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ALAN DEAN FOSTER

STORIA DI FLINX
(For Love Of Mother-Not, 1983)
I

— Ecco un tappetto tutt'ossa che ha l'aria di non valere una


cicca — pensò Mamma Mastino. Strinse ancora di più sul fian-
co la borsa di figurine incise in legno assicurandosi che un
lembo del suo incerato la proteggesse dalla pioggia. La costante
pioggerellina che caratterizzava il clima autunnale di Drallar
scivolò via dal copriabito resistente all'acqua.
Gli ultramondani si trovavano sempre a mal partito quando
si trattava di raccapezzarsi tra le caratteristiche che, là in cit-
tà, distinguevano una stagione dall'altra. In estate la pioggia
era calda; in autunno e in inverno più fresca. In primavera la
pioggia cedeva il posto a una nebbia insistente e appiccicosa.
Talmente rara era la comparsa del sole attraverso la quasi
perpetua coltre di nubi che, quand'esso faceva capolino, le au-
torità erano solite decretare una pubblica vacanza.
Quello davanti a cui Mamma Mastino stava passando con
passo arrancante non era un vero e proprio mercato degli
schiavi. Soltanto pochi cinici impiegavano una definizione così
arcaica. Quello era semplicemente un luogo dove venivano uf-
ficializzati certi riadattamenti dei redditi da lavoro.
Drallar era la città più grande sul mondo di Falena, la sua
unica vera metropoli, e non era una città particolarmente ric-
ca. Tenendo basse le tasse aveva attratto un buon numero di
uomini d'affari d'altri mondi, nonché d'imprese commerciali,
su un pianeta ben situato ma nel complesso inospitale. Ciò ve-
niva compensato dall'eliminazione quasi totale di fastidiose
complicazioni fiscali quali le tariffe e i regolamenti. Per alcuni,
tutto questo era fonte di considerevole prosperità, ma privava
il governo della città d'una grossa fetta di entrate.
Fra i numerosi settori che assai raramente erano in grado di
autofinanziarsi c'era quello dell'assistenza ai meno abbienti.
Nel caso un individuo fosse povero in canna e del tutto privo di
risorse personali o di contatti, si giudicava ragionevole consen-
tire a un cittadino più ricco di assumersi la responsabilità del
suo sostentamento al posto del governo. Ciò contribuiva a sfol-
tire gli elenchi degli assistiti, con piena soddisfazione della bu-
rocrazia, fornendo nel contempo ai medesimi (per lo meno
questo insistevano a dire gli alti funzionari pubblici) cure assai
migliori di quelle che avrebbero potuto ricevere dalle agenzie
governative, freddamente impersonali e cronicamente sottofi-
nanziate.
La Chiesa Unita, il braccio spirituale del Commonwealth, non
vedeva affatto di buon occhio una simile prassi economica uni-
laterale. Ma al Commonwealth non piaceva interferire con le
linee di politica interna, e i funzionari drallariani si affretta-
vano ad assicurare l'occasionale sacerdote o consigliere in visi-
ta che le salvaguardie legali impedivano che si abusasse degli
individui «adottati».
Fu così che Mamma Mastino si trovò appoggiata al suo ba-
stone, e stringendo a sé la borsa piena di oggetti artistici, fis-
sando la piattaforma mentre cercava di riprendere il fiato. Un
astante incuriosito si avvicinò troppo, spingendola. L'uomo la
fissò incollerito quando lei gli piantò il bastone sul piede, ma si
scostò prontamente, non osando affrontarla.
Immobile, in piedi sulla piattaforma all'interno del Cerchio
della Compensazione, c'era un ragazzino esile di otto o nove
anni, dall'aria solenne. I suoi capelli rossi erano stati resi lisci
dalla pioggia e contrastavano violentemente con la sua pelle
scura. Occhi ampi e innocenti, così grandi che sembravano
estendersi su ambedue i lati della testa, fissavano il pubblico
ugualmente inzuppato di pioggia. Teneva le mani strette dietro
la schiena. Soltanto quegli occhi si muovevano, e il loro sguar-
do guizzava come quello d'un insetto sui volti della folla rivolti
all'insù. La maggioranza dei potenziali acquirenti che si assie-
pavano intorno al palco erano indifferenti alla sua presenza.
Alla destra del ragazzo c'era un rappresentante del governo,
alto e magro, che conduceva la vendita ufficiale per conto
dell'ente dell'assistenza sociale... un compito da essi definito di
responsabilità. Davanti a Mamma Mastino un ampio tabellone
riportava l'elenco delle caratteristiche vitali del ragazzo, che
Mamma Mastino prese a scorrere quasi distrattamente.
L'altezza e il peso corrispondevano a ciò che poteva vedere.
Il colore dei capelli, della pelle e degli occhi li aveva già notati.
Parenti in vita, adottivi oppure no... un vuoto. Storia persona-
le... un altro vuoto. Un figlio del caso e della calamità, pensò, fi-
nito come tanti altri nelle mani ben poco tenere e misericor-
diose dell'assistenza governativa. Sì, certo si sarebbe trovato
meglio sotto l'ala protettiva d'un privato, a giudicare dal suo
attuale aspetto. Quanto meno avrebbe ricevuto un po' di cibo
decente.
Eppure c'era in lui qualcosa di più, qualcosa che lo distin-
gueva dalla svogliata processione di orfani che — stagione dopo
stagione — sfilava sopra quella piattaforma sferzata dalla piog-
gia. Mamma Mastino sentì che qualcosa si celava dietro quei
grandi occhi tristi: una maturità molto superiore ai suoi anni,
un'intensità nel suo sguardo maggiore di quella che ci si sareb-
be potuta aspettare da un bambino nella sua situazione. Quello
sguardo continuava a vagare sopra la folla scrutandola, son-
dandola. Quel ragazzino aveva più del cacciatore che del cac-
ciato.
La pioggia continuava a cadere. Il movimento e l'attenzione
degli astanti si concentravano su un angolo in fondo a destra
della piattaforma, dove una ragazza di circa sedici anni, dalla
modesta venustà, costituiva la successiva partita in vendita.
Mamma Mastino lasciò partire una sbuffata derisoria. Assicu-
razione governativa o no, non potevano certo venirle a dire
che quegli che spingevano in prima fila non avevano qual-
cos'altro in mente oltre all'altruistica e innocente preoccupa-
zione per il futuro della ragazza. Oh, no! Il grappolo di poten-
ziali benefattori che cambiavano in continuazione formava
un'isola intorno alla quale mulinava la restante e più numerosa
folla del mercato. Il quale mercato si concentrava in un anello
di bancarelle, botteghe, trattorie e bettole che circondavano il
centro della città. Il risultato era abbastanza moderno da risul-
tare funzionale e allo stesso tempo non troppo sofisticato, così
da attrarre coloro che si lasciavano incuriosire da ogni cosa
strana e misteriosa.
Ma per Mamma Mastino qui non c'era nessun mistero. Il
mercato di Drallar era la sua casa. Aveva passato novant'anni
a battersi con quell'interminabile fiume di umanità e di alieni,
a volte facendosi risucchiare sotto quei flutti a volte emergen-
done, ma senza mai correre il rischio di affogare.
Adesso aveva un negozio, piccolo ma suo. Trattava oggetti
d'arte, commerciava gingilli, componenti elettroniche, manu-
fatti d'ogni tipo, e riusciva a guadagnare quel tanto che bastava
per evitare di finire in qualche posto nel tipo di quella piatta-
forma sopra la quale il ragazzino si trovava in quel momento.
Si mise mentalmente al suo posto e rabbrividì. Una vecchia di
novant'anni non avrebbe fruttato granché.
C'era un rattoppo sul collo del suo incerato, per rimediare a
uno strappo, e la pioggia cominciava a trovare la strada attra-
verso la breccia che andava allargandosi. La borsa degli oggetti
da vendere che stringeva alla cintura non stava certo dimi-
nuendo di peso. Mamma Mastino aveva altri affari da conclu-
dere e voleva tornare a casa prima del tramonto. Quando il so-
le di Falena fosse calato, la fosca luce diurna li su Drallar si sa-
rebbe dissolta in una viscida oscurità e ombre assai poco cor-
tesi sarebbero emerse dalle catapecchie che assediavano il
mercato. Soltanto gli incauti o i presuntuosi andavano in giro a
quelle ore, e Mamma Mastino non apparteneva né all'una né
all'altra categoria.
Vagando sopra il pubblico, lo sguardo del ragazzo finì per ag-
ganciare il suo... e si fermò. D'un tratto, Mamma Mastino provò
una sensazione di nausea e si sentì barcollare. Si portò le mani
allo stomaco. Una prima colazione troppo ricca d'unto, pensò.
Lo sguardo del ragazzo era già passato oltre. Da quand'era ar-
rivata agli ottantacinque aveva dovuto controllare la sua dieta.
Ma, come aveva detto a un amico: — Preferirei morire d'indige-
stione, a stomaco pieno, piuttosto che sprecarmi in pillole e
concentrati.
D'un tratto Mamma Mastino, senza sapere ciò che stava fa-
cendo o perché, si aprì un varco tra la folla, piantò il bastone
tra le costole d'un astante, disturbando le penne ornamentali
della coda d'un ornitoide e suscitando lo squittio indignato di
un'obesa matrona. Riuscì ad arrivare fino allo spiazzo davanti
al palco. Il ragazzo neppure la guardò; i suoi occhi continuava-
no a vagare indifferenti tra la folla.
— Per favore, signore e gentili creature — implorò il fun-
zionario sulla piattaforma, — non volete dare una casa a questo
onesto ragazzo che scoppia di salute? È il vostro governo a
chiedervelo; la civiltà lo esige da voi. Oggi avete la possibilità di
compiere due buone azioni in una: una per il vostro re e l'altra
per questo sfortunato giovane.
— Saprei io quale buona azione riservare al re proprio nel
punto giusto — esclamò una voce nel mezzo della folla turbi-
nante.
Il funzionano lanciò all'importuno un'occhiata rabbiosa, ma
non replicò.
— Qual è la richiesta minima? — È la mia voce? si chiese
Mamma Mastino, sbigottita.
— Soltanto cinquanta crediti, signora, per adempiere agli ob-
blighi del dipartimento, e il ragazzo è suo. Per accudirlo e cu-
stodirlo. — Il funzionario, una donna, esitò, e poi aggiunse: — Se
crede di poter controllare un giovanetto attivo come questo.
— Mi sono occupata di un sacco di giovanetti attivi ai miei
tempi — replicò secca Mamma Mastino. Mormorii di complice
simpatia si levarono dal pubblico divertito. Mamma Mastino
studiò il ragazzo, che aveva di nuovo abbassato lo sguardo su
di lei. La nausea che le aveva agitato lo stomaco la prima volta
che i loro occhi si erano incontrati non si ripeté. L'unto, si dis-
se, devo proprio andarci piano con l'unto quando cucino.
— Cinquanta crediti, allora — disse.
— Sessanta. — La voce profonda che rimbombò da qualche
punto in fondo alla folla giunse come un'inaspettata inter-
ruzione ai suoi pensieri.
— Settanta — rilanciò mamma Mastino come un automa. Il
funzionario sulla piattaforma si affrettò ad appuntare lo
sguardo in fondo alla folla.
— Ottanta — risuonò la voce dell'invisibile concorrente.
Lei non aveva previsto la concorrenza. Un conto era fare una
buona azione nei confronti del ragazzo a un prezzo ragio-
nevole, un conto era accollarsi una spesa irragionevole.
— Novanta... maledizione a te — rilanciò. Si voltò nel ten-
tativo di localizzare il suo avversano ma non riuscì a vedere
sopra le teste della folla. La voce che contrastava le sue offerte
era maschile, potente, penetrante. Cosa diavolo poteva volere
il proprietario d'una simile voce da un ragazzo come quello?
pensò Mamma Mastino.
— Novantacinque — controbatté lo sconosciuto.
— Grazie, grazie a entrambi, a nome del governo. — L'espres-
sione e il tono di voce del funzionario si erano sensibilmente
animati. Quelle vivaci offerte, del tutto inaspettate, per il moc-
cioso dai capelli rossi avevano alleviato la sua noia, oltre che le
preoccupazioni. Il rendiconto giornaliero al suo capo sarebbe
stato migliore del solito.
— L'offerta è contro di lei, signora.
— All'inferno l'offerta! — borbottò Mamma Mastino. Fece per
voltarsi e andarsene ma qualcosa la trattenne. Sapeva giudica-
re la gente con la stessa abilità con cui giudicava la mercanzia
che vendeva, e c'era qualcosa di particolare in quel ragazzo,
anche se non avrebbe potuto dire cosa fosse, che sconfinava
nell'insolito. E c'era sempre un profitto nell'insolito. Inoltre
quello sguardo mesto faceva leva senza alcuna vergogna su
una parte di lei che di norma teneva sepolta.
— Oh, maledizione, cento, allora... e al diavolo tutto! — Riuscì
a stento a spremer fuori la cifra. La sua mente era un turbine.
Cosa stava facendo là, trascurando i suoi affari personali, la-
sciandosi inzuppare completamente dalla pioggia e mettendosi
a rilanciare offerte per un orfanello sconosciuto? Il suo istinto
materno non si stava certo ridestando alla veneranda età di
novant'anni. Lei non aveva mai provato il minimo istinto ma-
terno in tutta la sua vita, grazie al cielo.
Aspettò il prevedibile rimbombo dei «centocinquanta!», ma
invece sentì un gran trambusto in fondo alla folla. Allungò il
collo, cercando di vedere, imprecando contro il suo bagaglio
genetico che l'aveva fatta così corta. Scoppiarono urla, grida
d'indignazione da una dozzina di gole diverse. Sulla sinistra, al
di là della massa schermante dell'ornitoide dietro di lei, riuscì
a distinguere a malapena il vivace balenare delle uniformi co-
lor porpora dei gendarmi, i cui incerati riflettevano la scarsa
luce. Quel gruppo pareva muoversi con un'energia maggiore
del solito.
Si girò e facendosi strada a gomitate avanzò verso destra do-
ve una serie di gradini conduceva alla piattaforma. Giunse a
metà della scala tornò a voltarsi, socchiuse gli occhi e sbirciò la
folla. Gli incerati purpurei stavano ora costeggiando, in piena
velocità, la prima fila degli uffici e dei negozi e davanti a loro
una massiccia forma rimbalzava qua e là, comparendo e scom-
parendo mentre fuggiva davanti alla polizia lanciata al suo in-
seguimento.
Mamma Mastino si permise un cenno d'approvazione del ca-
po. C'erano quelli che potevano volere un ragazzino per scopi
niente affatto umanitari. Alcuni di loro avevano una scheda
nell'archivio criminale lunga dalla testa ai piedi e anche più.
Era ovvio che qualcuno tra la folla, un informatore stipendiato,
forse, aveva riconosciuto l'individuo che alzava le offerte con-
tro di lei e aveva avvertito le autorità, che erano intervenute
con lodevole rapidità.
— Cento crediti, allora — annunciò dalla piattaforma il deluso
funzionario governativo. — Nessuno offre di più? — Natural-
mente no, ma il funzionario stava portando avanti ugualmente
il gioco per salvare le apparenze. Vi fu un attimo di silenzio. La
donna scrollò infine le spalle e gettò un'occhiata là dove Mam-
ma Mastino era ancora ferma sulla scala. — È suo, vecchia. —
Non più «signora» pensò sardonica Mamma Mastino. — E ades-
so paghi e faccia attenzione alle norme.
— Ho avuto a che fare con le norme da questo governo già
molto tempo prima che tu nascessi, donna. — Salì gli ultimi
gradini e, ignorando sia il funzionario che il ragazzo, si avviò a
grandi passi verso l'Ufficio Elaborazione Dati.
All'interno un impiegato annoiato alzò lo sguardo su di lei,
studiò il verbale di transazione completato quando gli fu tra-
smesso dal terminal del computer sulla scrivania, e chiese, sec-
co: — Nome?
— Mastino — rispose la visitatrice, appoggiandosi al suo ba-
stone.
— E il cognome?
— Mastino.
— Mastino Mastino? — L'impiegato le rivolse un'occhiata aci-
da.
— Soltanto Mastino — disse la vecchia.
— Il governo preferisce i nomi multipli.
— Sai cosa può farsene il governo delle sue preferenze?
L'impiegato sospirò. Batté sui tasti del terminale. — Età?
— Non sono affari tuoi. — Ci rifletté sopra un momento poi
aggiunse: — Scrivi vecchia.
L'impiegato lo fece, scuotendo la testa con aria dolente. —
Reddito?
— Sufficiente.
— Adesso senta — cominciò a dire l'impiegato, fuori dai gan-
gheri. — In faccende quali l'acquisizione della responsabilità
nei confornti di individui che godono dell'assistenza sociale, il
governo della città richiede certe specificazioni...
— Il governo della città può ficcarsi le specificazioni nello
stesso posto delle preferenze. — Mamma Mastino indicò la
piattaforma col suo bastone, un gesto ampio e sprezzante che
l'impiegato ebbe la presenza di spirito di schivare. — L'asta è
finita. L'altro offerente ha preso congedo. E in fretta. Adesso,
posso tenermi i miei soldi e tornarmene a casa, oppure posso
contribuire alla bilancia dei pagamenti del governo e al suo
stesso salario. Che facciamo?
— Oh, d'accordo — fece l'impiegato, rabbioso. Completò l'im-
missione dei dati e premette un tasto. Un modulo spropositato
guizzò fuori dalla fessura della stampante. Ripiegato su se
stesso formava una mazzetta spessa quasi mezzo centimetro.
— Legga questo.
Mamma Mastino sollevò la mazzetta. — Cos'è?
— Sono norme che riguardano il suo nuovo protetto. Il ra-
gazzo ora è suo non perché lei lo maltratti, ma perché lo allevi
e lo educhi. Se mai lei dovesse venir sorpresa a violare le istru-
zioni e le leggi qui descritte — indicò la mazzetta con un gesto,
— il ragazzo potrà esserle tolto con la perdita della quota di ac-
quisizione. Inoltre lei dovrà familiarizzarsi con... — Interruppe
la lezione quando il ragazzo in questione fu scortato dentro la
stanza da un altro addetto.
Il ragazzo gettò un'occhiata all'impiegato, poi sollevò lo
sguardo su Mamma Mastino. Poi, come se avesse compiuto
analoghi rituali in precedenti occasioni, le si avvicinò, le prese
la mano sinistra e vi mise sopra la propria destra. Gli occhi
grandi e in apparenza ingenui del bambino la fissarono. Quasi
distrattamente Mamma Mastino notò che erano d'un verde vi-
vo.
L'impiegato stava per riprendere le sue osservazioni, poi fu
come se avesse incontrato un inaspettato ostacolo in gola, e ri-
portò la sua attenzione sul ripiano della scrivania. — È tutto.
Voi due potete andare.
Mamma Mastino gongolò vittoriosa e condusse il ragazzo
fuori, nelle strade di Drallar. L'avevano fornito dell'unico in-
dumento essenziale, l'incerato. Il ragazzo si tirò la plastica da
pochi soldi sopra la testa quando raggiunsero il primo incrocio.
— Bene, ragazzo: è fatta. Che il diavolo mi porti se so perché
mi son lasciata convincere a questo, ma suppongo adesso di
essere incastrata, con te. E tu con me, è ovvio. Hai niente al
dormitorio che dovremmo andare a recuperare?
Il ragazzino scosse la testa lentamente. Un tipo silenzioso,
pensò Mamma Mastino. Il che era meglio. Forse non avrebbe
strillato troppo. Si stava ancora chiedendo cosa mai l'avesse
spinta a quell'improvvisa eruzione di generosità, assai poco ca-
ratteristica in lei. La mano del ragazzo era calda, sul suo palmo
vecchio e calloso. Quel palmo, di solito, si trovava a contatto
delle carte di credito altrui durante le contrattazioni d'affari,
oppure valutava al tatto gli oggetti d'arte in vista d'un possibile
acquisto, o perfino, talvolta, aveva stretto un coltello per qual-
cosa di più drastico della preparazione di cibi. Ma mai prima di
allora aveva stretto la mano d'un bambino. Era una strana sen-
sazione.
Si aprirono la strada tra la folla, affrettandosi per battere in
velocità l'arrivo della notte, evitando i canali di scolo che cor-
revano al centro d'ogni strada. Densi aromi aleggiavano fuori
da dozzine di bancarelle dove venivano serviti cibi caldi e dalle
trattorie che bordavano il viale dove adesso stavano cammi-
nando. E il ragazzo non aveva ancora detto una sola parola. Al-
la fine, stanca di vedere come il suo viso continuasse a girarsi
verso ogni punto dal quale si levavano vapori e odori, Mamma
Mastino si fermò davanti a un locale che conosceva. Comun-
que, erano quasi arrivati a casa.
— Hai fame, ragazzo?
Lui annuì lentamente, una sola volta.
— Stupido da parte mia. Posso tirare avanti tutta una gior-
nata senza mangiare, e non pensarci mai. Ma a volte mi dimen-
tico che lo stomaco degli altri non ha la stessa tolleranza del
mio. — Indicò con un cenno del capo l'ingresso del locale. — Be',
cosa stiamo aspettando?
Lo guidò all'interno, scortandolo fino a uno scomparto tran-
quillo addossato alla parete. Una consolle circolare si alzò dal
centro del tavolo. Mamma Mastino studiò il menu stampato sul
fianco, lo confrontò con la statura del ragazzo seduto speran-
zoso accanto a lei, poi schiacciò parecchi pulsanti situati di lato
al menu.
Poco dopo la consolle sprofondò di nuovo nel ripiano del tavo-
lo, per ricomparire un attimo più tardi piena zeppa di cibo. Uno
stufato denso e pungente guarnito di legumi, qualche tipo di
tubero color crema e numerose fette di pane multicolore.
— Procedi pure — Mamma Mastino disse al ragazzo, ve-
dendolo esitare, ammirando la sua riservatezza e la buona
educazione a tavola. — Io non ho molta fame e non mangio mai
troppo.
L'osservò mentre divorava il cibo, spiluccando a sua volta un
po' di pane multicolore per sopire la poca fame che sentiva, ri-
spondendo appena all'occasionale saluto d'un conoscente o
d'un amico che passava accanto al loro tavolo. Quando il fondo
della scodella di stufato fu leccato fino a brillare e l'ultima bri-
ciola di pane fu scomparsa dal tavolo, gli chiese: — Hai ancora
fame?
Il ragazzo esitò, soppesandola, poi se ne uscì in un mezzo an-
nuire. — Non ne sono sorpresa — replicò Mamma Mastino, —
ma non voglio che stanotte mangi ancora. Hai buttato giù ab-
bastanza da riempire un adulto. Se aggiungi qualcos'altro a
quello che hai già mangiato, finirai per sprecarlo tutto. Riman-
diamo a domattina, va bene? — Lui annuì grave, mostrando di
aver capito.
— E un'altra cosa, ragazzo: sai parlare?
— Sì. — La sua voce era più bassa di quanto avesse previsto,
per niente spaventata e, così le parve, colma di gratitudine.
— So parlare molto bene — aggiunse il ragazzo, senza bisogno
di ulteriori sollecitazioni, cogliendola di sorpresa. — Mi hanno
detto che per la mia età parlo piuttosto bene.
— Mi fa piacere. Cominciavo a preoccuparmi. — Mamma Ma-
stino scivolò giù dal suo sedile, usando il bastone per aiutarsi a
reggersi in piedi. Gli prese la mano un'altra volta. — Adesso
siamo quasi arrivati.
— Arrivati dove?
— Dove abito. Dove tu vivrai d'ora in avanti. — Uscirono dal
locale e subito la notte umida li avvolse.
— Come ti chiami? — Il ragazzo aveva parlato senza sollevare
lo sguardo su di lei, preferendo invece studiare le facciate scu-
re dei magazzini e dei pochi e isolati negozi ancora illuminati.
L'intensità della sua ispezione parve innaturale.
— Mastino — gli disse, e sorrise. — Non è il mio vero nome,
ragazzo, ma è un nome che qualcuno mi ha appioppato molti
anni fa. Nel bene come nel male mi è rimasto appiccicato ben
più di qualsiasi uomo. È il nome d'un cane eccezionale per fero-
cia e bruttezza.
— Non penso che tu sia brutta — replicò il ragazzo. — Penso
che tu sia bella.
Lei studiò la sua espressione candida, da ragazzino. Poco
acuto, poco sveglio... oppure soltanto molto scaltro, pensò.
— Posso chiamarti madre? — le chiese, speranzoso, scon-
certandola ancora di più. — Sei mia madre, vero?
— Una specie, immagino. Non chiedermi perché.
— Non ti darò nessun fastidio. — La voce si era fatta d'un trat-
to preoccupata, quasi spaventata. — Non ho mai dato fastidio a
nessuno, davvero. Voglio soltanto essere lasciato in pace.
Cosa mai l'aveva indotto a una simile confessione disperata?
si chiese. Decise di non indagare oltre. — Non ho nessuna esi-
genza — lo rassicurò. — Sono una vecchia semplice che vive
una vita semplice. A me piace e sarà bene che piaccia anche a
te.
— Sembra bello — fu subito d'accordo il ragazzo. — Farò del
mio meglio per aiutarti come potrò.
— Lo sa il diavolo quanto c'è da fare in negozio... e io non sono
più tanto agile come un tempo — ridacchiò Mamma Mastino. —
Adesso mi stanco, prima di mezzanotte. Sai, ho bisogno di
dormire quattro ore filate, ormai. Sì credo che potrai essermi
di aiuto. Sarà meglio. Mi sei costato una discreta somma.
— Mi spiace — lui rispose d'un tratto, avvilito.
— Oh, piantala. Non voglio simili smancerie in casa mia.
— Voglio dire, mi spiace di averti scombussolata.
Mamma Mastino esalò un lungo sospiro esasperato, s'ingi-
nocchiò e si resse con entrambe le mani serrate intorno al ba-
stone. In tal modo i suoi occhi si trovarono allo stesso livello di
quelli del ragazzo. Questi la fissò a sua volta, immobile e solen-
ne.
— Adesso ascoltami, ragazzo. Io non sono un agente go-
vernativo. Non ho la più vaga idea di cosa mi abbia preso spin-
gendomi a prendermi cura di te, ma è fatta. Non ti picchierò, a
meno che tu non te lo sia meritato. Farò in modo che tu sia ben
nutrito e tenuto ragionevolmente al caldo. In cambio, esigo che
tu non vada in giro a gracchiare stupidaggini del tipo «mi spia-
ce». D'accordo?
Il ragazzo non dovette rifletterci a lungo. — D'accordo... ma-
dre.
— Allora è fatta. — Gli strinse la mano. Quel gesto produsse
un nuovo fenomeno: il suo primo sorriso. Questo diede l'im-
pressione che il suo minuscolo volto leggermente velato di len-
tiggini irradiasse, e d'un tratto la notte parve meno gelida.
— Affrettiamoci — disse la donna, tirandosi su con un certo
sforzo. — Non mi piace rimaner fuori fino a così tardi, e tu non
sei un granché come guardia del corpo. Dal tuo aspetto non lo
sarai mai, anche se non per colpa tua.
— Perché è così importante trovarsi a casa quando fa buio? —
chiese il ragazzo, e poi aggiunse incerto: — È una domanda
stupida la mia?
— No, ragazzo. — Gli sorrise mentre avanzava zoppicando
lungo la strada. — È una domanda intelligente. È importante
trovarsi a casa al sicuro dopo il buio perché i morti tendono a
moltiplicarsi in proporzione diretta con l'assenza di luce. An-
che se sei prudente e non ti lasci mai prender la mano da un'ec-
cessiva sicurezza, e impari come fare, scoprirai che il buio può
esserti sia amico che nemico.
— L'ho sempre pensato — dichiarò il ragazzo con fermezza. —
L'ho sempre pensato da... — contrasse il viso come se si stesse
concentrando intensamente su qualcosa, — da quando riesco a
ricordare.
— Oh? — Mamma Mastino tornò a sorridergli. — E cosa te lo
fa pensare, a parte il fatto che io te l'ho appena detto?
— Perché — lui rispose, — la maggior parte delle volte che rie-
sco a ricordare, ero felice al buio.
Mamma Mastino rifletté su quelle parole mentre giravano
l'angolo. La pioggia era sensibilmente diminuita lasciando il
posto alla foschia che là in città passava per aria normale. Non
dava fastidio ai suoi polmoni, ma era preoccupata per quelli del
ragazzo. La cosa di cui aveva meno bisogno era un ragazzo ma-
lato in casa. Le era costato già più che a sufficienza.
La sua casa-bottega era una delle molte sparpagliate per quel
mercato in apparenza interminabile. Robuste saracinesche
proteggevano la facciata anonima che occupava una decina di
metri all'estremità più lontana d'una strada laterale. Mamma
Mastino premette il palmo della mano contro la serratura della
porta. La plastica sensibilizzata brillò vivida per un istante,
emise due bip, e infine la porta si aprì per loro.
Una volta all'interno Mamma Mastino spinse dietro di sé la
porta, chiudendola, poi automaticamente si girò per ispeziona-
re la mente, accertandosi che niente fosse scomparso in sua as-
senza. C'erano gli scaffali di oggetti di rame e d'argento, pre-
gevoli sculture lignee per le quali Moth era giustamente famo-
so, arnesi per bere e mangiare ben lavorati, molti fra i quali,
com'era ovvio, concepiti per non umani. E ancora, modellini da
pochi soldi dello stesso Falena con gli anelli interrotti di garza
sgargiante, pieni di suggestivi scintillii; e molti altri articoli di
uso incerto.
Il ragazzo vagò in mezzo a quel guazzabuglio di colori e di
forme. I suoi occhi assorbivano tutto, ma non fece nessuna do-
manda, cosa che Mamma Mastino trovò insolita.
Era nella natura dei bambini informarsi su tutto. Ma d'altro
canto quello non era un bambino comune.
A un'estremità sul davanti del negozio c'era una scatola d'ar-
gento in cima a un piedestallo. I suoi comandi, azionati col
semplice tocco delle dita, collegavano il negozio direttamente
alla banca centrale di Drallar e consentivano a Mamma Masti-
no di compiere le sue transazioni finanziarie con qualunque
cliente, sia che venisse da dietro l'angolo, oppure dalla parte
opposta del Commonwealth. Le carte di credito universali con-
sentivano il pronto accertamento della disponibilità finanzia-
ria d'ogni cliente, e il prelievo di quanto dovuto. Le banche im-
magazzinavano ogni dato d'ogni compravendita. Per questo,
ogni tipo di valuta circolava liberamente dovunque.
Più indietro c'erano quattro stanze: un piccolo deposito, un
bagno, un'area pranzo e cucina e infine una camera da letto.
Mamma Mastino studiò la disposizione delle stanze per parec-
chi minuti, poi si mise a sgomberare il piccolo deposito. Oggetti
rimasti da troppo tempo invenduti furono spalati fuori sul pa-
vimento insieme a vecchi indumenti, merci inscatolate, arnesi
per la pulizia e altro ancora. In qualche modo avrebbe trovato
altrove uno spazio per tutto questo.
Sollevata contro la parete di fondo c'era una vecchia e ro-
busta branda. Mamma Mastino toccò un pulsante sul fianco di
questa e tutto il congegno si animò, ruotando verso il basso e
cacciando fuori le gambe molleggiate. Un ulteriore scavo rivelò
un saccone impermeabile pieno d'olio denso, che collegò al ma-
terasso gonfiabile. Nel giro di pochi minuti il materasso era
pieno e caldo. Per finire, Mamma Mastino coprì la branda con
una leggera coperta termosensibile.
— Questa sarà la tua stanza — disse al ragazzo. — Non è un
palazzo, ma è tua. So quanto sia importante aver qualcosa che
puoi chiamare tuo. Puoi sistemare questa stanza come meglio
ti pare.
Il ragazzo la guardò come se lei gli avesse appena regalato
tutti i tesori della Terra. — Grazie, madre — le disse con voce
sommessa. — È meraviglioso.
— Io vendo oggetti d'arte — disse la donna, distogliendo lo
sguardo da quel volto raggiante. Indicò l'esposizione sul da-
vanti dell'edificio. — Quelli che hai visto quando sei entrato.
— L'ho immaginato. Guadagni molto?
— Adesso tu sembri l'agente governativo là sulla piattaforma.
— Sorrise per fargli capire che stava scherzando. — Me la cavo.
Vorrei avere un posto più grande di questo, ma arrivata a que-
sto punto della mia vita — appoggiò il bastone al proprio letto
quando entrò nella stanza più grande, — sembra improbabile
che ci riuscirò mai. Ma non me ne preoccupo. Ho avuto una vi-
ta piena e ne sono contenta. Scoprirai presto che quando rin-
ghio e sbraito, faccio soprattutto scena. Anche se non sempre...
— Lo accarezzò sulla testa e gli indicò le compatte attrezzature
della cucina. — Vorresti bere qualcosa di caldo prima che ci co-
richiamo?
— Sì, moltissimo. — Facendo attenzione, il ragazzo si tolse
l'incerato, ormai del tutto asciutto, e l'appese a un gancio alla
parete nella sua camera da letto.
— Dovremo procurarti dei nuovi vestiti — commentò Mamma
Mastino, guardandolo dalla cucina.
— Questi vanno bene.
— Forse per te. Ma non per me. — Si strinse il naso a mo' di
spiegazione.
— Oh, capisco.
— Adesso, cosa vorresti bere?
Il suo volto tornò a illuminarsi. — Del tè.
— Che tipo di tè ti piace?
— Qualunque tipo.
— Allora te ne sceglierò uno io. — Trovò il cilindro e premette
l'interruttore principale sul suo fianco mentre lo riempiva
d'acqua di rubinetto. Poi esplorò la sua riserva di cibo.
— Questo è un Anar Nero — gli disse, — e viene da Rhyinpine.
Un bel viaggio per delle foglie morte. Credo sia più leggero
dell'Anar Bianco, che viene dallo stesso pianeta ma cresce mol-
to più in basso sul fianco delle montagne. Ho un po' di miele lo-
cale se ti piacciono le bevande dolci. È costoso. Su Falena i fiori
sono rari, salvo quelli che crescono in serra. Questo pianeta
appartiene ai funghi e agli alberi. Le api, poverine, hanno vita
dura, anche quelle che hanno sviluppato un manto lanoso ab-
bastanza folto da tener fuori l'umidità e il freddo. Se il miele è
troppo forte per te, ho altri dolcificanti.
Non ricevendo nessuna risposta si girò e lo trovò disteso sul
pavimento, una macchia fulva e arricciata di capelli rossi e in-
dumenti logori. Teneva le mani infilate d'ambo i lati sotto le
guance, a guisa di cuscino per la testa.
Lei scosse il capo e fece scattare l'interruttore del cilindro. La
teiera sospirò e smise di bollire. Chinandosi, insinuò le braccia
robuste sotto di lui e con un certo sforzo lo sollevò. In qualche
modo riuscì a trasportarlo fino alla branda senza svegliarlo. Gli
tirò la coperta termica fin sotto il mento. Era programmata e
l'avrebbe scaldato in fretta.
Rimase là per un po', stupita del piacere che le veniva da
qualcosa così semplice come guardare un bambino che dormi-
va. Poi, chiedendosi ancora cosa mai l'avesse presa, lo lasciò e
si avviò verso la propria camera, sfilandosi lentamente gli in-
dumenti mentre camminava. Poco dopo l'ultima luce sul retro
del piccolo negozio si spense, e l'oscurità notturna si fuse con
quella delle botteghe vicine. Poi vi furono soltanto la leggera
brezza e il lieve alitare dell'umidità che esalava dai muri caldi,
a rompere il silenzio del buio ovattato dalla nebbia.

II

Il ragazzo mangiò come se la cena della sera precedente non


fosse stata più sostanziosa d'un sogno remoto. Mamma Masti-
na gli cucinò due colazioni complete e l'osservò mentre manda-
va giù tutto, fino all'ultimo boccone. Quando l'ultimo pachnack
fu scomparso accompagnato dall'ultima briciola di pane, la
donna lo condusse nel negozio.
Il ragazzo l'osservò con attenzione mentre formava la com-
binazione per aprire le saracinesche metalliche. Quando queste
si sollevarono, svelarono un mondo del tutto diverso da quello
della notte vuota. Un attimo prima lui stava fissando i riflessi
opachi delle strisce metalliche. L'attimo successivo lo mise in
contatto con tutto il rumore, la confusione, l'agitarsi, i vividi
colori e gli odori del grande mercato drallariano. Questi inon-
darono il negozio, travolgendolo con la loro diversità e il loro
splendore. Mamma Mastino non dormiva mai fino a tardi, ed
era un bene, poiché la folla vociante si formava ogni mattina in
coincidenza col levar del sole. Non che il mercato fosse mai del
tutto deserto: c'era sempre qualche mercante le cui merci trae-
vano profitto dalla mascheratura della notte.
Il ragazzo poteva dire che era giorno perché c'era meno buio.
Il sole non splendeva: si limitava a illuminare debolmente le
gocce di pioggia. Una buona giornata per gli affari.
Mamma Mastino esibi il negozio al ragazzo, descrivendogli i
diversi articoli, dicendogli i prezzi e le ragioni di tali prezzi. La
donna sperava di potergli affidare un giorno la sua azienda.
Sarebbe stato assai meglio che dover chiudere tutte le volte
che aveva bisogno di riposare o di viaggiare altrove. Prima
avesse imparato meglio sarebbe stato... visto anche quanto
mangiava!
— Farò tutto quello che potrò, madre — l'assicurò lui non ap-
pena ebbero concluso il loro piccolo giro.
— So che lo farai, ragazzo. — Mamma Mastino si lasciò anda-
re sulla sua poltrona favorita, una mostruosità superimbottita
coperta di pelliccia di gemmac. Le pelli erano scomparse quasi
del tutto per il logorio, e la poltrona aveva ormai pochissimo
valore commerciale, ma era troppo comoda perché lei se la
sentisse di separarsene. Osservò il ragazzo che si voltava a
guardare la folla in continuo fluire davanti al negozio. Com'è si-
lenzioso, pensò. Silenzioso e fremente. Lasciò che studiasse un
po' i passanti prima di fargli cenno di avvicinarsi.
— Abbiamo trascurato molte cose, stanotte, a causa della
fretta. Una in particolare, ragazzo.
— Quale? — lui chiese.
— Non posso certo continuare a chiamarti «ragazzo». Avrai
un nome, no?
— Mi chiamano Flinx.
— Sarebbe il tuo nome o il tuo cognome?
Il ragazzo scosse lentamente la testa, con un'espressione in-
felice. — Madre, non so. È così che mi chiamano.
— Chi ti chiama? Chi sarebbero costoro? Tua... — esitò, — tua
«madre»? Tuo padre?
Ancora una volta quel lento scuotere della testa, con le cioc-
che rosse che danzavano. — Non ho una madre né un padre. È
la gente che mi chiama così.
— Quale gente?
— La gente che ha badato a me e agli altri bambini.
Questo era strano. Mamma Mastino corrugò la fronte. — Altri
bambini? Allora hai fratelli e sorelle?
— Non ho... — Si sforzò di ricordare. — No, non credo di aver-
ne. Forse c'erano. Non lo so. Li ricordo dai primissimi tempi.
Erano tempi strani.
— Cos'avevano di strano?
— Ero felice.
La donna annuì una volta, come se comprendesse. — Così ti
ricordi di un'epoca in cui eri felice e c'erano parecchi altri
bambini che vivevano con te.
Il ragazzo annuì con vigore. — Ragazzi e ragazze. E avevamo
tutto quello che potevamo desiderare, tutto quello che chie-
devamo. Ogni genere di buoni cibi e giocattoli e...
Forse una famiglia ricca ridotta in rovina. Lasciò che si di-
lungasse sui primi tempi, quelli felici, ancora per un po'. Quale
catastrofe aveva travolto il ragazzo nella sua infanzia?
— Quanto era grande questa famiglia? — gli chiese infine. —
Per ora la chiameremo la tua famiglia. Quanti altri ragazzi e
ragazze c'erano?
— Non ricordo con precisione. Un sacco.
— Sai contare?
— Oh, certo — disse lui con orgoglio. — Due, tre, quattro, cin-
que e molti di più. — Pareva qualcosa di più di una famiglia, an-
che se sapeva che non poteva essere esclusa una famiglia mol-
to numerosa.
— Ricordi cos'è successo a loro e a te? Eravate tutti felici e
avevate un sacco di amici, e poi è successo qualcosa.
— Sono arrivati i cattivi — bisbigliò il ragazzo, la sua espres-
sione s'intristì. — Gente molto cattiva. Hanno fatto irruzione là
dove vivevamo. Quelli che ci nutrivano, che ci sorvegliavano e
ci davano i giocattoli hanno combattuto contro i cattivi. C'era
un gran baccano, spari e... la gente cadeva tutt'intorno a me.
Sia i buoni che i cattivi. Io sono rimasto là a piangere fino a
quando qualcuno non mi ha preso e non mi ha portato via. Mi
hanno condotto attraverso molti corridoi e posti bui, e ricordo
di essere salito su una specie di... auto?
Mamma Mastino annuì, decisa: — È probabile. Continua, ra-
gazzo.
— Sono stato portato in giro un sacco di volte. Quella è stata
la fine dei tempi felici.
— Cos'è accaduto dopo? — incalzò la donna.
— Non ne sono ben sicuro — disse lui, lentamente. — È così
difficile ricordare.
— So che è doloroso per te, Flinx. Ma devo assolutamente sa-
pere quanto è più possibile su di te, così da poterti aiutare me-
glio che posso.
— Se te lo dirò — disse lui, incerto, — non permetterai che i
cattivi vengano a portarmi via?
— No — lei gli disse, con voce d'un tratto addolcita. — No, non
permetterò che vengano a portarti via. Mai, te lo prometto.
Il ragazzo si fece un po' più vicino e si appollaiò su un brac-
ciolo della grossa poltrona. Aveva chiuso gli occhi per concen-
trarsi. — Ricordo di non essere mai rimasto molto a lungo nello
stesso posto. La gente, quelli buoni che si prendevano cura di
me e mi nutrivano, tenevano lontani i cattivi. Erano sempre
preoccupati per qualcosa e gridavano più di prima.
— Erano arrabbiati con te?
— No credo. No davvero. — Si umettò le labbra. — Penso che
avessero paura, madre. So che io l'avevo, ma credo che l'aves-
sero anche loro. E poi... — un'espressione confusa si disegnò sul
suo viso, — ... mi sono addormentato. Molto a lungo. Solo che
non era vero sonno. Era come se fossi addormentato e che allo
stesso tempo non lo fossi. — Aprì gli occhi e la fissò. — Riesci a
capire, madre? Io no.
— No, non sono sicura di capire, ragazzo. — La sua mente la-
vorava. Ora, si chiedeva, chi si prenderebbe il tempo e il fa-
stidio di somministrare un sedativo a un bambino per un lungo
periodo di tempo? E perché darsi la pena di farlo?
— Poi — proseguì il ragazzo, — credo siano comparsi altri cat-
tivi. Questa volta non li ho visti. Ma alcune delle persone che
mi sorvegliavano morirono o comunque scomparvero. Poi c'e-
ravamo soltanto io e un uomo e una donna, e poi anche loro se
ne sono andati.
— Tuo padre e tua madre?
— No, non credo. — Scrollò la testa. — Comunque, non si sono
mai definiti in questo modo, con me. Erano soltanto due dei
buoni. Poi è arrivata altra gente... gente che non avevo mai vi-
sto prima, i quali mi trovarono e mi portarono via con loro.
— Erano buoni o cattivi?
— Credo non fossero né l'uno né l'altro — rispose il ragazzo
con molta attenzione. — Credo fossero una via di mezzo. Sì,
credo fossero dispiaciuti per me. Hanno cercato di essere cari-
ni con me, ma... — una scrollata di spalle, — ... erano soltanto
una via di mezzo. Mi hanno portato di nuovo in giro in un'infi-
nità di posti diversi con parecchi altri bambini che non cono-
scevo. E poi c'è stata la giornata di ieri e tu mi hai comperato.
Giusto?
Mamma Mastino si portò la mano alla bocca e tossì. — Non è
che io ti abbia veramente comperato. Ho acconsentito di pren-
dermi la responsabilità di te.
— Ma hai pagato dei soldi al governo per avermi, non è vero?
Mi avevano detto che questo, appunto, mi sarebbe successo.
— Erano soltanto per ripagare al governo le spese che ha so-
stenuto per prendersi cura di te — gli spiegò. — Non è che io ti
possieda. Non lo vorrei mai.
— Oh — replicò il ragazzo, calmo. — È bello. Sono contento. —
Tacque un attimo, osservandola, poi aggiunse: — È tutto quello
che riesco a ricordare.
— Non c'è affatto male. — Mamma Mastino si sporse in avanti
e gli indicò la strada sulla destra, in fondo. La poltrona cigolò al
suo movimento. — Se superi sei bancarelle in quella direzione,
troverai una bottega molto piccola gestita da un certo Cheneth.
Vai da lui, digli chi sei e da dove vieni. E potrai comperare da
lui — ci rifletté un attimo, non volendo strafare, — sì, mezzo
credito di qualunque cosa vedrai là dentro.
— Che razza di bottega è? — chiese tutto eccitato il ragazzo.
— Caramelle — disse Mamma Mastino, godendosi la luce che
si accese sul suo volto. — Ricordi cosa sono le caramelle, no?
Dall'espressione del tuo viso vedo che è così. — Lo capì anche
dalla velocità con cui Flinx infilò l'uscita. Poco dopo fu di ritor-
no con i profondi occhi color smeraldo che gli risplendevano
sul volto bruno. — Grazie, madre.
— Vai, vai, spostati da lato. Stai ostruendo la mia... la nostra
visuale dei clienti. Gira un po' qui intorno, impara tutto quello
che c'è da imparare sul posto dove adesso abiterai.
Il ragazzo scomparve come un raggio di sole. I suoi capelli
rossi svanirono in mezzo alla folla.
Caro... pensò fra sé. Mi costerà caro allevare quel ragazzo.
Per tutti i diavoli, come ho fatto a finire intrappolata in questa
faccenda? Borbottò in silenzio fra sé per parecchi minuti anco-
ra fino a quando non comparve un potenziale cliente.

