pagina inferiore si presenta tipicamente rilevata. La
pianta è monoica, Gli amenti sono penduli, maschili e femminili, e portati da rami diversi della pianta. Il frutto è un achenio portato da una
brattea triloba il cui lobo centrale è lungo il doppio dei laterali.
Boscaglia illirica sui Monti Sabini tra Roma e Rieti. Carpineto orientale sui monti Ausoni (Lazio meridionale)
corotipo: Pontico-Sudest-Europeo.
Distribuzione italiana: È presente lungo tutta la penisola divenendo più raro verso W. Particolarmente diffuso nel Carso Triestino e lungo l’Appennino dove si
concentra prevalentemente nella fascia submontana. È presente anche in Sicilia e Sardegna dove tuttavia è quasi sempre subordinato al leccio.
Sinecologia: È specie relativamente pioniera ad accrescimento rapido e grande capacità di dispersione dei semi. Capace di colonizzare anche substrati
semirupestri. Predilige terreni ricchi in carbonati con pH alcalino. Rappresenta la vegetazione naturale potenziale di buona parte dei versanti esposti a nord
dell’Appennino calcareo, ma può anche formare comunità secondarie di sostituzione del querceto di roverella o può essere co-dominante nelle cerrete che
si sviluppano su suoli calcareo-marnosi.
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Morfologia: Albero che raggiunge i 20-25 metri di altezza. La corteccia è liscia e bruna in una fase giovanile poi tipicamente fessurata longitudinalmente a
maturità. Il tronco è normalmente diritto e a contorno tondo. Le foglie sono piane, e arrotondate alla base, ellittico-acuminate lunghe fino a 6-8 cm. e larghe
3-4 cm, il margine seghettato, la consistenza è fogliacea e la nervatura sulla pagina inferiore si presenta caratterizzata da nervature terziarie che si dipartono
dalle nervature secondarie inferiori. La pianta è monoica, Gli amenti maschili sono penduli e contemporanei all’emissione delle foglie. Il frutto è un achenio
contenuto all’interno di un sacchettino bratteale biancastro e membranaceo di 1-2 cm.
Ontani
Alnus glutinosa (ontano nero)
ambiente: boschi ripariali planiziali o ripisilve montane.
corotipo: W-Europeo
Distribuzione italiana: Presente in tutto il territorio italiano ad eccezione della Puglia.
Sinecologia: Principale specie costruttrice dei boschi ripariali, specialmente di quelli di forra in situazione di evidente
affioramento roccioso. Accompagna i salici e i pioppi nelle aree di esondazione planiziale. In ambiente costiero può
costituire boschi puri nelle depressioni umide retrodunali.
Morfologia: Albero di media grandezza che può raggiungere i 25-30 metri. I rami sono ascendenti in una prima fase e poi si
ripiegano verso il basso. Corteccia verde e liscia in una fase giovanile poi scura e fessurato/screpolata a maturità. Foglie
semplici ed alterne doppiamente dentate al margine verdi su ambo i lati ma più scure e lucide di sopra. Arrotondate all’apice e spesso retuse. Specie
monoica. Fiori maschili in amenti penduli lunghi fino a 12 cm, fiori femminili in amenti più corti 3-4 cm evidentemente picciolati. Le infruttescenze
sono piccoli pseudo-strobili di forma ovoide con squame legnose, dapprima verdi poi bruno nerastri, all’interno dei quali vi sono acheni brevemente
alati.
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Alnus cordata (ontano napoletano)
ambiente: boschi ripariali di forra, boschi del piano montano inferiore dell’Italia meridionale.
corotipo: sub-endemico
Distribuzione italiana: Presente nel meridione d’Italia dalla Campania alla Calabria (manca in Puglia). Spesso usato per i rimboschimenti
anche altrove.
Sinecologia: Specie di straordinaria importanza nelle dinamiche vegetazionali perché buona pioniera ricolonizzatrice a rapido
accrescimento. È presente nell’Italia meridionale nelle Forre e nelle faggete termofile. Forma una tipica fascia tra i 1000 e i 1200 m che si
interpone tra i querceti mesofili e le faggete.
Morfologia: Albero di media grandezza che può raggiungere i 25-30 metri a chioma piramidale o globosa. I rami giovani sono glabri e appiccicosi
. Corteccia grigio- verdastra in una fase giovanile poi scura e fessurato/screpolata a maturità. Foglie semplici ed alterne, tipicamente sub-
coriacee e a lamina cuoriforme dentellato- crenulate al margine verdi su ambo i lati ma più scure e lucide di sopra. Appuntite all’apice. Specie
monoica. Fiori maschili in amenti penduli lunghi fino a 12 cm, fiori femminili in amenti più corti 3-4 cm evidentemente picciolati. Le
infruttescenze sono piccoli pseudo-strobili di forma ovoide con squame legnose, dapprima bruno rossastre poi nerastre all’interno dei quali vi
sono 2 acheni brevemente alati.
Faggeta mista ad ontano napoletano (Alnus cordata) sul Monte Cervati (Parco Nazionale del Cilento - Vallo di Diano) in autunno. Alnus cordata mostra
ancora un colore verde scuro mentre le foglie di faggio stanno oramai assumendo una colorazione giallastro-marroncina.
Betulle
Betula pendula (betulla)
Ambiente: faggete e peccete, boschi oligotrofici, margini forestali
Corotipo: Eurosiberiano
Distribuzione italiana: Presente in gran parte dell’Italia. Manca in Umbria, Calabria, Sicilia e Sardegna
Sinecologia: Specie arborea comune nell’Europa centrale dove è quasi infestante, è ancora abbondante lungo l’Arco alpino mentre diviene
sporadica lungo l’Appennino dove sono note solo poche stazioni. Caratterizza ambiti estremi quali pozze con acque sulfuree (Caldara di
Manziana) o forre. In Sicilia è vicariata da Betula aetnensis.
Morfologia: Albero di media grandezza che raggiunge i 30 metri. La corteccia è bianca con evidenti lenticelle nere orizzontali che con il
tempo dividono la corteccia stessa in sottili lamine cartacee. I rami maggiori sono ascendenti mentre i ramuli più giovani sono ricadenti. Le
foglie sono triangolari a vagamente romboidali, dentate e cuneate alla base. Pagina superiore di un verde brillante che assume colorazioni
giallo dorate in autunno. I fiori maschili formano amenti penduli, i fiori femminili formano piccoli amenti dapprima eretti poi penduli. Il frutto è un
piccolo achenio munito di due ali che ne facilitano la dispersione racchiuso in piccoli coni legnosi che si disgregano a maturità.
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Betulle (verdi) ai margini della Caldera di Manziana, alle spalle il bosco di cerro.
In questo caso notiamo come sull’Etna la distribuzione di Betula aethnensis e di Pinus nigra subsp. calabrica segua fedelmente il profilo del rilievo. Il Pino
(alberi sempreverdi nella foto) tende ad occupare le convessità del profilo laddove si verifichino condizioni più aride, suoli più sottili e maggiore erosione. La
betulla (alberi spogli nella foto) occupa invece le concavità dei versanti, laddove si determina un maggiore accumulo di suolo e di umidità edafica.
