STORIA DI FLINX
(For Love Of Mother-Not, 1983)
I
II
III
IV
VI
VII
VIII
IX
XI
XII
XIII
Non c'era niente nella piccola sala operatoria che non fosse
stato completamente sterilizzato. A Mamma Mastino non re-
stava più nessuna forza per combattere mentre la legavano
con fermezza, ma delicatamente, al tavolo tiepido. Le sue be-
stemmie e le imprecazioni erano ridotte a implorazioni appena
appena uggiolate, più frutto di riflesso che altro, giacché ormai
aveva capito che niente avrebbe dissuaso quei pazzi dalle loro
intenzioni. Alla fine non ebbe neppure più la volontà d'implo-
rare e si accontentò di fissare a labbra strette i suoi tormenta-
tori.
Delle luci vivide si accesero, abbagliandola. La donna alta e
nera era in piedi alla destra del tavolo, intenta a controllare un
cerchio di plastica grande quanto il palmo d'una mano. Mam-
ma Mastino riconobbe la siringa a pressione e distolse lo sguar-
do da essa.
Come i suoi compagni, Haithness indossava una tunica chia-
ra da chirurgo e una maschera che le lasciava scoperti soltanto
gli occhi. Nyassa-lee inserì le forbici che sarebbero servite a
depilare il cranio del soggetto. Brora, che avrebbe eseguito il
trapianto vero e proprio, si teneva in disparte intento a con-
trollare dei dati su uno schermo appeso appena sopra e dietro
la testa di Mamma Mastino. Di tanto in tanto gettava un'oc-
chiata al ripiano sul quale erano posati gli strumenti chirurgici
e parecchie scatole quadrate trasparenti appannate dalla bri-
na. All'interno delle scatole c'erano le componenti microelet-
triche che avrebbe trapiantato nel cranio del soggetto.
Una massa metallica globulare appesa al soffitto si trovava
sulla verticale del tavolo operatorio, luccicante come una me-
dusa d'acciaio. Dai suoi visceri s'irradiavano bracciate di filo
metallico e altre appendici. Tutti questi collegamenti avrebbe-
ro fornito energia ai vari accessori, succhiando i liquidi organi-
ci attraverso i tubi, e sostituendo temporaneamente qualunque
organo che avesse mostrato sintomi di cedimento sotto l'opera-
zione. C'erano sottilissimi filamenti che potevano sostituire i
capillari cerebrali, appendici che avrebbero potuto fondere o
scavare le ossa, e congegni in grado di scavalcare i polmoni e
fornire direttamente ossigeno al sangue.
— Sono pronto a cominciare. — Brora rivolse un flebile sorri-
so a Nyassa-lee, la quale annuì. Fissò la sua collega. — Haith-
ness? — La donna alta e nera gli rispose con gli occhi mentre
preparava la siringa.
— Un ultimo controllo degli strumenti, allora — mormorò
l'uomo, rivolgendo la sua attenzione al ripiano che ospitava gli
strumenti per la microchirurgìa. Sopra di lui la medusa ronza-
va in attesa.
— Questo sì che è strano. — Brora ristette, corrugando la
fronte. — Guardate qui. — Le due donne si sporsero verso di lui.
Gli strumenti, le minuscole scatole col loro contenuto con-
gelato, perfino lo stesso ripiano, parevano vibrare.
— Problemi con la corrente? — azzardò Nyassa-lee. Sollevò lo
sguardo e vide che il globo centrale di sostegno ondeggiava
leggermente.
— Non lo so. Certo, se si trattasse di qualcosa di serio, a que-
st'ora ce l'avrebbero detto — borbottò Brora. Le vibrazioni s'in-
tensificavano. Una delle sonde rotolò giù dal ripiano e rimbalzò
sul pavimento di plastica. — Mi pare che stia peggiorando. —
Un lieve rombo giunse ai loro orecchi da qualche parte all'e-
sterno. A Brora parve che arrivasse da ovest.
— Una tempesta in avvicinamento? — chiese Nyassa-lee, cor-
rugando la fronte.
Brora scosse la testa. — Il tuono non farebbe tremare il ta-
volo, e le previsioni del tempo non hanno parlato di tempeste
imminenti. E non può neppure essere un terremoto. Questa re-
gione è sismicamente stabile.
Il tuono che continuava a crescere d'intensità non scendeva
dalle lontananze del cielo ma saliva dal terreno disturbato da
qualcosa. D'un tratto il sistema di allarme entrò in funzione in
tutto il campo. I tre chirurghi si guardarono confusi quando il
rombo cominciò a scuotere non soltanto i tavoli e gli strumenti,
ma l'intero edificio.
