Sei sulla pagina 1di 9

ITALIA - CRONOLOGIA - L'ITALIA E IL SUO NOME

www.cronologia.it

Il nome ITALIA ci è tramandato fin dal V secolo a. C., quando già prevaleva su una pleiade di
nomi corrispondenti, di varia origine (Espéria, Ausónia, Enótria, ecc.). Esso designava allora la
penisola calabrese e la vicina costa ionica del Metaponto, ma all'inizio doveva limitarsi a
quell'estrema parte della Calabria, che giace a sud dei Golfi di S.Ufémia e di Squillace, oppure,
secondo un'altra possibile interpretazione delle fonti, presso a poco all'odierna Campania
meridionale (Cilento), tra i Fiumi Sele e Lao.

Antioco di Siracusa (V sec. a. C.) fa derivare tale nome da quello di un re ITALO, che tuttavia è
evidentemente leggendario.
Persuade piuttosto una sua derivazione dall'osco " viteliu", nel senso che il territorio fosse ricco di
bovini o che il vitello vi rappresentasse un animale sacro. La forma Italia si spiegherebbe quindi
anzitutto con la caduta della "V" iniziale, conseguente alla pronuncia delle genti della Magna
Grecia, attraverso le quali essa passò ai Romani.
Alla metà del IV secolo a. C. il nome Italia  abbraccia il Mezzogiorno continentale a Sud
di Paestum, sulla costa tirrenica.
Verso gl'inizi del III secolo esso include la Campania e dopo la Prima Guerra Punica comprende
quasi l'intera Penisola, fino all'Arno e all'Esino, allora limiti del dominio romano.

Per quanto riguarda la sua figura, la penisola colpì già le fantasie degli antichi, quantunque allora
la sua rappresentazione cartografica fossero molto approssimate e sommarie.
Infatti Polibio (II sec. a.C,) la paragonò a un triangolo e Strabone (1 sec. a.C.) a un quadrangolo,
mentre altri autori l'assimilarono a una foglia di quercia e altri d'edera. Un deciso avvicinamento
alla realtà, delle rappresentazione cartografiche si ebbe solo nel XIII sec., con la comparsa delle
carte nautiche. Si diffuse così gradatamente il paragone della Penisola con la gamba umana e,
solo a partire dal Cinquecento, quello dello stivale, cui in seguito il Giusti doveva dare rinomanza
poetica.

Durante il II secolo a. C., il nome, pur continuando ad avere nei due fiumi ( Arno e Esino) i suoi
termini politici, già li supera in un significato più ampiamente geografico, com'è dato di vedere in
Polibio e in Catone il Censore, che lo estendono fino all'arco alpino.
Nel 42 a. C. l'accordo fra Ottaviano e Antonio sanziona questa estensione, riconoscendo all'Italia i
limiti che già Cesare aveva indicato, cioè il Varo a Ovest e il Formione (oggi Risano) a Est. Di lì a
poco Augusto porta il confine d'Italia a coincidere in vari tratti con lo spartiacque principale alpino,
e, mantenendo il Varo come suo limite occidentale, ne sposta quello orientale all ' Arsa, fiumicello
dell'Ístria che si getta nel Golfo del Quarnaro. (vedi immagine sopra)

