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ISTITUZIONI

DI
ECONOMIA 

POLITICA I
A.A. 2017 - 2018

CAPITOLO I

1
PENSARE DA ECONOMISTI

La microeconomia è la disciplina che studia i processi decisionali in condizioni di scarsità.


Il problema della scarsità si pone sempre anche quando le risorse materiali sono
abbondanti: esistono infatti limitazioni a livello di tempo, di energia e di altri fattori che ci
servono per raggiungere i nostri obiettivi.

Costi-benefici

I compiti di un economista si traducono spesso nel cercare di rispondere a domande del


tipo: “Dovrei effettuare l’attività x?” Gli economisti rispondono a queste domande
confrontando i costi e i benefici associati all’attività in questione. Se C(x) è il costo
dell’attività x e B(x) è il relativo beneficio, allora: quando B(x) > C(x) svolgo l’attività x,
altrimenti no. Quindi, la risposta corretta esplicita che è corretto effettuare l’attività x solo
se i relativi costi sono inferiori ai benefici.

Il processo decisionale

Per giungere ad una decisione è necessario identificare i vari costi e benefici.

Bisogna quindi:

1. xConsiderare i costi opportunità: se compiere l’azione x significa escludere l’azione y, il


valore rappresentato da y è un costo opportunità di x. Pertanto i costi opportunità sono
i costi NON espliciti (vale a dire quei costi “nascosti”).
2. Ignorare i costi non recuperabili: i costi non recuperabili vanno ignorati in quanto li
sostengono ugualmente, sia che ne faccio utilizzo che no
3. Misurare i costi e i benefici in termini assoluti e non percentuali: quando si effettua
l’analisi costi-benefici bisogna esprimere i costi e i benefici nei termini assoluti dal
valore monetario
4. Capire la distinzione tra costo (o beneficio) medio e costo (o beneficio) marginale: il
costo marginale è l’aumento dei costi totali derivante dall’effettuazione di un’unità
addizionale di attività mentre il beneficio marginale è l’aumento dei benefici totali
derivante dall’effettuazione di un’unità addizionale di attività.
Tali concetti sono da utilizzare quando ci si chiede se bisogna incrementare il livello con
cui ci stiamo dedicando all’attività x: bisogna incrementare il livello di un’attività finché il
suo beneficio marginale eccede il suo costo marginale. Il costo medio è il rapporto fra il
costo totale di un’attività e il numero n di sue unità effettuate. Il beneficio medio è il
rapporto fra il beneficio totale di un attività e il numero n di sue unità effettuate.

N.B → esiste una relazione reciproca tra costi e benefici: non sostenere un costo equivale
a ottenere un beneficio e, viceversa, non ottenere un beneficio è come sostenere un
costo.

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La mano invisibile

Secondo Adam Smith una mano invisibile guiderebbe tutti gli individui i quali, nel
perseguire i loro interessi individuali, consentono anche il contemporaneo raggiungimento
dell’interesse collettivo. I consumatori, che perseguono il proprio interesse agiscono
spesso come se fossero guidati dalla “mano invisibile”, in grado di produrre il risultato più
favorevole per il bene comune.

La razionalità e l’interesse individuale

Essere razionali significa prendere decisioni in base al criterio costi-benefici ossia


intraprendere un’azione solo se i benefici superano i costi.
Ci sono due classificazioni del principio di razionalità:
1) La razionalità secondo l’interesse individuale: teoria secondo la quale una persona
razionale considera solo costi e benefici che la toccano direttamente. Il modello
astratto di individuo che opera in base a questo modello viene chiamato Homo
oeconomicus: le sole cose che contano sono i costi e i benefici che lo toccano
direttamente. Questa tipologia di razionalità elimina ogni motivo di natura altruistica (ad
es: come far contenti gli altri, fare la cosa giusta etc…)
2) La razionalità secondo i fini: teoria secondo la quale, al momento di effettuare una
scelta, una persona razionale agisce in modo efficiente nel perseguire i suoi obiettivi.
Questa tipologia di razionalità permette di considerare anche azioni benevoli (ad es: la
carità, il dovere etc…).

Domande normative e domande positive

Una domanda normativa è una domanda che coinvolge i valori individuali poiché mira a
sapere cosa si deve o si dovrebbe fare. Una domanda positiva è una domanda che ha per
oggetto possano essere le conseguenze di determinate politiche o di determinate soluzioni
istituzionali.In sintesi:

- La prima è una domanda circa quale politica o direttiva istituzionale adottare per
conseguire il miglior risultato. -
La seconda è una domanda circa le conseguenze di specifiche direttive o politiche.

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CAPITOLO II

LA DOMANDA E L’OFFERTA

Il mercato è l’insieme dei compratori e dei venditori di un determinato bene o servizio.


Gli strumenti fondamentali per lo studio di un mercato sono la curva di domanda e la curva
di offerta.

Le curve della domanda e dell’offerta, equilibrio ed aggiustamento

La curva di domanda è una relazione matematica che ci


dice qual è la quantità domandata dai consumatori per ogni
livello di prezzo (interpretazione orizzontale).
Alternativamente, la curva di domanda ci dice anche a
quale prezzo i consumatori sono disposti ad acquistare una
determinata quantità (interpretazione verticale).
La caratteristica fondamentale della curva di domanda è la
sua inclinazione negativa: la quantità domandata aumenta
se il prezzo del prodotto diminuisce. Questa caratteristica è
nota come legge della domanda: quando il prezzo di un
prodotto o di un servizio aumenta la quantità domandata
diminuisce e viceversa.

La curva di offerta è una relazione matematica che ci dice


qual è la quantità offerta dai produttori per ogni livello di
prezzo (interpretazione orizzontale). Alternativamente la
curva di offerta ci dice qual è per i produttori il prezzo
minimo al quale sono disposti ad offrire il prodotto
(interpretazione verticale). La curva di offerta ha
inclinazione positiva. Questa caratteristica è nota come
legge dell’offerta: quando il prezzo di un prodotto aumenta,
ne viene offerta una quantità maggiore e viceversa.

La quantità e il prezzo di equilibrio sono la combinazione


prezzo-quantità in corrispondenza della quale sono
soddisfatti sia i consumatori sia i produttori. Graficamente
tale punto corrisponde all’intersezione tra la curva di offerta
e la curva di domanda. Senza utilizzare i grafici, il punto di
equilibrio si trova uguagliando la funzione di domanda con
la funzione di offerta.

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In equilibrio i consumatori e i venditori sono entrambi
soddisfatti nel senso che è impossibile migliorare la
situazione di qualcuno senza contemporaneamente
peggiorare quella di qualcun altro (efficienza paretiana).

Se il prezzo dovesse collocarsi sopra il livello di equilibrio


gli insoddisfatti sono i venditori, poiché la quantità offerta
è maggiore di quella domandata, quindi i venditori
vendono meno di quando offrono. In questo caso
abbiamo un eccesso di offerta o surplus: valore per cui
la quantità offerta supera quella domandata. Se il prezzo
dovesse collocarsi sotto il suo valore di equilibrio, gli
insoddisfatti sarebbero i compratori, poiché la quantità
domandata è maggiore di quella offerta, quindi i
compratori domandano più di quanto è disponibile sul mercato. In questo caso abbiamo un
eccesso di domanda o scarsità: valore per cui la quantità domandata supera quella
offerta.

Quando il prezzo differisce dal suo livello di equilibrio, gli scambi che si realizzano sul
mercato sono condizionati dal comportamento dei consumatori o de produttori.
A qualsiasi prezzo diverso da quello di equilibrio, una parte del mercato rimane
insoddisfatta.

- Se i prezzi sono superiori al livello di equilibrio (P>Pe), i produttori vendono meno di


quanto vorrebbero. L’impulso del produttore insoddisfatto è quello di abbassare il
prezzo. Le pressioni al ribasso del prezzo continueranno finché il prezzo non avrà
raggiunto il suo valore di equilibrio.

- Quando gli insoddisfatti sono i compratori (P>Pe), i venditori si renderanno conto di


poter aumentare i loro prezzi pur continuando a vedere quanto vorrebbero. Le pressioni
al rialzo rimarranno finché il prezzo non raggiungerà il suo valore di equilibrio.

L’equilibrio di mercato presenta alcune proprietà positive:

• in condizioni di equilibrio, non c’è alcuna riallocazione che potrebbe essere favorevole
per qualcuno senza danneggiare qualcun altro.

• Se i prezzi e le quantità non sono al loro livello di equilibrio, sarà sempre possibile
individuare una riallocazione in grado di migliorare la situazione di qualcuno senza
peggiorare quella di qualcun altro.

Si può concludere affermando che indipendentemente dal livello del prezzo (sopra o sotto
il valore di equilibrio) si potrà sempre trovare una situazione vantaggiosa per tutti coloro
che vi partecipano (valore di equilibrio).

Gli interventi di sostegno dei prezzi

Il tetto di un prezzo è il livello oltre il quale, per legge, il prezzo di un bene non può salire.
L’introduzione di un tetto massimo al di sotto del prezzo di equilibrio comporta un eccesso
di domanda. Se, invece, viene introdotto un tetto massimo al di sopra del livello di
equilibrio non si avrà nessun cambiamento, poiché i compratori e i venditori continueranno
ad acquistare e offrire al prezzo di equilibrio.

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Il prezzo minimo è il livello sotto il quale il prezzo di un bene non può scendere.
L’introduzione di un prezzo minimo situato al di sopra del livello di equilibrio comporta un
eccesso di offerta. Se viene introdotto un prezzo minimo al di sotto del livello di equilibrio,
venditori e compratori continueranno ad operare al prezzo di equilibrio.

Le funzioni allocative dei prezzi

I prezzi hanno due funzioni importanti e distinte:

1) Funzione allocativa dei prezzi rispetto ai beni: processo attraverso il quale i prezzi
indirizzano all’acquisto del bene i consumatori che gli attribuiscono il maggior valore.
Tale funzione che si configura come una funzione di breve periodo in quanto si
concentra sulla distribuzione di beni già esistenti.

2) Funzione allocativa dei prezzi rispetto alle risorse: processo attraverso il quale i
prezzi agiscono come segnali che indirizzano alla produzione dei soli beni caratterizzati
da eccesso di domanda. Tale funzione si configura come una funzione di lungo periodo
poiché tende a far spostare le risorse dai settori caratterizzati da eccesso di offerta a
quelli caratterizzati da eccesso di domanda.

Le determinanti della domanda e dell’offerta

L’analisi della domanda e dell’offerta ci aiuta a precedere la reazione dei prezzi e le


quantità di equilibrio a possibili cambiamenti nelle forze di mercato. Poiché l’intersezione
delle curve di domanda e di offerta determina i prezzi e le quantità di equilibrio, tutto ciò
che modifica queste curve tenderà ad alterare in maniera prevedibile i valori di equilibrio.

Alcuni determinanti della domanda sono:

1. Redditi: il reddito influenza la quantità dei beni e dei servizi acquistati a un determinato
livello di prezzo. Per quasi tutti i beni, la quantità domandata a un certo livello di prezzo
aumenta all’aumentare del reddito. I beni che possiedono tale caratteristica sono detti
beni normali. I beni inferiori sono invece quei beni la cui quantità domandata a un
determinato prezzo diminuisce all’aumentare del reddito. Ciò succede perché i
consumatori abbandonano i beni inferiori (ad es: carne al alto contenuto di grasso) in
favore di beni sostitutivi qualitativamente migliori non appena se lo possono
permettere.

2. Gusti: non tutti i consumatori hanno gli stessi gusti e i gusti non rimangono immutati nel
tempo.

3. Prezzi di beni sostitutivi e complementari: i beni complementari sono quei beni che
per il loro utilizzo necessitano di altri beni (ad es: auto e benzina). Per questi beni
l’incremento del prezzo di un bene fa diminuire la domanda dell’altro bene. I beni
sostitutivi sono quei beni che possono essere sostituiti con altri in quanto presentano
caratteristiche simili (ad es: burro e margarina). Per questi beni l’incremento nel prezzo
di un bene tende a far aumentare la domanda dell’altro bene.

4. Aspettative: le aspettative dei consumatori sull’andamento futuro dei prezzi e del


reddito incidono sulle decisioni d’acquisto.

5. Fattori demografici: quanto più grande è un mercato tanto più grande è la quantità
domandata di un certo bene o servizio per un dato livello di prezzo.

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I determinanti dell’offerta

Alcune determinanti dell’offerta sono:

1. Tecnologia: la quantità di beni che ogni produttore è disposto ad offrire a un


determinato prezzo dipende dai costi di produzione. Questi costi sono molto legati alla
tecnologia.

2. Prezzi dei fattori produttivi: il prezzo dei fattori produttivi come capitale e lavoro
rappresenta una determinante fondamentale per i costi di produzione.

3. Numero di produttori: più altro è il numero di imprese che producono un certo bene,
maggiore sarà la quantità offerta per ogni livello di prezzo.

4. Aspettative: i produttori terranno conto, nelle loro decisioni di produzione delle


variazioni attese nei prezzi.

5. Condizioni metereologiche: per alcuni prodotti, soprattutto quelli agricoli, i fattori


legati al clima hanno un ruolo fondamentale nel definire la posizione della curva di
offerta.

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Le variazioni della domanda rispetto alle variazioni della quantità domandata

L’espressione variazione della domanda fa riferimento a uno spostamento dell’intera curva


di domanda. Invece, il termine variazione della quantità domandata fa riferimento a uno
spostamento lungo la curva di domanda. Analogamente vale per le variazioni di offerta e
per le variazioni della quantità offerta.

Prevedere e spiegare le variazioni nei prezzi e nelle quantità

Per prevedere o per spiegare le variazioni che caratterizzano i prezzi e le quantità di


equilibrio, bisogna prevedere i movimenti delle cure di domanda e di offerta.
Valgono le seguenti proposizioni: -
un aumento della domanda determina un aumento sia del pezzo di equilibrio sia della
quantità di equilibrio.

• una riduzione della domanda determina una riduzione sia del prezzo di equilibrio sia
della quantità di equilibrio.

• un aumento dell’offerta determina una riduzione del prezzo di equilibrio e un aumento


della quantità di equilibrio.

• una riduzione dell’offerta determina un aumento del prezzo di equilibrio e una riduzione
della quantità di equilibrio.

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Capitolo III

La scelta razionale del consumatore


Un paniere di beni rappresenta una combinazione di due o più beni o servizi.

Il vincolo di bilancio

Il vincolo di bilancio o retta di bilancio è l’insieme di tutti i panieri che il consumatore può
acquistare spendendo completamente il proprio reddito. Ipotizziamo che M sia il reddito
del consumatore, Pc il prezzo del cibo e PA il prezzo dell’alloggio. Il suo vincolo di bilancio
sarà il seguente:

La pendenza della retta del vincolo di bilancio è data dal rapporto tra la variazione in
ordinata (y) e la corrispondente variazione in ascissa (x), con segno negativo. In questo
caso la pendenza sarà — PA / Pc.

Il consumatore oltre ad essere in grado di acquistare uno o qualsiasi dei panieri che si
trovano lungo il vincolo di bilancio, può comprare anche qualunque paniere che si trova
all’interno dell’insieme di bilancio: contiene i panieri che appartengono al vincolo di bilancio
o che si trovano sotto di esso, per tali panieri la spesa è inferiore o uguale al reddito
disponibile. Tale insieme è detto insieme accessibile o ammissibile. I panieri che sono al di
fuori di tale area sono detti inaccessibili o inammissibili.

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La variazione dei prezzi

La variazione dei prezzi determina un cambiamento del vincolo di bilancio.


Se varia il prezzo di un solo bene e l’altro rimane invariato possiamo avere due situazioni:

1) Il prezzo aumenta: il vincolo di


bilancio ruota verso l’interno.
Infatti a parità di reddito se il
prezzo di uno dei due beni
aumenta possiamo acquistare una
minor quantità di beni, pertanto da
un lato il vincolo resta fisso (dato
che il prezzo di uno dei beni resta
fisso) dall’altra si riduce (dato che
il prezzo aumenta).

2) Il prezzo diminuisce: il vincolo di bilancio ruota verso l’esterno. Infatti a parità di reddito
se il prezzo di uno dei due beni diminuisce possiamo acquistare una maggior quantità di
beni.

QUINDI: la variazione del prezzo di uno dei due beni determina una variazione della
pendenza del vincolo di bilancio. Se il prezzo del bene rappresentato sull’asse delle
ascisse aumenta (diminuisce), il vincolo di bilancio diventa più (meno) ripido, l’intercetta
orizzontale si sposta verso sinistra (destra) mentre l’intercetta verticale non varia.

Quando modifichiamo il prezzo di uno dei due beni, facciamo inevitabilmente variare la
pendenza del vincolo di bilancio. Lo stesso vale se modifichiamo in proporzioni diverse
entrambi i prezzi. Ma modificare in proporzioni uguali i prezzi darà origine a una nuova
retta di bilancio che avrà la stessa pendenza di quella originaria (pertanto sarà parallela a
quella originaria).

