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DI
ECONOMIA
POLITICA I
A.A. 2017 - 2018
CAPITOLO I
1
PENSARE DA ECONOMISTI
Costi-benefici
Il processo decisionale
Bisogna quindi:
N.B → esiste una relazione reciproca tra costi e benefici: non sostenere un costo equivale
a ottenere un beneficio e, viceversa, non ottenere un beneficio è come sostenere un
costo.
2
La mano invisibile
Secondo Adam Smith una mano invisibile guiderebbe tutti gli individui i quali, nel
perseguire i loro interessi individuali, consentono anche il contemporaneo raggiungimento
dell’interesse collettivo. I consumatori, che perseguono il proprio interesse agiscono
spesso come se fossero guidati dalla “mano invisibile”, in grado di produrre il risultato più
favorevole per il bene comune.
Una domanda normativa è una domanda che coinvolge i valori individuali poiché mira a
sapere cosa si deve o si dovrebbe fare. Una domanda positiva è una domanda che ha per
oggetto possano essere le conseguenze di determinate politiche o di determinate soluzioni
istituzionali.In sintesi:
- La prima è una domanda circa quale politica o direttiva istituzionale adottare per
conseguire il miglior risultato. -
La seconda è una domanda circa le conseguenze di specifiche direttive o politiche.
3
CAPITOLO II
LA DOMANDA E L’OFFERTA
4
In equilibrio i consumatori e i venditori sono entrambi
soddisfatti nel senso che è impossibile migliorare la
situazione di qualcuno senza contemporaneamente
peggiorare quella di qualcun altro (efficienza paretiana).
Quando il prezzo differisce dal suo livello di equilibrio, gli scambi che si realizzano sul
mercato sono condizionati dal comportamento dei consumatori o de produttori.
A qualsiasi prezzo diverso da quello di equilibrio, una parte del mercato rimane
insoddisfatta.
• in condizioni di equilibrio, non c’è alcuna riallocazione che potrebbe essere favorevole
per qualcuno senza danneggiare qualcun altro.
• Se i prezzi e le quantità non sono al loro livello di equilibrio, sarà sempre possibile
individuare una riallocazione in grado di migliorare la situazione di qualcuno senza
peggiorare quella di qualcun altro.
Si può concludere affermando che indipendentemente dal livello del prezzo (sopra o sotto
il valore di equilibrio) si potrà sempre trovare una situazione vantaggiosa per tutti coloro
che vi partecipano (valore di equilibrio).
Il tetto di un prezzo è il livello oltre il quale, per legge, il prezzo di un bene non può salire.
L’introduzione di un tetto massimo al di sotto del prezzo di equilibrio comporta un eccesso
di domanda. Se, invece, viene introdotto un tetto massimo al di sopra del livello di
equilibrio non si avrà nessun cambiamento, poiché i compratori e i venditori continueranno
ad acquistare e offrire al prezzo di equilibrio.
5
Il prezzo minimo è il livello sotto il quale il prezzo di un bene non può scendere.
L’introduzione di un prezzo minimo situato al di sopra del livello di equilibrio comporta un
eccesso di offerta. Se viene introdotto un prezzo minimo al di sotto del livello di equilibrio,
venditori e compratori continueranno ad operare al prezzo di equilibrio.
1) Funzione allocativa dei prezzi rispetto ai beni: processo attraverso il quale i prezzi
indirizzano all’acquisto del bene i consumatori che gli attribuiscono il maggior valore.
Tale funzione che si configura come una funzione di breve periodo in quanto si
concentra sulla distribuzione di beni già esistenti.
2) Funzione allocativa dei prezzi rispetto alle risorse: processo attraverso il quale i
prezzi agiscono come segnali che indirizzano alla produzione dei soli beni caratterizzati
da eccesso di domanda. Tale funzione si configura come una funzione di lungo periodo
poiché tende a far spostare le risorse dai settori caratterizzati da eccesso di offerta a
quelli caratterizzati da eccesso di domanda.
1. Redditi: il reddito influenza la quantità dei beni e dei servizi acquistati a un determinato
livello di prezzo. Per quasi tutti i beni, la quantità domandata a un certo livello di prezzo
aumenta all’aumentare del reddito. I beni che possiedono tale caratteristica sono detti
beni normali. I beni inferiori sono invece quei beni la cui quantità domandata a un
determinato prezzo diminuisce all’aumentare del reddito. Ciò succede perché i
consumatori abbandonano i beni inferiori (ad es: carne al alto contenuto di grasso) in
favore di beni sostitutivi qualitativamente migliori non appena se lo possono
permettere.
2. Gusti: non tutti i consumatori hanno gli stessi gusti e i gusti non rimangono immutati nel
tempo.
3. Prezzi di beni sostitutivi e complementari: i beni complementari sono quei beni che
per il loro utilizzo necessitano di altri beni (ad es: auto e benzina). Per questi beni
l’incremento del prezzo di un bene fa diminuire la domanda dell’altro bene. I beni
sostitutivi sono quei beni che possono essere sostituiti con altri in quanto presentano
caratteristiche simili (ad es: burro e margarina). Per questi beni l’incremento nel prezzo
di un bene tende a far aumentare la domanda dell’altro bene.
5. Fattori demografici: quanto più grande è un mercato tanto più grande è la quantità
domandata di un certo bene o servizio per un dato livello di prezzo.
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I determinanti dell’offerta
2. Prezzi dei fattori produttivi: il prezzo dei fattori produttivi come capitale e lavoro
rappresenta una determinante fondamentale per i costi di produzione.
3. Numero di produttori: più altro è il numero di imprese che producono un certo bene,
maggiore sarà la quantità offerta per ogni livello di prezzo.
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Le variazioni della domanda rispetto alle variazioni della quantità domandata
• una riduzione della domanda determina una riduzione sia del prezzo di equilibrio sia
della quantità di equilibrio.
• una riduzione dell’offerta determina un aumento del prezzo di equilibrio e una riduzione
della quantità di equilibrio.
8
Capitolo III
Il vincolo di bilancio
Il vincolo di bilancio o retta di bilancio è l’insieme di tutti i panieri che il consumatore può
acquistare spendendo completamente il proprio reddito. Ipotizziamo che M sia il reddito
del consumatore, Pc il prezzo del cibo e PA il prezzo dell’alloggio. Il suo vincolo di bilancio
sarà il seguente:
La pendenza della retta del vincolo di bilancio è data dal rapporto tra la variazione in
ordinata (y) e la corrispondente variazione in ascissa (x), con segno negativo. In questo
caso la pendenza sarà — PA / Pc.
Il consumatore oltre ad essere in grado di acquistare uno o qualsiasi dei panieri che si
trovano lungo il vincolo di bilancio, può comprare anche qualunque paniere che si trova
all’interno dell’insieme di bilancio: contiene i panieri che appartengono al vincolo di bilancio
o che si trovano sotto di esso, per tali panieri la spesa è inferiore o uguale al reddito
disponibile. Tale insieme è detto insieme accessibile o ammissibile. I panieri che sono al di
fuori di tale area sono detti inaccessibili o inammissibili.
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La variazione dei prezzi
2) Il prezzo diminuisce: il vincolo di bilancio ruota verso l’esterno. Infatti a parità di reddito
se il prezzo di uno dei due beni diminuisce possiamo acquistare una maggior quantità di
beni.
QUINDI: la variazione del prezzo di uno dei due beni determina una variazione della
pendenza del vincolo di bilancio. Se il prezzo del bene rappresentato sull’asse delle
ascisse aumenta (diminuisce), il vincolo di bilancio diventa più (meno) ripido, l’intercetta
orizzontale si sposta verso sinistra (destra) mentre l’intercetta verticale non varia.
Quando modifichiamo il prezzo di uno dei due beni, facciamo inevitabilmente variare la
pendenza del vincolo di bilancio. Lo stesso vale se modifichiamo in proporzioni diverse
entrambi i prezzi. Ma modificare in proporzioni uguali i prezzi darà origine a una nuova
retta di bilancio che avrà la stessa pendenza di quella originaria (pertanto sarà parallela a
quella originaria).
QUINDI:
-Quando il reddito aumenta, il vincolo di bilancio si sposta parallelamente verso destra.
-Quando il reddito diminuisce, il vincolo di bilancio si sposta parallelamente verso sinistra.
Vincoli di bilancio relativi a più beni
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Nella realtà il consumatore deve effettuare delle scelte tra N possibili beni, pertanto il
vincolo di bilancio viene rappresentato da un piano multidimensionale. Ma poiché è difficile
da disegnare, Marshall propose una soluzione: considerare quella che si pone al
consumatore come la scelta tra un bene particolare (X) un insieme di altri beni (Y). Questo
insieme di altri beni è chiamato bene composto.
Curve di indifferenza
Possiamo ripetere questo processo tutte le volte che lo desideriamo e il risultato finale è
una curva di indifferenza cioè un insieme di panieri che forniscono al consumatore lo
stesso livello di soddisfazione rispetto
al paniere originario A.