L'ultima importante fase dell'espansione del nome coincide con la fine del III secolo d.C., allorchè
Diocleziano unisce amministrativamente al resto d'Italia, nella così detta « diocesi italiciana », le
isole di Corsica, Sardegna e Sicilia, che fino allora costituivano territori extra-metropolitani
(provinciae). Sotto il suo impero, inoltre, il confine terrestre raggiunse ovunque lo spartiacque
principale alpino e anzi lo valicò in corrispondenza della Rezia (Tirolo XVI provincia italiac) e delle
Alpi Cozie. A parte queste due ultime discordanze, il nome acquista così la sua piena estensione.
Tuttavia il fatto che la "diocesi italiciana" è divisa da Diocleziano fra un vicarius Italiae, residente a
Milano, e un vicarius Urbis, residente a Roma, ha un effetto negativo sulla fortuna del nome Italia,
che tende a limitarsi solo alla parte settentrionale del Paese, escludendo Roma e quelle regioni
del Sud, in cui il nome paradossalmente era nato.
All'inizio del Medioevo questa involuzione è manifesta nel titolo di Regnum Italiae (Odoacre, 476),
corrispondente in effetti all'Italia Settentrionale. Ancor più grave è però, in seguito, l'insidia dei
nuovi nomi che si vengono plasmando su quelli dei popoli barbarici penetrati nel Paese. Se infatti
la forma Gozia ha una vita effimera, ben più vigorosa è quella di Longobardia, che dal VII al X
secolo sostituisce molto spesso il nome Italia o lo riduce a singole parti del territorio, come
il "Ducato d'Italia" nel Mezzogiorno (poi di Benevento) o la Marca d'Italia in Piemonte. Si giunge
così perfino a nominare più Italie, al plurale, come fanno gli storici Paolo Diacono e Ottone di
Frisinga.

II nome classico, comunque, resiste grazie alla forza della tradizione, acquistando dopo il Mille un
significato linguistico e culturale, oltre che territoriale, che trova la sua felice espressione in Dante.
Nei secoli che seguono, l'individualità geografica e storica dell'Italia si afferma sempre più,
traducendosi gradatamente, soprattutto nel Settecento, nell'istanza d'una corrispondente unità
politica. Questa è anticipata nel periodo Napoleonico, sia pure parzialmente e nominalmente,
dalla Repubblica Italiana (1802) e dal Regno Italico (1805-1814) e infine realizzata, in UNA, con
l'indipendenza, dal Regno d'Italia, proclamato il 17 marzo 1861.
Il nuovo Stato, privo ancora di Roma e di Venezia, copre con la sua area di 248.779 kmq appena
il 77% della (geografica) regione italiana (322.000 kmq), ma è fatalmente portato a estendere la
propria sovranità nei limiti della medesima. Successivi ingrandimenti territoriali avvengono nel
1866 (Veneto), nel 1870 (Roma) e nel 1874 (regolazione della frontiera svizzera) finchè, coi trattati
del 1919 e 1920, susseguenti alla prima guerra mondiale, anche la Venezia Tridentina e la
Venezia Giulia si riuniscono alla madrepatria, portando l'area ( politica) del Regno a 310.196 kmq.
A conclusione della seconda guerra mondiale il trattato di Parigi (1947 - lo riportiamo
integralmente in originale VEDI QUI) ha inflitto all'Italia dolorose mutilazioni territoriali a favore
della Francia e soprattutto della Jugoslavia, nonchè del neo-istituito Territorio Libero di Trieste.
L'accordo italo-jugoslavo del 1954 ha posto termine di fatto, all'esistenza del Territorio suddetto,
restituendo la parte settentrionale, ivi compreso il capoluogo, alla Repubblica Italiana. Questa
copre pertanto attualmente un'area di 301.191 kmq, pari presso a poco al 93% della regione
geografica.(*)

"Entro i limiti naturali, segnati dallo spatiacque alpino e del mare, la regione italiana misura
324.000 kmq. Occorre distinguere fra regione fisica e territorio politico: quella comprende infatti,
oltre alle province dell'odierna Repubblica, anche svariati altri territori, e cioè i seguenti: Città del
Vaticano kmq. 044; Repubblica di San Marino kmq 60,57; Principato di Monaco kmq 1,95;
Svizzera Italiana kmq 3933; Nizzardo e Corsica kmq.9409; Gruppo di Malta kmq 316; Venezia
Giulia e Istria iugoslave kmq 8393.
Si aggiungono ancora i ritocchi territoriali operati a favore della Francia lungo la frontiera Alpina e
che comprendono: il Piccolo San Bernardo kmq 3,22; la Conca del Moncenisio kmq 81,79; la
Valle Stretta col Monte Thabor, a occidente di Bardonecchia kmq 47,07, il Monte Chaberton con la
Valle del Rio Secco nella zona del Monginevro, a nord di Claviere, kmq 17,09; la valle superiore
della Roia, con i comuni di Briga e di Tenda kmq 560,33". (**)