La variazioni del reddito

L’effetto di una variazione del reddito è


simile a quello del cambiamento di tutti
i prezzi. Il nuovo vincolo di bilancio sarà
parallelo a quello vecchio, ed entrambi
avranno pendenza uguale. La crescita
del reddito sposta il vincolo di bilancio
verso l’esterno e parallelamente al
vincolo originario; nel caso opposto di
riduzione del reddito, il vincolo di
bilancio si sposta verso l’interno e
parallelamente al vincolo originario.
Dunque le variazioni del reddito non
modificano la pendenza del vincolo di
bilancio che rimane sempre la stessa.

QUINDI:
-Quando il reddito aumenta, il vincolo di bilancio si sposta parallelamente verso destra.
-Quando il reddito diminuisce, il vincolo di bilancio si sposta parallelamente verso sinistra.
Vincoli di bilancio relativi a più beni

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Nella realtà il consumatore deve effettuare delle scelte tra N possibili beni, pertanto il
vincolo di bilancio viene rappresentato da un piano multidimensionale. Ma poiché è difficile
da disegnare, Marshall propose una soluzione: considerare quella che si pone al
consumatore come la scelta tra un bene particolare (X) un insieme di altri beni (Y). Questo
insieme di altri beni è chiamato bene composto.

Vincoli di bilancio “a gomito”

I vincoli di bilancio assumono una forma “a gomito” quando avvengono cambiamenti di


tariffe. Ad esempio quando il prezzo è Xo per le prime Qo unità e poi diventa X1 per
quantità aggiuntive.

Le preferenze del consumatore

Un ordinamento di preferenze p è uno schema che consente al consumatore di


classificare i diversi panieri di beni secondo le sue preferenze. L’ordinamento delle
preferenze differisce da consumatore a consumatore a quasi tutti gli ordinamenti hanno in
comune quattro importanti proprietà:
1. Completezza: un ordinamento di preferenze è completo se consente al consumatore di
classificare tutte le possibili combinazioni di beni e servizi. Tale ipotesi è quasi sempre
falsa se presa alla lettera.
2. Non sazietà o monotonicità: la proprietà di non sazietà degli ordinamenti di
preferenze consiste nel fatto che a parità di tutte le altre condizioni, il consumatore
preferisce avere quantità maggiori di un determinato bene
3. Transitività: in presenza di tre panieri A, B, C se il consumatore preferisce il paniere A a
B e B a C egli preferirà sempre A a C
4. Convessità: quando bisogna scegliere tra più combinazioni di beni, quelle intermedie
risultano preferibili a quelle estreme (ad es: paniere (0,4) o (4,0) preferisco (2,2)).

Curve di indifferenza

Le proprietà sopra descritte ci permettono di costruire una


r a p p r e s e n t a z i o n e g r a fi c a d e l l e p r e f e r e n z e d e l
consumatore. L’ipotesi di non sazietà ci dice che tutti i
panieri posizionati in alto a destra di A sono preferiti ad A, a
sua volta, A viene preferito a tutti i panieri che si trovano in
basso a sinistra rispetto ad A.
Considerando ora l’insieme dei panieri che si trovano lungo
la linea che unisce W a Z, poiché Z viene preferito ad A, e
A viene preferito a W ne deriva che se ci spostiamo da Z a
W dobbiamo necessariamente incontrare un paniere B che
ci fornisce lo stesso livello di soddisfazione di A.
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L’ipotesi di non sazietà ci dice anche che lungo la retta che unisce W a Z ci sarà solo uno
di questi panieri. I punti di tale linea che si trovano in basso a sinistra rispetto a B
corrispondono, invece, a panieri meno attrattivi. Procedendo nello stesso modo è possibile
trovare un altro punto C che lascia il consumatore indifferente rispetto a B. per le proprietà
di transitività, sappiamo che il consumatore è indifferente tra C e A (essendo indifferente
tra C e B e tra B e A).

Possiamo ripetere questo processo tutte le volte che lo desideriamo e il risultato finale è
una curva di indifferenza cioè un insieme di panieri che forniscono al consumatore lo
stesso livello di soddisfazione rispetto
al paniere originario A.
La curva di indifferenza ci permette
anche di confrontare la soddisfazione
del consumatore per i panieri ce
appartengono alla curva stessa con la
soddisfazione per i panieri che si
trovano al si sopra o al di sotto di
essa.
In genere, i panieri che si trovano al si
sopra di una curva di indifferenza
sono preferiti a tutti i panieri che
appartengono alla curva stessa.
Analogamente, i panieri che appartengono alla curva di indifferenza sono preferiti a tutti i
panieri collocati al di sotto di essa.

La proprietà di completezza delle preferenze implica l’esistenza di una curva di


indifferenza che passa attraverso tutti i possibili panieri. Possiamo rappresentare le
preferenze attraverso una mappa d’indifferenza. La
numerazione da I a I delle curve di indifferenza
rappresenta un indice di soddisfazione e indica
l’ordinamento di preferenze che corrisponde alle
rispettive curve di indifferenza.
Qualsiasi numero indice va bene, purché soddisfi la
proprietà: I1< I2 < I3 < I4 .
Nella rappresentazione delle preferenze del
consumatore, la sola cosa importante è l’ordine
delle curve di indifferenza. Le quattro proprietà degli
ordinamenti di preferenze implicano quattro
importanti proprietà delle curve di indifferenze e
delle mappe di indifferenza:

• Le curve di indifferenza coprono tutti i panieri. Tale proprietà è assicurata dalla proprietà
di completezza delle preferenze
• Le curve di indifferenza hanno pendenza negativa. Tale proprietà è assicurata dalla
proprietà di non sazietà delle preferenze.
• Le curve di indifferenza non possono incrociarsi. Ciò perché altrimenti violerebbero
almeno una delle proprietà degli ordinamenti di preferenze
• L’inclinazione delle curve di indifferenza si riduce man mano che ci spostiamo verso
destra. Tale proprietà deriva dalla convessità delle preferenza.

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Trade-off tra beni

Un elemento importante che caratterizza la struttura delle preferenze del consumatore è il


saggio al quale egli è disposto a scambiare un bene con una altro. In qualunque punto
della curva di indifferenza, il saggio marginale di sostituzione (MRS) viene definito come il
valore assoluto della pendenza della
curva in quel punto.
Mentre il vincolo di bilancio esprime il
saggio a cui possiamo sostituire un bene
con un altro senza modificare la spesa
totale, il MRS indica il saggio a cui il
consumatore è disposto a sostituire un
bene con un altro senza modificare la
sua soddisfazione totale. Il MRS si riduce
man mano che ci spostiamo verso destra
lungo la curva di indifferenza.

La scelta del paniere migliore

La mappa di indifferenza specifica come sono


ordinati i panieri in termini di preferenze, mentre
il vincolo di bilancio indica quali sono i panieri
che il consumatore è in grado di acquistare, dati
il reddito e il prezzo dei due beni. A questo punto
il consumatore non dovrà fare altro che integrare
questi due elementi e scegliere il paniere
preferito, ovvero il miglior paniere ammissibile: il
paniere che dà al consumatore la soddisfazione
maggiore tra tutti quelli ammissibili. Il miglior
paniere ammissibile non è altro che l’intersezione
tra il vincolo di bilancio e la curva di indifferenza.

Soluzioni d’angolo

Il miglior paniere ammissibile non è sempre collocato in un punto di tangenza.


In alcuni casi, un punto di tangenza non esiste. Avremo allora una soluzione d’angolo. Le
soluzioni d’angolo si verificano per i beni
altamente sostituibili.
Infatti, le curve di indifferenza per beni
sostituiti perfetti sono linee rette: se sono
più inclinate del vincolo di bilancio, il
consumatore sceglierà un paniere che
contiene solo il bene rappresentato sull’asse
orizzontale; nel caso opposto, la soluzione
d’angolo implicherà il consumo del solo
bene rappresentato lungo l’asse verticale.
Di conseguenza la condizione di ottimo
implica l’eguaglianza tra il saggio marginale
di sostituzione e il prezzo relativo dei beni.

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Curve di indifferenza ad angolo retto

Come abbiamo visto i beni normali hanno curve di indifferenza con pendenza negativa e
con inclinazione che si riduce man mano che ci si sposta verso destra, presentando forma
convessa. I beni sostituti perfetti hanno curve di indifferenza rappresentate da rette.
I beni complementari hanno curve di indifferenza ad angolo retto.

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CAPITOLO IV
La domanda individuale e la domanda di mercato
La curva di domanda di mercato è una relazione che indica le quantità di un determinato
bene che il mercato nel suo complesso è disposto ad acquistare per ogni livello di prezzo.

Gli effetti delle variazioni di prezzo

La curva prezzo-consumo (PPC) rappresenta i panieri ottimali corrispondenti a tutti i


possibili prezzi del bene X, tenendo fissi il reddito e i prezzi degli altri beni.
La curva prezzo-consumo si ottiene a partire dalla mappa di indifferenza. La curva di
domanda individuale del consumatore indica le quantità che acquisterà il consumatore ai
diversi prezzi. Tutte le informazioni che servono per costruire la curva di domanda
individuale sono contenute nella curva prezzo-consumo.

Gli effetti delle variazioni di reddito

La curva prezzo-consumo e la curva di domanda individuale sono due modi per illustrare
come variano le decisioni di acquisto del consumatore in risposta a variazioni che
intervengono nei prezzi. Per rappresentare le risposte alle variazioni che intervengono nel
reddito sono disponibili strumenti analoghi: la curva reddito-consumo (ICC) (o sentiero di
espansione del reddito) è l’insieme dei panieri ottimali al variare del reddito, mantenendo
fissi i prezzi di X e Y. L’equivalente della curva di domanda individuale nel caso di
variazioni di reddito è la curva di Engel individuale. Essa esprime la relazione tra quantità
consumata di un bene e reddito individuale.

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Beni normali e beni inferiori

I beni normali sono beni la cui quantità domandata aumenta all’aumentare del reddito. Per
tali beni la curva di Engel è inclinata positivamente, pertanto è crescente. Esempio di bene
normale è il filetto. I beni inferiori sono beni la cui quantità domandata diminuisce
all’aumentare del reddito. Per tali beni la curva di Engel è inclinata negativamente,
pertanto è decrescente (es di bene inferiore: hamburger). Il bene inferiore è un prodotto
con molti sostituti preferiti dal consumatore ma più costosi. Perché all’aumentare del
reddito il consumatore diminuisce la quantità acquistata dei beni inferiori? Perché egli
all’aumentare del reddito abbandona questi beni per acquistare beni qualitativamente
migliori. (es: il consumatore appena può permetterselo, non acquisterà più gli hamburger
ma il filetto che è una carne più magra e qualitativamente migliore).

Gli effetti di reddito e di sostituzione derivanti da una variazione di prezzo

Un aumento del prezzo del bene determina due effetti:

• Effetto di sostituzione: l’aumento del prezzo del bene rende più convenienti i suoi
sostituti

• Effetto di reddito: l’aumento del prezzo del bene riduce il potere di acquisto del
consumatore. Per un bene normale questo effetto tenderà a ridurre le quantità
acquistate ma per un bene inferiore l’effetto sarà opposto.

L’effetto totale dell’aumento del prezzo è la somma dell’effetto di sostituzione e dell’effetto


di reddito. L’effetto di sostituzione causa sempre una variazione della quantità acquistata
di segno opposto a quello della variazione di prezzo: quando il prezzo aumenta, la
quantità domandata diminuisce; viceversa, quando il prezzo diminuisce la quantità
domandata aumenta.

La direzione dell’effetto di reddito dipende dalla tipologia


del bene. Se si tratta di un bene normale, l’effetto di reddito
opera nella stessa direzione dell’effetto di sostituzione: al
crescere (diminuire) del prezzo, diminuiscono (crescono) il
potere d’acquisto e la quantità domandata. Per i beni
inferiori, invece, l’effetto di sostituzione e l’effetto di reddito
vanno in direzioni opposte. Per i consumatori le cui curve di
indifferenza hanno la consueta forma convessa, l’effetto di
sostituzione provocherà sempre una diminuzione del
consumo del bene il cui prezzo è aumentato. Per i beni
complementari, le cui curve di indifferenza sono ad angolo
retto, l’effetto di sostituzione è pari a zero. Per i beni
sostituti perfetti, le cui curve di indifferenza sono linee rette,
l’effetto di reddito e di sostituzione nel caso di un aumento
di prezzo possono addirittura portare alla rinuncia del bene
per acquistare l’altro bene.

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Beni di Giffen

Un bene di Giffen è un bene per il quale l’effetto totale di un incremento di prezzo si


traduce in un aumento, anziché una riduzione, della quantità domandata. Dato che l’effetto
di sostituzione causato da un aumento di prezzo tende sempre a ridurre la quantità
acquistata, nel caso di beni di Giffen l’effetto di reddito opera in modo tale da compensare
l’effetto di sostituzione. Dunque, un bene di Giffen è sempre un bene inferiore, così tanto
inferiore di reddito è maggiore dell’effetto di sostituzione.

Un bene per essere definito come bene di Giffen non deve essere solo un bene inferiore,
ma deve anche assorbire una quota rilevante del reddito del consumatore.
Altra caratteristica necessaria di un bene di Giffen è la curva di domanda deve essere
inclinata positivamente. (es di bene di Giffen: la patata durante la carestia che colpì
l’Irlanda nel XIX secolo).

La domanda di mercato: l’aggregazione delle curve di domanda individuali

Per ottenere la curva di domanda di


mercato, cominciamo col definire un
prezzo e poi sommiamo le quantità
domandate da ciascun consumatore
in corrispondenza di quel prezzo.
Tale somma è la quantità totale
richiesta dal mercato a quel prezzo.

Possiamo quindi dire che la curva di


domanda di mercato è la somma
delle curve di domanda individuali.
In genere conviene aggregare le
curve di domanda individuali
algebricamente.

Nel caso in cui i consumatori sono identici e abbiamo n curve di domanda individuali

P= a-b Q, allora la curva di domanda di mercato è data da P= a-(b/n) Q

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo è definita come la variazione della quantità
domandata rispetto a una variazione del prezzo dell’ 1%.

L’elasticità sarà sempre negativa (o pari a 0) perché la variazione del prezzo è sempre di
segno opposto rispetto alla variazione della quantità domandata.

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La domanda di un bene si dice:

• Elastica rispetto al prezzo: se la sua elasticità al prezzo è < -1

• Inelastica o rigida rispetto al prezzo: se la sua elasticità al prezzo è > -1

• Elasticità unitaria rispetto al prezzo: se la sua elasticità al prezzo è =1

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo si calcola con la seguente espressione:

Tale espressione si può scrivere anche in un altro modo:

da cui deriva:

Si può perciò interpretare l’elasticità della domanda rispetto al prezzo come il rapporto tra
prezzo e quantità moltiplicato per il reciproco della pendenza della curva di domanda.

P= a-b Q

Quando la curva di domanda è lineare emergono tre importanti proprietà dell’elasticità al


prezzo:

• Il rapporto tra prezzo e quantità assume un valore diverso in ogni punto della curva; in
corrispondenza dell’intercetta verticale tende ad infinito quindi diminuisce man mano
che ci spostiamo verso il basso lungo la curva di domanda, raggiungendo il valore zero
in corrispondenza dell’intercetta orizzontale

• L’elasticità della domanda non è mai positiva. Per tanto, si considera il valore assoluto,
e quindi positivo, dell’elasticità.

• L’elasticità della domanda è la relazione inversa con la pendenza della curva della
domanda stessa.

Se la curva di domanda è orizzontale,


essa ha l’elasticità al prezzo infinita in
tutti i punti. Queste curve di domanda
è verticale, presenta una elasticità al
prezzo pari a zero in tutti i punti.
Queste curve si dicono perfettamente
rigide o inelastiche.

18
Esiste una relazione importante tra elasticità della domanda al prezzo e spesa totale. Per
qualunque coppia quantità-prezzo (Q,P), la spesa totale S è data dal prodotto: S=PQ

Per piccole variazioni di prezzo, conoscendo l’elasticità della domanda al prezzo nel punto
iniziale, possiamo prevedere come varierà la spesa totale.