La curva di indifferenza ci permette
anche di confrontare la soddisfazione
del consumatore per i panieri ce
appartengono alla curva stessa con la
soddisfazione per i panieri che si
trovano al si sopra o al di sotto di
essa.
In genere, i panieri che si trovano al si
sopra di una curva di indifferenza
sono preferiti a tutti i panieri che
appartengono alla curva stessa.
Analogamente, i panieri che appartengono alla curva di indifferenza sono preferiti a tutti i
panieri collocati al di sotto di essa.
• Le curve di indifferenza coprono tutti i panieri. Tale proprietà è assicurata dalla proprietà
di completezza delle preferenze
• Le curve di indifferenza hanno pendenza negativa. Tale proprietà è assicurata dalla
proprietà di non sazietà delle preferenze.
• Le curve di indifferenza non possono incrociarsi. Ciò perché altrimenti violerebbero
almeno una delle proprietà degli ordinamenti di preferenze
• L’inclinazione delle curve di indifferenza si riduce man mano che ci spostiamo verso
destra. Tale proprietà deriva dalla convessità delle preferenza.
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Trade-off tra beni
Soluzioni d’angolo
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Curve di indifferenza ad angolo retto
Come abbiamo visto i beni normali hanno curve di indifferenza con pendenza negativa e
con inclinazione che si riduce man mano che ci si sposta verso destra, presentando forma
convessa. I beni sostituti perfetti hanno curve di indifferenza rappresentate da rette.
I beni complementari hanno curve di indifferenza ad angolo retto.
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CAPITOLO IV
La domanda individuale e la domanda di mercato
La curva di domanda di mercato è una relazione che indica le quantità di un determinato
bene che il mercato nel suo complesso è disposto ad acquistare per ogni livello di prezzo.
La curva prezzo-consumo e la curva di domanda individuale sono due modi per illustrare
come variano le decisioni di acquisto del consumatore in risposta a variazioni che
intervengono nei prezzi. Per rappresentare le risposte alle variazioni che intervengono nel
reddito sono disponibili strumenti analoghi: la curva reddito-consumo (ICC) (o sentiero di
espansione del reddito) è l’insieme dei panieri ottimali al variare del reddito, mantenendo
fissi i prezzi di X e Y. L’equivalente della curva di domanda individuale nel caso di
variazioni di reddito è la curva di Engel individuale. Essa esprime la relazione tra quantità
consumata di un bene e reddito individuale.
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Beni normali e beni inferiori
I beni normali sono beni la cui quantità domandata aumenta all’aumentare del reddito. Per
tali beni la curva di Engel è inclinata positivamente, pertanto è crescente. Esempio di bene
normale è il filetto. I beni inferiori sono beni la cui quantità domandata diminuisce
all’aumentare del reddito. Per tali beni la curva di Engel è inclinata negativamente,
pertanto è decrescente (es di bene inferiore: hamburger). Il bene inferiore è un prodotto
con molti sostituti preferiti dal consumatore ma più costosi. Perché all’aumentare del
reddito il consumatore diminuisce la quantità acquistata dei beni inferiori? Perché egli
all’aumentare del reddito abbandona questi beni per acquistare beni qualitativamente
migliori. (es: il consumatore appena può permetterselo, non acquisterà più gli hamburger
ma il filetto che è una carne più magra e qualitativamente migliore).
• Effetto di sostituzione: l’aumento del prezzo del bene rende più convenienti i suoi
sostituti
• Effetto di reddito: l’aumento del prezzo del bene riduce il potere di acquisto del
consumatore. Per un bene normale questo effetto tenderà a ridurre le quantità
acquistate ma per un bene inferiore l’effetto sarà opposto.
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Beni di Giffen
Un bene per essere definito come bene di Giffen non deve essere solo un bene inferiore,
ma deve anche assorbire una quota rilevante del reddito del consumatore.
Altra caratteristica necessaria di un bene di Giffen è la curva di domanda deve essere
inclinata positivamente. (es di bene di Giffen: la patata durante la carestia che colpì
l’Irlanda nel XIX secolo).
Nel caso in cui i consumatori sono identici e abbiamo n curve di domanda individuali
L’elasticità della domanda rispetto al prezzo è definita come la variazione della quantità
domandata rispetto a una variazione del prezzo dell’ 1%.
L’elasticità sarà sempre negativa (o pari a 0) perché la variazione del prezzo è sempre di
segno opposto rispetto alla variazione della quantità domandata.
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La domanda di un bene si dice:
da cui deriva:
Si può perciò interpretare l’elasticità della domanda rispetto al prezzo come il rapporto tra
prezzo e quantità moltiplicato per il reciproco della pendenza della curva di domanda.
P= a-b Q
• Il rapporto tra prezzo e quantità assume un valore diverso in ogni punto della curva; in
corrispondenza dell’intercetta verticale tende ad infinito quindi diminuisce man mano
che ci spostiamo verso il basso lungo la curva di domanda, raggiungendo il valore zero
in corrispondenza dell’intercetta orizzontale
• L’elasticità della domanda non è mai positiva. Per tanto, si considera il valore assoluto,
e quindi positivo, dell’elasticità.
• L’elasticità della domanda è la relazione inversa con la pendenza della curva della
domanda stessa.
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Esiste una relazione importante tra elasticità della domanda al prezzo e spesa totale. Per
qualunque coppia quantità-prezzo (Q,P), la spesa totale S è data dal prodotto: S=PQ
Per piccole variazioni di prezzo, conoscendo l’elasticità della domanda al prezzo nel punto
iniziale, possiamo prevedere come varierà la spesa totale.
Ricordate che l’elasticità della domanda rispetto al prezzo si può definire anche come il
rapporto tra la variazione percentuale della quantità e la corrispondente variazione
percentuale del prezzo. In questo caso, l’incremento di spesa derivante dalle vendite
aggiuntive sarà sempre maggiore della diminuzione di spesa derivante dalla riduzione dei
prezzi. Se invece l’elasticità al prezzo è inferiore a 1, la variazione percentuale della
quantità sarà inferiore alla corrispondente variazione di prezzo, e le vendite aggiuntive non
compenseranno la diminuzione della spesa dovuta alla riduzione di prezzo. In questo
caso, la riduzione del prezzo causerà una diminuzione della spesa complessiva. La regola
generale, per quanto riguarda piccole riduzioni di prezzo è: una riduzione di prezzo
aumenterà il ricavo totale se e solo se il valore assoluto dell’elasticità della domanda
rispetto al prezzo è maggiore di 1. Una regola analoga per piccoli aumenti di prezzo è: un
aumento di prezzo incrementerà il ricavo totale se e solo se il valore assoluto dell’elasticità
della domanda rispetto al prezzo è minore di 1.
• Quota della spesa totale: maggiore è la quota della spesa totale assorbita dal
prodotto maggiore sarà l’effetto di reddito causato da una variazione di prezzo.
In generale, minore è la quota di spesa totale assorbita da un bene, minore è
l’elasticità della domanda (in valore assoluto).
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• Tempo: quando i consumatori hanno più tempo a disposizione, tanto più facile
possono trovare beni sostituivi. Gli effetti di prezzo causati da variazioni dell’offerta
sono perciò più marcati nel breve periodo che nel lungo periodo.
La quantità domandata di un determinato bene non dipende solo dal prezzo ma anche dal
reddito del consumatore. Può accadere che a uno stesso livello di reddito corrispondano
curve di domanda di mercato diverse, a seconda della distribuzione del reddito tra i
consumatori. La distribuzione del reddito tra consumatori può influenzare la domanda di
mercato se esiste una relazione stabile tra il reddito aggregato e la quantità di domanda di
mercato, allora si può costruire una curva di Engel per l’intero mercato.
Se un bene presenta una curva di Engel stabile, siamo in grado di definire l’elasticità della
domanda rispetto al reddito, un indice della reattività delle quantità domandate rispetto alle
variazioni del reddito medio dei consumatori presenti sul mercato:
dove Y presenta il reddito medio dei consumatori presenti sul mercato e è una piccola
variazione del reddito medio.
• i beni per cui =1 avranno curve di Engel rappresentate da linee rette che partono
dall’origine.
Da un punto di vista geometrico la formula dell’elasticità al reddito può essere così scritta:
Se la pendenza della retta che passa per l’origine è maggiore della pendenza della curva
di Engel, il prodotto di questi due fattori deve essere maggiore di 1 (beni di lusso). Se la
pendenza di tale retta è minore della pendenza della curva di Engel, sarà inferiore a 1, ma
comunque positiva, a condizione che la curva di Engel sia positiva (beni di prima
necessità). Se la pendenza della curva di Engel è negativa, deve essere minore di 0 (beni
inferiori).
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L’elasticità incrociata della domanda rispetto al prezzo
La quantità di un bene acquistata sul mercato non dipende solo dal prezzo di quel bene
ma anche dai prezzi dei beni a esso collegati. L’elasticità incrociata della domanda rispetto
al prezzo è la variazione percentuale della quantità domandata di un determinato bene
inseguito alla variazione dell’1% del prezzo di un altro bene. In generale, per due beni
qualsiasi X e Z, l’elasticità incrociata della domanda si può definire:
Dove ΔQx è una piccola variazione di Qx , la quantità del bene X, e ΔP è una piccola
variazione di Pz , il prezzo del bene Z.
misura come varia la quantità domandata di X, in seguito ad una piccola variazione che
interviene nel prezzo del bene Z.