Le sirene di allarme ululavano lamentose. Poi esplose un fra-
gore lacerante quando qualcosa si riversò attraverso l'estre-
mità opposta della sala conferenze, mancando la sala chirurgi-
ca per un margine minimo. Fu visibile solo per pochi istanti,
anche se bastò per riempire ogni cosa. Poi passò oltre, trasci-
nando sulla sua scia sezioni di tronchi e di pietre fasulli, facen-
do entrare il cielo e la nebbia e lasciandosi alle spalle un'ampia
depressione nelle fondamenta di plastacciaio. Haithness ebbe
modo di vedere meglio dei compagni mentre i detriti cadevano
giù dal tetto lentamente a coprire il segno: era l'impronta d'uno
zoccolo.
Nyassa-lee si strappò di dosso la maschera chirurgica e corse
verso la porta più vicina. Brora e Haithness le furono subito
dietro. Alla loro fuga, Mamma Mastino, che si era ormai rasse-
gnata a perdere quella parte di sé che le garantiva libertà e in-
dipendenza, d'un tratto ritrovò la voce e si mise a gridare aiu-
to.
Polvere e frammenti di materia isolante cominciarono a ca-
der giù dal soffitto man mano il rombo e il violento tremito
continuavano a crescere d'intensità intorno a lei. La sfera chi-
rurgica multibraccia sopra il tavolo operatorio stava adesso
oscillando pericolosamente avanti e indietro, ruotando su se
stessa, minacciando, a ogni sobbalzo, di staccarsi dai suoi so-
stegni.
Mamma Mastino non sprecò energia nel futile tentativo di
spezzare le cinghie che la tenevano legata. Conosceva i propri
limiti. Invece impegnò tutta la forza che le rimaneva per urlare
con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Non appena erano entrati nei confini del raggio sonico che
circondava il campo, Lauren aveva accelerato ancora, lancian-
dosi a velocità pericolosamente alta al di là della torre centra-
le. Qualcuno aveva avuto la presenza di spirito di afferrare
un'arma, ai frenetici ululati della sirena d'allarme, ma il fucile
ad energia sparò troppo precipitosamente e mancò il fluttuan-
te ormai in fuga.
Allo stesso tempo, colui che impugnava il fucile aveva visto
qualcosa che veniva scagliato fuori dal retro dell'apparecchio
invasore. Si era tirato istintivamente indietro, e quando non
era seguita nessuna esplosione, si era sporto dalla finestra del
terzo piano per fissare incuriosito il vetro fracassato e il liqui-
do verde-rosso che colava lungo il fianco dell'edificio. Ma non
restò a fissarlo a lungo, facendo ipotesi, poiché la sua situazio-
ne e quella dei suoi compagni nella torre fu ben presto occupa-
ta dalla marea nera che usciva dalla foresta col rombare d'un
tuono.
La mandria frustrata e incollerita concentrò tutta la sua at-
tenzione verso la direzione da cui giungeva più intenso quello
sconvolgente odore. La torre centrale, che conteneva le princi-
pali attrezzature per la comunicazione e la difesa dell'accam-
pamento, fu in pochi attimi ridotta a un cumulo di macerie di
plastica e metallo.
Nel frattempo Lauren aveva riportato indietro il fluttuante
facendogli descrivere un ampio cerchio e infine atterrando fra
i due lunghi edifici sul lato ovest del campo. Il personale del
campo era troppo impegnato nel tentativo di fuggire nella fore-
sta, schivando quegli enormi zoccoli, per porsi domande circa
la presenza d'un velivolo sconosciuto fra loro.
Avevano cinquanta probabilità su cento d'imbroccare l'edi-
ficio giusto al primo tentativo. La fortuna volle che scegliesse-
ro bene... e non grazie al suo talento, pensò Flinx, che non l'a-
veva aiutato proprio per niente.
Il tetto cominciava già a crollare sulla sala operatoria quando
infine raggiunsero quell'estremità dell'edificio.
— Flinx, come hai...? — cominciò a balbettare Mamma Masti-
no.
— Come ha fatto a sapere dove trovarla? — finì per lei Lau-
ren, mentre cominciava a lavorare alle cinghie che imprigio-
navano il braccio destro della vecchia donna.
— No — la corresse Mamma Mastino. — Avevo cominciato a
chiedergli come aveva fatto ad arrivare fin qui senza soldi. Non
pensavo che fosse possibile andare da qualche parte su Falena
senza soldi.
— Ne avevo un po', Mamma. — Flinx le sorrise. La vecchia
donna appariva illesa, era soltanto logorata a causa della du-
rissima prova di quei giorni frenetici e confusi. — E ho altre ca-
pacità, sai.
— Ah — annuì la vecchia con aria cupa.
— No, non quello — lui la corresse. — Ti sei dimenticata che ci
sono altri modi di usare le cose senza dover pagare per farlo.
La vecchia scoppiò a ridere a quelle parole. L'echeggiare di
quella risata gracchiante lo rincuorò. Per un attimo, Mamma
Mastino dominò le urla e gli echi della distruzione che riempi-
vano l'aria fuori dell'edificio. La terra tremava sotto i loro pie-
di.