Ricordate che l’elasticità della domanda rispetto al prezzo si può definire anche come il
rapporto tra la variazione percentuale della quantità e la corrispondente variazione
percentuale del prezzo. In questo caso, l’incremento di spesa derivante dalle vendite
aggiuntive sarà sempre maggiore della diminuzione di spesa derivante dalla riduzione dei
prezzi. Se invece l’elasticità al prezzo è inferiore a 1, la variazione percentuale della
quantità sarà inferiore alla corrispondente variazione di prezzo, e le vendite aggiuntive non
compenseranno la diminuzione della spesa dovuta alla riduzione di prezzo. In questo
caso, la riduzione del prezzo causerà una diminuzione della spesa complessiva. La regola
generale, per quanto riguarda piccole riduzioni di prezzo è: una riduzione di prezzo
aumenterà il ricavo totale se e solo se il valore assoluto dell’elasticità della domanda
rispetto al prezzo è maggiore di 1. Una regola analoga per piccoli aumenti di prezzo è: un
aumento di prezzo incrementerà il ricavo totale se e solo se il valore assoluto dell’elasticità
della domanda rispetto al prezzo è minore di 1.

Le determinanti dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo

Quali fattori determinano il valore dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo di un


determinato prodotto?

• Possibilità di sostituzione: l’effetto di sostituzione causato da una variazione di


prezzo è limitato per quei prodotti che non hanno stretti sostituti. In linea generale, il
valore assoluto dell’elasticità al prezzo aumenterà con la disponibilità di beni sostitutivi.

• Quota della spesa totale: maggiore è la quota della spesa totale assorbita dal
prodotto maggiore sarà l’effetto di reddito causato da una variazione di prezzo.
In generale, minore è la quota di spesa totale assorbita da un bene, minore è
l’elasticità della domanda (in valore assoluto).

• Direzione dell’effetto di reddito: un fattore strettamente correlato alla quota della


spesa totale è il segno, positivo o negativo, dell’effetto di reddito. Mentre la quota della
spesa totale assorbita da un certo bene ci dice se l’effetto di reddito di una variazione
di prezzo sarà consistente o limitato, il segno di tale effetto ci dice se tenderà ad
rafforzare o compensare l’effetto di sostituzione.

19
• Tempo: quando i consumatori hanno più tempo a disposizione, tanto più facile
possono trovare beni sostituivi. Gli effetti di prezzo causati da variazioni dell’offerta
sono perciò più marcati nel breve periodo che nel lungo periodo.

L’elasticità della domanda rispetto al reddito

La quantità domandata di un determinato bene non dipende solo dal prezzo ma anche dal
reddito del consumatore. Può accadere che a uno stesso livello di reddito corrispondano
curve di domanda di mercato diverse, a seconda della distribuzione del reddito tra i
consumatori. La distribuzione del reddito tra consumatori può influenzare la domanda di
mercato se esiste una relazione stabile tra il reddito aggregato e la quantità di domanda di
mercato, allora si può costruire una curva di Engel per l’intero mercato.

Se un bene presenta una curva di Engel stabile, siamo in grado di definire l’elasticità della
domanda rispetto al reddito, un indice della reattività delle quantità domandate rispetto alle
variazioni del reddito medio dei consumatori presenti sul mercato:

dove Y presenta il reddito medio dei consumatori presenti sul mercato e è una piccola
variazione del reddito medio.

• beni di prima necessità: elasticità al reddito compresa nell’intervallo 0 < <1

• beni di lusso: elasticità al reddito >1

• beni inferiori: elasticità al reddito <1

• i beni per cui =1 avranno curve di Engel rappresentate da linee rette che partono
dall’origine.

Da un punto di vista geometrico la formula dell’elasticità al reddito può essere così scritta:

Se la pendenza della retta che passa per l’origine è maggiore della pendenza della curva
di Engel, il prodotto di questi due fattori deve essere maggiore di 1 (beni di lusso). Se la
pendenza di tale retta è minore della pendenza della curva di Engel, sarà inferiore a 1, ma
comunque positiva, a condizione che la curva di Engel sia positiva (beni di prima
necessità). Se la pendenza della curva di Engel è negativa, deve essere minore di 0 (beni
inferiori).

20
L’elasticità incrociata della domanda rispetto al prezzo

La quantità di un bene acquistata sul mercato non dipende solo dal prezzo di quel bene
ma anche dai prezzi dei beni a esso collegati. L’elasticità incrociata della domanda rispetto
al prezzo è la variazione percentuale della quantità domandata di un determinato bene
inseguito alla variazione dell’1% del prezzo di un altro bene. In generale, per due beni
qualsiasi X e Z, l’elasticità incrociata della domanda si può definire:

Dove ΔQx è una piccola variazione di Qx , la quantità del bene X, e ΔP è una piccola
variazione di Pz , il prezzo del bene Z.

misura come varia la quantità domandata di X, in seguito ad una piccola variazione che
interviene nel prezzo del bene Z.

L’elasticità incrociata può essere sia positiva che negativa. X e Z si definiscono:

- beni complementari se <0

- beni sostitutivi se >0

21
CAPITOLO V
Applicazione della teoria della scelta razionale e della
domanda

Il surplus dei consumatore

Gli economisti ritengono che uno scambio, quando avviene volontariamente, comporti
benefici per tutti coloro che vi partecipano, se così non fosse, lo scambio non avverrebbe.
In generale, conviene avere una misura monetaria del beneficio che i partecipanti
ottengono da uno scambio. Questa misura è detta surplus del consumatore.
Il metodo più semplice per misurare il surplus del consumatore (CS) utilizza le curve di
domanda. L’altezza della curva di domanda individuale, in corrispondenza di ciascuna
quantità, rappresenta la cifra massima che il consumatore sarebbe disposto a spendere
per ottenerne una unità aggiuntiva. Sottraendo da questo valore il prezzo di acquisto e
sommando le differenza risultanti per tutte le quantità, otteniamo l’area ombreggiatura nel
grafico, che rappresenta il surplus del consumatore.

QUINDI:

L’area al di sotto della curva di domanda e al di sopra del prezzo di mercato misura il
surplus del consumatore.

-Il surplus del consumatore varia se varia il prezzo di mercato

-Utilizzando surplus del consumatore è possibile, per esempio, valutare i costi e i benefici
di strutture di mercato alternative, di interventi di politica economica e così via.

22
CAPITOLO VI

L’economia dell’informazione e la scelta in condizioni di


incertezza
L’economia dell’informazione

La segnalazione è una comunicazione che trasporta informazione.


Ci sono due importanti proprietà della segnalazione:
• Principio della non convenienza a simulare: perché una segnalazione a un
avversario sia credibile, deve essere costosa da simulare.
• Principio della completa comunicazione: gli individui devono comunicare anche le
quantità a loro sfavorevoli, il loro silenzio è considerato come la volontà di nascondere
caratteristiche ancora peggiori.
Il principio della completa comunicazione deriva dal fatto che i potenziali rivali non hanno
tutti accesso alle stesse informazioni, si tratta di asimmetria informativa.

Il mercato dei bidoni

La “research question” che anima l’analisi di Akerlof è la seguente: “Perchè un’auto


usata, anche dopo pochi giorni, viene venduta ad un prezzo notevolmente più
basso di un’auto nuova? ”. Immaginiamo un mercato dove ci sono 3 tipi di auto:

PREZZO MAX % DELLA VENDITA

AUTO BUONE 10.000 € 50%

AUTO MEDIOCRI 5.000 € 30%

AUTO BIDONI 0 € 20%

Secondo Akerlof, se su un dato mercato esistesse simmetria informativa, tutti i beni


sarebbero scambiati al loro valore reale: le auto buone sarebbero venute a
10.000€, quelle mediocri a 5.000 € e i catorci non sarebbero proprio scambiati.
D’altra parte, chi vorrebbe acquistare un “bidone”?
Per effetto di un processo di equilibrio unico, su tale mercato il prezzo al quale
avverranno gli scambi sarà unico per tutte le auto, a prescindere dal loro stato
effettivo: 10.000 x 50% + 5.000 x 30%+ 0 x 20% = 6.500€. Ma è chiaro che tale
prezzo non remunera adeguamento il valore dei beni di alta qualità: a 6.500€, i
venditori di auto buone di rifiuteranno di venderle, perchè quelle auto valgono in
realtà 10.000€. Di conseguenza essi tenderanno a ritirarsi dal mercato o a cercare
circuiti alternativi. Ma se i venditori di auto buone si ritirano, ci sarà un
deterioramento qualitativo e oggetto di scambio sul mercato saranno le “auto
mediocri” (60% di vendita) e “auro bidoni” (40% di vendita). Adesso il prezzo medio
che si forma sul mercato è di 3.000€. Tuttavia, a questo prezzo neppure i venditori
di aiuto mediocri saranno disposti a vendere. Perchè cedere qualcosa a 3.000€

23
qualcosa che vale 5.000€? Di conseguenza anche essi tenderanno a ritirarsi dal
mercato e sul mercato resteranno solo le auto bidoni.

La scelta in condizioni di incertezza

Le decisioni economiche che vengono prese in condizioni


di incertezza hanno la natura dei giochi d’azzardo. Una
caratteristica importante di qualsiasi lotteria è il suo valore
atteso (EV) ossia la media ponderata delle vincite e delle
perdite associate a tutti i possibili risultati dove i pesi sono
rappresentati dalle rispettive probabilità.

La teoria formale della scelta in condizioni di incertezza è


stata elaborata da John von Neumann e Oskar
Morgenstern. La loro premessa principale è che gli
individui non scelgono l’alternativa che presenta il valore
atteso più elevato ma quella che presenta la più elevata utilità attesa (EU). Questa teoria
della massimizzazione dell’utilità attesa ipotizza una funzione di utilità U che assegna un
valore numerico alla soddisfazione associata ai diversi eventi. L’utilità attesa di una lotteria
è quindi il valore atteso delle utilità associate a ciascuno dei possibili risultati.
La teoria dell’utilità attesa di von Neumann-Morgenstern consiglia di accettare la lotteria se
e solo se EU è maggiore di U (Mo) dove Mo rappresenta la ricchezza iniziale di un
individuo. Il punto cruciale della teoria è che i valori attesi dei risultati di un dato insieme di
alternative non hanno necessariamente il medesimo ordinamento di preferenza delle utilità
attese delle alternative. Tali differenze tra gli ordinamenti derivano dal fatto che l’utilità è
spesso una funzione non lineare della ricchezza.

In generale si ipotizza infatti che l’utilità sia una funzione concava della ricchezza totale.
Una funzione U (M) è detta concava se, per ogni coppia di valori M1 e M2, la funzione sta
al di sopra della corda che unisce i punti M1, U (M1) e M2, U(M2). La funzione di utilità U=
è una funzione concava rispetto a M.
Si dice anche che una funzione di utilità concava rispetto a
M è caratterizzata da un’utilità marginale decrescente della
ricchezza. L’utilità marginale è la pendenza della funzione
di utilità, quindi una funzione caratterizzata da utilità
marginale decrescente è una funzione di utilità la cui
pendenza diminuisce al crescere di M. Intuitivamente,
utilità marginale decrescente della ricchezza significa che
più ricchezza ha a disposizione il consumatore, minore
sarà l’incremento di utilità prodotto da un’unità aggiuntiva
di ricchezza.
Un individuo la cui funzione di utilità è concava rispetto alla
ricchezza totale è detto avverso al rischio: ciò
significa che egli rifiuterò sempre una lotteria il cui
valore atteso è apri a 0.
Un gioco il cui valore atteso è pari a 0 è detto gioco
equo.
Nel caso di giochi equi, il valore atteso della ricchezza,
se si accetta la lotteria è pari al valore certo della
ricchezza se si rinunzia a giocare.
Se un individuo è propenso al rischio, la sua

24
funzione di utilità sarà convessa rispetto alla ricchezza totale, il che implica che l’utilità
attesa derivante dall’accettare una lotteria equa, EUg , sarà maggiore dell’utilità derivante
dal rifiutarla, U (Mo).
In una funzione di utilità convessa la pendenza aumenta con la ricchezza totale.

Un individuo viene detto neutrale rispetto al rischio se è indifferente tra accettare o


rifiutare un gioco equo. La funzione di utilità di un individuo neutrale rispetto al rischio è
lineare.
L’equivalente certo di un gioco è l’ammontare (positivo o negativo) di denaro per il quale
un individuo sarebbe indifferente tra accertare quella somma o partecipare al gioco.
In altre parole, è la somma che fornisce la stessa variazione di utilità che deriva
dall’accettare di partecipare al gioco. I consumatori avversi al rischio sono spesso disposti
a sacrificare un ammontare considerevoli di risorse al fine di ridurre il rischio.

Assicurarsi contro gli eventi sfavorevoli

Quando i rischi che differenti soggetti si trovano ad affrontare sono indipendenti, agendo
collettivamente è possibile ottenere un risultato preferito da tutti.

Alla base della condivisione dei rischi risiede la legge dei grandi numeri: se la probabilità p
che ha un evento di verificarsi è indipendente per ciascun membro di un gruppo numeroso
di individui in un certo periodo di tempo, allora la frequenza empirica con la quale tale
evento si manifesta in qualunque periodo non si discosterò significativamente da p. In altre
parole, se un evento si verifica con probabilità indipendente p in ciascuna di N prove, la
proporzione dei casi in cui tale evento si verificherà tenderà, al crescere di N, a p. la legge
dei grandi numeri permette di ridurre l’esposizione al rischio attraverso la creazione di
fondi per la condivisone del rischio (ad es: stipulare l’assicurazione).

All’interno del mercato delle assicurazioni si verificano due fenomeni:


1) La sezione avversa: rappresenta il processo per il quale hanno più probabilità di
partecipare ad uno scambio volontario i soggetti che meno possiedono le qualità
“preferite”. Esempio: il caso dell’assicurazione contro gli incidenti automobilistici.
Alcuni conducenti hanno probabilità più elevate di subire incidenti rispetto ad altri.
Se le compagnie di assicurazione potessero individuare i conducenti più pericolosi,
adeguerebbero i premi di conseguenza. In un certo senso, questo è quello che cercano
di fare imponendo premi più alti a coloro che hanno avuto più incidenti o che hanno
preso più multe per gravi violazioni del codice stradale. Questi meccanismi di
adeguamento sono tuttavia imperfetti. Soggetti che non hanno mai avuto un incidente
e non hanno mai preso una multa possono essere molto più a rischio di altri con un
passato meno impeccabile. Le pressioni delle concorrenza nel mercato delle
assicurazioni spingeranno i premi verso livelli medi di rischio. Ciò vuol dire che i premi
saranno favorevoli per qui conducenti più pericolosi della media. L’altra faccia della
medaglia è che tale premio non risulterà conveniente per quei conducenti che sanno di
essere meno a rischio della media. Di conseguenza, questi ultimi saranno indotti a non
assicurarsi. Ma così aumenta il rischio medio dei conducenti che si assicurano e quindi
aumenteranno i premi. L’assicurazione diventerà ancora meno conveniente per i
conducenti più sicuri e alla fine tutti tranne i conducenti peggiori usciranno dal mercato
assicurativo.)
2) Il rischio morale: rappresenta l’incentivo, da parte degli assicurati, a comportarsi in
maniera negligente o persino fraudolenta.

25
CAPITOLO VII

La produzione
La produzione è qualunque attività che crea un’utilità presente o futura.

La funzione di produzione

Vi sono diversi modi per definire la produzione:


• La produzione è qualunque attività che crea un’utilità presente o futura
• La produzione è un processo di trasformazione degli input (fattori produttivi) in output.

Tra gli input della produzione gli economisti hanno incluso:


▪ La terra
▪ Il lavoro
▪ Il capitale
▪ L’attività imprenditoriale
▪ Le conoscenze
▪ La tecnologia
▪ L’organizzazione
▪ L’energia.

La funzione di produzione è la relazione secondo cui si combinano i fattori produttivi per


generare l’output. La funzione di produzione può anche essere espressa con
un’equazione matematica: considerate un processo produttivo che impiega due input, il
capitale (K) e il lavoro (L) per la produzione di una certa quantità di pasti (Q). la relazione
tra K, L, Q si può esprimere così: Q = F (K,L) dove F indica una funzione matematica.
Una funzione è una semplice regola che indica quante unità di Q otteniamo utilizzando
determinate quantità di K e L. La funzione di produzione indica come varia l’output al
variare di alcuni o di tutti gli output.
Il lungo periodo per un determinato processo di produzione è definito come il periodo
minimo necessario a far variare tutti gli input. Un input la cui quantità può variare
liberamente si dice fattore variabile, mentre quello la cui quantità non si può modificare
entro un dato intervallo di tempo è denominato fattore fisso.
Nel lungo periodo, tutti gli input sono variabili per definizione.
Il breve periodo viene definito come quell’intervallo di tempo entro il quale uno o più input
non si possono modificare.