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CAPITOLO V
Applicazione della teoria della scelta razionale e della
domanda
Gli economisti ritengono che uno scambio, quando avviene volontariamente, comporti
benefici per tutti coloro che vi partecipano, se così non fosse, lo scambio non avverrebbe.
In generale, conviene avere una misura monetaria del beneficio che i partecipanti
ottengono da uno scambio. Questa misura è detta surplus del consumatore.
Il metodo più semplice per misurare il surplus del consumatore (CS) utilizza le curve di
domanda. L’altezza della curva di domanda individuale, in corrispondenza di ciascuna
quantità, rappresenta la cifra massima che il consumatore sarebbe disposto a spendere
per ottenerne una unità aggiuntiva. Sottraendo da questo valore il prezzo di acquisto e
sommando le differenza risultanti per tutte le quantità, otteniamo l’area ombreggiatura nel
grafico, che rappresenta il surplus del consumatore.
QUINDI:
L’area al di sotto della curva di domanda e al di sopra del prezzo di mercato misura il
surplus del consumatore.
-Utilizzando surplus del consumatore è possibile, per esempio, valutare i costi e i benefici
di strutture di mercato alternative, di interventi di politica economica e così via.
22
CAPITOLO VI
23
qualcosa che vale 5.000€? Di conseguenza anche essi tenderanno a ritirarsi dal
mercato e sul mercato resteranno solo le auto bidoni.
In generale si ipotizza infatti che l’utilità sia una funzione concava della ricchezza totale.
Una funzione U (M) è detta concava se, per ogni coppia di valori M1 e M2, la funzione sta
al di sopra della corda che unisce i punti M1, U (M1) e M2, U(M2). La funzione di utilità U=
è una funzione concava rispetto a M.
Si dice anche che una funzione di utilità concava rispetto a
M è caratterizzata da un’utilità marginale decrescente della
ricchezza. L’utilità marginale è la pendenza della funzione
di utilità, quindi una funzione caratterizzata da utilità
marginale decrescente è una funzione di utilità la cui
pendenza diminuisce al crescere di M. Intuitivamente,
utilità marginale decrescente della ricchezza significa che
più ricchezza ha a disposizione il consumatore, minore
sarà l’incremento di utilità prodotto da un’unità aggiuntiva
di ricchezza.
Un individuo la cui funzione di utilità è concava rispetto alla
ricchezza totale è detto avverso al rischio: ciò
significa che egli rifiuterò sempre una lotteria il cui
valore atteso è apri a 0.
Un gioco il cui valore atteso è pari a 0 è detto gioco
equo.
Nel caso di giochi equi, il valore atteso della ricchezza,
se si accetta la lotteria è pari al valore certo della
ricchezza se si rinunzia a giocare.
Se un individuo è propenso al rischio, la sua
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funzione di utilità sarà convessa rispetto alla ricchezza totale, il che implica che l’utilità
attesa derivante dall’accettare una lotteria equa, EUg , sarà maggiore dell’utilità derivante
dal rifiutarla, U (Mo).
In una funzione di utilità convessa la pendenza aumenta con la ricchezza totale.
Quando i rischi che differenti soggetti si trovano ad affrontare sono indipendenti, agendo
collettivamente è possibile ottenere un risultato preferito da tutti.
Alla base della condivisione dei rischi risiede la legge dei grandi numeri: se la probabilità p
che ha un evento di verificarsi è indipendente per ciascun membro di un gruppo numeroso
di individui in un certo periodo di tempo, allora la frequenza empirica con la quale tale
evento si manifesta in qualunque periodo non si discosterò significativamente da p. In altre
parole, se un evento si verifica con probabilità indipendente p in ciascuna di N prove, la
proporzione dei casi in cui tale evento si verificherà tenderà, al crescere di N, a p. la legge
dei grandi numeri permette di ridurre l’esposizione al rischio attraverso la creazione di
fondi per la condivisone del rischio (ad es: stipulare l’assicurazione).
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CAPITOLO VII
La produzione
La produzione è qualunque attività che crea un’utilità presente o futura.
La funzione di produzione
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dell’input variabile danno luogo ad aumenti via via minori dell’output.
4. La legge dei rendimenti decrescenti: anche se non si tratta di una proprietà
universale delle funzioni di produzione di breve periodo, essa è tuttavia molto comune.
La legge dei rendimenti decrescenti è un fenomeno di breve periodo e piò essere
enunciata nel modo seguente: “se vengono aggiunte uguali quantità di un fattore
variabile e tutti gli altri fattori rimangono costanti, i conseguenti incrementi dell’output, ad
un certo punto, inizieranno a diminuire.
La tipica funzione di produzione di breve periodo inizialmente cresce in misura più che
proporzionale, poi continua a crescere ma in misura meno che proporzionale. Questo
andamento rispecchia la legge dei rendimenti decrescenti secondo la quale man mano
che si aggiungono ulteriori unità di un fattore produttivo (tenendo fissi tutti gli altri), in una
prima fase il prodotto cresce più che proporzionalmente rispetto all’input ed oltre un certo
punto, il prodotto continua a crescere ma in misura meno che proporzionale.
Le funzioni di produzione di breve periodo sono spesso dette curve del prodotto totale:
esse mettono in relazione la quantità totale di output con la quantità di input variabile.
MPL = ∆Q / ∆L
Il prodotto medio (AP) di input variabile è definito come il rapporto tra il prodotto totale e
la quantità di input utilizzata per produrre l’output, quindi: APL= Q / L
Quando l’input variabile è il lavoro, il prodotto medio si chiama anche produttività del
lavoro.
27
Geometricamente, il prodotto medio coincide con la pendenza della retta che unisce
l’origine degli assi al punto corrispondente sulla curva del prodotto totale.
Tra il prodotto totale, marginale e medio possiamo identificare delle relazioni sistematiche
molto importanti.
La relazione tra la curva del prodotto medio e la curva del prodotto marginale si può
spiegare nel seguente modo: quando la curva del prodotto marginale sta al di sopra della
curva del prodotto medio, il prodotto medio è crescente, quando la curva del prodotto
marginale sta al di sotto della curva del prodotto medio, il prodotto medio è decrescente.
Le due curve di intersecano nel punto corrispondente al valore massimo della curva del
prodotto medio.
N.B → Come impiegare un fattore produttivo tra più processi produttivi se si intende
massimizzare il prodotto totale? In generale occorre allocare il fattore produttivo in
maniera tale che il suo prodotto marginale sia lo stesso in tutti i processi produttivi nei
quali esso viene utilizzato.
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Cosi come la mappa d’indifferenza fornisce una
rappresentazione sintetica delle preferenze del
consumatore, la mappa degli isoquanti fornisce la
rappresentazione sintetica di un processo produttivo.
Su una mappa di indifferenza, gli spostamenti verso
l’alto a destra corrispondono a livelli crescenti di
soddisfazione. Spostamenti analoghi su una mappa
degli isoquanti corrispondono a livelli crescenti di
output.
Qualunque combinazione di fattori che si trova su un
determinato isoquanto genera un output minore di
qualunque combinazione di input che sta al di sopra di
esso.
Nella teoria del consumatore, si assume che il saggio marginale di sostituzione diminuisca
spostandosi verso il basso luna la curva d’indifferenza.
Per la gran parte delle funzioni di produzione, il saggio marginale di sostituzione tecnica
presenta caratteristiche simili: a parità di output, se diminuiamo la quantità utilizzata di un
fattore, dobbiamo aumentare la quantità dell’altro.
Esiste una semplice relazione, ma importante, tra il saggio marginale di sostituzione
tecnica in qualsiasi punto e il prendo marginale di ciascuno dei fattori in quel punto.
In un intorno del punto A, supponiamo di ridurre K di un ammontare ΔK, e di aumentare L
di una quantità ΔL appena sufficiente a mantenere il livello di output originario. Se
indichiamo con MPKA il prodotto marginale del capitale in A, allora la riduzione di output
derivante dalla diminuzione di ΔK è pari a MPKA ΔK.
Invece se indichiamo con MPLA il prodotto marginale di L in A, l’incremento di output
derivante dall’aggiunta ΔL è pari a MPLA ΔL.
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I rendimenti di scala
La caratteristica tecnica della funzione di produzione che descrive la relazione tra scala ed
efficienza è chiamata rendimenti di scala. Il termine indica ciò che accade all’output
quando tuti gli input vengono aumentati nella stessa proporzione.
Dato che i rendimenti di scala si riferiscono a una situazione in cui tutti i fattori sono
variabili, il concetto di rendimenti di scala è applicabile solo al lungo periodo.