— Sì, sì, sei sempre stato in gamba ad aiutare te stesso quan-
do ti serviva qualcosa. Non ti ho avvertito anche troppo spesso
di non farlo? Ma non credo che adesso ci sia il tempo di rim-
proverarti. — Sollevò lo sguardo su Lauren, che stava faticando
a sciogliere le cinghie.
— Adesso — chiese la vecchia, sollevando le sopracciglia, —
questa, chi è?
— Un'amica — le assicurò Flinx. — Lauren, le presento Mam-
ma Mastino.
— Incantata, nonna. — Lauren digrignò i denti mentre lottava
con le cinghie recalcitranti. — Dannati ganci magnetici in-
corporati nel polietilene! — Guardò Flinx. — Forse dovremo ta-
gliargli.
— So che puoi farcela da sola. — Flinx si girò di scatto e corse
verso la porta infranta, schivando per un soffio un'intera se-
zione del tetto che si schiantò al suolo.
— Ehi, dove diavolo crede di andare? — gli gridò dietro Lau-
ren.
— Voglio delle risposte — lui le gridò di rimando. — Non so an-
cora cosa sia tutta questa storia, e che io sia dannato se me ne
andrò di qui senza tentare di scoprirlo!
— Si tratta di te, ragazzo! — gli gridò a sua volta Mamma Ma-
stino. — Volevano servirsi di me per influenzarti! — Ma Flinx
era già fuori portata della sua voce. Mamma Mastino tornò ad
appoggiare la testa sul tavolo operatorio e fissò preoccupata il
soffitto che vibrava e cigolava. — Quel ragazzo — borbottò, —
non so se mi sia costato più guai di quanto valesse la pena.
Le cinghie che le imprigionavano la parte superiore del corpo
cedettero d'un tratto con un sonoro clic, e Lauren esalò un so-
spiro di sollievo. Era conscia quanto Mamma Mastino della
precarietà dello scricchiolante soffitto e della pesantissima
massa del globo chirurgico che oscillava come un pendolo so-
pra il tavolo operatorio.
— Dubito che lei parli sul serio, donna — dichiarò Lauren,
calma. — E dovrebbe smetterla di considerarlo un ragazzo. — Si
scambiarono una lunga occhiata, i vecchi occhi che sprizza-
vano domande, e gli occhi più giovani che fornivano una rispo-
sta eloquente.
XIV
XV
La città puzzava di umani e di altre creature, di animali e ci-
bi esotici, di resine e materiali da costruzione vecchi e nuovi, il
tutto intaccato dall'eterna umidità che impregnava allo stesso
modo i materiali organici e inorganici. Ma tutto questo erano
fiori e delicati aromi per Flinx. La macchina da trasporto si ar-
restò con un sibilo all'esterno del piccolo bar rivestito di pan-
nelli e con il poco credito che gli restava Flinx pagò la macchi-
na! Questa rispose con un meccanico: — Grazie, signore, —
prima di allontanarsi lungo la strada alla ricerca del suo suc-
cessivo passeggero.
Mamma Mastino si appoggiò pesantemente contro di lui
mentre entravano. Quell'esperienza le aveva fatto sentire la
sua età, ed era molto stanca. Così stanca che neppure si ritrae-
va davanti al serpente arrotolato sulla spalla di Flinx.
Quando furono entrati, Pip si srotolò dal suo posatoio sotto
l'incerato che Lauren Walder aveva fornito a Flinx e si avviò
serpeggiando verso il banco del bar. Conosceva quel posto: da-
vanti a lui c'erano scodelle di pretzel, noci termac e altre squi-
sitezze salate con le quali era quasi più divertente giocare, ol-
tre che mangiarle.
Flinx aveva fatto ritorno sulla piazza del mercato compiendo
deliberatamente un percorso a zig-zag, con molte giravolte e
cambiando spesso mezzo di trasporto, cercando il più possibile
di viaggiare in compagnia di altri passeggeri. Per quanto aves-
se aguzzato i sensi, non scoprì nessun indizio che qualcuno li
seguisse, né il minidrago aveva reagito con ostilità verso quei
viaggiatori che avevano guardato di traverso il giovane esau-
sto e la vecchia che era con lui. Tuttavia, era appunto questa
cautela che li aveva spinti a far visita a questo bar prima di far
ritorno nel negozio. Sarebbe stato saggio non tornare in casa
da soli, e Small Symm, il proprietario del bar, avrebbe costitui-
to un'ottima compagnia da avere a portata di mano quando
avessero appoggiato di nuovo il palmo della mano sulla serra-
tura dell'ingresso esterno. Entro un certo grado, i suoi talenti
fisici uguagliavano quelli mentali di Flinx.
Come gigante, Small Symm era sulla media. Era diventato
amico di Flinx sin dal giorno in cui il ragazzo era stato adotta-
to. Acquistava spesso da Mamma Mastino degli interessanti
utensili per farne uso nel suo locale.