La funzione di produzione di breve periodo

La funzione di produzione di breve periodo ha


diverse proprietà:
1. La curva passa per l’origine, ossia non si ottiene
alcun output se non viene utilizzata alcuna
quantità di input variabile.
2. Le quantità crescenti dell’input variabile in una
prima fase fanno aumentare l’output a un tasso
crescente
3. La funzione può essere caratterizzata dal fatto che
al di là di un determinato punto le unità addizionali

26
dell’input variabile danno luogo ad aumenti via via minori dell’output.
4. La legge dei rendimenti decrescenti: anche se non si tratta di una proprietà
universale delle funzioni di produzione di breve periodo, essa è tuttavia molto comune.
La legge dei rendimenti decrescenti è un fenomeno di breve periodo e piò essere
enunciata nel modo seguente: “se vengono aggiunte uguali quantità di un fattore
variabile e tutti gli altri fattori rimangono costanti, i conseguenti incrementi dell’output, ad
un certo punto, inizieranno a diminuire.
La tipica funzione di produzione di breve periodo inizialmente cresce in misura più che
proporzionale, poi continua a crescere ma in misura meno che proporzionale. Questo
andamento rispecchia la legge dei rendimenti decrescenti secondo la quale man mano
che si aggiungono ulteriori unità di un fattore produttivo (tenendo fissi tutti gli altri), in una
prima fase il prodotto cresce più che proporzionalmente rispetto all’input ed oltre un certo
punto, il prodotto continua a crescere ma in misura meno che proporzionale.
Le funzioni di produzione di breve periodo sono spesso dette curve del prodotto totale:
esse mettono in relazione la quantità totale di output con la quantità di input variabile.

Un altro elemento importante presente in diverse applicazioni è il prodotto marginale (MP)


di un fattore variabile. Questo è definito come la variazione dell’output determinata da una
piccola variazione dell’input, tenendo costante l’impiego di tutti gli altri fattori produttivi:

MPL = ∆Q / ∆L

Geometricamente, il prodotto marginale calcolato in un punto qualsiasi è dato


semplicemente dalla pendenza della curva del prodotto totale in quel punto.
Il massimo valore raggiunto dalla curva del prodotto marginale si ha in conseguenza del
punto di flesso della curva del prodotto totale, ossia il punto in cui la curva da convessa
passa ad essere concava.

Il prodotto medio (AP) di input variabile è definito come il rapporto tra il prodotto totale e
la quantità di input utilizzata per produrre l’output, quindi: APL= Q / L

Quando l’input variabile è il lavoro, il prodotto medio si chiama anche produttività del
lavoro.

27
Geometricamente, il prodotto medio coincide con la pendenza della retta che unisce
l’origine degli assi al punto corrispondente sulla curva del prodotto totale.

Tra il prodotto totale, marginale e medio possiamo identificare delle relazioni sistematiche
molto importanti.
La relazione tra la curva del prodotto medio e la curva del prodotto marginale si può
spiegare nel seguente modo: quando la curva del prodotto marginale sta al di sopra della
curva del prodotto medio, il prodotto medio è crescente, quando la curva del prodotto
marginale sta al di sotto della curva del prodotto medio, il prodotto medio è decrescente.
Le due curve di intersecano nel punto corrispondente al valore massimo della curva del
prodotto medio.
N.B → Come impiegare un fattore produttivo tra più processi produttivi se si intende
massimizzare il prodotto totale? In generale occorre allocare il fattore produttivo in
maniera tale che il suo prodotto marginale sia lo stesso in tutti i processi produttivi nei
quali esso viene utilizzato.

La funzione di produzione di lungo periodo

Nel lungo periodo tutti i fattori produttivi sono variabili.


Nel breve periodo, con K costante nella funzione di produzione Q= F(K,L), abbiamo potuto
descrivere tale funzione su un semplice grafico a due dimensioni.
Ma con K e L variabili, dobbiamo lavorare su un grafico a tre dimensioni, anziché a due: e
quando ci sono più di due fattori variabili, serve un numero maggiore di dimensioni.
Ciascuna di queste curve è chiamata isoquanto e rappresenta tutte le possibili
combinazioni di fattori produttivi variabili che consentono di ottenere un determinato livello
di output. Si noti l’evidente analogia tra l’isoquanto e la curva di indifferenza.

28
Cosi come la mappa d’indifferenza fornisce una
rappresentazione sintetica delle preferenze del
consumatore, la mappa degli isoquanti fornisce la
rappresentazione sintetica di un processo produttivo.
Su una mappa di indifferenza, gli spostamenti verso
l’alto a destra corrispondono a livelli crescenti di
soddisfazione. Spostamenti analoghi su una mappa
degli isoquanti corrispondono a livelli crescenti di
output.
Qualunque combinazione di fattori che si trova su un
determinato isoquanto genera un output minore di
qualunque combinazione di input che sta al di sopra di
esso.

Il saggio marginale di sostituzione è il saggio al quale il consumatore è disposto a


scambiare un bene con un altro lungo qualsiasi curva di indifferenza. Lo stesso concetto
nella teoria della produzione prende il nome di saggio marginale di sostituzione tecnica
(MRTS) che è il saggio al quale un fattore produttivo può essere sostituito con un altro
senza alterare il livello di output.

Nella teoria del consumatore, si assume che il saggio marginale di sostituzione diminuisca
spostandosi verso il basso luna la curva d’indifferenza.
Per la gran parte delle funzioni di produzione, il saggio marginale di sostituzione tecnica
presenta caratteristiche simili: a parità di output, se diminuiamo la quantità utilizzata di un
fattore, dobbiamo aumentare la quantità dell’altro.
Esiste una semplice relazione, ma importante, tra il saggio marginale di sostituzione
tecnica in qualsiasi punto e il prendo marginale di ciascuno dei fattori in quel punto.
In un intorno del punto A, supponiamo di ridurre K di un ammontare ΔK, e di aumentare L
di una quantità ΔL appena sufficiente a mantenere il livello di output originario. Se
indichiamo con MPKA il prodotto marginale del capitale in A, allora la riduzione di output
derivante dalla diminuzione di ΔK è pari a MPKA ΔK.
Invece se indichiamo con MPLA il prodotto marginale di L in A, l’incremento di output
derivante dall’aggiunta ΔL è pari a MPLA ΔL.

29
I rendimenti di scala

La caratteristica tecnica della funzione di produzione che descrive la relazione tra scala ed
efficienza è chiamata rendimenti di scala. Il termine indica ciò che accade all’output
quando tuti gli input vengono aumentati nella stessa proporzione.
Dato che i rendimenti di scala si riferiscono a una situazione in cui tutti i fattori sono
variabili, il concetto di rendimenti di scala è applicabile solo al lungo periodo.
Se, data una funzione di produzione, la variazione di tutti i fattori in una stessa proporzione
porta a una variazione più che proporzionale dell’output, quella funzione di produzione è
caratterizzata da rendimenti di scala crescenti. Ad esempio, se raddoppiamo gli input di
una funzione di produzione caratterizzata da rendimenti di scala crescenti, otteniamo un
output più che doppio. I rendimenti di scala costituiscono un elemento fondamentale nel
determinare la struttura di un’industria.
Se una variazione di tutti gli input in una stessa proporzionale dà luogo ad una variazione
del provo della stessa proporzione, la funzione di produzione presenta rendimenti di
scala costanti. In questo caso, raddoppiando tutti gli input anche l’output raddoppia. Nei
settori industriali in cui vi sono rendimenti di scala costanti, la grande dimensione non è né
un vantaggio, né uno svantaggio.
Infine, se una variazione di tutti i fattori in una stessa proporzione dà luogo ad una
variazione meno che proporzionale del prodotto, la funzione di produzione presenta
rendimenti si scala decrescenti. In questo caso la grande dimensione è uno svantaggio,
e dunque difficilmente troveremo grandi imprese che operino in caratterizzanti da
rendimenti di scala decrescenti.
Una funzione di produzione non presenta necessariamente rendimenti di scala della
stessa natura per qualsiasi livello del prodotto.Al contrario, capita spessi di rilevare che in
molti processi produttivi, i rendimi di scala sono crescenti per bassi livelli dell’output,
costanti per livelli di output intermedi e infine decrescenti per livelli di output più elevati.

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Esempio pratico:

Come varia il livello produttivo dell’impresa quando tutti i fattori produttivi variano nella
stessa proporzione (ad esempio dell’1%)?

-Se tale incremento comporta un incremento della produzione maggiore dell’1%, allora la
funzione di produzione esibisce rendimenti di scala crescenti.

-Se l’incremento della produzione è esattamente uguale all’1%, allora la funzione di


produzione presenta rendimenti di scala costanti.

-Infine, se l’incremento corrispondente della produzione è inferiore all’1%, allora la


funzione di produzione ha rendimenti di scala decrescenti.

N.B → è importante vedere che i rendimenti di scala decrescenti non hanno nulla a che
vedere con la legge dei rendimenti decrescenti. I rendimenti di scala decrescenti si
riferiscono a ciò che succede all’output quando tutti gli output variano nella stessa
proporzione. La legge dei rendimenti di scala decrescenti, si riferisce al caso in cui un solo
fattore varia mentre tutti gli altri rimangono costanti. La legge dei rendimenti di scala
decrescenti si applica egualmente a funzioni di produzione con redimenti di scala
crescenti, costanti e decrescenti.

31
CAPITOLO VIII
I costi
Per poter realizzare la produzione l’impresa sostiene dei costi.

Costi di breve periodo

Il costo totale per la produzione dei vari livelli di output è il costo di tutti i fattori produttivi
impiegati.

Il costo del capitale è un costo opportunità, ovvero il profitto che si ricaverebbe


vendendo il capitale e investendo il ricavato (ad es: in titoli di stato).

Il costo fisso (FC) è un costo che nel breve periodo non varia al variare dell’output.
Quindi, il costo fisso è quel costo che l’impresa sostiene indipendentemente dalla quantità
prodotta (ad es: l’affitto dei locali). Più in generale, se K indica l’ammontare del capitale e r
è il suo costo per unità, si ha: FC=rK0

Il costo variabile (VC) è definito come il costo totale del fattore di produzione variabile
calcolato per ogni livello di output. Quindi, l’impresa lo sostiene in misura variabile a
seconda del livello di produzione (ad es: le materie prime). Se L1 è la quantità di lavoro
richiesta per produrre il livello di output Q1 e w è il salario orario, si ha: VCQ1=wL1
Il costo variabile dipende dal livello di output prodotto, mentre il costo fisso no.

Il costo totale (TC) è pari alla somma del costo fisso e del costo variabile (FC+VC).
L’espressione del costo totale per la produzione del livello di output Q è:

TCQ1 = FC + VCQ1 = rK0 + wL1

Poiché i costi fissi non variano al variare del


livello di output, la loro rappresentazione
grafica è semplicemente una linea orizzontale.
La curva del costo variabile passa per l’origine:
ciò significa semplicemente che il costo
variabile è pari a 0 quando non si produce
nulla. Il costo totale(TC) per non produrre nulla
coincide invece con il costo fisso(FC). La
distanza verticale tra le curve VC e TC è
sempre pari a FC. Ciò implica che la curva del
costo totale è parallela alla curva del costo
variabile e si trova a FC unità di distanza.

Partendo dal costo fisso, dal costo variabile e dal costo totale è possibile definire altre
quattro categorie di costo di breve periodo:

32
1) Il costo medio fisso (AFC) è uguale al rapporto tra il costo fisso e la quantità prodotta
(output). Il costo medio fisso per produrre il livello di output Q è dato da:

2) Il costo medio variabile (AVC) è uguale al rapporto tra il costo variabile e la quantità
prodotta (output). Il costo medio variabile per produrre il livello di output Q è dato da:

3) Il costo medio totale (ATC) è uguale al rapporto tra il costo totale e la quantità
prodotta (output). Poiché il costo totale è la somma del costo fisso e del costo variabile,
ne deriva che ATC è la somma di AFC e di AVC. Il costo medio totale per produrre Q
unità di output è dato da:

4) Il costo marginale (MC) è la variazione nel costo totale che deriva dalla produzione di
un’unità addizionale di output. In termini generale, se indica la variazione di output da
un livello iniziale Q e indica la variazione nel costo totale, il costo marginale calcolato in
Q è dato da:

Poiché il costo fisso non varia al variare del livello di output, quando si producono unità
aggiuntive di output la variazione del costo totale corrisponde a quella che si verifica nel
costo variabile. Dunque il costo marginale si può anche scrivere nel seguente modo:

dove rappresenta la variazione del costo variabile quando si producono ΔK unità


aggiuntive di output.

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La curva del costo marginale assume una grande rilevanza per la determinazione del
livello di produzione di un’impresa. Per prendere una decisione appropriata, occorre
confrontare i costi e i benefici e inoltre il costo della produzione che è uguale al costo
marginale. Geometricamente, il costo marginale per qualsiasi livello di produzione può
essere interpretato come la pendenza della curva del costo totale in corrispondenza di
quel livello di output. Dato che le curve del costo totale e del costo variabile sono parallele,
il costo marginale è pari anche alla pendenza della curva del costo variabile. Si può
notare, infatti, che ciò che varia quando variano i costi totali è solo la componente del
costo variabile, questo implica che per ogni livello di prodotto, la variazione del costo totale
debba essere uguale alla variazione del costo variabile.

La relazione tra le curve del costo marginale e del costo medio variabile è qualitativamente
simile alla relazione che esiste tra la curva del costo marginale e quella del costo totale:
una caratteristica comune è il fatto che MC interseca queste curve nel loro punto di
minimo. Ambedue le curve dei costi medi presentano un’ulteriore proprietà: quando il
costo marginale è inferiore al costo marginale è maggiore del costo medio, il costo medio
aumenta all’aumentare dell’output.

34
L’allocazione della produzione tra due processi produttivi

Come deve comportarsi l’impresa che intenda allocare un dato livello di produzione tra
due processi produttivi, in maniera tale da minimizzare il costo di produzione?
La soluzione consiste nell’allocare la produzione in modo che i costi marginali siano uguali
in ciascun processo produttivo. Questa soluzione non implica che i costi medi siano uguali
in ciascun processo.

Relazione tra il prodotto marginale, prodotto medio, costo marginale e costo medio
variabile

Abbiamo visto nel capitolo precedente che la curva del prodotto marginale interseca la
curva del prodotto medio in corrispondenza del suo punto di massimo. In questo capitolo,
invece, abbiamo visto che la curva del costo marginale interseca la curva del costo medio
nel suo punto di minimo. Esiste un legame preciso tra queste relazioni: dalla definizione di
costo marginale abbiamo infatti MC = ∆VC/∆Q.

Quando il lavoro è l’unico fattore variabile, abbiamo ∆VC= ∆wL, cosicché ∆VC/∆Q è
uguale a ∆wL/∆Q

Se il salario è fisso, abbiamo w∆L/∆Q; poiché ∆L/∆Q è uguale a 1/MP, si ha:

Analogamente, dalla definizione di costo medio variabile, si ha AVC= VC/Q= wL/Q, poiché
L/Q è uguale a 1/AP, ne segue immediatamente che:

Dall’equazione * deduciamo che il valore minimo del costo marginale corrisponde al valore
massimo del prodotto marginale. Allo stesso modo, dall’equazione + rileviamo che il valore
minimo del costo medio variabile corrisponde al valore massimo del prodotto medio.

35
Costi di lungo periodo

Nel lungo periodo non esistono costi fissi in quanto i


fattori produttivi (input) sono tutti variabili. Il problema
dell’impresa è quello di scegliere la combinazione
ottimale di input in relazione all’output che si intende
produrre. Quindi, la domanda dell’impresa sarà: quali
combinazioni di fattori si possono ottenere con una spesa
complessiva C? La risposta è spiegata dalla retta di
isocosto. La pendenza dell’isocosto è data dal rapporto,
preso con segno negativo, tra i prezzi dei fattori, cioè –w/
r. Un dato livello di output può essere prodotto per mezzo
di diverse combinazioni di fattori (che stanno tutte sullo
stesso isoquanto). L’impresa che intende massimizzare
l’output ad un dato costo, deve risolvere un problema di
ottimizzazione simile a quello relativo alla scelta del
paniere ottimo del consumatore. Quindi si tratta di dire
che nel caso del consumatore abbiamo individuato il
paniere ottimale sovrapponendo il vincolo di bilancio alla
mappa di indifferenza e localizzando il punto di tangenza
rilevante.

In questo caso sovrapponiamo l’isocosto alla mappa


degli isoquanti. La quantità ottimale di output si rileva
sull’isoquanto più elevato compatibile con il vincolo
rappresentato dalla retta di isocosto. È possibile anche
procedere alla minimizzazione vincolata dei costi per un
dato livello di output. In termini grafici si tratta di
sovrapporre ad un dato isoquanto di produzione una
mappa degli isocosti corrispondenti ai vari livelli di costo.

La quantità ottimale di output si rileva sulla retta di isocosto più bassa compatibile con il
vincolo rappresentato dall’isoquanto di produzione. In entrambi i casi, sia che si proceda
attraverso la massimizzazione vincolata dell’output, sia
attraverso la minimizzazione vincolata dei costi, in
generale la condizione di ottimo per una soluzione
cosiddetta “interna” implica: MRTS = MPL/MPK= w/r
Ovvero l’eguaglianza tra il saggio marginale di sostituzione
tecnica e il prezzo relativo dei fattori produttivi.
La crescita del prodotto dell’impresa definisce il sentiero di
espansione dell’output, il quale descrive il costo totale
minimo necessario per ciascun livello di produzione. In
corrispondenza del sentiero di espansione dell’output è
possibile definire la curva del costo totale di lungo periodo
(LTC). L’andamento della LTC dipende dai rendimenti di
scala della funzione di produzione.