Pioppi
Populus nigra (pioppo nero)
ambiente: boschi ripariali planiziali.
corotipo: Europeo-W Asiatico
Distribuzione italiana: Presente in tutto il territorio italiano.
Sinecologia: Specie tipica dei bordi dei fossi e delle zone ripariali. Si consocia spesso ai salici e agli ontani. Comuni sono le
piantagioni a filari della sua forma cipressina.
Morfologia: Albero di media grandezza che può raggiungere i 30 metri. Il tronco è dritto e nodoso e la corteccia è scura e fessurata longitudinalmente. È
specie dioica. Le foglie sono decidue, semplici, di forma triangolare o circa romboidale lungamente picciolate e a margine
dentellato. Le infiorescenze maschili sono amenti penduli lunghi fino a 7-8 cm. I singoli fiori presentano 15-30 stami di colore rosso.
Le infiorescenze femminili sono sottili, di color giallo-verdastro a maturità lunghe fino a 12 cm. L'impollinazione è anemogama,
raramente entomogama. I frutti sono capsule bivalvi, esternamente glabre, che presentano 4 solchi longitudinali . I semi molto
piccoli e accompagnati da un ciuffo cotonoso di peluria biancastra necessaria per la disseminazione anemofila.
Cultivar: Il pioppo nero presenta diverse cultivar. La più conosciuta è quella che va sotto il nome di «pioppo cipressino» o «pioppo di Lombardia» ed è stata
creata nel XVII secolo proprio in Lombardia.
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Corotipo: Eurosiberiano
Distribuzione italiana: Presente in tutta l’Italia peninsulare e nelle Isole
Sinecologia: Specie arborea piuttosto comune che forma popolamenti tendenzialmente puri in situazione di convessità dei versanti, dove si accumula
l’umidità o lungo le linee di impluvio delle faggete termofile o degli ostrieti e cerrete mesofile del piano submontano o sul fondo delle doline. La sua
collocazione altimetrica ottimale si trova nella zona di contatto tra i querceti e la faggeta.
Morfologia: Albero di media grandezza che generalmente non supera i 30 metri. La corteccia è chiara punteggiata da
piccole lenticelle con l'età tendente a scurirsi e a fessurarsi nella porzione basale. È specie dioica. Le foglie sono semplici
e alterne, verdi su ambo i lati ma di colore leggermente più chiaro nella pagina inferiore. Nei turioni i presentano di
forma triangolare con base troncata. Nei rami della pianta matura di forma arrotondata all’apice (talvolta acuta),
dentate o crenate al bordo. Il picciolo è lungo e schiacciato sui lati, e facendo resistenza all’aria determina una
vibrazione della foglia allo spirare del vento. Sia le infiorescenze maschili che quelle femminili sono pendule. I fiori
maschili sono portati all’ascella di brattee fiorali laciniate. Sono dapprima verdi e poi rossastri per il colore delle antere. I
fiori femminili presentano ovario verde e due stimmi rossi. I frutti sono delle capsule presentano un pappo di peli
biancastro necessario per la disseminazione anemofila.
Lembo di bosco a Populus tremula nelle linee di impluvio di una faggeta nel versante settentrionale dei Monti Aurunci (Lazio merid.)
Salici
Salix alba (salice bianco)
Ambiente: sponde dei corsi d’acqua e dei laghi
Corotipo: Eurasiatico
Distribuzione italiana: Presente in tutta l’Italia peninsulare e nelle Isole
Sinecologia: Principale essenza arborea dei boschi ripariali, capace di vivere anche in terreni pemanentemente allagati.
Forma comunità azonali da 0 a 1400 metri di quota.
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Prunus
Prunus avium (ciliegio selvatico)
ambiente: Boschi misti mesofili e faggete termofile su suolo ricco
corotipo: Europeo-Caucasico
Distribuzione italiana: Presente lungo tutta la penisola specialmente nella fascia submontana e montana. Manca nella Pianura Padana.
Sinecologia: Specie arborea di taglia media partecipa ai boschi di querce mesofile, ai querco-carpineti e alle faggete termofile su substrati
eutrofici.
Olmi
Ulmus minor (Olmo campestre)
Distribuzione: In tutta Europa e in asia sud-orientale.
In Italia è presente in tutte le regioni. Corotipo: Europeo-Caucasico.
Morfologia: Le foglie sono decidue, semplici, inserzione alterna , lamina ovale, base asimmetrica, apice appuntito. I fiori sono ermafroditi, sessili, riuniti a
gruppi, colore rosso (dovuto alle antere), fioritura a fine inverno prima della fogliazione. I frutti sono samare con ala circolare riunite in gruppi.
Ecologia: L' Olmo campestre ama particolarme i terreni freschi, profondi, con buona disponibilità di acqua, ma che soprattutto devono avere
abbondante disponibilità di Sali minerali; tollera molto bene i substrati calcarei ed argillosi. La sua elevata resistenza ai fattori climatici ne ha
permesso una elevata diffusione, infatti la tarda ripresa vegetativa delle gemme gli conferisce una notevole tolleranza alle gelate. Possiede
una notevole attività pollonifera.
Habitat: Costituisce spesso lo strato arboreo dominato dei querceti mesofili planiziali (Querco-Ulmeti). È anche importante in diversi tipi di
arbusteti quali Pruneti, Roveti e Roseti.
Usi: È utilizzato come pianta ornamentale e nella costituzione di alberature stradali in quanto sopporta bene sia la potatura che
l'inquinamento. Spesso usato dai contadini come tutore della vite, ma la diffusione della grafiosi, una malattia fungina, ne ha ridotto
notevolmente l’utilizzo. È pianta molto lengeva. Nei mesi autunnali la chioma assume una tonalità giallo-bruna molto decorativa. Il legno
esternamente si presenta chiaro, ma tende ad inscurirsi procedendo verso l'interno fino ad assumere colore brunastro nel durame. Inoltre
acquisisce ottime caratteristiche di durata, di durezza e di resistenza, che, unite alla resistenza all'acqua e alla facilità nella lavorazione, ne determinano
l’impiego nella costruzione di mobili, porte, pavimenti, organi sottoposti ad attrito e nella produzione di compensato. Non è un buon combustibile.
3. Il paesaggio vegetale
Nello studio del paesaggio vegetale, l’obiettivo è quello di identificare modelli strutturali e funzionali riguardanti il pattern distributivo della vegetazione.
Prima si identificano le componenti elementari del paesaggio, riconoscibili a scale spaziali diverse (popolazione, specie, comunità, insieme di comunità).
Successivamente si osservano le relazioni che tali componenti elementari del paesaggio esprimono tra di loro. Le relazioni possono essere rilevate in
maniera immediata (analisi sincronica), osservando i contatti spaziali tra due o più comunità vegetali, oppure possono essere analizzate nel tempo (analisi
diacronica).