Una mano enorme comparve e sospinse i due viaggiatori in
un separé. Al lungo banco metallico, intanto, gli altri avventori
si facevano nervosamente da parte per consentire all'acrobati-
co rettile volante di aver libero accesso ai pretzel.
— Ho sentito — disse il giovane gigante a mo' di saluto, la sua
voce era un eco che saliva dalle profondità del petto cavernoso,
— che eravate tornati. Le notizie viaggiano in fretta qui nel
mercato.
— Stiamo bene, Symm. — Flinx gratificò il suo amico d'uno
stanco sorriso. — Me la sentirei di dormire un anno... Ma a par-
te questo, sto benissimo.
Il gigante tirò fuori un tavolo vicino al separé e l'usò come
sedia. — Cosa posso offrirvi? Qualcosa di caldo e piacevole da
bere?
— Non adesso, ragazzo — disse Mamma Mastino con un gesto
della mano rugosa. — Siamo ansiosi di arrivare a casa. È della
tua buona compagnia che vogliamo usufruire, non delle tue be-
vande. — Si azzitti e lasciò che fosse Flinx a fornire la maggior
parte delle spiegazioni.
Small Symm corrugò la fronte, le sue sopracciglia si con-
giunsero come nubi nel cielo. — Pensate che questa gente vi
stia ancora cercando?
Mamma Mastino stava quasi per dire «Non è me che stanno
cercando», ma sia pure a stento riuscì a trattenere la lingua.
Era convinta che fosse ancora troppo presto, per rivelare a
Flinx tutto quello che aveva appreso. Troppo presto. Disse, in-
vece: — Improbabile ma non impossibile, e io non sono il tipo da
tentare la sorte... soprattutto una sorte bastarda!
— Capisco. — Symm si risollevò in tutta la sua statura. La sua
voce toccava quasi il soffitto. — Vi piacerebbe una compagnia
amichevole sulla via di casa.
— Se riuscirai a trovare un briciolo di tempo... — gli disse
Flinx con gratitudine. — Anche se io credo che abbiamo proprio
finito con quella gente. — Non gli disse che era convinto che
fossero tutti morti. Non c'era bisogno di complicare ancor di
più le cose. — Ma ci sentiremo di sicuro assai più a nostro agio
se verrai con noi mentre controlliamo il negozio.
— Ci metterò solo un attimo — gli assicurò Symm. — Aspetta-
te qui. — Scomparve dentro una stanza sul retro. Quando tornò
era in compagnia d'una giovane donna alta. Le parlò a voce
bassa per qualche istante, la donna annuì in risposta, poi il gi-
gante raggiunse di nuovo i suoi visitatori. Indossava un incera-
to che sia pure a stento avrebbe protetto un edificio di medie
dimensioni.
— Sono pronto — annunciò. — Nakina baderà agli affari fino al
mio ritorno. A meno che non vogliate riposarvi ancora per un
po'.
— No, no. — Mamma Mastino si alzò in piedi con uno sforzo. —
Mi riposerò quando sarò tornata a casa, nel mio negozio.
La stradina laterale dove si trovava la bottega di Mamma
Mastino non era molto lontana dal locale di Small Symm. E con
Symm che la portava quasi di peso ci misero poco ad arrivarci.
— Sembra vuoto — commentò Symm mentre metteva giù, in
piedi, la vecchia donna.
Era sera. La maggior parte dei negozi erano già chiusi, forse
perché la pioggia cadeva più forte del solito. Al mercato il clima
era spesso l'arbitro più imparziale e drastico dell'economia lo-
cale.
— Immagino che sia tutto a posto. — Mamma Mastino fece un
passo verso la porta principale.
— Aspetta un momento. — Flinx allungò un braccio per trat-
tenerla. — Laggiù, sulla sinistra del negozio...
Symm e Mamma Mastino guardarono nella direzione indi-
cata. — Non vedo niente — disse il gigante.
— Mi è parso di vedere un movimento. — Flinx abbassò lo
sguardo su Pip. Il serpente volante sonnecchiava pacifico sotto
l'incerato. Naturalmente gli umori del rettile erano spesso im-
prevedibili, ma quella sua prolungata calma era pur sempre un
buon segno. Flinx indicò con un gesto la sua destra. Il gigante
annuì e si allontanò, come una grande ombra, per nascondersi
nel buio vicino al negozio vuoto sulla sinistra. Flinx avanzò sul
lato opposto, a tribordo, come avrebbe detto Lauren. Gli ci era
voluto un po' per perdonarle il fatto di essersi dileguata in quel
modo (e anche per perdonare Mamma Mastino per averglielo
lasciato fare) mentre lui era ancora profondamente addormen-
tato. Si chiese cosa stesse facendo adesso, eppure il ricordo di
lei cominciava già a svanire. Avrebbe impiegato un po' più di
tempo per sfuggire alle sue emozioni.
Mamma Mastino attese immobile mentre l'amico e il figlio
adottivo si allontanavano in direzioni opposte. Non le importa-
va di dover stare li ferma sotto la pioggia. Era la pioggia di
Drallar, che in qualche modo era diversa da quella che cadeva
in qualunque altra parte dell'universo.