36
La curva LTC passa sempre per l’origine perché nel lungo periodo l’impresa può liquidare
tutti i suoi input e cessare l’attività. Se sceglie di non produrre alcun output, l’impresa non
deve trattenere o pagare alcun fattore produttivo.
Le curve di costo medio di lungo periodo (LAC) e costo marginale di lungo periodo (LMC)
rispecchiano anch’esse i rendimenti di scala. Si ricordi, viceversa, che l’andamento delle
curve di costo di breve periodo riflettono la proprietà dei rendimenti
marginali (crescenti e/o decrescenti) del singolo fattore produttivo.

Come per il breve periodo, il costo marginale di lungo peri


(LMC) è pari alla pendenza della curva del costo totale di lungo
periodo:

LMC è il costo che l’impresa deve sopportare nel lungo periodo


per espandere la sua produzione di una unità.

Il costo medio di lungo periodo (LAC) è invece pari al rapporto tra il costo totale di
lungo periodo e l’output:

Dato che nel lungo periodo tutti i costi sono variabili, anche in questo caso non è
necessario distinguere tra i costi medi totali, i costi medi fissi e i costi medi variabili.

37
Anche in questo caso vale la relazione tra quantità medie e marginali: la curva LAC
decresce quando di trova al di sopra della curva LMC e cresce quando si trova al di sotto.

In presenza di rendimenti di scala costanti, i costi totali di lungo periodo sono esattamente
proporzionali all’output.

Come si vede nella figura sotto riportata, la curva LTC per una funzione di produzione
caratterizzata da rendimenti di scala costanti, è una retta che passa per l’origine. Poiché
la pendenza di LTC è costante, la curva LMC è una linea orizzontale e coincide
esattamente con la curva LAC.

Quando la funzione di produzione presenta rendimenti di scala decrescenti, un certo


incremento dell’output richiede un aumento più che proporzionale in tutti i fattori e un
incremento più che proporzionale dei costi. Le curve LTC, LMC e LAC di una funzione di
produzione con rendimenti di scala decrescenti sono rappresentate nella figura
sottostante.

38
Si considera infine il caso dei rendimenti di scala crescenti. Questa volta l’output cresce
in modo più che proporzionale rispetto all’incremento degli input. Di conseguenza, il costo
totale di lungo periodo cresce in misura proporzionalmente minore rispetto all’aumento
dell’output come si nota in figura.

Costi di lungo periodo e la struttura dell’industria

La struttura di un’industria è fortemente influenzata dai costi di lungo periodo in quanto la


sopravvivenza di un’impresa, data la tecnologia, dipende dalla sua capacità di ridurre al
minimo i costi totali di produzione nel lungo periodo. Quando i costi medi di lungo periodo
sono sempre decrescenti vi sarà una sola impresa che serve tutto il mercato. Infatti, se
due imprese cercano di operare in questa industria, ciascuna producendo una parte
dell’output richiesto, avrebbero entrambe costi medi più elevati di quelli che sopporterebbe
una sola di esse servendo l’intero mercato. L’impresa che riesce ad ottenere la
dimensione maggiore conseguirà un vantaggio in termini di costi che le permetterà di
eliminare la rivale. Un mercato caratterizzato da curve di costo medio di lungo periodo
decrescenti è chiamato monopolio naturale.

39
CAPITOLO IX

La concorrenza perfetta
L’obiettivo principale dell’impresa è massimizzare il profitto.

Profitto

Il profitto economico è la differenza tra i ricavi totali e


i costi totali, dove i costi totali comprendono tutti i
costi sostenuti implicitamente ed esplicitamente
(costi opportunità).
Questa definizione è diversa in modo significativo da
quella usata dai contabili, in quanto quest’ultima non
sottrae dai ricavi totali i costi opportunità o costi
espliciti. Il profitto contabile è infatti la differenza tra i
ricavi totali e tutti i costi sostenuti esplicitamente.

Condizioni della concorrenza perfetta

Per capire quanto produce un impresa concorrenziale, gli economisti hanno sviluppato la
teoria della concorrenza perfetta. Le condizioni che definiscono un mercato perfettamente
concorrenziale sono 4:
1) Le imprese producono un bene indifferenziato: in concorrenza perfetta il bene venduto
da un impresa è un sostituto perfetto dei beni venduti da tutte le altre
2) Le imprese assumono come dato il prezzo di mercato (sono cioè price-tackers): ogni
impresa crede di non poter influenzare il prezzo di mercato facendo variare la propria
produzione
3) I fattori produttivi sono perfettamente mobili nel loro periodo: questa condizione implica
che un impresa, se percepisce un occasione favorevole in un determinato momento e in
un certo luogo, sia sempre in grado di disporre dei fattori produttivi necessari per
approfittarne
4) Le imprese e i consumatori dispongono di informazione perfetta: un impresa non ha
motivo di uscire dal mercato se ignora che esistono condizioni più vantaggiose di
qualche altra parte.

In alcuni mercati, come quelli dei prodotti agricoli, le 4 ipotesi sono soddisfatte quasi
completamente. In altri settori, come quello dei camion per la raccolta della spazzatura,
alcune di queste condizioni non sono rispettate neanche in parte.

Massimizzazione del profitto nel breve periodo

Come l’impresa sceglie il livello di produzione nel breve periodo? Se l’obbiettivo


dell’impresa è la massimizzazione del profitto economico, allora essa sceglierò quel livello
di output per cui è massima la differenza tra i ricavi totali e i costi totali. Per un impresa in
concorrenza perfetta, che può vendere la quantità che desidera a un prezzo di mercato
costante, il ricavo totale è esattamente proporzionale all’output.

Quando l’impresa non produce nulla, non ricava nulla e non sostiene costi variabili, ma
deve comunque coprire costi fissi; quando quando Q = 0, il suo profitto è uguale a - FC.
40
Se non esiste alcun livello positivo di output per il quale l’impresa possa realizzare un
profitto maggiore rispetto a - FC, la sua scelta migliora è quella di non produrre nel breve
periodo.

Prezzo del prodotto e costo marginale di breve periodo

Il prezzo dell’output, che è uguale alla pendenza della curva del ricavo totale, rappresenta
anche il ricavo marginale.

Si definisce ricavo marginale, la variazione del ricavo totale che si verifica quando varia di
un’unità la quantità venduta.

Le curve di costo marginale e di costo medio variabile di breve periodo corrispondenti alla
curva TC, sono rappresentate nella figura seguente:

41
Quando all’impresa conviene produrre e quando non conviene?

Per l’impresa concorrenziale il ricavo marginale è uguale al prezzo di mercato. Infatti, al


prezzo vigente sul mercato l’impresa concorrenziale può vendere qualsiasi quantità di
prodotto senza che la sua offerta lo faccia variare. In definitiva, la massimizzazione del
profitto in concorrenza perfetta impone l’eguaglianza tra il prezzo di mercato e il costo
marginale: P=MC. Si può osservare che tale eguaglianza deve essere verificata lungo il
tratto crescente della curva del costo marginale. Qualsiasi altro livello di produzione,
minore o maggiore, risulta non ottimale ai fini della massimizzazione del profitto.
Oltre all’eguaglianza tra il prezzo di mercato e il costo marginale l’impresa deve anche
rispettare una seconda condizione: il prezzo deve essere superiore rispetto al livello
minimo dei costi medi variabili. Se ciò non avvenisse, l’impresa avrebbe convenienza a
non produrre affatto, poiché non sarebbe in grado di coprire nemmeno i costi variabili
sostenuti per la produzione. Se invece il prezzo di mercato risulta superiore rispetto al
punto di minimo dei costi medi variabili, ma inferiore rispetto ai costi medi totali, allora pur
realizzando un profitto negativo all’impresa conviene continuare ad offrire il prodotto sul
mercato. Ciò dipende dal fatto che se in tale situazione decidesse di cessare la
produzione, incorrerebbe in una perdita ancora maggiore. In definitiva, la curva di offerta
dell’impresa di breve periodo corrisponde al tratto crescente della curva del costo
marginale al di sopra della curva del costo medio variabile. 


Curva di offerta di mercato di breve periodo

La curva di offerta di breve periodo per un industria in concorrenza perfetta si ricava


fissando un prezzo e sommando le quantità che ogni impresa desidera offrire a quel
prezzo, ottengono così l’offerta dell’industria. Ulteriori punti della curva di offerta dell’
industria si ricavano sommando l’offerta di tutte le singole imprese per altri livelli di prezzo.
Quindi, essa è uguale alla somma orizzontale delle curve di offerta individuali di ciascuna
impresa.

Le somme orizzontale delle curve di offerte delle singole imprese hanno una forma
semplice quanto tutte le imprese in concorrenza sono identiche.

42
L’equilibrio di breve periodo in concorrenza perfetta

La singola impresa in concorrenza perfetta deve scegliere il livello di output che le


consente di massimizzare il profitto dato un certo prezzo. Ma da dove viene quel prezzo?
Esso si ricava dall’intersezione delle curve di offerta e di domanda. Bisogna ricordare che,
al prezzo di equilibrio, i produttore vendono la quantità desiderata e i consumatori
acquistano la quantità desiderata.

Nel grafico, la curva indicata con D è la curva di domanda di un prodotto venduto in


un’industria perfettamente concorrenziale. La curva indicata con S è la corrispondente
curva di offerta dell’industria nel breve periodo, ottenuta sommando orizzontalmente il
tratto rilevante delle singole curve di costo marginale di breve periodo delle imprese.

L’intersezione di queste due curve sterminata il prezzo di equilibrio di breve periodo in


concorrenza perfetta, P*, che a sua volta, è il prezzo su cui si basano le decisioni di
produzione delle singole imprese.

Quindi l’equilibrio di mercato di concorrenza perfetta di breve periodo si realizza quando la


quantità domandata eguaglia la quantità offerta. Dall’intersezione delle curve di domanda
e di offerta scaturisce il prezzo di mercato. Per la singola impresa tale prezzo determina la
curva di domanda (perfettamente orizzontale) alla quale fare riferimento. L’equilibrio di
concorrenza perfetta garantisce l’efficienza allocativa delle risorse, nel senso che
garantisce il completo sfruttamento delle possibilità di guadagno derivanti dallo scambio.
Non esiste la possibilità, né per i consumatori né per le imprese, di accordarsi per
effettuare scambi reciprocamente vantaggiosi ad un prezzo diverso da quello che
scaturisce dall’equilibrio di mercato. In corrispondenza del prezzo e della quantità di
equilibrio di breve periodo, il valore delle risorse impiegate nella produzione dell’ultima
unità di output è esattamente uguale al valore che quella unità di output ha per i
consumatori.

E’ comunque possibile che il prezzo di equilibrio in corrispondenza dell’intersezione tra le


curve di offerta e di domanda di breve periodo sia sufficientemente elevato da indurre le
imprese a offrire una quantità positiva, ma non tale da consentire il pieno recupero di costi.
Questo caso è illustrato nel grafico seguente:

43
Nel grafico di sinistra, l’offerta e la domanda si intersecano in corrispondenza di P* = 10 €,
che si trova al di sopra del punto di minimo della curva AVC dell’impresa; come vediamo
nel grafico di destra, tuttavia, in corrispondenza del livello di output che massimizza il
profitto, Q*i = 60, il prezzo di vendita è inferiore alla curva ATC.

Di conseguenza, l’impresa sostiene una perdita economica pari a P*Q*i - ATCQ*iQ*i alla
settimana, perdita che è rappresentata dal rettangolo ∏. Da notare, però, che questa
perdita , in valore assoluto, è inferiore a - FC, che è il valore del profitto economico quando
la produzione è nulla. E’ possibile pertanto che la produzione sia positiva nonostante il
profitto economia sia negativo nel breve periodo.

Il surplus del produttore

Un mercato concorrenziale è efficiente quando massimizza il beneficio netto di coloro che


vi partecipano. Il concetto di surplus del consumatore, già visto in precedenza, misura il
beneficio che il consumatore ottiene effettuando uno scambio di mercato. Esiste un
concetto analogo per i produttori: il surplus del consumatore misura il beneficio che
l’impresa ricava dall’aver offerto la quantità di output che massimizza il suo profitto. Si
potrebbe essere portati a ritenere che il surplus del produttore sia il profitto economico ma
in generale questi due concetti non coincidono. Per capirne il motivo, ricordiamo in primo
luogo che nel breve periodo, l’impresa che non produce ma sostiene una perdita pari ai
costi fissi. Ricordiamo che il profitto economico è la differenza tra ricavo totale e costo
totale mentre la differenza tra costo totale e costo variabile è pari ai costi fissi. Di
conseguenza, il surplus dei produttori è la somma del profitto economico e dei costi fissi
(vale a dire se ∏ =TR-TC e TC=VC+FC, allora il surplus del produttore è pari a ∏ = TR-
VC=TR-TC+FC= +FC).

Graficamente:

44
Nel breve periodo, il surplus del consumatore è quindi maggiore del profitto economico,
perché un’impresa a cui fosse impedito di entrare nel mercato sosterebbe perdite di entità
superiore al profitto economico. Per minorare il surplus aggregato di tutti i produttori attivi
in un mercato si sommano i surplus di tutte le imprese. Nei casi in cui l’inclinazione delle
curve di costo marginale è positiva nel tratto rilevante il surplus aggregato dei produttori
può essere approssimato dall’area compresa tra la curva di offerta e la retta del prezzo di
equilibrio P*.

Ricordate che il surplus aggregato dei consumatori può essere rappresentato in prima
approssimazione dall’area compresa tra la curva di domanda e la retta del prezzo di
equilibrio come in figura:

I benefici totali derivanti dallo scambio in un mercato possono quindi essere misurati dalla
somma del surplus del consumatore dei produttori.

Aggiustamenti nel lungo periodo

L’obiettivo dell’impresa nel lungo e nel breve periodo è di realizzare il profitto economico
più elevato possibile. Per un impresa può essere vantaggioso nel breve periodo
continuare a offrire una quantità positiva anche se sostiene perdite economiche. Nel lungo
periodo tuttavia un’impresa che non riuscisse a guadagnare un profitto normale dovrebbe
uscire dal mercato o aggiustare la sua dotazione di capitale.
Questi aggiustamenti fanno si che nel lungo periodo si determini una situazione nella
quale:
• Il prezzo di equilibrio è pari al valore minimo della curva del costo medio di lungo periodo
• L’output è prodotto al costo unitario più basso possibile
• Al venditore è pagato solo il costo di produzione
• Il profitto economico è nullo per tutte le imprese. 


45
Curva di offerta di lungo periodo

La curva di offerta di mercato di lungo periodo fornisce la quantità totale di prodotto che
viene offerta ai vari livelli del prezzo. Poiché nel lungo periodo, per definizione, le imprese
possono entrare o uscire, non possiamo costruire la curva di offerta sommando le quantità
offerte dalle imprese presenti sul mercato. L’andamento della curva di offerta di mercato di
lungo periodo dipende dalle diverse condizioni di costo relative al mercato dei fattori.

Quale forma assume la curva di offerta


di lungo periodo di un’industria in cui,
per tutte le imprese, le curve di costo
medio di lungo periodo (LAC) hanno la
stessa forma a U? La curva di offerta di
lungo periodo di un’industria che opera
in concorrenza perfetta, quando le
curve LAC sono a U e il prezzo è
costante è una retta orizzonte, in
corrispondenza del valore minimo della
curva LAC.

Quale forma assumente la curva di offera di lungo periodo di un’industria in cui, per tutte le
imprese, le curve di costo medio di lungo periodo sono orizzontali? Come nel caso in cui le
curve di costo medio di lungo periodo sono a U, la curva di offerta di lungo periodo quando
la curva di costo medio di lungo periodo di ogni impresa è orizzontale è ancora una retta
orizzontale.

Tuttavia, vi è una fondamentale differenza tra i due casi: quando le imprese hanno curve
LAC identiche e fatte a U, siamo in grado di dire che la quantità prodotta da ogni impresa
corrisponde al punto di minimo di LAC. Ci troviamo perciò di fronte ad un’industria in cui
tutte le imprese producono la medesima quantità di output.

Nel caso di curve LAC orizzontali, invece, non vi è unico punto di minimo, poichè LAC
assumente lo stesso valore per qualsiasi livello di output: la soluzione è indeterminata e, a
differenza del caso precedente, non possiamo predire la distribuzione dimensionale delle
imprese. Vi potrebbero essere poche grandi imprese, tante piccole imprese, oppure una
combinazione intermedia di imprese grandi e piccole. L’unica cosa che possiamo
affermare con sicurezza è che il prezzo di lungo periodo tenderà a gravitare intorno al
valore LAC.