Specie (flora)
Comunità vegetali o fitocenosi (associazioni vegetali)
Serie di vegetazione o sigmeti (insiemi di comunità legate dinamicamente, ossia tendenti tutte allo stesso tipo di vegetazione potenziale)
Geosigmeti (insiemi di serie di vegetazione contigue riconoscibili nell’ambito di una stessa unità geomorfologica e di un’unica unità bioclimatica e
biogeografica).
Nell’ambito della flora si possono distinguere le specie autoctone (native di quel territorio e ivi presenti per cause naturali) e le specie esotiche (aliene) che
sono state importate per cause antropiche dirette o indirette.
La conoscenza della flora rappresenta la prima tappa di qualsiasi indagine sulla vegetazione in quanto fornisce immediatamente un’identità bioclimatica e
biogeografica dell’area che ci troviamo ad indagare.
La flora e vegetazione sinantropica può svolgere un importante ruolo all’interno degli ambienti in quanto può costituire corridoi di connessione per la rete
ecologica locale. Ovviamente alcune di queste comunità, quali quella presente nella figura necessitano di essere gestite in quanto altrimenti risulta
compromessa la funzionalità del marciapiede. Anche i giardini e gli spazi verdi condominiali possono risultare importanti per le reti ecologiche locali. In
questo caso si evidenzia una prateria sinantropica a dominanza di Avena fatua, Avena barbata e Vulpia ligustica con il contorno di piante quali Yucc sp.
Ailanthus altissima, Robinia pseudoacacia e Nerium oleander.
Esistono diverse definizioni per il termine “vegetazione”. Uno di questi è: “Insieme di individui vegetali coerenti con il sito nel quale crescono e con la
disposizione spaziale che assumono spontaneamente” (Westhoff, 1978).
In natura la vegetazione non si dispone mai a caso e l’eterogeneità e la discontinuità che contraddistingue la copertura del manto vegetale sulla superficie
terrestre deriva dal fatto che specie diverse che hanno esigenze ecologiche simili tendono ad occupare gli stessi siti e a consociarsi tra loro.
Il diverso modo di combinarsi delle specie vegetali naturalmente presenti in un territorio (identità biogeografica della flora), a seconda delle caratteristiche
ambientali (fisiche e biotiche) e sotto l’influsso della competizione determina l’esistenza di diversi popolamenti elementari o sinecosistemi o comunità
vegetali.
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La composizione e la struttura della vegetazione seguono modelli naturali, determinati dalle caratteristiche ambientali e stazionali (substrato fisico, clima,
altitudine, esposizione, azione diretta o indiretta dell’uomo) e dalle interazioni tra le specie. Esempi di comunità vegetali sono il querceto caducifoglio
termofilo a Quercus pubescens, la macchia mediterranea a Myrtus communis e Pistacia lentiscus, le praterie aride d’alta quota ad Sesleria juncifolia ed
Edrajanthus graminifolius (ecc.). Non sono considerabili come comunità vegetali vere e proprie i rimboschimenti!
L’approccio Fisionomico-strutturale porta alla caratterizzazione più semplice delle diverse comunità vegetali è quella basata sulla fisionomia della
vegetazione, attraverso la quale il paesaggio vegetale viene distinto in bosco, arbusteto, prateria etc., termini entrati ormai nel linguaggio comune.
L’approccio fitosociologico proposto dalla scuola di Zurigo-Montpellier (Braun-Blanquet 1928). Essa definisce un modello interpretativo della vegetazione
fondato su delle unità di base chiamate associazioni vegetali, corrispondenti a consociazioni di piante (fitocenosi o comunità vegetali) ben caratterizzate e
distinguibili dal punto di vista floristico e strutturale. La vegetazione, naturale o artificiale, rappresenta un sistema complesso che interagisce con l’ambiente.
Essa varia nella struttura e nella composizione floristica al variare delle condizioni chimico-fisiche e anche del contesto biogeografico.
• Raccolta di dati floristici (fase analitica), integrando l’informazione tassonomica con osservazioni quantitative nella fase di rilevamento di campagna;
Fitosociologia
Si possono distinguere tre orientamenti principali nello studio del ricoprimento vegetale.
1. Fitosociologia classica, anche detta sigmatista o braunblanquettista dal nome del suo fondatore, che definisce le comunità vegetali su base
prevalentemente floristico-ecologica e costituisce il primo livello di analisi.
2. Fitosociologia seriale o dinamica o Sinfitosociologia, che studia gli aggruppamenti vegetali in relazione ai loro cambiamenti nel tempo (successioni) e ai
collegamenti dinamici esistenti tra loro all’interno del territorio (serie di vegetazione) e la loro evoluzione temporale.
3. Fitosociologia catenale o del paesaggio o Geosinfitosociologia, che analizza le relazioni topografiche tra diverse serie di vegetazione, ovvero i rapporti
catenali (contatti tra diverse tipologie di vegetazione naturale potenziale) della vegetazione, e la loro distribuzione spaziale nell’ambito di unità
geomorfologiche omogenee come un versante montuoso, una pianura ondulata, ecc.
Popolamento elementare: area di vegetazione omogenea dal punto di vista fisionomico strutturale ed ecologico.
In questo caso siamo di fronte a 4 popolamenti elementari differenti e quindi a 4 comunità differenti:
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Forma e dimensioni del rilievo:
Il rilievo fitosociologico deve descrivere una situazione omogenea dal punto di vista floristico, strutturale ed ecologico. Le dimensioni e la forma dei rilievi
devono ovviamente rispettare queste esigenze di omogeneità. Perciò, secondo i casi, i rilievi avranno forma lineare, puntuale o areale, e limiti
probabilmente irregolari, che ricalcano i contorni spesso sinuosi della microeterogeneità stazionale.
2. Fase sintetica
La tabella ricavata dall’insieme dei rilievi fitosociologici viene riordinata cercando di raggruppare i rilievi più omogenei e
rappresentativi di particolari aspetti della vegetazione studiata. Classificazione degli aggruppamenti vegetali; viene
approntata in forma gerarchica, ponendo l’associazione come categoria di base.
“L’associazione vegetale è un aggruppamento vegetale più o meno stabile e in equilibrio con il mezzo ambiente, caratterizzato da una determinata
composizione floristica, nella quale alcuni elementi esclusivi o quasi (specie caratteristiche) rivelano con la loro presenza una ecologia particolare e
autonoma” (Braun-Blanquet, 1915).
I. Tabella Excel
II. classificazione
Forma dei cluster (gruppi) ossia accomuna i rilievi sulla base della loro somiglianza floristica più il legame dei rilievi è in basso (sulle ordinate) maggiore sarà
la somiglianza dei gruppi.
I. Ordinamento
Posiziona i rilievi in uno spazio ecologico disponendoli in ralazione al gradiente di variazione di un determinato fattore ecologico (in questo caso da sx verso
dx vi è un gradiente altitudinale decrescente e una maggiore vicinanza del mare).