Flinx strisciò con cautela lungo le umide pareti di plastica sul
davanti del negozio, avvicinandosi al vicolo che serpeggiava
dietro la loro casa. Se il movimento che pensava di aver intra-
visto significava la presenza di qualche spia in attesa del loro
ritorno, non voleva che quell'individuo facesse rapporto ai suoi
superiori fino a quando lui stesso non gli avesse spremuto fuori
ogni informazione.
Ecco... di nuovo il movimento, non c'era alcun dubbio sta-
volta! Si stava allontanando da lui. Flinx accelerò il passo te-
nendosi fra le ombre più profonde. Lo stiletto che portava nello
stivale adesso era nella sua mano destra, freddo e familiare.
Poi, un grido nell'oscurità davanti a lui, e una forma enorme
gli si profilò di fronte. Flinx si lanciò in avanti, pronto ad aiuta-
re anche se era improbabile che il gigante ne avesse bisogno.
Poi qualcosa di nuovo, qualcosa d'inatteso... una risata nervo-
sa.
— Ciao, Flinx-ragazzo. — Alla fioca luce Flinx distinse la figu-
ra di Arrapkha.
— Ciao a te. — Flinx reinfilò lo stiletto al suo posto. — Mi hai
dato motivo di preoccupazione. Pensavo che l'avessimo finita
con le ombre della notte.
— Io ti avrei dato motivo di preoccupazione? — L'artigiano
indicò la massa di Small Symm che si ergeva dietro di lui.
— Mi spiace — si scusò Symm. — Non eravamo riusciti a ve-
dere chi eri.
— Adesso lo sapete. — Arrapkha tornò a fissare Flinx. — Ho
sorvegliato il negozio per te. — Symm andò a rassicurare
Mamma Mastino. — Sai — proseguì Arrapkha, — volevo esser
sicuro che nessuno scassinasse la porta cercando di rubar
qualcosa.
— È stato gentile da parte tua — disse Flinx mentre facevano
ritorno verso la strada.
— Mi fa piacere rivederti, Flinx-ragazzo. Ti avevo dato per
perduto non molto tempo dopo che te n'eri andato.
— E allora, perché hai continuato a sorvegliare il negozio?
Il vecchio sogghignò. — Non potevo smettere di sperare, sup-
pongo. Di cosa mai si trattava?
— Qualcosa d'illegale in cui Mamma Mastino è rimasta coin-
volta molti anni fa — gli spiegò Flinx. — Non si è addentrata nei
particolari. Mi ha detto soltanto che c'era di mezzo una ven-
detta.
— C'è gente che ha davvero la memoria lunga — replicò Ar-
rapkha, annuendo. — Dal momento che siete ritornati sani e
salvi, suppongo che tu abbia fatto la pace con la gente che ha
rapito tua madre?
— Abbiamo concluso una transazione — tagliò corto Flinx.
Riemersero nella strada, dove Symm e Mamma Mastino li
stavano aspettando.
— Cosi eri tu, Arrapkha. Ignorante d'un fleurm che non sei al-
tro! Farci preoccupare così! — La vecchia sorrise. — Co-
munque, non avrei mai pensato quanto sarei stata contenta di
rivederti!
— Neanch'io — confessò l'artista del legno. Indicò Flinx con
un gesto. — Quel tuo ragazzo è cocciuto quant'è temerario. Ho
fatto del mio meglio per convincerlo a non cercarti.
— Gli avrei detto la stessa cosa anch'io — replicò la vecchia, —
e non avrebbe ascoltato neppure me. Sì, è un gran testardo. —
Si permise un'occhiata di imperdonabile orgoglio. Flinx la fissò
imbarazzato. — Ed è una fortuna per me.
— Vecchie conoscenze e cattivi affari. — Arrapkha agitò un
dito ammonitore verso di lei. Guardati dalle vecchie cono-
scenze, dai cattivi affari e dalle imprese lasciate in sospeso...
— Ah, sì. — La vecchia donna si affrettò a cambiare argo-
mento. — Hai sorvegliato per me il vecchio negozio, eh? Allora
sarà meglio che faccia con gran cura l'inventario non appena
saremo dentro. — Scoppiarono tutti e due a ridere.
— Se pensate che io possa andarmene, adesso — mormorò
Small Symm. — Nakina ha un caratteraccio e non sa far bene
gli affari.
Mamma Mastino parve pensierosa. — Se il nostro amico qui
presente insiste a dire di aver sempre tenuto d'occhio il ne-
gozio...
— L'ho tenuto d'occhio, eccome — insisté Arrapkha. — A meno
che non abbiano scavato una galleria per entrare, nessuno è
penetrato all'interno da quando il ragazzo è partito per venirti
a cercare.
— Non c'è modo di scavar gallerie sotto queste strade — os-
servò la vecchia con un sorriso. — Finirebbero dentro le fogne.