L’espansione o il restringimento di un settore può influenzare o meno il costo al quale le


imprese pagano gli input produttivi. Se il prezzo dei fattori rimane costante al variare
dell’output, in tale industria si opera a costi costanti e la curva di offerta di lungo periodo
sarà costante. Al contrario, se il prezzo dei fattori varia al variare dell’output, allora si è in
presenza di effetti pecuniari.

Se gli effetti pecuniari sono negativi, allora l’espansione dell’industria è accompagnata da


prezzi dei fattori produttivi crescenti e tali industrie sono dette a costi crescenti: la curva di
offerta di mercato di lungo periodo sarà inclinata positivamente.

Se gli effetti pecuniari sono positivi, allora l’espansione dell’industria è accompagnata da


prezzi dei fattori produttivi decrescenti e tali industrie sono dette a costi decrescenti: la
curva di offerta di mercato di lungo periodo sarà inclinata negativamente.

46
Effetto di una variazione del prezzo degli input sull’offerta di lungo periodo

Per una singola impresa la cui domanda di input costituisce solo una piccola frazione del
mercato totale degli input, i prezzi di questi ultimi non variano quando si modifica la
produzione. In molti casi anche la domanda di input di un’intera industria rappresenta solo
una piccola quota del mercato dei fattori nel suo complesso. In questo caso, il prezzo degli
input non dipende dalla produzione.
Tuttavia, vi sono alcuni settori in cui il volume dei fattori acquistati rappresenta una quota
rilevante dell’intero mercato degli input. In questi casi, una notevole espansione dell’output
dell’industria sarà spesso associata a un rilevante aumento del prezzo degli input. Quando
questo si verifica, ci troviamo di fronte ad una diseconomia pecuniaria, cioè a un
aumento del prezzo dei fattori dovuto all’incremento della produzione dell’industria.
Chiaramente, una diseconomia pecuniaria implica, quindi, che il prezzo degli input si
riduca quando si contrae la produzione dell’industria.
Anche se l’impresa potesse espandere all’inizio la sua produzione senza utilizzare una
maggiore quantità di input per unità di prodotto, il punto di minimo della curva di costo
medio di lungo periodo di ogni impresa, è. comunque, funzione crescente dell’output
dell’industria. Anche se l’impresa potesse espandere all’infinito la sua produzione senza
utilizzare una maggiore quantità di input per unità di prodotto, il punto di minimo della
curva di costo medio di lungo periodo di ogni impresa è comunque funzione crescente
dell’output dell’industria.
In presenza di diseconomie pecuniarie, la curva di offerta di lungo periodo è inclinata
positivamente se la curva LAC di ogni impresa è fatta a U, oppure è orizzontale.
Le industrie in concorrenza perfetta in cui l’aumento del prezzo dei fattori genera curve di
offerta inclinate positivamente sono chiamate industrie a costi crescenti. Vi sono casi in cui
il prezzo degli input può ridursi in maniera sostanziale a seguito di un’espansione della
produzione. Questo si verifica, per esempio, se i fattori sono prodotti utilizzando tecniche
che rappresentano economie di scala. Un rilevante aumento della costruzione di strade,
per esempio, potrebbe facilitare un maggiori sfruttamento delle economia di scala
connesse con la produzione di macchinari di movimento- terra, e ridurre di conseguenza il
prezzo di questo input.
In questi casi si parla di economia pecuniarie, che danno origine a curve di indifferenza di
lungo periodo per un’industria inclinate negativamente, anche se la curva LAC di ogni
impresa è orizzontale o fatta a U.
Le industrie in concorrenza perfetta, in cui la riduzione del prezzo dei fattori genera curve
di offerta inclinate negativamente, sono chiamate industrie a costi decrescenti.

47
Elasticità dell’offerta

In precedenza abbiamo definito l’elasticità della domanda rispetto al prezzo, come la


misura della sensibilità della quantità domandata a variazione del prezzo. Esiste un
concetto analogo per misurare la sensibilità dell’offerta a variazione di prezzo, chiamato
elasticità dell’offerta rispetto al prezzo.L’elasticità dell’offerta rispetto al prezzo misura
la variazione percentuale della quantità offerta in seguito ad una variazione dell’1% per
cento del prezzo del prodotto.

L’elasticità dell’offerta al prezzo è quindi:

Si può un’interpretazione geometrica, infatti, l’elasticità può essere anche interpretata


come il prodotto tra il rapporto del prezzo e della quantità e il reciproco della pendenza
della curve di offerta:

Per la legge dei rendimenti di scala decrescenti, l’offerta di breve periodo in concorrenza
perfetta è sempre inclinata positivamente: quindi l’elasticità dell’offerta nel breve periodo è
sempre positiva. Nelle industrie che hanno curva dell’offerta di lungo periodo orizzontale,
l’elasticità dell’offerta nel lungo periodo è infinita cioè si può espandere la produzione
all’infinito senza che il prezzo vari. Per causa di economie e diseconomie pecuniarie, le
curve di offerta di lungo periodo in concorrenza perfetta possono essere inclinate
negativamente o positivamente. L’elasticità di lungo periodo in questi casi piò essere
negativa o positiva.

Come si è visto, la maggiori parte delle industrie impiega soltanto una quota relativamente
piccola del volume totale di input presenti nel mercato; ciò significa che, in generale,
variazioni di modesta entità della produzione complessiva dell’industria non dovrebbero
provocare variazioni significative del prezzo dei fattori.

Nell’applicare in pratica, il modello di concorrenza perfetta, quindi, quasi tutti gli economisti
accettano, per semplicità, l’ipotesi che le curve di offerta di lungo periodo sono orizzontali.
Naturalmente, si può sempre modificare questa ipotesi, quando è evidente che esistono
rilevanti economie o diseconomie pecuniarie.

48
CAPITOLO X
Il monopolio
Il monopolio è una forma di mercato in cui un unico venditore offre un bene che non ha
stretti sostituti a numerosi consumatori. In concorrenza perfetta, la domanda ha elasticità
infinita mentre in monopolio ha valore finito. La differenza fondamentale tra monopolio e
concorrenza perfetta è rappresentata dalla diversa elasticità della curva di domanda
dell’impresa. In concorrenza perfetta, la curva di domanda di un impresa è orizzontale
mentre in monopolio la curva di domanda coincide con la curva di domanda di mercato ed
è quindi inclinata negativamente.

Le cause del monopolio

1) Controllo esclusivo di input fondamentali

2) Economie di scala: possono dar luogo al monopolio naturale se la curva del costo
medio di lungo periodo è sempre decrescente, allora una sola impresa è in grado di
produrre a costi medi inferiori rispetto a due o più imprese che si dividono il mercato.

3) Brevetti: un brevetto garantisce al suo possessore il diritto esclusivo, per un certo


periodo di tempo, allo sfruttamento dei benefici da esso derivanti. I brevetti comportano
costi e benefici sociali. Dal lato dei costi, essi creano un monopolio e ciò implica prezzi
più elevati per i consumatori. Dal lato dei benefici, il brevetto rende possibile la
realizzazione di diverse invenzioni.

4) Economie di rete (o economie di network): In alcuni mercati un prodotto acquista


tanto più valore per i consumatori quanto maggiore è il numero degli utilizzatori. Si dice
in questi casi che esistono esternalità di rete (o network externalities).
In casi estremi, queste economie funzionano come le economie di scala come fonte di
monopolio naturale.

5) Licenze governative o appalti: l’autorità pubblica rilascia licenze per l’ingresso in certi
settori o per la fornitura di servizi.

Nel lungo periodo il fattore più importante tra quelli che danno origine al monopolio è
costituito dalle economie di scala.

La massimizzazione del profitto

Anche il monopolista, nelle sue scelte, è guidato dalla massimizzazione del profitto. Anche
in questo caso, quindi, nel breve periodo significa scegliere il livello di output tale per cui la
differenza tra il ricavo totale e il costo totale di breve periodo sia massima. Le ragione alla
base di questa ipotesi sono meno convincenti rispetto al caso di concorrenza perfetta:
dopotutto, il monopolista rischia il fallimento molto meno di un’impresa concorrenziale,
dunque la tesi evoluzionistica che impone di massimizzare il profitto non si applica
altrettanto bene nel caso del monopolio. Nonostante ciò, per il momento, ci limiteremo ad
esaminare il comportamento del monopolista che massimizza il profitto.

49
Curva di ricavo totale

La differenza fondamentale tra il monopolista e l’impresa in concorrenza perfetta è il modo


in cui il ricavo totale, e quindi quello marginale, si modifica al variare dell’output.
Ricordiamo che la curva di domanda dell’impresa in concorrenza perfetta è
semplicemente una retta orizzontale in corrispondenza del prezzo di equilibrio di mercato
nel breve periodo, ossia P*.

L’impresa in concorrenza perfetta è price-traker, perchè produce in genere una frazione


irrilevante dell’output totale dell’industria e quindi non riesce a influenzare il prezzo di
mercato. Di conseguenza, la curva di ricavo totale dell’impresa in concorrenza perfetta è
una retta che parte dall’origine con coefficiente angolare P*.

Consideriamo, adesso, il monopolista che fronteggia una curva di domanda inclinata


negativamente. La differenza tra il monopolista e l’impresa in concorrenza perfetta è che il
monopolista, per vendere una quantità maggiore, deve ridurre il suo prezzo; e non solo il
prezzo dell’unità addizionale, ma anche quello di tutte le altre unità che avrebbe,
comunque venduto.

Come in concorrenza perfetta, la curva di ricatto totale del monopolista parte dall’origine,
pochi in entrambi i casi se non si vende nulla, non si ricava niente.

Il grafico sottostante rappresenta le curve di costo totale di breve periodo e di ricavo totale
del monopolista.

A differenza della concorrenza perfetta, il monopolista riconosce il fatto che egli fronteggia
l’intera curva di domanda di mercato. Il prezzo al quale egli vende il prodotto non è
indipendente dalla quantità venduta. La differenza dell’impresa concorrenziale, per il
monopolista il ricavo marginale è inferiore al prezzo. Infatti, il ricavo totale non cresce
sempre proporzionalmente alla quantità venduta, ma può aumentare o diminuire a
seconda della elasticità della curva di domanda fronteggiata dal monopolista che per il
monopolista il problema della massimizzazione del profitto si risolve individuando il punto
nel quale risulta massima la distanza tra due curve del ricavo totale e del costo totale. In
tale punto le pendenze delle rette tangenti alle due curve sono identiche. Quindi è sempre
valida la condizione di ottimo che impone l’eguaglianza tra il ricavo marginale (MR) il costo
marginale (MC):

a condizione che il ricavo marginale intersechi il costo marginale “da sopra”.Tale


equazione definisce la condizione di ottimo per un monopolista. Il monopolista vuole
vendere tutte le unità per le quali il ricavo marginale eccede il costo marginale, perciò il
ricavo marginale dovrebbe trovarsi sopra al costo marginale prima del punto di incontro.

50
Per il monopolista il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo.

Il ricavo marginale è la pendenza della curva di ricavo totale. Come per l’impresa in
concorrenza perfetta, possiamo considerare il ricavo marginale come la variazione nel
ricavo totale dovuta alla vendita di una unità aggiuntiva di output. Più precisamente, se
ΔTRQ è la variazione nel ricavo totale che si verifica a seguito di una piccola variazione
della produzione ΔQ, il ricavo marginale indicato come MRQ è:

La curva di ricavo marginale ha la stessa intercetta e un’inclinazione doppia rispetto alla


curva di domanda: se la curva di domanda è P = a-bQ, la corrispondente curva di ricavo
marginale è MR = a-2bQ.

Ricavo marginale ed elasticità

Tra ricavo marginale ed elasticità esiste una relazione. Si ricorda che l’elasticità della
domanda al prezzo è scritta come:

i termini ΔQ e ΔP hanno segno opposto perché la curva di domanda è inclinata


negativamente. Se si suppone che ΔQ e ΔP siano positivi, l’equazione diventa:

infatti se risolviamo questa equazione e sostituiamo il risultato nell’equazione MRQ0


otteniamo:

Dall’equazione si ricava la relazione tra elasticità della domanda al prezzo e ricavo


marginale: quanto meno elastica è la domanda tanto più il prezzo è maggiore del ricavo
marginale. Inoltre, nel caso in cui l’elasticità al prezzo sia infinita, ricavo marginale e
prezzo coincidono.

51
La curva del ricavo marginale associata a una curva di domanda lineare è una retta con
un’inclinazione doppia rispetto a quella della curva di domanda. La curva di ricavo
marginale interseca l’asse delle ascisse in corrispondenza del punto intermedio della
curva di domanda e per livelli di output maggiori il ricavo marginale è negativo. Inoltre tutti i
punti a destra del punto intermedio della curva di domanda hanno elasticità inferiore a 1 in
valore assoluto. Il fatto che il ricavo marginale sia negativo in questo tratto conferma che
diminuzioni di prezzo riducono il ricavo totale quando la domanda è inelastica rispetto al
prezzo.

Massimo profitto nel breve periodo

Il livello di output che massimizza il profitto dell’impresa si trova in corrispondenza


dell’intersezione tra il ricavo marginale e il costo marginale. Per questa quantità, il
monopolista può fissare un prezzo e realizzare così un profitto economico pari all’area del
rettangolo indicato con ∏ :

Se l’obbiettivo del monopolista è la massimizzazione del profitto, allora il monopolista non


produce mai un livello di output sul tratto inelastico della curva di domanda. Se
aumentasse il prezzo in corrispondenza di questo livello di output, conseguirebbe un più
elevato ricavo totale. Inoltre, l’incremento di prezzo ridurrebbe la quantità domandata e
quindi diminuirebbe il costo totale di produzione.

Poiché il profitto economico è la differenza tra il ricavo totale e il costo totale ne consegue
che il profitto crescerebbe a seguito di un aumento del prezzo a partire da un livello iniziale
corrispondente a una quantità situata sul tratto inelastico della curva di domanda.
Il livello di output che massimizza il profitto deve quindi trovarsi sul tratto elastico della
curva di domanda, dove degli aumenti di prezzo provocherebbero una diminuzione sia dei
ricavi che dei costi.

Il mark-up che massimizza il profitto

La condizione per la massimizzazione del profitto MR=MC può essere combinata con
l’equazione MR secondo la quale MR= P[1-(1/ )], per derivare il marginale profitto (o
mark-up) praticato dal monopolista in corrispondenza della quantità che massimizza il
profitto.

Il marginale di profitto è quindi la differenza tra il prezzo e il costo marginale, calcolata in


rapporto al prezzo che massimizza il profitto. L’equazione precedente mostra che il mark-
52
up si riduce all’aumentare dell’elasticità della domanda al prezzo. Dalla formula si vede
che se l'elasticità tende ad infinito (concorrenza perfetta) il mark-up tende a zero. Il mark-
up è tanto più elevato quanto più la domanda è rigida. Viceversa, il mark-up tende ad
essere basso in presenza di una curva di domanda elastica. La formula del mark-up è un
altro modo per vedere il potere di mercato del monopolista.

Condizione di produzione nulla in monopolio

Un’impresa in concorrenza perfetta non produce nulla nel breve periodo se il prezzo è
inferiore al valore minimo del coso medio variabile (AVC). Analogamente, in monopolio
conviene non produrre nulla quando la curva di domanda giace al di sotto della curva di
costo medio variabile per ogni livello di produzione. Per il monopolista le cui curve di
domanda, di ricavo marginale, di costo marginale di breve periodo e di costo medio
variabile sono rappresentate nella figura:

Non esiste alcun livello positivo di output tale per cui il prezzo sia maggiore del costo
medio variabile e quindi la soluzione migliore è interrompere la produzione nel breve
periodo. Anche se ciò implica una perdita economica pari al costo fisso nel breve periodo
si incorrerebbe in perdite superiori se si producesse una qualsiasi quantità positiva.
La condizione precedente equivale al caso in cui il ricavo medio è inferiore al costo medio
variabile per ogni livello di output.

Dalla figura si può vedere che MR=MC è condizione necessaria ma non sufficiente per la
massimizzazione del profitto. In breve, il monopolista si comporta in modo analogo ad
un’impresa in concorrenza perfetta nel senso che entrambi scelgono il livello di output
pesando su benefici e costi derivanti da un’espansione (o ristringimento) della produzione.
Sia per l’impresa in concorrenza perfetta che per il monopolista, il costo marginale è la
variabile rilevante per misurare il costo che si sostiene quando si aumenta l’output. In
entrambi i casi, i costi fissi non hanno importanza per le decisioni di produzione nel breve
periodo. Sia per l’impresa in concorrenza perfetta che per il monopolista, i benefici di
un’espansione dell’output sono misurati dai valori del ricavo marginale. Per l’impresa in
concorrenza perfetta, il ricavo marginale e il prezzo coincidono mentre per il monopolista il
ricavo marginale è minore del prezzo. L’impresa in concorrenza perfetta massimizza il suo
profitto quando il costo marginale è uguale al prezzo. Invece, il monopolista massimizza il
suo profitto aumentando la produzione fino a quando il costo marginale non è pari al
ricavo marginale, quindi sceglie un livello di output inferiore rispetto a quello dell’impresa in
concorrenza perfetta. Conviene sia al monopolista che all’impresa in concorrenza perfetta
interrompere la produzione quando il prezzo è inferiore al costo medio variabile.