I primi espliciti accenni al mare e alle Alpi, quali limiti fisici dell'Italia, risalgono, come s'è detto, al II
secolo a. C.. Polibio, Claudio Rutilio, Tito Livio, ecc. vedono nelle Alpi il baluardo dell'Italia; per il
Petrarca questa è il "bel paese ch'Appennin parte e il mar circonda e l'Alpe" ; in seguito, una folla
di scrittori italiani e stranieri ribadisce il concetto del duplice confine marittimo e alpino. Tuttavia
solo nell'Ottocento, sotto la spinta dell'incipiente unificazione politica del Paese e dell'evoluzione
della geografia scientifica, si esce dal vago e dall'indeterminato per precisare il tracciato del
confine terrestre della regione italiana e per identificarlo, in massima parte, con lo spartiacque che
divide il versante alpino interno da quello esterno, tributario del Mediterraneo occidentale, del
Mare del Nord e del Mar Nero.

Lo spartiacque, ovviamente, non è che uno dei tanti possibili limiti "naturali" di una regione
(accanto a quelli geomorfologico, climatico, botanico, zoologico e anche etnico), ma per il suo
carattere lineare è di solito quello che si riconosce meglio, mentre gli altri sfumano in zone di
transizione, spesso molto confuse. Inoltre la displuviale, che corrisponde di massima
all'allineamento delle vette più alte, esercita un'evidente funzione divisoria sotto il punto di vista
non solo idrografico, ma anche economico e psicologico, come appunto si verifica nel caso del
nostro confine alpino. Vero è che al di qua di esso vivono nuclei di popolazioni alloglotte (del resto
in parte bilanciate da nuclei di lingua italiana insediati oltre lo spartiacque - come in Svizzera), che
rappresentano nell'insieme appena 1'1,5% degli abitanti della regione italiana, la quale ha perciò
una compattezza etnica presso che eccezionale.

Appaiono dunque palesemente infondati quei tentativi stranieri che vorrebbero collocare i termini
naturali dell'Italia al di qua dello spartiacque principale alpino, cioè alle chiuse dell'Isarco o
dell'Adige e ai margini orientali della Pianura Veneta. Per la prima tesi si può obbiettare che la
funzione separatrice delle chiuse è di gran lunga inferiore a quella dello spartiacque anche per
quanto concerne strettamente il traffico; per la seconda, che certi comuni caratteri geo-morfologici
(come, ad esempio, il carsismo) non bastano a dimostrare l'appartenenza della Venézia Giúlia alla
Balcania, tanto più che analoghe affinità esistono fra la Venezia Giulia stessa e altre parti
dell'Italia continentale e peninsulare.

In realtà, il confine naturale terrestre della regione italiana è bene individuabile anche nelle sue
estreme sezioni occidentale e orientale, dove alcune particolari condizioni locali possono
obiettivamente provocare, nei dettagli, qualche divergenza d'interpretazione. A Ovest, infatti, il
confine può essere rappresentato da quel contrafforte delle Alpi Marittime che, staccandosi dallo
spartiacque padano-ligure in corrispondenza del M. Clapier m 3046. divide i bacini della Roia e del
Paglione da un lato da quello del Varo dall'altro raggiungendo la costa poco lungi dalla foce di
quest'ultimo, a SO di Nizza. A E, nonostante il carattere più depresso dell'orografia e la scarsità
dell'idrografia superficiale che si riscontrano a mezzogiorno del Passo di Nauporto, la continuità
del baluardo montano è assicurata dai rilievi posti fra il M. Pomario e il M. Nevoso , 1796, suo
pilastro termionale, donde esso raggiunge il Golfo del Quarnaro al Vallone di Buccari,
immediatamente a SE di Fiume.
LE REGIONI