Inquadramento sintassonomico
Esempi di associazioni vegeta li già descritte con la diagnosi basata su 4 punti fondamentali.
A. Specie caratteristiche o gruppo di specie caratteristico dell’associazione: taxon (specie o sottospecie) o insieme di taxa legati in maniera quasi esclusiva
o quasi a questa comunità vegetale e quindi al syntaxon che si va a definire. (Es. il bosco di cerro identificato come Listero ovatae-Quercetum cerridis Di
Pietro & Tondi 2005 presenta le seguenti specie caratteristiche: Listera ovata, Lonicera xyloseum, Heracleum sphondylium subsp. ternatum.
B. Caratteri fisionomici e strutturali del syntaxon: (Es. il Listero ovatae-Quercetum cerridis Di Pietro & Tondi 2005 può essere definito come un bosco di
cerro pluristratificato con strato arboreo dominante completamente caratterizzato da Quercus cerris e strato arboreo dominato a dominanza di Prunus
avium, Acer obtusatume Corylus avellana.
C. Caratteri ecologici del syntaxon: (Es. Listero ovatae-Quercetum cerridis Di Pietro & Tondi 2005; bosco sviluppato nel piano montano inferiore tra i 900 e
i 1300 metri di quota su substrati torbiditici arenaceo-pelitici in ambiti geomorfologici diversi, da sub-pianeggianti ad estremamente acclivi.
D. Caratteri corologici del syntaxon: (Es. il Listero ovatae-Quercetum cerridis Di Pietro & Tondi 2005 è limitato ai Monti della Laga e ai massicci arenacei
adiacenti in quanto estremamente legato al tipo di substrato e alla collocazione altitudinale.
Nella pratica, quindi, si preferisce parlare di vegetazione naturale potenziale, che può più facilmente essere riconosciuta sul terreno, in quanto più
rispondente alle tempistiche di cambiamento vegetazionale relazionate con l’utilizzo antropico della risorsa “vegetazione”.
La vegetazione naturale potenziale è la vegetazione che tende a formarsi naturalmente in un certo luogo quando non è presente il disturbo antropico
(Tuxen, 1956).
Fenologia: È la disciplina che studia il bioritmo delle piante basandosi sulle variazioni stagionali del loro aspetto. Queste variazioni sono in relazione ad
eventi quali l’andamento della fioritura, il periodo di fruttificazione, di apertura delle gemme, di caduta delle foglie ecc. Si parla di a utofenologia, quando
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viene osservato il ciclo fenologico delle specie prese singolarmente e di sinfenologia quando lo studio fenologico riguarda un’intera comunità vegetale dove
il ciclo fenologico collettivo è la risultante dei ritmi individuali delle diverse componenti ed è quindi caratteristico per ogni tipo di comunità vegetale.
Le unità vegetazionali (siano esse formazioni vegetali o comunità vegetali) sono costantemente soggette a variazione, tanto nello spazio quanto nel
tempo.
Il pattern vegetazionale che osserviamo in un determinato luogo e che fa riferimento ad un determinato momento della giornata può essere paragonato
ad una un fermo immagine di un ben più complesso processo dinamico in atto.
L’approccio dinamico allo studio della vegetazione ha tra i suoi scopi quello di evidenziare (laddove possibile) i vari stadi (o gli stadi più duraturi e
riconoscibili) che interessano la composizione floristica, la struttura e la fisionomia della vegetazione in un determinato luogo e che si succedono lungo
un gradiente temporale.
La dinamica di vegetazione si verifica quando, per variazione dei fattori ambientali più importanti, tanto di tipo biotico (aumento della copertura delle volta
di un bosco, rilascio di sostanze da parte delle radici delle piante, cambiamento della composizione batterica del terreno ecc.) quanto di tipo abiotico
(cambiamenti climatici, della granulometria del terreno, della pendenza di un versante ecc.) si sposta l’equilibrio tra le componenti floristiche della fitocenosi
per cui si assiste alla progressiva sostituzione delle specie. Questo cambiamento può avvenire in modo graduale o brusco a seconda del tipo e dell’intensità
della causa perturbatrice.
Cause Allogene
Sono determinate da variazioni di fattori esterni (soprattutto dei parametri fisici che caratterizzano un luogo) che sono indipendenti dall’azione delle piante.
Tra questi possiamo citare l’abbassamento della falda freatica, l’erosione di un versante, l’arretramento della linea di costa etc. Riconosciamo due tipi di
cause allogene: naturali e antropiche. Naturali: evoluzione geomorfologica o idrografica naturale del territorio, ad esempio incendi per autocombustione
della vegetazione, frane e smottamenti dei versanti, innalzamento del livello di fiumi e laghi ecc.... Antropiche: applicazione di interventi quali il pascolo, lo
sfalcio dei prati, il taglio del bosco, l’incendio doloso ecc.......
Molte fitocenosi sono transitorie nel sito in cui si trovano; possono infatti formarsi su terreno nudo in seguito ad una colonizzazione oppure sostituire una
fitocenosi precedente dopo di che saranno a loro volta sostituite. L’evoluzione del suolo e la crescita di una vegetazione più densa condizionano anche i
parametri microclimatici dell’ambiente vegetazionale, per cui nel tempo si determinano condizioni ambientali differenti da quelle di partenza. Condizioni
ambientali non più favorevoli alle specie della fitocenosi determinano la loro progressiva sostituzione con altre specie meglio adattate.
Successione dinamica
È l’insieme dei diversi tipi di vegetazione (comunità vegetali) che si susseguono nel tempo in un medesimo sito e che vengono definiti come “stadi
successionali”. L’insieme delle comunità che si presentano in una successione costituisce la Successione dinamica.
1. Affinchè un processo dinamico possa essere definito una “successione” devono verificarsi due principali condizioni:
2. Il succedersi di diversi tipi di vegetazione nel corso del tempo devono avvenire rigorosamente nel medesimo sito.
Gli stadi che si succedono nel tempo devono essere vere e proprie fitocenosi differenti tra loro, ossia deve trattarsi di comunità vegetali vere e proprie che si
sostituiscono completamente l’una all’altra e non semplici incrementi di abbondanza di singole specie. Ad esempio Erica arborea, specie ad elevata plasticità
ecologica, può essere dominante nella macchia mediterranea di sostituzione (ossia nella formazione che prende il sopravvento a seguito del taglio del
preesistente bosco a Quercus ilex o Quercus suber) su terreni acidi o su terre rosse. Ciò effettivamente avviene in molte aree costiere su substrati vulcanici
della Toscana e del Lazio (in forma dell’associazione arbustiva Erico-Arbutetum). La stessa Erica arborea, tuttavia, può comportarsi da arbusto dominante nel
sottobosco delle leccete o della cerrete, le quali andranno a costituire la vegetazione naturale potenziale in assenza di disturbo.