Se, data una funzione di produzione, la variazione di tutti i fattori in una stessa proporzione
porta a una variazione più che proporzionale dell’output, quella funzione di produzione è
caratterizzata da rendimenti di scala crescenti. Ad esempio, se raddoppiamo gli input di
una funzione di produzione caratterizzata da rendimenti di scala crescenti, otteniamo un
output più che doppio. I rendimenti di scala costituiscono un elemento fondamentale nel
determinare la struttura di un’industria.
Se una variazione di tutti gli input in una stessa proporzionale dà luogo ad una variazione
del provo della stessa proporzione, la funzione di produzione presenta rendimenti di
scala costanti. In questo caso, raddoppiando tutti gli input anche l’output raddoppia. Nei
settori industriali in cui vi sono rendimenti di scala costanti, la grande dimensione non è né
un vantaggio, né uno svantaggio.
Infine, se una variazione di tutti i fattori in una stessa proporzione dà luogo ad una
variazione meno che proporzionale del prodotto, la funzione di produzione presenta
rendimenti si scala decrescenti. In questo caso la grande dimensione è uno svantaggio,
e dunque difficilmente troveremo grandi imprese che operino in caratterizzanti da
rendimenti di scala decrescenti.
Una funzione di produzione non presenta necessariamente rendimenti di scala della
stessa natura per qualsiasi livello del prodotto.Al contrario, capita spessi di rilevare che in
molti processi produttivi, i rendimi di scala sono crescenti per bassi livelli dell’output,
costanti per livelli di output intermedi e infine decrescenti per livelli di output più elevati.
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Esempio pratico:
Come varia il livello produttivo dell’impresa quando tutti i fattori produttivi variano nella
stessa proporzione (ad esempio dell’1%)?
-Se tale incremento comporta un incremento della produzione maggiore dell’1%, allora la
funzione di produzione esibisce rendimenti di scala crescenti.
N.B → è importante vedere che i rendimenti di scala decrescenti non hanno nulla a che
vedere con la legge dei rendimenti decrescenti. I rendimenti di scala decrescenti si
riferiscono a ciò che succede all’output quando tutti gli output variano nella stessa
proporzione. La legge dei rendimenti di scala decrescenti, si riferisce al caso in cui un solo
fattore varia mentre tutti gli altri rimangono costanti. La legge dei rendimenti di scala
decrescenti si applica egualmente a funzioni di produzione con redimenti di scala
crescenti, costanti e decrescenti.
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CAPITOLO VIII
I costi
Per poter realizzare la produzione l’impresa sostiene dei costi.
Il costo totale per la produzione dei vari livelli di output è il costo di tutti i fattori produttivi
impiegati.
Il costo fisso (FC) è un costo che nel breve periodo non varia al variare dell’output.
Quindi, il costo fisso è quel costo che l’impresa sostiene indipendentemente dalla quantità
prodotta (ad es: l’affitto dei locali). Più in generale, se K indica l’ammontare del capitale e r
è il suo costo per unità, si ha: FC=rK0
Il costo variabile (VC) è definito come il costo totale del fattore di produzione variabile
calcolato per ogni livello di output. Quindi, l’impresa lo sostiene in misura variabile a
seconda del livello di produzione (ad es: le materie prime). Se L1 è la quantità di lavoro
richiesta per produrre il livello di output Q1 e w è il salario orario, si ha: VCQ1=wL1
Il costo variabile dipende dal livello di output prodotto, mentre il costo fisso no.
Il costo totale (TC) è pari alla somma del costo fisso e del costo variabile (FC+VC).
L’espressione del costo totale per la produzione del livello di output Q è:
Partendo dal costo fisso, dal costo variabile e dal costo totale è possibile definire altre
quattro categorie di costo di breve periodo:
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1) Il costo medio fisso (AFC) è uguale al rapporto tra il costo fisso e la quantità prodotta
(output). Il costo medio fisso per produrre il livello di output Q è dato da:
2) Il costo medio variabile (AVC) è uguale al rapporto tra il costo variabile e la quantità
prodotta (output). Il costo medio variabile per produrre il livello di output Q è dato da:
3) Il costo medio totale (ATC) è uguale al rapporto tra il costo totale e la quantità
prodotta (output). Poiché il costo totale è la somma del costo fisso e del costo variabile,
ne deriva che ATC è la somma di AFC e di AVC. Il costo medio totale per produrre Q
unità di output è dato da:
4) Il costo marginale (MC) è la variazione nel costo totale che deriva dalla produzione di
un’unità addizionale di output. In termini generale, se indica la variazione di output da
un livello iniziale Q e indica la variazione nel costo totale, il costo marginale calcolato in
Q è dato da:
Poiché il costo fisso non varia al variare del livello di output, quando si producono unità
aggiuntive di output la variazione del costo totale corrisponde a quella che si verifica nel
costo variabile. Dunque il costo marginale si può anche scrivere nel seguente modo:
33
La curva del costo marginale assume una grande rilevanza per la determinazione del
livello di produzione di un’impresa. Per prendere una decisione appropriata, occorre
confrontare i costi e i benefici e inoltre il costo della produzione che è uguale al costo
marginale. Geometricamente, il costo marginale per qualsiasi livello di produzione può
essere interpretato come la pendenza della curva del costo totale in corrispondenza di
quel livello di output. Dato che le curve del costo totale e del costo variabile sono parallele,
il costo marginale è pari anche alla pendenza della curva del costo variabile. Si può
notare, infatti, che ciò che varia quando variano i costi totali è solo la componente del
costo variabile, questo implica che per ogni livello di prodotto, la variazione del costo totale
debba essere uguale alla variazione del costo variabile.
La relazione tra le curve del costo marginale e del costo medio variabile è qualitativamente
simile alla relazione che esiste tra la curva del costo marginale e quella del costo totale:
una caratteristica comune è il fatto che MC interseca queste curve nel loro punto di
minimo. Ambedue le curve dei costi medi presentano un’ulteriore proprietà: quando il
costo marginale è inferiore al costo marginale è maggiore del costo medio, il costo medio
aumenta all’aumentare dell’output.
34
L’allocazione della produzione tra due processi produttivi
Come deve comportarsi l’impresa che intenda allocare un dato livello di produzione tra
due processi produttivi, in maniera tale da minimizzare il costo di produzione?
La soluzione consiste nell’allocare la produzione in modo che i costi marginali siano uguali
in ciascun processo produttivo. Questa soluzione non implica che i costi medi siano uguali
in ciascun processo.
Relazione tra il prodotto marginale, prodotto medio, costo marginale e costo medio
variabile
Abbiamo visto nel capitolo precedente che la curva del prodotto marginale interseca la
curva del prodotto medio in corrispondenza del suo punto di massimo. In questo capitolo,
invece, abbiamo visto che la curva del costo marginale interseca la curva del costo medio
nel suo punto di minimo. Esiste un legame preciso tra queste relazioni: dalla definizione di
costo marginale abbiamo infatti MC = ∆VC/∆Q.
Quando il lavoro è l’unico fattore variabile, abbiamo ∆VC= ∆wL, cosicché ∆VC/∆Q è
uguale a ∆wL/∆Q
Analogamente, dalla definizione di costo medio variabile, si ha AVC= VC/Q= wL/Q, poiché
L/Q è uguale a 1/AP, ne segue immediatamente che:
Dall’equazione * deduciamo che il valore minimo del costo marginale corrisponde al valore
massimo del prodotto marginale. Allo stesso modo, dall’equazione + rileviamo che il valore
minimo del costo medio variabile corrisponde al valore massimo del prodotto medio.
35
Costi di lungo periodo
La quantità ottimale di output si rileva sulla retta di isocosto più bassa compatibile con il
vincolo rappresentato dall’isoquanto di produzione. In entrambi i casi, sia che si proceda
attraverso la massimizzazione vincolata dell’output, sia
attraverso la minimizzazione vincolata dei costi, in
generale la condizione di ottimo per una soluzione
cosiddetta “interna” implica: MRTS = MPL/MPK= w/r
Ovvero l’eguaglianza tra il saggio marginale di sostituzione
tecnica e il prezzo relativo dei fattori produttivi.
La crescita del prodotto dell’impresa definisce il sentiero di
espansione dell’output, il quale descrive il costo totale
minimo necessario per ciascun livello di produzione. In
corrispondenza del sentiero di espansione dell’output è
possibile definire la curva del costo totale di lungo periodo
(LTC). L’andamento della LTC dipende dai rendimenti di
scala della funzione di produzione.
36
La curva LTC passa sempre per l’origine perché nel lungo periodo l’impresa può liquidare
tutti i suoi input e cessare l’attività. Se sceglie di non produrre alcun output, l’impresa non
deve trattenere o pagare alcun fattore produttivo.
Le curve di costo medio di lungo periodo (LAC) e costo marginale di lungo periodo (LMC)
rispecchiano anch’esse i rendimenti di scala. Si ricordi, viceversa, che l’andamento delle
curve di costo di breve periodo riflettono la proprietà dei rendimenti
marginali (crescenti e/o decrescenti) del singolo fattore produttivo.