Flinx imparò in fretta. Era riservato e assai adattabile, e tal-


mente silenzioso che Mamma Mastino neppure si accorgeva
quando le stava intorno. Ben presto cominciò a stupirla con la
sua conoscenza della disposizione e del funzionamento del
mercato e perfino della grande città che si stendeva più oltre.
Lavorava in continuazione per ampliare il suo bagaglio d'in-
formazioni, tormentando i bottegai con insistenti domande e
rifiutandosi di accettare per risposta un «non lo so». Mamma
Mastino non gli impose nessuna restrizione. Nessuno le aveva
mai detto che non era corretto concedere a un ragazzo di otto
anni la libertà di circolare in una città aberrante come Drallar.
Non avendo mai allevato bambini prima di allora, Mamma Ma-
stino poteva sempre fare appello all'ignoranza, e poiché ogni
notte Flinx ritornava illeso e indenne, lei non vide nessuna ra-
gione di modificare quell'abitudine malgrado la chiocciante di-
sapprovazione di alcuni suoi vicini.
— Non è questo il modo di comportarsi con un ragazzino di
quell'età — l'ammonivano. — Se non farai attenzione, lo perde-
rai. Una notte non farà più ritorno, da queste sue solitarie
scorribande.
— È un ragazzino, ma tutt'altro che tenero — lei ribatteva. —
È scaltro, ben più di quanto starebbe a indicare la sua età. Non
sono preoccupata per lui. Tanto per cominciare, non ne avrei
neppure il tempo. Non importa cosa gli potrà accadere, starà
sempre meglio di quando era assistito dal governo.
— Non starà meglio se finirà morto in qualche canale di scolo
— insistevano gli altri.
— Non accadrà — rispondeva lei fiduciosa.
— Te ne pentirai — replicavano. — Aspetta e vedrai.
— Ho visto e aspettato per novant'anni — era la sua risposta
definitiva, — e niente, finora, è mai riuscito a sorprendermi.
Non mi aspetto che il ragazzo interrompa questo record.
Ma si sbagliava.
Era metà pomeriggio. La foschia del mattino si era trasfor-
mata in una pioggia fitta. Mamma Mastino stava cercando di
decidere dentro di sé se mandare il ragazzo a comperare un po'
di cibo oppure aspettare. Una mezza dozzina di persone si sta-
vano aggirando dentro il negozio, aspettando che il rovescio
cessasse, un numero insolitamente grande rispetto al normale.
Dopo un po' Flinx le si avvicinò e le tirò timidamente la gon-
na rigonfia. — Mamma Mastino?
— Cosa c'è, ragazzo? Non infastidirmi adesso. — Tornò a gi-
rarsi verso il cliente che stava esaminando degli antichi gioielli
che abbellivano una bacheca chiusa a chiave sul lato interno
del negozio. Era raro che vendesse uno di quei costosissimi ar-
ticoli. Quando lo faceva, il guadagno era considerevole.
Il ragazzo insisté e lei sbottò: — Te l'ho detto, Flinx. Non
adesso!
— È molto importante, madre.
La donna proruppe in un sospiro esasperato e guardò con
aria di scusa l'ultramondano. — Mi scusi un attimo, mio buon
signore. Sa... i bambini.
L'uomo sorrise con fare assente, tutto preso da una collana
risplendente fatta di curiosi pezzi di metallo e legno lucidato.
— Cosa c'è, Flinx? — volle sapere, un po' arrabbiata con lui. —
Sarà meglio che sia una cosa importante. Tu lo sai che non mi
piace essere disturbata quando sono nel mezzo di una...
Flinx l'interruppe indicandole l'estremità opposta del nego-
zio. — Vedi quell'uomo laggiù?
Mamma Mastino appuntò lo sguardo in quella direzione.
L'uomo in questione era calvo ed esibiva una barba ben curata
e orecchini. Invece del leggero incerato preferito dagli abitanti
di Falena, indossava un pesante soprabito di tessuto nero,
chiaramente prodotto su un altro mondo. I suoi lineamenti
erano più sottili di quanto la sua statura avrebbe fatto pensare,
la sua bocca aveva un profilo quasi delicato. A parte gli orec-
chini, non erano visibili su di lui altri gioielli. Inoltre anche i
suoi stivali lo qualificavano come un visitatore di un altro
mondo: erano relativamente puliti.
— Lo vedo. Cos'ha?
— Ha rubato dei gioielli dalla bacheca là in fondo.
Mamma Mastino corrugò la fronte. — Ne sei sicuro, ragazzo?
— Il tono della sua voce era ansioso. — È un ultramondano e dal
suo aspetto dev'essere discretamente ricco. Se lanciassimo una
falsa accusa...
— Ne sono sicuro, madre.
— Lo hai visto rubare?
— No, non proprio.
— Allora di cosa diavolo stai parlando? — gli chiese lei, con
voce bassa e fremente, in tono di accusa.
— Vai a dare un'occhiata a quella bacheca — la sollecitò Flinx.
Mamma Mastino esitò; poi si diede mentalmente una scrol-
lata di spalle. — Niente di male, suppongo. — Ma cosa mai ave-
va preso il ragazzo? Si avvicinò con aria indifferente alla ba-
checa. Mentre si avvicinava, l'ultramondano si girò e si al-
lontanò, all'apparenza indifferente. Non si comportava certo
come un ladro nervoso che stesse per essere colto in fallo.
Poi Mamma Mastino si chinò sulla bacheca. E infatti la ser-
ratura era stata scassinata con tecnica professionale. Manca-
vano almeno quattro anelli fra quelli più preziosi della sua mo-
desta disponibilità. Esitò solo un breve istante prima di abbas-
sare gli occhi su Flinx.
— Sei sicuro che sia stato lui?
Il ragazzo annuì con energia.
Mamma Mastino portò due dita alle labbra e lasciò partire un
fischio penetrante. Quasi all'istante comparvero una mezza
dozzina di negozianti del vicinato. Tuttavia l'uomo calvo non
mostrò ancora la minima traccia di panico, limitandosi a fissa-
re incuriosito quegli arrivi improvvisi, insieme agli altri clienti
presenti nel negozio. La pioggia continuava a tempestare fuori
in strada. Mamma Mastino sollevò una mano, puntandola con-
tro l'uomo calvo, ed esclamò: — Fermate quel ladro!
Gli occhi dell'uomo si spalancarono per la sorpresa, ma non
fece nessuna mossa per battere in ritirata. Prontamente, pa-
recchi negozianti incolleriti gli agguantarono saldamente le
braccia. Almeno due di loro erano armati.
Il calvo sopportò la cosa per un attimo o due, poi, con rabbia,
si scrollò di dosso quelli che l'avevano catturato. Il suo accento,
quando parlò, lo indicò come un visitatore giunto da uno dei
mondi dominati dal lusso e dalla mollezza, ad esempio New Ri-
viera o Centauro B. — Un momento! Cosa succede qui? Vi av-
verto, se anche una sola persona osasse mettermi ancora le
mani addosso, se ne pentirà!
— Non minacciarci, cittadino — ribatté Aljean, mercante di
tessuti, il cui grande negozio dominava l'angolo più lontano
della strada. — Sistemeremo questa faccenda in fretta e senza
far ricorso alla polizia. Non ci piace molto la polizia in questa
strada.
— Sono pienamente d'accordo con voi su questo punto — re-
plicò l'uomo calvo, lisciandosi il pesante soprabito là dove era
stato malamente spiegazzato. — I poliziotti non piacciono mol-
to neppure a me. — E dopo una breve pausa aggiunse, mo-
strandosi finalmente scosso: — Quella donna non vorrà davve-
ro insinuare che io...
— È proprio questo che insinua, invece — ribatté uno degli
uomini al suo fianco. — Se lei non ha niente da temere, allora
non avrà nessuna ragione di rifiutarci un briciolo del suo tem-
po.
— Certo che no. Non vedo perché... — L'ultramondano studiò
per un attimo l'espressione dei loro volti. — Oh, be', se servirà a
risolvere questa follia...
— La risolverà — disse un altro uomo da dietro una pistola.
— Molto bene. E le sarò grato se vorrà puntare quella pistola
lontano da me... Certo non avrete bisogno di ricorrere alla tec-
nologia, oltre alla superiorità del numero?
Il negoziante armato esitò, poi abbassò la canna della pistola.
Ma non la infilò in tasca.
Mamma Mastino fissò l'uomo calvo per un attimo, poi guardò
Flinx, in attesa di spiegazioni. — Dunque, hai visto dove ha
messo gli anelli?
Flinx teneva gli occhi puntati sull'uomo senza batter ciglio. —
No, non l'ho visto, madre. Ma li ha presi. Ne sono sicuro.
Mamma Mastino riportò la sua attenzione sull'ultramonda-
no. — Signore, devo chiederle di acconsentire a una rapida per-
quisizione.
— Questo è assai poco dignitoso — si lamentò l'uomo calvo. —
Presenterò una protesta al mio ufficio turistico.
— Mi spiace — insisté Mamma Mastino, — ma se non ha nien-
te da nascondere, sarà meglio che ne siamo tutti sicuri.
— Oh, d'accordo. Per favore, fate presto. Ho altri posti dove
andare, oggi. Sono in vacanza, io.
Muovendosi ora con incertezza, due degli uomini che ave-
vano risposto al fischio di Mamma Mastino perquisirono il vi-
sitatore. Fecero un lavoro minuzioso, usando tutta l'esperienza
di gente che aveva avuto a che fare coi ladri in molte altre oc-
casioni. Esaminarono tutto, dall'imbottitura del soprabito ai
tacchi degli stivali. Quand'ebbero finito, fissarono impotenti
Mamma Mastino, scuotendo la testa.
— Non ha niente — le garantirono. — Non ha niente addosso.
— Cos'è che ti manca, madre? — domandò Aljean gentil-
mente.
— Anelli omicidi — dichiarò la donna. — I soli quattro anelli
omicidi che possedevo. Mi ci sono voluti anni per metterli in-
sieme, e non saprei proprio come rimpiazzarli. Tornate a per-
quisirlo. — Annuì, rivolta all'uomo calvo. — Non sono molto
grandi ed è facile nasconderli.
Ripeterono la perquisizione con attenzione ancora maggiore,
prestando particolare attenzione alla grossa fibbia metallica
che l'uomo portava alla cintura. Questa rivelò uno scomparto
nascosto, che conteneva la carta di credito dell'uomo e poche
altre cose. Ma nessun anello.
Quando la seconda perquisizione si rivelò ugualmente in-
fruttuosa, Mamma Mastino fissò con severità il suo protetto. —
E allora, Flinx: cos'hai da dire?
— Li ha presi, l'ha fatto — insisté il ragazzo quasi piangendo.
— So che l'ha fatto. — Stava ancora fissando l'uomo calvo. D'un
tratto sgranò gli occhi. — Li ha inghiottiti.
— Inghiottiti... Un momento, adesso — cominciò il visitatore.
— Questa faccenda sta diventando obbrobriosa. Devo forse
starmene qui ad ascoltare le accuse d'un ragazzino maligno? —
Agitò rabbiosamente un dito in direzione di Flinx, il quale non
si mosse né distolse da lui il suo gelido sguardo verde.
— Li ha presi e li ha inghiottiti — ripeté il ragazzo.
— Mi hai visto prendere quegli anelli? — chiese l'uomo calvo.
— No — ammise Flinx. — Non l'ho vista. Ma lei li ha presi. Lei
sa di averlo fatto. Sono dentro di lei.
— Affascinanti le esperienze che si possono vivere nei pianeti
dei bassifondi — commentò l'uomo calvo, sarcastico. — Comun-
que, questa storia non mi diverte più. Io devo andare. Il mio gi-
ro turistico mi concede soltanto due giorni in questa meravi-
gliosa città, e non voglio sprecare altro tempo ad osservare del-
le bizzarre abitudini locali. Vista l'innata gentilezza della mia
natura non farò appello ai gendarmi perché vi arrestino tutti.
Fatevi da parte, prego. — Si aprì un varco tra i negozianti e
uscì con passo tranquillo in mezzo alla pioggia.
Mamma Mastino fissò la schiena dell'uomo che si allonta-
nava. I suoi amici e colleghi la guardarono impotenti, aspettan-
do che dicesse qualcosa. La vecchia abbassò lo sguardo sul ra-
gazzo. Flinx aveva smesso di piangere. La sua voce era calma e
priva d'emozione quando le restituì lo sguardo.
— Li ha presi, madre. E adesso li sta portando via.
La vecchia non riuscì a spiegarsi cosa la spingesse, quando
disse con voce calma a Aljean: — Chiama un gendarme, allora.
L'uomo calvo l'udì. Si fermò e si voltò a guardarli in mezzo al-
la pioggia che adesso si era un po' attenuata. — Mia cara vec-
chietta, se crede proprio che io stia qui ad aspettare...
— Aljean — fece Mamma Mastino. — Cheneth. — I due nego-
zianti si scambiarono un'occhiata, poi corsero fuori per ri-
portare dentro l'uomo. Se fosse stata sporta denuncia per false
accuse e impedimento alla libertà personale, queste sarebbero
state contro Mamma Mastino e non contro di loro.
— Mi spiace, signore — disse Cheneth, l'uomo delle caramelle,
facendo un gesto con la pistola, — ma dobbiamo chiederle di
aspettare fino a quando non saranno arrivate le autorità.
— E poi cosa? Trascineranno un libero cittadino davanti a un
magistrato soltanto perché lo chiede un bambino?
— Una semplice ispezione ai raggi del suo corpo sarà suffi-
ciente — disse Mamma Mastino, quando i tre rientrarono nel
negozio. — Certo non avrà nessun motivo per obbiettare?
— Certo che obbietterò! — ribatté il visitatore. — Non avete
nessun motivo o diritto...
— Càspita, ma lei d'un tratto sta discutendo parecchio, per
essere qualcuno che non ha niente da temere — osservò Aljean.
Era una donna di quarantadue anni e si era fatta strada fra
quattro mariti. Era molto abile nel riconoscere le bugie, e d'im-
provviso era assai meno convinta dell'innocenza di quel visita-
tore. — Naturalmente, se lei adesso si rendesse conto di aver
commesso un piccolo errore e che noi indigeni bizzarri non sia-
mo gli allocchi che lei credeva, e se preferisce evitare il fastidio
d'una ispezione corporea ai raggi, per non parlare dell'atten-
zione delle autorità, avrà modo di apprendere che qui siamo
pronti a perdonare se restituirà a Mamma Mastino quello che
ha preso.
— Non ho preso un accidente... — cominciò a ribattere l'uomo
calvo.
— Le prigioni di Drallar sono molto, molto scomode — conti-
nuò Aljean con vivacità. — Al nostro governo non piace spen-
dere soldi per le pubbliche necessità. E sono parecchio spilorci
quando si tratta delle comodità dei malandrini. Visto che lei è
un ultramondano, non credo che le farebbe troppo bene
mezz'anno di umidità sotterranea non filtrata. La muffa le
spunterà da sotto le palpebre e le crescerà da dentro i polmoni.
D'un tratto il calvo parve accasciarsi su se stesso. Fissò con
rabbia Flinx, Il quale gli restituì l'occhiata senza minimamente
scomporsi.
— Non so come tu abbia fatto a vedermi, ragazzo. Giurerei
che nessuno mi ha visto! Nessuno!
— Che io sia benedetto — mormorò Cheneth, facendo passare
lo sguardo dal ladro al ragazzo che l'aveva pescato. — Allora, è
vero che ha preso gli anelli!
— Sì. Non chiamate le autorità — disse l'uomo calvo rivolto a
Aljean. — Lei ha detto che sarebbe bastato che io rendessi gli
anelli. Sono pronto a farlo.
Mamma Mastino annuì lentamente. — Sono d'accordo an-
ch'io, a patto che lei non faccia più vedere il suo cocuzzolo luc-
cicante in questa parte del mercato.
— Avete la mia parola di professionista — si affrettò a pro-
mettere l'uomo. — Non ho mentito quando ho detto di essere in
vacanza. — Rivolse loro un agro sorriso. — A me piace fare in
modo che le mie vacanze siano autosufficienti...
Mamma Mastino non ricambiò il sorriso. Tese una mano: — I
miei anelli omicidi, prego.
Il sorriso dell'uomo si torse ancora di più. — Al più presto. Ma
prima ho bisogno di certi commestibili. Ci sono certi frutti che
saranno più che sufficienti. E alcuni medicinali standard. Avrò
anche bisogno di panni puliti e di disinfettanti. Il ragazzo ha
ragione. Li ho inghiottiti. Mi fornisca ciò che le ho chiesto e fra
un'ora o poco più riavrà i suoi stramaledetti anelli.
Mamma Mastino li riebbe quaranta minuti più tardi.
Dopo che il ladro e il piccolo gruppo dei negozianti sbalorditi
se ne furono andati per le rispettive strade, Mamma Mastino
prese da parte il suo protetto e lo pose davanti alla domanda
che nessun altro aveva pensato di fargli.
— Dunque, ragazzo: hai detto di non averlo visto inghiottire
gli anelli?
— No, non l'ho visto, madre. — Adesso che la piccola folla si
era dispersa e la sua affermazione aveva trovato conferma,
riaffiorò la sua timidezza.
— Allora, per tutti i diavoli ricciuti, come facevi a saperlo?
Flinx esitò.
— Su, ragazzo, parla. A me puoi dirlo — disse Mamma Masti-
no, suadente. — Ricordati che adesso sono tua madre. La sola
che hai. Sono stata leale e sincera con te. Adesso tocca a te ri-
cambiare.
— Ne sei sicura? — Vide che il ragazzo lottava con se stesso.
— Sei sicura di non essere gentile con me soltanto per in-
gannarmi? Non sei uno dei cattivi?
Era strano che saltasse fuori con quel discorso, pensò la vec-
chia. — Ma certo che non sono una di loro. Ti sembro forse uno
dei cattivi?
— N... no — lui ammise. — Anche se a volte è difficile dirlo.
— Ormai è un po' di tempo che vivi con me, ragazzo. Dovresti
saperlo. — La sua voce ridivenne gentile. — Suvvia, adesso.
Quello che è giusto è giusto. Perciò smettila di mentirmi, insi-
stendo a dire che non l'hai visto mentre inghiottiva quegli anel-
li.
— Non l'ho visto — lui ribadì, bellicoso. — E non mento.
Quell'uomo... sì, si stava allontanando dalla bacheca, ed era a
disagio. Era si sentiva... com'è la parola? Si sentiva colpevole.
— Ma come fai a saperlo?
— Perché — mormorò, senza guardarla, ma fissando la stra-
da, là fuori, dove quella strana gente continuava a muoversi su
e giù in mezzo alla nebbia che stava tornando, — perché l'ho
sentito. — Portò la piccola mano alla fronte, sfregandola leg-
germente. — Qui.
Gran Ganwrath dell'Inondazione, pensò Mamma Mastino. Il
ragazzo ha un talento nascosto! — Vuoi dire — gli chiese, anco-
ra — che gli hai letto nella mente?
— No — lui la corresse. — Non è così. È... una sensazione che
talvolta ricevo.
— Ricevi questa sensazione tutte le volte che guardi qualcuno
che è colpevole?
— Non soltanto la colpevolezza — lui le spiegò. — Si tratta di
ogni genere di sensazioni. La gente... è come un incendio. Puoi
sentire il calore di un incendio. — La vecchia annuì lentamente.
— Be', io posso sentire certe cose dalla testa della gente. Felici-
tà o paura o odio, e un sacco di altre cose. Non sono sicuro in
che modo... Forse come quando un uomo e una donna sono in-
sieme.
— Puoi farlo tutte le volte che vuoi? — lei gli chiese.
— No. Quasi mai, invece. Molte volte non riesco a sentire
niente. Allora tutto è pulito e non mi aggredisce, e posso rilas-
sarmi. Poi ci sono altre occasioni quando la sensazione è là...
qui dentro — aggiunse, toccandosi di nuovo la fronte. — Stavo
guardando quell'uomo, e la colpevolezza e la preoccupazione
sgorgavano da lui come un incendio, in particolare tutte le vol-
te che guardava la bacheca dei gioielli. Era anche preoccupato
dalla possibilità di venire in qualche modo scoperto, e per un
sacco di altre cose. Stava pensando, stava irradiando pensieri
relativi a un mucchio di denaro fatto in fretta. Denaro che
avrebbe ottenuto disonestamente.
— Emozioni — rifletté ad alta voce la vecchia, — tutte emozio-
ni. — Cominciò a ridacchiare in tono sommesso. Aveva già sen-
tito parlare di cose del genere. Il ragazzo era un telepate empa-
tico, anche se rudimentale. Poteva leggere le emozioni degli al-
tri, anche se non i loro veri pensieri.
— Tutto a posto, Flinx — lo rassicurò. Allungò una mano e gli
scompigliò scherzosamente i capelli. — Hai agito bene. Mi hai
fatto risparmiare. Hai fatto risparmiare a tutti e due un sacco
di denaro. — Guardò la piccola borsa di cuoio che adesso conte-
neva i quattro anelli recuperati e puliti. Sapevano ancora di di-
sinfettante.
— Non c'è da stupirsi che quel ladro non sia riuscito a capire
come hai fatto a scoprirlo. Non l'hai neppure visto mentre
prendeva gli anelli!
— No, madre. Non ero neppure sicuro di cosa avesse preso.
— Hai sentito soltanto la reazione della sua mente?
— Credo di si — disse Flinx. — Non... non so come mi accada...
ma so anche che la maggior parte della gente non può farlo,
vero?
— No — rispose lei, con dolcezza. — La maggior parte della
gente non può. E talvolta la gente rimane assai sconvolta se
pensa che ci sia lì vicino qualcuno che è in grado di farlo.
Flinx annuì con solennità. — Come i cattivi?
— Forse — disse la vecchia, valutando quella possibilità. — Sì,
forse come i cattivi. Non puoi controllare quel potere, ne sei si-
curo?
— Ne sono sicuro. Ci ho provato. A volte c'è, qualcosa che
brucia dentro la mia testa. Ma per la maggior parte del tempo
non c'è.
La vecchia annuì. — Peccato, peccato. Hai quello che viene
chiamato un talento, Flinx.
— Un talento. — Ci pensò su un momento, poi chiese, incerto:
— È una buona cosa?
— Può esserlo. Potrebbe anche essere una cosa pericolosa,
Flinx. Dobbiamo farne un segreto, il tuo e il mio. Non parlarne
mai con nessun altro.
— Non ne parlerò mai con nessuno — mormorò. Poi aggiunse
con vigore: — Lo prometto. Allora, non sei in collera con me?
— In collera? — Mamma Mastino se ne uscì in una fragorosa,
chiocciante risata. — Come potrei mai essere in collera con te,
ragazzo? Ho avuto restituiti i miei gioielli, e tu ti sei guadagna-
to non poco rispetto tra i nostri vicini. In questo mercato, si
tratta d'una importante merce di scambio, come potresti sco-
prire un giorno. Loro sono convinti che tu abbia un occhio acu-
to e una lingua tagliente. La realtà è qualcosa di più, anche se
non metto in dubbio che tu possa tener testa a parole col mi-
gliore di loro. Ma... tieni per te il tuo talento. Ricordati che è il
nostro segreto.
— Il nostro segreto — ripeté Flinx con solennità,
— C'è altro che tu sappia fare? — lei gli chiese, cercando di
non apparire avida. — Qualcos'altro, oltre a percepire quello
che provano gli altri?
— Non credo. Anche se a volte mi sembra che... non so. Bru-
cia e mi fa paura. Non so cosa mi accada o perché.
— Non fartene un cruccio, ragazzo. — Non volle insistere
sull'argomento quando vide che la cosa lo turbava. — Non c'è
niente da temere. — Lo attirò a sé e lo tenne stretto al proprio
corpo, così esile e caldo.
— Utilizza la tua mente e tutto il resto che possiedi. Ti sono
stati dati proprio per questo. Un talento come il tuo non è di-
verso da qualunque altra capacità. E se c'è qualcos'altro, di te,
che vuoi tentare, fallo pure. Questo corpo e questo cervello so-
no tuoi e di nessun altro.

III

La coppia veniva da Burley. Mamma Mastino lo capiva dal


loro accento rude e dall'eccessiva quantità di luccicanti gioielli
metallici che portavano. Erano monili di caccia lavorati a ma-
no. Era stato il grande frammento di legno nero di Caulder,
dall'intricata, minuziosa lavorazione, là nel negozio di Mamma
Mastino ad attirare la loro attenzione. Era finemente scolpito
per raffigurare una colonia di Thoruped, una delle molte che
infestavano i continenti dell'emisfero settentrionale di Falena.
La scultura occupava tutta la larghezza del grumo nerastro,
quasi due metri da un'estremità all'altra. Era spessa mezzo
metro, ed era stata lucidata fino ad assumere uno splendido
aspetto d'ebano lucente.
Era un'opera spettacolare. Normalmente Mamma Mastino
neppure avrebbe considerato la possibilità di venderla, poiché
era proprio quel capolavoro che attirava i passanti nel suo ne-
gozio. Ma quella coppia mostrava di bramarlo disperatamente,
e soltanto l'altissimo, impossibile prezzo pareva esser loro d'o-
stacolo.
Flinx entrò nel negozio dalla strada, si chinò a osservare un
mucchio di piccoli braccialetti nel mentre studiava l'uomo e la
donna che discutevano fra loro. D'un tratto raggiunsero una
decisione: dovevano assolutamente avere quel pezzo. Avrebbe
completato il loro soggiorno, e avrebbe fatto l'invidia di tutti i
loro amici. Al diavolo le spese per la spedizione, l'assicurazione
e il prezzo! L'avrebbero comperato. E lo fecero davvero, anche
se la somma sulla loro carta di credito bastava appena a copri-
re il prezzo. Quel pomeriggio sul tardi due uomini vennero a
prelevare il pezzo per consegnarlo all'albergo in cui sog-
giornavano i due visitatori.
Più tardi, quella sera, dopo che il negozio ebbe chiuso e la ce-
na fu terminata, Mamma Mastino disse, quasi distrattamente:
— Ragazzo, ricordi quella coppia che oggi ha comperato quella
scultura in legno di Caulder?
— Sì, madre.
— Saranno entrati e usciti dal negozio una mezza dozzina di
volte prima di decidersi.
— È interessante — annuì Flinx, anche lui con fare distratto.
Era seduto in un angolo intento a visionare una cassetta sul
suo visore portatile. Era molto diligente nel suo studio, al pun-
to che a lei non era mai venuto in mente di mandarlo in una
scuola pubblica per dei corsi regolari. Le videocassette prese a
nolo le erano andate benissimo da bambina, e sarebbero anda-
te altrettanto bene per lui.
— Sì — Mamma Mastino continuò. — Avevano appena i soldi
sufficienti. Li ho incalzati, ho fatto anche un paio di ritirate
strategiche... insomma, ho fatto tutto il possibile per con-
vincerli del grande valore di quella scultura, non appena ho vi-
sto che erano seriamente interessati all'acquisto. Ma ogni vol-
ta, non importa cosa io avessi detto, uscivano in strada e si
mettevano a discutere.
«Poi sei comparso tu e sei rimasto lì a guardarli e... zac!,
tutt'a un tratto ogni loro resistenza all'acquisto è andata in
frantumi. Non è interessante?
— No davvero — rispose Flinx. — Non succede un sacco di vol-
te?
— Non con un articolo costoso come il legno di Caulder. Non
succede mai così. Ora... non è che tu abbia avuto qualcosa a che
fare con l'improvviso cambiamento d'idea di quei due? Non è,
per caso, che tu abbia percepito la loro esitazione e abbia fatto
qualcosa per aiutarli?
— Certo che no, madre. — Distolse lo sguardo dal suo visore,
sorpreso. — Non posso fare niente del genere.
— Oh — mormorò lei, delusa. — Non mi starai mica mentendo
proprio adesso, vero, ragazzo?
Flinx scosse la testa con energia. — Perché dovrei fare una
cosa del genere? Sono felice che tu abbia guadagnato tanti
quattrini con quella vendita. Sono sempre contento quando fai
soldi.
— Almeno, questa è una cosa che abbiamo in comune — disse
burbera la vecchia. — Hai guardato abbastanza per stasera.
Stancherai i tuoi giovani occhi. Vai a letto, Flinx.
— D'accordo, madre. — Le si avvicinò e le diede il bacetto
d'obbligo sulla guancia, prima di correre nella sua stanza. —
Buona notte.
— Buona notte, ragazzo.
Per un po' Mamma Mastino rimase sveglia nella sua camera
da letto, seguendo sul suo visore una delle cassette d'intrat-
tenimento presa a nolo. Lo spettacolo era stato registrato su
Evoria e traeva beneficio sia da questa sua collocazione esotica
che dalla partecipazione di attori thranx. Quando infine lo
spense e si preparò a dormire era ormai molto tardi. Una rapi-
da doccia, mezz'ora per spazzolarsi i capelli, e poté infilarsi con
un sospiro sotto la coperta termica. Mentre giaceva al buio in
attesa del sonno, un improvviso, inquietante pensiero s'insinuò
nella sua mente. Perché il ragazzo avrebbe dovuto mentirle su
una tale, possibile, capacità?
Poteva averlo fatto, pensò, perché se era in grado di con-
vincere una coppia di turisti a compiere un acquisto non volu-
to, era probabile che potesse farlo anche con altri. E se poteva
farlo anche con altri, cos'era successo lo scorso autunno quan-
do lei stava passando in fretta davanti alla piattaforma dell'a-
sta governativa diretta in città e qualcosa l'aveva fatta ferma-
re, facendole provare una sensazione di perplessità? Non era
forse possibile che l'acquisto da lei fatto quel giorno (quell'ac-
quisto non voluto e fino ad oggi inspiegabile, che non aveva mai
analizzato tanto da vicino) fosse stato aiutato dalle gomitate
mentali dell'acquistato? Perché mai lei l'avesse comperato, non
uno solo dei suoi amici era riuscito a capirlo.
Turbata, scivolò giù dal letto e raggiunse la stanzetta del ra-
gazzo. Un'occhiata all'interno le rivelò Flinx che dormiva sa-
poritamente sotto la coperta, un bambino dall'aria innocente,
quale mai si sarebbe potuto sperare di contemplare. Ma adesso
lì c'era qualcos'altro, qualcosa d'invisibile e d'imprevedibile di
cui non avrebbe mai potuto essere sicura. Mai più sarebbe sta-
ta in grado di rilassarsi completamente in presenza del ragaz-
zo.
Aveva già dimenticato il suo rincrescimento iniziale e aveva
cominciato a profondergli l'amore che non era mai stata capa-
ce di dare a quelli come lei. Era un ragazzino tanto caro e le era
stato di moltissimo aiuto in negozio. Era bello avere una com-
pagnia come quella alla sua vecchia età. Ma adesso per un po',
soltanto per un po', l'avrebbe accarezzato e rassicurato con
una mano ma avrebbe tenuto l'altra vicino a un'arma. Fino a
quando non fosse stata pienamente sicura dentro la sua mente
che della sua mente, appunto, poteva fidarsi.
Vecchia pazza, sciocca, pensò mentre tornava nella sua ca-
mera da letto. Lo hai lodato perché possiede un talento, e ades-
so questo suo talento ti preoccupa. Non puoi avere le due cose
insieme. Inoltre, che bisogno c'era di temere un talento che il
suo proprietario non poteva controllare? Quella confessione
del ragazzo pareva abbastanza sincera, a giudicare dalla sua
perplessità e dal suo avvilimento.
Si sentiva meglio quando per la seconda volta s'infilò nel suo
letto. No, non c'era nessun motivo di preoccuparsi. Era inte-
ressante, quel suo talento, ma se non poteva controllarlo, be',
non c'era nessun motivo di preoccuparsi. Era chiaro che
chiunque non fosse in grado di padroneggiare una simile capa-
cità non sarebbe mai arrivato a fare un granché.

— Haithness, Cruachan, venite qui!


La donna seduta davanti allo schermo del computer aveva
passato un'altra mattina ancora a esaminare colonne e colonne
di dati. Stava cercando di risolvere un enigma chimico di note-
vole complessità. E quella mattina, come capitava in rare occa-
sioni, un frammento dell'enigma d'interesse particolarmente
vitale s'era incastrato al suo posto. Invece d'una congerie di ci-
fre e di grafici indisciplinati adesso lo schermo irradiava un'im-
magine d'una perfetta simmetria.
L'uomo che si affrettò a raggiungerla dal centro della stanza
per dare un'occhiata da sopra la sua spalla era alto e le rughe
che gli solcavano il viso colpivano l'occhio d'un osservatore. La
donna dai capelli scuri che si era unita a lui per fissare lo
schermo era solenne quanto lui.
La camera in cui tutti e tre lavoravano era situata in un edi-
ficio anonimo di piccole dimensioni, adibito a uffici. Sorgeva in
una città poco importante d'un mondo arretrato. Malgrado tut-
to l'equipaggiamento sul quale erano curvi avesse un aspetto
rabberciato, per la maggior parte era d'un tipo che esigeva una
grande esperienza per farlo funzionare, oltre a un rilevante
impiego di fondi.
Sia le conoscenze che il denaro arrivavano da località in ap-
parenza non collegate fra loro e sparse dovunque per il Com-
monwealth. Per gli uomini e le donne che praticamente tra-
scorrevano la loro vita in quella stanza l'isolamento era il loro
onorato fardello e l'oscurità la loro arma più potente, giacché
erano membri d'una minoranza disprezzata e perseguitata
quanto mai, in guerra con i princìpi della società civilizzata. Il
loro cuore era davvero puro e il loro scopo nobile... ma era il lo-
ro modo di procedere che il resto della civiltà metteva in di-
scussione.
I tre che fissavano intensamente lo schermo del computer
non avevano l'aspetto di candidati meritevoli d'una simile, spe-
ciale attenzione. L'uomo alto, Cruachan, aveva l'aspetto d'un
nonno gentile; la donna orientale seduta davanti alla consolle
sarebbe parsa più nel suo ambiente in un'era antica, abbigliata
com'era di sete traboccanti e calzature di legno. Soltanto la
donna alta e scura in piedi sull'altro lato di Cruachan faceva
trasparire dal volto un po' della durezza interiore.
Tuttavia quella durezza e quella fredda determinazione al-
bergavano in ciascuno di loro, nutrite e intensificate da due de-
cenni di persecuzioni. Si consideravano uomini e donne distin-
ti dal gregge comune. Il loro scopo era — niente di meno — il mi-
glioramento dell'umanità suo malgrado. Che i loro metodi po-
tessero danneggiare degli innocenti era stato loro noto sin
dall'inizio. Avevano accantonato, però, questa ed altre convin-
zioni morali, persuasi che tali sacrifici fossero necessari ac-
ciocché la maggioranza potesse trarne beneficio. Chiamavano
il loro gruppo la Meliorare Society, un nome in apparenza in-
nocente, concepito per mascherare l'intenzione di migliorare
l'umanità tramite la manipolazione artificiale del materiale ge-
netico.
I loro guai erano cominciati quando parecchi dei loro espe-
rimenti mal riusciti erano venuti alla luce, suscitando enorme
scalpore. Adesso erano costretti a lavorare in avamposti spar-
pagliati un po' dappertutto invece che in una singola stazione
di ricerca, sempre con un solo passo di vantaggio sulle autorità
governative che davano loro la caccia. La plebaglia in genere li
considerava con orrore.
La maggior parte dei loro associati era ormai scomparsa, es-
sendo stati scoperti e arrestati dagli spietati tirapiedi d'una
burocrazia ignorante: martiri della scienza, come ben sapeva-
no i sopravvissuti... mostri inumani, secondo quanto riferivano
invece i mezzi di comunicazione.
Naturalmente gli scopi della Meliorare Society erano peri-
colosi! I miglioramenti, i cambiamenti, venivano sempre giudi-
cati pericolosi dai miopi. I membri della società si erano tem-
prati a quel modo di pensare, e questo non aveva più nessun ef-
fetto su di loro. Ciò che per loro importava erano i risultati,
non le opinioni delle masse ignoranti.
Così, non temevano la morte; non temevano neppure la po-
sizione ancora più orribile della obliterazione mentale seletti-
va, giacché credevano nella giustezza della propria causa. Se
anche uno soltanto dei loro esperimenti fosse riuscito, questo
sarebbe bastato a giustificare il lavoro iniziato sulla Terra qua-
rant'anni prima dal fondatore della Society. Allora sarebbero
stati in grado di riemergere nella comunità scientifica che li
aveva ripudiati. Sarebbero stati in grado di additare con orgo-
glio un essere umano visibilmente migliorato e finalmente ma-
turo.
L'eccitazione che permeava l'intera stanza era contenuta ma
chiaramente sentita quando si raccolsero intorno allo scher-
mo.
— Sarà meglio che questo sia all'altezza delle previsioni,
Nyassa-lee — l'avvertì Cruachan. — Ho una tremenda quantità
d'informazioni del sistema di Cannachanna da elaborare e, co-
me sai, è probabile che dovremo abbandonare questo posto e
trasferirci altrove entro un mese. Questo significherà reinse-
diarci, scomporre e ricomporre l'intero equipaggiamento, e tut-
te le altre difficoltà che comporta uno spostamento.
— Tu mi conosci bene, Cruachan — disse la donna seduta sul-
la sedia. Non provava nessuna sensazione di trionfo per ciò
che aveva appena fatto: erano progrediti bene al di là di simili
banalità, ormai. — Sono mesi ormai che immetto dati e corre-
lazioni incrociate sulla dispersione e le caratteristiche d'ogni
singolo soggetto. Finalmente ho ottenuto dei risultati. Ho loca-
lizzato il Numero Dodici.
La donna nera e alta si sporse più vicino allo schermo. — Il
Numero Dodici... mi è rimasto impresso. È un maschio, vero?
Nyassa-lee annuì e indicò lo schermo. — Ecco, faccio ripas-
sare un'altra volta i dati rilevanti per voi.
Tornarono a familiarizzarsi col caso in questione. Erano pas-
sati otto anni da quando era scattata l'interdizione. Durante
quegli otto anni avevano ripreso contatto con un certo numero
di soggetti. Per la maggior parte, questi avevano conosciuto
un'infanzia normale; pochi avevano mostrato qualche barba-
glio, ma niente che valesse la pena di esser seguito con mag-
giore attenzione e dispendio di mezzi.
E c'erano stati anche quelli la cui mente e il corpo erano usci-
ti orribilmente distorti dalle originarie manipolazioni chirurgi-
che, delle quali ognuno di loro condivideva la colpa. Erano stati
questi sfortunati insuccessi che, una volta divulgati dal gover-
no, avevano destato una vivissima, emotiva repulsione nel
grosso pubblico scientificamente impreparato, consentendo in
tal modo allo stesso governo di legalizzare la sua caccia alle
streghe contro la Society.
Il governo aveva recuperato la maggior parte dei soggetti in
età infantile, allevandoli poi in case speciali e riportandoli così
alla normalità. Là dov'era possibile, le alterazioni genetiche
apportate dai microchirurghi della Society erano state corrette
per consentire a tutti i bambini di vivere un'esistenza normale.
Se non possiamo migliorare il normale, pensò Haithness, al-
lora non meritiamo di esplorare e dominare l'universo. La na-
tura aiuta coloro che si aiutano. Perché mai dovremmo im-
piegare le nostre conoscenze e il nostro sapere per dare una
spinta all'evoluzione?
Dall'angolo più lontano della stanza in penombra un uomo
gridò: — Brora riferisce che una navetta governativa è atterra-
ta al navettaporto di Calaroom.
— Potrebbe essere il solito carico di specialisti agricoli — os-
servò pensieroso Cruachan.
— Forse — ammise l'individuo che stava operando alla consol-
le delle comunicazioni, — ma possiamo permetterci questo ri-
schio?
— Non mi va di ordinare l'evacuazione sulla base d'una prova
tanto esile. Qualche informazione sul numero dei passeggeri?
— Difficile dirlo — replicò l'uomo, ascoltando attentamente al
ricevitore. — Brora — dice che ce ne sono almeno una dozzina
che non ha riconosciuto.
— Sono un numero eccessivo per degli specialisti in agri-
coltura, Cruachan — gli fece osservare Haithness.
— Infatti. — Cruachan gridò all'operatore alle comunicazioni:
— Di' a Brora di ritirarsi e di prepararsi a partire. Non possia-
mo correre rischi. Riduci il tempo di evacuazione da un mese a
stanotte.
— Stanotte? — La voce dell'addetto alle comunicazioni suonò
piena di dubbio. — Ma non riuscirò a smontare neppure metà
dell'equipaggiamento!
— Potremo sempre ricomprarcelo nuovo — gli ricordò
Cruachan. — Siamo noi, invece, che non possiamo essere sosti-
tuiti.
L'uomo alla consolle annuì e tornò a voltarsi verso la sua po-
stazione, parlando sommessamente e in fretta dentro al mi-
crofono. Cruachan riportò la sua attenzione allo schermo del
computer.
Stavano riemergendo le informazioni. NUMERO DODICI,
MASCHIO, BAMBINO, FISICO NORMALE. Seguivano le indica-
zioni relative all'indice cerebrale e le cifre del dislocamento
dell'energia corticale.
Ah, sì. Adesso Cruachan ricordava. Imprevedibile, quel Nu-
mero Dodici. I profili dell'attività cerebrale suggerivano un'at-
tività paranormale ma niente di concreto. In particolare, era
risultata affascinante la quantità di attività emergente dal lato
sinistro del cerebro, individuabile di solito soltanto nelle fem-
mine. Questo in sé non costituiva motivo di eccitazione, ma c'e-
rano anche persistenti indizi di funzionamento in due sezioni
del cervello che di solito non erano attive, le aree «morte» della
mente. Quell'attività, come il ragazzo stesso, era stata im-
prevedibile.
Eppure, malgrado questi indizi incoraggianti, l'anamnesi del
Numero Dodici era priva dei soliti sviluppi. Nessun accenno di
telepatia, psicocinesi, pirocinesi, dislocamento duale, o qua-
lunque altra fra le moltissime capacità che la Society aveva
sperato di far fiorire nei suoi bambini sperimentali.
Comunque, il Numero Dodici esibiva qualcosa di possibile.
— Be', questo si dimostra più promettente dell'ultima dozzina
o giù di lì — dovette ammettere Haithness. — È passato tanto
tempo dall'ultimo contatto che abbiamo avuto con lui che mi
ero quasi dimenticata di questi particolari indizi di attività ce-
rebrale. Dobbiamo riottenerlo il più presto possibile. Dove si
trova?
Nyassa-lee batté i tasti sotto lo schermo facendo emergere le
risposte.
— In che razza di punto del Commonwealth si trova questo
pianeta? — brontolò Haithness.
— Un mondo mercantile — intervenne Cruachan, riflettendo
intensamente. — Si trova in una posizione centrale ma in sé
non è importante. Un mondo per brevi fermate di routine, con
una popolazione indigena poco numerosa.
— Vorrete certo precipitarvi laggiù, una volta che avrete vi-
sto questo — garantì ad entrambi Nyassa-lee. Le sue dita si
mossero agili sulla tastiera premendo altri tasti, e ulteriori in-
formazioni balenarono sullo schermo. — Queste sono recenti.
Vengono da un nostro agente locale che ha rintracciato il sog-
getto. Sembra che il ragazzo abbia esibito in maniera inequivo-
cabile un talento, forse due. Inoltre l'ha fatto in pubblico e a
quanto pare senza nessun addestramento specializzato.
— Senza addestramento — bisbigliò Cruachan. — Straor-
dinario, se è vero.
Nyassa-lee batté la mano sullo schermo. — Questo agente è
stato sempre affidabile in passato e si è particolarmente distin-
to per l'accuratezza delle sue osservazioni. Il talento in que-
stione è una variante telepatica di qualche tipo. L'agente non è
addestrato in modo scientifico, naturalmente, ed è ancora me-
no sicuro per quanto riguarda il secondo talento, anche se il
suo valore potenziale potrebbe essere ancora maggiore.
— Di cosa si tratta? — chiese Haithness.
— Ho avuto molta difficoltà a trovargli un nome. Sostan-
zialmente, pare che il bambino sia un emozionalteratore.
L'altra donna parve confusa. — Non ricordo di aver visto il
termine sulla lista dei talenti possibili.
— Non c'era. È originale. Coniato appositamente per questo
bambino, a quanto pare — disse Cruachan. — Nyasse-lee annuì:
— Significa essere in grado d'influenzare le emozioni degli altri.
Non il controllo della mente; niente di così forte. Una cosa più
sottile. Chiunque possieda una tale capacità dovrebbe impie-
garla con estrema cautela. Se il rapporto dice il vero... — La sua
voce e i suoi pensieri andarono per un attimo alla deriva men-
tre studiava lo schermo.
— Pare che i talenti del bambino non siano stati notati dalle
autorità e che lui si sia sviluppato in maniera naturale. Tutto
senza anche il più rudimentale addestramento. Questi segni in-
dicano di certo un potenziale straordinario in attesa di venir li-
berato.
— O il bambino è cresciuto del tutto inconscio di possedere
questi talenti — dichiarò Nyassa-lee, studiando le nuove infor-
mazioni man mano comparivano sullo schermo, — oppure ha
un'intelligenza precoce.
— Potrebbe essere soltanto un'istintiva cautela — intervenne
Haithness. — Sarà interessante scoprire qual è il caso.
— Cosa che noi faremo — ribadì Cruachan con fermezza. — È
passato molto tempo dal giorno in cui un soggetto promettente
come questo è tornato a noi. Potrebbe esser proprio quello che
abbiamo cercato durante tutti questi anni.
— Sarà bene che non sia la replica dell'ultima volta che ci è
capitato di localizzare un soggetto con queste cifre — lo mise in
guardia Haithness, indicando i simboli sempre nuovi che si sta-
vano materializzando sullo schermo. — Osserva quel potenzia-
le neuronico. Ricordi qual è stato l'unico altro bambino che ha
mostrato cifre come quelle?
— Certo che ricordo — replicò Cruachan irritato. — Non per-
deremo questo come abbiamo perso quella ragazza... come si
chiamava quel piccolo mostro?
— Mahnahmi — gli ricordò Nyassa-lee. — Sì, se questo ragaz-
zino assomiglia anche soltanto un po' a lei, dovremo agire con
estrema prudenza. Non ce la farei ad accettare una ripetizione
di quell'esperienza.
— Neppure io, ad esser sincero — ammise Cruachan. — Il no-
stro errore è stato quello di tentare di riprendere direttamente
il suo controllo. Risultato finale: la ragazza scompare di nuovo,
e due altri membri della società fanno una fine prematura. E
ancora oggi non siamo sicuri di sapere come la ragazza sia riu-
scita a farlo.
— Un giorno l'incontreremo di nuovo, quando i nostri metodi
saranno migliorati — replicò Haithness con freddezza. — Allora
l'affronteremo nella maniera giusta.
— Non sono ancora sicura di voler correre questo rischio. —
Nyassa-lee tornò a fissare lo schermo. — Nel frattempo, sarà
bene tener presente che, almeno in teoria, il potenziale di que-
sto Numero Dodici sorpassa perfino quello della ragazza.
— È vero — ammise Cruachan, studiando le cifre, — ma è
chiaro che il suo sviluppo è stato assai più lento. Dovremmo
aver tempo in abbondanza per affrontare qualunque talento in
maturazione e accertarci che possa venir controllato con sicu-
rezza, con vantaggio per il bambino oltre che nostro, natural-
mente.
— Naturalmente — convenne Haithness, senza scomporsi. —
Sono curiosa di sapere come ti proponi di farlo. Tu sai come
possa diventare volubile un talento se sottoposto a tensione.
— Sì, quella ragazza ce ne ha dato un'impressionante di-
mostrazione, non è vero? — Le dita di Nyassa-lee fecero scatu-
rire nuove informazioni dalla consolle.
Un altro grido risuonò dal lato opposto della stanza. — Brora
dice che è sempre meno convinto che i nuovi arrivi al porto
abbiano qualcosa a che fare con la stazione agricola. Non si so-
no fermati alla Sezione Agricoltura nell'edificio governativo. Si
sono invece tutti radunati nell'alloggio sotterraneo.
— Di' a Brora di accelerare i tempi — rispose Cruachan. — Vo-
glio che l'installazione sia completamente smontata entro
mezzanotte.
— Sì, signore — fu la vivace risposta dell'addetto alle co-
municazioni.
— Non hai risposto alla mia domanda — ricordò Haithness
all'uomo alto. — Come hai intenzione di affrontare questo ra-
gazzino? Se tenteremo il controllo diretto come abbiamo fatto
con la ragazza, rischieremo le stesse conseguenze. Non c'è nes-
sun modo di prevedere come può reagire un soggetto.
— Ricordati che la ragazza era ancora in piena infanzia
quando l'abbiamo incontrata. Erroneamente l'abbiamo ritenuta
innocua a causa della sua età. Nel suo caso non c'era nessuna
ragione di appellarci a lei, era troppo giovane... Ma non mi sa-
rei mai aspettato che questo andasse a nostro sfavore.
— Non ha importanza. Quello che adesso importa è che que-
sto ragazzino non ha ancora l'abilità necessaria a servirsi del
suo talento. Ed è anche questo che lo rende pericoloso. —
Haithness indicò le cifre sullo schermo. — Guardate queste. In-
disciplinato o no che sia, dovremo trattare il Numero Dodici
con estrema cautela. Ci serve un controllo di qualche tipo,
qualcosa di abbastanza forte da padroneggiare qualunque emo-
tiva reazione giovanile.
Nyassa-lee gettò un'occhiata sopra la spalla ai suoi colleghi.
— Ma non possiamo aspettare.
— Su questo sono d'accordo con te. Questa potrebbe essere
l'ultima nostra possibilità di assicurarci il controllo e la dire-
zione d'un soggetto con un tale potenziale. Non vogliamo certo
sprecare la nostra possibilità.
— Sono conscio di quale occasione sia e dei rischi che com-
porta — garantì Cruachan a entrambe. — Non intendevo dire
che dovremmo tentare, come nel caso della ragazza, di assicu-
rarci il controllo diretto. Cercheremo invece di ottenere il con-
trollo su qualcuno che esercita il controllo sul soggetto. C'è
qualcuno che risponda ai requisiti richiesti?
Nyassa-lee tornò a girarsi verso la tastiera. Vi fu una pausa
prima che rispondesse: — C'è una persona. Risulta infatti che il
soggetto è stato comperato a un'asta governativa da una donna
anziana. Questa sta allevando il ragazzo come se fosse suo.
— Una madre surrogata — mormorò Haithness. — Benissimo.
Sembra fatta su misura. Non avremmo potuto sperare in un
legame emotivo più forte.
Non c'era calore nella voce di Haithness. C'era soltanto una
cosa che aveva importanza per lei: il successo dell'esperi-
mento. Sapeva che il tempo a disposizione della società stava
per finire; non avevano nessun modo di sapere quando le auto-
rità avrebbero chiuso definitivamente la morsa su di loro. Ave-
vano bisogno d'un successo adesso, e quel ragazzo avrebbe po-
tuto essere la loro ultima possibilità.
— Vedo un solo possibile intoppo — dichiarò Cruachan, men-
tre rifletteva sulle informazioni che continuavano a balenare
nello schermo. — La donna in questione, la madre surrogata, è
di età molto avanzata, anche se in apparenza di ottima salute.
— Diede di gomito a Nyassa-lee la quale, obbediente, gli fece
spazio sull'orlo del sedile. Cruachan toccò a sua volta i comandi
e si accigliò quando l'informazione che cercava non comparve
sullo schermo. — Nessuna informazione medica dettagliata su
di lei. La cosa potrebbe essere difficile.
Haithness scrollò le spalle con indifferenza. — Non importa
quali siano le condizioni fisiche. Dobbiamo procedere lo stesso.
— Lo so, lo so — replicò Cruachan con impazienza. — Allora
adesso la nostra linea d'azione è decisa. Non andremo più da
qui al pianeta di Loser nella speranza di rilocalizzare il sog-
getto Numero Cinquantasei. Invece decideremo delle operazio-
ni mobili standard a bordo della nave. Una volta che avremo la
certezza di essere sfuggiti all'inseguimento, faremo rotta su
questo Falena. Poi dovremmo avere tempo a sufficienza per
procedere secondo i piani.
— Sarà necessario isolare il soggetto dalla madre. — Haith-
ness stava pensando ad alta voce. — Vista la natura dei talenti
osservati nel soggetto, se le nostre informazioni sono corrette,
potrebbe darsi che entro un'area geografica limitata egli sia in
grado di scoprire le nostre attività. Naturalmente avremo bi-
sogno d'un periodo ininterrotto con la madre surrogata... — esi-
tò solo per un breve istante, — per convincerla a collaborare
con noi. — Un fugace sorriso alterò ben poco la sua espressione.
Cruachan annuì: — Non dovrebbe essere difficile organizzare
tutto questo. Per nostra fortuna Falena è poco popolato. La
tecnologia non vi è sconosciuta, ma il livello varia molto a se-
conda della zona. Dovremmo essere in grado d'insediarci con la
necessaria attrezzatura a una distanza sufficiente dalla me-
tropoli dove il soggetto e la sua madre adottiva vivono, cosi da
garantirci la riservatezza e la sicurezza sufficienti.
L'addetto alle comunicazioni si voltò dai suoi strumenti e li
interruppe senza alcuna esitazione: — Brora riferisce che al-
meno metà degli esperti agricoli appena arrivati sono armati.
— Sì, sono proprio loro — mormorò Cruachan con un sospiro
di rassegnazione. Un'altra mossa affrettata, un'altra corsa su
un altro, strano pianeta.
— Nyassa-lee, accertati che tutte queste informazioni ven-
gano trasferite al banco-dati della nave. Haithness, tu...
— So cosa bisogna fare, Cruachan. — Gli voltò le spalle e con
calma cominciò a trasferire i dati dalla memoria principale a
una rastrelliera di cubi portatili.
L'addetto alle comunicazioni si adagiò sullo schienale del suo
seggiolino e fissò la sua strumentazione corrugando la fronte.
— Non avrò il tempo di smontare granché per trasferirlo sulla
navetta.
— Non ha importanza, Osteen — gli assicurò Cruachan. — Ab-
biamo già dei duplicati del tuo equipaggiamento a bordo della
nave. Non piace neppure a me esser costretto ad abbandonare
più del necessario. — Indicò i costosi apparati elettronici che
letteralmente tappezzavano le pareti della stanza. — Ma in
questo momento non abbiamo scelta. Tuttavia, qualcosa di
promettente, di molto promettente, ha colpito la nostra atten-
zione. Dopo tutti questi anni, sembra che siamo riusciti a rilo-
calizzare uno dei più promettenti fra tutti i nostri soggetti-
bambini.
— Questa è davvero una buona notizia, signore. — Osteen era
uno dei pochi giovani, nei quadri della Meliorare Society.
Cruachan avrebbe preferito un uomo dotato di maggior espe-
rienza come primo addetto alle comunicazioni, ma individui
del genere erano rari. Per lo meno, Osteen era fedele ed effi-
ciente. Non era davvero colpa sua se dal punto di vista intellet-
tuale non raggiungeva il livello dei membri originari della So-
ciety. Ma d'altronde Cruachan sapeva fin troppo bene che una
simile accolita di menti idealistiche non avrebbe potuto esser
messa di nuovo insieme durante la sua vita.
A meno che... a meno che la Meliorare Society non avesse po-
tuto esibire uno sfolgorante lascito testamentario della loro
nobile idea nella persona di un singolo soggetto riuscito. Forse
quel ragazzo sarebbe stato la miglior rivendicazione dei loro
ideali. Dovevano arrivare a lui il più presto possibile. Durante
gli ultimi anni avevano avuto sempre meno tempo per lavora-
re man mano il Commonwealth stringeva il suo pugno sui resti
della Society. La loro percentuale di sopravvivenza non faceva
presagire niente di bene per il futuro: l'attrito naturale comin-
ciava a danneggiare la causa almeno quanto l'interferenza del
governo.
Loro tre, insieme a Brora dall'occhio acuto, il quale aveva
lanciato loro quell'ultimo avvertimento, rappresentavano il
gruppo più grande sopravvissuto alla lunga lista originaria dei
membri. La fiducia di tutti coloro che erano periti era stata de-
mandata a loro, rifletté Cruachan. No, non dovevano fallire con
quel ragazzo.
E lui non doveva deluderli.