In base alla risposta della vegetazione al cambiamento nel tempo noi possiamo distinguere due tipi di successioni:
Successioni progressive
Successioni regressive
Successione progressiva:
Successione regressiva:
Successioni primarie
Prendono avvio in ambienti costituiti da un substrato geologico vergine, privo di vegetazione e procedono senza essere disturbate
dall’uomo. Le successioni primarie si sviluppano in genere su suoli sterili, i quali sono incapaci di sostenere lo sviluppo e la crescita di una
vegetazione dominata dalle piante superiori. I substrati sono spesso incoerenti e privi di sostanza organica, poveri di nutrienti in forma
minerale, a bassa ritenzione idrica.
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Successioni secondarie
Ricostruzioni vegetazionali spontanee che che si innescano a partire dalla distruzione di una fitocenosi naturale o all’abbandono di una
vegetazione antropogena. Le successioni secondarie prendono origine su suoli relativamente evoluti, già caratterizzati dalla capacità di
sostenere lo sviluppo e la crescita di una vegetazione dominata dalle piante superiori. Nel suolo vi è già presenza di acqua, sostanza
organica, nutrienti e propaguli (semi, rizomi, bulbi di piante con propagazione vegetativa) che rendono molto più rapida la ripresa a
seguito del disturbo.
Le fasi pioniere sono fasi che durano poco tempo in quanto le specie pioniere sono per definizione “stress resistenti e non competitive”. Per tale motivo una
volta che hanno colonizzato un sito e lo hanno reso un po’ più ospitale grazie alla materia organica accumulata al suolo tramite i propri resti, le piante
pioniere vanno via.
Gli stadi intermedi e soprattutto quelli finali possono invece durare anche molto a lungo in quanto caratterizzati da tipi di vegetazione sempre meglio
adattati all’ambiente. Le fasi finali, se non incorrono cambiamenti climatici o edafici (rilevanti) possono durare all’infinito.
Climax (Vegetazione naturale potenziale): La comunità meglio adattata alle risorse messe a disposizione del territorio.
Si tratta della vegetazione che tende a formarsi in un determinato luogo indipendentemente dal fatto che sia in accordo con i parametri climatici o meno.
Mentre il climax è un concetto astratto ed ha carattere principalmente teorico, la vegetazione potenziale viene riconosciuta sul terreno e ci da una misura
delle potenzialità e della vocazione del territorio. a questo concetto si ricollegano quelli di:
vegetazione zonale: Tipo di vegetazione in equilibrio con le caratteristiche macroclimatiche e tipica di una determinata fascia (o zona) bioclimatica.
vegetazione extrazonale: Tipi di vegetazione che hanno una loro zonalità altrove ma che si presentano al di fuori della propria fascia bioclimatica in
relazione a particolari condizioni edafiche o microclimatiche (ad esempio le leccete delle rupi appenniniche).
vegetazione azonale: Tipo di vegetazione la cui distribuzione è svincolata dal macroclima e che è sempre legata a qualche particolare fattore edafico (ad
esempio la vegetazione ripariale).
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Vegetazione zonale/extrazonale/azonale
Vegetazione zonale: Esempio di vegetazione “zonale”. È il caso della faggeta del Piano Montano dei Monti Aurunci.
Ossia il bosco di faggio che nel piano montano (1000-1800 m) dell’Appennino in un contesto climatico temperato rappresenta la vegetazione
naturale potenziale in equilibrio con il macroclima.
Vegetazione extrazonale: Esempio di vegetazione “extra-zonale”. È il caso della rupe di Pietrasecca, paesino dell’area carseolana posto
in cima ad un blocco calcareo. Come si può vedere dal cromatismo della foto lo sperone roccioso è caratterizzato da un popolamento a
Quercus ilex (verde cupo) mentre il versante sottostante è caratterizzato da un bosco misto di carpino nero ed orniello. Il popolamento
a Quercus ilex costituisce la vegetazione extrazonale in quanto la sua zonalità è tipica dei versanti esposti a sud dei massicci carbonatici
in clima Mediterraneo mentre qui ci troviamo nella regione bioclimatica temperata che è di pertinenza del bosco di caducifoglie.
Vegetazione azonale: Esempio di vegetazione “a-zonale”. È il caso del saliceto e/o del pioppeto che si sviluppa al bordo dei corsi d’acqua.
La presenza di questa vegetazione non è legata al clima ma solamente al fatto che la falda freatica è affiorante e che per un tempo più o
meno lungo il terreno è allagato. Troviamo infatti il Salicetum albae (comunità forestale a dominanza di Salix alba) sia in ambito
mediterraneo (Corso del tevere dentro Roma), sia in ambito temperato (Fiume Tronto nei pressi di Amatrice).
Quadrato permanente (area a superficie variabile delimitata da picchetti fissi nel suolo. In genere le superfici non superano i 100 m2 in quanto i rilevamenti
dei quadrati permanenti sono generalmente molto dettagliati).
sviluppo della vegetazione non deve essere influenzato da eventi non naturali.
posizione dei picchetti rimanga riconoscibile per tempi sufficientemente lunghi
organizzazione e risultati molto diluiti nel tempo.
Aumento dell’altezza
Aumento del numero di strati (valido soprattutto per i boschi)
Aumento della produttività e della biomassa
Incremento della pedogenesi (progressiva formazione di suolo)
Provvisorio aumento e successivo decremento e stabilizzazione del numero di specie
Aumento della concorrenza tra le specie (soprattutto negli stadi intermedi)
Progressiva eliminazione delle specie estranee
Cambio della strategia riproduttiva e delle % delle forme biologiche
Rallentamento progressivo dei cambiamenti delle fitocenosi
Stabilità della biocenosi rispetto all’influenza ambientale.
La successione la leggo nel tempo, e nello stesso punto di osservazione vedrò come cambia la vegetazione.
La serie di vegetazione è un’unità spaziale, ci permette di osservare tutti gli stati della successione nello stesso spazio contemporaneamente questo grazie
all’uomo che ha variegato il territorio rendendolo disomogeneo.
Come il concetto di associazione vegetale (ossia la codificazione della comunità) che si basa sul fatto che specie diverse che hanno esigenze ecologiche simili
tendono a riunirsi nello stesso ambiente è alla base della fitosociologia classica,
Il concetto di Serie di vegetazione “sigmassociazione” o “ sigmetum” è alla base della Fitosociologia integrata (o dinamico-catenale).
È l’unità geobotanica che raggruppa tutte le comunità vegetali che tendono allo stesso tipo di vegetazione potenziale presenti in un ambito territoriale
dinamicamente omogeneo (ossia caratterizzato da un solo tipo di “climax” o da un solo tipo di vegetazione naturale potenziale
Ogni porzione di territorio che è caratterizzata da comunità vegetali che nella loro evoluzione tendono tutti a un solo tipo di vegetazione potenziale prende il
nome di “tessera”.