— Si girò verso la sua scorta. — Molte grazie, Symm. Puoi tor-
nare di corsa nella tua adorabile tana d'iniquità.
— Oh, certamente non lo è — replicò il gigante con modestia.
— Un giorno, forse, se lavorerò duro.
Flinx tese una mano che scomparve nella stretta del gigante.
— Ti ringrazio anch'io, Symm.
— Nessun problema. Lieto di aiutarti. — Poi il gigante si voltò
e si allontanò a passi poderosi nella notte.
I tre amici si diressero verso la porta d'ingresso. Mamma
Mastino appoggiò il palmo della mano destra contro la piastra
della serratura. Questa diede subito in un clic e la porta scivolò
via lasciandoli entrare. Flinx accese le luci, le quali gli permise-
ro di vedere chiaramente che, almeno in apparenza, l'area del
negozio era intatta. I vari oggetti erano rimasti là dove li ave-
vano lasciati, luccicanti e rassicuranti, sotto la luce, nella loro
familiarità.
— Pare che sia rimasto tutto allo stesso modo di quando me
ne sono andata — commentò Mamma Mastino in tono grato.
— Pare addirittura lo stesso di dieci anni fa. — Arrapkha
scosse lentamente la testa. — Non cambi molto, Mamma Ma-
stino, e neppure una parte della tua roba. Credo che tu sia
troppo affezionata a certi pezzi per venderli.
— Non c'è niente a cui sia tanto affezionata da non venderlo —
lo rimbeccò la vecchia donna, — e la mia roba cambia due volte
più velocemente di quel mucchio di spazzatura mezza mangia-
ta dagli scarafaggi che tu cerchi di rifilare ai tuoi ingenui clien-
ti, spacciandola per artigianato artistico.
— Per favore, niente zuffe — li implorò Flinx. — Sono stufo di
combattere.
— Combattere? — esclamò Arrapkha, mostrandosi sorpreso.
— Non stiamo combattendo, ragazzo — intervenne Mamma
Mastino. — A quest'ora dovresti sapere come si salutano i vec-
chi amici. Gareggiando per vedere quale dei due batte gli in-
sulti dell'altro. — E per mostrargli che era sincera, rivolse ad
Arrapkha un affettuoso sorriso. L'artigiano del legno non era
affatto cattivo, soltanto un po' lento.
Trovarono che anche la sezione destinata all'alloggio non era
stata toccata: infatti qui il caos era totale, proprio come Flinx
l'aveva visto l'ultima volta.
— Le faccende di casa... — mugugnò Mamma Mastino. — Ho
sempre detestato le faccende di casa. Comunque, qualcuno do-
vrà ben ripulire questo posto, e sarà meglio che lo faccia io
piuttosto che tu ci metta le mani, ragazzo. Non hai il tocco per
le cose domestiche, temo.
— Non stanotte, mamma — sbadigliò Flinx. La vista del pro-
prio letto si era dilatata in lui fino a invadere la sua intera vi-
suale.
— No, non stanotte, ragazzo. Devo confessare di essere giusto
un pochino stanca. — Flinx sorrise tra sé. La vecchia era
sull'orlo d'un collasso fisico, pronta ad addormentarsi di colpo
dovunque il suo corpo cadesse... ma che fosse dannata pur di
mostrare anche il minimo segno di debolezza davanti ad Ar-
rapkha.
— Bene, allora vi lascio — li salutò l'artigiano. — Ancora una
volta, mi fa piacere vedervi in salute. La strada non era più la
stessa senza di voi.
— È difficile sbarazzarsi di noi monumenti — dichiarò Mam-
ma Mastino. — Forse ti rivedremo domani.
— Forse — fu d'accordo Arrapkha. Si voltò e se ne andò, assi-
curandosi che la porta d'ingresso si chiudesse alle sue spalle.
Una volta fuori Arrapkha si strinse l'incerato intorno alla te-
sta e alle spalle e si avviò a rapidi passi verso il suo negozio.
Non aveva nessuna intenzione di consegnare i suoi amici alle
autorità, come gli era stato intimato, più di quanta ne avesse di
ridurre del cinquanta per cento il prezzo delle sue merci per
qualche ricco mercante. Non intendeva ostacolare la polizia,
ma neppure avrebbe fatto niente per aiutarla. Poteva sempre
sostenere d'essere troppo ignorante, cosa questa per la quale
era famoso in quella zona del mercato.
Erano parsi così stanchi, così stanchi... pensò. Era la prima
volta che vedeva Mamma Mastino dimostrare tutta la sua età.
Perfino il ragazzo, nonostante la sua costituzione sottile ma ro-
busta, e che mai prima di allora gli era parso affaticato da qua-
lunque lavoro, era sembrato completamente esausto. Perfino
quel suo mortale animaletto sempre a cavalcioni della sua
spalla era parso affaticato.