IV

Mai prima di allora la solitudine aveva preoccupato Flinx.


Sapeva cos'era, naturalmente. Quella condizione l'aveva ac-
compagnato per tutta la sua breve vita. In passato era stato
sempre in grado di prendere le distanze dal suo dolore, ma
quella sensazione, quel vacuo sentirsi solo, era diversa da qua-
lunque altra solitudine avesse provato prima. Era una realtà fi-
sica che lo trafiggeva, creando un dolore in una parte nuova e
misteriosa del suo cervello. Era diversa non soltanto dalla soli-
tudine, ma dalla solitudine che di solito avvertiva negli altri
tramite il suo imprevedibile talento.
In effetti quell'esperienza era così radicalmente nuova che
lui non aveva nulla con cui paragonarla. Eppure era solitudine:
di questo era sicuro. Solitudine e qualcos'altro di ugualmente
intenso e riconoscibile: fame. Un rodente, insistente desiderio
di cibo.
Quelle sensazioni erano così intense e nette che Flinx non po-
té fare a meno di chiedersi quale ne fosse la fonte. Percuote-
vano insistenti la sua mente, rifiutandosi di dissolversi. Mai
prima di allora emozioni del genere erano state così aperte per
lui, così limpide e forti. Di solito, avrebbero cominciato ben
presto a dissolversi, ma queste, invece di diventare più deboli,
si rafforzavano, ed ogni suo sforzo per tenerle a bada era inuti-
le. Continuarono a martellarlo, fino al momento in cui la sua
mente si arrese e lo svegliò.
Flinx si sfregò gli occhi. Fuori del negozio pioveva a rovesci, e
la stretta finestra sopra il suo letto lasciava passare la fioca lu-
ce delle molteplici lune di Falena, che in qualche modo riusciva
a filtrare attraverso la coltre quasi ininterrotta di nubi. Flinx
aveva visto assai raramente la luminosa luna rosso-ruggine
chiamata Fiamma o le sue compagne più piccole, ma aveva be-
ne impiegato i suoi anni di studi e sapeva da dove veniva quella
luce nel cielo.
Scivolò in silenzio fuori dal letto e s'infilò i calzoni e la ca-
micia. Una lampada a fluorescenza inondava la cucina e l'area
pranzo d'una morbida radiosità gialla. Sul lato opposto, nei
pressi della camera da letto di Mamma Mastino, si levava un
irregolare russare. La solitudine che lui sentiva non era la sua.
La sensazione persisteva anche adesso che era sveglio. Non si
trattava dunque di un sogno, come aveva subito pensato. L'in-
tensità era tale che gli faceva male la nuca, ma anche se il dolo-
re vero e proprio cominciava a svanire, l'emozione era ancora
intensa come lo era stata durante il sonno.
Non svegliò Mamma Mastino mentre ispezionava il resto
dell'area della cucina, il bagno e l'unico, stretto armadio. Aprì
in silenzio la porta d'ingresso e scivolò fuori del negozio. Le
imposte erano chiuse saldamente, tenendo fuori sia il brutto
tempo che gli intrusi. Il familiare russare forniva un conforte-
vole sfondo al suo aggirarsi furtivo.
Flinx era diventato un giovanetto agile, un po' meno alto del-
la media, e di aspetto passabilmente attraente. I suoi capelli
erano più rossi che mai, ma adesso l'abbronzatura della sua
pelle nascondeva ogni traccia di lentiggini. Si muoveva con
una grazia e un silenzio che molti dei più vecchi e assai più
esperti ladri del mercato avrebbero potuto invidiargli. Sarebbe
stato capace di attraversare un'intera stanza cosparsa di vetri
rotti e frammenti di metallo senza produrre il minimo suono.
Era una tecnica che aveva appreso da alcuni cittadini di Dral-
lar dalla dubbia reputazione, con grande rincrescimento di
Mamma Mastino. Faceva tutto parte della sua educazione, le
aveva assicurato. I ladri avevano una parola per definire quel
modo di muoversi: «skeodare», che significa «camminare come
un'ombra». Soltanto i suoi capelli d'una tinta più vicace della
norma inducevano i ladri professionisti a schioccare la lingua
in segno di disapprovazione. Gli avrebbero senz'altro dato il
benvenuto tra le loro file, se avesse avuto l'intenzione di fare
del furto la sua professione. Ma Flinx rubava soltanto se asso-
lutamente necessario, e anche allora soltanto da quelli che po-
tevano permetterselo.
— Voglio usare la mia capacità soltanto per incrementare il
mio reddito — aveva dichiarato al vecchio maestro che si era
informato delle sue intenzioni, — e quello di Mamma Mastino,
naturalmente.
Il maestro era scoppiato a ridere esibendo i denti rotti. — Ti
capisco, ragazzo. Sono più di cinquant'anni che incremento il
mio reddito con quel sistema. — Lui e i suoi colleghi non riu-
scivano a credere che qualcuno dotato d'una simile capacità ad
alleggerire gli altri dei loro averi non desiderasse farne una
vera e propria carriera, tanto più che ogni altra prospettiva di
lavoro appariva alquanto nebulosa.
— Entrerai nella Chiesa, suppongo — l'aveva schernito uno
degli altri ladri, — per diventare Primo Consigliere?
— Non credo che la vita spirituale sia per me — aveva ri-
sposto Flinx. A quella frase tutti avevano ripetuto la fragorosa
risata.
Mentre apriva in silenzio la serratura della porta esterna, ri-
pensò a ciò che aveva imparato durante gli anni trascorsi. Una
persona saggia non andava in giro per Drallar a notte fonda,
soprattutto una notte così umida e buia. Ma lui non poteva tor-
nare a dormire senza prima aver localizzato l'origine delle sen-
sazioni che lo martellavano. La solitudine e la fame, la fame e
la solitudine riempivano la sua mente d'irrequietezza. Chi mai
era in grado d'irradiare con tanta intensità quelle due sensa-
zioni gemelle?
La porta quando si aprì rivelò una muraglia di pioggia. La
superficie inclinata della strada portava via l'acqua facendola
defluire attraverso l'efficiente rete degli scoli sotterranei. Flinx
si fermò sulla soglia per parecchi istanti, ad osservare la sce-
na. D'un tratto un'intensa esplosione di solitudine lo fece trasa-
lire. Questo gli fece prendere una decisione. Non poteva più
ignorare quell'implorazione rovente, così come non avrebbe
mai potuto lasciare orfana sul marciapiede una carta di credito
non timbrata.
— Un giorno quella tua curiosità ti metterà in guai seri, ra-
gazzo — l'aveva ammonito Mamma Mastino in più d'una oc-
casione. — Ricordati le mie parole.
Si, l'aveva ricordate. Ricordate e archiviate. Girò le spalle al-
la porta e rientrò «skeodando» nella sua stanzetta. Era l'inizio
dell'estate e la pioggia, là fuori, era relativamente tiepida. Di-
sdegnando un sottogiacca, staccò l'incerato dal suo gancio alla
parete e l'indossò. Così protetto in maniera adeguata dalla
pioggia, tornò nel negozio e uscì in strada, chiudendosi la porta
d'ingresso alle spalle senza far rumore.
Qualche luce, simile a un fuoco fatuo sonnolento, ardeva fioca
dietro le facciate dei negozi che davano sulla strada principale
e non avevano calato le saracinesche poiché lì i ricchi oziosi
potevano passeggiare anche di notte in relativa sicurezza. Sul-
la strada laterale in cui Mamma Mastino svolgeva il suo com-
mercio, uno o due barlumi luminosi trasparivano a stento da
dietro le saracinesche chiuse.
Mentre l'acqua continuava a precipitargli sulle spalle come
una cascata, Flinx restò lì fuori, immobile, a frugare nella pro-
pria mente. Qualcosa lo spinse ad avanzare verso destra. C'era
uno stretto spazio tra il negozio di Mamma Mastino e quello
della vecchia signora Marquin, che era in vacanza al sud, e gi-
randosi di lato riuscì a stento a passarvi attraverso spremendo
il proprio corpo.
Finì per sbucare nel vicolo di servizio che correva tra il retro
dei negozi e un grosso edificio di uffici. I suoi occhi vagarono
sopra un paesaggio lunare di spazzature e rifiuti non raccolti:
vecchi imballaggi di plastica, fusti metallici, contenitori ad al-
veare per oggetti fragili, e altri detriti buttati là dietro alla rin-
fusa. Un paio di fleurm guizzarono via tra i suoi stivali. Flinx li
osservò guardingo. Non che gli facessero ribrezzo gli onnipre-
senti fleurm, ma provava un sano rispetto nei loro confronti.
Quelle creature erano coperte di una folta pelliccia argentata, e
le loro piccole bocche erano piene di denti affilati. Ognuno di
quegli animaletti era grosso press'a poco quanto il suo pollice e
lungo quanto il suo avambraccio. Non erano dei veri vermi ma
mammiferi privi di zampe, anche se se la cavavano assai bene
tra i mucchi di rifiuti e la spazzatura composita che riempiva-
no fino a traboccare i vicoli di Drallar. Aveva sentito storie or-
ribili di vecchi e vecchie che, ubriachi, erano caduti storditi là
in mezzo, e la mattina dopo a indicare la loro presenza rima-
nevano soltanto le ossa spoglie. Comunque, Flinx non era
ubriaco. I fleurm potevano infliggere morsi spiacevoli, ma era-
no creature timide, quasi cieche, e preferivano cedere il diritto
di passaggio se veniva concessa loro la scelta.
Se sulla strada davanti al negozio faceva buio, qui nel vicolo
l'oscurità era quella dello Stige. A est, molto avanti lungo la
strada principale, poteva distinguere il riflesso d'una luce e
udire una risata intermittente. Una strana notte per una festa.
Ma il bagliore gli diede un punto di riferimento, anche se era
troppo lontano per illuminare la sua ricerca.
Quelle continue ondate di solitudine che sentiva investirlo
non provenivano da quella lontana celebrazione, né esalavano
dalle porte massicciamente chiuse e sbarrate che davano sul
vicolo. L'emozione che Flinx assorbiva proveniva da qualche
altra fonte, anch'essa molto vicina.
Flinx avanzò, facendosi strada tra i mucchi di rifiuti, pren-
dendo tempo così da consentire ai fleurm e agli insetti mangia-
carogne rossoazzurri di scostarsi al suo passaggio e di fuggir
via.
D'un tratto qualcosa colpì con violenza inaspettata la sua
mente ricettiva. Quel colpo mentale lo fece cadere sulle ginoc-
chia. Da qualche parte un uomo stava picchiando la moglie.
Non era una circostanza insolita, ma Flinx lo sentì accadere
lontano, sull'altro lato della città. La donna era spaventata e
rabbiosa. Aveva allungato la mano per prendere il minuscolo
lanciadardi che teneva nascosto nella toeletta della sua came-
ra da letto e puntò la minuscola canna contro l'uomo. Adesso
toccò a suo marito aver paura. Prese a implorarla, non con pa-
role che Flinx potesse sentire, ma tramite una valanga emoti-
va che terminò con un improvviso urlo non-verbale, di sbigotti-
mento e di angoscia. Poi arrivò il vuoto che Flinx aveva impa-
rato ad associare con la morte.
Sentì scoppiare una risata, non dal gruppo oltre il vicolo, ma
da una delle alte torri di cristallo che svettavano sopra i ricchi
quartieri dove i commercianti e i mercanti transpaziali ave-
vano edificato le loro dimore. E percepì un raggiro che veniva
imbastito: qualcuno sarebbe stato imbrogliato.
Molto al di là dei confini della città, nella foresta a occidente:
felicità e gioia accompagnata da una nuova, liquida sensazione
di affioramento. Era nato un bambino.
Molto vicino a lui, forse in uno dei negozi della stessa strada
di Mamma Mastino, stava infuriando un litigio. Riguardava
conti e falsificazioni, ondate di acre risentimento guizzavano
fra due individui da poco associati. Poi i brontolii privati di
qualche sconosciuto molto lontano verso il centro della città,
qualcuno che stava complottando di uccidere, e più di una vol-
ta, ma che si limitava a progettare: il genere di fantasticherie
che riempiva i momenti liberi di ogni cervello umano, malato o
sano che fosse.
Poi, tutte le sensazioni scomparvero, tutte, quelle gioiose e
quelle mortali, dei litiganti, degli amanti e dei sognatori. Rima-
se soltanto la pioggia.
Ammiccando, Flinx si alzò in piedi, barcollando, e rimase lì,
in equilibrio precario, su un lato del vicolo. La pioggia rim-
balzava sul suo incerato e si faceva strada in mille rivoli ser-
peggianti lungo le pareti posteriori dei negozi e del grande edi-
ficio di uffici, gorgogliando infine nello scolo centrale. Flinx si
trovò a fissare con sguardo vacuo il vicolo, in direzione del lon-
tano chiarore che contrassegnava il luogo della festa. D'un
tratto le emozioni d'ogni singolo partecipante alla festa si sta-
gliarono nitide nella sua mente; soltanto... adesso non provava
nessun dolore: c'erano soltanto sicurezza e una tranquilla chia-
rezza.
«Vedeva» quella donna piena d'ansia e d'incertezza che
ugualmente tentava di sedurre quell'uomo... vedeva un altro
degli ospiti criticare l'arredamento, e un altro ancora il quale si
chiedeva come mai avrebbe fatto a sopravvivere per tutto il
giorno seguente... sentiva le risa, la paura, il piacere, la bramo-
sia, l'ammirazione, l'invidia: tutta l'intera gamma delle emo-
zioni umane. Cominciarono tutte a muovere verso di lui come
la tempesta che aveva appena affrontato, minacciando di nuo-
vo il dolore, minacciando di sopraffarlo...
BASTA, ordinò a se stesso. Basta... e calma.
Grazie all'attenta manipolazione di una parte della sua men-
te che fino a un attimo prima neppure sapeva che esistesse,
scoprì di essere in grado di controllare l'intensità delle emozio-
ni che minacciavano di affogarlo, che non erano neppure tutte
umane. Ne aveva sentite almeno due che erano del tutto alie-
ne, anche se riconoscibili quanto bastava a identificarle. Erano
le sensazioni d'un paio di ornitoidi accoppiati. Ma era la prima
volta che lui percepiva qualcosa da esseri non-umani.
Lentamente scoprì di essere in grado di frenare l'assalto, di
attenuarlo al punto da poterlo controllare, sdipanando dal gro-
viglio le sensazioni dei singoli, scegliendo, analizzando... e poi
tutte queste sensazioni scomparvero con la stessa repentinità
con cui l'avevano investito, insieme a tutte le altre vampate
d'emozione che aveva risucchiato da tutta la città.
Esitando, cercò di mettere a fuoco la propria mente e di riap-
propriarsi di quelle sensazioni. Fu come prima. Per quanto ten-
tasse, la sua mente rimaneva vuota di qualunque sensazione
salvo le sue. Le sue... e quelle di un altro. La solitudine era an-
cora là, che lo tormentava. Anche se adesso quella sensazione
era meno esigente, quasi esitante. E con essa c'era anche la fa-
me.
Flinx fece un passo avanti, un secondo, un terzo... e qualcosa
di vivo guizzò via, in fretta, dal suo percorso, rovesciando ba-
rattoli e altri contenitori vuoti, plastica e metallo che sferra-
gliarono nel vicolo buio. Flinx si sforzò di vedere nel buio, de-
siderando, adesso, di aver avuto la presenza di spirito di porta-
re con sé una lampada dal negozio. Fece un cauto passo avanti
verso i mucchi dei rifiuti, pronto a farsi da parte con un balzo
nel caso in cui il fleurm o qualunque altra cosa fosse quella
creatura dovesse mostrarsi inaspettatamente aggressiva.
Non era un fleurm. Tanto per cominciare era troppo lungo:
quasi un metro. Era più grosso, anche se non di molto. Pensò
alle creature simili a serpenti che vagavano nelle foreste tem-
perate a sud di Drallar: alcune fra esse erano velenose. Talvol-
ta queste, e altri predatori della foresta, arrivavano fino all'in-
terno della città approfittando della pioggia e del buio per dare
la caccia alle piccole creature che infestavano i mucchi di
spazzatura urbana. Era raro che un cittadino incontrasse un
simile intruso, ma poteva accadere.
Flinx si sporse ancora più vicino al mucchio, e quando fece
questo la sensazione di fame si dileguò, mentre quella di solitu-
dine si fece più intensa: divenne tanto forte da costringerlo ad
arretrare barcollando contro la parete del negozio. Era certo
ormai che essa proveniva da quell'ignota creatura simile a un
serpente.
Lo stimolo della curiosità (dal quale Mamma Mastino tante
volte l'aveva ammonito a guardarsi) sopraffece ben presto la
sua naturale cautela. Provava soltanto stupore che proiezioni
mentali così potenti potessero scaturire da una creatura di li-
vello così chiaramente inferiore. Inoltre, non c'era nessuna
rabbia nell'animale, nessun rudimentale segnale di pericolo.
Soltanto quella insistente solitudine e una fugace sensazione di
fame.
La creatura si mosse ancora. Riuscì a vederne i luminosi e
lampeggianti occhi rossi perfino nella debole luce del vicolo.
Era certo ormai che non si trattava d'un vero rettile. Una crea-
tura a sangue freddo avrebbe dovuto esser costretta al letargo
dalla fredda aria della notte. Quella creatura si muoveva trop-
po in fretta.
Flinx fece un altro passo indietro. La creatura stava uscendo
dal mucchio di spazzatura. Scivolò giù sul selciato bagnato e
poi fece una cosa che Flinx non si sarebbe mai aspettato: i ser-
penti non avrebbero dovuto volare.
Le ali pieghettate erano azzurre e rosa, luccicanti quanto ba-
stava ad esser viste anche al buio. No, quella creatura ser-
pentina non era certo in letargo, poiché le sue ali sbattevano
velocissime, dando all'intero animale l'aspetto di un'ape gigan-
tesca. Trovò un posto sulla sua spalla con un singolo fulmineo
balzo. Flinx sentì le sottili spire muscolose adagiarsi in modo
quasi familiare sopra la sua spalla: il tutto era accaduto troppo
in fretta perché gli fosse stato possibile schivare la creatura.
Ma l'intenzione dell'animale non era quella di fargli del male.
La creatura si era semplicemente accoccolata contro il suo ca-
lore e non faceva nessun movimento aggressivo. La velocità
dell'approccio aveva paralizzato Flinx, ma solo per un attimo.
Giacché, non appena si fu adagiato su di lui, tutta quell'immen-
sa solitudine, ogni singola iota di quella bruciante necessità
aveva lasciato il serpente. Nello stesso istante Flinx avvertì
nella propria mente una chiarezza quale non aveva mai prova-
to prima. Qualunque cosa fosse quella creatura, da qualunque
luogo fosse arrivata, non soltanto aveva la capacità di mettersi
a proprio agio, ma pareva in grado di far sentire perfettamente
a proprio agio anche il suo ospite.
Una nuova sensazione che scaturiva dalla creatura serpenti-
na penetrò nella mente di Flinx. Era la prima volta che lui si
trovava a sperimentare un ronfare mentale. Non percepiva in-
telligenza in quella creatura, ma c'era qualcos'altro. A modo
suo quella comunicazione empatica era limpida come un di-
scorso, l'equivalente emotivo d'un antico ideogramma cinese,
un'intera serie di pensieri complessi espressa in una singola
proiezione. Semplice ma efficace.
La piccola testa a forma di freccia si sollevò dalla spalla di
Flinx, i suoi piccoli occhi luminosi lo fissarono intensi. Le ali
pieghettate erano state ripiegate di piatto contro i lati del cor-
po dando alla creatura il normale aspetto d'un vero serpente.
Flinx a sua volta lo fissò, lasciando irradiare da sé i propri sen-
timenti.
Lentamente la creatura si rilassò. Anche il singolo, lungo
muscolo a spirale che aveva stretto la spalla di Flinx con forza
istintiva si rilassò, mantenendo infine soltanto una presa deli-
cata, quel tanto che bastava per mantenersi nella sua posizio-
ne. Un formicolio cominciò a percorrere il braccio di Flinx.
Ignorò la sensazione. La testa dell'animale si abbassò fino ad
appoggiarsi al collo di Flinx.
Il serpente si era addormentato.
Flinx rimase lì immobile per quella che gli parve un'eternità,
anche se di sicuro non durò neppure la metà. La strana appa-
rizione che la notte gli aveva portato dormiva adesso sopra la
sua spalla, la piccola testa annidata nel cavo tra la scapola e il
tendine del collo. L'animale fu percorso da un leggero brivido.
Flinx seppe che non poteva trarre il massimo calore dal suo
corpo perché l'incerato formava uno strato isolante fra loro.
Meglio portare in casa quel povero essere, pensò, conscio d'un
tratto d'essere rimasto là fuori alla pioggia per un bel pezzo. Il
suo nuovo compagno aveva bisogno di riposo, oltre che di calo-
re. Non avrebbe saputo spiegare come faceva a saperlo; ma lo
sapeva con la stessa chiarezza con cui si rendeva conto della
propria stanchezza.
Flinx non discusse fra sé neppure per un attimo del futuro
del serpente. Quella presenza sulla sua spalla, oltre che nella
sua mente, era troppo naturale perché lui pensasse di separar-
sene... a meno che, naturalmente, qualche proprietario non si
presentasse a reclamarla. Era chiaro che quello non era un
animale selvaggio. Inoltre Flinx aveva una discreta cultura, e
se quella creatura era nativa del territorio circostante Drallar,
allora costituiva un'insospettata novità per lui. Non aveva mai
visto prima d'ora un simile animale, né aveva mai sentito par-
lare d'una creatura come questa. Se era una qualche preziosa
specie di animale da salotto, allora il suo proprietario si sareb-
be fatto vivo ben presto a cercarlo. Per ora, comunque, quel
serpente era orfano almeno quanto Flinx lo era stato un tem-
po. Flinx aveva patito troppe sofferenze durante la sua vita per
ignorare quelle di un'altra creatura, qualunque fosse, perfino
se la creatura era un infimo esemplare di serpente. Almeno
per un po' sarebbe stato il suo protetto, proprio come lui era il
protetto di Mamma Mastino.
Mamma Mastino aveva voluto sapere il suo nome fin dal
primo giorno, tanto tempo fa... — Come ti devo chiamare? —
chiese ad alta voce al serpente. Ma la creatura addormentata
non rispose.
Erano migliaia i libri di cui Flinx poteva disporre grazie alle
microcassette noleggiate dalla biblioteca del Ministero dell'E-
ducazione. Finora ne aveva lette relativamente poche, ma fra
esse ce n'era una che l'aveva avvinto in maniera particolare.
Era pre-Commonwealth (pre-civiltà, in effetti) ma questo non
aveva attenuato l'impatto che essa aveva avuto su di lui. Quei
personaggi con i loro strani nomi; uno di loro era chiamato...
come? Pip, adesso lo ricordava. Lanciò un'occhiata al serpente
addormentato. Questo sarà il tuo nome fino al giorno in cui non
verremo a saperne di più.
Mentre faceva ritorno al negozio, cercò di dirsi che si sareb-
be preoccupato di quel proverbiale «giorno» soltanto quando
fosse arrivato... ma non ci riuscì. Già adesso quel pensiero lo
preoccupava; infatti, anche se si trovava a contatto con quella
creatura da meno di un'ora, questa pareva già parte di lui stes-
so. Il pensiero di dover restituire il serpente a qualche legitti-
mo proprietario più o meno indifferente di un altro mondo gli
parve d'un tratto assai peggio di quanto lui avrebbe potuto sop-
portare. Non ricordava, da quando era stato un bambino pic-
colo, di essersi mai tanto affezionato a una creatura vivente.
Neppure Mamma Mastino esercitava una tale presa sui suoi
sentimenti.
Sentimenti... Questo animale, questa creatura-serpente, ca-
piva quello che lui provava, capiva cosa significasse sentire
emozioni estranee fluire spontaneamente nella propria mente,
interrompendo la propria vita e facendo d'ogni istante passato
da svegli una potenziale anormalità. Era questo che rendeva
speciale quella creatura. Flinx lo sapeva e anche il serpente lo
sapeva. Non erano più due individui distinti: erano diventati
due componenti d'un più vasto insieme.
Non ti cederò mai più a nessuno, decise all'istante, lì in mez-
zo alla gelida pioggia del mattino. Neppure se qualche ricco e
fatuo ultramondano si facesse avanti per reclamarti. Tu fai
parte di me... Il serpente continuava a dormire, in apparenza
ignaro di qualunque decisione l'umano potesse prendere.
La strada davanti al negozio era ancora deserta. La serratu-
ra cedette sotto il suo palmo e Flinx sgusciò dentro, lieto di tro-
varsi infine al riparo dal brutto tempo. Richiuse con cautela la
porta. Poi si addentrò nell'area-pranzo dove la luce ardeva an-
cora soffusa. Usando entrambe le mani srotolò il serpente.
Questi non oppose resistenza quando Flinx fece scivolare le
spire dalle sue spalle. Dalla camera da letto alla sua sinistra gli
arrivò il costante ronfare di Mamma Mastino, un duetto con-
certante con la pioggia che picchiettava sul tetto.
Delicatamente mise giù il serpente sul tavolo. Alla luce più
intensa della lampada a luminescenza poté distinguere per la
prima volta i suoi veri colori. Un disegno a losanghe d'un vivido
rosa e azzurro percorreva l'intera lunghezza del corpo del ser-
pente, intonandosi alla perfezione con le ali pieghettate. Il ven-
tre era d'una sfumatura oro carico e la testa verde smeraldo.
— Splendido — mormorò, rivolto al serpente. — Sì, sei splen-
dido.
Gli occhi della creatura... no, si corresse, gli occhi di Pip... si
socchiusero mezzo addormentati. Parve sorridergli. Una
proiezione mentale, pensò Flinx, sfilandosi l'incerato e appen-
dendolo a un gancio.
— Adesso, dove posso tenerti? — bisbigliò tra sé Flinx guar-
dandosi intorno. La porzione anteriore del negozio era fuori
questione. Mamma Mastino aveva certamente dei clienti che
soffrivano di serpentefobia, e questi avrebbero potuto gradire
assai poco la presenza di Pip... e inoltre il negozio non era ri-
scaldato. Per lo stesso motivo Flinx non riteneva che Mamma
Mastino avrebbe reagito con allegra comprensione se il serpen-
te fosse schizzato giocosamente fuori sotto il suo naso da uno
degli armadietti della dispensa in cucina mentre era intenta a
preparare il pasto.
La sua stanzetta era d'una semplicità spartana: c'era sol-
tanto un piccolo terminal per il computer con un lettore per le
cassette; lui stesso si era fabbricato l'armadietto per i vestiti...
e infine c'era il letto. Sì, l'armadio avrebbe potuto servire. Flinx
portò il serpente nella sua stanza e lo mise giù ai piedi del letto.
Poi fece un mucchietto di panni sporchi sul pavimento dell'ar-
madio. Pip pareva pulito. La maggior parte delle creature sca-
gliose erano cospargitori di sporco, non raccoglitori. Sollevò il
serpente dal letto e lo depositò delicatamente in mezzo agli in-
dumenti ammucchiati, facendo attenzione a non ammaccare le
sue ali delicate. L'animaletto si riarrotolò sopra i panni, all'ap-
parenza soddisfatto. Flinx gli sorrise. Non sorrideva spesso.
— Adesso rimani qui, Pip — gli bisbigliò, — e domattina ve-
dremo di mettere insieme qualcosa da mangiare per te. — Ten-
ne ancora gli occhi fissi sul serpente per parecchi minuti prima
che la stanchezza tornasse a precipitargli addosso di colpo.
Sbadigliando, spinse giù dal letto i propri vestiti, appoggiò gli
stivali sopra il tampone asciugante e tornò a infilarsi a letto.
Poche gocce d'acqua si erano insinuate sotto l'orlo dell'incera-
to. Se le spazzolò via dai capelli, sospirò profondamente e
piombò in un sonno profondo e indisturbato.
Una volta che il flusso d'energia mentale irradiato dal-
l'umano sul letto si fu appiattito e il serpente fu certo che il suo
nuovo simbionte non stava per entrare in un agitato periodo
REM, si srotolò in silenzio e sgusciò fuori dall'armadio. Senza
far rumore si arrampicò su per una delle gambe del letto ed
emerse accanto al logoro cuscino. Qui, lo snello animale si ri-
posò per parecchi istanti, fissando attraverso gli occhi dalle
doppie palpebre il bipede inconscio. Dentro di sé il serpente era
caldo e a suo agio. La fame c'era ancora, ma aveva ricevuto in-
dicazioni che ben presto sarebbe stato nutrito.
Il letto era molto caldo, sia la coperta termica che la massa
del simbionte irradiavano un confortevole tepore asciutto. Il
serpente scivolò attraverso il cuscino fino a quando non si tro-
vò appoggiato contro la testa dell'uomo. Stirò una volta l'intero
suo corpo flettendo e ritraendo le ali. Poi si arrotolò stretta-
mente nella comoda nicchia formata dal collo e dalla spalla del
simbionte. Ben presto le sue onde cerebrali uguagliarono quel-
le dell'umano mentre scivolava nella propria varietà di sonno.
V