Il costo medio di lungo periodo (LAC) è invece pari al rapporto tra il costo totale di
lungo periodo e l’output:
Dato che nel lungo periodo tutti i costi sono variabili, anche in questo caso non è
necessario distinguere tra i costi medi totali, i costi medi fissi e i costi medi variabili.
37
Anche in questo caso vale la relazione tra quantità medie e marginali: la curva LAC
decresce quando di trova al di sopra della curva LMC e cresce quando si trova al di sotto.
In presenza di rendimenti di scala costanti, i costi totali di lungo periodo sono esattamente
proporzionali all’output.
Come si vede nella figura sotto riportata, la curva LTC per una funzione di produzione
caratterizzata da rendimenti di scala costanti, è una retta che passa per l’origine. Poiché
la pendenza di LTC è costante, la curva LMC è una linea orizzontale e coincide
esattamente con la curva LAC.
38
Si considera infine il caso dei rendimenti di scala crescenti. Questa volta l’output cresce
in modo più che proporzionale rispetto all’incremento degli input. Di conseguenza, il costo
totale di lungo periodo cresce in misura proporzionalmente minore rispetto all’aumento
dell’output come si nota in figura.
39
CAPITOLO IX
La concorrenza perfetta
L’obiettivo principale dell’impresa è massimizzare il profitto.
Profitto
Per capire quanto produce un impresa concorrenziale, gli economisti hanno sviluppato la
teoria della concorrenza perfetta. Le condizioni che definiscono un mercato perfettamente
concorrenziale sono 4:
1) Le imprese producono un bene indifferenziato: in concorrenza perfetta il bene venduto
da un impresa è un sostituto perfetto dei beni venduti da tutte le altre
2) Le imprese assumono come dato il prezzo di mercato (sono cioè price-tackers): ogni
impresa crede di non poter influenzare il prezzo di mercato facendo variare la propria
produzione
3) I fattori produttivi sono perfettamente mobili nel loro periodo: questa condizione implica
che un impresa, se percepisce un occasione favorevole in un determinato momento e in
un certo luogo, sia sempre in grado di disporre dei fattori produttivi necessari per
approfittarne
4) Le imprese e i consumatori dispongono di informazione perfetta: un impresa non ha
motivo di uscire dal mercato se ignora che esistono condizioni più vantaggiose di
qualche altra parte.
In alcuni mercati, come quelli dei prodotti agricoli, le 4 ipotesi sono soddisfatte quasi
completamente. In altri settori, come quello dei camion per la raccolta della spazzatura,
alcune di queste condizioni non sono rispettate neanche in parte.
Quando l’impresa non produce nulla, non ricava nulla e non sostiene costi variabili, ma
deve comunque coprire costi fissi; quando quando Q = 0, il suo profitto è uguale a - FC.
40
Se non esiste alcun livello positivo di output per il quale l’impresa possa realizzare un
profitto maggiore rispetto a - FC, la sua scelta migliora è quella di non produrre nel breve
periodo.
Il prezzo dell’output, che è uguale alla pendenza della curva del ricavo totale, rappresenta
anche il ricavo marginale.
Si definisce ricavo marginale, la variazione del ricavo totale che si verifica quando varia di
un’unità la quantità venduta.
Le curve di costo marginale e di costo medio variabile di breve periodo corrispondenti alla
curva TC, sono rappresentate nella figura seguente:
41
Quando all’impresa conviene produrre e quando non conviene?
Le somme orizzontale delle curve di offerte delle singole imprese hanno una forma
semplice quanto tutte le imprese in concorrenza sono identiche.
42
L’equilibrio di breve periodo in concorrenza perfetta
43
Nel grafico di sinistra, l’offerta e la domanda si intersecano in corrispondenza di P* = 10 €,
che si trova al di sopra del punto di minimo della curva AVC dell’impresa; come vediamo
nel grafico di destra, tuttavia, in corrispondenza del livello di output che massimizza il
profitto, Q*i = 60, il prezzo di vendita è inferiore alla curva ATC.
Di conseguenza, l’impresa sostiene una perdita economica pari a P*Q*i - ATCQ*iQ*i alla
settimana, perdita che è rappresentata dal rettangolo ∏. Da notare, però, che questa
perdita , in valore assoluto, è inferiore a - FC, che è il valore del profitto economico quando
la produzione è nulla. E’ possibile pertanto che la produzione sia positiva nonostante il
profitto economia sia negativo nel breve periodo.
Graficamente:
44
Nel breve periodo, il surplus del consumatore è quindi maggiore del profitto economico,
perché un’impresa a cui fosse impedito di entrare nel mercato sosterebbe perdite di entità
superiore al profitto economico. Per minorare il surplus aggregato di tutti i produttori attivi
in un mercato si sommano i surplus di tutte le imprese. Nei casi in cui l’inclinazione delle
curve di costo marginale è positiva nel tratto rilevante il surplus aggregato dei produttori
può essere approssimato dall’area compresa tra la curva di offerta e la retta del prezzo di
equilibrio P*.
Ricordate che il surplus aggregato dei consumatori può essere rappresentato in prima
approssimazione dall’area compresa tra la curva di domanda e la retta del prezzo di
equilibrio come in figura:
I benefici totali derivanti dallo scambio in un mercato possono quindi essere misurati dalla
somma del surplus del consumatore dei produttori.
Aggiustamenti nel lungo periodo
L’obiettivo dell’impresa nel lungo e nel breve periodo è di realizzare il profitto economico
più elevato possibile. Per un impresa può essere vantaggioso nel breve periodo
continuare a offrire una quantità positiva anche se sostiene perdite economiche. Nel lungo
periodo tuttavia un’impresa che non riuscisse a guadagnare un profitto normale dovrebbe
uscire dal mercato o aggiustare la sua dotazione di capitale.
Questi aggiustamenti fanno si che nel lungo periodo si determini una situazione nella
quale:
• Il prezzo di equilibrio è pari al valore minimo della curva del costo medio di lungo periodo
• L’output è prodotto al costo unitario più basso possibile
• Al venditore è pagato solo il costo di produzione
• Il profitto economico è nullo per tutte le imprese.
45
Curva di offerta di lungo periodo
La curva di offerta di mercato di lungo periodo fornisce la quantità totale di prodotto che
viene offerta ai vari livelli del prezzo. Poiché nel lungo periodo, per definizione, le imprese
possono entrare o uscire, non possiamo costruire la curva di offerta sommando le quantità
offerte dalle imprese presenti sul mercato. L’andamento della curva di offerta di mercato di
lungo periodo dipende dalle diverse condizioni di costo relative al mercato dei fattori.
Quale forma assumente la curva di offera di lungo periodo di un’industria in cui, per tutte le
imprese, le curve di costo medio di lungo periodo sono orizzontali? Come nel caso in cui le
curve di costo medio di lungo periodo sono a U, la curva di offerta di lungo periodo quando
la curva di costo medio di lungo periodo di ogni impresa è orizzontale è ancora una retta
orizzontale.
Tuttavia, vi è una fondamentale differenza tra i due casi: quando le imprese hanno curve
LAC identiche e fatte a U, siamo in grado di dire che la quantità prodotta da ogni impresa
corrisponde al punto di minimo di LAC. Ci troviamo perciò di fronte ad un’industria in cui
tutte le imprese producono la medesima quantità di output.
Nel caso di curve LAC orizzontali, invece, non vi è unico punto di minimo, poichè LAC
assumente lo stesso valore per qualsiasi livello di output: la soluzione è indeterminata e, a
differenza del caso precedente, non possiamo predire la distribuzione dimensionale delle
imprese. Vi potrebbero essere poche grandi imprese, tante piccole imprese, oppure una
combinazione intermedia di imprese grandi e piccole. L’unica cosa che possiamo
affermare con sicurezza è che il prezzo di lungo periodo tenderà a gravitare intorno al
valore LAC.
46
Effetto di una variazione del prezzo degli input sull’offerta di lungo periodo
Per una singola impresa la cui domanda di input costituisce solo una piccola frazione del
mercato totale degli input, i prezzi di questi ultimi non variano quando si modifica la
produzione. In molti casi anche la domanda di input di un’intera industria rappresenta solo
una piccola quota del mercato dei fattori nel suo complesso. In questo caso, il prezzo degli
input non dipende dalla produzione.
Tuttavia, vi sono alcuni settori in cui il volume dei fattori acquistati rappresenta una quota
rilevante dell’intero mercato degli input. In questi casi, una notevole espansione dell’output
dell’industria sarà spesso associata a un rilevante aumento del prezzo degli input. Quando
questo si verifica, ci troviamo di fronte ad una diseconomia pecuniaria, cioè a un
aumento del prezzo dei fattori dovuto all’incremento della produzione dell’industria.
Chiaramente, una diseconomia pecuniaria implica, quindi, che il prezzo degli input si
riduca quando si contrae la produzione dell’industria.