53
In monopolio non esiste la curva di offerta

Il monopolista non ha una curva di offerta ma segue una regola di offerta che è quella di
uguagliare il ricavo marginale al costo marginale.

Aggiustamenti nel lungo periodo

Nel lungo periodo, il monopolista può aggiustare tutti i fattori produttivi proprio come può
fare un’impresa in concorrenza perfetta. Qual è la quantità ottimale in monopolio nel lungo
periodo se non si modifica la tecnologia? La scelta migliore per il monopolista è produrre il
livello di output tale per cui il costo marginale di lungo periodo sia uguale al ricavo
marginale.

Nella figura questo implica di impiegare la


dotazione di capitale che dà origine alle curve di
costo medio e marginale di breve periodo ATC*
e SMC*. In corrispondenza di questo livello di
utilizzo del capitale, la curva di costo marginale
di breve periodo incontra la curva di costo
marginale di lungo periodo nel punto in cui
quest’ultima interseca la curva di ricavo
marginale. Q* è la quantità che massimizza il
profitto nel lungo periodo periodo ed è venduta al
prezzo P*.

Discriminazione di prezzo

I monopolisti spesso fissano dei prezzi differenti per i diversi acquirenti, questa pratica è
definita come discriminazione del prezzo. Quando il monopolista è in grado di
discriminare il prezzo, egli trasforma una parte dei benefici dei consumatori in profitto.

Vi sono due punti importanti di confronto tra il monopolista perfettamente discriminante e


quello che non è è assolutamente in grado di discriminare. In primo luogo, il monopolista
che discrimina perfettamente produce di più. Ciò consegue dal fatto che, siccome una
riduzione di prezzo non ha alcun effetto sul ricavo totale che otterrebbe dall’output che
sarebbe comunque in grado di vendere, il monopolista che discrimina perfettamente può
ridurre il prezzo per attirare consumatori che altrimenti non comprerebbero, e maniere
prezzi più elevanti per colo che sono disposti a pagargli; Una seconda differenza saliente
è che, in genere, il surplus del consumatore è positivo nel monopolio senza
discriminazione di prezzo, mentre è nullo nel monopolio perfettamente discriminate.
Poiché deve offrire tutto il medesimo prezzo, il monopolista che non discrimina, è spunto a
praticare un prezzo non troppo elevato: se fissasse il prezzo al livello che soltanto gli
acquirenti con domanda meno elastica sono disposti a pagare, perderebbe tutti gli altri
clienti. Di conseguenza non lo farà e i consumatori, con domanda meno elastica, si
troveranno a pagare meno del loro prezzo di riserva, ottenendo cosi un surplus. Tuttavia la
discriminazione perfetta di prezzo è un caso limite teorico che non si verifica nella realtà.
Se ogni cliente avesse la curva di domanda stampata in fronte, un venditore potrebbe
fissare prezzi su misura, in modo da estrarre il massimo surplus possibile da ciascuno. Le
imprese spesso stimano le elasticità individuali sulla base di informazioni disponibili circa i
gruppi sociali a cui l’individuo appartiene.

54
Discriminazione di primo tipo

E’ il termine utilizzato per descrivere il maggior livello possibile di segmentazione del


mercato. Per spiegare questo concetto, supponiamo che un monopolista abbia N
potenziali clienti, ogni uno dei quali ha una curva di domanda inclinata negativamente
come la curva D, nella figura.

Qual’è il massimo ricavo che il monopolista potrebbe ottenere dalla vendita di Q’ unità di
output a ciascun cliente?

Se il monopolista dovesse vendere tutta la produzione allo stesso prezzo, la cosa migliore
sarebbe fissare il prezzo P’, grazie al quale sarebbe realizzabile un ricavo totale P’Q’. Ma
se riuscisse a fissare dei prezzi diversi per le differenti unità di output, potrebbe ricavare
molto di più. Per esempio, potrebbe vendere le prime Q1 unità al prezzo P1, le successiva
unità Q2-Q1 al prezzo di P2 e cosi via. Se gli intervalli in cui il monopolista può ripartire la
vendita del prodotto sono piccoli a piacere, con questa forma di fissazione del prezzo è
possibile aumentare il ricavo totale di un ammontare pari all’aerea del triangolo in figura
sopra. Quando il monopolista fissa un prezzo unico per tutte le unità vendute, lo stesso
triangolo rappresenta il surplus del consumate.

Con i prezzi perfettamente discriminanti, invece, il consumatore acquista ogni unità di


output al prezzo massimo che sarebbe disposto a pagare, e il suo surplus viene
interamente estratto dal monopolista. Quale livello di output produce il monopolista in
grado di discriminare perfettamente il prezzo? Come sempre, la regola è quella di
uguagliare il ricavo marginale al costo marginale.

La figura sotto rappresenta le curve di domanda, di costo marginale di breve periodo e di


costo medio totale di un monopolista perfettamente discriminante.

55
Ma qual’è la curva di ricavo marginale per questo monopolista?

Essa coincide esattamente con la curva di domanda. Poichè è in grado di discriminare


perfettamente, il monopolista può ridurre il prezzo al fine di aumentare le vendite senza,
per questo, dover diminuire il prezzo sulla quantità che avrebbe comunque venduto

Il prezzo e il ricavo marginale sono esattamente uguali, proprio come in concorrenza


perfetta. La scelta migliore per l’impresa è di offrire Q* unità di output, ciascuna delle quali
viene venduta al prezzo più alto che ogni consumatore è disposto a pagare.

Discriminazione di prezzo di secondo tipo

Un’altra forma di discriminazione di prezzo è la pratica di non fissare un prezzo unico, ma


di programmare schemi secondo i quali il prezzo diminuisce all’aumentare della quantità
acquistata. La figura illustra qual’è l’effetto di queste tariffe per un consumatore la cui
curva di domanda sia Di. Rispetto all’alternativa di fissare un prezzo unitario P3, lo schema
di sconti commisurati alla quantità acquistata aumenta il pagamento totale del
consumatore dell’area ombreggiata in figura.

Questo tipo di discriminazione assomiglia a quella di primo tipo, poichè in entrambi i casi il
monopolista cerca di estrarre surplus da ogni consumatore. Ma le due principali differenze
sono:

1) a ogni consumatore viene offerta la stessa struttura tariffaria, quindi non si cerca di
fissare il prezzo a seconda delle differenti elasticità della domanda;

2) poichè esiste un numero limitato di scaglioni di prezzo, il monopolista non riesce, in


caso di discriminazione di secondo tipo, a estrarre tutto il surplus del consumatore.
Mentre nei modelli di discriminazione di primo tipo, il monopolista si appropria
dell’intero triangolo, nella figura vediamo che, in caso di discriminazione di secondo
tipo, riesco a conquistarne solo una parte.

56
Discriminazione di terzo tipo

E’ la pratica di imporre prezzi differenti agli acquirenti in mercato completamente separati.


Immaginiamo che un monopolista possa vendere tutta la sua produzione in due mercati
separati. Possiamo supporre, per esempio, che sia l’unica impresa attiva, sia nel mercato
nazionale che quello estero. Se massimizza il profitto, come fissa il prezzo e la quantità
offerta in ciascun mercato? Supponiamo che le curve di domanda e di ricavo marginale
nei due mercati siano quelle rappresentate nei grafici di sinistra e di centro nella figura:

Osserviamo che, affinché il profitto sia massimo, il ricavo marginale nei due mercati deve
essere uguale. Dato che deve essere uguale nei due mercati, questo valore comunque del
ricavo marginale deve coincidere anche con il costo marginale. Graficamente, la soluzione
si ottiene sommando orizzontalmente le curve di ricavo marginale dei due mercati e
procedendo la quantità in corrispondenza della quale, la curva cosi ottenuta interseca il
costo marginale.

La discriminazione di prezzo può essere praticata soltanto se è impossibile, o almeno


molto difficile che gli acquirenti effettuino tra loro scambi del bene venduto dal
monopolista. Acquistare ad un prezzo inferiore e rivendere ad un prezzo superiore su un
altro mercato è definito arbitraggio: quando l’arbitraggio è possibile, differenziali di prezzo
per lo stesso prodotto non possono durare a lungo.

Discriminazione di prezzo con “auto identificazione” dei consumatori

Questa forma di discriminazione consiste in una serie di tecniche, con le quali le imprese
spingono i consumatori con la domanda più elastica a “farsi conoscere”. L’idea di fondo è
che il venditore pone delle “condizioni” e garantisce uno sconto a chiunque decida di
accettarle. La logica sottesa a questa pratica è che gli acquirenti più sensibili al prezzo
saranno anche quello che con maggiore probabilità saranno disposti ad accettarle.

57
Perdita di efficienza

Come già sappiamo la concorrenza perfetta porta a un’allocazione efficiente delle risorse,
poichè nell’equilibrio di lungo periodo non è possibile aumentare il benessere collettivo
attraverso ulteriori scambi: il valore che i consumatori attribuiscono all’ultima unità di
output è esattamente pari al valore di mercato delle risorse necessarie a produrla.

E se si valuta secondo lo stesso criterio l’equilibrio di lungo periodo? Come vedremo, non
si ottiene un gran risultato. Consideriamo un monopolista che abbiamo un costo medio e
un costo marginale di lungo periodo costanti, e una curva di domanda come quella
rappresentata in figura:

ll livello di output che massimizza il profitto per questo monopolista è Q*; tale output viene
venduto al prezzo P*. Osserviamo che in corrispondenza di Q*, il valore di un’unità
addizionale di output per i consumatori (P*) è maggiore del costo marginale di produzione,
LMC. Quindi, in un monopolio in cui è fissato un unico prezzo di vendita non sono esauriti
tutti i benefici derivanti dallo scambio. Come abbiamo già notato, se il monopolista
dovesse fissare un prezzo diverso per ogni consumatore, aumenterebbe la sua
produzione fino a Qc, cioè fino alla quantità che sarebbe prodotta in concorrenza perfetta
in un mercato che presentasse le medesime condizioni di domanda e di costo.
Espandendo l’output da Q* a Qc, il monopolista in grado di discriminare perfettamente il
prezzo vedrebbe aumentare il surplus del produttore in misura pari alla somma delle aree
dei triangoli S1 e S2.

In concorrenza perfetta, il triangolo S1, avrebbe costituito parte del surplus del
consumatore; quindi, la perdita sociale dovuta al fatto che il mercato sia servito da un
monopolista che fissa un prezzo unico, e non da imprese in concorrenza perfetta,
corrisponde a quella parte del surplus del consumatore. Di conseguenza, sulla base di
pure valutazioni di efficienza, il monopolio perfettamente discriminate e la concorrenza
perfetta conducono al medesimo risultato.

Tuttavia, ci sono differenze dal punto di vista distributivo: nel primo caso, il beneficio
complessivo si manifesta come surplus del produttore, nel secondo come surplus del
consumatore. La perdita di efficienza in monopolio è dovuta all’incapacità di praticare una
discriminazione perfetta di prezzo. Questa perdita (pari l’area del triangolo S1) è definita
perdita netta causata dal monopolio.

58
CAPITOLO XI
La concorrenza imperfetta
Dilemma del prigioniero

Ci sono due prigionieri, tenuti in celle separate e senza la possibilità di comunicare tra
loro, accusati di un grave crimine che avevano commesso. Tuttavia, il pubblico ministero
aveva prove sufficienti solo per farli condannare per un reato minore a 1 ano di carcere. A
ogni prigioniero veniva comunicato che, se solo uno di loro avesse confessato, costui
sarebbe stato liberato immediatamente mentre l’altro avrebbe scontato una pena di 20
anni e che se entrambi avessero confessato sarebbero stati condannati a 5 anni. Questi
playoff sono riportati nella tabella:

Situazioni simili al dilemma del prigioniero possono essere esaminate utilizzando gli
strumenti matematici della teoria dei giochi. Secondo questa teoria, tre sono gli elementi
che caratterizzano qualsiasi gioco generico:

1. I giocatori partecipanti al gioco

2. Le strategie a disposizione dei giocatori

3. I playoff associati alle possibili combinazioni di strategie (cioè a tutte le possibili


conclusioni del gioco).

Alcuni giochi, come il dilemma del prigioniero, sono caratterizzati da una presenza di una
strategia dominante cioè di una strategia che permette di realizzare un playoff più elevato
indipendentemente dalla strategia dominante seguita dall’avversario.

La strategia dominante nel dilemma del prigioniero è quella di confessare. Infatti, se Y


confessa, X è condannato a 5 anni e non a 20; se Y non confessa, X è libero e non deve
trascorrere nessun anno in galera. La struttura dei playoff è la stessa per ciascun
giocatore, quindi anche a Y conviene confessare qualunque sia la strategia di X. Il
problema è che quando entrambi perseguono solo il proprio interesse si trovano in una
situazione peggiore rispetto al caso in cui avessero limitato la propria libertà d’azione:
confessando tutti e due sono condannati a 5 anni, mentre tacendo avrebbe ridotto la pena
a 1 anno.

59
Equilibrio di Nash

Un equilibrio di Nash è una situazione nella quale ciascun giocatore massimizza il proprio
playoff date le strategie adottate dagli avversari, in quanto in molti giochi non tutti i
giocatori hanno una strategia dominante In questo caso, la strategia ottima per ciascun
giocatore dipende dalle scelte effettuate dagli altri giocatori. In un equilibrio di Nash non
conviene a nessun giocatore abbandonare unilateralmente la strategia adottata. In altre
parole, tale equilibrio è una combinazione di strategie tale che la strategia di ogni
giocatore è la risposta ottima rispetto alle strategie di tutti gli altri.

Consideriamo, per esempio, la


decisione di intraprendere una
campagna pubblicitaria da parte di
due imprese. Indipendentemente
dalle scelte dell’impresa 2,
all’impresa 1 conviene fare
pubblicità, quindi è la sa strategia
dominante. Tuttavia ciò non è vero
per l’impresa 2: se l’impresa 1
reclamizza il prodotto, all’impresa
2 conviene fare altrettanto; ma se
l’impresa 1 non fa pubblicità anche l’impresa 2 preferisce non farla.

A differenza del dilemma del prigioniero in questo caso la strategia ottimale dell’impresa 2
dipende della scelta particolare dell’impresa 1. Sebbene l’impresa 2 non abbiamo una
strategia dominante, in questo gioco, possiamo prevedere che cosa accadrò: l’impresa 2 è
in grado di anticipare che la concorrente farà la pubblicità, poichè questa è la sia strategia
dominante, e quindi sa che anche la sua risposta ottimale sarà quella di fare la pubblicità.
In questo gioco, pertanto, la scelta da parte di entrambe le imprese di fare la pubblicità
rappresenta l’equilibrio di Nash.

Strategia del maximin

Un altro tipo di strategia è quella del maximin. Seguendo questa strategia un giocatore
cerca di massimizzare il più basso valore possibile dei propri payoff. Una strategia di
questo tipo potrebbe essere seguita, ad esempio, quando un giocatore non possiede una
strategia dominante ed è incerto circa la strategia che verrà adottata dagli avversari.

Nel gioco analizzato sopra abbiamo visto che, se l’impresa 1 segue la propria strategia
dominante e quindi decide di fare pubblicità, anche all’impresa 2 converrà fare la
pubblicità. Perciò se l’impresa 2 crede che l’impresa 1 agirà razionalmente, la scelta
migliore per l’impresa 2 sarà fare pubblicità. Ma l’impresa 2 può non essere sicura che
l’impresa 1 deciderà in modo razionale e quindi può, almeno, voler considerare
l’eventualità che l’impresa 1 sceglierà di non fare la pubblicità. In questo caso, se l’impresa
2 reclamizzasse il proprio prodotto, otterrebbe un profitto pari a 0, un risultato peggiore del
prodotto di 400 che otterrebbe scegliendo di non fare la pubblicità.

Quindi quando l’impresa 2 non ha una strategia dominante ed è incerta circa la decisione
che prenderà l’impresa 1, le converrebbe adottare la strategia del maximin, ossia scegliere
l’alternativa che massimizza il più basso valore possibile dei propri playoff.