Mamma Mastino fece attenzione a non svegliare il ragazzo


mentre arretrava lentamente fuori dalla sua stanza. I suoi oc-
chi, vigili e intimoriti, continuavano a restar fissi sulla creatu-
ra aliena avvoltolata contro la testa del ragazzo. Non c'era mo-
do di dire cosa avrebbe fatto se l'avesse svegliato.
Non aveva la più pallida idea di come quell'intruso avesse
fatto a penetrare nella piccola casa a chiusura praticamente
ermetica. Ma adesso non c'era tempo per preoccuparsi di que-
sto. I suoi pensieri andarono invece alla piccola pistola, la gra-
ziosa arma ad aghi che teneva sotto il proprio cuscino. No,
troppo pericoloso, il serpente era troppo vicino alla testa del
ragazzo, e lei non era più l'infallibile tiratrice di vent'anni pri-
ma. C'era anche la possibilità che l'invasore non fosse pericolo-
so. Certo lei non l'aveva riconosciuto: durante i novanta e più
anni che aveva trascorso su Falena non aveva mai visto una
creatura del genere. Tanto per cominciare, non c'era nessun
accenno di pelliccia in nessun punto del suo corpo. Soltanto
scaglie... e questo l'identificava subito come un essere non-
nativo. Be'... forse. Falena era anche il mondo di qualche crea-
tura — non erano tante, in verità — che scavavano tane in pro-
fondità nel territorio e non esibivano pelliccia. Quello però non
sembrava uno scavatore, ma lei non era una zoologa né si era
mai allontanata molto dai confini della città. Eppure si sentiva
sicura che quella creatura doveva provenire da un altro piane-
ta. Qualcosa che non riusciva a mettere bene a fuoco contras-
segnava quell'animale come alieno, ma questo non aveva im-
portanza. Quello che importava era il fatto che in qualche mo-
do era penetrato nella stanza del ragazzo, e lei avrebbe fatto
meglio a escogitare qualcosa prima che si svegliasse e decides-
se la faccenda per lei.
Allontanalo da Flinx, si disse. Dalla sua testa. Allontanalo,
tienlo occupato. E intanto sveglia il ragazzo e fallo andar di
corsa a prendere la pistola sotto il mio cuscino...
La scopa che usava in casa e nel negozio aveva un manico di
metallo leggero e setole d'acciaio. La tirò fuori dallo sgabuzzi-
no, rientrò nella stanza di Flinx e spinse l'estremità con le seto-
le oltre la testa di Flinx. Le setole metalliche punsero l'invaso-
re.
A quel tocco il serpente si mosse, aprì gli occhi e la fissò. Lei
tornò a pungolarlo, questa volta con più energia, cercando
d'insinuare le setole fra la testa del serpente e il collo esposto
del ragazzo. Il serpente aprì la bocca e istintivamente Mamma
Mastino fece un balzo indietro, ma era soltanto uno sbadiglio. È
ancora addormentato, lei pensò. Bene, le sue reazioni sareb-
bero state più lente. Tornando a sporgersi in avanti, si abbassò
e spinse con forza la scopa. Parecchie delle spire del serpente
si svolsero oltre l'orlo del letto e per la prima volta Mamma
Mastino intravide i suoi brillanti colori.
Spinse ancora di più la scopa, ma il serpente non era più sul
letto. Era sospeso a mezz'aria, le sue ali vibravano tanto in
fretta da essere soltanto una macchia confusa azzurro-rosea.
Producevano dentro la stanza un sonoro ronzio. Inorridita e
incerta su come attaccare quella nuova minaccia, Mamma Ma-
stino arretrò, tenendo la scopa a mo' di difesa davanti a sé.
Svegliato dall'ultimo spintone della scopa il ragazzo la fissò
sbattendo le palpebre per il sonno. — Mamma? Cosa c'è?
— Stai zitto! — l'ammonì Mamma Mastino. — Non so come
quel coso sia entrato nella tua stanza, ma...
Flinx balzò fulmineo a sedere. Alzò per un istante lo sguardo
al serpente che si librava nell'aria, ammirandolo per la prima
volta alla luce del giorno, e rivolse un sorriso rassicurante a
Mamma Mastino.
— Oh, quello? È soltanto Pip.
La scopa si abbassò d'un paio di centimetri. La vecchia fissò il
suo protetto socchiudendo gli occhi.
— Vuoi dire che sai cos'è?
— Certo — rispose Flinx allegramente. — Io, uh, ho sentito
qualcosa, la scorsa notte, e sono uscito fuori a indagare. — In-
dicò col pollice il serpente. — Era là dietro, in mezzo alla spaz-
zatura, freddo e affamato, e...
— Sono pronta a scommettere che è affamato — sbottò Mam-
ma Mastino, — e non intendo avere un ghiotto mangiacarne
che mi striscia per tutta la casa... Vattene via! — urlò al ser-
pente. — Sciò! — Vibrò la scopa contro il serpente una volta,
due volte, tre volte, costringendo anche Flinx a chinarsi per
non essere colpito. Ogni volta il serpente schivò agilmente la
scopa nell'aria, esibendo un'inaspettata capacità di manovra.
La terza volta schizzò dritto verso sinistra, quindi all'indietro e
infine verso il soffitto.
— Non farlo! — urlò Flinx, d'un tratto allarmato. — Potrebbe
pensare che stai cercando di farmi del male.
— Un angelo custode scaglioso e dagli occhi cisposi? Che
grossa stupidaggine, ragazzo mio, lui sa benissimo a cosa sto
mirando!
In effetti il serpente era ben conscio che il nuovo essere
umano non aveva nessuna intenzione di far del male al suo
simbionte, poiché poteva percepire lo schietto affetto e il calore
che scorreva tra i due. Questo non lo preoccupava. Ma al con-
trario nessun amore s'irradiava verso di lui da quella nuova
persona, e l'oggetto luccicante che gli veniva spinto addosso
era difficile da evitarsi nel piccolo spazio chiuso.
— Per favore, madre — l'implorò Flinx con ansia crescente,
scivolando giù in fretta dal letto, trascinando con sé le coperte,
— fermati. Non so come reagirà.
— Lo scopriremo, ragazzo — gli garantì la vecchia donna in
tono cupo. La scopa saettò, mancò il colpo, rimbalzò sulla pare-
te opposta. Mamma Mastino tirò indietro il braccio per sferra-
re un altro colpo.
Il serpente alato era stato paziente, fin troppo paziente. Ave-
va capito il legame fra i due esseri umani. Ma la scopa l'aveva
adesso intrappolato in un angolo, e quelle setole dure promet-
tevano d'essere assai pericolose se fossero entrate in brusco
contatto con le sue ali. Aprì la bocca. Il fruscio appena percet-
tibile d'uno spruzzo solcò l'aria: un getto sottile e compatto di
liquido trasparente schizzò fuori. Scintillò alla luce e investì la
scopa mentre questa roteava in avanti. Mentre Mamma Ma-
stino recuperava l'equilibrio, tirando indietro la scopa per col-
pire di nuovo, udì un debole e bel definito sibilo. Esitò, acci-
gliandosi, poi si rese conto che il sibilo non proveniva dal ser-
pente bensì dalla scopa: un'occhiata le mostrò che una buona
metà delle setole metalliche si erano come fuse. Qualcosa stava
schiumeggiando e sfrigolando mentre divorava metodica-
mente l'intera scopa.
Lasciò cadere l'arma come se d'un tratto il manico metallico
fosse diventato incandescente, con un'espressione di sbigottito
timore sul volto. Il liquido continuò a borbottare e a sibilare
mentre divorava il metallo. Ben presto si fece strada attraver-
so l'ultima setola e cominciò a corrodere il manico.
— Ragazzo, esci dalla stanza finché ne hai la possibilità —
gridò con voce arrochita Mamma Mastino, fissando il serpente
con gli occhi spalancati e allo stesso tempo continuando ad ar-
retrare verso la propria stanza. — Se riesce a far questo al me-
tallo, non c'è modo di dire cosa...
Flinx scoppiò a ridere, poi si portò in fretta una mano alla
bocca e cercò di essere comprensivo. — Mi spiace, mamma. — È
soltanto che... Pip non mi farebbe mai del male. E ha appena
dimostrato che non farà del male a nessuno che mi sia caro.
— E come fai a saperlo? — sbottò la vecchia.
— Lo so — rispose Flinx, chiaramente sconcertato. — Non so
in che modo lo so. Ma è vero. Ecco, vedi? — Tese il braccio sini-
stro.
Sempre tenendo d'occhio la vecchia donna, che continuava a
bloccare l'uscita, il serpente sfrecciò in basso appollaiandosi
sul posatoio che gli veniva offerto. In un attimo le sue moltepli-
ci spire si trovarono di nuovo avvolte intorno alla spalla
dell'umano. Poi il serpente si rilassò, le ali pieghettate si raccol-
sero di piatto contro il suo corpo lucido.
— Visto? — Flinx abbassò il braccio e sfregò delicatamente la
testa del serpente. — È amichevole per natura.
— Brutto per natura, vuoi dire — sbuffò Mamma Mastino. Si
chinò a raccogliere i resti della scopa e li esaminò. Tutte le se-
tole erano scomparse insieme a parecchi centimetri del ma-
nico. Un debole crepitio usciva ancora dai bordi frastagliati del
tubo dove il metallo si era dissolto, anche se quello straordina-
rio liquido corrosivo pareva aver esaurito in gran parte il suo
effetto.
La vecchia donna mostrò i resti della scopa e Flinx, rivelando
ancora una buona dose di nervosismo all'idea di avvicinarsi al-
la creatura avvolta intorno alla sua spalla.
— Guarda qui. Immagina cosa potrebbe fare alla tua pelle.
— Oh, mamma, non capisci? — Flinx aveva parlato con tutta
l'esasperazione del giovane nei confronti di un anziano. — Si
stava proteggendo, ma siccome sente che sei importante per
me, ha fatto attenzione a non colpirti col suo sputo.
— Una bella fortuna — dichiarò la vecchia donna, mostrando
che le era tornato un po' di coraggio. — Bene, qui non può re-
stare.
— Sì che può — ribatté Flinx.
— No, non può. Non posso sopportare che un affare mortale
come quello svolazzi e strisci dappertutto qui in casa, spa-
ventando i clienti.
— Rimarrà con me tutto il tempo — le garantì Flinx con voce
suadente. La sua mano continuava ad accarezzare la testa del
serpente. Questo aveva chiuso gli occhi, soddisfatto. — Vedi? È
proprio come qualunque altro animaletto domestico. Reagisce
al calore e all'affetto. — Flinx esibì la sua espressione più addo-
lorata e implorante. Ed ottenne l'effetto sperato.
— Be', non riceverà nessun calore o affetto da me — brontolò
Mamma Mastino. — Ma se hai proprio deciso di tenerlo...
— Penso — aggiunse Flinx, buttando legna sul fuoco, — che
resterebbe profondamente sconvolto se qualcuno tentasse di
separarci.
Mamma Mastino sollevò le braccia in un gesto di dispera-
zione, indicando allo stesso tempo acquiescenza e accettazio-
ne.
— Oh, Divinità, perché mai non ti sei imbattuto in un normale
animaletto, come un gatto o uno saniff? Ad ogni modo, cosa
mangia quel mostriciattolo?
— Non lo so — ammise Flinx, ricordando la sensazione di fa-
me che tanto l'aveva afflitto la notte prima e decidendo di fare
qualcosa in proposito al più presto. Aveva avuto fame anche
lui, in passato, e conosceva meglio di tanti altri il significato di
quella parola. — I serpenti non sono carnivori?
— Questo ha senz'altro l'aspetto d'un carnivoro — commentò
la vecchia.
Flinx passò delicatamente l'indice lungo il bordo della bocca
del serpente fino a quando non riuscì a fargliela aprire. Il ser-
pente dischiuse anche un occhio e lo fissò incuriosito ma non
manifestò nessuna obiezione per quell'intrusione. Mamma Ma-
stino trattenne il fiato.
Flinx si sporse più da vicino, continuando la sua ispezione.
— Ha dei denti molto piccoli... non saprei dirlo con certezza.
— È probabile che inghiotta il cibo tutto intero — gli disse
Mamma Mastino. — Ho sentito dire che i serpenti fanno così,
però questo non è un normale serpente e non mi metterei a fa-
re previsioni su di lui e ancora meno sulla sua dieta.
— Lo scoprirò — le assicurò Flinx. — Se oggi non hai bisogno
del mio aiuto nel negozio...
— Aiuto, eh! No, vai pure dove vuoi. Assicurati soltanto che
quella creatura venga con te.
— Lo porterò in giro per il mercato — dichiarò Flinx tutto ec-
citato. — E vedrò se qualcuno lo riconoscerà. Qualcuno ci sarà
di sicuro.
— Non scaldarti troppo, ragazzo — l'ammonì Mamma Masti-
no. — È probabile che si tratti d'un visitatore da un altro piane-
ta.
— L'ho pensato anch'io — annuì Flinx. — Non sarebbe interes-
sante? Mi chiedo come è arrivato fin qui.
— È probabile che l'abbia portato qualcuno che ce l'aveva con
me — bofonchiò a bassa voce la vecchia. Poi, a voce più alta,
disse: — Non c'è modo di dirlo. Se si tratta di un animale da sa-
lotto scappato via, e per giunta raro, puoi star certo che il suo
proprietario farà molto presto la sua comparsa per cercarlo.
— Vedremo. — Flinx sapeva che il serpente si trovava bene
dove si trovava adesso, a cavalcioni sopra la sua spalla. Poteva
percepire le ondate di contentezza che irradiava.
— E mentre cercherò di scoprire cos'è — aggiunse con vi-
vacità, — cercherò di scoprire cosa mangia.
— Fallo — gli raccomandò la donna. — Anzi, perché non rima-
ni fuori fino a tarda ora per questa tua ricerca? Ho alcuni
clienti importanti per l'ora di cena. Mi sono stati inviati
dall'Associazione dei Negozianti e sembrano particolarmente
interessati ad alcuni degli articoli più grandi che abbiamo qui,
ad esempio quel tavolo di legno di Muri. Così, pòrtati dietro
quell'orribile... qualunque cosa sia — agitò un dito tremante in
direzione del serpente, — e rimani fuori anche per molto oltre
le dieci. Poi, penserò se sia il caso di farvi tornare tutti e due a
casa.
— Sì, mamma, grazie. — Corse a schioccarle un bacio. La vec-
chia donna si tirò indietro.
— Non avvicinarti a me, ragazzo. Non con quel mostro che ti
sta dormendo sopra il braccio.
— Non ti farebbe mai del male, mamma. Davvero.
— Mi sentirei molto più a mio agio se avessi la parola del ser-
pente oltre alla tua, ragazzo. Adesso andate pure fuori di qui e
restateci. Se siamo fortunati, forse proverà l'irresistibile istin-
to del piccione viaggiatore e volerà via quando non stai guar-
dando.
Ma Pip non volò via. Non diede il minimo segno di volersi
trovare da qualche altra parte del Commonwealth che non fos-
se sopra la pelle d'un certo giovanetto dai capelli rossi.
Mentre Flinx camminava per il mercato, fu sorpreso nel con-
statare che la sua capacità di captare le emozioni e i senti-
menti degli altri si era intensificata, anche se nessuna delle
isolate raffiche che riceveva uguagliava come furore quel soffo-
cante diluvio della notte precedente. La sua ricettività era au-
mentata sia come frequenza che chiarezza, anche se pareva
sempre comportarsi in maniera imprevedibile. Flinx fu portato
a sospettare che quel suo nuovo animaletto avesse qualcosa e
che fare con l'intensificarsi del suo talento, ma non aveva nes-
suna idea di come la cosa funzionasse, proprio allo stesso modo
in cui non aveva mai saputo come funzionasse quel suo potere
mentale, anche nei momenti migliori.
Se soltanto avesse incontrato qualcuno in grado di identifi-
care il serpente! Si, avrebbe sempre potuto interrogare il ter-
minal che aveva a casa, ma le richieste d'informazioni veniva-
no subito controllate alla Centrale, e Flinx temeva che una do-
manda su una creatura così strana potesse suscitare allarme
da parte delle autorità incuriosite. Flinx preferiva di gran lun-
ga evitare i canali ufficiali. Aveva fatto propria l'opinione di
Mamma Mastino sulla burocrazia governativa, situandola in
qualche punto imprecisato tra la muffa melmosa e i fleurm che
infestavano i vicoli dietro le botteghe.
Conosceva ormai moltissimi abitanti del mercato. Dovunque
si fermava, chiedeva se non conoscessero l'identità e l'origine
del suo animaletto. Alcuni esaminavano il serpente alato con
curiosità, altri con timore, pochi con indifferenza. Ma nessuno
mostrò di riconoscerlo.
— Perché non lo chiedi a Makepeace? — gli suggerì alla fine
uno dei venditori. — Ha viaggiato fuori del pianeta. Forse lui lo
sa.
Flinx trovò il vecchio soldato seduto all'angolo di una strada
insieme a parecchi altri suoi antichi compagni di ventura.
Erano tutti da tempo in pensione, ormai. Per la maggior parte
erano immigrati che avevano scelto Falena come luogo del loro
definitivo riposo, sia per amore del suo clima umido, sia perché
era un mondo in cui la vita costava relativamente poco, anco-
ra, per non parlare del lassismo della polizia locale. Su Falena
nessuno avrebbe mai messo in discussione l'origine del denaro
della pensione di qualcuno. Per parecchi degli antichi commili-
toni di Makepeace quella era una gran virtù.
Gli altri uomini e donne carichi d'anni, là sulla strada, stu-
diarono il serpente con non più d'un casuale interesse, ma in-
vece Makepeace reagì con un entusiasmo assai maggiore: —
Benedetta l'anima che ancora mi rimane! — borbottò, sporgen-
dosi prontamente più vicino... ma non troppo, notò Flinx... per
guardare meglio. Pip sollevò la testa incuriosito, come se per-
cepisse qualcosa al di là della norma in quel bipede tanto ru-
goso.
— Sai cos'è? — chiese Flinx, pieno di speranza.
— Sì, ragazzo. Quelle che gli rigonfiano i fianchi sono ali, non
è vero? — Flinx annuì. — Allora è senz'ombra di dubbio un mi-
nidrago alaspiniano.
Flinx ebbe un sorriso radioso per il vecchio soldato e poi per
Pip. — Così, ecco cosa sei! — Il serpente lo fissò a sua volta, co-
me per dire: sono ben consapevole di ciò che io sono... Davvero,
trovi sempre tanto straordinarie le cose più ovvie?
— Ero convinto che i draghi fossero creature mitiche — disse
Flinx a Makepeace.
— Lo sono, infatti. Questo è soltanto un nome che gli viene at-
tribuito per una vaga somiglianza, ragazzo.
— Suppongo che tu sappia — riprese Flinx, — che sputa un li-
quido estremamente corrosivo.
— Corrosivo! — Il vecchio soldato rovesciò il corpo all'indietro
e scoppiò in una fragorosa risata, battendosi le mani aperte
sulle gambe e lanciando occhiate di complicità ai suoi compa-
gni, divenuti molto attenti. — Corrosivo, dice! — Tornò a fissare
Flinx: — La tossina del minidrago, mio caro Flinx, è un acido
velenoso conosciuto con una lunghissima filastrocca chimica
che questa mia vecchia testa non riesce a ricordare. Ero un
soldato-meccanico. La biochimica non è mai stata uno dei miei
soggetti favoriti. Mi sono sempre trovato molto più a mio agio
con la terminologia matematica che con quella biologica... ma
posso dirti questo, malgrado non abbia mai visitato Alaspin di
persona. — Indicò il serpente, il quale ritrasse di scatto la testa
come perplesso. — Se quell'affare dovesse sputarti negli occhi,
saresti ridotto a un grumo scalciante e tremolante nel giro di
un minuto... e saresti del tutto morto in un arco di tempo non
molto maggiore.
«Ti posso anche ricordare che non esistono antidoti cono-
sciuti per parecchie delle tossine alaspiniane, delle quali il tuo
minidrago contiene le più potenti. Un veleno neurologico cor-
rosivo... già, chi può mai ricordarsi di averne sentito parlare?
Hai detto che sai che è corrosivo?
Flinx rivide la vivida immagine dell'estremità della scopa
metallica dissolta, le setole e il manico disciolti come burro sot-
to una lama rovente.
— Devi assolutamente garantirti di non far mai una simile
esperienza sulla tua persona, ragazzo. Ho sentito parlare di
creature come quella che venivano tenute come animali da sa-
lotto, ma è una cosa rara. Vedi, la decisione di una simile asso-
ciazione simbiotica viene presa tutta dal serpente. Il potenziale
proprietario umano non ha nessuna scelta nella faccenda. Non
puoi addomesticarli... sono loro che fanno la scelta. — Indicò
un'altra volta la spalla di Flinx. — Pare che quell'esemplare ab-
bia proprio deciso di sistemarsi con te.
— È più che benvenuto — dichiarò Flinx in tono affettuoso. —
Ho proprio la sensazione che qui, sulla mia spalla, sia il suo po-
sto naturale.
— A ciascuno il suo — commentò una donna anziana, rab-
brividendo leggermente. Altri del gruppo intorno a lei annuiro-
no il loro consenso.
— E c'è dell'altro ancora. — Il vecchio soldato corrugò la fron-
te cercando con uno sforzo i ricordi del passato da tempo asso-
piti. — Sì, è proprio quanto hai detto sul fatto che te lo senti
«naturale» lì sulla spalla che me l'ha fatto ricordare. Dicono che
questi serpenti volanti abbiano degli strani vezzi mentali. Io
non saprei dire per certo che sia così... riferisco soltanto delle
voci, non l'ho letto da una videocassetta. Ma le storie si diffon-
dono...
— Che genere di storie? — chiese Flinx, cercando di non farsi
sentire troppo ansioso.
— Oh, che questi serpenti sono empatici. Sai, telepatici al li-
vello emozionale. — Si grattò la testa. — C'è di più, ma che sia
dannato se riesco a ricordarmi il resto.
— È senz'altro interessante — disse Flinx, con voce tran-
quilla, — ma piuttosto improbabile.
— Già, è quello che ho sempre pensato anch'io — concordò
Makepeace. — Non hai notato niente del genere da quando hai
quell'affare sulla spalla, naturalmente.
— Niente di niente. — Flinx era un esperto, quando si trattava
d'irradiare un'aura di candore. In questo caso s'irradiava dal
suo viso, ma non dalla sua mente. — Grazie molte per il tuo
tempo, signor Makepeace.
— Sei più che benvenuto, ragazzo. Le vecchie conoscenze
muoiono, a meno che qualcuno non ne faccia uso. Stai attento
con quel coso. Potrebbe rivoltarsi contro di te.
— Starò attento — gli garantì Flinx, garrulo. Si voltò e si al-
lontanò in fretta dal crocchio degli anziani attenti.
Makepeace continuava a sfregarsi il mento, fissando il gio-
vanetto che spariva nella folla turbinante. — Strano. Mi chiedo
proprio da dove sia arrivato quel piccolo volante. Siamo dan-
natamente lontani da Alaspin. Mi ricorda una volta che...
Flinx si voltò a guardare la sua spalla. — Così, sei velenoso,
eh? Be', chiunque avrebbe potuto indovinarlo dopo la piccola
dimostrazione che hai dato con la scopa di Mamma Mastino,
questa mattina. Ma... se mi sputi in un occhio, anch'io sputerò
nel tuo.
Il serpente non accettò la sfida. Lo fissò per un attimo, poi di-
stolse da lui lo sguardo e fissò la strada davanti a sé, chiara-
mente più interessato allo spettacolo intorno a loro che alle pa-
role indecifrabili del suo padrone.
Forse i minidraghi non possiedono il senso dell'umorismo, ri-
fletté Flinx. Forse in seguito non gli sarebbero mancate le pos-
sibilità di approfondire la questione. Ma per lo meno adesso
sapeva che cos'era il suo protetto. Sollevando lo sguardo oltre
l'orlo del cappuccio dell'incerato, si chiese dove mai si trovasse
il mondo del serpente alato. Il vecchio Makepeace l'aveva
chiamato Alaspin, e aveva aggiunto che si trovava molto lonta-
no.
La nebbia inumidiva il suo viso rivolto all'insù. La coltre di
nuvole pareva meno densa del solito. Se avesse avuto fortuna
quella notte le tenebre si sarebbero un po' diradate e avrebbe
visto gli anelli interrotti di ghiaccio intorno a Falena, la luna
Fiamma e più oltre le stelle.
Un giorno, pensò, un giorno viaggerò fino a luoghi lontani
come quelli in cui sono stati Makepeace e gli altri. Un giorno
lascerò questo piccolo mondo umido e me ne andrò vagabondo.
Sarò un libero adulto, senza nessun legame e nessuna re-
sponsabilità. Condurrò una vita rilassata e priva di complica-
zioni, fatta di semplici piaceri... Abbassò lo sguardo sul suo
nuovo compagno. Forse un giorno avrebbero viaggiato perfino
al mondo nativo del serpente, Alaspin, dovunque si trovasse.
Certo, pensò in tono amaro, meglio essere realisti, come dice
Mamma Mastino. Sei inchiodato qui per sempre. Falena è la
tua casa, e sarà su Falena che passerai il resto dei tuoi giorni.
Considerati fortunato. Hai una madre che si preoccupa per te,
una casa calda, cibo...
Cibo. Certamente il serpente era più affamato che mai. — Sa-
rà meglio che ci procuriamo qualcosa da mangiare — disse a
Pip, il quale sollevò lo sguardo su di lui con rinnovato interes-
se.
Controllò la sua carta di credito. Non c'erano molti soldi. Non
che ce ne fossero mai stati tanti. Be', ce l'avrebbe fatta. Il guaio
era che non aveva nessuna idea di cosa piacesse mangiare ai
minidraghi di Alaspin. — Mi chiedo cosa mai preferisci — mor-
morò. Il serpente non rispose. — Se è soltanto cibo vivo, allora
non penso che ci sia molto che posso fare per te. Non certo in
modo normale, comunque. In ogni caso, cominciamo da qui.
Entrarono in un locale ben noto a Flinx. La maggior parte dei
separé e dei tavoli erano liberi, poiché era un'ora intermedia
fra un pasto e l'altro. Risultò che trovare del cibo adatto al mi-
nidrago era un problema assai meno difficile di quanto Flinx
aveva temuto. Con grande sorpresa del ragazzo, il serpente vo-
lante era onnivoro. Avrebbe mangiato qualunque cosa gli fosse
stata messa davanti, anche se la carne cruda pareva essere il
suo piatto favorito. Flinx tagliò la carne a pezzettini, che il ser-
pente inghiottì interi. Flinx si permise un boccone di tanto in
tanto. Quando c'erano stati tempi di magra lui e Mamma Ma-
stino avevano tirato avanti con prodotti assai meno saporiti.
A Pip piaceva ogni genere di frutto o di bacca, anche se evi-
tava i legumi. Un'altra cosa che avevano in comune, rifletté
Flinx. Stranamente, il serpente lappava il latte. Flinx in breve
si convinse di potergli fornire una varietà di cibi sufficiente a
tenerlo felicemente in vita. Forse avrebbe perfino mangiato gli
avanzi dei loro pasti in casa... e probabilmente questo fatto
avrebbe diminuito l'ostilità che Mamma Mastino gli dimostra-
va. Continuando a sperimentare, Flinx scoprì che al serpente
piaceva in modo particolare qualunque cosa che avesse un alto
contenuto di ferro, come ad esempio l'uva secca o le scaglie del
pesce guar. Se fosse stato un biochimico attrezzato con un la-
boratorio da campo, avrebbe potuto apprendere che il sangue
del minidrago conteneva un'eccezionale concentrazione di
emoglobina, indispensabile a trasportare tutto l'ossigeno ne-
cessario a sostenere il volo del serpente, simile a quello d'un
uccello ronzante... un colibrì.
Quando Pip ebbe raddoppiato il suo normale diametro cor-
poreo, Flinx smise di sperimentare cibi sempre nuovi per il suo
animaletto. Si rilassò là nel separé, sorseggiando del vin brulé
e osservando l'accendersi delle luci della città. Ammise a se
stesso che non sarebbe poi stato troppo brutto passare tutta la
vita su Falena. Drallar non era mai monotona, e adesso lui go-
deva d'un compagno tutto speciale, con cui condividere l'ecci-
tazione.
Sì, il serpente volante aveva riempito un vuoto ben definito
nella sua vita, oltre a saziare qualche misteriosa e più profon-
da parte di se stesso. Ma lui ardeva ancora dal desiderio di
viaggiare fra le stelle e visitare i mondi che giravano intorno
ad esse.
Sii realistico, ordinò a se stesso.
Salutò alcuni conoscenti che passavano davanti al ristorante
con un cenno della mano. Vecchi e vecchie. A volte Mamma
Mastino si preoccupava perché lui preferiva la compagnia de-
gli adulti a quella dei giovani della sua età. Ma Flinx non pote-
va farci niente. Non che fosse antisociale, soltanto... sceglieva i
propri amici con cura. E l'immaturità di quelli della sua età lo
spingeva a cercare la compagnia degli adulti.
La fugace emozione proveniente da uno di quelli che aveva
salutato lo raggiunse, quando il gruppo girò l'angolo, ridendo e
scherzando da buoni camerati. Flinx l'afferrò, ma un istante
dopo non c'era più. Si lasciò andare contro lo schienale del suo
separé. Il vino lo metteva di malumore. Era meglio non posse-
dere nessun talento, pensò, piuttosto che averne uno ingover-
nabile che continuava a pungolarlo senza dargli sollievo.
Pagò il modesto conto, infilando la carta di credito nella co-
lonnina centrale del tavolo. Fuori, stava per cadere la pioggia
della sera. Pip se ne stava comodamente accoccolato sopra la
sua spalla, sotto l'incerato, facendo spuntar fuori soltanto la
testa. Era sazio e soddisfatto. Devi esserlo, dopo tutto quello
che hai mangiato, pensò Flinx guardando con affetto il suo
animaletto.
La pioggia trasformava le scaglie brillanti della testa del ser-
pente in minuscoli gioielli. Non pareva che l'umidità desse fa-
stidio al serpente. Chissà se anche Alaspin è un mondo umido?
pensò Flinx. Avrei dovuto chiederlo al vecchio Makepeace.
Probabilmente lui lo sapeva. Presto o tardi la gente che ha la
fortuna di viaggiare impara tutto.
D'un tratto un'acutissima, stridente esplosione di emozioni
(con la violenza d'una improvvisa martellata) lo fece piegare
in due. Era come un urlo muto dentro la sua testa. Flinx senti-
va la nuda emozione dietro a un urlo invece di sentire l'urlo
stesso. Non aveva mai sperimentato niente di simile fino a quel
momento, e malgrado ciò gli pareva familiare in maniera nau-
seante.
Un passante tutto infagottato si fermò e si chinò sollecito so-
pra il giovane accartocciato al suolo. — Ti senti bene, figliolo?
Sei... — Notò qualcosa e arretrò di scatto.
— Sto... sto bene, credo — riuscì a rantolare Flinx. Vide cosa
aveva fatto trasalire l'uomo. Un attimo prima Pip era ad-
dormentato sulla spalla del suo padrone. Ma adesso era sve-
glio, con la testa e il collo che sporgevano come un periscopio
scaglioso e parevano scrutare l'aria della notte alla ricerca di
qualcosa d'invisibile.
Poi le ultime vestigia di quel grido gemette e disperato sva-
nirono lasciando la testa di Flinx dolorante e vuota in maniera
tale da farlo infuriare. Eppure era durato abbastanza a lungo
perché riuscisse a distinguerlo e a identificarlo.
— Ascolta, figliolo, se hai bisogno di aiuto posso... — cominciò
a dire lo sconosciuto. Ma Flinx non aspettò di ascoltare la gen-
tile offerta fino in fondo. Aveva già percorso metà della strada,
correndo a tutta velocità sul marciapiede. Il suo incerato si era
allargato come un mantello dietro di lui, e i suoi stivali faceva-
no schizzare l'acqua sia sulle facciate dei negozi che sui pedoni.
Non si fermò neppure in istante a scusarsi, le imprecazioni gli
scivolavano di dosso inosservate come la pioggia.
Poi infilò la strada laterale che gli era così familiare... Il cuore
gli batteva, i polmoni erano gonfi. La strada pareva intatta,
inalterata, eppure là qualcosa era stato violato, e nel preciso
istante in cui accadeva, aveva toccato la mente di Flinx. La
maggior parte dei negozi era già chiusa, poiché ormai era scesa
la notte. Non c'era alcun segno di esseri umani in quel canyon
di pietra umida.
— Mamma! — urlò. — Mamma Mastino! — Batté col palmo
della mano sulla piastra della serratura. La porta ronzò ma
non si aprì. Era chiusa da dentro.
— Mamma Mastino, apri. Sono io, Flinx! — Dall'altro lato non
giunse nessuna risposta.
Pip danzava sulla sua spalla, per metà librato in aria, per
metà arrotolato sopra il suo padrone. Flinx si allontanò d'una
dozzina di passi dalla porta, poi la caricò, scagliandosi avanti
con tutta la sua forza, sollevandosi letteralmente in aria per
poi scalciare con una gamba nel modo preciso che Makepeace
gli aveva fatto vedere in una occasione. La porta cedette al vio-
lentissimo colpo, spalancandosi: all'interno era stato tirato sol-
tanto il catenaccio, non era stata chiusa la serratura.
Flinx si rannicchiò, i suoi occhi guizzarono veloci per tutto il
negozio. Pip tornò a riadagiarsi intorno alla sua spalla, ma con-
tinuava a muovere la testa, agitato, come se condividesse il
nervosismo e la preoccupazione del suo padrone.
Il negozio pareva intatto. Flinx si fece avanti e saggiò la por-
ta interna. Questa si aprì al suo tocco. L'interno del soggiorno
era nel caos. Padelle e pentole erano state rovesciate nella cu-
cina. Indumenti e altri oggetti personali giacevano sparpagliati
sul pavimento e sopra i mobili. Flinx andò dal soggiorno-cucina
alla propria stanza, e per finire entrò in quella di Mamma Ma-
stino, sapendo ma temendo ciò che avrebbe trovato.
Nella stanza da letto di Mamma Mastino la devastazione era
ancora peggiore. Il letto pareva essere stato la scena d'un ten-
tativo di assassinio o di un'orgia scatenata. Dall'altra parte del
letto, nascosta a un'occhiata distratta, una piccola, bassa porta
si confondeva con la struttura della parete. Era larga ab-
bastanza da consentire a un uomo di attraversarla strisciando.
Era socchiusa, e una fredda brezza entrava da fuori.
Flinx si lasciò cadere sulle ginocchia e cominciò ad attraver-
sarla, senza preoccuparsi di ciò che avrebbe potuto incontrare
sull'altro lato. Emerse nel vicolo da questa sorta di scivolo e si
alzò in piedi. La pioggia si era trasformata in fitta nebbia. Là
fuori non c'era nessun indizio che fosse accaduto qualcosa d'in-
solito. Tutto il caos si trovava dietro di lui, all'interno della ca-
sa.
Flinx si girò, fece due o tre passi di corsa verso nord, poi si
fermò. Restò lì immobile, ansimante. Aveva corso a lungo e
sotto sforzo dal punto in cui il grido mentale l'aveva colto, ma
era arrivato troppo tardi. Non c'era nessun segno che qualcuno
fosse stato in quel vicolo.
A lenti passi, avvilito, fece ritorno dentro il negozio. Perché
pianse tra sé. Perché mi è successo questo? Chi poteva voler
rapire una povera vecchia innocua come Mamma Mastino? Più
ci pensava, meno la cosa aveva senso.
Si costrinse a fare un inventario del negozio. Non c'era nes-
sun segno che mancasse qualcosa. Tutto pareva intatto. Quin-
di, non si trattava di ladri sorpresi nell'atto di rubare. Che co-
sa, allora? Se non fosse stato per le ampie prove che qui c'era
stata una lotta, non avrebbe neppure sospettato che c'era qual-
cosa che non andava.
No, ricordò, questo non era del tutto vero. La serratura er-
metica della porta d'ingresso era inattiva. Ci sarebbe voluta al-
meno la metà dei ladri di Drallar per trascinar fuori Mamma
Mastino dal suo negozio mentre la serratura era disigillata.
Pensò ai ladri una seconda volta, sapendo che non si sarebbe
fermato là a lungo... Con la mente piena di pensieri cupi e in
conflitto tra loro, si mise a riparare la serratura.

VI

— Psst! Ragazzo! Flinx-ragazzo!


Flinx socchiuse leggermente la porta e scrutò la caligine
esterna. L'uomo che gli stava parlando dall'ombra aveva un
piccolo negozio a due banchi lungo una laterale della strada
dov'era situato il negozio di Mamma Mastino. Produceva e
vendeva articoli casalinghi fatti con i legni duri che su Falena
crescevano abbondanti. Flinx lo conosceva bene e uscì fuori
per parlargli.
— Ciao, Arrapkha. — Si sforzò di scrutare il volto dell'uomo,
ma questo per la maggior parte del tempo rimase nascosto
dall'orlo penzolante del suo incerato. Non sentiva nessuna
emanazione dalla mente dell'altro. Che bello e meraviglioso è il
mio talento! pensò sarcastico tra sé.
— Cos'è successo qui? Hai visto niente?
— Non dovrei starmene così, qua fuori. — Arrapkha si voltò
per guardare preoccupato lungo la strada là dove questa inter-
secava l'arteria principale ancora piena di attività. — Sai cosa
dice la gente a Drallar, Flinx-ragazzo. Gli affari migliori si fan-
no badando ai propri.
— Niente prediche adesso, amico — l'interruppe Flinx con
impazienza. — Sei stato uno dei vicini di mia madre per molti
anni, e mi hai visto crescere. Dov'è?
— Non lo so. — Arrapkha esitò un attimo per rimettere ordine
nei suoi pensieri. Flinx trattenne la sua ansia e cercò d'essere
paziente con quell'uomo. Arrapkha era un po' lento, ma un
brav'uomo.
— Stavo lavorando al mio tornio e mi sentivo d'incanto. Ave-
vo appena venduto un paio di sgabelli a un programmatore dei
quartieri snob della città e stavo valutando la mia buona fortu-
na quando mi è parso di udire dei rumori provenienti dalla tua
casa. — Esibì un debole sorriso. — Dapprima non ci ho fatto ca-
so, tu conosci tua madre... Può avere delle esplosioni di collera
in qualunque momento senza nessun particolare motivo e fare
abbastanza chiasso da suscitare le lamentele dei grandi negozi
eleganti del viale.
«Comunque avevo appena finito di lavorare al tornio una co-
lonnina Broya... molto bella, Flinx-ragazzo, fatta di legno di
baccarpa numero sei...
— Sì, ne sono sicuro — l'interruppe Flinx con impazienza. —
Sono sicuro che sarà un capolavoro come tutte le altre tue co-
se, ma cos'hai da dirmi su Mamma Mastino?
— Ci sto arrivando, Flinx-ragazzo — replicò Arrapkha in tono
irritato. — Come ho detto, ho finito la colonnina, e poiché il
chiasso continuava, mi sono incuriosito. Pareva continuare
troppo a lungo perfino per tua madre. Così ho interrotto il mio
lavoro per un attimo e ho pensato di venire a vedere cosa mai
stava succedendo. A volte faccio da mediatore... o da paciere...
per tua madre.
«Quando mi sono trovato all'incirca a metà strada fra il mio
negozio e il vostro, il rumore è cessato quasi del tutto. Stavo
per tornarmene a casa quando ho visto qualcosa. O almeno,
credo di averlo visto». Indicò con un gesto lo stretto passaggio
che separava il negozio di Mamma Mastino dal negozio sfitto
accanto al suo. — Attraverso quella strettoia mi è parso di ve-
dere delle figure che si muovevano in fretta lungo il vicolo die-
tro la tua casa. Ma non ho distinto chiaramente... l'apertura è
piccola, stava piovendo forte e fa buio, là dietro. Ma sono certo
di aver visto parecchie figure.
— Quante? — volle sapere Flinx. — Due, tre?
— Con sicurezza non saprei dirlo — confessò Arrapkha con
voce triste. — Non potrei dire con certezza neppure se fossero,
oppure no, umane. Ma certo erano più di due. Eppure non era-
no in gran numero, anche se potrei non averle viste tutte.
«Be'... ho raggiunto in fretta la porta e ho suonato. Non c'è
stata risposta, dentro era tutto silenzioso e la porta era chiusa
a chiave, così mi sono fermato a riflettere. Non c'era nessuna
ragione di collegare le figure nel vicolo con la discussione ani-
mata di tua madre. Ricorda, io ho soltanto sentito dei rumori
provenire dal negozio.
«Poiché faceva sempre più buio, ho preso a preoccuparmi: il
negozio continuava a restare chiuso, e non era da Mamma Ma-
stino chiudere così presto. Tuttavia la sua digestione non è più
quella di un tempo e a volte il fegato le dà qualche noia. Troppa
bile. Era possibile che si fosse messa a imprecare contro i pro-
pri visceri.
— Lo so — disse Flinx. — Ho dovuto ascoltare le sue lamentele
un sacco di volte.
— Così ho pensato che fosse meglio non interferire. Ma vi co-
nosco tutti e due da molto tempo, Flinx-ragazzo, proprio come
dici tu, e ho pensato, non appena ti ho visto aggirarti qua in-
torno, di venirti a dire quello che avevo visto. Adesso capisco
chiaramente che avrei dovuto indagare più a fondo. — Si pic-
chiò la testa. — Mi dispiace, ma non sono la persona più intel-
ligente del mercato.
— Va bene così, Arrapkha. Non hai nessuna colpa di quanto è
successo. — Flinx restò immobile là in mezzo alla nebbia per un
lungo istante, in silenzio, intento a pensare intensamente.
Arrapkha interruppe, esitante, le sue riflessioni: — Mi spiace
tanto, Flinx-ragazzo. Se c'è qualcosa che posso fare per aiu-
tarti, se hai bisogno d'un posto dove dormire stanotte, sì, per-
fino con quella creatura del diavolo sulla tua spalla, sei il ben-
venuto se vuoi condividere la mia casa.
— Ho passato molte notti fuori da solo, grazie — rispose Flinx.
— Ma apprezzo molto la tua offerta. Quello che mi hai detto,
comunque, mi è assai utile. Per lo meno adesso ho un'idea più
precisa di quanto è successo, anche se non riesco proprio a
immaginare perché. Sei riuscito a vedere se Mamma Mastino
era uno di quelli che correvano nel vicolo? In casa non c'è.
— È quello che ho indovinato dalla tua espressione e dalle tue
parole. No, non posso dire se fosse una di loro. Ho visto soltan-
to delle forme che parevano umane, o per lo meno procedevano
erette. Ma mi è parso che corressero con difficoltà.
— Forse la stavano trasportando?
— Potrebbe darsi, Flinx-ragazzo, potrebbe darsi. Certo non
può essere andata via di sua volontà con degli estranei senza
lasciarti neppure un messaggio.
— No, non l'avrebbe mai fatto — fu d'accordo Flinx. — E se an-
che è andata con la gente che hai visto, non l'ha fatto perché
erano amici suoi. L'interno della casa è tutto sottosopra. Lei
non li ha certo seguiti senza una fiera opposizione.
— Allora è certo che per qualche ragione l'hanno rapita —
convenne Arrapkha. — Cinquant'anni fa avrei anche trovato
un motivo per un atto del genere: allora Mamma Mastino era
una bellezza, anche se poi non è invecchiata con grazia. La gra-
zia non faceva parte di lei neppure in quei lontani giorni. È
sempre stata una donna dura, anche se dall'aspetto attraente.
Ma che una cosa simile accada adesso... — Scosse la testa. — Un
vero enigma. Aveva molti soldi?
Flinx scosse energicamente il capo.
— Uhm... pensavo appunto di no. E allora, deve forse a qual-
cuno una somma eccessiva?
— Sì, doveva soldi a molta gente, ma nessuna grossa somma
— rispose Flinx. — Per lo meno, niente di cui mi abbia parlato e
niente di cui l'abbia sentita parlare.
— Allora non capisco — dichiarò Arrapkha in tono solenne.
— Neppure io, amico.
— Forse — suggerì Arrapkha, — qualcuno voleva avere una
conversazione privata con lei e la porterà indietro domattina?
Flinx scosse la testa una seconda volta. — Penso che siccome
non è andata con loro di sua spontanea volontà, non le verrà
consentito di tornare volontariamente. Comunque, c'è una cosa
che mi ha sempre ripetuto: di non starmene seduto a contem-
plare l'inspiegabile ma di tentare sempre di trovare le risposte.
Se domani dovesse tornare a casa, libera, allora posso sempre
cercare di andarle incontro.
— Allora, sei proprio deciso di andare a cercarla? — Ar-
rapkha sollevò le sue sopracciglia nere e folte come cespugli.
— Che altro posso fare?
— Potresti aspettare. Sei un tipo simpatico, Flinx-ragazzo. —
Indicò con un gesto della mano il lontano viale. — La maggior
parte di quelli che vivono qui nel mercato e ti conoscono, pen-
sano la stessa cosa. Non ti mancherà mai un posto in cui abita-
re o del cibo, se deciderai di aspettarla qui. Il tuo problema è
che sei troppo giovane, e i giovani sono sempre troppo ansiosi.
— Mi spiace, Arrapkha. So che sei ben disposto verso di me,
ma non posso starmene seduto ad aspettare. Credo proprio che
butterei il mio tempo e, quel che peggio, anche il suo. A Mam-
ma Mastino non è rimasto molto tempo.
— E se, scusami, il tempo fosse già finito? — gli chiese Ar-
rapkha con un certo sforzo. La delicatezza non era una carat-
teristica molto accentuata fra gli abitanti del mercato. — Allora
ti immischieresti in qualcosa di pericoloso che lei ha scelto di
risparmiarti?
— Devo sapere. Devo cercarla e vedere se posso aiutarla.
— Non capisco — disse Arrapkha, con voce desolata. — Tu sei
un giovanotto in gamba, parecchio più in gamba di me. Perché
mettere a repentaglio la tua vita? Lei non vorrebbe che tu lo
facessi, sai. Non è veramente tua madre.
— Madre o non madre — rispose Flinx, — è la sola che io abbia
mai conosciuto. C'è qualcosa di più della semplice biologia, Ar-
rapkha. Questo almeno l'ho imparato durante tutti questi anni.
Il vecchio annuì. — Ho pensato che avresti detto qualcosa del
genere, Flinx-ragazzo. Be', per lo meno posso augurarti buona
fortuna. È tutto quello che posso darti. Hai credito?
— Un po', sulla mia carta.
— Se te ne serve di più, posso trasferirtene. — Arrapkha fece
per tirar fuori la sua carta.
— No, non adesso, comunque. Un aiuto del genere potrebbe
servirmi più tardi. — Diede in un ampio sorriso. — Sei un buon
amico, Arrapkha. La tua amicizia è solida come i tuoi lavori in
legno. — Si girò. — Hai visto in quale direzione sono andate
quelle figure?
— È poco per cominciare. — Gli indicò il nord. — Da quella
parte, lungo il vicolo. Potrebbero aver girato in qualunque
momento. E con questo tempo — indicò le nubi che gravavano
fiacche sopra di loro, — non avranno lasciato nessuna traccia
che tu non possa seguire.
— Forse no — ammise Flinx. — Vedremo.
— Mi aspetto che lo farai, Flinx-ragazzo, dal momento che
provi un sentimento così forte. Tutto quello che posso fare è
augurarti buona fortuna. — Si girò e si allontanò lungo la stra-
da verso il suo negozio, tenendo l'incerato stretto intorno alla
testa e al collo.
Flinx aspettò fino a quando la pioggia non ebbe inghiottito il
vecchio prima di rientrare e chiudere la porta dietro di sé. Va-
gò imbronciato per l'area del soggiorno, recuperando questo o
quell'oggetto dal disordine e rimettendo le cose al proprio po-
sto. Dopo un po' si ritrovò nella stanza di Mamma Mastino. Si
sedette sul letto e fissò il piccolo passaggio per l'esterno ancora
socchiuso, che dava sul vicolo.
— Cosa ne pensi, Pip? Dov'è andata, chi l'ha presa, e perché?
E come farò a ritrovarla? Non so neppure da che parte comin-
ciare.
Chiuse gli occhi, si sforzò, cercò di percepire i tipi di emozioni
che, lui sapeva, la vecchia donna avrebbe dovuto irradiare, do-
vunque fosse stata condotta. Non trovò nulla. Niente da Mam-
ma Mastino, niente da chiunque altro. Il suo talento si prende-
va gioco di lui. Cominciò a rimettere ordine nella stanza, spe-
rando che il contatto con gli oggetti familiari potesse attivare
qualche tipo di reazione nella sua mente. Qualcosa, qualunque
cosa, che gli concedesse un punto di partenza per tentare di
rintracciarla. Pip scivolò giù dalla sua spalla e strisciò at-
traverso il letto, giocando con coperte e cuscini.
Flinx osservò che nel singolo armadio c'erano dei vuoti: in-
dumenti mancanti. Era evidente che chiunque l'avesse rapita
intendeva trattenerla per un po'. Quella vista lo confortò giac-
ché non si sarebbero presi la briga di portar via con sé degli in-
dumenti per qualcuno che intendevano uccidere subito.
Pip si era fatto strada sul letto fino al tavolino da notte e sta-
va avanzando sinuoso tra le bottiglie e i contenitori che si tro-
vavano sopra il ripiano. — Scendi di lì, Pip, prima di rompere
qualcosa. Qui sono già stati fatti fin troppi danni, per oggi.
L'irritazione nella sua voce era generata più dal suo perso-
nale turbamento che da una vera preoccupazione. Perché il mi-
nidrago non aveva rovesciato niente.
Pip reagì, anche se non lo fece per obbedire all'ammonimento
del suo padrone. Il serpente allargò le ali luminose e svolazzò
dal ripiano del tavolino fino all'imboccatura del piccolo passag-
gio per l'esterno. Rimase librato là, gli occhi puntati su di esso.
Mentre Flinx contemplava a bocca aperta il suo animaletto,
questi volò sopra una bottiglia, poi sfrecciò di nuovo fino alla
stretta apertura.
La momentanea paralisi lasciò di colpo Flinx che si precipitò
a sua volta verso il tavolino. La sottile bottiglia di plastica che
aveva attirato Pip era stappata. Di solito conteneva un de-
cilitro d'un profumo particolarmente potente che piaceva fol-
lemente a Mamma Mastino. Adesso, vide che la bottiglia era
vuota. Se Mamma Mastino aveva conservato abbastanza di
spirito da ricordarsi che la gendarmeria di Drallar impiegava
talvolta degli animali da fiuto... Per la prima volta la speranza
ricacciò la disperazione in un angolo della mente di Flinx. Que-
gli animali erano in grado di seguire gli odori perfino in mezzo
alla perpetua umidità di Falena.
Se un minidrago alaspiniano possedeva la stessa capacità...
Stava forse equivocando del tutto le azioni del serpente alato?
Di «Pip»?
Il serpente volante parve decidere che la citazione ad alta
voce del suo nome fosse un'autorizzazione a procedere, poiché
si girò repentinamente a mezz'aria e sfrecciò attraverso la pic-
cola apertura verso l'esterno. Flinx si lasciò cadere sulle ginoc-
chia e gli strisciò dietro. Nel giro di pochi istanti era di nuovo
nel vicolo. Mentre si alzava in piedi cercò con lo sguardo il suo
animaletto. Questo si stava dirigendo verso est, ed era quasi
scomparso alla sua vista.
— Pip, aspetta! — Obbediente il serpente si fermò, rimanendo
sospeso immobile a mezz'aria fino a quando il suo padrone non
l'ebbe raggiunto. Poi sfrecciò via di nuovo lungo il vicolo.
Flinx cominciò a correre con passo costante. Era un eccel-
lente corridore e in ottime condizioni, cosa questa di cui era
sempre andato orgoglioso. Decise di seguire il serpente volante
fino a quando o lui stesso o l'animale si fossero accasciati al
suolo, stremati.
Si aspettava che il serpente si fermasse da un momento
all'altro fuori d'una delle innumerevoli strutture anonime che
costellavano la sezione commerciale di Drallar. Ma mentre il
minidrago si torceva e turbinava lungo i vicoli e le strade, non
una sola volta mostrò di esitare in quel suo volare continuo.
Ben presto toccò proprio a Flinx constatare che cominciava a
mancargli il fiato. Tutte le volte che si fermava, il serpente
aspettava con impazienza che il suo padrone l'avesse raggiun-
to. Drallar era la più grande città di Falena, ma era un villaggio
se confrontata con le più grandi città della Terra o i complessi
sotterranei di Hivehom o Evoria... cosi Flinx non fu sorpreso
quando Pip cominciò finalmente a rallentare. Avevano rag-
giunto i sobborghi nordoccidentali della metropoli. Qui gli edi-
fici non sorgevano più costruiti gli uni vicino agli altri. Piccole
strutture che fungevano da magazzini erano sparpagliate tutto
intorno, e piccole abitazioni singole di blocchi di legno e plasti-
ca cominciavano a fondersi con le prime falangi della foresta
sempreverde. Pip esitò davanti agli alberi, saettando tutt'in-
torno in ansiosi cerchi, levandosi alto nel cielo per scrutare le
cime degli alberi. Ignorò le implorazioni e le chiamate di Flinx
finché non fu finalmente soddisfatto, al che il serpente si girò e
tornò finalmente ad adagiarsi sul suo consueto posatoio costi-
tuito dalla spalla del suo padrone.
Girando lentamente in cerchio Flinx si sforzò di cogliere al-
meno un frammento di emozione rimasto sospeso nell'aria.
Ancora una volta i suoi sforzi si scontrarono con l'insuccesso.
Pareva chiaro che chiunque avesse portato via Mamma Masti-
no si era addentrato con lei nella foresta, e che la pista olfatti-
va che aveva guidato Pip fin lì aveva finito per dissiparsi nel
costante assalto della nebbia e della pioggia. Su un mondo più
asciutto o su uno dei pochi deserti di Falena, le cose avrebbero
potuto essere diverse, ma qui Pip era arrivato a un punto mor-
to.
Dopo aver riflettuto un attimo, Flinx si allontanò voltando le
spalle alla foresta. Oltre agli edifici adibiti a magazzini e ad abi-
tazione, parecchie piccole officine erano visibili nelle vici-
nanze, comprese due delle onnipresenti segherie che circonda-
vano la città e lavoravano la fonte produttiva più prolifica di
Falena. Flinx vagò fra esse fino a quando non localizzò una
stazione di comunicazione pubblica lungo una strada di servi-
zio. Entrò e fece scorrere dietro di sé la porta di legno spanda,
chiudendola. Anche dopo la stagionatura il legno di spanda
conserva un coefficiente di espansione significativo. Quando
chiuse la porta, il legno si autosigillò contro le intemperie e sol-
tanto le membrane di ventilazione impedirono a Flinx di soffo-
care. Tirò fuori la sua ammaccata carta di credito e l'infilò nel
ricettacolo dell'unità, poi batté la tastiera. Sul piccolo schermo
comparve una donna di mezza età dall'aspetto piacevole. — Sì,
signore. Cosa posso fare per lei?
— Esiste un Ufficio Persone Scomparse al Municipio di Dral-
lar?
— Un momento, per favore. — Vi fu una pausa mentre la don-
na stava compulsando qualcosa fuori della portata dello
schermo. — Umano o alieno?
— Umano, per favore.
— Indigeno o forestiero?
— Indigeno.
— Vuole un collegamento diretto?
— Grazie, sì. — La donna continuò a fissarlo per un attimo, e
Flinx fu certo che fosse affascinata dall'animaletto che portava
arrotolato sulla spalla. Lo schermo lampeggiò infine una volta,
poi tornò a schiarirsi.
Questa volta l'individuo che lo fissò era maschio, calvo e an-
noiato. La sua età era indefinibile, il suo atteggiamento appena
appena cortese. A Flinx i burocrati non erano mai piaciuti. —
Sì, cosa c'è?
— Ieri sera — dichiarò Flinx, — o questa mattina sul presto...
— durante la sua corsa attraverso le strade della città aveva
perso completamente ogni cognizione del tempo, — io... mia
madre è scomparsa. Un vicino ha visto alcune persone fuggire
lungo un vicolo, e la nostra casa era sottosopra. Non so da dove
cominciare a cercarla. Penso sia stata portata fuori città attra-
verso il quartiere nordoccidentale, ma di questo non sono af-
fatto sicuro.