Anche se l’impresa potesse espandere all’inizio la sua produzione senza utilizzare una
maggiore quantità di input per unità di prodotto, il punto di minimo della curva di costo
medio di lungo periodo di ogni impresa, è. comunque, funzione crescente dell’output
dell’industria. Anche se l’impresa potesse espandere all’infinito la sua produzione senza
utilizzare una maggiore quantità di input per unità di prodotto, il punto di minimo della
curva di costo medio di lungo periodo di ogni impresa è comunque funzione crescente
dell’output dell’industria.
In presenza di diseconomie pecuniarie, la curva di offerta di lungo periodo è inclinata
positivamente se la curva LAC di ogni impresa è fatta a U, oppure è orizzontale.
Le industrie in concorrenza perfetta in cui l’aumento del prezzo dei fattori genera curve di
offerta inclinate positivamente sono chiamate industrie a costi crescenti. Vi sono casi in cui
il prezzo degli input può ridursi in maniera sostanziale a seguito di un’espansione della
produzione. Questo si verifica, per esempio, se i fattori sono prodotti utilizzando tecniche
che rappresentano economie di scala. Un rilevante aumento della costruzione di strade,
per esempio, potrebbe facilitare un maggiori sfruttamento delle economia di scala
connesse con la produzione di macchinari di movimento- terra, e ridurre di conseguenza il
prezzo di questo input.
In questi casi si parla di economia pecuniarie, che danno origine a curve di indifferenza di
lungo periodo per un’industria inclinate negativamente, anche se la curva LAC di ogni
impresa è orizzontale o fatta a U.
Le industrie in concorrenza perfetta, in cui la riduzione del prezzo dei fattori genera curve
di offerta inclinate negativamente, sono chiamate industrie a costi decrescenti.
47
Elasticità dell’offerta
Per la legge dei rendimenti di scala decrescenti, l’offerta di breve periodo in concorrenza
perfetta è sempre inclinata positivamente: quindi l’elasticità dell’offerta nel breve periodo è
sempre positiva. Nelle industrie che hanno curva dell’offerta di lungo periodo orizzontale,
l’elasticità dell’offerta nel lungo periodo è infinita cioè si può espandere la produzione
all’infinito senza che il prezzo vari. Per causa di economie e diseconomie pecuniarie, le
curve di offerta di lungo periodo in concorrenza perfetta possono essere inclinate
negativamente o positivamente. L’elasticità di lungo periodo in questi casi piò essere
negativa o positiva.
Come si è visto, la maggiori parte delle industrie impiega soltanto una quota relativamente
piccola del volume totale di input presenti nel mercato; ciò significa che, in generale,
variazioni di modesta entità della produzione complessiva dell’industria non dovrebbero
provocare variazioni significative del prezzo dei fattori.
Nell’applicare in pratica, il modello di concorrenza perfetta, quindi, quasi tutti gli economisti
accettano, per semplicità, l’ipotesi che le curve di offerta di lungo periodo sono orizzontali.
Naturalmente, si può sempre modificare questa ipotesi, quando è evidente che esistono
rilevanti economie o diseconomie pecuniarie.
48
CAPITOLO X
Il monopolio
Il monopolio è una forma di mercato in cui un unico venditore offre un bene che non ha
stretti sostituti a numerosi consumatori. In concorrenza perfetta, la domanda ha elasticità
infinita mentre in monopolio ha valore finito. La differenza fondamentale tra monopolio e
concorrenza perfetta è rappresentata dalla diversa elasticità della curva di domanda
dell’impresa. In concorrenza perfetta, la curva di domanda di un impresa è orizzontale
mentre in monopolio la curva di domanda coincide con la curva di domanda di mercato ed
è quindi inclinata negativamente.
2) Economie di scala: possono dar luogo al monopolio naturale se la curva del costo
medio di lungo periodo è sempre decrescente, allora una sola impresa è in grado di
produrre a costi medi inferiori rispetto a due o più imprese che si dividono il mercato.
5) Licenze governative o appalti: l’autorità pubblica rilascia licenze per l’ingresso in certi
settori o per la fornitura di servizi.
Nel lungo periodo il fattore più importante tra quelli che danno origine al monopolio è
costituito dalle economie di scala.
Anche il monopolista, nelle sue scelte, è guidato dalla massimizzazione del profitto. Anche
in questo caso, quindi, nel breve periodo significa scegliere il livello di output tale per cui la
differenza tra il ricavo totale e il costo totale di breve periodo sia massima. Le ragione alla
base di questa ipotesi sono meno convincenti rispetto al caso di concorrenza perfetta:
dopotutto, il monopolista rischia il fallimento molto meno di un’impresa concorrenziale,
dunque la tesi evoluzionistica che impone di massimizzare il profitto non si applica
altrettanto bene nel caso del monopolio. Nonostante ciò, per il momento, ci limiteremo ad
esaminare il comportamento del monopolista che massimizza il profitto.
49
Curva di ricavo totale
Come in concorrenza perfetta, la curva di ricatto totale del monopolista parte dall’origine,
pochi in entrambi i casi se non si vende nulla, non si ricava niente.
Il grafico sottostante rappresenta le curve di costo totale di breve periodo e di ricavo totale
del monopolista.
A differenza della concorrenza perfetta, il monopolista riconosce il fatto che egli fronteggia
l’intera curva di domanda di mercato. Il prezzo al quale egli vende il prodotto non è
indipendente dalla quantità venduta. La differenza dell’impresa concorrenziale, per il
monopolista il ricavo marginale è inferiore al prezzo. Infatti, il ricavo totale non cresce
sempre proporzionalmente alla quantità venduta, ma può aumentare o diminuire a
seconda della elasticità della curva di domanda fronteggiata dal monopolista che per il
monopolista il problema della massimizzazione del profitto si risolve individuando il punto
nel quale risulta massima la distanza tra due curve del ricavo totale e del costo totale. In
tale punto le pendenze delle rette tangenti alle due curve sono identiche. Quindi è sempre
valida la condizione di ottimo che impone l’eguaglianza tra il ricavo marginale (MR) il costo
marginale (MC):
50
Per il monopolista il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo.
Il ricavo marginale è la pendenza della curva di ricavo totale. Come per l’impresa in
concorrenza perfetta, possiamo considerare il ricavo marginale come la variazione nel
ricavo totale dovuta alla vendita di una unità aggiuntiva di output. Più precisamente, se
ΔTRQ è la variazione nel ricavo totale che si verifica a seguito di una piccola variazione
della produzione ΔQ, il ricavo marginale indicato come MRQ è:
Tra ricavo marginale ed elasticità esiste una relazione. Si ricorda che l’elasticità della
domanda al prezzo è scritta come:
51
La curva del ricavo marginale associata a una curva di domanda lineare è una retta con
un’inclinazione doppia rispetto a quella della curva di domanda. La curva di ricavo
marginale interseca l’asse delle ascisse in corrispondenza del punto intermedio della
curva di domanda e per livelli di output maggiori il ricavo marginale è negativo. Inoltre tutti i
punti a destra del punto intermedio della curva di domanda hanno elasticità inferiore a 1 in
valore assoluto. Il fatto che il ricavo marginale sia negativo in questo tratto conferma che
diminuzioni di prezzo riducono il ricavo totale quando la domanda è inelastica rispetto al
prezzo.
Poiché il profitto economico è la differenza tra il ricavo totale e il costo totale ne consegue
che il profitto crescerebbe a seguito di un aumento del prezzo a partire da un livello iniziale
corrispondente a una quantità situata sul tratto inelastico della curva di domanda.
Il livello di output che massimizza il profitto deve quindi trovarsi sul tratto elastico della
curva di domanda, dove degli aumenti di prezzo provocherebbero una diminuzione sia dei
ricavi che dei costi.
La condizione per la massimizzazione del profitto MR=MC può essere combinata con
l’equazione MR secondo la quale MR= P[1-(1/ )], per derivare il marginale profitto (o
mark-up) praticato dal monopolista in corrispondenza della quantità che massimizza il
profitto.
Un’impresa in concorrenza perfetta non produce nulla nel breve periodo se il prezzo è
inferiore al valore minimo del coso medio variabile (AVC). Analogamente, in monopolio
conviene non produrre nulla quando la curva di domanda giace al di sotto della curva di
costo medio variabile per ogni livello di produzione. Per il monopolista le cui curve di
domanda, di ricavo marginale, di costo marginale di breve periodo e di costo medio
variabile sono rappresentate nella figura:
Non esiste alcun livello positivo di output tale per cui il prezzo sia maggiore del costo
medio variabile e quindi la soluzione migliore è interrompere la produzione nel breve
periodo. Anche se ciò implica una perdita economica pari al costo fisso nel breve periodo
si incorrerebbe in perdite superiori se si producesse una qualsiasi quantità positiva.
La condizione precedente equivale al caso in cui il ricavo medio è inferiore al costo medio
variabile per ogni livello di output.
Dalla figura si può vedere che MR=MC è condizione necessaria ma non sufficiente per la
massimizzazione del profitto. In breve, il monopolista si comporta in modo analogo ad
un’impresa in concorrenza perfetta nel senso che entrambi scelgono il livello di output
pesando su benefici e costi derivanti da un’espansione (o ristringimento) della produzione.