Quindi se l’impresa 2 scegliesse di non fare la pubblicità, quando invece l’imprese 1


sceglie di farla, il più basso payoff che potrebbe ottenere sarebbe 100. Ma se l’impresa 2
60
scegliesse di fare pubblicità quando invece l’imprese 1 scegliesse di non farla, il più basso
payoff che potrebbe ottenere sarebbe 0. Dunque sapendo che l’impresa 2 decide di
seguire la strategia del maximin, possiamo prevedere che sceglierà non fare pubblicità.

Dilemma del prigioniero ripetuto

Quando il dilemma del prigioniero è giocato una sola volta è difficile punire chi defeziona.
Tuttavia, se ci si aspetta di dover interagire nuovamente in futuro, possono emergere altre
possibilità. Una di queste è la strategia del colpo su colpo (tit for tat). Questa strategia
prevede che la prima volta che si gioca con qualcuno si coopera, in seguito si adotta la
strategia seguita dall’altro giocatore nella fase precedente. Affinché questa strategia
funzioni, peraltro, è necessario che non vi sia un numero noto di interazioni.

Nei giochi visti finora i giocatori sceglievano simultaneamente la strategia da adottare. Nei
giochi sequenziali, viceversa, un giocatore muove per primo e l’altro può scegliere la
propria strategia avendo osservato la mossa dell’avversario. In ambito economico, questa
tipologia di giochi si presta ad analizzare la prevenzione strategica all’entrata di nuove
imprese nel mercato posta in essere dalle imprese già operanti.

Modelli di oligopolio: Cournot, Bertrand e Stackelberg

In un regime oligopolistico sono presenti poche grandi imprese in grado di produrre la


maggior parte dell’output di mercato. Spesso nei mercati oligopolistici sono presenti
barriere all’entrata di nuove imprese. Tali barriere possono essere di natura tecnologica
oppure strategica. La caratteristica peculiare dell’oligopolio, che lo differenzia da tutte le
altre forme di mercato, è costituita dal comportamento strategico delle imprese presenti.
Le decisioni di ciascuna impresa oligopolistica, in merito al prezzo da imporre o alla
quantità da produrre, dipendono dal comportamento di tutte le altre imprese oligopolistiche
presenti sul mercato. Nella descrizione dell’equilibrio di oligopolio occorre tener presente
l’interazione strategica tra le imprese. A seconda delle ipotesi che si fanno in merito al
comportamento strategico delle imprese oligopolistiche, si avranno diversi modelli di
oligopolio. Ai fini didattici è sufficiente analizzare il comportamento di due sole imprese
oligopolistiche, il cosiddetto duopolio.

Nel modello di Cournot le ipotesi fondamentali sono due:

1) i due duopolisti scelgono contemporaneamente la quantità che massimizza il proprio


profitto.

2) ciascun duopolista sceglie la quantità da produrre ipotizzando che l’altro duopolista non
varierà la produzione.

Date queste ipotesi, ciascun duopolista sceglierà quanto produrre eguagliando il costo
marginale al ricavo marginale derivante dalla domanda residuale.

Supponiamo che la curva di domanda di mercato sia: P = a-b(Q1+Q2), dove Q1 e Q2 sono


le quantità prodotte rispettivamente dall’impresa 1 e 2. Come l’impresa 1 massimizza il
profitto? La curva di domanda per l’impresa 1: P1 = (a-bQ2)-bQ1. Indichiamo con MR1 la
corrispondente curva di ricavo marginale. Per massimizzare il profitto, l’impresa 1 deve
uguagliare il costo marginale al ricavo marginale: MR1 = (a-bQ2)-bQ1. Ora risolviamo per
l’output dell’impresa 1 in funzione dell’output dell’impresa a: Q1*=(a-bQ2)/2b. Tale
equazione è detta funzione di reazione dell’impresa 1 e viene indicato con Q*1 = R1(Q2).
Essa indica come le decisioni di produzione dell’impresa 1 si modifichino al variare del
61
livello di output offerta dall’impresa 2. Il modello di Cournot è simmetrico, pertanto la
funzione di reazione dell’impresa 2 è identica a quella dell’impresa 1.

Anche nel modello di Bertrand le ipotesi fondamentali sono due:

1) I due duopolisti scelgono contemporaneamente il prezzo

2) Ciascun duopolista sceglie il prezzo di vendita ipotizzando che l’altro duopolista terrà
fisso il prezzo.

L’ipotesi che i duopolisti fissino i prezzi anziché le quantità muta radicalmente il risultato
raggiunto con Cournot.

Infatti, poiché il bene è omogeneo e i consumatori acquistano dal duopolista che pratica il
prezzo inferiore. Ciascun duopolista ha l’incentivo a ridurre marginalmente il prezzo
rispetto all’altro duopolista con l’intento di accaparrarsi l’intero mercato. L’esito finale è che
il prezzo si riduce fino a che non coincide con il costo marginale. È lo stesso risultato della
concorrenza perfetta.

Supponiamo che le condizioni di domanda e di costo siano quelle del modello di Cournot:
ipotizziamo l’impresa 1 fissi inizialmente il livello di prezzo P. Di conseguenza, l’impresa 2
è posta di fronte a tre strategia alternative:

1. stabilire un prezzo più elevato di quello dell’impresa 1, ma in questo caso non


riuscirebbe a vendere nulla;

2. fissare lo stesso prezzo dell’impresa 1: i produttori si ripartirebbero la quantità


domandata dal mercato per quel livello di prezzo;

3. offre un prezzo marginalmente inferiore a quello fissato dall’impresa 1 e servire cosi


l’intera domanda di mercato.

Quest’ultima alternativa è decisamente la più profittevole. Se il prezzo è solo


marginalmente inferiore a quello dell’impresa 1, infatti, l’impresa 2 realizza un livello di
profitto doppio rispetto al caso in cui scelga la strategia 2. Concludiamo dicendo che
quando hanno fissato un prezzo pari al costo parziale (P =MC),, entrambi i duo-oliati non
hanno alcun incentivo a ridurlo ulteriormente.

Anche nel modello di Stackelberg le due ipotesi di base sono:


1) La variabile di scelta dei duopolisti è la quantità

2) La scelta è sequenziale

Il primo duopolista (leader) sceglie la quantità che massimizza il proprio profitto.


Il secondo duopolista (follower) osserva la quantità prodotta dal leader e, a sua volta,
sceglie la quantità da produrre per massimizzare i propri profitti. Il leader, nel momento in
cui prende le decisioni, conosce perfettamente il modo in cui il follower risponderà alla sua
scelta. Questo fatto avvantaggia il leader, il quale incorpora nel suo set informativo la
funzione di reazione del follower: P = [a – b(Q1+R2(Q)1]. Il comportamento del follower è
in tutto e per tutto sintetizzato dalla funzione di reazione così come è stato illustrato nel
modello di Cournot.


62
Mercati contendibili

Se per entrare nel mercato non si sostiene nessun costo addizionale, una nuova impresa
può entrare velocemente in un mercato qualora l’impresa già operante fissi il prezzo a un
livello superiore al costo medio. In queste circostanze, un mercato è detto “contendibile” in
quanto, se l’entrata non implica nessun costo, vi è contesa tra i potenziali concorrenti per
servire il mercato. Entrata libera non significa che l’impresa non debba sostenere alcun
costo per istallare un impianto, bensì che per entrare ed uscire dal mercato non incorre in
costi non recuperabili. Quando la funzione di costo riflette la presenza di rendimenti di
scala crescenti, ci aspettiamo di vedere una sola impresa nell’industria.

Quindi quando il punto di minimo delle curve di costo medio di lungo periodo a U cade in
corrispondenza di una frazione rilevante della quantità prodotta dall’industria, ci
attendiamo un oligopolio; quando i costi sono costanti, nell’industria potrebbero essere
attive numerose imprese.

63
CAPITOLO XII

Il mercato dei fattori


Domanda lavoro di breve periodo per impresa concorrenza perfetta

Il beneficio che deriva dall’impiego di un’ulteriore unità di lavoro è il ricavo che si ottiene
dalla vendita del maggior prodotto. Il costo è il saggio di salario.
Quindi bisogna aumentare la quantità di lavoro impiegato fino a quando il beneficio è
maggiore del costo. Se il costo è maggiore del beneficio, la quantità di lavoro impiegata va
ridotta.
La curva di prodotto
marginale per il fattore
lavoro quando il capitale è
fisso indica la quantità
aggiuntiva di output che
l’impresa ottiene
dall’impiego di un unità
addizionale di lavoro.
L’inclinazione negativa
della curva del prodotto
marginale riflette la legge
dei rendimenti
decrescenti. Il valore del
prodotto marginale del
lavoro (VMP) è il rapporto tra prezzo e prodotto marginale del lavoro (P*MP) e corrisponde
al maggiore guadagno realizzato dall’impresa quando vende l’output che deriva
dall’impiego di una unità addizionale di lavoro. La regola più importante della domanda di
lavoro di un’impresa è scegliere la quantità di lavoro per il quale il VMP è esattamente
uguale al saggio di salario.

Domanda lavoro di lungo periodo per impresa concorrenza perfetta

Nel breve periodo, per un’impresa in concorrenza perfetta l’unica reazione possibile di
fronte a una riduzione del saggio di salario è impiegare più lavoro.
Nel lungo periodo, invece tutti gli input sono variabili. Una riduzione del prezzo del lavoro
porterà l’impresa a sostituire il capitale con il
lavoro, riducendo ulteriormente il costo
marginale. L’effetto di questa riduzione
addizionale dei costi è una maggiore
espansione dell’output: la reazione di lungo
periodo sarà quindi ancora più ampia di quella
di breve periodo. La curva di domanda di lavoro
dell’impresa è tanto più elastica quanto più
elastica è la domanda per il suo prodotto.

64
Curva di domanda di lavoro di mercato

La curva di domanda di mercato è la somma orizzontale delle singole curve VMP quando
il prezzo dell’output è pari a P. La curva di domanda di lavoro di mercato è più inclinata
rispetto alla somma delle singole curve di domanda, poiché una riduzione del salario
induce tutte le imprese a domandare più lavoro e espandere la produzione. Così facendo,
si riduce il prezzo dell’output, il quale a sua volta conduce ad una riduzione di VMP di tutte
le imprese:

Domanda di lavoro in concorrenza imperfetta

A differenza della concorrenza perfetta, nel caso di concorrenza imperfetta il valore


dell’output aggiuntivo derivante dall’ultimo lavoratore è pari al ricavo marginale del fattore
(MR=P=MP). Il risultato viene denominato ricavo marginale del prodotto del lavoro (MRP):

Offerta di lavoro

Si supponga che ogni individuo possa


scegliere quanto tempo dedicare al lavoro
per ogni periodo di tempo preso in
considerazione. L’alternativa al lavoro è il
tempo libero, che comprende tutte le
attività diverse dal lavoro. In questo
contesto il tempo libero si valuta in base il
suo costo opportunità, ossia al reddito da
lavoro a cui l’individuo rinuncia per poter
godere del tempo libero. Oltre che lavorare
e godere del tempo libero ciascun individuo
acquista un insieme di bene e servizi
attraverso il reddito che ottiene dal lavoro.

Il problema dell’individuo è quello di scegliere tra reddito e


tempo libero.La scelta per l’individuo è simile a quella tra due
beni già vista in relazione al comportamento del consumatore.
Il punto di ottimo si avrà quando la cura di indifferenza tra
reddito e tempo libero risulta tangente al vincolo di bilancio. Per
costruire la curva di offerta di lavoro di un lavoratore ci
chiediamo come varia l’ammontare ottimale di lavoro retribuito
65
al variare del saggio di salario. Variazioni del saggio salariale (w) conducono a variazioni
nelle scelte ottime dell’individuo. Di conseguenza, al variare del salario si ottiene la curva
individuale di offerta di lavoro. In tali situazioni tale curva può assumere un andamento
decrescente per valori elevati di w.

Curva di offerta di mercato

La curva di offerta di mercato per ogni categoria di lavoro si ottiene sommando


orizzontalmente le curve di offerta individuali di tutti i lavoratori, effettivi e potenziali, che
appartengono a quella categoria.
La curva di offerta per una determinata categoria di lavoro è quasi sicuramente inclinata
positivamente, la ragione di ciò risiede nel fatto che un incremento di salario per una
categoria di lavoro non comporta solo cambiamenti nel numero di ore lavorate dalle
persone che già appartengono a quella categoria ma attira anche persone appartenenti ad
altra categorie.

Monopsonio

Nel monopsonio opera una sola impresa e nuove imprese


non ci possono entrare.Per il monopsonista la curva di
offerta di lavoro è la curva di offerta del mercato stesso (ciò
perché è l’unico a lavorare nel mercato).
La curva di offerta del monopsonista si può anche definire
curva di costo medio del fattore (AFCC) perché indica la
spesa media per lavoratore ad ogni dato livello di
occupazione. Il costo totale di un dato livello di
occupazione, cioè il costo totale del fattore (TFC) è dato
dal livello di occupazione moltiplicato per il corrispondente
valore di AFCC. Il costo marginale del fattore (MFC) indica
di quanto varia il costo totale del fattore in seguito
all’assunzione di un lavoratore aggiuntivo:

Poiché impiegare un lavoratore in più significa sempre


pagare di più i lavoratori già impiegati, la curva MFC
starà sempre sopra la curva AFCC.Infatti:
AFCC=a+bL, MFC=a+2bL.
Il livello ottimale di occupazione è quello in
corrispondenza del quale MFC e la domanda di lavoro
si intersecano. A questo livello di occupazione,
l’impresa deve pagare un salario dato dal valore
corrispondente sulla sua curva di offerta. La curva di
domanda di lavoro rappresenta l’incremento nel ricavo
totale dell’impresa derivante dall’impiego di un unità
addizionale di lavoro, mentre la curva MFC
rappresenta il corrispondente aumento nel suo costo
totale.La struttura monopsonista è meno efficiente
rispetto alla struttura concorrenziale.

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Leggi sul minimo salariale

Le leggi o le norme contrattuali che impongono un salario minimo si propongono di


tutelare i lavoratori più deboli. Non sempre il minimo salariale porta un incremento
dell’occupazione in un mercato monopsonistico. È difficile affermare con certezza se tale
obiettivo venga raggiunto attraverso questi strumenti. È certo che l’introduzione di un
salario minimo al di sopra del livello di equilibrio determina un eccesso di offerta di lavoro
e quindi disoccupazione. E a qualunque livello maggiore di w* si ha l’effetto di una
riduzione del saggio di rendimento globale sull’investimento del monopolista. Se il profitto
del monopolista fosse fin dall’inizio prossimo al livello normale, l’effetto di lungo periodo
sarebbe quello di indurlo ad abbandonare il mercato.

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CAPITOLO XIII
(verificare se è nel programma)

L’esternalità, i diritti di proprietà e il teorema di Coase


Il teorema di Coase

Le esternalità sono molto importanti in ambito economico. Il teorema di Coase afferma che
si ha una esternalità quando l’azione di un agente economico impone dei costi (esternalità
negativa) oppure provoca benefici (esternalità positiva) ad altri agenti economici. Coase
sostiene che se il Governo non interferisse, gli individui per conto proprio, riuscirebbero
sempre ad ottenere soluzioni efficienti. Coase però afferma che questa conclusione è
valida solo in un mondo in cui le parti possono negoziare a costi relativamente bassi. Egli
ha riconosciuto che esistono importanti esternalità per le quali questa ipotesi non è
soddisfatta. I costi di negoziazione possono impedire la realizzazione di accordi che
porterebbero importanti benefici ad entrambe le parti. Le leggi e le istituzioni sociali più
efficienti sono quelle che pongono l’onere dell’adattamento alle esternalità a carico di
coloro che possono realizzarlo al minor costo → Regola di efficienza.

Le esternalità positive

Il teorema di Coase è applicabile non


solo alle esternalità negative ma
anche a quelle positive. In presenza
di esternalità positive o negative, si
avranno inefficienze solo quando la
negoziazione di accordi per
correggerle risulterà costosa o
difficile da realizzare.

La tassazione delle esternalità

È possibile cercare di rimediare alle inefficienze determinate dalle esternalità anche con
altri strumenti quali:
1)L’imposizione di tasse e/o sussidi sull’attività che genera l’esternalità seguendo
l’approccio chiamato “pigouviano”. Tuttavia queste tasse producono un effetto peggiore di
quello che si otterrebbe in loro assenza. Se la negoziazione è a costo zero, la tassazione
condurrà sempre a un risultato finale efficiente. Se la negoziazione non è praticabile, la
tassazione condurrà a un esito finale efficiente se colui che genera l’esternalità dispone
del metodo meno costoso per ridurre il danno. Se la negoziazione risulta impraticabile, è la
vittima a disporre del metodo meno costoso per evitare il danno, quindi la tassazione
conduce a un esito efficiente.
2)L’imposizione di quote di produzione seguendo l’approccio di una regolamentazione
diretta.
3) Anche con questi strumenti, tuttavia, si può incorrere alle difficoltà di tipo applicativo.

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