L'uomo parve animarsi un poco, anche se la sua voce suonò


dubbiosa. — Capisco. Ma questa mi sembra più una faccenda
per la polizia che per le Persone Scomparse.
— Non necessariamente — disse Flinx, — se capisce cosa vo-
glio dire.
— Oh. — L'uomo sorrise, mostrando di capire. — Un momento.
Controllo per lei. — Si servì d'una tastiera fuori dalla visuale di
Flinx. — Sì, sono stati compiuti alcuni arresti, stanotte, parec-
chi di questi comprendevano donne. Quanti anni ha sua ma-
dre?
— È vicina ai cento — l'informò Flinx. — Ma è molto vivace.
— Non abbastanza vivace da trovarsi nel gruppo a cui stavo
pensando — rispose l'impiegato. — Nome?
Flinx esitò. — L'ho sempre chiamata Mamma Mastino.
L'uomo corrugò la fronte, poi riprese a studiare il suo scher-
mo. — Mastino è il nome o il cognome? Suppongo che Mamma
sia un appellativo, diciamo così, onorifico...
Flinx si trovò a fissare, ammutolito, l'impiegato. D'un tratto
fu conscio degli enormi vuoti che formavano la maggior parte
della sua vita. — Non... non lo so per certo.
L'atteggiamento dell'impiegato divenne gelido. — Sta forse
scherzando, giovanotto?
— No, signore — si affrettò a rassicurarlo Flinx, — non è uno
scherzo. Quando dico che non lo so, è la verità. Vede, non è la
mia madre naturale.
— Ah — mormorò con improvvisa discrezione l'impiegato. —
Bene, allora. Qual è il suo cognome?
— Io... — Con suo grande stupore, Flinx scoprì che stava per
mettersi a piangere. Era un fenomeno più unico che raro, che
da qualche tempo era riuscito a evitare. Adesso, quando meno
ne aveva bisogno, ne veniva travolto.
Tuttavia, le lacrime fecero il loro effetto sull'impiegato. —
Senta, giovanotto, non intendevo turbarla. Tutto quello che
posso dirle è che nessuna donna di età avanzata si trova tra le
persone arrestate ieri notte. E posso anche aggiungerle che
nessuno così vecchio si trova agli arresti presso qualunque al-
tro organismo ufficiale. Questo le è di qualche aiuto?
Flinx annuì lentamente. Gli era di aiuto, ma non nel modo
che aveva sperato. — Gra... grazie tante, signore.
— Un momento, giovanotto! Se mi dà il suo nome, forse potrò
mandarle un gendarme con... — L'immagine si spense quando
Flinx fece scattare l'interruttore. La sua carta di credito uscì
dalla fessura. Asciugandosi lentamente gli occhi, tornò a infi-
larla nella tasca interna della camicia. L'impiegato si sarebbe
dato la briga di rintracciare la chiamata? Flinx decise di no.
Per un istante l'impiegato aveva pensato che la chiamata gli
venisse da qualche ragazzo che voleva fargli uno scherzo. Ed
era probabile che adesso, dopo un attimo di riflessione, tor-
nasse a pensarlo.
Nessuno dell'età di Mamma Mastino risultava detenuto o ar-
restato per qualche motivo. Non alle Persone Scomparse, il che
era brutto, ma neppure all'Obitorio, il che era un bene perché
rinforzava le sue prime convinzioni: Mamma Mastino era stata
portata via da indivìdui sconosciuti i cui motivi rimanevano
misteriosi come la loro identità. Guardò fuori dalla finestrella
della cabina la foresta aliena che si vedeva in lontananza, in
cui pareva che lei e tutti i suoi catturatori fossero scomparsi, e
all'improvviso si sentì stremato di fatica. Nella cabina faceva
caldo come dentro un tostapane.
Il seggiolino lì dentro alla cabina era scomodo di proposito,
ma il pavimento era riscaldato e non troppo duro. Tanto per
cambiare, apprezzò le sue modeste dimensioni mentre si siste-
mava in una posizione quasi comoda sul pavimento. C'era poco
spazio per Pip in quell'angusta cabina, così il serpente volante,
sia pure con riluttanza, andò ad appollaiarsi sull'apparecchio
di comunicazione. Chiunque fosse entrato nella cabina avrebbe
avuto una brutta sorpresa.
Quando Flinx si risvegliò era mattino inoltrato. Era irrigidito
ma mentalmente riposato. Si alzò in piedi, si stiracchiò, poi
scostò la porta e uscì dalla cabina. A nord si stendevano le pri-
me file d'alberi di quella foresta dall'apparenza sterminata, che
andava dalle basse latitudini temperate di Falena fino al suo
polo artico. A sud c'era la città, ben più calda e familiare. Sa-
rebbe stato arduo voltarle le spalle.
Pip svolazzava sopra di lui; descrisse un lento cerchio a
mezz'aria, poi balzò in alto e si diresse verso nord-ovest. Il mi-
nidrago fu di ritorno nel giro di pochi minuti. Nella sua manie-
ra muta stava confermando le sensazioni della notte prima:
Mamma Mastino era passata di là. Flinx rifletté un attimo.
Forse i suoi catturatori, per confondere anche il più improbabi-
le inseguimento, l'avevano portata là fuori dentro la foresta,
per poi riportarla indietro in città dopo un percorso a cerchio.
Come avrebbe fatto a saperlo di sicuro? Il governo non po-
teva dargli più di quel poco aiuto... Bene, allora. Era sempre
stato in gamba a strappare informazioni agli estranei: pareva-
no fidarsi di lui d'istinto, poiché vedevano davanti a sé un gio-
vanetto dal fisico poco imponente e all'apparenza poco sveglio.
Qui avrebbe potuto indagare con la stessa facilità con cui l'a-
vrebbe fatto al mercato.
Lasciata la cabina e il complesso delle segherie, cominciò la
sua indagine interrogando gli occupanti delle case e degli uffici
più piccoli. Trovò deserta la maggior parte delle abitazioni,
poiché gli abitanti erano già andati da parecchie ore al lavoro,
ma officine e uffici si stavano animando man mano il flusso dei
traffici della città prendeva a circolare. Flinx interrogò gli ope-
rai e gli impiegati mentre entravano attraverso porte e cancel-
li, o mentre parcheggiavano i loro eventuali mezzi di trasporto,
e mentre scendevano dai veicoli pubblici.
Fuori dell'ingresso d'una piccola fabbrica che produceva in-
fissi di legno per cucine modulari, incontrò qualcuno che non
stava andando al lavoro, bensì lo stava lasciando. — Mi scusi,
signore — disse Flinx per quella che gli parve la centomillesima
volta, — per caso non ha visto un gruppo di persone passare at-
traverso questo quartiere la scorsa notte? Dovrebbero aver
avuto con loro una signora anziana dall'aspetto sconvolto, for-
se obbligata in qualche modo a seguirli contro la sua volontà.
— È strano che tu me ne parli — replicò l'uomo, inaspetta-
tamente. — Vedi, faccio il guardiano notturno alla Koyunlu,
laggiù. — Indicò il piccolo edificio che si stava riempiendo. —
Non ho visto nessuna vecchia, ma c'è stato un certo trambusto
stanotte sul tardi da quella parte. — Gli mostrò con un gesto la
strada che terminava a ridosso della prima fila d'alberi. — Ho
sentito un bel po' d'imprecazioni, grida, urla. Ho dato un'oc-
chiata col mio visore notturno (è il mio lavoro, sai) e ho visto
un branco d'individui scender giù da un trasporto cittadino
preso a nolo. Si stava trasferendo sopra una fangomobile. — Il
guardiano si stava mostrando assai comprensivo, nonché os-
servatore. — Non erano potenziali ladri o giovani teppisti, per-
ciò non li ho guardati a lungo. Non so se fossero le persone che
stai cercando.
Flinx rifletté un attimo, poi chiese: — Ha detto di aver sentito
imprecare. Saprebbe dirmi se almeno in parte le imprecazioni
erano lanciate da una donna?
L'uomo sorrise. — Vedo a cosa stai pensando, figliolo. No,
erano troppo lontani. Ma ti dico questo: qualcuno in quel bran-
co pareva imprecare come una dozzina di fognaioli.
Flinx riuscì a malapena a trattenere la sua eccitazione. —
Sono loro... è lei! Dev'essere lei!
— In effetti — continuò il guardiano, — è proprio questo che
mi è rimasto impresso. Non che non si veda mai gente che
cambia mezzo di trasporto durante la notte: capita di vederli
perfino qua fuori. Solo che è un brutto momento per andare a
infangarsi nella foresta, e quando lo si fa, di solito lo si fa in si-
lenzio. Non vedo la necessità di tutte quelle grida e quelle urla.
— Erano loro, non c'è dubbio — mormorò Flinx, deciso. — Era
lei che imprecava... oppure i suoi rapitori che imprecavano
contro di lei.
— Rapitori... — L'uomo parve notare per la prima volta la gio-
vane età di Flinx. — Senti, figliolo, forse farai meglio a venire
con me.
— No, non posso. — Flinx cominciò ad arretrare, sorridendo
come per chiedere scusa. — Devo inseguirli. Devo trovarla.
— Aspetta un secondo, figliolo — insisté il guardiano. — Faccio
una chiamata alla polizia. Possiamo usare il comunicatore del-
la compagnia. Immagino che tu voglia fare le cose cor-
rettamente, perciò...
— Non faranno niente — l'interruppe Flinx, incollerito. — Li
conosco. — E in modo molto intimo, avrebbe anche potuto ag-
giungere, poiché era stato arrestato più d'una volta per qual-
che furterello. Era probabile che anche in quel preciso momen-
to fosse sulla loro lista dei ricercati.
Per cui... l'avrebbero trattenuto impedendogli di seguire
Mamma Mastino.
— Aspetta, figliolo — insisté il guardiano. — In nessun caso
voglio trovarmi compromesso in qualcosa che... — Mentre par-
lava, allungò istintivamente una grossa mano. Qualcosa di az-
zurro, verde e rosso vivace sibilò minaccioso. Una testa trian-
golare sfrecciò verso la mano che aveva agguantato Flinx.
L'uomo si affrettò a ritrarla.
— Dannazione... è vivo!
— Molto vivo — confermò Flinx, continuando ad arretrare. —
Grazie per il suo aiuto, signore. — Si girò e si lanciò di corsa
verso la città.
— Ragazzo, un momento! — Il guardiano fissò la figura che si
allontanava. Poi scrollò le spalle. Era stanco. Era stata una
notte lunga e noiosa salvo per quel branco di gente rumorosa
che aveva visto, ed era ansioso di ritornarsene a casa e dormi-
re. Era sicuro come l'inferno di non doversi preoccupare delle
stranezze d'un ragazzino. Cacciando via dai suoi pensieri l'in-
tero incidente, si diresse verso la fermata dei trasporti della
compagnia.
Una volta sicuro di trovarsi fuori della visuale del guardiano,
Flinx si fermò un momento a riprendere fiato. Per lo meno sa-
peva quasi con certezza che Mamma Mastino era stata rapita e
portata fuori città. Perché fosse stata trascinata dentro la
grande foresta settentrionale non riusciva proprio a immagi-
narlo.
Oltre al dolore che gli covava sordo nella mente, un nuovo
tormento aveva cominciato a farsi sentire. Non aveva mangia-
to più niente sin dalla sera precedente. E non avrebbe certo po-
tuto addentrarsi nella selva sempreverde di Falena a stomaco
vuoto.
Preparati come si deve e poi procedi. Era quello che Mamma
Mastino gli aveva sempre insegnato. Andrò a casa, si disse.
Tornerò al negozio, al mercato. I rapitori si erano trasferiti su
una fangomobile. Un simile veicolo era fuori della portata fi-
nanziaria di Flinx, ma lui sapeva dove avrebbe potuto affittare
un uccello da corsa stupava che gli avrebbe dato flessibilità ol-
tre che velocità.
Le gambe gli facevano ancora male per la corsa in apparenza
interminabile attraverso la città il giorno prima, così usò un
mezzo di trasporto pubblico per tornare a casa. Il tempo era
più importante dei crediti. Il trasporto scelse uno dei viali prin-
cipali radiali e nel giro di pochi minuti lo scaricò nella zona del
mercato.
Dalla fermata al negozio c'era soltanto una breve corsa. Qua-
si si aspettava di trovare Mamma Mastino in piedi sull'in-
gresso di casa, intenta a scopare il porticato e pronta a sgridar-
lo per essere rimasto via così a lungo. Ma il negozio era silen-
zioso e l'area del soggiorno ancora sottosopra e abbandonata.
Nondimeno Flinx controllò ogni cosa con molta cura. C'erano
parecchi oggetti la cui posizione aveva memorizzato prima di
andarsene. Erano rimasti indisturbati.
Cominciò a raccogliere un mucchietto di cose da portare con
sé. Un rapido scambio di merci al mercato gli procurò un picco-
lo zaino con tutto il cibo concentrato che riuscì a cacciarci den-
tro. Malgrado la velocità della transazione, ricevette il valore
pieno per gli articoli prelevati dal campionario di Mamma Ma-
stino, che aveva barattato. Con Pip a cavalcioni sulla spalla,
ben pochi avrebbero mai avuto il coraggio d'imbrogliarlo.
Quando qualche sconsiderato ci provava, la reazione del mini-
drago metteva subito in guardia il suo padrone e Flinx, sempli-
cemente, andava altrove a concludere il suo baratto.
Flinx scambiò i suoi stivali da città con un modello meno vi-
stoso ma più resistente e adatto per la foresta. Il suo incerato
sarebbe andato bene fra gli alberi della foresta come fra i grat-
tacieli della città. La vendita diretta di parecchi oggetti incre-
mentò confortevolmente la sua carta di credito. Infine tornò al
negozio per dare un'ultima occhiata intorno. Era vuoto... così
vuoto senza di lei. Si accertò che le saracinesche fossero chiu-
se, poi fece lo stesso con la porta d'ingresso. Prima di allonta-
narsi definitivamente, si fermò a un negozio in fondo alla stra-
da.
— Sei uscito di senno, Flinx-ragazzo — gli disse Arrapkha
dall'ingresso del suo negozio, scuotendo la testa addolorato. Il
negozio odorava di legno, segatura e vernice. — Sai com'è la fo-
resta? Si stende da qui fino al polo Nord: sono tremila, quat-
tromila chilometri, quanti ne può volare un tarpac, e non c'è
una sola città decente là in mezzo.
«C'è un fango così profondo che potrebbe inghiottire tutta
Drallar, per non parlare delle creature carnivore e di quelle ve-
lenose. Nessuno si addentra nella foresta settentrionale salvo
gli esploratori e i mandriani, i cacciatori e gli sportivi (quei
pazzi venuti da altri mondi, ai quali piace quella specie di terra
di giammai), non gente normale come te e me.
— Non è gente normale quella che ha portato via mia madre
— rispose Flinx.
Dal momento che non riusciva a scoraggiare il giovane, Ar-
rapkha cercò di dar poco peso alla situazione. — Peggio per
quelli che l'hanno fatto. Non credo che sappiano in che razza di
situazione si sono cacciati.
Flinx ebbe un sorriso educato. — Grazie, Arrapkha. Se non
fosse stato per il tuo aiuto neppure avrei saputo da dove co-
minciare.
— Vorrei quasi non averti detto niente ieri sera — borbottò
malinconico l'uomo. — Insomma, buona fortuna, Flinx-ragazzo.
Ti ricorderò.
— Mi rivedrai, puoi esserne certo — gli garantì Flinx con più
fiducia di quanta in realtà ne provasse. — Ci rivedrai tutti e
due.
— Lo spero. Senza la tua Mamma Mastino il mercato sarà un
luogo ben noioso.
— Sì, molto noioso e vuoto — convenne Flinx. — Devo seguirla,
amico Arrapkha. Davvero, non ho altra scelta.
— Se insisti... Vai, allora.
Flinx gratificò l'artigiano del legno d'un ultimo sorriso, poi si
girò di scatto e si diresse con passo veloce lungo l'arteria prin-
cipale. Arrapkha lo seguì con lo sguardo fino a quando il giova-
ne non fu inghiottito dalla folla, poi si ritirò nel suo negozio.
Doveva occuparsi di alcuni affari e quella, dopotutto, era la
prima regola di vita del mercato.
Flinx non dovette andare lontano prima che gli odori del
mercato venissero sostituiti dai sentori intensi e muschiosi nei
nativi e popolari animali da trasporto. Di solito erano più lenti
e meno efficienti dei trasporti meccanizzati, ma avevano altri
vantaggi: non potevano venir rintracciati grazie alle loro emis-
sioni ed erano più economici da affittare e da usare.
In una stalla autorizzata, Flinx scelse uno stupava dall'aria
sana. L'alto uccello da corsa si nutriva di foraggio e poteva vi-
vere dei frutti del suolo. Era alto due metri e mezzo alla cresta
d'un vivace arancione e assomigliava molto ai suoi cugini assai
più intelligenti, gli ornitoidi, i quali comunque non facevano
obiezione all'uso dei loro ottusi parenti come bestie da soma,
Flinx discusse per un po' con il direttore della stalla, concor-
dando alla fine un prezzo giusto. La donna portò fuori l'uccello
dal suo box e lo sellò per Flinx. — Non avrai intenzione di fare
qualcosa di strano con questo uccello, vero?
— Sto giusto partendo per una piccola vacanza — le rispose
Flinx in tono spensierato. — Ho finito gli studi quest'anno e mi
posso concedere un po' di tempo libero.
— Bene. Geryule ti porterà dovunque tu voglia andare. È un
uccello bello e robusto. — Accarezzò le penne del robusto pen-
nuto.
— Lo so. — Flinx mise il piede destro sulla prima staffa, il si-
nistro sulla seconda, e lanciò il proprio corpo a cavalcioni della
sella. — Lo vedo dalle sue zampe.
La donna annuì, con i nervi più distesi. Era evidente che quel
giovane cliente sapeva ciò che stava facendo. Gli porse le redi-
ni.
— Bene, allora. Fatti un piacevole viaggio.
Flinx aveva cavalcato altre volte uccelli come quello, ma sol-
tanto all'interno dei confini della città e mai per periodi troppo
prolungati. Fece schioccare le redini poi lanciò all'uccello un fi-
schio deciso. L'animale rispose con un grido e partì, le sue lun-
ghe zampe si muovevano con agilità. Guidandolo con lievi
strappi alle redini e fischi acuti, Flinx ben presto si trovò a
correre a discreta velocità lungo il primo viale radiale, costrin-
gendo i pedoni irritati a balzare da parte ed evitando i più velo-
ci veicoli pubblici. Lo stupava pareva non provare nessun tur-
bamento per la presenza di Pip, un buon segno. Non sarebbe
stato bene inoltrarsi nella foresta in sella a una cavalcatura fa-
cile a spaventarsi.
Flinx scoprì di aver percorso in un tempo piacevolmente
breve l'identico tratto della sua maratona della sera prima.
Una segheria schizzò via alla sua sinistra, la cabina di comuni-
cazione che gli aveva dato rifugio era da qualche parte dietro
di essa. Poi, davanti a lui si profilò soltanto la foresta. Gli alberi
maggiori, alti cento metri e più, s'innalzavano sopra alberi più
piccoli e cespugli sparsi. Oltre il punto in cui spariva il selciato
c'era soltanto un sentiero fangoso. Allo stupava questo non
creava nessun problema, i suoi piedi larghi e piatti, in parte
palmati, li avrebbero trasportati con facilità sopra acquitrini e
pantani.
— Ehilà! — gridò Flinx con voce gentile all'uccello, facendo
seguire all'ordine un fischio acuto. Lo stupava gracchiò una
volta, sollevò di scatto la testa sotto l'azione delle briglie, e si
lanciò in mezzo alla foresta. Il regolare flap flap sotto i suoi
piedi lasciò il posto a una serie di tonfi, interrotti da suoni più
intensi e profondi quando attraversava una pozza più profon-
da. Talvolta calpestavano uno spesso strato di muschio o di
funghi, e allora non si udiva nessun rumore. In pochissimo
tempo gli immensi alberi formarono un compatto muro di cor-
teccia e di verde dietro le spalle di Flinx, e la città che era la
sua casa fu, per la prima volta, completamente fuori dalla sua
vista.

VII

Joppe il ladro si convinse di aver trovato un paio di fleurm.


L'uomo e la donna che stava assiduamente tallonando erano
sui trentacinque anni. I loro indumenti erano casuali, sciatti,
talmente casuali e sciatti che qualcuno non informato avrebbe
anche potuto non riuscire a identificarli come ultramondani.
La loro presenza in quella parte del mercato di Drallar a notte
inoltrata dimostrava una, fra due cose possibili, a Joppe: o
avevano una grossa dose di fiducia nella loro capacità di passa-
re inosservati, oppure erano semplicemente ignoranti. Joppe
pensò che stessero cercando un po' di emozioni a buon merca-
to.
Il che andava bene a Joppe. Sarebbe stato felice di fornir-
gliela, di fornirgli qualcosa di davvero memorabile, da raccon-
tare ai vicini di casa una volta ritornati in patria su qualche
mondo più molle, come la Terra o New Riviera. Non parevano
del tipo che avrebbe fatto tante storie. E se lo fossero stati,
avrebbero avuto qualcosa di più d'un incontro interessante di
cui parlare.
Joppe aveva fame. Non aveva fatto un colpo da più d'una set-
timana. Fissava quella coppia che stava passeggiando e chiac-
chierando, con l'occhio avido d'un contadino che stesse esami-
nando un paio dei suoi animali da macello di prima scelta.
Poiché era ancora relativamente presto, non tutte le luci
erano state spente in quella parte del mercato, ma un discreto
numero di negozi aveva chiuso le saracinesche, dando così a
Joppe un po' di speranza. La natura del suo lavoro richiedeva
riservatezza, non faceva mai le cose in fretta. Joppe aveva un
ottimo istinto per il suo lavoro: doveva mettere sui piatti della
bilancia l'attesa che altri negozianti si ritirassero per la notte
contro la possibilità che la coppia si rendesse conto dell'impru-
denza che stava compiendo e decidesse di tornar subito verso
le sezioni più illuminate del mercato.
La coppia non pareva incline a farlo. Le speranze di Joppe
continuavano a crescere. Potevano sentire con chiarezza che
stavano parlando di qualcosa che avevano visto quel giorno. La
mano di Joppe si strinse intorno al calcio del piccolo lancia-
aghi che aveva in tasca, e accelerò il passo, diminuendo la di-
stanza fra lui e le sue prede.
Ormai la coppia aveva raggiunto la fine del vicolo cieco e si
era fermata davanti all'ultimo negozio, che era buio e aveva le
imposte abbassate. I due parevano immersi in un'accesa di-
scussione. Poi l'uomo si chinò verso la porta del negozio e tirò
fuori parecchi oggetti dalle sue tasche. Cominciò a maneggiare
qualcosa che Joppe non poteva vedere.
Il ladro rallentò il passo. Il lancia-aghi era uscito soltanto per
metà dalla sua tasca-fondina. Joppe fissò la scena sconcertato.
Cosa stavano combinando quei due? Si avvicinò un po' di più,
sempre tenendosi nascosto fra le ombre: era abbastanza vicino
da vedere che la porta era chiusa da una serratura a palmo la
quale richiedeva l'impronta di tutte le cinque dita del proprie-
tario del negozio, e nella giusta seguenza, per aprirsi. Il piccolo
disco nero che il turista aveva fissato sulla serratura a palmo
era un congegno molto costoso e sofisticato che serviva appun-
to a decodificare ed aprire serrature di quel tipo. Le dita
dell'uomo vagarono sopra i tasti, quindi esaminò i dati apparsi
sul minuscolo schermo nel modo di qualcuno che non soltanto
sapeva esattamente ciò che stava facendo, ma l'aveva fatto di
frequente.
Mentre l'uomo lavorava alla porta, la sua compagna era ri-
masta a guardarlo, le mani sui fianchi, ovviamente concentra-
ta su ciò che lui stava facendo. D'un tratto distolse lo sguardo
da suo marito e Joppe si trovò a fissarla negli occhi.
La risatina da matrona che aveva esibito per tutta la sera era
d'un tratto scomparsa dalla sua voce. D'improvviso, niente in
lei sembrava più molle. L'inaspettata trasformazione, ottenuta
semplicemente cambiando atteggiamento e tono di voce, fu
sconvolgente. — Mi spiace che abbiamo dovuto sprecare la tua
serata, amico, ma ci serviva una schermatura efficace per te-
nere lontano il resto della marmaglia. Grazie dell'aiuto. Ades-
so, fai dietro-front, chiamala una cattiva giornata, e cerca al-
trove. Adesso non abbiamo il tempo di occuparci di te. Oh, e la-
scia quella pistola dove non faccia male né a te né a chiunque
altro, d'accordo? — Gli rivolse un radioso sorriso.
Troppo sorpreso per reagire, Joppe restò immobile, strin-
gendo ancora nella mano il lancia-aghi. Poteva colpirla, pensò
per un attimo. Tuttavia c'era qualcosa nella sua positura che lo
trattenne. Era chiaramente sottinteso, come l'intenzione di
usarla. Il suo compagno aveva fatto una sosta e si teneva ran-
nicchiato davanti alla porta in atteggiamento di attesa.
Tutto era tremendamente sbagliato, pensò Joppe. Non era un
individuo dotato di particolare immaginazione, ma era un os-
servatore attento, ed era bravo a mettere assieme le cose.
Lì c'era una coppia d'un altro mondo, vestita per una serata
da passar fuori, che lavorava con calma a un decodificatore di
serrature sulla porta d'un negozio poco attraente situato in
fondo a una strada laterale, in una notte buia e umida. Questo,
e il modo in cui la donna gli aveva parlato, non quadravano.
Joppe lasciò andare il calcio del lancia-aghi e tolse la mano di
tasca. Allargò lentamente le dita cosicché potessero vedere che
non stringeva niente. Annuì una volta, rivolse alla donna un
fugace, agro sorriso, e arretrò. Lei gli restituì il sorriso. Joppe
continuò a camminare a ritroso fino a quando le ombre non Io
avvilupparono di nuovo e si trovò dietro un muro di solide pie-
tre che gli faceva da copertura. Inspirò a fondo, poi esalò un
lungo sospiro. Il polso gli batteva tumultuoso. Incapace di do-
minare la sua curiosità, si voltò e sbirciò da dietro l'orlo del
muro. La donna non si era mossa e stava ancora guardando
nella sua direzione. L'uomo si era rimesso al lavoro.
Joppe si sentiva un pesce fuor d'acqua, una consapevolezza
fin troppo acuta. Rinunciò a sbirciare ancora e corse via verso
la strada principale, deluso a causa della sua sfortuna e ancora
pieno dell'ansia di portare a conclusione un colpo fruttuoso. In
quanto agli scopi di quella strana coppia, non ci pensò più nep-
pure una volta. Gente come quella operava molto al di sopra
del suo livello e degli altri come lui... Meglio dimenticare quei
due.
— Ha buon senso quel tipo — disse la donna soprappensiero.
Distolse la sua attenzione dalla strada lontana, riportandola
sul lavoro del compagno. — Temevo che potesse darci fastidio.
— Meglio che non l'abbia fatto — convenne l'uomo. — Non ab-
biamo bisogno di perdere tempo con sciocchezze del genere.
Non adesso. — La punta delle sue dita danzò leggera sui tasti
incassati nel disco nero.
— Ne vieni... — fece la donna, sbirciando da sopra la sua spal-
la.
— Come ti sembra che stia venendo?
— Quanto sei spiritoso — ribatté lei, con calma.
— È una ventisei aggiornata — l'informò l'uomo. — Davvero
non pensavo che qualcuno in questi bassifondi si desse la pena
di aggiornare qualcosa del genere, per non parlare del costo.
Certo che a qualcuno piace parecchio la propria intimità.
— A te no?
— Sempre più spiritoso. — D'un tratto il disco emise un lieve
«bip» e i numeri sul minuscolo schermo si bloccarono. — È fatta.
— Il tono dell'uomo era pratico e rilassato. Non c'era piacere nel
suo annuncio, soltanto una gelida soddisfazione professionale.
Toccò dei pulsanti disposti a intervalli regolari intorno al disco
nero. Questo emise altri due «bip». I numeri illuminati scom-
parvero dal piccolo schermo. L'uomo staccò il disco e tornò a
infilarlo nella giacca. C'erano parecchie tasche dentro la sua
giacca, tutte piene d'un genere di cose che avrebbero fatto riz-
zare i capelli a qualunque capo della polizia. L'uomo appoggiò
una mano alla porta e la spinse. La porta si scostò senza diffi-
coltà. Dopo un'ultima, superficiale occhiata allo stretto vicolo, i
due entrarono.
La sezione centrale della fibbia decorata che l'uomo portava
alla cintura si animò d'un tratto, proiettando un raggio di luce
sottile ma intensissimo. Un istante più tardi un analogo raggio
sprizzò dalla spilla della sua compagna. Si aggirarono all'inter-
no del negozio, osservando la merce esposta e storcendo di
tanto in tanto il naso davanti agli articoli ed ai prezzi esa-
gerati. L'ispezione li condusse a una porta più interna e a un'al-
tra serratura dal meccanismo assai più semplice.
Si fermarono entrambi appena oltre la seconda porta e fe-
cero passare i loro sguardi attraverso il soggiorno. — Qualcuno
si è difeso come un demonio, qui — commentò l'uomo con voce
sommessa.
— Il ragazzo... o la sua madre adottiva, pensi? — La donna si
fece avanti, chinandosi a esaminare un tavolo rovesciato e il
piccolo vaso d'argento ruzzolato giù da esso. Il vaso era vuoto.
La donna lo ricollocò con grande attenzione nel punto in cui
era caduto.
— Forse tutti e due. — Il suo compagno stava già ispezionando
la più grande delle due stanze da letto. Setacciarono me-
todicamente l'area: cucina, stanze da letto, perfino gli impianti
igienici.
Quand'ebbero finito (e non impiegarono molto) e quand'ebbe-
ro prelevato campioni d'aria e di polvere e infilato minuscoli
frammenti di detriti che speravano significativi all'interno di
minuscole fiale, l'uomo chiese alla sua compagna: — Cosa pen-
si? Che dobbiamo aspettarli qui?
La donna scosse la testa dando un'occhiata all'area cucina-
pranzo. — È ovvio che sono stati portati via con la forza... e tu
sai cosa suggerisce questo.
— Certo. È venuto in mente anche a me. Non può essere altro.
Però non abbiamo la garanzia.
La donna uscì in una breve risata: — Già, non c'è garanzia.
Ma tu cosa ne pensi?
— Lo stesso che pensi tu. Stavo soltanto dicendo che non do-
vremmo saltar subito alle conclusioni.
— Lo so, lo so. Non è strano, comunque, che manchino tutti e
due? Questo lascia certamente capire qualcosa di diverso da
un comune furto con scasso.
— Ho detto che ero d'accordo. — Il tono dell'uomo vibrava
d'una punta di collera. — E adesso?
— Il negoziante all'inizio della strada che ci ha visti entrare...
— disse la donna. L'uomo annuì il suo consenso.
Ripercorsero i propri passi senza spostare niente, salvo l'aria
e la polvere. La serratura a palmo tornò a chiudersi con uno
scatto dietro di loro quando uscirono fuori in strada, can-
cellando così ogni traccia di manomissione. La coppia riper-
corse la stradina fino a quando non si trovò davanti alla porta
d'ingresso di un altro negozio. Schiacciarono il campanello più
e più volte. Non ricevendo risposta l'uomo si chinò sul piccolo
microfono situato sopra il campanello. — È stata una dura
giornata per noi, signore, e siamo stanchi tutti e due. Non in-
tendiamo farle del male, ma siamo autorizzati a prendere qua-
lunque misura necessaria per adempiere alla nostra missione.
Queste misure comprendono l'ingresso forzato da parte nostra
se lei non ci farà entrare.
«L'abbiamo vista che ci stava guardando quando siamo en-
trati. Le assicuro che possiamo entrare da lei con la stessa faci-
lità. Può anche interessarle sapere che abbiamo un monitor
automatico puntato sul vicolo dietro il suo negozio. Se ha un'u-
scita a scivolo nella parete posteriore, non le servirà a niente.
Allora, perché non accondiscende subito e di sua spontanea vo-
lontà a venir fuori?» Sorrise, nel caso in cui il negoziante aves-
se un visore nascosto puntato su di lui. — Se preferisce, pos-
siamo discorrere qui in strada, davanti agli occhi dei suoi vici-
ni.
Aspettarono un congnio periodo di tempo. La donna guardò il
suo compagno, scrollò le spalle e tirò fuori un piccolo oggetto a
forma di ditale dalla tasca interna della giacca. La porta si aprì
subito. L'uomo annuì, poi sorrise. La donna mise via l'oggetto a
forma di ditale e arretrò.
Arrapkha uscì in strada chiudendo la porta dietro di sé e fis-
sò esitante prima l'uno e poi l'altro dei suoi visitatori. — Cosa
posso fare per voi, signora e signore, stanotte? La vostra in-
sistenza ha destato il mio interesse malgrado il mio negozio sia
chiuso da più di...
— Lascia perdere l'ironia — l'interruppe l'uomo in tono sfer-
zante. — Sappiamo che ci stavi osservando. Sai benissimo che
non siamo qui per acquistare... — lanciò un'occhiata all'insegna
sopra la porta, — ... lavori in legno. Oppure neghi di averci os-
servati?
— Be', no — commentò Arrapkha. — Ma io...
— E non hai chiamato la polizia — continuò l'uomo con calma.
— Perché di solito la polizia fa domande alle quali preferisci
non rispondere, giusto?
— Signore, le assicuro che...
— Stiamo cercando la vecchia e il ragazzo che vivono in quel
negozio. — L'uomo gettò una rapida occhiata alla casa di
Mamma Mastino. — Non sapresti dirci, per caso, dove sono?
Arrapkha scosse la testa con un'espressione vacua. — No, si-
gnore, non saprei.
— All'interno ci sono segni di lotta. E questa è una piccola
strada. Non hai sentito niente, visto niente?
— Una lotta? Santo cielo — mormorò Arrapkha, mostrandosi
angustiato. — Ma... sapete, questa strada anche se è molto pic-
cola può essere anche molto rumorosa, perfino di notte. Noi
non prestiamo molta attenzione a ciò che accade.
— Ci scommetto — borbottò la donna. — Proprio come non hai
prestato attenzione a tutto il rumore che noi abbiamo fatto per
entrare nel negozio della tua vicina?
Arrapkha la gratificò d'un pallido sorriso.
— Non abbiamo tempo per questi giochetti — proruppe l'uo-
mo, con fare impaziente, infilando la mano nella tasca dei cal-
zoni.
— Per favore, signore e signora. — Un'espressione di au-
tentica preoccupazione si dipinse sul volto di Arrapkha. —
Avete detto che non avreste fatto niente...
— E non lo faremo, infatti. — La mano dell'uomo si arrestò un
attimo quando vide l'occhiata nervosa del negoziante. — Anche
se dovremmo, è probabile che non lo faremo. — Tirò fuori len-
tamente la mano, stringendo fra le dita un portadocumenti.
Arrapkha esalò un sospiro di sollievo e scrutò il documento
esibito, sgranando gli occhi.
Il visitatore rimise in tasca la piccola custodia. — Allora,
dunque — disse, in tono meno aspro, — ti ripeto ancora una vol-
ta che non abbiamo intenzione di farti del male, né abbiamo in-
tenzione di far del male alla vecchia o al ragazzo. Se sono stati
vittime di qualche violenza, come sembra probabile, abbiamo
bisogno di sapere tutto quello che tu sai, cosicché, se sono an-
cora vivi, ci sia possibile aiutarli. Malgrado ciò che puoi pen-
sare di noi personalmente, e di ciò che rappresentiamo, devi
renderti conto che se sono andati incontro a qualche sventura
staranno molto meglio se saremo noi a curarci di loro piuttosto
che restare in balia di chiunque li abbia rapiti. Questo certa-
mente lo capisci.
— Inoltre — aggiunse la sua compagna, in tono pratico, — se
non ci dirai tutto quello che sai, ti condurremo in un posto nel
centro della città dove verrai legato a una macchina e finirai
comunque per dirci tutto ciò che vogliamo. Non ti farà male,
ma ci farà perdere del tempo prezioso. E a noi non piace perde-
re tempo. — La donna lo fissò negli occhi. — Capito?
Arrapkha annuì lentamente.
— La vecchia che cercate è Mamma Mastino? — L'uomo an-
nuì, incoraggiante. — Credo di aver visto parecchie figure che
la portavano via. Non saprei neppure dirvi se erano umane o
aliene. Era buio e nebbioso.
— Non è sempre così in questo posto? — bofonchiò l'uomo. —
Continua.
— È tutto quello che so. Tutto quello che ho visto. — Arrapkha
scrollò le spalle. — Davvero. — Indicò in fondo alla strada lo
spazio che separava il negozio di Mamma Mastino da quello
adiacente. — Attraverso quel varco ho visto delle forme che
lottavano nel vicolo. La cosa ancora adesso mi sconcerta... È
una donna molto vecchia e del tutto innocua.
— Quanto tempo fa è successo? — gli chiese l'uomo. Arrapkha
glielo disse. — E il ragazzo? Cos'è accaduto al ragazzo?
— È tornato a casa quella stessa notte. Spesso rimane fuori,
da solo, fino a molto tardi. Per lo meno, l'ha fatto da quando lo
conosco, il che rappresenta la maggior parte della sua vita.
— Lunghe passeggiate solitarie per la città? Alla sua età? —
chiese la donna. Arrapkha cercò di non mostrare la sua sor-
presa a quell'osservazione in apparenza casuale della donna.
Quella gente sapeva molto, malgrado la grandissima distanza
da cui venivano.
— Non è certo il tipo medio dei nostri ragazzi — li informò Ar-
rapkha, non vedendo niente di male a dir questo. — Qui, è cre-
sciuto in gran parte da solo. — Indicò le luci più intense e il fra-
stuono che proveniva dalla strada principale. — Se glielo la-
sciate fare, Drallar vi fa maturare molto in fretta.
— Ne sono sicuro. — L'uomo annuì. — Cosa stavi dicendo del
ragazzo?
— Quella notte è tornato a casa, ha visto quanto era successo
e ne è rimasto sconvolto. È un tipo emotivo, anche se si sforza
di non farlo vedere, credo. Mamma Mastino è tutto quello che
ha.
La coppia non diede ancora nessuna risposta, mantenendo
un irritante silenzio. Allora Arrapkha proseguì: — Ha giurato
di ritrovarla. Ma non credo che abbia molte possibilità.
— Allora è andato a cercarla? — chiese la donna con impa-
zienza. — Quanto tempo fa?
Arrapkha lo precisò. La donna borbottò qualcosa in una lin-
gua che Arrapkha non riconobbe, poi aggiunse nella più fa-
miliare lingua franca del Commonwealth: — Solo un paio di
giorni. L'abbiamo mancato soltanto per un paio di schifosi
giorni.
— È accaduto altre volte — le ricordò l'uomo, in apparenza
imperturbato. Riportò la sua attenzione su Arrapkha: — Da che
parte intendeva andare, il ragazzo?
— Non ne ho idea — dichiarò il negoziante.
— Sai — replicò l'uomo in tono soave, — credo proprio che do-
vremmo farlo tutti insieme quel salto al centro... con la visitina
alla macchina.
— Per favore, signore, vi sto davvero dicendo tutto. Fino a
questo momento avete creduto alle mie parole. Dovrebbe forse
esser diverso, adesso, soltanto perché i fatti non vi fanno più
piacere? Non è colpa mia. Quale ragione dovrei avere per men-
tirvi tutto d'un tratto?
— Non lo so — disse l'uomo con voce meno ostile. — Quale ra-
gione avresti?
— Nessuna. — Arrapkha sentì che anche la poca lucidità men-
tale che gli restava lo stava abbandonando. — Per favore. Io
non capisco cosa stia succedendo qui. Per me è tutto molto
sconcertante. Cos'è tutto questo improvviso interesse per quel-
la povera vecchia Mamma Mastino e il suo Flinx-ragazzo?
— Finiremmo per sconcertarti ancora di più dicendotelo, non
è vero? — Disse l'uomo. — Così, non hai nessuna idea di come il
ragazzo intendesse iniziare la sua ricerca?
— Nessuna, perché è tutto quello che mi ha detto — confessò
Arrapkha. — Ha detto soltanto che era deciso a trovarla. Poi se
n'è andato.
— Bene, è magnifico. Davvero magnifico — dichiarò l'uomo,
sarcastico. — Tutto questo lavoro, tutta questa ricerca, ed era-
vamo riusciti a concentrarla su una città di modeste dimen-
sioni. Adesso dobbiamo ricominciare tutto da capo, con un in-
tero, dannato pianeta da battere.
— Non è poi tanto male — si sforzò di calmarlo la donna. — La
popolazione indigena è scarsa fuori dalla città.
— Non è questo che mi preoccupa. — L'uomo parve oppresso
da una grande stanchezza. — Sono i nostri attivi concorrenti,
piuttosto.
— Sì, credo proprio che c'imbatteremo ben presto anche in lo-
ro — annuì la donna. Poi indicò Arrapkha come se neppure fos-
se presente: — Abbiamo appreso tutto quello che potevamo da
costui.
— Sì. C'è ancora una cosa, comunque. — Si girò verso Ar-
rapkha e gli porse una scatoletta metallica azzurra. Un unico
pulsante sporgeva da una superficie per ogni altro verso liscia
e vetrosa. — Questo è un trasmettitore ermetico a raggio, ad al-
ta intensità e bassa potenza — spiegò al negoziante. — Se la
donna o il ragazzo dovessero tornare qui, tutto quello che devi
fare è schiacciare una sola volta questo pulsante. Questo chia-
merà degli aiuti, sia per loro che per te. Hai capito?
— Sì — annuì Arrapkha lentamente. Accettò la scatoletta me-
tallica, poi la studiò, rigirandola tra le dita.
— C'è una ricompensa, una considerevole ricompensa — ag-
giunse la donna, — per chiunque ci aiuti a condurre quest'in-
tera faccenda a un rapido successo. — Scrutò al di sopra della
spalla di Arrapkha il piccolo negozio-laboratorio. — Non so che
genere di vita tu conduca qui, ma non può essere un granché.
Questo non è certo il quartiere degli affitti vertiginosi. La ri-
compensa ammonta a più, a molto di più di quanto tu possa in-
cassare in un intero anno.
— Sembra bello — sillabò Arrapkha. — Sarebbe bello far dav-
vero un sacco di soldi.
— Bene, allora — riprese l'uomo. — Ricorda che la gente che si
farà viva qui, in risposta ad un segnale di quel cubo, non com-
prenderà necessariamente quei due, ma si tratterà comunque
d'individui che sono perfettamente informati della nostra mis-
sione. Noi li seguiremo con la maggior rapidità possibile. Ades-
so sei certo di aver ben capito tutto questo?
— Ho capito.
— Bene. — L'uomo non si offri di stringere la mano ad Ar-
rapkha. — Il tuo aiuto è molto apprezzato. E mi spiace se ti ab-
biamo turbato.
Arrapkha scrollò le spalle. — La vita è piena di piccoli tur-
bamenti.
— Infatti — convenne l'uomo. Si rivolse alla sua compagna. —
Andiamo. — Partirono di corsa verso il viale principale, la-
sciando Arrapkha immobile davanti al suo negozio.
Dopo parecchie ore, Arrapkha mise via i suoi strumenti per
lavorare il legno, si pulì e si preparò a ritirarsi per la notte. Il
piccolo cubo metallico era appoggiato sul comodino accanto al
suo letto. Arrapkha lo studiò per un momento. Poi lo raccolse
ed entrò nel bagno. Senza la più piccola esitazione lo lasciò ca-
dere nell'unità distruggi-rifiuti e fece scattare il comando che
attivava la distruzione. Si chiese quale effetto avrebbe avuto
sul cubo, se gli avrebbe fatto emettere qualche tipo di segnale,
e se quelli all'estremità ricevente del segnale l'avrebbero inter-
pretato correttamente.
Sentendosi molto meglio, s'infilò nel letto e si addormentò.