Sia per l’impresa in concorrenza perfetta che per il monopolista, il costo marginale è la
variabile rilevante per misurare il costo che si sostiene quando si aumenta l’output. In
entrambi i casi, i costi fissi non hanno importanza per le decisioni di produzione nel breve
periodo. Sia per l’impresa in concorrenza perfetta che per il monopolista, i benefici di
un’espansione dell’output sono misurati dai valori del ricavo marginale. Per l’impresa in
concorrenza perfetta, il ricavo marginale e il prezzo coincidono mentre per il monopolista il
ricavo marginale è minore del prezzo. L’impresa in concorrenza perfetta massimizza il suo
profitto quando il costo marginale è uguale al prezzo. Invece, il monopolista massimizza il
suo profitto aumentando la produzione fino a quando il costo marginale non è pari al
ricavo marginale, quindi sceglie un livello di output inferiore rispetto a quello dell’impresa in
concorrenza perfetta. Conviene sia al monopolista che all’impresa in concorrenza perfetta
interrompere la produzione quando il prezzo è inferiore al costo medio variabile.
53
In monopolio non esiste la curva di offerta
Il monopolista non ha una curva di offerta ma segue una regola di offerta che è quella di
uguagliare il ricavo marginale al costo marginale.
Nel lungo periodo, il monopolista può aggiustare tutti i fattori produttivi proprio come può
fare un’impresa in concorrenza perfetta. Qual è la quantità ottimale in monopolio nel lungo
periodo se non si modifica la tecnologia? La scelta migliore per il monopolista è produrre il
livello di output tale per cui il costo marginale di lungo periodo sia uguale al ricavo
marginale.
Discriminazione di prezzo
I monopolisti spesso fissano dei prezzi differenti per i diversi acquirenti, questa pratica è
definita come discriminazione del prezzo. Quando il monopolista è in grado di
discriminare il prezzo, egli trasforma una parte dei benefici dei consumatori in profitto.
54
Discriminazione di primo tipo
Qual’è il massimo ricavo che il monopolista potrebbe ottenere dalla vendita di Q’ unità di
output a ciascun cliente?
Se il monopolista dovesse vendere tutta la produzione allo stesso prezzo, la cosa migliore
sarebbe fissare il prezzo P’, grazie al quale sarebbe realizzabile un ricavo totale P’Q’. Ma
se riuscisse a fissare dei prezzi diversi per le differenti unità di output, potrebbe ricavare
molto di più. Per esempio, potrebbe vendere le prime Q1 unità al prezzo P1, le successiva
unità Q2-Q1 al prezzo di P2 e cosi via. Se gli intervalli in cui il monopolista può ripartire la
vendita del prodotto sono piccoli a piacere, con questa forma di fissazione del prezzo è
possibile aumentare il ricavo totale di un ammontare pari all’aerea del triangolo in figura
sopra. Quando il monopolista fissa un prezzo unico per tutte le unità vendute, lo stesso
triangolo rappresenta il surplus del consumate.
55
Ma qual’è la curva di ricavo marginale per questo monopolista?
Questo tipo di discriminazione assomiglia a quella di primo tipo, poichè in entrambi i casi il
monopolista cerca di estrarre surplus da ogni consumatore. Ma le due principali differenze
sono:
1) a ogni consumatore viene offerta la stessa struttura tariffaria, quindi non si cerca di
fissare il prezzo a seconda delle differenti elasticità della domanda;
56
Discriminazione di terzo tipo
Osserviamo che, affinché il profitto sia massimo, il ricavo marginale nei due mercati deve
essere uguale. Dato che deve essere uguale nei due mercati, questo valore comunque del
ricavo marginale deve coincidere anche con il costo marginale. Graficamente, la soluzione
si ottiene sommando orizzontalmente le curve di ricavo marginale dei due mercati e
procedendo la quantità in corrispondenza della quale, la curva cosi ottenuta interseca il
costo marginale.
Questa forma di discriminazione consiste in una serie di tecniche, con le quali le imprese
spingono i consumatori con la domanda più elastica a “farsi conoscere”. L’idea di fondo è
che il venditore pone delle “condizioni” e garantisce uno sconto a chiunque decida di
accettarle. La logica sottesa a questa pratica è che gli acquirenti più sensibili al prezzo
saranno anche quello che con maggiore probabilità saranno disposti ad accettarle.
57
Perdita di efficienza
Come già sappiamo la concorrenza perfetta porta a un’allocazione efficiente delle risorse,
poichè nell’equilibrio di lungo periodo non è possibile aumentare il benessere collettivo
attraverso ulteriori scambi: il valore che i consumatori attribuiscono all’ultima unità di
output è esattamente pari al valore di mercato delle risorse necessarie a produrla.
E se si valuta secondo lo stesso criterio l’equilibrio di lungo periodo? Come vedremo, non
si ottiene un gran risultato. Consideriamo un monopolista che abbiamo un costo medio e
un costo marginale di lungo periodo costanti, e una curva di domanda come quella
rappresentata in figura:
ll livello di output che massimizza il profitto per questo monopolista è Q*; tale output viene
venduto al prezzo P*. Osserviamo che in corrispondenza di Q*, il valore di un’unità
addizionale di output per i consumatori (P*) è maggiore del costo marginale di produzione,
LMC. Quindi, in un monopolio in cui è fissato un unico prezzo di vendita non sono esauriti
tutti i benefici derivanti dallo scambio. Come abbiamo già notato, se il monopolista
dovesse fissare un prezzo diverso per ogni consumatore, aumenterebbe la sua
produzione fino a Qc, cioè fino alla quantità che sarebbe prodotta in concorrenza perfetta
in un mercato che presentasse le medesime condizioni di domanda e di costo.
Espandendo l’output da Q* a Qc, il monopolista in grado di discriminare perfettamente il
prezzo vedrebbe aumentare il surplus del produttore in misura pari alla somma delle aree
dei triangoli S1 e S2.
In concorrenza perfetta, il triangolo S1, avrebbe costituito parte del surplus del
consumatore; quindi, la perdita sociale dovuta al fatto che il mercato sia servito da un
monopolista che fissa un prezzo unico, e non da imprese in concorrenza perfetta,
corrisponde a quella parte del surplus del consumatore. Di conseguenza, sulla base di
pure valutazioni di efficienza, il monopolio perfettamente discriminate e la concorrenza
perfetta conducono al medesimo risultato.
Tuttavia, ci sono differenze dal punto di vista distributivo: nel primo caso, il beneficio
complessivo si manifesta come surplus del produttore, nel secondo come surplus del
consumatore. La perdita di efficienza in monopolio è dovuta all’incapacità di praticare una
discriminazione perfetta di prezzo. Questa perdita (pari l’area del triangolo S1) è definita
perdita netta causata dal monopolio.
58
CAPITOLO XI
La concorrenza imperfetta
Dilemma del prigioniero
Ci sono due prigionieri, tenuti in celle separate e senza la possibilità di comunicare tra
loro, accusati di un grave crimine che avevano commesso. Tuttavia, il pubblico ministero
aveva prove sufficienti solo per farli condannare per un reato minore a 1 ano di carcere. A
ogni prigioniero veniva comunicato che, se solo uno di loro avesse confessato, costui
sarebbe stato liberato immediatamente mentre l’altro avrebbe scontato una pena di 20
anni e che se entrambi avessero confessato sarebbero stati condannati a 5 anni. Questi
playoff sono riportati nella tabella:
Situazioni simili al dilemma del prigioniero possono essere esaminate utilizzando gli
strumenti matematici della teoria dei giochi. Secondo questa teoria, tre sono gli elementi
che caratterizzano qualsiasi gioco generico:
Alcuni giochi, come il dilemma del prigioniero, sono caratterizzati da una presenza di una
strategia dominante cioè di una strategia che permette di realizzare un playoff più elevato
indipendentemente dalla strategia dominante seguita dall’avversario.
59
Equilibrio di Nash
Un equilibrio di Nash è una situazione nella quale ciascun giocatore massimizza il proprio
playoff date le strategie adottate dagli avversari, in quanto in molti giochi non tutti i
giocatori hanno una strategia dominante In questo caso, la strategia ottima per ciascun
giocatore dipende dalle scelte effettuate dagli altri giocatori. In un equilibrio di Nash non
conviene a nessun giocatore abbandonare unilateralmente la strategia adottata. In altre
parole, tale equilibrio è una combinazione di strategie tale che la strategia di ogni
giocatore è la risposta ottima rispetto alle strategie di tutti gli altri.
A differenza del dilemma del prigioniero in questo caso la strategia ottimale dell’impresa 2
dipende della scelta particolare dell’impresa 1. Sebbene l’impresa 2 non abbiamo una
strategia dominante, in questo gioco, possiamo prevedere che cosa accadrò: l’impresa 2 è
in grado di anticipare che la concorrente farà la pubblicità, poichè questa è la sia strategia
dominante, e quindi sa che anche la sua risposta ottimale sarà quella di fare la pubblicità.