Be', gli avrebbe dato qualche giorno per rimettere in sesto la
casa e riprendere le forze. Poi li avrebbe sorpresi conducendoli
da Magrim per bere del tè e mangiare dei sandwich giganti,
raccontandogli della misteriosa visita dei due impositori della
pace nella loro stradina. Sarebbe stato interessante vedere co-
me avrebbe reagito Mamma Mastino. Avrebbe potuto acco-
gliere con favore l'interessamento delle autorità al suo caso...
oppure no. Non conoscendo i particolari della sua storia, Ar-
rapkha non poteva esserne sicuro, ed era per questo che aveva
scelto di non aiutare quei visitatori venuti da fuori.
Sì, decise con fermezza: aspetta qualche giorno e lascia che si
riposino, prima di dargli quella notizia. Non ci sarebbe stato
certo niente di male. Aprì la porta del suo negozio e subito la
chiuse lasciando fuori la notte e la pioggia.
Passò un giorno, poi un altro, e il negozio di Mamma Mastino
tornò ad assumere l'aspetto di una casa man mano veniva ri-
messo in ordine dopo il caos causato dai rapitori. A suo agio in
quell'ambiente familiare, Mamma Mastino riacquistò con rapi-
dità le forze. Era una vecchia così elastica, adattabile, pensò
Flinx con ammirazione. Lui stesso, intanto, già il secondo gior-
no si avventurò fuori nel suo familiare territorio, andando a sa-
lutare i vecchi amici, alcuni dei quali avevano saputo dell'inci-
dente e altri no, ma senza mai allontanarsi troppo dal negozio
per timore che perfino adesso, e malgrado ogni sua convinzio-
ne contraria, alcuni membri dell'organizzazione che aveva ra-
pito Mamma Mastino potessero rifarsi visi, ancora assetati di
vendetta.
Comunque, niente si materializzò per dar corpo alle sue an-
sie. Il terzo giorno aveva cominciato a rilassarsi fisicamente,
oltre che mentalmente. C'era da stupirsi, rifletté quella notte
mentre si coricava, considerando le cose di cui si sentiva più la
mancanza dopo una lunga assenza. È strano quanto familiare e
amichevole ci sembri il nostro letto quando si è costretti a dor-
mire altrove...
Fu l'odio a svegliare Pip. Freddo e aspro, come il più brutale
giorno d'inverno che potesse vantare il mondo di ghiaccio di
Tran-ky-ky, strappò il rettile volante dal suo sonno profondo.
Non era però diretto al minidrago, bensì al suo padrone.
Le spire rose e azzurre scivolarono via senza rumore dalla
coperta termica. Flinx continuò a dormire, inconscio dell'atti-
vità del suo animaletto. Mancavano ancora parecchie ore pri-
ma dello spuntar del sole.
Pip sostò alquanto ad analizzare. Esaminando il minidrago
disteso ai piedi del letto, un osservatore avrebbe potuto rite-
nerlo un essere ragionevole. Non lo era, ovviamente, ma non
per questo le sue capacità mentali erano incoerenti. In effetti
nessuno avrebbe potuto dire con certezza come funzionava la
mente d'un minidrago alaspiniano o di quali profondi contatti
avrebbe potuto essere capace, poiché nessun xenobiologo ave-
va mai osato avvicinarsi a sufficienza per studiarlo.
Le ali azzurre e rosa si aprirono, le pieghe si distesero, e con
un lieve ronzio il serpente prese il volo. Si librò in alto sopra la
testa del suo padrone, preoccupato, cercando tutt'intorno l'ori-
gine di quell'incessante malvagità che stava avvelenando i suoi
pensieri. L'odio era molto vicino. Cosa ancora peggiore, gli era
familiare.
C'era uno sfiatatoio ricurvo nel tetto di cui Pip si era ap-
propriato per il suo privato andirivieni. Il serpente alato sfrec-
ciò verso di esso, ripiegando le ali all'ultimo istante per consen-
tire al corpo sottile di scivolare attraverso quello stretto con-
dotto. Con le ali ripiegate di piatto sui fianchi muscolosi, il mi-
nidrago passò con facilità.
Pip emerse sopra il tetto alla leggera pioggia del primo mat-
tino. Era su quel lato, verso l'alto, che si trovava l'origine
dell'odio, verso nord, lungo il vicolo. Le ali tornarono a dispie-
garsi e sventolarono nell'aria. Il minidrago compì un giro com-
pleto sopra la bottega, sostò un attimo per orientarsi, poi con
un ronzio deciso s'infilò nell'apertura lì vicino, là dove il vicolo
emergeva alla luminosità grigiastra delle nuvole.
Si arrestò di colpo e si librò a mezz'aria, sibilando contro il
ringhio mentale che l'aveva attirato fin là.
— Da questa parte, carino, caruccio — lo blandì una voce. —
Sai chi odia il tuo padrone, no? E sai cosa gli faremo, se ne
avremo la possibilità.