Ad Augusto risalgono il nome di 11 regioni della Penisola (senza il territorio insulare -Sicilia,
Sardegna, Corsica- considerato extra metropolitano) ed erano le seguenti:
(I) LAZIO e CAMPANIA; (II) PUGLIA e CALABRIA quest'ultima indicava allora solo il Salentino);
(III) LUCANIA e BRUZZIO (cioè Basilicata e Calabria attuali); (IV) SANNIO; V PICENO; (VI)
Umbria; VII ETRURIA; (VIII) GALLIA CISPADANA (Emilia); (IX) LIGURIA (l'attuale, fino al di qua
del Po a partire dalla sorgente); (X) VENECIA e ISTRIA; (XI) GALLIA TRASPADANA (l'attuale
Lombardia con l'attuale Val D'Aosta e Piemonte al di là del Po)

(qui la carta geografica dell'Italia Augustea)


.

Dopo le modificazioni di Diocleziano e da altri imperatori, nel V secolo le regioni erano 16:

(1) LAZIO e CAMPANIA; (2) TUSCIA e UMBRIA; (34) PICENO; (4) VALERIA (il Rietino); (5)
SANNIO; (6) PUGLIA e CALABRIA (la Puglia odierna); (7) LUCANIA e BRUZZIO (la Basilicata e
la Calabria attuale); (8) VENEZIA e ISTRIA; (9) EMILIA, (10) FLAMINIA (parte dell'attuale Emilia e
parte delle Marche); (11) LIGURIA (Lombardia e buona parte del Piemonte); (12) ALPI COZIE (la
Liguria detta sopra più il Nizzardo); (13) REZIA PRIMA (Trentino e Alto Adige attuale); (14)
CORSICA; (15) SARDEGNA e SICILIA).
(16) La REZIA SECONDA che però era estranea all'Italia e comprendeva l'attuale Tirolo
austriaco).

Nel Medioevo, già a partire dalla caduta dell'Impero Romano, questa divisione inizia gradualmente
a scomparire, e i nomi dopo l'invasione Longobarda sono del tutto dimenticati. Nascono i ducati, le
nuove circoscrizioni politiche (bizantine e longobarde); quelle ecclesiastiche, e nell'VIII e IX sec. le
Marche, i Principati, i Marchesati, e poi dal X al XII-XIII sec. quella frammentazione che daranno il
nome ai Comuni e successivamente alle Signorie.

Solo nel Rinascimento alcuni nomi tornarono in auge, ma per un brevissimo periodo.
Solo nella prima metà dell'Ottocento, all'epoca della realizzazione dell'Unità, i nomi augustei delle
regioni tornano ad esercitare il loro fascino.

Una nuova partizione regionale per il nuovo Regno d'Italia che si è formato nel 1861, viene prima
concepita da PIETRO MAESTRI, poi nel 1867 il suo progetto è applicato da CESARE
CORRENTI, che divide l'Italia in 16 (chiamati allora non regioni ma) Compartimenti e cioè
PIEMONTE, LIGURIA, LOMBARDIA, VENETO, EMILIA, TOSCANA, MARCHE, UMBRIA, LAZIO,
ABRUZZI e MOLISE, CAMPANIA, PUGLIA, BASILICATA, CALABRIA, SICILIA e SARDEGNA.
(dopo il 1918 portate a 18 con la Venezia Tridentina, e la Venezia Giulia).

Queste partizioni non coincidono esattamente con quelle augustee, ma in quanto a caratteri fisici
e umani, sono state dal Maestri e dal Correnti abbastanza bene individuate come areee. Non
avevano però una figura giuridica ma costituivano semplici raggruppamenti di province. Tuttavia
proprio per essere state bene individuate come caratteri umani, dialetti, tradizioni, cultura, le
popolazioni di queste partizioni (Compartimenti, ex circoscrizioni) assumono una propria
coscienza "nazionale", tanto che a partire dal 1913, queste aeree sono ufficialmente chiamate
"regioni".
Ma una vera e propria figura giuridica le regioni le assumono con la nuova Costituzione della
Repubblica nel 1947, che le riconosceva "enti autonomi con propri poteri e funzioni", e
contemporaneamente il loro numero era portato a 19 con la creazione della Val d'Aosta.