La definizione corretta della serie di vegetazione prevede una frase diagnostica che indichi in maniera ordinata i fattori geografici ed ecologici più significativi
(termotipo, biogeografia, ombrotipo, caratteristiche edafiche) e la tappa matura della serie.
Serie montana, centro-appenninica, iperumida calcicola del bosco di faggio (Cardamino kitaibelii-Fago sylvaticae sigmetum)
Serie mesomediterranea subappenninica subumida del bosco di roverella (Roso sempervirentis-Querco pubescentis sigmetum).
È l’unità geobotanica che raggruppa tutte le serie di vegetazione presenti all’interno di una singola unità geomorfologica (un versante montuoso, un
fondovalle, un arenile....). In questo caso l’omogeneità che si va a rilevare è geomorfologica.
Riepilogando:
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(N.B. Il concetto di omogeneità è molto importante perché nel momento che si decide di eseguire dei rilievi vegetazionali a qualsivoglia scala non ha senso
rilevare elementi tra loro disomogenei per parametri fisici, biotici o ecologici in quanto non saremmo in grado di risalire ad una causa comune per la quale
gli elementi vegetali si trovano raggruppati insieme).
1. Il geosigmeto deve svilupparsi all’interno di uno stesso piano bioclimatico e all’interno di uno stesso settore biogeografico.
2. Che caratterizzi una unità geomorfologica omogenea (ad esempio un versante montuoso, un terrazzamento fluviale ecc.).
Un buon pianificatore per prima cosa deve individuare il modello neutro, cioè quello che la natura mette a dispozione senza gli interventi dell’uomo.
Diversamente la Serie di vegetazione è un’unità spaziale che prende in considerazione non una singola stazione puntiforme ma una porzione di territorio
ben precisa (tessera) e all’interno di questa riconosce diversi stadi dinamici vegetazionali tra loro legati dinamicamente. Per tale motivo in una serie di
vegetazione è possibile osservare diversi stadi dinamici (comunità vegetali) contemporaneamente.
RIASSUMENDO: FITOSOCIOLOGIA
Si possono distinguere tre orientamenti principali nello studio del ricoprimento vegetale:
1. Fitosociologia classica, anche detta sigmatista o braunblanquetista dal nome del suo fondatore, che definisce le comunità vegetali su base
prevalentemente floristico-ecologica e costituisce il primo livello di analisi.
2. Fitosociologia seriale o dinamica o Sinfitosociologia, che studia gli aggruppamenti vegetali in relazione ai collegamenti dinamici esistenti tra loro
all’interno delle serie di veget azione e la loro evoluzione temporale.
3. Fitosociologia catenale o del paesaggio o Geosinfitosociologia, che analizza le relazioni topografiche tra diverse serie di vegetazione, ovvero i rapporti
catenali e geografici, e la loro evoluzione sp aziale.
Il numero di geosigmeti che si possono riconoscere in un settore biogeografico è strettamente dipendente dall’articolazione del rilievo dalla natura dei suoli,
dalla varietà di ambienti ecc.
La scuola spagnola ha proposto uno modello universale per la definizione del geosigmeto che si riassume nello schema:
(comunità rupicole o casmofitiche, vegetazione alofila ecc., calanchi, alta quota ecc.).
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Micro-geosigmetum: (micro-geosigmassociazione; microserie di vegetazione).
È l’unità paesaggistica costituita da una sequenza di micro-sigmeti delimitata da una situazione microtopografica o edafo-morfologica eccezionale che in un
picolo spazio da luogo a un numero relativamente elevato di “tessere” ognuna caratterizzata da una comunità di tipo permanente in apparente equilibrio
dinamico. Tali unità sono ordinate in “microcatene” in funzione dell’interazione particolare dei fattori ecologici più significativi.
(Gli ambienti più favorevoli alla presenza dei micro-geosigmeti sono quelli già citati per i microsigmeti).
Geosigmeti e microgeosigmeti
La toposequenza del transetto costiero (in questo caso dal Piano territoriale di Coordinamento
della Provincia di Pescara) rappresenta un esempio tipico di microgeosigmeto in quanto le
comunità che si succedono spazialmente sono tutte “comunità permanenti” ossia comunità
che non evolvono dinamicamente e che sono al tepo stesso fasi pioniere e finali della
successione. Allontanandoci un poco dalla spiaggia vera e propria incontriamo due comunità: il
ginepreto e la pineta che invece possono dar luogo ad una successione regressiva e quindi a
stadi meno complessi di vegetazione. Quindi in questo caso non si parla più di microgeosigmeti
ma di geosigmeti.
Definizioni: Contatti seriali: Si indicano come “contatti seriali” quelle situazioni di contatto spaziale tra due o più fitocenosi (comunità vegetali) le quali
tendono verso lo stesso tipo di vegetazione potenziale.
Es. contatto tra il bosco a Quercus suber e la macchia ad erica arborea, Erica multiflora e Myrtus communis osservata sui substrati conglomeratici di Gianola
(Parco della Riviera d’Ulisse)
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Contatti catenali: Si indicano come “contatti catenali” quelle situazioni di contatto spaziale tra due o più fitocenosi (comunità vegetali) le quali tendono verso
tipologie di vegetazione potenziale diverse tra loro.
Es. contatto tra il bosco a Quercus cerris e carpinus betulus di versante e quello a Corylus avellana e Sambucus nigra di fondo forra al Parco Naturale
dell’Insugherata a Roma
In questa area abbiamo i faggeti (verde scuro) ginepreti nani (verde) e praterie (verde chiaro).
La prateria se lasciata allo stato naturale verrà invasa dal ginepro, e il ginepro verrà invaso dal faggio.
Quindi rientra nello stesso tipo di vegetazione potenziale: la faggeta.
Le praterie non evolveranno in faggete perché abbiamo superato la linea altitudinale degli alberi
(timberline). E pure se sono in contatto spaziale, una evolverà in un modo ed l’altra in un altro
ancora perché si tratta di un
contatto catenale.
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tra prateria e ginepreto è quindi un contatto seriale (nel tempo uno si trasformerà nell’altro perché stadi diversi della stessa serie di vegetazione) mentre il
contatto tra prateria e faggeta è di tipo catenale, perché pur non costituendo la prateria vegetazione naturale potenziale, fa comunque riferimento ad una
serie di vegetazione diversa ( che culmina con il ginepreto nano) da quella della faggeta (che culmina appunto con la faggeta).
Salix herbacea
loc. Pizzo di Sevo (Appennino centrale), 2300 m s.l.m.
I saliceti a Salix herbacea rappresentano uno dei microsigmeti del geosigmeto del piano alpino delle Alpi e dell’Appennino. In un terreno ondulato Salix
herbacea si colloca nella valletta nivale, Salix retusa nella convessità del versante e Elyna myosuroides sulla cresta ventosa.
Contatto catenale tra la vegetazione della valletta nivale (azzurrognola) ad Alopecuros gerardii e Phleum alpinum e la soprastante brughiera a Vaccinium
myrtillus (verde) sulla cresta del canalone. Loc. Pizzo di Sevo (Appennino centrale) 2000 m s.l.m.