Il serpente volante attraversò una porta parzialmente aper-
ta entrando nella stanza più oltre traboccante d'odio. Due
umani erano lì ad aspettarlo con calma micidiale. Mai avrebbe-
ro avuto la possibilità di far del male al padrone del minidrago,
mai!
Un sottile getto di veleno schizzò dal palato del serpente vo-
lante e colpì in direzione del più vicino dei due bipedi malvagi.
Ma non raggiunse mai l'uomo. C'era qualcosa fra lui e Pip,
qualcosa di duro e trasparente. Il veleno entrò in contatto con
questa barriera e sfrigolò nell'aria immobile quando cominciò a
divorarla. Sorpresi, i due mostri seduti dietro lo schermo si ri-
trassero istintivamente e cominciarono ad alzarsi in piedi.
Ma la porta che dava sul vicolo si era già chiusa alle spalle
del minidrago. D'un tratto uno strano odore dolciastro riempì
la stanza. Il battito delle ali rallentò e s'infiacchì. Le palpebre
gemelle sbatterono e si chiusero. Il rettile volante si dibatté sul
pavimento come un pesce fuor d'acqua, con le ali che sbatac-
chiavano futili contro la plastica mentre annaspava per respi-
rare.
— Fai attenzione — ammonì una voce lontana. — Non vo-
gliamo dargli una dose troppo forte. Morto non ci serve.
— Preferirei vederlo morto e correre i nostri rischi con il sog-
getto — ribatté un'altra voce.
— Abbiamo bisogno di ogni aggancio possibile, compresa la
possibilità offerta da questo piccolo demonio.
Le voci svanirono. Ben presto il serpente volante smise del
tutto di muoversi. Passarono lunghi minuti, però, prima che un
uomo si azzardasse a metter piede nella stanza ermeticamente
chiusa. Indossava una tuta protettiva che lo copriva dalla testa
ai piedi. Dietro il visore trasparente, i suoi occhi erano colmi
d'ansia. Con un lungo pungolo che aveva con sé, toccò una vol-
ta o due il minidrago in coma. Questi sussultò convulso a quei
tocchi, ma per il resto non mostrò altri segni di vita.
L'uomo tirò un profondo sospiro e mise da parte il lungo pun-
golo mentre si chinava a raccogliere il minuscolo corpo. Questo
giacque flaccido nelle sue mani guantate, mentre lo esaminava
con attenzione.
— Respira ancora — annunciò agli altri che si schiacciavano
contro la parete trasparente.
— Bene. Mettilo subito in gabbia — disse il più basso dei due
osservatori. Il suo compagno stava studiando il foro dove il ve-
leno aveva infine divorato l'intero spessore dello schermo pro-
tettivo.
— Vorrei avere un'analisi molecolare di questa roba — mor-
morò, facendo attenzione a tenere le dita ben lontane dai bordi
frastagliati dello squarcio che sfrigolavano ancora.
— Qualunque cosa possa corrodere il pancrilico così in fret-
ta... — Scosse la testa incredulo. — Non riesco a capire come le
sacche del veleno possano contenere quel veleno senza corro-
dere e dissolvere la stessa mascella della creatura.
— Sarebbero indispensabili un tossicologo e un biochimico
per spiegare il perché, sempre che possano farlo — dichiarò la
donna in piedi accanto a lui, dedicandosi anche lei per qualche
istante all'esame del foro slabbrato. — Forse c'è qualcosa di più
d'un semplice veleno. La bocca del serpente potrebbe con-
tenere parecchie sacche separate il cui contenuto si mescola
soltanto quando schizza addosso a qualcuno.
— Sì, potrebbe essere... — L'uomo girò la schiena a quello
schermo che li aveva quasi traditi. — Sarà meglio che ci muo-
viamo. Il soggetto potrebbe ormai svegliarsi da un momento
all'altro. Assicurati di tenere quel mostriciattolo del tutto nar-
cotizzato.
— È necessario? — La donna corrugò la fronte. — Certo la
gabbia basterà a tenerlo.
— Pensavamo la stessa cosa della parete trasparente. La
gabbia è più che robusta, ma non vogliamo correre nessun ri-
schio. Non voglio che il nostro ospite si liberi a colpi di sputo
mentre noi stiamo dormendo nei nostri letti.
— No, è sicuro come l'inferno che non lo vogliamo. — La don-
na ebbe un leggero brivido. — Me ne occuperò io stessa.
— Speravo che l'avresti detto. — Cruachan sorrise tra sé.
Aveva una profonda familiarità con le teorie che cercavano di
spiegare i particolari legami che potevano nascere fra una
creatura catalizzatrice come il minidrago e uno dei soggetti do-
tati di talenti. Certo il legame che esisteva fra questa creatura
e il ragazzo conosciuto come Numero Dodici era potente come
qualunque altro dei casi imperfettamente documentati che
aveva studiato. Non era irragionevole supporre che potesse
essere più forte del legame affettivo tra il ragazzo e la sua ma-
dre adottiva.
XVI
FINE