VIII

La foresta era un'inesauribile miniera di rivelazioni per


Flinx, che era sempre vissuto nell'ambiente cittadino. Le prime
notti furono dure. Il silenzio l'aveva colpito con forza inaspet-
tata, e aveva scoperto che dormire non era facile. Pip passò
quelle notti riposando irrequieto, avvertendo lo sconforto del
suo padrone. Soltanto lo stupava, con la testa che dondolava
ritmicamente, era soddisfatto.
Alla quarta notte, Flinx si addormentò profondamente, e alla
quinta finì per godere di quel silenzio. Sono stato tratto in in-
ganno dalle circostanze e dal destino, pensò. Questo è assai
meglio della vita di città. Era vero che sentiva la mancanza dei
colori, dell'eccitazione, del paesaggio continuamente mutevole
costituito dagli esseri d'una dozzina di mondi che sfilavano at-
traverso il mercato o i quartieri più ricchi, il caleidoscopio de-
gli odori dei cibi e i richiami e le voci dei più svariati e anche
sinistri mercanteggiamenti che venivano dovunque consuma-
ti. Né la foresta gli offriva qualche occasione di esercitare le
sue capacità, non c'era niente da rubare. I boschi donavano li-
beramente le loro ricchezze. In qualche modo era tutto troppo
facile.
Si era quasi del tutto rilassato quando lo squook lo colse di
sorpresa. Schizzò fuori dal suo buco nel terreno, facendo sob-
balzare lo stupava e quasi disarcionando Flinx. Lo squook era,
come il suo vicino parente, il canish, un carnivoro iperattivo
del sottosuolo. Era di discrete dimensioni, con artigli lunghi
quanto le dita di Flinx. Il corpo magro striato di bruno e di nero
era strutturato per rimanere appiattito al suolo. Passava la
maggior parte della sua vita nelle tane del sottosuolo, caccian-
do altri scavatori erbivori, ma di tanto in tanto erompeva dal
suo buco nel tentativo di afferrare e trascinar giù qualche pre-
da più grossa.
Era chiaro che la creatura aveva scambiato i passi relativa-
mente leggeri dello stupava per quelli d'un animale assai più
piccolo. L'uccello gracchiò e diede violenti strattoni alle redini
mentre Flinx lottava per riprendere il controllo. All'ondata di
allarme del suo padrone, Pip era balzato prontamente in volo e
adesso si librava minaccioso sopra l'aggressore.
Lo squook lanciò al minidrago un ringhio impressionante, ma
poté soltanto fissare furioso quella nemesi volante. Malgrado
l'uccello da sella avesse chiaramente paura dello squook, que-
sti provava a sua volta un salutare rispetto per le zampe lun-
ghe e i poderosi muscoli dell'uccello. Tuttavia, se soltanto fosse
riuscito a piantare i denti intorno a una di quelle zampe,
avrebbe potuto far crollare al suolo il suo pasto più sostanzio-
so.
Ma non si sentiva così sicuro nei confronti dell'umano ap-
pollaiato sulla schiena del grande uccello. Malgrado non fosse-
ro comuni in quelle zone, gli umani non erano sconosciuti agli
abitatori della grande foresta. Uno squook, poteva, sì, uccidere
un umano, ma era vero anche il contrario. E poi c'era quella
creatura svolazzante, così strana e del tutto ignota, che sfrec-
ciava nell'aria sopra di lui. Questo faceva sì che gli avversari
fossero tre, uno alieno e imprevedibile ma anche gli altri due
potenzialmente pericolosi. Lasciando partire un ultimo ringhio
di delusione, lo squook tornò a infilarsi dentro la sua tana e si
mise a ostruirne l'ingresso, lasciando sporgere soltanto il suo
muso, con un lungo abbaiare ammonitore.
Flinx riuscì finalmente a riprendere il controllo dello stupa-
va e lo sollecitò ad avanzare. Le grida rabbiose dello squook si
attenuarono lentamente dietro di loro.
Non c'era stato nessun vero pericolo, pensò. D'altro canto, se
fosse caduto di sella... Ricordò con chiarezza il lungo muso irto
di denti del carnivoro e fissò la foresta con ben maggiore ri-
spetto.
Nient'altro emerse a minacciarli. Non incontrarono niente di
più grosso dei molti roditori volanti che abitavano quella parte
della foresta. Pip si divertì a descrivere cerchi guizzanti intor-
no ad essi, giacché quegli animaletti più che volare planavano.
Non potevano fare nient'altro se non squittire rabbiosamente
contro quell'intruso che effettuava tante ardite manovre aeree
in mezzo a loro. Quelli che schiamazzavano e si lamentavano
con più chiasso furono scelti dal serpente volante per il suo
pranzo.
— Basta, Pip — gridò Flinx, qualche giorno dopo, al serpente
vagabondo. — Lasciali stare e scendi qui. — Reagendo all'ur-
genza che percepì nella mente del suo padrone, Pip smise di
tormentare gli strillatori volanti e scese giù in picchiata per
avvolgersi con delicatezza intorno al collo del ragazzo.
La locanda alla quale si stavano avvicinando era una delle
cento e più che formavano una rete irregolare nelle parti meno
abitate di quell'immensa foresta. Quei rustici locali fornivano
una casa temporanea ai mercanti di legname e ai tagliaboschi,
ai pescatori e ai cacciatori, ai prospettori minerari e ad altri
nomadi d'ogni tipo. C'erano in realtà più locande e padiglioni, lì
nella foresta, di quanti un osservatore casuale avrebbe potuto
aspettarsi di trovare, perché anche i nomadi erano più nume-
rosi di quanto in verità appariva. Questi, amavano molto quella
sterminata foresta. Gli alberi nascondevano molta gente e una
quantità ugualmente grande di peccati.
Flinx impastoiò lo stupava nel recinto degli animali, accanto
a un paio di muccax. La porta della locanda percepì la sua pre-
senza e scivolò di lato, facendolo entrare. Il fumo si levava da
un camino centrale, ma il focolare di pietra era più per creare
atmosfera che per dare effettivamente calore. Questo compito
veniva in realtà svolto da bobine termiche che correvano sotto
i pavimenti della locanda. Molte di queste strutture che co-
stellavano la foresta erano rustiche soltanto nell'aspetto, men-
tre le loro interiora erano di concezione e costruzione moderna
quanto il navettaporto fuori di Drallar. I turisti di altri mondi
che venivano su Falena per gustare le delizie delle sue foreste
adoravano due cose: il loro liquore preferito e degli alloggi roz-
zi ma muniti di tutti i comfort.
— Ehi. — L'oste aveva solo pochi anni più di Flinx. — Sei da so-
lo? — Lanciò un'occhiata a Pip. — Hai un animaletto in-
teressante.
— Grazie — annuì Flinx in tono assente, ignorando il primo
commento. — A che ora servite il pasto di mezzogiorno? —
Guardò con desiderio la vicina sala da pranzo, calcolando
quanto gli restava sulla carta di credito. Alla sua velocità at-
tuale, sarebbe morto di fame prima di raggiungere la sua pre-
da.
— Non vuoi una stanza, allora?
— No, grazie. — Avrebbe dormito in una tenda a tubo nella fo-
resta, come al solito. In quei giorni la fatica lo faceva dormire
come un sasso, meglio che se si fosse trovato su un letto mor-
bidissimo.
— E il tuo animale? — L'oste indicò con un gesto il recinto del-
le bestie là fuori.
— Sta bene là.
Il giovane locandiere parve indifferente. Un tipo abbastanza
cordiale, pensò Flinx, ma anche riservato... come la maggior
parte dei suoi potenziali amici a Drallar.
— Puoi mangiare quando vuoi. Qui è tutto ad autoservizio.
Non è un posto di lusso. Non possiamo permetterci una vera
cucina.
— Le macchine andranno più che bene per me — replicò
Flinx. Attraversò l'atrio ed entrò nella sala da pranzo. C'era già
altra gente seduta qua e là, intenta ad assaporare il cibo. C'era
una giovane coppia di turisti e un uomo solitario lontano in un
angolo. Dopo la solita occhiata curiosa a Pip, tornarono a igno-
rare il nuovo venuto.
Flinx si avvicinò all'autochef con l'acquolina in bocca. Vivere
dei frutti della terra andava benissimo per lo stupava; ma a lui
serviva di tanto in tanto qualcosa che non fosse stantio né di-
sidratato. Scelse da una lista molto ampia, inserì la sua carta
di credito, e aspettò che la sua richiesta venisse elaborata. Due
minuti più tardi, preso il suo pasto, scelse un tavolo e affondò i
denti nell'arrosto, nei tuberi fritti e nell'insalata verde croccan-
te. Due grandi tazze d'un sostituto locale del caffè accompa-
gnarono il pasto.
Il locandiere entrò nella sala, scambiò due parole con la cop-
pia, poi si avvicinò al tavolo di Flinx. Malgrado il suo desiderio
di solitudine, Flinx non si sentì propenso a discutere, così non
disse niente quando l'oste tirò a sé una sedia e si sedette lì ac-
canto.
— Scusami — disse il giovanotto in tono allegro. — Non vedo
molta gente della mia età da queste parti, per non parlare di
qualcuno ancora più giovane che viaggia da solo... e certa-
mente mai con un compagno così interessante. — Indicò Pip.
Il serpente volante era scivolato giù dal collo di Flinx e si era
disteso sul tavolo, intento a inghiottire dei semi verdi. Questi
arricchivano una dieta costante simile a quella dei roditori ar-
boricoli. In effetti i semi non erano proprio indispensabili, ma il
minidrago non era il tipo da lasciar passare un pasto che non
poteva difendersi.
— Cosa fai qui tutto solo?
Davvero diplomatico questo tizio, pensò Flinx tra sé. — Sto
cercando degli amici — spiegò, masticando un altro boccone di
arrosto.
— Nessuno ha lasciato qui un messaggio per te, se è questo
che volevi sapere — disse l'oste.
— Agli amici che sto cercando non piace lasciare messaggi —
disse Flinx, tirando il fiato. — Forse tu li hai visti — aggiunse,
senza molta speranza. — Una donna molto vecchia viaggiava
con loro.
— Non passano molti vecchi da queste parti — confessò l'oste.
— Rimangono più vicini alla città. È per questo che il fatto è
molto strano. — Flinx interruppe il suo masticare. — C'è stato
qui un gruppo, molto recente, che potrebbe esser quello degli
amici che stai cercando.
Flinx inghiottì con cautela. — Questa vecchia è bassa di sta-
tura, assai più bassa di me. Ed è vicina ai cent'anni,
— Salvo per la bocca, che è assai più giovane?
— L'hai vista! — D'un tratto Flinx dimenticò del tutto il pasto.
— Cinque giorni fa — disse l'oste. Il cuore di Flinx dette in un
balzo. La distanza fra loro aumentava, non diminuiva.
— Hai visto da quale parte sono andati?
— La fangomobile si è diretta all'incirca verso nord. Ho pen-
sato anche che era strano, perché la linea delle locande che la
maggior parte dei turisti seguono corre molto più a nord-ovest,
da qui, che a nord. Ci sono alcuni padiglioni anche verso nord,
naturalmente, su nel distretto dei laghi, ma non molti. Erano
uno strano gruppo, e non perché c'era la vecchia con loro. Non
parevano turisti o pescatori.
Cercando di non mostrare troppa ansia, Flinx si costrinse a
terminare il resto del suo pasto. Non era che non apprezzasse
quell'aiuto. Ma quel giovane loquace pareva proprio il tipo ca-
pace di spifferare tutto a chiunque potesse mostrarsi incuriosi-
to da uno straniero in visita, compresa la pattuglia della fore-
sta. Flinx non voleva che qualcuno rallentasse la sua ricerca
con domande imbarazzanti, specialmente dal momento che in-
tendeva aumentare la sua velocità non appena fosse stato pos-
sibile e con metodi che la polizia non avrebbe apprezzato. Né si
era dimenticato di quel guardiano a Drallar, il cui aiuto era di-
ventato quasi un'interferenza.
— Mi sei stato di grande aiuto — disse all'oste.
— Ma cos'è tutta questa faccenda? — l'oste insisté, mentre
Flinx terminava l'ultima porzione del suo cibo, lasciando poi
che Pip si arrampicasse sul suo braccio proteso e di qui sulla
sua spalla. — Cosa succede?
Flinx cercò con frenesia una risposta. Cosa mai avrebbe po-
tuto dire, per evitare che quell'ingenuo lingualunga chiamasse
la pattuglia? Sono in vacanza... mia nonna ha altri parenti con
cui... Sì, litigano spesso. Snocciolò un discorso arruffato. E l'o-
ste annuì complice. — Credevano che io non sarei riuscito a fa-
re il viaggio — continuò Flinx con una strizzata d'occhio. — Ma
ho lasciato i miei studi e mi sono messo a giocare a rintrac-
ciarli, così per dire. Quando arriveranno alla capanna dove
hanno intenzione di passare il resto del mese, io comparirò
d'un tratto e li lascerò tutti a bocca aperta. E una volta che gli
sarò caduto tra le braccia, non potranno certo rispedirmi a ca-
sa, non è vero?
— Ho capito. — L'oste sorrise. — Non lo dirò a nessuno.
— Grazie. — Flinx si alzò. — Il cibo è buono. — Insieme a Pip si
diresse verso l'uscita.
— Ehi — gridò l'oste, colto da un pensiero improvviso, — a
quale padiglione sono diretti i tuoi parenti? — Ma Flinx se n'era
già andato.
Uscito fuori, Flinx salì in fretta in groppa allo stupava e lo di-
resse verso la foresta. Cinque giorni, rifletté preoccupato. Altri
due a quella velocità, e il suo distacco sarebbe aumentato a
dieci giorni. Lo stupava faceva del suo meglio, ma questo suo
meglio non era affatto sufficiente. In qualche modo, avrebbe
dovuto aumentare la velocità. Tirò le redini e lasciò che l'uccel-
lo riprendesse fiato, mentre prelevava dal suo zaino una liste-
rella di plastica d'una decina di centimetri quadrati. Aveva uno
spessore di mezzo centimetro e gli era costata un sacco di soldi
al mercato, ma non avrebbe potuto rischiare un simile viaggio
senza di essa. Una serie d'interruttori a contatto correva lungo
il fianco sinistro della plastica. Toccò quello più in alto e subito
la plastica si accese. Altre manipolazioni dei comandi produs-
sero una mappa della foresta, e ulteriori aggiustamenti zuma-
rono su un ingrandimento della zona in cui si trovava adesso.
Batté il nome della locanda dove aveva fatto il suo ultimo pa-
sto. La mappa cambiò subito posizione. Era come se stesse vo-
lando sopra un paesaggio astratto. Quando l'immagine si stabi-
lizzò, Flinx ampliò ulteriormente il suo campo di visuale,
espandendo la mappa fino a farle comprendere molte altre lo-
cande e una piccola città che il giorno prima aveva quasi sfio-
rato senza accorgersene. Sfiorò i comandi, e la mappa zumò
sulla città. Ai suoi margini c'era una piccola officina per la la-
vorazione del legname, con parecchie strutture commerciali
minori, una stazione di servizio e un terminale per la ripara-
zione e la fornitura di mezzi di trasporto. Pensò di tentare
prima d'ogni altra cosa alla stazione di servizio, poi pensò che
fra tutte le strutture era quella che aveva la maggior probabili-
tà di restare aperta a tutte le ore del giorno e della notte. Ri-
maneva il deposito dei mezzi di trasporto. Spense la mappa,
tornò a infilarla nello zaino con attenzione, e mollò le redini. Il
grande uccello fischiò e si rimise in moto.
La notte stava avanzando, ormai: ben presto il sole sarebbe
completamente scomparso dietro la coltre di nubi. Avrebbe po-
tuto senz'altro contare sull'assenza della luna: perfino il fosco
bagliore di Fiamma non sarebbe riuscito a penetrare la barrie-
ra delle nubi quella notte.
Malgrado nel suo avanzare avesse mancato del tutto la città,
questa non era molto lontana. Gli edifici erano sparpagliati su
una collinetta (il tratto di terreno più asciutto che ci fosse là
intorno) e rimase nascosta tra gli alberi finché non ci fu prati-
camente entrato. La maggior parte delle abitazioni singole e
dei blocchi si trovavano a varie altezze sulla collina. Alla sua
sinistra vide una struttura bassa e cresciuta in modo disordi-
nato, nella quale qualche luce traspariva attraverso le doppie
finestre: la stazione di servizio. Il deposito dei mezzi di tra-
sporto si trovava direttamente davanti a lui. Flinx scivolò
agilmente giù dalla schiena dello stupava, lo legò a un tronco
vicino e attese mezzanotte.
Una recinzione alta tre metri correva tutt'intorno al deposi-
to, racchiudendo anche il cortile di servizio. Flinx riuscì a di-
stinguere le sagome di parecchi grandi veicoli concepiti per
viaggiare attraverso la folta foresta con un intero equipaggio e
relative attrezzature. Ma non erano questi che interessavano a
Flinx. Erano troppo grossi, e di eccessivo impaccio per le sue
necessità. Doveva esserci certamente, là dentro, qualcosa di
più adatto al suo scopo, parcheggiato all'interno del capannone
che s'innalzava più indietro... Sarebbe stato assai meglio che ci
fosse. Dubitava che la segheria e i piccoli edifici commerciali
avrebbero avuto qualcosa di meglio da offrire.
Si accertò che le pastoie dello stupava fossero sciolte: se
avesse fallito, avrebbe avuto molto in fretta bisogno del grande
uccello da sella. Se invece avesse avuto successo, lo stupava
sarebbe ben presto diventato irrequieto e sarebbe scappato, ri-
trovando la strada per Drallar e la sua scuderia. Questa era
un'altra ragione per cui Flinx aveva scelto l'uccello da sella in-
vece dei muccax simili a rospi: un muccax non aveva l'istinto
del piccione viaggiatore.
Con Pip arrotolato saldamente intorno alla spalla sinistra,
avanzò nella notte attraverso la nebbia. Il cortile non era la-
stricato, ma il suolo era stato compattato al punto da farlo di-
ventare relativamente asciutto, cosicché Flinx fu in grado di
muoversi in silenzio lungo il recinto.
Con molta cautela descrisse un cerchio completo sia intorno
al cortile che agli edifici. Non erano visibili luci di nessun gene-
re, e non vide niente da suggerire la presenza di raggi inseriti
in circuiti di allarme. Malgrado avesse aggirato altre volte ap-
parecchiature antifurto, quella era la prima volta che tentava
di penetrare in un deposito di materiale del governo.
Il bordo superiore del recinto s'incurvava verso l'esterno,
una conformazione che avrebbe reso più difficile la scalata, e
poté distinguere chiaramente le punte trasmettitrici piazzate
in cima a ciascun palo, pronte a far scattare l'allarme se qual-
cuno avesse interrotto il circuito. Flinx abbassò lo sguardo sul
cancello che si trovava sul retro. Il dispositivo di chiusura di
questo pareva soltanto meccanico, quasi troppo semplice.
Avrebbe potuto aprirlo senza nessuno speciale strumento. La
trappola... consisteva in una replica del circuito che correva
lungo la cresta del recinto. Non avrebbe potuto far scattare la
serratura senza interrompere il raggio e far partire l'allarme.
Tagliare la rete del recinto era fuori questione. Era senz'altro
sensibilizzata, e qualunque interruzione non programmata del-
la sua struttura avrebbe fatto suonare l'allarme proprio come
se avesse tentato di abbatterne una sezione con un bulldozer.
Spingendo da parte Pip, Flinx si sfilò dalle spalle lo zaino e vi
frugò dentro. Oltre ai cibi concentrati e alla scorta dei medi-
cinali di base, aveva con sé delle apparecchiature che avrebbe-
ro riempito di sbigottimento l'oste che aveva scambiato quattro
chiacchiere con lui quello stesso giorno. Non gli ci volle molto
per trovare quello che cercava. Tirò fuori dallo zaino uno tra
parecchi fili di differente lunghezza. Al suo centro si trovava
saldato un singolo interruttore a contatto. Assicurandosi che
l'interruttore fosse aperto, avvolse con grande attenzione
un'estremità del filo intorno alla punta del minuscolo trasmet-
titore sul lato sinistro del cancello. Con lenta, attenta cura die-
de al filo il profilo d'un arco e lo fece passare sopra il lungo not-
tolino, per avvolgerlo sopra il trasmettitore sul lato opposto.
Una minuscola spia sull'interruttore del filo prese ad ardere
d'un confortante bagliore verde.
Poi Flinx tirò fuori dallo zaino un piccolo pezzo di metallo
opaco dalla strana forma, lo inserì nella serratura del cancello,
e lo ruotò un paio di volte. Al calore della sua mano il metallo si
ammorbidi e prese a scivolare obbediente. Il nottolino fece clic.
Reggendo il frammento di metallo con due sole dita, Flinx di-
minuì il calore assorbito finché il metallo ridivenne solido, poi
lo girò. Sentì un secondo clic, più sommesso del primo. Estras-
se il metallo dalla serratura, appoggiò una mano sul cancello e
spinse. Questo ruotò per qualche centimetro verso l'interno,
ondeggiando leggermente sui suoi sostegni. Flinx esitò un at-
timo. Nessun allarme udibile lacerò la notte. Si augurò che
quella comunità rurale non avesse bisogno di allarmi silen-
ziosi. Tuttavia, raccolse in silenzio il suo armamentario e si ri-
tirò rapidamente dentro la foresta.
Aspettò che fosse passata mezz'ora senza che nessuno com-
parisse per controllare il cancello o il cortile, poi strisciò di
nuovo fino al recinto. Il cancello era ancora socchiuso. La fibra
di vetro, avvolta intorno ai due terminali sui lati, permetteva
al raggio del sistema di allarme di scorrere senza interruzione,
ma ci sarebbe stato un problema quando avrebbe dovuto apri-
re il cancello più di quanto la lunghezza del filo gli avesse con-
sentito di fare.
Sgusciò facilmente dentro il cortile. Pip volò sopra il recinto e
si librò sopra i capelli arruffati del suo padrone.
Flinx esplorò con lo sguardo ogni lato del cortile: non c'era
ancora nessun indizio che la sua intrusione fosse stata scoper-
ta. Il capannone delle macchine si trovava dritto davanti a lui,
privo di porta e spalancato sulla notte. Si servì dei grossi veico-
li per le riparazioni come copertura, mentre avanzava verso il
capannone. Trovò, fra mucchi di attrezzature e altre scorte,
due fangomobili a due posti. Il battito del suo cuore accelerò al-
quanto. Quei veicoli compatti avevano il ventre scampanato e
delle cabine chiuse per proteggere il pilota e il passeggero.
Provò entrambi i veicoli. Collegare con un filo volante quei
semplici motori elettrici fu abbastanza facile. Cominciò a
preoccuparsi, però, quando l'indicatore del propellente della
prima fangomobile non reagì, indicando un serbatoio vuoto.
Ma l'indicatore della seconda fangomobile mostrò un carica-
mento pari al novantacinque per cento. Così era assai meglio...
anzi, era d'importanza cruciale, poiché dubitava che avrebbe
avuto accesso a stazioni di rifornimento, là dove stava andan-
do.
Poiché in tutto il deposito continuava a regnare la calma,
Flinx osò rischiare il successo finora ottenuto per risolvere
un'ulteriore difficoltà: quella dei contrassegni governativi per
la fangomobile. In un armadietto dentro al capannone trovò
una dozzina di lattine di vernice catalitica a presa rapida. Ne
scelse un paio di color marrone. Dopo aver riflettuto un attimo,
ritornò all'armadietto e ne prelevò una terza lattina, di pittura
rossa. Non aveva mai posseduto un proprio mezzo di tra-
sporto, e visto che vi avrebbe aggiunto un proprio tocco artisti-
co, tanto valeva che ci mettesse un po' di vivacità. Inoltre, la
cosa sarebbe stata più in armonia con un ragazzo di sedici an-
ni. Gli alberi l'avrebbero comunque continuato a nascondere
con grande efficacia.
Quand'ebbe finito di spruzzare la fangomobile, salì sul sedile
del pilota. Pip si accomodò sul posto vuoto, al suo fianco. I co-
mandi erano semplici e lineari, come si era aspettato. Appoggiò
la mano destra sul piccolo volante, la sinistra andò invece al fi-
lo che aveva piazzato sotto il cruscotto. Il motore si mise in
modo, il suo costante ronzio era un po' più intenso di quello
prodotto da Pip. Una spinta dell'acceleratore fece avanzare la
fangomobile. Il singolo faro ad ampio raggio piazzato sul da-
vanti rimase spento. E così sarebbe rimasto finché Flinx non
fosse stato certo di trovarsi al sicuro.
Uscì fuori nel cortile e ancora non vide nessun segno di al-
larme provenire dagli edifici vicini. Giunto al cancello, lasciò
l'apparecchio in folle e balzò giù. Congiungendo alla prima le fi-
bre ottiche che gli restavano, fu in grado di aprire il cancello
quanto bastava alla fangomobile per attraversarlo. Aveva tan-
ta paura d'essere individuato che dimenticò quasi di chinarsi
mentre guidava il veicolo attraverso l'apertura: le fibre che
stavano ingannando il sistema d'allarme quasi lo decapitarono.
Poi, fu fuori dal cancello, sulla lìscia superficie che circon-
dava il deposito. Pochi istanti dopo era al riparo nella foresta.
Un tocco a un comando del cruscotto chiuse la cupola di plasti-
ca trasparente sopra la sua testa, escludendo la nebbia. Un al-
tro comando avviò il sistema di riscaldamento del veicolo. Per
la prima volta da quando aveva lasciato Drallar, era al caldo.
Tenne al minimo la velocità della fangomobile fino a quando
non fu ben lontano dalla piccola città. E qui sentì di poter ac-
cendere il faro senza pericolo. Il raggio ad alta potenza sciabolò
nelle tenebre rivelando sentieri fra gli alberi. Adesso fu in gra-
do di accelerare, e ben presto la fangomobile correva sopra il
terreno umido. Forse un po' troppo veloce, per una guida di
notte, ma Flinx voleva riguadagnare il più possibile sulla sua
preda. Ed era alquanto inebriato dal successo.
A Drallar non sarebbe stato così facile, si disse. Qua fuori,
dove non c'era molto da rubare, aveva avuto successo proprio
perché non c'era una grande esperienza con i ladri.
Il ventre della fangomobile era rivestito d'una speciale resina
polimerizzata idrofobica che gli consentiva di planare sulle su-
perfici umide ma consistenti senza nessun attrito, grazie alla
spinta dell'unico getto elettronico situato sulla poppa del veico-
lo. Inoltre produceva pochissimo rumore... non che avesse fi-
nora rilevato anche il minimo segno d'un inseguimento. La
bussola della fangomobile manteneva la direzione nord.
Soltanto verso la metà del mattino Flinx provò il desiderio di
fermarsi. Approfittò della luce del giorno per usare il barattolo
di vernice rossa decorando la superficie marrone del veicolo,
aggiungendo delle strisce ornamentali ai lati e sul davanti.
Questo gli permise di dimenticare per un po' i suoi problemi.
Poi riprese il viaggio a bordo d'un veicolo che nessun osserva-
tore avrebbe mai più potuto scambiare per un sobrio veicolo
governativo.
La notte prima c'era stato un lievissimo pizzicore mentale,
d'una familiarità quasi dolorosa. Come al solito, era scomparso
nel medesimo istante in cui aveva tentato di concentrarsi su di
esso, ma era certo che quel tocco era stato diretto a lui da
qualche punto in direzione nord.
Fiducioso, continuò a planare con la cupola aperta. Tutt'a un
tratto l'aria si tinse di grigio per la presenza di migliaia di corpi
pelosi non più grossi del suo mignolo. Sciamavano intorno a lui
sulle minuscole ali membranose, e Flinx si mise a schiacciarli
con la mano libera facendo rallentare il veicolo quasi a passo
d'uomo. Erano così fitti che gli cancellavano buona parte della
visuale.
Pip era deliziato, sia per l'occasione di giocare che di cenare.
Ben presto quella tempesta di volatili in miniatura divenne
talmente densa che Flinx fu costretto ad arrestare del tutto la
fangomobile per timore di andare a sbattere contro qualche
ostacolo. Col veicolo fermo, poteva quanto meno usare en-
trambe le mani per colpirli.
Esitò a chiudere la cupola protettiva per timore che le molte
dozzine di volatili che sarebbero rimaste intrappolate all'inter-
no si facessero prendere dal panico. Inoltre, eccettuato il fatto
che gli toglievano la visuale, non gli davano nessun fastidio. I
loro piccoli denti quadrati erano concepiti per rompere i gusci
delle noci e dei semi, e non mostravano nessun interesse per la
carne viva. Avevano grandi occhi d'un vivido giallo, e due
zampe sottili adatte ad afferrarsi ai rami. Flinx si chiese quan-
to avrebbero impiegato prima di andar via, consentendogli di
riprendere il viaggio.
D'un tratto l'aria fu piena di suoni sibilanti. Dal suolo eruppe-
ro forme rotonde grosse come teste. Flinx vide lunghi musi
sottili irti di denti ad ago e braccia multiple che sporgevano dai
corpi stretti. Il suolo sibilante era composto da una lunga serie
di crepitii.
Sbirciò attraverso la massa dei piccoli volatili e vide una
creatura dopo l'altra schizzar fuori verticalmente dalle tane. I
crepitanti avevano il corpo nero con screziature gialle e aran-
cio. Si fecero trasportare dall'aria gonfiando un paio di sacchi
d'aria a forma di salsiccia fissati alle loro colonne vertebrali.
Regolando la quantità di gas nei sacchi, questi animali poteva-
no non soltanto controllare la loro altitudine, ma anche la loro
direzione. Si tuffarono in mezzo allo sciame dei volatili, utiliz-
zando i loro lunghi musi sottili per ghermirli l'uno dopo l'altro
al volo. Quando un crepitante aveva acchiappato parecchie
prede, sgonfiava i propri sacchi d'aria e si adagiava al suolo co-
me un paracadute. Sembrava che atterrassero ognuno sopra la
sua propria tana, per scomparirvi dentro quasi subito.
Quando né la nube dei volatili né i crepitanti assalitori mo-
strarono il minimo segno di volersi diradare, Flinx prese la de-
cisione di riprendere il suo viaggio. Lo fece lentamente, pren-
dendo con cura la strada fra gli alberi. Aveva percorso quasi
un chilometro quando lo sciame cominciò a diventare meno fit-
to, e alla fine si ritrovò un'altra volta in mezzo all'aperta fore-
sta. Un'occhiata dietro le spalle gli permise di osservare una
compatta parete grigia, nera, gialla e arancio che si spostava
come fumo tra gli alberi. Gli ci volle un attimo per rendersi
conto che qualcosa mancava dalla fangomobile.
— Pip? — Il minidrago non era arrotolato sul sedile del pas-
seggero, né si lasciava andare alla deriva sulle correnti d'aria
sopra la fangomobile.
Flinx impiegò parecchi minuti prima di ritrovare il suo ani-
maletto disteso sul ventre, nello scompartimento adibito a ma-
gazzino dietro i sedili, gonfio il triplo rispetto al solito diame-
tro. Si era incredibilmente ingozzato di quei piccoli e saporiti
volatili grigi. Flinx era convinto che il suo compagno al mo-
mento immobile non avesse affatto un buon aspetto.
— Questo t'insegnerà a comportarti come un durq — lo ram-
pognò. Il minidrago accennò lentamente a muoversi, ma poi
rinunciò del tutto allo sforzo. Ci sarebbe voluto un po', prima
che volasse di nuovo, anche soltanto fin sopra la spalla del suo
padrone.
Flinx proseguì in direzione nord senza fermarsi neppure per
dormire. Erano passati due giorni da quando si era impadroni-
to della fangomobile. Visto il probabile lassismo della burocra-
zia rurale, avrebbe potuto passare un bel po' di tempo prima
che la sua assenza venisse notata. Quando finalmente qualcu-
no si fosse reso conto che era avvenuto un vero e proprio furto,
Flinx si sarebbe trovato a duecento chilometri di distanza, e le
autorità locali non avrebbero avuto nessun modo di sapere
quale direzione aveva preso. Sfiorando appena la superficie del
terreno, una fangomobile non lasciava tracce. I suoi getti elet-
tronici semplificati non irradiavano in pratica nessun calore
residuo individuale dall'alto. Ma Flinx non si aspettava nessun
inseguimento su larga scala, non certo per un piccolo, singolo
veicolo relativamente poco costoso.
Continuò a chiedersi come mai qualcuno avesse fatto tutto
quello sforzo e speso tutti quei soldi per rapire una vecchia
donna innocua. La scarsissima plausibilità dell'intera situazio-
ne serviva solo ad esacerbare la sua ansia e non contribuiva af-
fatto ad attenuare la sua rabbia e la sua decisione.
Passarono parecchi giorni prima che si avvedesse d'un cam-
biamento nell'aria. Era una sensazione estranea, qualcosa che
non riusciva a spiegarsi. Restava sempre quell'onnipresente
umidità, ma era diventata in qualche modo più intensa, più pe-
netrante per le sue narici. — Adesso... cosa supponi che sia,
Pip? — disse, ad alta voce. Ma il serpente volante non avrebbe
risposto, anche se ne fosse stato capace: tutti i suoi sforzi e le
sue energie erano concentrati nel compito di digerire la carne,
la pelliccia e le ossa.
La fangomobile risalì il lieve pendio d'una collina. Alla sua
sommità uno squarcio tra gli alberi rivelò a Flinx una scena da
mozzare il fiato. Dapprima pensò di esser giunto, senza avve-
dersene, al cospetto dell'oceano. No. Sapeva che non poteva es-
sere. Nessun oceano si trovava a nord di Drallar, almeno fino a
quando non si fosse giunti al polo ghiacciato... e non si fosse
deviato verso est o verso ovest per migliaia di chilometri.
Malgrado quel corpo acqueo assomigliasse a un oceano, Flinx
lo riconobbe per quello che era: un lago, uno fra le molte mi-
gliaia che occupavano l'ampia distesa di territorio dalla sua at-
tuale posizione fino all'artico. Nessuna luce solare si spec-
chiava sopra di esso poiché qui le nuvole erano dense come sul-
la lontana Drallar, ma dal cielo filtrava abbastanza luce da
creare un bagliore che veniva moltiplicato da quell'ampio len-
zuolo, riflettendosi più e più volte tra le nubi e l'acqua. L'Az-
zurro-che-Accieca, pensò Flinx, fissando quella superficie. Co-
nosceva abbastanza la geografia di Falena da riconoscere in
quel lago il primo dell'intera successione che corrispondeva a
quella descrizione. Non avrebbe potuto dare il nome preciso al
lago stesso, non senza una carta dettagliata. Era soltanto uno
dei cento e più impressionanti corpi d'acqua, i cui nomi non
aveva mai ritenuto di mandare a memoria durante le sue let-
ture, poiché non si era mai aspettato di dover visitare quella
parte del mondo.
Il vivido bagliore imprigionato tra l'acqua e le nuvole gli fece
lacrimare gli occhi mentre dirigeva la fangomobile verso il
bordo del lago. La distesa d'acqua bloccava la sua avanzata
verso nord. Lui aveva bisogno di sapere se doveva costeggiarlo
verso est o verso ovest, oppure cercare di attraversarlo in li-
nea diretta. Non aveva alcun modo d'indovinare ciò che aveva
fatto il gruppo di gente che inseguiva.
Il lago era tranquillo. Soltanto modeste increspature inter-
rompevano la distesa davanti a lui, per ogni altro verso liscia.
Una fangomobile poteva viaggiare sull'acqua oltre che sulla
terra, sempre che la sua carica avesse retto; se così non fosse
stalo, il veicolo sarebbe sprofondato in un attimo.
Flinx decise che la prima cosa di cui aveva bisogno erano dei
consigli. Così, consultò di nuovo la sua mappa, la quale gli mo-
strò un singolo padiglione isolato a poca distanza verso est. Si
diresse verso il padiglione.
L'edificio comparve alla sua vista dieci minuti più tardi,
un'ampia struttura articolata. Le imbarcazioni erano ormeg-
giate a un molo sul retro. Parecchi veicoli di superficie erano
parcheggiati sul davanti, vicino all'edificio. Flinx si sentì teso
per un attimo, poi si rilassò. Nessuno di quegli apparecchi esi-
biva i contrassegni governativi. Certo a quest'ora il suo furto
era stato scoperto, ma era probabile che la ricerca tendesse a
svilupparsi più verso le aree popolate del sud (verso Drallar,
cioè) che in direzione nord, praticamente priva di sentieri già
tracciati.
Tuttavia si concesse un lungo istante per ispezionare con
molta attenzione i veicoli che si trovavano nel parcheggio. Era-
no tutti e quattro vuoti. Due erano cingolati, servivano soltan-
to per il trasporto via terra. Gli altri erano fangomobili, più
grandi e più lussuose della sua: ostentavano sedili superimbot-
titi e cupole protettive autooscuranti. Seppe subito che si trat-
tava di trasporti privati. Più comodi della sua fangomobile, ma
non certo più durevoli. Non c'era nessun segno di animali da
sella. Era probabile che chiunque potesse permettersi di viag-
giare tanto a nord, potesse anche permettersi mezzi di tra-
sporto meccanizzati.
Flinx arrestò la sua fangomobile al fianco degli altri veicoli e
prese la precauzione di staccare il filo di collegamento per la
messa in moto. Non sarebbe stato bene che qualche passante
curioso spiasse quell'ovvia modifica illegale. La fangomobile si
adagiò al suolo, e Flinx mise il piede sul parafango, balzando
poi a terra.
L'area del parcheggio non era stata livellata e compattata
con forza, e i suoi stivali raccolsero fango in abbondanza quan-
do percorse il tratto fino ai gradini di legno che conducevano
dentro. Delle pompe a suzione ripulirono via la maggior parte
del fango. I gradini portavano a una veranda piena di quel tipo
di arredamento in stile rustico che tanto piaceva ai turisti, i
quali amavano credere di vivere in modo rude. Più oltre c'era
uno stretto corridoio rivestito di pannelli d'impiallacciatura di
legno lucidata, che però qua e là si staccava.
Flinx pensò che questo era il luogo migliore in cui chiedere
informazioni circa le condizioni del lago, ma c'era qualcos'altro
d'importante che richiamava, prima di tutto, la sua attenzione.
Il cibo. Poteva sentirne l'odore da qualche parte là vicino, e
avrebbe senz'altro dovuto concedersi un'interruzione dai con-
centrati con cui si alimentava da troppi giorni. La sua carta di
credito mostrava ancora un saldo positivo, e non c'era modo di
dire quando avrebbe avuto la fortuna d'incontrare un'onesta
cucina. Né avrebbe dovuto preoccuparsi delle occhiate in-
curiosite degli altri clienti: questa volta Pip, ancora incapace di
mangiare, non avrebbe cenato con lui. Inspirò a fondo. Dall'o-
dore, quasi gli pareva che il cibo venisse preparato da uno chef
in carne ed ossa invece che da una macchina.
Flinx trovò la strada fino alla sala da pranzo. Alla parete più
lontana un fuoco bruciava in un caminetto di pietra. Sulla sini-
stra c'era la fonte di quel meraviglioso aroma: una vera cucina.
Un paio di forme pelose russavano pacifiche nelle vicinanze.
Una coppia di vecchi sedeva accanto all'ingresso. Erano assorti
nel loro pasto e neppure si voltarono per guardarlo. Due coppie
più giovani mangiavano e chiacchieravano vicino al caminetto.
Nell'angolo in fondo c'era un gruppo di anziani, tutti abbigliati
con i pesanti indumenti del nord del paese.
Flinx cominciò a scendere i pochi gradini che portavano alla
sala da pranzo, con l'intenzione d'interrogare qualcuno in cu-
cina sulla possibilità di avere un pasto. D'un tratto qualcosa
colpì la sua mente con tanta forza che dovette appoggiarsi alla
vicina parete per non cadere.
Due uomini più giovani erano entrati nella sala da una porta
più lontana che dava sull'esterno. Iniziarono a parlare col
gruppo di commensali nell'angolo più distante. Nessuno guardò
verso Flinx: nessuno gli aveva rivolto finora una sola parola. Si
allontanò barcollando dalla parete, inciampò contro il tavolo
della coppia di vecchi e recuperò l'equilibrio. L'uomo sollevò il
suo sguardo verso il visitatore non invitato e corrugò la fronte.
— Ti senti male, figliolo?
Flinx non rispose, ma continuò a guardare verso il lato op-
posto della sala. Volti... non riusciva a distinguere i volti sotto
tutti quegli indumenti pesanti. Rimanevano nascosti alla sua
vista. Ma non a qualcos'altro.
Parlò a voce alta, senza pensare:
— Mamma?