Riconoscimento di autonomia che fu applicato per scottanti ragioni politiche solo a quattro regioni,
Trentino-Alto Adige, Val d'Aosta, Sicilia e Sardegna.
Le altre regioni dovranno aspettare il 1970; tuttavia un riconoscimento con scarse autonomie, a
causa delle dure opposizioni politiche del governo centrale (democristiano), che temeva con il
decentramento delle funzioni dello Stato, la perdita della sovranità territoriale (e soprattutto quella
amministrativa e finanziaria) da quelle amministrazioni regionali rette da forze di opposizione (di
sinistra), come in Emilia e in Toscana.

Terminati questi timori, sono poi apparse negli anni Novanta, le spinte federaliste, per adeguare -
dicono i sostenitori delle autonomie regionali- norme e regolamenti alle condizioni specifiche di
un'area per favorirne lo sviluppo (ma le più ostinate a chiederle queste norme sono quelle più
sviluppate). Sono problematiche che ancora nell'anno 2001 non sono state ancora risolte
all'interno della stessa nuova coalizioni di maggioranza di Centro-destra al governo. Anche perchè
al decentramento, sia la destra storica che i conservatori sono sempre stata contrari; lo stesso
fascismo (a vocazione centralista) fu addirittura ostile; al federalismo e alle autonomie.

Abbiamo detto sopra che nella spartizione fatta dal Maestri e dal Correnti risaltano le individualità
delle singole regioni, le cui popolazioni hanno formato una certa coesistenza, per considerazioni
storiche (come la Toscana), per animo popolare, per antiche tradizioni di cultura, di lingua e anche
per particolari caratteristiche fisiche e somatiche.

Ma non dimentichiamo che ci sono queste individualità fisiche e storiche (e spesso più consistenti,
e dall'antichità molto radicate) anche in piccole e piccolissime "sub-regioni"  della penisola, che i
locali conservano gelosamente. Fra le piccole, la Valtellina, il Sannio, la Capitanata e il Salento.
Fra le piccolissime il Canavese, il Monferrato, la Carnia, il Polesine, il Marchesato, le Cinque
Terre, la Conca d'Oro, la Lomellina, le Langhe, la Brianza, l'Oltrepò Pavese, il Cadore, i Tredici
Comuni dell'altipiano d'Asiago (I Cimbri!), la Val di Fiemme, il Montefeltro, la Garfagnana, il
Chianti, la Ciociaria, la Terra del Lavoro, l'Irpinia, la Val di Noto, la Barbagia.
In tutte queste, e forse qualcuna le ho dimenticate, ci sono antiche tradizioni civili che hanno una
profonda risonanza nell'anima popolare di queste aree, spesso più marcate rispetto alle regioni
più grandi, non immune queste da forti incompatibilità caratteriali, spesso anche fra città e paesi
vicinissimi.

I motivi? Sono dentro questa storia, nelle varie epoche.


Che ha fatto nascere quella mirabile varietà della popolazione italiana, che non dimentichiamo per
quasi duemila anni è sempre oscillata come numero fra i 10 e i 20 milioni di abitanti.
E che abitanti !!! Quante indomite lotte! Quante umiliazioni ! Quante sconfitte !
Ciononostante:
Quanti ingegni ! Quante bellezze nel suo seno ! Quanta creatività poi sparsa per il mondo !

....da quell' "punto", che per un ottuso politico (indubbiamente non conosceva la storia d'Italia)
altro non era che una "espressione geografica"
Invece era l' ITALIA !!

TORNIAMO A ROMA, RIPARTENDO DA CIRCA 20.000 ANNI FA > >

Potrebbero piacerti anche