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4. Specie alloctone (esotiche, aliene)
Sono specie migrate al di fuori del loro areale di distribuzione originario nel Neolitico o post-Neolitico tramite l’intervento volontario o involontario
dell’uomo o degli animali domestici.
Qualsiasi taxon può teoricamente dar luogo ad INVASIONI BIOLOGICHE (AGENTI PATOGENI, SPECIE ANIMALI, SPECIE VEGETALI
Per “invasioni biologiche” si intendono i fenomeni di diffusione incontrollata di specie trasportate dall’uomo oltre i loro limiti di dispersione naturale; esse
rappresentano uno dei principali componenti dei cambiamenti globali.
Le invasioni di specie esotiche sono la seconda causa di perdita della biodiversità nella biosfera Convenzione sulla Diversità Biologica, articolo 8 (h): “vieta
l’introduzione di specie esotiche che minacciano gli ecosistemi, gli habitat o le specie, le controlla o le sradica”
GISP Global Invasive Species Programme, IUCN EMAPI Ecology and Management of Alien Plant Invasions
Una volta introdotta una specie può risultare difficile se non impossibile da eradicare qualora si riveli indesiderabile.
Dal punto di vista ecologico l’introduzione di un organismo interferisce con le specie indigene di una determinata area (Elton, 1958).
L’immissione di una taxon alloctono altera l’equilibrio biogeografico di un determinato territorio e può causare gravi interferenze nei rapporti interspecifici
tra le componenti di una determinata comunità.
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Classificazione delle specie alloctone
La Classificazione delle specie alloctone può essere fatta sulla base di tre principali criteri: 1) PERIODO DI IMMIGRAZIONE; 2) MODALITA’ DI INTRODUZIONE;
3) grado di naturalizzazione
Il riferimento al 1500 è importante perché dopo la scoperta dell’America (1492) l’Europa è andata soggetta all’introduzione di specie esotiche dal nuovo
mondo.
La diffusione e la stabilizzazione delle specie alloctone sono generalmente favorite dal disturbo antropico (Kowarik, 1995). Nelle città centroeuropee le
specie esotiche costituiscono in media il 40% (Pysek et al., 1998). La relazione tra specie alloctone e disturbo antropico determina la loro elevata presenza
negli habitat più antropizzati, in modo particolare lungo i bordi di strade e ferrovie, nelle aree industriali, nei campi coltivati e nei centri urbani (Sukopp,
Werner, 1983).
La relazione tra specie alloctone e disturbo antropico determina la loro elevata presenza negli habitat più antropizzati, in modo particolare lungo i bordi di
strade e ferrovie, nelle aree industriali, nei campi coltivati e nei centri urbani (Sukopp, Werner, 1983).
Fra gli ambienti naturali più soggetti alle invasioni prevalgono gli habitat riparali, quelli planiziali, costieri e acquatici.
aumento delle specie di recente introduzione e di quelle autoctone tipiche di habitat sinantropic
Aumento delle Apofite (Apofite = specie indigene sinantropiche). Si tratta di specie generaliste ed euriecie, adattate ad un ampio
intervallo di condizioni ambientali.
Sono spesso pioniere (stress resistenti e non competitive), ruderali (colonizzano i cumuli di detriti o i vecchi muri cadenti), nitrofile
(prediligono elevate concentrazioni di azoto nel terreno), anemofile (l’impollinazione è più spesso ad opera del vento) e anemocore
(anche la diffusione dei semi è operata dal vento).
Robinia pseudacacia L.
nome comune: Robinia, falsa acacia.
Foglie : decidue, composte, pennate, rami fortemente spinosi.
Fiori : infiorescenze ermafrodite, fiori
bianchi molto profumati. fioritura : mag./giu.
Frutti : legumi nerastri e appiattiti
Portamento: alt.: sino a 25 m
La Robinia (o Falsa Acacia) è originaria dei monti Allegani, nelle regioni orientali degli Stati Uniti. Fu portata in Europa come specie
ornamentale (1601) per la bellezza della sua fioritura. Ben presto, tuttavia, sfuggì alla coltivazione naturalizzandosi in tutta l'Europa, dalla
pianura fino a circa 1400 m di altitudine. La Robinia è specie a rapido accrescimento e la sua larga diffusione è favorita dalla presenza di
stoloni basali e dalla ricca disseminazione spontanea dei semi. Viene così a formare boscaglie dense in competizione con le specie
arboree spontanee (querce mesofile, aceri, olmi), su cui spesso prende il sopravvento. Il legno resiste bene all'aperto, perciò viene
impiegato per paleria, ad esempio in viticoltura. È buon combustibile, anche appena tagliato. La Robinia è poi eccellente pianta mellifera sebbene sia
parzialmente tossica (in particolare nei semi, corteccia e radici). Come ornamentale, la Robinia è impiegata per l'estrema rusticità e la resistenza
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all'atmosfera urbana. frugalissima, indifferente al substrato, purché ben drenato e con una certa preferenza per terreni acidi; ama la luce e si presta per il
consolidamento e il miglioramento di terreni sciolti e franosi.
Sulla base di alcuni studi miranti ad indagare l’effetto della Robina su tutta la fitocenosi è stato confermato che R. pseudoacacia influenza tutta la comunità
del suolo negli ecosistemi colonizzati e determina un ambiente suolo ecologicamente più instabile, con una drastica riduzione della biodiversità a quasi tutti i
livelli.
L‘Ailanto (Legno puzzo) originario della Cina, si è diffuso e naturalizzato in tutta l'Europa centromeridionale dal '700. E' specie frugale, resistente, adattabile a
qualsiasi tipo di terreno, purché al riparo da forte vento, a cui è sensibile per i rami fragili; s'incontra frequente in tutti gli incolti, lungo i torrenti, in terreni
ingrati e nelle boscaglie. Si moltiplica abbondantemente ( tanto da essere considerato un infestante) persemi e rigetti basali, ha rapidissimo accrescimento,
ma non è molto longevo. Nel secolo scorso è stato particolarmente diffuso per sperimentare l'allevamento della "sfinge dell'ailanto", il lepidottero saturnide
Philosamia cynthia (introdotto nel 1857), che doveva sostituire il baco da seta minacciato da malattie epidemiche. La pianta ha legno tenero, usato
soprattutto nell'industria cartaria per cellulosa di buona qualità,mentre l'uso come pianta ornamentale è limitatissimo per l'odore sgradevole delle foglie.
Nelle aree introdotte, può fungere da specie pioniera competendo con le specie autoctone per lo spazio, i nutrienti, la luce e l'acqua, con conseguenti
cambiamenti negli habitat e diminuzione della biodiversità. Rilascia nell'ambiente sostanze fitotossiche; a causa della sua invasività e tossicità può ridurre
gravemente le rese di cereali e altre colture da campo, causare problemi nella raccolta, ridurre significativamente la qualità dei foraggi e influenzare
negativamente i prodotti lattiero-caseari se il bestiame se ne nutre.