IX

Una delle figure infagottate si girò di scatto sulla sedia e lo


fissò a bocca spalancata. Gli occhi della donna erano sgranati
per la sorpresa, oltre che per lanciare un avvertimento che
Flinx ignorò. La donna fece per alzarsi dalla sedia.
Il resto del gruppo fissò il giovane dall'altro lato della sala.
Uno degli uomini più giovani mise una mano sulla spalla di
Mamma Mastino e l'obbligò a risedersi. Lei prontamente lo
morse. Il compagno dell'uomo sfoderò qualcosa da una tasca
della giacca e cominciò ad avanzare verso Flinx. Le espressioni
di viva sorpresa dell'intero gruppo a causa dell'inaspettata
comparsa di Flinx, erano diventate sinistre.
Flinx esaminò il pavimento e le pareti vicine, trovò l'inter-
ruttore che cercava e lo fece scattare. Le luci della sala si spen-
sero, lasciando soltanto la fioca luce del giorno a filtrare dalla
finestra più lontana. Che fantastico talento possedeva!, pensò,
mentre si tuffava al riparo. Quel suo talento aveva reagito nel
modo più acuto alla presenza di Mamma Mastino... dopo che
lui era quasi andato a sbattere contro di lei.
La sala si riempì delle grida degli ospiti abituali, frammiste
alle imprecazioni del gruppo che Flinx aveva colto di sorpresa.
Non cercò di aprirsi la strada verso il tavolo dove Mamma Ma-
stino veniva trattenuta. Aveva vissuto troppi scontri nelle
strade per farlo. Tenendo a mente la disposizione della sala da
pranzo, arretrò e, lasciatosi cadere al suolo, si mise a striscia-
re, facendo un lungo giro tutt'intorno per avvicinarsi al tavolo,
nel tentativo di sorprendere alle spalle i rapitori di sua madre.
C'erano i tre che erano stati seduti al tavolo con lei, più i due
che erano arrivati più tardi. Cinque avversari in tutto.
— Dov'è... qualcuno accenda le luci! — Molto utile da parte lo-
ro, rifletté Flinx, fargli sapere dove si trovavano. Avrebbe do-
vuto sfruttare in fretta quell'informazione, lo sapeva. Ben pre-
sto uno dei clienti o un impiegato del padiglione avrebbero
riacceso le luci, privandolo del suo unico vantaggio.
Un secco crepitio rimbalzò attraverso la stanza, accompa-
gnato da un breve lampo di luce. Uno degli altri ospiti lanciò un
grido di allarme. Flinx sorrise tra sé: se tutti si erano buttati a
terra, le luci avrebbero dovuto restare spente un po' di più.
Un secondo lampo tagliò l'aria all'altezza dei tavoli, pas-
sandogli abbastanza vicino da fargli raggricciare la pelle. Un
raggio paralizzante: malgrado Flinx traesse un certo conforto
da quella dimostrazione che il suo avversario non aveva inten-
zione di sparare per uccidere, non si soffermò a riflettere sul
perché si prendessero tanta cura. I rapitori continuarono a
sparare alla cieca nel buio. Con quell'intreccio di raggi capaci di
paralizzare i nervi, era assai improbabile che qualche impiega-
to tentasse di raggiungere l'interruttore.
Grato ancora una volta alle sue ridotte dimensioni, Flinx
continuò a strisciare sul ventre fino a quando non ebbe rag-
giunto la parete opposta. Allo stesso tempo, quegli spari a ca-
saccio cessarono. Immaginando che uno dei suoi avversari
stesse tastando la parete alla ricerca dell'interruttore, Flinx si
preparò a strisciare in fretta davanti al bagliore del caminetto.
Poi, qualcuno lasciò partire una violenta imprecazione, e senti
il fracasso d'un tavolo e d'una sedia che venivano rovesciati
molto vicino a lui. Flinx portò una mano a uno stivale e si sol-
levò in posizione rannicchiata, aspettando.
Ancora una volta udì il rumore fatto da qualcuno che ince-
spicava, più forte e subito davanti a lui. Allungò una mano, af-
ferrò una sedia lì vicino e la spinse energicamente in mezzo al
buio. Un uomo si stagliò contro il bagliore del caminetto e un
lampo avvolse la sedia. Flinx guizzò alle spalle dell'uomo e usò
lo stiletto come il vecchio Makepeace gli aveva insegnato a fa-
re. L'uomo era grosso il doppio di Flinx, ma la sua pelle non era
per questo più dura. Cacciò un breve strillo strangolato prima
di accartocciarsi al suolo. Flinx scattò in avanti, uscendo dallo
sfondo luminoso delle fiamme.
— Erin — chiamò una voce, incerta, — stai bene? — Parecchi
altri lampi riempirono l'aria, colpendo le pietre intorno al ca-
minetto, là dove Flinx si era trovato un attimo prima. Se l'in-
tenzione di quei colpi era cogliere Flinx impreparato, man-
carono completamente lo scopo; d'altro canto, lo costrinsero a
gettarsi un'altra volta a terra.
Qualche istante più tardi le luci si riaccesero, abbacinanti.
Flinx si tese sotto il tavolo che gli dava rifugio, ma non aveva
bisogno di preoccuparsi. Il gruppo dei viaggiatori era scappato,
insieme all'ultimo fra quelli armati di raggio paralizzante e a
Mamma Mastino.
Flinx si alzò in piedi. Gli altri ospiti continuarono a restare
rannicchiati sul pavimento. Non c'era nessun indizio di cosa
avesse fatto riaccendere le luci, e non ebbe il tempo di pensar-
ci.
La porta all'estremità opposta della sala era socchiusa. Dava
su una veranda curva. Flinx si precipitò verso di essa ma si ar-
restò appena all'interno del vano della porta per scagliare una
sedia davanti a sé. Quando nessuno sparò contro di essa, tirò
un profondo sospiro e balzò fuori, rotolando attraverso la ve-
randa e guizzando fuori dalla posizione rannicchiata in quella
da combattimento.
Non c'era nessun nemico ad aspettarlo: la veranda era de-
serta. Ma la spiaggia, lontano sulla sinistra, non lo era. Due
fangomobili erano parcheggiate sulla spiaggia: mentre Flinx
guardava impotente, i viaggiatori che aveva cercato tanto a
lungo salirono a bordo dei veicoli. Incurante adesso della pro-
pria sicurezza, si lanciò di corsa giù dai gradini e scese il legge-
ro pendio che conduceva verso la sponda del lago. La prima
fangomobile era già partita e correva sulle creste delle onde.
Quand'ebbe raggiunto il bordo dell'acqua cadendo esausto sulle
ginocchia, con l'inutile coltello stretto mollemente nella mano
destra, entrambi i veicoli si trovavano ormai molto al largo.
Lottando per riprender fiato, Flinx si costrinse a star dritto e
risalì il pendio. Avrebbe dovuto affrettarsi a inseguirli. Se li
avesse persi di vista su quei vastissimo lago, non avrebbe avu-
to modo di sapere su quale lontana spiaggia sarebbero appro-
dati. Aggirò la parte anteriore dell'edificio e afferrò la portiera
della sua fangomobile. Una forma supina lo fissò, turbata: Pip
aveva un'aria decisamente infelice. Svolazzò una volta, poi
tornò a crollare sul sedile.
— Bell'aiuto mi hai dato — esclamò Flinx, rivolto al suo ani-
maletto. E, ammesso che fosse possibile, il minidrago apparve
ancora più infelice. Era chiaro che aveva percepito il pericolo
che minacciava Flinx e aveva cercato di correre in suo aiuto,
ma, semplicemente, non era riuscito a levarsi in volo.
Flinx cominciò ad arrampicarsi dentro la cabina quando una
voce e una mano sulla sua spalla lo trattennero. — Un mo-
mento. — Flinx si fece teso, ma un'occhiata a Pip gli mostrò che
il serpente volante non si era messo sulla difensiva.
— Non posso... — cominciò a dire mentre si voltava. Ma quan-
do vide chi gli stava davanti, riuscì soltanto a strabuzzare gli
occhi.
La donna pareva torreggiare sopra di lui, anche se in realtà
era più alta solo d'un paio di centimetri. I capelli neri le ricade-
vano riccioluti fino alle spalle. Il suo giaccone da boscaglia era
rimboccato dentro a dei calzoni che a loro volta erano rimboc-
cati dentro a bassi stivali. Era magra ma non scarna. La bocca
e il naso erano grandi non più di quelli d'una bambina, gli zigo-
mi alti sotto a due occhi castani grandi quanto quelli d'un gufo.
La sua pelle era scura quasi quanto quella di Flinx, ma era il
prodotto del vivido riflesso del lago vicino, e non qualcosa di
ereditano. Era la donna più bella che lui avesse mai visto.
Flinx riuscì a stento a ritrovare la sua voce mormorando: —
Devo inseguirli... — Ma la mano continuò a restare solidamente
appoggiata sulla sua spalla. Avrebbe potuto spingerla via... op-
pure no?
— Mi chiamo Lauren Walder — dichiarò la donna. — Sono il
direttore generale di Granite Shallows. — La sua voce vibrava
d'una collera appena repressa, mentre indicava il lago con un
rapido cenno del capo. I riccioli ondeggiarono. — Cosa ha a che
fare con quegli idioti?
— Hanno rapito mia madre, la donna che mi ha adottato —
spiegò Flinx. — Non so perché, e in questo momento non me ne
importa proprio. Voglio soltanto riaverla.
— È un po' inferiore numericamente, non le pare?
— Ci sono abituato. — Indicò le finestre della sala da pranzo e
la porta ancora aperta sulla veranda. — Non sono io che giaccio
morto sul pavimento là dentro.
La donna lo fissò accigliandosi: — Come fa a sapere che l'uo-
mo è morto?
— Perché l'ho ucciso.
— Capisco — disse, studiandolo con una nuova luce negli oc-
chi. — Con che cosa?
— Col mio stiletto — l'informò Flinx.
— Non ho visto nessun stiletto. — La donna lo guardò dall'alto
al basso.
— Non dovrebbe vedersi infatti. Senta, devo andare. Se per-
derò troppo terreno nei loro confronti...
— La prenda con calma — disse la donna, cercando di tran-
quillizzarlo. — C'è qualcosa che devo mostrarle.
— Lei non sembra capire — insisté Flinx. — Non ho alcun mo-
do per rintracciarli. Non saprò mai se sono approdati da qual-
che parte oppure...
— Non si preoccupi. Non li perderà.
— Come fa a saperlo?
— Perché tra poco li scoveremo. Lasci pure che abbassino la
guardia e si convincano d'essere riusciti a fuggire. — Le dita
della donna accentuarono la stretta sulla sua spalla. — Le pro-
metto che li prenderemo.
— Be'... — Flinx lanciò un'altra occhiata a Pip. Forse tra un po'
il serpente volante sarebbe stato nuovamente in grado di svo-
lazzare. E questo avrebbe potuto significare una sostanziale
differenza in ogni futuro scontro. — Se lei ne è proprio sicura...
La donna annui energicamente, dando l'impressione d'essere
competente almeno quanto era bella. La direttrice del pa-
diglione, pensò. Doveva senz'altro sapere di cosa stava parlan-
do. Comunque, poteva fidarsi di lei per qualche minuto.
— Cos'ha di tanto importante da mostrarmi? — le chiese
Flinx.
— Venga con me. — Il tono della sua voce era ancora fremente
di rabbia.
Lo ricondusse dentro il padiglione, attraverso la veranda fino
all'interno della sala da pranzo. Alcuni membri del personale
stavano assistendo una delle donne intente a cenare quando le
luci si erano spente e le pistole avevano cominciato a sparare.
Suo marito e i suoi compagni erano anch'essi chini su di lei,
con un'espressione ansiosa. La donna ansimava tenendosi una
mano sul petto. — Il cuore — spiegò Lauren, concisa.
Flinx si guardò intorno: tavoli e sedie erano ancora rove-
sciati, ma non c'era nessun'altra indicazione che una lotta di-
sperata era stata combattuta pochi minuti prima in quella
stessa sala. I raggi paralizzanti non danneggiavano gli oggetti
inanimati. L'uomo che lui aveva ucciso era stato portato via
dal personale del padiglione. Fu lieto che l'avessero fatto.
Lauren lo guidò verso la cucina. Vicino alla porta che vi dava
accesso c'erano le due forme pelose che aveva notato quand'e-
ra entrato per la prima volta nella sala. Da vicino poté vedere
che i loro volti rotondi erano deformati nell'agonia. Le corte,
tozze zampe erano ripiegate, contorte sotto i loro corpi pelosi.
Le loro pellicce erano d'un rosso ruggine, salvo per dei cerchi
gialli intorno agli occhi. Che erano chiusi, per sempre.
— Sennar e Soba. — Lauren parlò fissando i due animali morti
con un misto di dolore e di furore. — Sono wervil... o meglio lo
erano — aggiunse con amarezza. — Li avevamo allevati sin da
quando erano cuccioli. Li avevo trovati nel folto della foresta,
abbandonati. A tutti e due piaceva molto dormire qui, vicino al-
la cucina. E a tutti i clienti piaceva dar loro da mangiare. De-
vono essersi mossi nel momento sbagliato. Al buio, uno di
quei... — usò un epiteto che Flinx non riconobbe, cosa abba-
stanza insolita per lui, — deve averli scambiati per lei. Mi han-
no detto che sparavano a tutto ciò che si muoveva. — Tacque
un attimo, poi aggiunse ancora: — Lei deve avere la fortuna
d'una yax'm incinta. Hanno colpito pressoché tutto quello che
si trovava nella sala, fuorché lei.
— Ero appiattito sul pavimento — le spiegò Flinx. — Io mi alzo
in piedi soltanto quando devo farlo.
— Sì, e quello l'ha scoperto. — Indicò l'atrio principale con un
rapido movimento del pollice. Flinx notò degli inservienti che
avvolgevano un corpo nei lenzuoli del padiglione. Fu un po'
sorpreso quando notò quanto fosse stato grosso il suo avversa-
rio. Tuttavia, al buio, sono soltanto le dimensioni del coltello
che contano.
— Non dovevano far questo — stava mormorando la di-
rettrice, fissando i due animali pelosi morti. — Non dovevano
essere così maledettamente indiscriminati. Erano quattro anni
che allevavo quei due... Quattro anni. Hanno sempre mostrato
soltanto affetto per tutti quelli che stavano loro vicini... — Tac-
que. Flinx aspettò, in silenzio.
La donna, dopo un po', gli fece cenno di seguirla. Attraver-
sarono l'atrio, infilarono un corridoio laterale ed entrarono in
un magazzino. Lauren aprì la serratura d'una rastrelliera alla
parete e ne tolse un grande fucile dall'aspetto complicato non-
ché un paio di piccoli contenitori di plastica a forma di ruota.
Infilò uno di questi dentro una larga fessura situata sul lato
ventrale del fucile. L'arma pareva troppo voluminosa per lei,
ma se la mise a tracolla con irrisoria facilità passando il brac-
cio dentro la cinghia. Vi aggiunse una pistola che s'infilò alla
cintura, poi lo ricondusse fuori, nel corridoio.
— Non ho mai visto un fucile di quel tipo. — Flinx indicò l'ar-
ma. — Cosa serve a cacciare?
— Non è un fucile da caccia — replicò la donna. — Serve per
pescare. Ognuno di questi caricatori — indicò gli oggetti a for-
ma di ruota che aveva passato a Flinx, — contiene un migliaio
di dardi. Ogni dardo contiene qualche millimetro cubo d'una
neurotossina molto potente. Pùngiti un dito e... — Scrollò le
spalle in modo assai significativo. Poi proseguì: — I dardi ven-
gono inseriti dentro i caricatori in una fabbrica di Drallar, e poi
i caricatori vengono sigillati. Non puoi tirar fuori un singolo
dardo a meno che non lo spari con questo. — Accarezzò il calcio
del fucile. Svoltarono un angolo. Erano tornati nell'atrio prin-
cipale.
— Usa il fucile per uccidere i pesci?
La donna gli sorrise. Non un sorriso completo, ma comunque
un abbozzo, pensò Flinx.
— Non è mai stato all'Azzurro-che-Accieca prima d'oggi, non è
vero?
— Ho passato tutta la vita a Drallar — rispose Flinx, e a tutti
gli effetti pratici era la verità.
— Noi non usiamo questi per uccidere i pesci — gli spiegò la
donna. — Soltanto per rallentarli, se si avvicinano troppo alle
barche.
Flinx annuì, cercando d'immaginarsi l'arma che veniva usa-
ta. Sapeva che i laghi dell'Azzurro-che-Accieca erano popolati
da certi pesci di grosse dimensioni, ma sembrava che non si
fosse mai reso conto di quanto fossero grossi. Naturalmente, se
le dimensioni dei pesci erano in proporzione a quelle dei laghi...
— Quant'è grande questo lago?
— Patra? È lungo soltanto un paio di centinaia di chilometri...
Poco più d'uno stagno. I laghi davvero grandi sono più lontano,
a nord-ovest, come ad esempio Turchese e Hanamar. I geografi
litigano in continuazione per decidere se chiamarli laghi o ma-
ri-interni. I geografi sono dei maledetti pazzi.
Uscirono dal padiglione. Per lo meno non stava piovendo, no-
tò Flinx. Questo avrebbe dovuto far sì che fosse più facile rin-
tracciare le fangomobili in fuga.
Ebbe un leggero sussulto quando qualcosa atterrò pesante-
mente sulla sua spalla. Flinx fissò la piccola creatura con un'e-
spressione di viva disapprovazione. — Era ora. — Il serperite
volante si sistemò sulla spalla del suo padrone ma evitò il suo
sguardo.
— Questo sì che è un animaletto interessante — commentò
Lauren Walder, senza ritrarsi istintivamente davanti al mini-
drago come facevano la maggior parte degli estranei. Un altro
punto a suo favore, pensò Flinx. — Dove ha trovato una crea-
tura come quella, su Falena?
— In un mucchio di spazzatura — disse Flinx, — il che è quello
che poi è diventato. Alcuni giorni fa ha mangiato troppo e non
ha ancora digerito tutto.
— Stavo giusto per dire che sembra molto più agile di quanto
desse a intendere quell'atterraggio. — Lo guidò intorno all'edi-
ficio principale. C'era una piccola insenatura e un secondo mo-
lo si allungava nel lago. Flinx non aveva potuto vederlo dalla
posizione in cui aveva parcheggiato la sua fangomobile.
— Ho detto che li avremo raggiunti. — Gli indicò il molo.
L'imbarcazione era un singolo arco convesso, ogni estremità
dell'arco si allargava all'infuori formando una chiglia di soste-
gno. La cabina era situata in cima all'arco e scavata dentro di
esso. Degli orifizi erano allineati lungo i fianchi di quello strano
catamarano. Flinx si chiese quale fosse il loro scopo. Dell'at-
trezzatura pesante, che assomigliava a delle gru, era appesa
agli angoli posteriori del ponte di poppa. Un'imbarcazione più
piccola ma somigliante alla prima oscillava sull'acqua là vicino.
Salirono su per una scala curva e Flinx si trovò a fissare
Lauren che si sfilava il fucile e prendeva posto sul seggiolino
del pilota. La donna parlò, mentre controllava dei quadranti e
faceva scattare alcuni interruttori. — Li raggiungeremo entro
un'ora — garantì a Flinx. — Una fangomobile è veloce, ma non
tanto veloce sull'acqua quanto questo. — Un sordo borbottio
dalla poppa dell'imbarcazione; l'aria sibilò dentro le prese mul-
tiple allineate lungo il fianco del battello, e il rombo s'intensifi-
cò.
Lauren toccò parecchi comandi addizionali, e le coppie ma-
gnetiche si disingaggiarono dal molo. Poi la donna fece scattare
un interruttore incassato sul lato del timone. Un tuono rim-
bombò nell'aria, facendo rabbrividire leggermente Pip. L'acqua
a poppa prese a ribollire come un geyser, quando poderosi getti
schizzarono fuori dagli ugelli sommersi nascosti dentro gli sca-
fi gemelli. L'imbarcazione schizzò in avanti, tagliando le onde.
Flinx era in piedi, vicino al seggiolino del pilota, e urlò, sopra
il ruggito del vento che investiva la cabina aperta: — Come fac-
ciamo a sapere da che parte sono andati?
Lauren si chinò sulla destra e fece scattare un paio d'inter-
ruttori sotto uno schermo circolare, che subito si animò. Parec-
chi punti luminosi, gialli, comparvero sulla trasparenza. —
Questo mostra l'intero lago. — Toccò altri comandi. Tutti i punti
gialli sullo schermo, tranne due, passarono al verde. — Imbar-
cazioni da pesca degli altri padiglioni che si trovavano intorno
al Patra. Tutte con una strumentazione compatibile. — Batté
sullo schermo con un'unghia. — Vede quei due che sono rimasti
gialli? In movimento e non organici, senza trasmettitori di se-
gnali in codice compatibili... Chi crede che siano?
Flinx non disse niente e si limitò a fissare lo schermo. Dopo
non molto si trovò a tenere lo sguardo fisso al di sopra di quella
prua che non era una prua. Gli scafi gemelli del catamarano a
getto trinciarono la superficie del lago quando Lauren aumentò
costantemente la loro velocità.
La donna fissava di tanto in tanto lo schermo. — Si stanno
muovendo piuttosto in fretta. Stanno spingendo le loro fango-
mobili al massimo. Puntano verso nord... è probabile che stiano
cercando di planare fino a Port Horakov. Dobbiamo rag-
giungerli prima che ritornino sulla terraferma. Questo nostro
battello non può procedere fuori dell'acqua.
— Ci riusciremo? — chiese Flinx, ansioso. — A prenderli, vo-
glio dire. — I suoi occhi scrutarono l'orizzonte spazzato dalle
nubi, cercando il bagliore rivelatore della luce del sole riflessa
dal metallo.
— Non c'è nessun problema — dichiarò la donna. — A meno
che non abbiano qualche motore speciale in quelle fangomobili.
Ma sono convinta che se li avessero, li avrebbero già usati.
— Che cosa accadrà quando li raggiungeremo?
— Cercherò di tagliargli la strada — lei disse, pensierosa. — Se
questo non li farà fermare, be', allora... — Indicò il fucile appog-
giato lì vicino. — Possiamo colpirli uno alla volta. Questo fucile
ha una massima precisione nel raggio d'un chilometro. I dardi
sono propulsi da cartucce di gas compresso e il fucile ha un mi-
rino telescopico che mi può consentire di piazzare un dardo
nell'orecchio di qualcuno, se risulta necessario.
— E se dovessero rispondere al fuoco?
— Non esiste una pistola paralizzante in grado di superare la
portata di questo fucile, per non parlare del fatto che una pi-
stola è imprecisa a tutte le distanze. I suoi effetti sono ben pre-
sto dispersi. Soltanto a distanza ravvicinata il suo effetto para-
lizzante è efficace sugli individui. O addirittura letale per i pic-
coli animali — aggiunse sempre più amara. — Se si arrenderan-
no, li porteremo a terra e li consegneremo alla guardia foresta-
le. E lei potrà aggiungere le sue accuse alle mie. I wervil sono
una specie in pericolo di estinzione e perciò protetta, su Fale-
na. Naturalmente, preferirei che quella feccia opponesse resi-
stenza, cosicché ci sia necessario difenderci.
Una tale sete di sangue in una donna così attraente non co-
stituiva una sorpresa per Flinx. L'aveva incontrata altre volte,
al mercato di Drallar. Erano soltanto le sue motivazioni che gli
risultavano nuove. Si chiese quanti anni avesse Lauren. Proba-
bilmente il doppio dei suoi, pensò, anche se era difficile preci-
sarlo con certezza. Le stagioni passate nel cuore della foresta
avevano indubbiamente impresso in lei una certa rusticità di
modi... un'asprezza che nessun quartiere malfamato in città
avrebbe potuto uguagliare. Era un tipo tutto diverso di rudez-
za. Flinx lo giudicò molto attraente.
— E se dovessero scegliere di arrendersi? — Sapeva che era
assai poco probabile, ma era curioso di sapere cosa Lauren pre-
vedesse per una simile eventualità.
— Come ho detto, li porteremo indietro con noi e li conse-
gneremo alla guardia forestale a Kalish.
Flinx fece un gesto brusco con la mano: — Potrebbe essere
imbarazzante per me.
— Non si preoccupi — replicò la donna. — Farò in modo che lei
non sia coinvolto. Quelli non hanno violato soltanto le leggi sul-
la caccia. Ricorda quell'ospite ferito? La signora Marteenson è
una donna malata. L'effetto del raggio paralizzante, su di lei,
potrebbe essere irreversibile. Perciò non sarà soltanto la fore-
stale a interessarsi a quella gente.
«In quanto a lei e a sua madre, voi due potete scomparire. Ma
perché è stata rapita? Per un riscatto?
— Non ha soldi — rispose Flinx. — Comunque non abbastanza
perché valesse la pena.
— Bene, dunque. Perché? — Gli occhi di Lauren rimanevano
puntati sullo schermo; solo di tanto in tanto si alzavano verso
il cielo cercando i segni della pioggia. Il catamarano a getto
aveva una copertura portatile che però, sperava, non avrebbe-
ro dovuto usare. Avrebbe reso la mira più difficile.
— È appunto quello che mi piacerebbe sapere — replicò Flinx.
— Forse riusciremo a scoprirlo quando li avremo raggiunti.
— Sì, dovremmo scoprirlo — ammise la donna, — anche se
non servirà a far resuscitare Sennar e Soba. Avrà indovinato,
a quest'ora, che la mia opinione sugli esseri umani è molto bas-
sa. Esclusi i presenti, ovviamente. Mi piacciono molto gli ani-
mali. Preferisco associarmi con loro. Un wervil non mi ha mai
tradito, e nessun'altra creatura della foresta, se è per questo.
Con un animale, sai qual è il tuo posto. È questo il motivo prin-
cipale per cui ho scelto questo tipo di vita.
— Conosco qualche altra persona che la pensa come lei — re-
plicò Flinx. — Non deve scusarsi.
— Non mi stavo scusando — ribatté lei, secca.
— Eppure lei dirige un padiglione per la caccia.
— Non per la caccia — precisò Lauren. — Per la pesca. Soltan-
to per la pesca e nient'altro. Noi non diamo alloggio ai cacciato-
ri, ma non possiamo impedire che altri padiglioni lo facciano.
— Allora, non ha compassione per i pesci? È una questione di
scaglie contro pellicce? Agli Aan non piacerebbe.
La donna sorrise. — Chi se ne frega di quello che pensano gli
Aan? In quanto al resto della sua argomentazione, è difficile
provar calore per un pesce. Ho visto i pesci di questo lago in-
ghiottire dei giovani wervil indifesi e altre creature innocenti
che avevano commesso l'errore di spingersi troppo avanti
nell'acqua. E anche se... se fosse proprio necessario — regolò un
comando sul cruscotto, — non sono sicura di preferire la com-
pagnia di un essere umano a quella d'un pesce.
— È semplice, allora — disse Flinx. — Lei è un'antisociale cro-
nica.
La donna scrollò le spalle con indifferenza. — Io sono io, Lau-
ren Walder, e sono contenta di essere quello che sono. Lei non
è contento di essere quello che è?
Il sorriso di Flinx svanì. — Non so ancora quello che sono. —
Abbassò lo sguardo e fissò ingrugnito lo schermo rilevatore,
concentrando la sua attenzione sui punti gialli in avvicinamen-
to che indicavano la loro preda.
Strano che un giovane come costui dica una cosa del genere,
pensò la donna. La maggior parte degli individui avrebbero
detto di non sapere chi erano. Un lapsus linguae. Ma lasciò
perdere l'argomento.
La distanza fra gli inseguiti e gli inseguitori diminuì rapida-
mente sullo schermo. Non ci volle molto perché Flinx, lo sguar-
do fisso a prua, fosse in grado di gesticolare tutto eccitato, ur-
lando: — Eccoli là!
Lauren strizzò gli occhi ma vide soltanto acqua e nubi, poi
abbassò lo sguardo sullo schermo: — Ha degli occhi incredibil-
mente acuti, Flinx.
— È uno dei requisiti indispensabili per sopravvivere a Dral-
lar — lui spiegò.
Un attimo più tardi anche Lauren vide le fangomobili che
correvano sfiorando le onde sempre dirette verso la sponda
settentrionale. Nello stesso tempo, quelli a bordo delle fango-
mobili reagirono alla comparsa del catamarano inseguitore.
Accelerarono, e per qualche istante scomparvero di nuovo alla
loro vista. Lauren aumentò la velocità. Questa volta le fango-
mobili non poterono più distanziare la barca a getto.
La donna annuì leggermente. — Proprio come pensavo. Mo-
tori standard da fangomobili, niente sorprese. Credo proprio
che non ci nascondano niente. — Gettò un'occhiata ai suo com-
pagno. — Pensa d'esser capace di guidare quest'affare per un
po'?
Flinx aveva passato tutta la mezz'ora precedente a studiare i
comandi, oltre che le immagini sullo schermo. La strumenta-
zione era più complessa di quella della sua fangomobile. E lui
era abituato a guidare soprattutto sulla terraferma. — Penso di
sì — disse ugualmente. Quello non era il momento di mostrarsi
eccessivamente cauto.
— Bene. — La donna scivolò fuori dal seggiolino del pilota e
aspettò fino a quando Flinx non si fu sistemato al suo posto ed
ebbe assunto la guida. — È molto sensibile — lo ammonì, indi-
cando il comando del timone. — E alla velocità alla quale stia-
mo andando anche un leggero giro ci manderebbe a schizzare
in tutt'altra direzione. Perciò faccia attenzione.
— Me la caverò — lui l'assicurò. Percepiva le vibrazioni del
motore attraverso il timone. Una sensazione esilarante.
Un lampo di luce si levò d'un tratto dalle fangomobili in fuga,
ma si dissipò ben presto lontano dalla prua dell'imbarcazione a
getto. Flinx mantenne la distanza fra le fangomobili e il cata-
marano. Il lampo si ripeté, ma non fece più danni alla barca di
quanti ne avrebbe fatti il raggio d'una torcia elettrica.
— Non hanno armi a lunga gittata — mormorò Lauren. — Se le
avessero, a quest'ora le avrebbero già usate. — Flinx vide che
stava sollevando il fucile a dardi... un fucile alto quasi quanto
lei. Lo sistemò sopra un supporto e si curvò in avanti a sbircia-
re attraverso il complesso mirino telescopico. In quella posi-
zione, l'arma assomigliava più a un piccolo cannone che a un
fucile.
Altri due lampi di luce furono sparati dalle fangomobili, futili
stilettate contro l'imbarcazione che li inseguiva. — Riesco a ve-
dere quegli individui — annunciò Lauren, continuando a scru-
tare attraverso il mirino. — Sembrano confusi. È comprensibi-
le. Vedo soltanto armi portatili. Due di loro sembrano litigare.
Non credo si aspettassero questo tipo d'inseguimento.
— Non si aspettavano neppure di vedermi comparire in sala
da pranzo — dichiarò Flinx, fiducioso. — Ci scommetto che sono
confusi!
La donna distolse per un attimo gli occhi dal mirino. — È
davvero sicuro che non si aspettassero che lei li inseguisse?
— Ne dubito. Altrimenti non sarei mai arrivato tanto vicino a
loro.
La donna ebbe un breve borbottio di commento e riportò gli
occhi sul mirino. — A questa distanza posso centrargli i denti.
— Mosse leggermente il fucile. — Non faccia ballare il catama-
rano, per favore. — Schiacciò il pulsante che si trovava al posto
del regolamentare grilletto. Il fucile esalò un pfut! e qualcosa di
minuscolo ed esplosivo schizzò fuori dalla sua bocca.
— Colpo di avvertimento — spiegò Lauren a Flinx. — Ecco...
qualcuno sta estraendo il dardo. L'ho piazzato sul dorso del
seggiolino del pilota. Adesso gli si stanno raccogliendo intorno
per studiarlo... eccetto il guidatore, naturalmente. Adesso si
sono tutti voltati a guardare verso di noi. Uno di loro tiene due
mani su una vecchietta. È tua madre?
— Ne sono sicuro — fece Flinx con voce tesa.
— Sta dando del filo da torcere all'individuo che la trattiene,
sta cercando di morderlo, di tirargli calci, anche se sembra che
abbia le caviglie legate.
— È lei senza dubbio. — Flinx non riuscì a reprimere un sog-
ghigno. — Adesso, cosa stanno facendo?
Lauren corrugò la fronte. — Uh, uhm... stanno sollevando una
specie di schermo trasparente. Adesso, sopra il primo schermo
hanno sollevato anche la normale cupola del veicolo. La cupola
possiamo penetrarla. Ma non so se riusciremo a farlo con quel-
la specie di schermo. Be', non è un problema. Si porti a babor-
do.
— A babordo? — ripeté Flinx.
— Alla sua sinistra — precisò la donna. — Gli passeremo avan-
ti e gli taglieremo la strada. Forse, quando vedranno che non
soltanto possiamo raggiungerli ma anche descrivere dei cerchi
intorno a loro, saranno disposti ad ascoltare la voce della ra-
gione.
Obbediente, Flinx ruotò il timone alla sua sinistra e sentì il
catamarano che reagiva all'istante.
— Benissimo, e adesso ritorni verso tribor... alla sua destra,
non troppo rapidamente.
L'imbarcazione lasciò un'ampia scia di schiuma a questa ma-
novra.
D'un tratto, tutto cambiò. Un nuovo suono, un nuovo sordo
ronzio, divenne udibile.
— Maledizione! — esclamò Lauren, con rabbia e delusione in-
dicando verso l'alto. Lo sguardo di Flinx balzò verso le nuvole.
Il fluttuante che era sbucato dall'orizzonte settentrionale era
di dimensioni piuttosto grosse; era senz'altro grande abba-
stanza da contenere un proprio equipaggio oltre agli occupanti
delle due fangomobili. Se c'era ancora qualche dubbio sulle in-
tenzioni del fluttuante, questo venne ben presto eliminato
quando il versatile velivolo scese rapidamente, compì una pri-
ma curva e si dispose sopra la prima fangomobile cercando di
uguagliare la velocità del veicolo più piccolo.
— Se salgono a bordo lassù, li perderemo per sempre —
esclamò Flinx preoccupato. — Non potremmo colpirli man ma-
no cercano di trasbordare? — Già l'equipaggio del fluttuante
aveva eguagliato la velocità della fangomobile e stava sroto-
lando una scaletta flessibile verso l'acqua.
Lauren tornò a curvarsi sopra il fucile. Le sue dita esitarono
sopra il pulsante; poi, inaspettatamente, si tirò indietro e pic-
chiò con rabbia sul calcio del fucile. — Bella gente. Tengono sua
madre vicino alla base della scaletta. Non posso sparare senza
rischiare di colpirla.
— Cosa facciamo? Non possiamo continuare a girargli in-
torno così!
— Come faccio a saperlo? — La donna abbandonò il fucile e
corse vero l'armadietto nel mezzo dell'imbarcazione che fun-
geva da magazzino. — Fangomobili, pistole paralizzanti, rapi-
mento, e adesso un fluttuante inviato dal nord. Ma chi è mai
questa gente?
— Non lo so — sbottò Flinx di rimando. — Gliel'ho già detto che
non capisco niente di tutto questo. — Esitò, cercando insieme di
guardarla e di manovrare in modo che la barca a getto conti-
nuasse a girare intorno alle fangomobili che stavano ancora
marciando e al fluttuante che si librava sopra di esse. — Cosa
faremo adesso?
Il congegno che Lauren aveva estratto dall'armadietto era
lungo quanto il fucile a dardi ma assai più stretto. — Quando
darò l'ordine — disse con voce tesa, — voglio che lei gli si pre-
cipiti addosso, salvo farsi da parte all'ultimo momento. Non
credo che si aspettino che tentiamo di speronarli. Sono troppo
impegnati a trasferirsi sul fluttuante.
— Cosa ha in mente di tentare? — chiese Flinx, incuriosito. —
Paralizzare il fluttuante?
— Con un fucile a dardi? Vuole scherzare? — sbuffò la donna.
— Faccia come le ho detto e basta.
— Fintanto che quanto dice continuerà ad avere senso — con-
cordò Flinx, un po' seccato dal suo tono.
— Sta sprecando tempo. Lo faccia!
Flinx diede un'energica virata al timone. Il catamarano ruotò
sulla superficie del lago con tanta violenza che lo scafo di ba-
bordo si sollevò fuori dell'acqua. Entro pochi istanti si tro-
varono a filare contro la fangomobile e il fluttuante che si li-
brava sopra di essa. L'attività su entrambi gli apparecchi s'in-
tensificò notevolmente quando fu chiaro che il catamarano sta-
va puntando dritto contro di essi. Come Lauren aveva sospet-
tato, l'ultima cosa che i loro avversari si erano aspettati era un
attacco frontale in piena regola. Un paio di colpi passarono die-
tro al catamarano che avanzava come un turbine, sparati in
fretta e mal mirati.
— Tutta a babordo! — urlò Lauren sopra il rombo del motore.
Gli individui a bordo della fangomobile si erano raggomitolati
su se stessi in previsione d'una collisione. Flinx gravò sul ti-
mone con tutto il suo peso. Col motore che urlava, il catama-
rano girò a sinistra, facendo quasi affogare quelli che avevano
cominciato ad arrampicarsi su per la scaletta verso il fluttuan-
te.
Lauren doveva aver spaiato almeno una volta, pensò Flinx
mentre il catamarano si allontanava sfrecciando. Ruotò il ti-
mone e descrivendo un ampio arco tornò a puntare verso il
bersaglio. Con sua sorpresa, la donna ripose nell'armadietto la
sua arma dall'insolito aspetto e tornò accanto al fucile a dardi
appoggiato al suo supporto. — Adesso torniamo all'attacco e
spariamo i nostri colpi migliori — dichiarò.
— Un fucile a un solo colpo? — mormorò Flinx. — Non ho nep-
pure udito lo sparo. Era quello lo scopo della nostra carica da
folli? — insisté, lottando con il timone.
— Quella carica era la nostra assicurazione, Flinx. — Lauren
gli indicò l'armadietto in cui aveva riposto l'arma sottile. —
Quel fucile è un marchiatore. Noi di solito lo usiamo per aiutar-
ci a rintracciare i pesci feriti che hanno lacerato le nostre reti.
— Gli indicò il fluttuante con un cenno del capo. — Credo di
averlo colpito due volte. Quel fucile spara capsule che con-
tengono una gelatina altamente sensibilizzata. È un legante
epossidico che aderisce a qualunque cosa al solo contatto, e
non è solubile in acqua. Fintanto che non penseranno di con-
trollare il ventre del loro fluttuante alla ricerca di eventuali
danni, e non c'è motivo che lo facciano poiché il velivolo fun-
ziona perfettamente, non vedranno mai la gelatina. Tanto più
che è trasparente. Adesso potremo seguirli.
— Certamente non con questa imbarcazione.
— No. Ma abbiamo un fluttuante al padiglione. Ci sarebbe vo-
luto troppo tempo per prepararlo, altrimenti adesso saremmo
a bordo di quello invece che di questa barca. Quanto vorrei che
lo fossimo! Tuttavia non c'era nessun motivo di aspettarsi che
un fluttuante si facesse vivo all'improvviso in loro aiuto. — Gli
indicò con un gesto la fangomobile, poi riprese:
— Fintanto che non ci distaccheranno troppo, saremo sempre
in grado di seguirli... proprio come abbiamo fatto finora con
questo catamarano. Ma se riuscissimo a fargli del male già
adesso... — Guardò un'altra volta attraverso il mirino tele-
scopico. — Ah, hanno trasportato su sua madre con un paran-
co. Legata mani e piedi. Sono certa che non gli ha reso la vita
facile.
— Non è il tipo — rispose Flinx in tono affettuoso.
— Tiro libero, adesso — disse a sua volta Lauren con voce de-
liziata. Un fortissimo «bip» scaturì dall'unità rivelatrice.
— Cos'è stato? — fece Flinx, rivolgendo un'occhiata perplessa
al congegno.
Lauren lanciò un'imprecazione e si staccò dal fucile. Una ra-
pida occhiata allo schermo, e Flinx si trovò scaraventato fuori
dal seggiolino del pilota senza tante cerimonie. Cadde sul ponte
con un duro colpo al fondo della schiena.
— Ehi, cos'è...?
Ma Lauren non lo stava ascoltando. Si era aggrappata al ti-
mone e lo stava ruotando con violenza a tribordo. Flinx si af-
ferrò freneticamente a qualcosa mentre il catamarano s'inga-
vonava, piegandosi mostruosamente sul fianco col rischio di
capovolgersi. Riuscì giusto a vedere lo scafo di babordo che si
sollevava al di sopra della superficie del lago mentre qualcosa
d'immenso e colorato d'argento sui fianchi erompeva fuori
dall'acqua azzurra.

Fracasso e urla giunsero dalle fangomobili e dal fluttuante.


Una violenta ondata quasi colse in pieno l'imbarcazione a getto:
soltanto l'abilità e l'esperienza di Lauren riuscirono a tenerla a
galla.
Flinx vide una sterminata dorsale argentea chiazzata di
macchie dorate che risplendevano alla diffusa luminosità del
giorno. Pareva un flauto gigantesco emerso da sotto le onde, e
trasformò in un arcobaleno il diffuso bagliore solare. Poi scom-
parve, non si cristallizzò lì per sempre come Flinx aveva pen-
sato. Il violento rigurgito scosse violentemente il catamarano
un'altra volta quando il mostro s'immerse. Flinx si tirò su con
uno sforzo là dove avrebbe potuto sbirciare sopra l'orlo del
compartimento della cabina.
Le due fangomobili erano completamente scomparse, ri-
succhiate giù in un singolo boccone da qualunque cosa fosse
quella creatura materializzatasi dagli abissi del lago. E soltan-
to per un soffio il fluttuante non aveva seguito le fangomobili
nel grande golfo di quella bocca. Si librava sopra il tratto di la-
go turbinante e schiumoso, dove gli altri apparecchi si erano
trovati solo un istante prima. Poi, qualcuno all'interno del flut-
tuante dovette prendere una decisione giacché il velivolo si sol-
levò di un'altra ventina di metri verso le nubi e accelerò fulmi-
neamente verso nord.
— Se ne stanno andando! — urlò Flinx. — Dobbiamo tornar
subito al padiglione, prendere il fluttuante di cui ha parlato, e
affrettarci a seguirli prima che...
— Prima dobbiamo uscir vivi di qui. — Lauren fece seguire al-
la sua dichiarazione un'altra imprecazione mentre le sue mani
forzavano il timone. La montagna d'argento tornò a sollevarsi
dal lago subito a tribordo del catamarano. Flinx ebbe lo sgradi-
tissimo privilegio di contemplare l'interno d'un paio di fauci
grandi abbastanza da ingoiare parecchie fangomobili in un sol
boccone. O catamarani. Le mascelle tornarono a chiudersi,
mandando ad abbattersi sulla falchetta un enorme getto
schiumoso. Il mostro era così vicino che Flinx poté odorarne
l'orrendo alito. Poi il colossale pesce riaffiorò nell'acqua ribol-
lente dietro il catamarano.
Qualcosa si mosse sulla sua spalla. Sollevò prontamente la
mano per afferrare la piccola forma muscolosa che si stava
srotolando. — No, Pip! Stai calmo... questo è troppo grosso, per-
fino per te. — Il serpente alato lottò per un attimo prima di ri-
lassarsi. Alzò e abbassò nervosamente la testa, tuttavia, perce-
pendo una grave minaccia non soltanto per il suo padrone, ma
per lui stesso. Comunque, rispose alla pressione delle dita di
Flinx che lo trattenevano e restò dove si trovava.
Il penestral, il pesce colossale, colpì, frustando con rabbia il
punto in cui il catamarano si era trovato solo pochi istanti pri-
ma. Grazie al rilevatore che aveva tempestivamente avvisato
Lauren dell'avvicinarsi di quell'incubo, furono in grado di evi-
tare i suoi attacchi impetuosi.
— Non possiamo andare avanti così — commentò infine Lau-
ren. — Continuerà a girarci intorno finché non commetterò un
errore. E poi ci prenderà, allo stesso modo in cui ha preso que-
gli sciagurati rimasti in trappola su quelle fangomobili. — Stu-
diò con molta attenzione il rilevatore. — Adesso ci sta girando
intorno, cercando d'impedirci di raggiungere le acque basse e
la sponda. Lasceremo che si convinca che siamo diretti da
quella parte. Poi faremo dietro-front, tornando a dirigerci ver-
so l'acqua alta.
— Perché
La donna ignorò la sua domanda. — Non le importava quando
l'ho spinta via dal seggiolino del pilota pochi minuti fa, vero?
Ecco, il timone è di nuovo tutto suo. — La donna abbassò un
braccio e in parte lo tirò, in parte lo guidò sul seggiolino del pi-
lota. — Basta così. — Lauren girò il timone, virando completa-
mente di bordo; la barca parve quasi ruotare sul suo asse.
Flinx afferrò il timone.
— Adesso c'inseguirà apertamente, invece di aspettarci al
varco da sotto, e cercherà di colpirci da poppa. Continui a diri-
gere verso il centro del lago e mi faccia sapere quando il segna-
le sta per toccare quel cerchio graduato interno. — Gli indicò il
punto luminoso sullo schermo, che si stava avvicinando al ca-
tamarano da dietro.
— Ma non dovremmo...?
Non lo stava ascoltando mentre si dirigeva verso le due
strutture a forma di gru che sporgevano sul lato posteriore
dell'imbarcazione. Si sedette dietro una di queste, la fece ruo-
tare verso l'esterno cosicché il braccio metallico fosse sospeso,
libero, sopra l'acqua. Poi controllò i comandi.
— Quando glielo dirò — gli gridò Lauren sopra il rombo del
motore e il rigurgito delle ondate, — si porti tutto a babordo.
Vale a dire a sinistra.
— Si, me lo ricordo — rispose Flinx. La sua attenzione era in-
chiodata al rilevatore. — È tremendamente vicino.
— Bene. — La donna con molta attenzione prese posizione sul
sedile e schiacciò un pulsante. Delle braccia flessibili si chiu-
sero di scatto alla sua vita e ai fianchi, sulle spalle e sulle gam-
be. In tal modo si trovò inchiodata al sedile in una sorta di boz-
zolo a strisce.
— Tremendamente vicino — ripeté Flinx.
— Non sono ancora pronta — mormorò la donna. — Un pesca-
tore dev'essere paziente. — L'acqua a poppa cominciò a ribolli-
re, una perturbazione assai più diffusa di quella che poteva
venir prodotta da una pura e semplice imbarcazione. — Ades-
so! — gridò.
Flinx ruotò di scatto il timone a sinistra. Nel medesimo istan-
te la superficie del lago esplose dietro di loro. Con entrambe le
mani sul timone, non c'era niente che Flinx potesse fare, fuor-
ché gridare, mentre Pip lasciava il suo posatoio e si lanciava
nell'aria. Un'esplosione soffocata echeggiò a poppa, e un attimo
più tardi fu raggiunto dal rumore del tonfo dell'arpione che
colpiva il penestral appena sotto una delle pinne simili ad ali
che proteggevano le sue branchie.
Il mostro in elevazione proiettò tutt'intorno cascate d'acqua
dal punto in cui il catamarano si era trovato prima che Flinx lo
facesse filar via, urlante, con quella virata tutta a destra. Un
lontano cramp raggiunse la superficie quando la carica a scop-
pio ritardato dell'arpione esplose dentro le interiora del pene-
stral. Il cavo multiplo si srotolava da un tamburo all'interno
dello scafo, uno strato di gel eliminava il pericoloso formarsi di
calore là dove il cavo sfregava il ponte.
— Spenga il motore — giunse l'ordine da poppa.
— Ma allora non avremo nessuna... — cominciò a protestare
Flinx.
— Lo faccia — ribadì la donna.
Flinx sospirò. Lui non era un buon nuotatore. Tirò indietro
l'acceleratore fino a quando la loro velocità non fu ridotta a ze-
ro. Il motore andò in folle, il catamarano cominciò a muoversi
in senso inverso. Gli scafi gemelli erano appuntiti a poppa co-
me a prua, e la barca si mosse senza difficoltà nell'acqua men-
tre veniva rimorchiata all'indietro. Il cavo multiplo rallentò la
velocità di srotolamento che fino a quell'istante ne aveva fatto
una macchia confusa, al punto che Flinx fu in grado di contare
i contrassegni delle distanze mentre scorreva giù dalla barca.
Nel frattempo Lauren aveva ricaricato il cannone e stava stu-
diando attentamente la superficie.
La donna gli gridò: — Dov'è il penestral?
— Si sta ancora muovendo davanti a noi, ma credo che stia
rallentando.
— C'è da aspettarselo. Tenga la mano sull'acceleratore e sul
timone.
— Rallenta ancora — l'informò Flinx. — Rallenta, rallenta...
non riesco più a vederlo. Credo che sia sotto la barca!
— Via! — urlò la donna. Ma a quel punto non c'era più bisogno
di dire a Flinx quello che doveva fare; aveva già spinto in avan-
ti al massimo il comando dell'acceleratore. L'imbarcazione a
getto ruggì, schizzando via attraverso il lago. Un istante più
tardi un nuovo geyser proruppe dietro a loro mentre il pe-
nestral cercava d'inghiottire il cielo. Flinx sentì il cannone che
sparava il secondo arpione.
Questa volta il penestral fu colpito subito dietro un occhio
(simile a un cristallo grande come lo specchio d'un telescopio).
Ricadde dentro l'acqua come una scena in tre-D fatta scorrere
alla rovescia, sollevando gigantesche onde sulle quali il cata-
marano in ritirata cavalcava senza difficoltà. Le onde erano
pareggiate in frequenza, se non in intensità, dalle palpitazioni
allo stomaco di Flinx.
Questa volta il pesce non riaffondò negli abissi. Rimase in su-
perficie sferzando convulsamente l'acqua.
— Riportaci indietro girando intorno — ordinò Lauren a
Flinx. Sudava profusamente mentre caricava il cannone ad ar-
pioni per la terza volta. Soltanto il sistema di caricamento au-
tomatico faceva sì che fosse possibile per una singola persona
maneggiare la pesante asta metallica e la sua carica esplosiva.
Questo terzo arpione era lettermente più piccolo e più sottile
dei due che l'avevano preceduto. Mentre il catamarano tor-
nava a virare verso il penestral, Flinx sentì l'arma sparare di
nuovo. Passarono parecchi minuti. Il penestral smise di lottare
e cominciò ad affondare.
Lauren toccò un altro pulsante. Si udì un ronzio quando un
compressore all'interno del catamarano prese a funzionare,
pompando aria attraverso il cavo di plastica che correva fino
all'asta cava dell'ultimo arpione. La donna si liberò dai bracci
flessibili che la tenevano imprigionata al seggiolino e cominciò
a sorvegliare il riavvolgimento del cavo che avrebbe tirato sot-
to bordo quella preda colossale. — L'aria lo farà galleggiare per
giorni — commentò con calma, scambiandosi ancora una volta
di posto con Flinx.
— Perché darsi tanta pena? — Flinx fissò quella montagna dai
fianchi argentei che si stava gonfiando e veniva trainata al
fianco del catamarano.
— Potresti aver ragione, non è poi un gran pesce. Scommetto
che non è più lungo di quindici metri. — Flinx la guardò a bocca
spalancata. — Ma c'è gente affamata a Kaslin e nelle altre città
a sud del lago, e il penestral rappresenta un buon cibo. È carne
di pesce magra, non grassa. Ne faranno buon uso. Quello che
non mangeranno, lo lavoreranno per rivenderlo ancora più a
sud. Buona parte del ricavato andrà al padiglione.
«Inoltre abbiamo degli ospiti che alloggiano da noi e vengono
regolarmente al Patra, due volte all'anno per molti anni, e che
in tutto questo tempo non hanno mai visto niente di più grande
d'un pesciolino da cinque metri. La prima volta che lei viene
qui... e ha già partecipato a una partita di pesca. Dovrebbe sen-
tirsi orgoglioso.
— Non l'ho catturato io — si affrettò a correggerla Flinx. — È
stata lei.
— Mi spiace, da queste parti la modestia non è permessa. Cat-
turare anche soltanto un penestral costituisce uno sforzo in
cooperazione. Saper schivare un penestral è importante quan-
to sparargli col cannone. Altrimenti saremmo noi a finire sulla
sua parete dei trofei. — Puntò un pollice verso la massa gonfia
adesso assicurata al fianco del catamarano.
Un peso si adagiò con delicatezza sulla spalla sinistra di
Flinx. — Avevo sperato che non ti fosse venuto in mente di an-
dare ad attaccarlo — disse al minidrago, mentre questi gli av-
volgeva intorno al braccio le sue spire multiple. — Fa piacere
constatare che hai qualche istinto di autoconservazione. — Il
serpente volante lo fissò incuriosito, poi chiuse gli occhi e si ri-
lassò.
Flinx ispezionò quanto poteva vedere del penestral, mentre
l'imbarcazione a getto tornava a dirigersi verso la sponda sud.
— Quella gente delle fangomobili... non aveva una sola possi-
bilità di cavarsela.
— Non avranno neppure saputo cosa li ha colpiti — convenne
Lauren. — Sono sicura che non avevano a bordo nessun appa-
recchio rilevatore. Non ne avevano il motivo. Ma se il nostro ri-
levatore fosse stato guasto, avremmo fatto compagnia alle fan-
gomobili nel ventre del penestral
Per lo meno una morte veloce, pensò Flinx. La morte era una
visitatrice frequente per gli sprovveduti che osavano bazzicare
nel mercato di Drallar, perciò la cosa non gli era estranea. Il
pensiero della morte gli ricordò Mamma Mastino. La sua in-
sistenza nell'inseguirli avrebbe fatto decidere ai suoi rapitori
che non valeva più la pena tenere la vecchia? Cosa potevano
avere in mente per lei, adesso che la sua presenza aveva finito
per causare la morte a un certo numero di loro? Decise che
certamente non l'avrebbero uccisa sui due piedi. Si erano già
dati tanta pena con lei... Ma questo pensiero lo fece sentire an-
cora più preoccupato.
Eccitata dalla lotta appena conclusa, la voce di Lauren suonò
un po' acuta e fremente. Sì, aveva dei buoni motivi per essere
col fiato corto, pensò Flinx.
— Flinx, uno di questi giorni, dopo che avremo concluso que-
sta faccenda, dovrà tornare quassù. La condurrò al lago Ho-
zingar oppure all'Utuhuku. Quelli sì che sono laghi di ri-
spettabili dimensioni, e ospitano pesci davvero grossi. Non co-
me il nostro povero, piccolo Patra. Sull'Hozingar potrà cono-
scere l'autentico significato dell'appellativo Azzurro-che-
Accieca.
Flinx contemplò l'immensa carcassa fissata al fianco del ca-
tamarano, confrontandola con le ultime parole di Lauren. — So
che ci sono laghi più grandi di questo, ma non avrei mai cre-
duto che ci fossero penestral ancora più grandi.
— Oh, il penestral è un predatore di mezza tacca — replicò la
donna. — Sull'Hozingar non si va per pescare il penestral. Si
pesca l'oboweir.
— E cos'è un oboweir? — chiese Flinx.
— Un pesce che si nutre abitualmente di penestral.
— Oh — disse Flinx, e ammutolì. Si sforzò invano di dilatare la
sua immaginazione fino a creare un'immagine della creatura
che Lauren aveva evocato.