In questo gioco, pertanto, la scelta da parte di entrambe le imprese di fare la pubblicità
rappresenta l’equilibrio di Nash.
Un altro tipo di strategia è quella del maximin. Seguendo questa strategia un giocatore
cerca di massimizzare il più basso valore possibile dei propri payoff. Una strategia di
questo tipo potrebbe essere seguita, ad esempio, quando un giocatore non possiede una
strategia dominante ed è incerto circa la strategia che verrà adottata dagli avversari.
Nel gioco analizzato sopra abbiamo visto che, se l’impresa 1 segue la propria strategia
dominante e quindi decide di fare pubblicità, anche all’impresa 2 converrà fare la
pubblicità. Perciò se l’impresa 2 crede che l’impresa 1 agirà razionalmente, la scelta
migliore per l’impresa 2 sarà fare pubblicità. Ma l’impresa 2 può non essere sicura che
l’impresa 1 deciderà in modo razionale e quindi può, almeno, voler considerare
l’eventualità che l’impresa 1 sceglierà di non fare la pubblicità. In questo caso, se l’impresa
2 reclamizzasse il proprio prodotto, otterrebbe un profitto pari a 0, un risultato peggiore del
prodotto di 400 che otterrebbe scegliendo di non fare la pubblicità.
Quindi quando l’impresa 2 non ha una strategia dominante ed è incerta circa la decisione
che prenderà l’impresa 1, le converrebbe adottare la strategia del maximin, ossia scegliere
l’alternativa che massimizza il più basso valore possibile dei propri playoff.
Quando il dilemma del prigioniero è giocato una sola volta è difficile punire chi defeziona.
Tuttavia, se ci si aspetta di dover interagire nuovamente in futuro, possono emergere altre
possibilità. Una di queste è la strategia del colpo su colpo (tit for tat). Questa strategia
prevede che la prima volta che si gioca con qualcuno si coopera, in seguito si adotta la
strategia seguita dall’altro giocatore nella fase precedente. Affinché questa strategia
funzioni, peraltro, è necessario che non vi sia un numero noto di interazioni.
Nei giochi visti finora i giocatori sceglievano simultaneamente la strategia da adottare. Nei
giochi sequenziali, viceversa, un giocatore muove per primo e l’altro può scegliere la
propria strategia avendo osservato la mossa dell’avversario. In ambito economico, questa
tipologia di giochi si presta ad analizzare la prevenzione strategica all’entrata di nuove
imprese nel mercato posta in essere dalle imprese già operanti.
2) ciascun duopolista sceglie la quantità da produrre ipotizzando che l’altro duopolista non
varierà la produzione.
Date queste ipotesi, ciascun duopolista sceglierà quanto produrre eguagliando il costo
marginale al ricavo marginale derivante dalla domanda residuale.
2) Ciascun duopolista sceglie il prezzo di vendita ipotizzando che l’altro duopolista terrà
fisso il prezzo.
L’ipotesi che i duopolisti fissino i prezzi anziché le quantità muta radicalmente il risultato
raggiunto con Cournot.
Infatti, poiché il bene è omogeneo e i consumatori acquistano dal duopolista che pratica il
prezzo inferiore. Ciascun duopolista ha l’incentivo a ridurre marginalmente il prezzo
rispetto all’altro duopolista con l’intento di accaparrarsi l’intero mercato. L’esito finale è che
il prezzo si riduce fino a che non coincide con il costo marginale. È lo stesso risultato della
concorrenza perfetta.
Supponiamo che le condizioni di domanda e di costo siano quelle del modello di Cournot:
ipotizziamo l’impresa 1 fissi inizialmente il livello di prezzo P. Di conseguenza, l’impresa 2
è posta di fronte a tre strategia alternative:
2) La scelta è sequenziale
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Mercati contendibili
Se per entrare nel mercato non si sostiene nessun costo addizionale, una nuova impresa
può entrare velocemente in un mercato qualora l’impresa già operante fissi il prezzo a un
livello superiore al costo medio. In queste circostanze, un mercato è detto “contendibile” in
quanto, se l’entrata non implica nessun costo, vi è contesa tra i potenziali concorrenti per
servire il mercato. Entrata libera non significa che l’impresa non debba sostenere alcun
costo per istallare un impianto, bensì che per entrare ed uscire dal mercato non incorre in
costi non recuperabili. Quando la funzione di costo riflette la presenza di rendimenti di
scala crescenti, ci aspettiamo di vedere una sola impresa nell’industria.
Quindi quando il punto di minimo delle curve di costo medio di lungo periodo a U cade in
corrispondenza di una frazione rilevante della quantità prodotta dall’industria, ci
attendiamo un oligopolio; quando i costi sono costanti, nell’industria potrebbero essere
attive numerose imprese.
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CAPITOLO XII
Il beneficio che deriva dall’impiego di un’ulteriore unità di lavoro è il ricavo che si ottiene
dalla vendita del maggior prodotto. Il costo è il saggio di salario.
Quindi bisogna aumentare la quantità di lavoro impiegato fino a quando il beneficio è
maggiore del costo. Se il costo è maggiore del beneficio, la quantità di lavoro impiegata va
ridotta.
La curva di prodotto
marginale per il fattore
lavoro quando il capitale è
fisso indica la quantità
aggiuntiva di output che
l’impresa ottiene
dall’impiego di un unità
addizionale di lavoro.
L’inclinazione negativa
della curva del prodotto
marginale riflette la legge
dei rendimenti
decrescenti. Il valore del
prodotto marginale del
lavoro (VMP) è il rapporto tra prezzo e prodotto marginale del lavoro (P*MP) e corrisponde
al maggiore guadagno realizzato dall’impresa quando vende l’output che deriva
dall’impiego di una unità addizionale di lavoro. La regola più importante della domanda di
lavoro di un’impresa è scegliere la quantità di lavoro per il quale il VMP è esattamente
uguale al saggio di salario.
Nel breve periodo, per un’impresa in concorrenza perfetta l’unica reazione possibile di
fronte a una riduzione del saggio di salario è impiegare più lavoro.
Nel lungo periodo, invece tutti gli input sono variabili. Una riduzione del prezzo del lavoro
porterà l’impresa a sostituire il capitale con il
lavoro, riducendo ulteriormente il costo
marginale. L’effetto di questa riduzione
addizionale dei costi è una maggiore
espansione dell’output: la reazione di lungo
periodo sarà quindi ancora più ampia di quella
di breve periodo. La curva di domanda di lavoro
dell’impresa è tanto più elastica quanto più
elastica è la domanda per il suo prodotto.
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Curva di domanda di lavoro di mercato
La curva di domanda di mercato è la somma orizzontale delle singole curve VMP quando
il prezzo dell’output è pari a P. La curva di domanda di lavoro di mercato è più inclinata
rispetto alla somma delle singole curve di domanda, poiché una riduzione del salario
induce tutte le imprese a domandare più lavoro e espandere la produzione. Così facendo,
si riduce il prezzo dell’output, il quale a sua volta conduce ad una riduzione di VMP di tutte
le imprese:
Offerta di lavoro
Monopsonio
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Leggi sul minimo salariale
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CAPITOLO XIII
(verificare se è nel programma)
Le esternalità sono molto importanti in ambito economico. Il teorema di Coase afferma che
si ha una esternalità quando l’azione di un agente economico impone dei costi (esternalità
negativa) oppure provoca benefici (esternalità positiva) ad altri agenti economici. Coase
sostiene che se il Governo non interferisse, gli individui per conto proprio, riuscirebbero
sempre ad ottenere soluzioni efficienti. Coase però afferma che questa conclusione è
valida solo in un mondo in cui le parti possono negoziare a costi relativamente bassi. Egli
ha riconosciuto che esistono importanti esternalità per le quali questa ipotesi non è
soddisfatta. I costi di negoziazione possono impedire la realizzazione di accordi che
porterebbero importanti benefici ad entrambe le parti. Le leggi e le istituzioni sociali più
efficienti sono quelle che pongono l’onere dell’adattamento alle esternalità a carico di
coloro che possono realizzarlo al minor costo → Regola di efficienza.
Le esternalità positive
È possibile cercare di rimediare alle inefficienze determinate dalle esternalità anche con
altri strumenti quali:
1)L’imposizione di tasse e/o sussidi sull’attività che genera l’esternalità seguendo
l’approccio chiamato “pigouviano”. Tuttavia queste tasse producono un effetto peggiore di
quello che si otterrebbe in loro assenza. Se la negoziazione è a costo zero, la tassazione
condurrà sempre a un risultato finale efficiente. Se la negoziazione non è praticabile, la
tassazione condurrà a un esito finale efficiente se colui che genera l’esternalità dispone
del metodo meno costoso per ridurre il danno. Se la negoziazione risulta impraticabile, è la
vittima a disporre del metodo meno costoso per evitare il danno, quindi la tassazione
conduce a un esito efficiente.
2)L’imposizione di quote di produzione seguendo l’approccio di una regolamentazione
diretta.
3) Anche con questi strumenti, tuttavia, si può incorrere alle difficoltà di tipo applicativo.
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