Agave americana L.
nome comune: Agave
Foglie : sempreverdi, carnose, glaucescenti dentate al margine.
Fiori : infiorescenza a pannocchia posta su un lungo stelo alto diversi metri. Fiorisce dopo circa 10 anni o più. Muore dopo la
fioritura.
Frutti : capsule con semi piatti a forma di disco.
Portamento: : sino a 4-5 m.
Agave americana è pianta originaria del Messico che è stata introdotta nei paesi del bacino del mediterraneo a scopo ornamentale. Attualmente si comporta
da specie invasiva soprattutto nell’ambito delle cenosi di macchia mediterranea a mirto e lentisco su substrati rocciosi. È specie che cresce in pieno sole ma
può essere parzialmente tollerante dell’ombra. Suoli normalmente ben drenati.
Phytolacca americana L.
nome comune: Sanguinella, Uva turca
Foglie : intere, picciolate 5-10 x 12-25 cm picciolate, maleodoranti
Fiori :. racemi di 10 cm eretti; fiori ermafroditi
Frutti :.bacca disposta in racemo viola-nera, 10 mm.
Portamento: : erbaceo-legnososino a 4-5 m
Phytolacca americana è pianta originaria degli Stati Uniti orientali che si è diffusa artificialmente anche nel settore occidentale degli Stati Uniti. Anche in
Italia è presente in tutte le regioni come naturalizzata infestante le colture cerealicole (ma può vivere bene anche al bordo dei boschi in penombra). Si trova
generalmente fino alla quota di 400- 500 m. È conosciuta per le notevoli proprietà medicinali e per la produzione di insetticidi, saponi ed inchiostro.
Il fico d’India è una succulenta originaria del Messico e dell’America Latina che si è adattata ai nostri territori più caldi dove fiorisce e fruttifica
spontaneamente. Nel meridione d’Italia (Calabria e Sicilia) è specie infestante nella macchia mediterranea che tende a sostituire sui versanti rocciosi. alla
macchia a ginepro coccolone.
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Fiori : capolini fucsia con stami purpurei
Frutti : indeiscenti carnosi.
Portamento: : strisciante con fusti lunghi fino a parecchi metri.
Carpobrotus acinaciformis è una pianta perenne succulenta originaria del Sudafrica. Introdotta a scopo ornamentale per le belle fioriture, e per la
stabilizzazione delle scarpate e delle dune, questa specie è divenuta fortemente invasiva e tende ad occupare buona parte della fascia destinata
all’Ammophyletum, al Limonietum o alla macchia a ginepro coccolone (Juniperus macrocarpa).
Cenchrus longisetus è una graminacea originaria dell’Africa tropicale nord-orientale (Eritrea, Etiopia e Somalia) e dell’Asia occidentale (Yemen). Coltivata
come pianta ornamentale è successivamente inselvatichita ed è attualmente presente come specie naturalizzata in alcune regioni Italiane quali Lazio,
Veneto, Marche e Liguria (in Sicilia è presente l’affine P. setaceum).
L’acacia saligna è un piccolo albero originario dell’Australia occidentale, da noi introdotto a scopo ornamentale e come pianta ricolonizzatrice, Nell’area di
origine la specie cresce in ambienti disturbati, ad esempio lungo le strade. I semi sono distribuiti dalle formiche, che li accumulano nei nidi per mangiarne i
giovani germogli. La specie è stata usata per la concia delle pelli (la scorza è ricca di tannini), per programmi di rivegetazione, per il rinverdimento di siti
minerari, come foraggio per gli animali, come legna da ardere e come pianta ornamentale. È stata piantata estesamente in aree semi-aride dell'Africa, del
Sud America e del Medio Oriente, e anche in Italia come frangivento e per la stabilizzazione delle dune di sabbia o delle scarpate erose. In diverse parti del
mondo (compresa l’Italia meridionale) è divenuta una specie invasiva, a causa della rapida crescita su suoli con bassi livelli di nutrienti, alla precoce maturità
riproduttiva, alla grande quantità di semi in grado di sopravvivere al fuoco e alla capacità di rigettare dopo il taglio. In Sud Africa questa acacia ha proliferato
a un ritmo incontrollabile, alterando la vegetazione autoctona tramite la modifica del regime degli incendi e oggi viene controllata efficacemente grazie
all’introduzione di un fungo della ruggine (Uromycladium tepperianum), in grado di ridurne la densità dell’80%
Nassella tenuissima
Pennisetum setaceum
Curtaderia selloana
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Alien species Nassella trichotoma invasion in AUSTRALIA
La Nassella trichotoma, il ciuffo seghettato, è un tipo di grappolo pianta, originaria di Argentina, Uruguay, Cile e Perù.
È nell'elenco delle erbacce di importanza nazionale in Australia, riducendo la produttività del pascolo e creando un pericolo di incendio. In
molti stati, i proprietari terrieri sono tenuti per legge a mantenere la loro terra libera di questa pianta.
Nuova Zelanda ed è sotto stretto controllo da parte di alcuni dei consigli regionali.
Habitat marini
Esempio: l’invasione dell’alga verde Caulerpa taxifolia (Chlorophyta, Ulvophycea) costituisce attualmente una grave minaccia alla
biodiversità nel mare Mediterraneo.
La Caulerpa taxifolia, è un’alga di origine tropicale (volgarmente detta Alga Killer in quanto produce una specie di tossina destinata ai predatori) composta
da un’unica cellula cointenente numerosi nuclei liberi, formante uno stolone che può superare i due metri di lunghezza, e numerose foglie rigogliose che le
conferiscono l’aspetto della terrestre Pteridium aquilinum. Quest’alga è stata utilizzata a partire dagli anni ’70 come pianta decorativa per gli acquari
tropicali.
1984. Vengono osservati i primi popolamenti spontanei in un tratto costiero nei pressi di Monaco. Tali popolamenti
occupano un’area di appena 1 m 2 e probabilmente derivano da individui sfuggiti dal Museo Oceanografico di Monaco.
2001. Sono interessati dalla infestazione più di 130 km2 di fondale e 190 km di costa in 6 paesi: Monaco, Francia, Italia,
Spagna, Croazia e Tunisia,
In Italia: Il primo rinvenimento risale al 1992, ma da allora la specie si è rapidamente diffusa e attualmente copre circa
10,000 ettari.
In modo particolare l’invasione costituisce un pericolo per le praterie dell a specie autoctona Posidonia oceanica. Queste praterie sono
soggette a costante monitoraggio in quanto costituiscono un Habitat prioritario (1120*) nella Direttiva Europea 92/43/EEC La Caulerpa (che
nel Mediterraneo è addirittura affetta da gigantismo) compete con la Posidonia, ne colonizza le parti interne ed esterne dei popolamenti
rendendoli meno ospitali, riduce la penetrazione della luce e altera le funzioni di questo fragile ed importante ecosistema.
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