Una folla numerosa era in attesa per accoglierli, quando at-


traccarono al molo del padiglione. Lauren aveva ormeggiato il
penestral gonfiato a una boa situata nelle vicinanze. La carcas-
sa era troppo impregnata d'acqua per esser subito portata a
terra.
Flinx sgusciò tra gli ospiti osannanti, lasciando che fosse
Lauren a rispondere alle domande. Parecchi dei suoi dipenden-
ti lottarono per aprirsi la strada fino a lei, aggiungendo altre
domande. Alla fine, la folla cominciò a disperdersi, alcuni per
far ritorno alle proprie stanze, altri per restare a guardare, a
bocca spalancata, il pesce che galleggiava pigramente sulla su-
perficie del lago.
Flinx, con un sospiro di sollievo, si lasciò infine crollare su
una poltrona della veranda intorno all'edificio principale. —
Quanto vuole per l'uso del fluttuante e del rilevatore? — chiese
a Lauren quando questa fu infine in grado di raggiungerlo. — E
sarà anche necessario che mi mostri come usarlo, natural-
mente.
Lei lo fissò corrugando la fronte. — Non sono sicura di capire
quanto dice, Flinx.
— Gliel'ho detto, continuo a inseguirli. Lei me l'ha reso possi-
bile, ed io gliene sono molto grato.
La donna lo fissò pensierosa. — La direzione si metterà a ur-
lare quando scopriranno che ho tirato fuori il fluttuante per
uso personale. Sono macchine assai più costose d'un catamara-
no a getto o d'una fangomobile. Dovremo fare molta attenzione
a non danneggiarlo.
Flinx non l'ascoltava ancora, la sua mente brulicava di pro-
getti per inseguire i rapitori. — Non so come potrò ripagarla
per tutto questo, Lauren.
— Non si preoccupi. La parte di guadagno che spetta al pa-
diglione per la vendita del penestral dovrebbe coprire tutte le
spese. Su, si tolga da quella sedia insieme al suo serpente. Dob-
biamo attrezzarci. Di solito il fluttuante viene usato per dei
brevi tragitti fra qui e Attock. È la che andiamo a prelevare i
nostri ospiti. Dovremo immagazzinare un po' di cibo, natural-
mente, e voglio accertarmi che il motore sia caricato al massi-
mo. E se non mi prenderò dieci minuti per pettinarmi, morirò.
— Diede uno strattone alla capigliatura aggrovigliata dal vento
del lago.
— Un momento. — Toccò a Flinx, adesso, alzarsi di scatto dal-
la poltrona e allungare una mano per trattenere la donna. —
Credo che lei abbia capito male. Non vorrà dire, per caso, che
intende venire con me?
— Lei non sa come usare le apparecchiature di rilevamento —
gli fece notare Lauren.
— Non mi sarà difficile impararlo — le garantì Flinx, fidu-
cioso. — Non mi ci è voluto molto a capire la manovra del ca-
tamarano, no?
— Lei non conosce il paese.
— Non m'interessa il paese — ribatté Flinx. — Non sto parten-
do per una gita turistica. È a questo che serve il rilevatore, no?
Mi presti tutto ciò che è necessario. In qualche modo la ripa-
gherò. Mi lasci il rilevatore e mi dia un rifornimento d'energia
per la mia fangomobile, se è preoccupata per il fluttuante.
— Lei sta dimenticando i miei wervil. Inoltre, non può in-
seguire un fluttuante con una fangomobile. Cosa potrebbe fare,
se dovesse imbattersi in un canyon?
— Non vorrà certo rinunciare al suo lavoro, qui — obbiettò
Flinx, tentando un diverso approccio, — soltanto per tentar di
vendicare la morte d'un paio di animaletti che le erano cari?
— Gliel'ho detto, i wervil sono una specie minacciata, su Fa-
lena. E le ho anche detto ciò che provo per gli animali.
— Lo so — protestò Flinx, — ma questo non vuol dire che...
La donna interruppe le sue proteste allungando una mano
per scompigliargli i capelli. — Sa, lei mi ricorda un altro wervil
che ho curato una volta, anche se non aveva un pelo splenden-
te quanto il suo. Abbastanza uguale, comunque. — Tacque, poi
riprese in tono più serio: — Flinx, non mi piace quella gente,
chiunque essi siano. Non mi piacciono per quello che le hanno
fatto, e non mi piacciono per quello che hanno fatto a me. Pro-
prio per questo, aiuterò lei oltre ad aiutare me stessa. Giacché
li inseguirei lo stesso, anche se lei non ci fosse, per Sennar e
Soba.
«Non si sforzi di rifiutare un po' d'aiuto che le fa molto co-
modo e non mi propini quell'arcaica sciocchezza che non mi
vuole con lei perché sono una donna.
— Oh, non si preoccupi — replicò Flinx con vivacità. — L'ulti-
ma cosa che tenterei d'infliggerle sarebbero proprio quelle
sciocchezze arcaiche.
Questo la fece esitare per un attimo, incerta se stesse scher-
zando o meno. — Ad ogni modo — aggiunse Lauren, — se non
potrò venire (ma non sarà lei a impedirmelo) allora non potrà
andare neppure lei. Giacché io sono la sola che abbia accesso al
fluttuante.
Flinx non ebbe difficoltà ad arrendersi. — Non ho tempo di
discutere con lei.
— E anche il buon senso di non farlo, credo. Ma ha ragione,
per quanto riguarda il tempo. Il rilevatore dovrebbe indivi-
duare subito il gel sensibile sotto il loro fluttuante, ma non
spingiamo troppo al limite la nostra fortuna. Non so che razza
di fluttuante usassero. Non ne avevo mai visto prima uno simi-
le, così non ho nessuna idea se sia più veloce del normale. An-
diamo insieme, allora?
— Insieme. Ma a due condizioni, Lauren.
Ancora una volta la donna lo guardò corrugando la fronte.
Proprio quand'era convinta di poter prevedere le sue azioni,
quel ragazzo tornava a far qualcosa che la coglieva di sorpresa.
— Le dica, allora.
— Primo: che Pip continui a tollerarla. — Accarezzò con affet-
to la nuca del serpente volante, che sollevò la testa deliziato da
quelle attenzioni. — Vede, anch'io provo intensi sentimenti nei
confronti degli animali.
— E l'altra condizione? — insisté la donna.
— Semmai dovesse toccarmi di nuovo i capelli in quel modo,
sarà meglio si prepari a ricevere un calcio nel suo adorabile
sedere che la spedirà dritta al polo. Le vecchie signore mi han-
no riservato questo trattamento sin da quando riesco a ricor-
dare, e ne ho le scatole piene!
Lauren lo guardò, sogghignando. — Affare fatto, allora. Sono
contenta che il suo serpente non sia ipersensibile quanto lei.
Andiamo. Devo lasciare un messaggio per i miei superiori nel
caso in cui mi chiamino e vogliano sapere non soltanto dov'è il
loro fluttuante, ma anche il direttore del loro padiglione.
Quando informò il vicedirettore del padiglione, costui mostrò
un vivo turbamento. — Ma cosa dirò a Kilkenny, se chiamerà
da Attok? E se avesse degli ospiti da mandar su?
— Non aspettiamo nessuno per un'altra settimana, e lo sai,
Sal. Digli quello che vuoi. — Stava sistemando degli oggetti den-
tro uno zainetto, mentre parlava. — No, digli che sono andata a
soccorrere un viaggiatore in difficoltà in mezzo al lago. È una
scusa accettabile in qualunque circostanza.
Il vicedirettore guardò Flinx che aspettava con impazienza,
tenendo stretto Pip sotto la mascella e tenendo lo sguardo fisso
verso il lago. — A me non pare granché in difficoltà.
— La sua difficoltà è ben nascosta — ribatté Lauren. — Il che è
più di quanto si possa dire per te, Sal. Sono sorpresa di te. Tor-
neremo molto presto.
— Uh-uhm. È soltanto che non so dir bene le bugie, Lauren.
Lo sai.
— Fai del tuo meglio. — Lo gratificò d'un affettuoso buffetto
sulla guancia. — E non ti sto mentendo... è davvero nei guai.
— Ma il fluttuante, Lauren.
— Hai sempre le fangomobili del padiglione, e il catamarano.
Salvo una qualche impensabile catastrofe, non vedo per quale
ragione dovresti aver bisogno del fluttuante. È qui soltanto per
venir usato in caso di emergenza. Secondo me — indicò Flinx
con un gesto della mano, — questa è un'emergenza.
Il vicedirettore misurò un calcio a un sasso invisibile. — Sei
tu che rischi il collo...
— Sì. Il mio collo.
— Supponi che mi chiedano da che parte sei andata?
— Digli che ero diretta... — Un colpo di tosse l'interruppe. Girò
lo sguardo su Flinx e lentamente annuì. — Digli che dovevo at-
traversare il Patra.
— Ma da che parte?
— Fino alla riva opposta, Sal.
— Oh, d'accordo, ho capito. Hai le tue buone ragioni per farlo,
immagino.
— Immagino di averle, sì. E se dovessi sbagliarmi... be', tu non
hai sempre desiderato d'essere il direttore, Sal?
— Ehi, aspetta un momento, Lauren. Io non ho mai detto
che...
— Fai il meglio che puoi per me — lo ammonì la donna, con
gentilezza. — Tutto questo significa molto per me.
— Ti aspetti davvero di tornare presto?
— Dipende da come andranno le cose. Ci vediamo, Sal.
— Prenditi cura di te, Lauren. — La seguì con lo sguardo men-
tre raggiungeva quello strano giovane, poi scrollò le spalle e
cominciò a salire i gradini del padiglione.
Come Lauren aveva tenuto a precisare, era il suo collo.
Non ci volle molto per controllare che il fluttuante fosse in
ordine. Flinx salì a bordo e ammirò quel razionale velivolo.
Quasi per la prima volta da quando aveva lasciato Drallar,
avrebbe potuto viaggiare completamente libero dai continui
ostacoli che l'avevano rallentato, quali i macigni avvolti nella
nebbia e gli alberi torreggianti. Il corpo dell'apparecchio era
fatto di resina nera. Era grande abbastanza da accogliere una
dozzina di passeggeri oltre all'equipaggio. C'erano le scorte di
emergenza standard, ma Lauren vi aggiunse altri viveri e me-
dicinali. Presero con loro anche il fucile a dardi, con parecchi
caricatori, e un sonar portatile.
Flinx studiò lo schermo del rilevatore e un singolo punto in
movimento che si spostava verso nord-ovest attraverso la tra-
sparenza. Una serie di anelli concentrici di calibrazione riem-
pivano lo schermo circolare. Il punto che rappresentava la loro
preda aveva quasi raggiunto l'anello più esterno.
— Fra poco usciranno del tutto dallo schermo — mormorò a
Lauren.
— Non si preoccupi. Sono sicuro che a quest'ora sono convinti
di averci perso.
— Stanno zigzagando sullo schermo — osservò ancora Flinx.
— Non vogliono correre rischi. Non serve a niente, però, se la
tua traccia compare su un rilevatore. Ma... ha ragione. Faremo
meglio a muoverci.
Scivolò sul seggiolino del pilota e azionò i comandi. Il gemito
del motore del fluttuante soffocò il lieve ronzio del rilevatore
quando l'apparecchio si sollevò di parecchi metri. Lauren lo
tenne sospeso in quella posizione mentre completava il con-
trollo della strumentazione, poi fece ruotare il velivolo su un
asse invisibile e lo guidò fuori dall'hangar. Un tocco all'inter-
ruttore di quota fece salire a dieci, a venti, a trenta metri
nell'aria il fluttuante sopra il padiglione. Un altro tocco dell'ac-
celeratore, e l'apparecchio sfrecciò verso la spiaggia.
Malgrado il calore generato dal sistema di riscaldamento del-
la cabina, Flinx sentiva ancora freddo mentre fissava coc-
ciutamente lo schermo.
— Le ho detto di non preoccuparsi — disse Lauren quand'ebbe
dato un'occhiata alla sua espressione mentre superavano in
volo la battigia. — Li acchiapperemo.
— Non è questo. — Flinx sbirciò attraverso la calotta tra-
sparente della cabina. — Stavo pensando a cose... che potreb-
bero acchiappare noi.
— Non ho ancora visto un penestral capace di acchiappare al
volo un oggetto volante che si muova alla nostra velocità, a
trenta metri dalla superficie del lago. Un oboweir potrebbe an-
che riuscirci, ma non ce ne sono nel lago Patra. Per lo meno,
non ho mai sentito dire che ce ne siano.
Tuttavia, l'attenzione e i pensieri di Flinx rimasero divisi in
parti uguali fra l'orizzonte davanti a loro e le acque potenzial-
mente mortali sottostanti.

— Mi dicono che avete avuto dei guai, qui.


Sal si rilassò sulla sedia in sala da pranzo e continuò a sor-
seggiare una tazza di toma caldo fissando i suoi visitatori. Era-
no arrivati con la loro fangomobile, il che li indicava subito co-
me indipendenti oltre che ricchi. Se avesse giocato bene le sue
carte, avrebbe potuto convincerli a passare qualche giorno al
padiglione. C'erano ancora parecchi appartamenti di lusso an-
cora liberi, e se fosse riuscito a sistemare quella coppia in uno
di essi, la cosa non avrebbe certo danneggiato il suo curricu-
lum. Di solito, riusciva a distinguere un ultramondano dall'ac-
cento, ma non quei due. Scandivano chiaramente le parole, ma
i loro fonemi erano amorfi. Questo lo lasciava perplesso.
L'attività di routine era ripresa non appena Lauren e il suo
caso pietoso se n'erano andati. Nessuno aveva chiamato da
sud, né il direttore del distretto, né altri. Si sentiva assai soddi-
sfatto. A meno che, naturalmente, la compagnia non avesse
deciso d'inviare i propri investigatori invece di limitarsi a effet-
tuare una chiamata di controllo. Questo pensiero l'indusse a
fissare la donna corrugando la fronte.
— Ehi, non sarete mica della Compagnia?
— No — rispose il compagno della donna, sorridendo pia-
cevolmente. — Cielo, no, niente del genere. Ci piace provare
qualche emozione, è tutto. Se qualcosa d'insolito succede nella
zona, finisce per stuzzicare la nostra curiosità, in un certo qual
modo, se mi capisce.
— Qui è stato ucciso un uomo, non è vero? — chiese la donna.
— Be', sì... le cose si sono animate parecchio, qui, per un gior-
no. — Non si possono mai prevedere i gusti della gente, rifletté
Sal. — Qualcuno è rimasto ucciso durante un combattimento.
Non era un ospite — si affrettò ad aggiungere. — Proprio qui.
Una bella mischia.
— Mi saprebbe descrivere qualcuno di quelli coinvolti? —
chiese la donna.
— No davvero. Non sono neppure sicuro di quali fossero gli
ospiti coinvolti, e quali semplici visitatori giornalieri. Non ho
assistito di persona allo scontro, e quando sono arrivato la
maggior parte di quelli coinvolti se n'erano andati.
La donna accolse le sue dichiarazioni con un cenno di di-
sappunto del capo. — Per caso, era coinvolto un giovane, di-
ciamo sui sedici anni?
— Sì, l'ho visto. Capelli rosso-fiamma?
— È lui — esclamò la donna.
— Ehi, è pericoloso, o qualcosa del genere? — Il vicedirettore
si sporse avanti dalla sedia, all'improvviso preoccupato.
— Perché vuole saperlo? — chiese l'uomo.
— Ma... il mio superiore, qui, la direttrice Lauren Walder, è
partita con lui.
— Con lui? — L'espressione gradevole che era rimasta finora
dipinta sul volto della donna si cancellò all'improvviso, per es-
sere sostituita da qualcosa di più duro.
— Sì. Tre, forse quattro giorni fa, ormai. Non sono ancora del
tutto sicuro del perché. Lauren mi ha detto soltanto che il gio-
vane aveva un problema, e lei avrebbe cercato di aiutarlo.
— Da che parte è andata la fangomobile? — domandò l'uomo.
— A nord, attraverso il Patra — li informò Sal. — Ma non sono
a bordo d'una fangomobile. Lauren ha preso il fluttuante del
padiglione.
— Un fluttuante! — La donna sollevò le mani in un gesto di
frustrazione e si sedette pesantemente su una poltroncina da-
vanti al vicedirettore. — Stiamo perdendo terreno — disse, ri-
volta al suo compagno, — invece di guadagnarne. Se li rag-
giunge prima di noi, potremmo perdere lui e il... — Il suo com-
pagno tagliò l'aria con l'orlo della mano, e le parole della donna
si persero in un indecifrabile borbottio.
Quel gesto era stato rapido e in parte nascosto, ma Sal tut-
tavia l'aveva notato.
— Adesso mi preoccupate davvero — dichiarò il vicedirettore
alla coppia. — Se Lauren si è andata a cacciare in qualche
guaio...
— Sì, potrebbe trovarsi in un guaio — ammise l'uomo, soddi-
sfatto che il vicedirettore avesse cambiato argomento.
Sal rifletté per un attimo. — È in pericolo a causa della gente
che ha combattuto qui, oppure del giovane dai capelli rossi?
— Probabilmente a causa di entrambi. — L'uomo stava men-
tendo solo in parte. — Sarà meglio che ci dica tutto quello che
sa.
— L'ho già fatto — rispose Sal.
— Ha detto che sono andati a nord, attraverso il lago. Non po-
trebbe essere un po' più specifico?
Sal parve impotente. — Lauren non è stata più specifica!
— Potrebbero non aver proseguito in direzione nord.
— No, infatti. Avete un rilevatore per seguire l'altro appa-
recchio? — chiese Sal.
L'uomo scosse la testa. — Non credevamo di averne bisogno.
Secondo le nostre ultime informazioni, il giovane con cui vole-
vamo parlare stava viaggiando in sella a uno stupava.
— Credo che sia arrivato qui alla guida di una fangomobile.
La donna parve sorpresa e gratificò d'un mesto sorriso il suo
compagno. — Non c'è da stupirsi se siamo rimasti indietro. È
pieno di risorse, non è vero?
— Troppo, per i miei gusti — mormorò l'uomo. — E forse sarà
molto pericoloso per lui, mettere con le spalle al muro quelli
che sappiamo.
La donna sospirò profondamente, poi si alzò dalla poltron-
cina. — Be' qui abbiamo già sprecato troppo tempo. Ora do-
vremo per forza far ritorno a Pranbeth per procurarci un flut-
tuante e un'unità rilevatrice. A meno che tu non pensi che pos-
siamo tentare di raggiungerli con la fangomobile.
L'uomo se ne uscì in una secca risatina assai poco allegra. Poi
si rivolse di nuovo al vicedirettore. — Grazie, amico. Ci è stato
di aiuto.
— Vorrei davvero esserlo stato di più — gli rispose Sal, an-
sioso. — Se dovesse succedere qualcosa a Lauren... Farete in
modo che non le capiti nulla, vero?
— Le prometto che faremo del nostro meglio — gli assicurò la
donna. — Non vogliamo veder soffrire degli innocenti. Non vo-
gliamo neppure che soffrano quelli che innocenti non sono. —
Gli rivolse un ampio, materno sorriso, che per qualche motivo
non servì affatto a far sentire meglio il nervosissimo vicediret-
tore.

XI

Il rilevatore ronzava sommesso, il singolo punto luminoso si


stagliava con chiarezza sullo schermo mentre il fluttuante fi-
lava verso nord. Sfiorava le cime degli alberi più alti, più di ot-
tanta metri sopra gli acquitrini e la melma che a stento avreb-
bero potuto esser definiti «terreno». Avevano attraversato il la-
go Patra e una striscia di terra asciutta per poi affrontare un
lago assai più grande conosciuto come Tigranocerta e adesso
incrociavano di nuovo sopra la foresta. Cadeva una pioggia
fredda che schizzava sopra la calotta acrilica, una topografia
in continuo cambiamento la quale oscurava la maggior parte
della visuale esterna. Gli strumenti del fluttuante manteneva-
no una velocità costante, a una distanza fissa, fra il velivolo e
la preda in direzione nord.
È terribilmente tranquillo, pensò Lauren Walder. Terribil-
mente tranquillo... e forse qualcos'altro.
— No, non sono troppo giovane — disse Flinx nel silenzio che
gravava sulla cabina, con un tono di voce un po' sulla difensiva.
Lauren sollevò le sopracciglia. — Sai leggere il pensiero?
Flinx le rispose con un timido sorriso: — No, non è questo. —
Le sue dita accarezzarono la testa del minidrago che dormiva
sopra la sua spalla. — È solo che a volte sento delle cose. Non
pensieri, niente di così elaborato. Soltanto quello che prova la
gente. — Sollevò lo sguardo su di lei. — Da quello che lei prova-
va in questo momento, ho dedotto che stesse per dire qualco-
sa... di quel tipo.
— Be', aveva ragione — confessò Lauren, chiedendosi quali
conclusioni avrebbe dovuto trarre dal resto della sua di-
chiarazione.
— Non lo sono, sa?
— Quanti anni ha? — gli chiese la donna.
— Sedici, a quanto ne so. Non posso esserne certo.
Sedici, e stava per compierne sessanta, rifletté la donna con
tristezza. Durante le sue rare visite a Frallar, aveva visto altre
volte dei tipi come lui. Figli delle circostanze, allevati in strada
ed educati dagli esempi sbagliati e dagli incidenti, anche se lui
pareva esserne uscito meglio dei suoi simili. Il suo volto aveva
l'impronta delle cognizioni che mancavano ai suoi più fortunati
coetanei, ma questo non pareva averlo reso più cattivo o ama-
reggiato.
Tuttavia, Lauren sentiva che nel suo caso c'era qualcos'altro.
— Quanti anni mi dà? — gli chiese Lauren, quasi distratta-
mente.
Flinx si mordicchiò le labbra mentre la fissava. — Ventitré —
disse poi senza esitazione.
La donna ebbe un fugace sorriso e strinse le mani deliziata. —
Così, sto aiutando un vendicativo diplomatico sedicenne! —
Ebbe una breve risata, poi continuò a sorridere. — Mi parli di
lei, Flinx.
Era una domanda che nessun estraneo a Drallar avrebbe mai
avuto l'impudenza di fare. Ma lì non si trovavano a Drallar, ri-
cordò Flinx a se stesso. Inoltre, doveva qualcosa a quella don-
na.
Così, le disse tutto quello che sapeva. Quand'ebbe finito il suo
racconto, la donna continuò a fissarlo con sguardo grave, an-
nuendo, come se le sue parole non avessero fatto altro che con-
fermare i sospetti che già l'agitavano. Diede un'occhiata al rile-
vatore per assicurarsi che stesse ancora funzionando alla per-
fezione, poi riportò lo sguardo su di lui. — Non ha avuto un'in-
fanzia proprio agiata, vero?
— Non saprei — rispose Flinx. — Posso fare dei confronti sol-
tanto per sentito dire.
— Accetti la mia parola: non l'ha avuta. Ed è anche riuscito a
vivere con il resto dell'umanità... un'umanità che sembra non
voglia aver niente a che fare con lei. Mentre io ho dovuto sem-
pre schivare la maggior parte della gente che sembra bramare
un sacco di cose da me.
D'impulso Lauren si sporse dal seggiolino del pilota e lo baciò.
All'ultimo istante Flinx si ritrasse, innervosito da una simile,
insolita prossimità con un altro essere umano (soprattutto un
membro attraente del sesso opposto) e il bacio, destinato alla
sua guancia, finì invece sulle sue labbra.
Questo spinse Lauren a tirarsi indietro di scatto. Ma il sor-
riso le era rimasto sul viso, e si limitò a sbattere le palpebre
per la sorpresa. Dopotutto, era stato un incidente. — Mi prenda
in parola anche su qualcos'altro, Flinx. Se si vive abbastanza a
lungo, la vita migliora.
— È una delle omelie della Chiesa? — Si chiese se Lauren non
avesse un qualche emolliente per impedire che le labbra le
bruciassero, perché le sue erano in fiamme.
— No — rispose la donna. — È un'omelia di Lauren Walder.
— Lieto di saperlo. A me la Chiesa non è mai servita granché.
— Neppure a me. Né alla maggior parte della gente. È per
questo che ha avuto molto successo, credo. — Puntò di nuovo lo
sguardo sul rilevatore. — Cominciano a rallentare. Noi faremo
lo stesso.
— Pensa che ci abbiano avvistati? — D'un tratto non gl'impor-
tò più niente di quanto avrebbero deciso di fare gli individui sul
fluttuante davanti a loro. Il fuoco gli si stava diffondendo dalle
labbra alla bocca, scorrendogli giù nella gola, per disperdersi in
tutto il suo corpo. Era un fuoco dolce e intenso.
— Ne dubito — rispose la donna. — Scommetto che sono vicini
alla loro destinazione. — Le sue mani si mossero veloci sopra i
comandi.
— Quale vantaggio hanno su di noi? — Flinx si sporse in avan-
ti per scrutare lo schermo da sopra la sua spalla. Avrebbe po-
tuto tenersi alla sua sinistra, ma fu d'un tratto cosciente del
suo calore, del profumo dei suoi capelli. Fece molta attenzione
a non toccarla.
La donna eseguì alcuni rapidi calcoli, servendosi dell'estrapo-
latore. — Un giorno o giù di lì. Non vogliamo tamponarli. Non
c'è niente in questa parte del paese. Uno strano posto per fer-
marsi, ma d'altro canto tutta questa faccenda è strana, a giu-
dicare da quello che mi ha raccontato. Perché portare fin quas-
sù sua madre?
Flinx non aveva nessuna risposta da darle.
Scesero di quota finché il fluttuante prese ad alzarsi e ad ab-
bassarsi di concerto con le cime degli alberi. La loro attenzione
era talmente concentrata sui movimenti del punto luminoso
nello schermo del rilevatore che nessuno dei due si accorse
non soltanto che la pioggia era cessata, ma che si era aperto
uno squarcio nella coltre di nubi. Sopra di loro una delle ali di
Falena, l'anello interrotto che circondava il pianeta, brillava,
vivido e gelido contro lo sfondo vellutato della notte.
— Cosa la fa sentire tanto sicura che hanno intenzione di
fermarsi qui e non semplicemente di rallentare un po'? — chie-
se Flinx a Lauren.
— Perché un fluttuante funziona a batterie, proprio come una
fangomobile. Deve ricordare che sono arrivati fin qui dal Patra.
Anche la nostra batteria si sta esaurendo, e non stiamo facen-
do il tragitto di ritorno d'un giro turistico. Non so che modello
abbiano, ma ho visto quant'era grosso. Non è possibile che ab-
biano ancora abbastanza energia per andare molto più in là del
tratto percorso negli ultimi giorni. Dovranno senz'altro fer-
marsi da qualche parte per ricaricare, il che è senz'altro un
bene.
— Perché? — chiese Flinx.
— Perché dovremo ricaricare anche noi. — Gli indicò un con-
tatore. — Abbiamo consumato più di metà della nostra energia.
Se non troveremo da ricaricare in qualche posto qui intorno,
dovremo farci un bel po' di strada a piedi.
Flinx la guardò con nuovo rispetto, sempre che fosse possi-
bile. L'opinione che aveva di lei aveva già raggiunto altezze
vertiginose. — Perché non mi ha avvertito quando ha raggiunto
il punto del non ritorno?
Lauren ebbe una leggera scrollata di spalle. — Perché? Ab-
biamo già dovuto affrontare un sacco di fastidi per arrivare fi-
no a qui. Lei avrebbe potuto mettersi a discutere con me per
convincermi a tornare indietro.
— No — rispose Flinx con calma. — Non l'avrei fatto.
— Infatti non lo pensavo. Lei è deciso a portare a termine
questa faccenda, e pazzo almeno quanto deciso.
Lauren lo fissò, e Flinx la fissò a sua volta. Non c'era bisogno
di dire altro.

— Io voto per il no.


Nyassa-lee era risoluta nel suo disaccordo. Sedeva su un lato
del tavolo e fissava i suoi colleghi in attesa d'una risposta. Bro-
ra stava esaminandosi pensieroso le unghie della mano sini-
stra, mentre Haithness giocherellava con le proprie sopracci-
glia.
— Ma insomma — mormorò l'alta donna nera alla sua compa-
gna, — mostrare una simile riluttanza a questo stadio è estre-
mamente scoraggiante, Nyassa-lee. — Le sue dita cessarono di
tormentare le sopracciglia. — Potremmo non aver più la possi-
bilità di manipolare un altro soggetto promettente come questo
Numero Dodici. Il tempo e gli eventi cospirano contro di noi. Lo
sai quanto me.
— Lo so. — La donna di statura più bassa si sporse in avanti
dalla sedia e fissò il pavimento tra le sue gambe. Fra i pannelli
apparivano delle crepe. L'edificio era stato messo su in gran
fretta. — Non sono convinto che valga la candela.
— Quale candela? — volle sapere Haithness. — Non abbiamo
ancora visto niente di simile a una dimostrazione di potere che
possa minacciarci. Proprio il contrario, direi. E certamente il
soggetto ha già avuto ogni occasione di esibire qualunque ca-
pacità del genere. È evidente che non ne possiede, altrimenti
non c'è dubbio che le avrebbe impiegate contro di noi. Invece,
cosa abbiamo visto? L'uso di un pugnale. — Il tono in cui lo dis-
se fece apparire la cosa disgustosa oltre che primitiva.
— Ha ragione, sapete. — Brora interloquiva di rado, pre-
ferendo che i due scienziati anziani mandassero avanti la mag-
gior parte della discussione. Interveniva soltanto quando ave-
va piena fiducia nella sua opinione.
— Non vogliamo un'altra ripetizione del caso della ragazza —
disse Nyassa-lee. — La società non saprebbe reggere a un altro
fallimento del genere.
— Ed è proprio per questo che dobbiamo seguire quest'ultima
occasione fino alla sua conclusione — insisté Haithness.
— Non sappiamo se rappresenta davvero la nostra ultima oc-
casione.
— Oh, suvvia, Nyassa-lee. — Haithness spinse indietro la pro-
pria sedia e si alzò in piedi cominciando a camminare ner-
vosamente avanti e indietro. Dietro di lei le luci brillavano d'un
gelido verde e di azzurro sui quadri di comando messi frettolo-
samente insieme. — Anche se ci sono altri soggetti di pari po-
tenziale là fuori, non abbiamo nessuna garanzia che qualcuno
di noi vivrà ancora abbastanza a lungo per seguirli.
— Su questo non discuto — dichiarò Nyassa-lee. — Né posso
mettere in discussione il fatto che il Numero Dodici sia una
promessa, dal punto di vista statistico. Sono proprio quelle sta-
tistiche che mi fanno paura.
— Ti fanno paura? — Haithness smise di camminare avanti e
indietro e guardò la sua compagna di molti, durissimi anni. La
donna alta di statura era sorpresa. Aveva visto Nyassa-lee
maneggiare un'arma col sangue freddo e l'efficienza d'un
qwarm. La paura le era sempre sembrata esserle aliena. — Ma
perché? Non ha fatto niente che giustifichi una simile paura.
— Oh, no? — Nyassa-lee enumerò le sue argomentazioni sulle
dita di una mano: — Primo, il suo potenziale statistico è allar-
mante. Secondo, ha sedici anni, è sulla soglia della piena matu-
rità. Terzo, potrebbe arrivarci in qualunque momento.
— La ragazza — fece notare Brora, — era assai più giovane.
— D'accordo — disse Nyassa-lee, — ma le sue capacità erano
precoci. Il suo vantaggio è stata la sorpresa. Questo Numero
Dodici si sta sviluppando lentamente, ma con maggior poten-
ziale. Potrebbe essere il tipo d'individuo che risponde alle pres-
sioni andando più in profondità dentro se stesso.
— Forse — disse Brora, soprappensiero, — ma non ne abbiamo
nessuna prova, né il suo profilo prevede qualcosa del genere.
— Allora — replicò la donna, — come riesci a far quadrare
questo col fatto che da solo...
— Non da solo — l'interruppe Brora. — Quella donna del padi-
glione l'ha aiutato, al largo sul lago.
— L'ha aiutato. Ma non l'ha aiutato ad arrivare fino a quel
punto. Lui ci ha seguito fino a quel lago tutto da solo, senza
nessun aiuto esterno. E questo indica lo sviluppo accelerato
d'un talento dal quale faremo meglio a guardarci.
— Una ragione di più — replicò Haithness con rabbia, pic-
chiando il palmo d'una mano sul tavolo, — per andare avanti
col nostro piano!
— Non so — mormorò Nyassa-lee, poco convinta.
— Non sei d'accordo — replicò Haithness, costringendosi a
dominare il proprio malumore, — che se l'operazione sarà un
successo, avremo un'ottima possibilità di realizzare il nostro
scopo per quanto riguarda le manipolazioni esterne del sogget-
to?
— Forse — ammise Nyasse-lee.
— Perché «forse»? Dubiti del legame emotivo?
— Non è questo che mi preoccupa. Supponi... supponi soltanto
che, siccome il suo potenziale non è ancora sviluppato, lui non
ne abbia un controllo cosciente?
— Cosa stai dicendo? — chiese Brora.
La donna si appoggiò al tavolo e parlò in tono vibrante: — Con
quella ragazza, Mah, sapevamo dov'eravamo, una volta che lei
si era rivelata. Per sfortuna, quella cognizione è stata una sor-
presa per noi, ed era ormai troppo tardi per controbattere. Non
abbiamo nessuna idea di quale sia la nostra posizione davanti
ai talenti di questo soggetto. Supponete che, malgrado il suo le-
game emotivo, la pressione e la paura cospirino a liberare il
suo potenziale malgrado i suoi sentimenti superficiali? Da un
punto di vista statistico il soggetto è una bomba vagante che
potrebbe non essere capace di controllarsi... o abbastanza ma-
turo per farlo. È questo che mi preoccupa, Haithness. Il legame
emotivo potrebbe essere sufficiente a controllare il suo io in-
conscio. Però, malgrado questo, la parte imprevedibile di lui
potrebbe reagire con violenza.
— Non possiamo abbandonare le nostre speranze basandoci
su una congettura così esile, che non ha fatti concreti a so-
stegno — insisté Haithness. — Inoltre, il soggetto ha sedici anni.
Semmai dovrebbe avere un maggior controllo su di sé, di quan-
to ne aveva la ragazza.
— Lo so, lo so — borbottò Nyassa-lee, con tono infelice. — Tut-
to quello che dici è vero, Haithness, eppure non posso fare a
meno di preoccuparmi. In ogni caso, mi batterete con i vostri
voti.
— Infatti — dichiarò la donna alta di statura, dopo un'occhiata
interrogativa a Brora. — E se Cruachan fosse con noi, sai che
voterebbe anche lui perché si proceda.
— Suppongo di sì. — Nyassa-lee esibì un pallido sorriso. — Mi
preoccupo troppo. Brora, sei sicuro di poter effettuare il tra-
pianto?
L'uomo annuì. — È da un po' di tempo che non ne faccio più
uno, ma le vecchie capacità mi sono rimaste. Più che altro, ci
vuole pazienza. Questo dovete ricordare. In quanto a possibili,
imprevedibili effetti, un fallimento, be'... — sorrise, — ... siamo
già tutti condannati, non è vero? Un'altra piccola offesa perpe-
trata contro le leggi arcaiche della società non può certo farci
male né in un senso né nell'altro, nel caso in cui dovessimo fal-
lire.
In un angolo della stanza, seduta con le mani in grembo,
Mamma Mastino stava ascoltando. Non c'era motivo di legarla,
e lei lo sapeva almeno quanto i suoi rapitori. Non c'era nessun
posto dove potesse scappare. Era in condizioni eccellenti per
una donna della sua età, ma aveva avuto modo di osservare
assai bene il modesto, ingannevole complesso di pietra e legno
quando il fluttuante era atterrato. Migliaia di chilometri qua-
drati di foresta umida e ostile si stendevano fra il luogo in cui
era stata condotta e i familiari confini di Drallar. Aveva le
stesse possibilità di rubare un veicolo quante ne aveva di ria-
vere i suoi vent'anni.
Continuava a chiedersi cosa stesse capitando al povero Flinx.
Era lui che aveva visto in quell'imbarcazione, su quel lago lon-
tano verso sud. Non aveva nessuna idea di come Flinx fosse
riuscito a rintracciarla fin là. Dapprima si era preoccupata per
se stessa. Adesso che aveva avuto ampie opportunità di ascol-
tare quel demoniaco terzetto che discuteva davanti a lei (giac-
ché non aveva nessun dubbio che fossero demoniaci) si stava
preoccupando per il destino del suo figlio adottivo oltre che per
il suo. Se lei era perduta, be', aveva pur sempre avuto una vita
lunga e avventurosa. Forse sarebbe stato meglio che Flinx
perdesse le sue tracce piuttosto che incappare di nuovo in quei
mostri!
Uno del terzetto, quell'uomo basso di statura e con la faccia
da rospo, aveva parlato di «aggiustare» lei e di «trapianti». Que-
sto era più che sufficiente a convincerla che doveva prepararsi
a qualcosa di peggiore della morte. Molte delle loro parole non
avevano senso per lei. Non aveva ancora la minima idea di chi
fosse quella gente, e ancora meno da dove fossero arrivati o
quali fossero le ragioni delle loro azioni. Non le parlavano mai,
ignorando le sue domande oltre alle sue imprecazioni.
In effetti, non la trattavano affatto come un essere umano,
ma tutt'al più come un pezzo di mobilia delicato. La loro usuale
conversazione era la più strana che mai avesse ascoltato fino-
ra, giacché una di loro stava esprimendo una viva paura del
suo ragazzo. Non riusciva a immaginarne il perché. Era vero
che Flinx aveva domato un animaletto pericoloso, quell'orribi-
le, piccola creatura volante, ma non si trattava certo di un'im-
presa che potesse ispirare paura a quella gente. Sapevano che
Flinx di tanto in tanto aveva la capacità di percepire ciò che gli
altri provavano. Eppure, quella gente continuava a discutere
di quei talenti erratici e minori come se fossero faccende di
enorme importanza.
Ma niente di tutto questo spiegava perché avessero rapito
lei. Se il loro vero interesse si concentrava sul suo ragazzo, al-
lora perché non avevano rapito lui? Tutta la faccenda era un
rompicapo troppo complicato per lei, perché potesse sperare di
risolverlo. Mamma Mastino non era una donna stupida, e la
mancanza d'una normale istruzione non smussava certo la sua
mente acuta e ragionatrice; tuttavia, non riusciva a capire
quello che le stava succedendo, e perché.
Lasciò che la sua attenzione si staccasse dalla discussione
che infuriava al vicino tavolo per studiare la stanza in cui l'a-
vevano portata. La maggior parte dell'illuminazione s'irradia-
va dall'imponente spiegamento di aggeggi elettronici che im-
bottivano le pareti. Tutto quello che riusciva a vedere indicava
un'installazione costruita velocemente, con apparecchiature
portatili. Non aveva nessuna idea di quale fosse lo scopo di
quegli strumenti, ma aveva girato abbastanza per sapere che
si trattava di congegni costosi. Quelli, e le azioni della gente
che l'aveva rapita, facevano intuire un'organizzazione ben for-
nita di denaro, oltre che di malvage intenzioni.
— Non sono neppure sicura — stava ribadendo Nyassa-lee, —
che il soggetto si sia reso conto di come è riuscito a seguirci fi-
nora.
— È probabile che non ci sia niente di misterioso in questo —
replicò Haithness. — Ricorda che il ragazzo è il prodotto d'un
ambiente intensamente competitivo, anche se primitivo. I gio-
vani degli agglomerati urbani crescono in fretta quando ven-
gono lasciati alle proprie risorse. Potrà non aver goduto gran-
ché di un'istruzione regolare, ma è cresciuto alla scuola del
mondo reale... qualcosa che siamo stati costretti ad affrontare
noi stessi, in questi ultimi anni. E potrebbe anche aver avuto
un po' di comunissima fortuna.
— Questi ultimi anni — bofonchiò Brora, in tono triste, — anni
che avremmo dovuto impiegare sondando i grandi misteri e
l'universo invece d'imparare a prender contatto col mondo del-
la malavita e farne uso.
— Io mi sento sprecata quanto te, Brora — dichiarò la donna
alta, cercando di blandirlo, — ma la rivincita è a portata di ma-
no.
— Se siete tutti e due ben decisi a procedere... allora voto
perché cominciamo subito — sospirò Nyassa-lee.
— Subito con che cosa? — chiese una voce petulante. Per
qualche ragione, la domanda indusse il terzetto a rispondere,
questa volta, mentre ogni precedente tentativo di attirare la lo-
ro attenzione era miseramente fallito.
Nyassa-lee lasciò il tavolo e si avvicinò a Mamma Mastino.
Cercò di adottare un'espressione gentile e comprensiva, ma ci
riuscì soltanto in parte. — Noi siamo scienziati impegnati in un
progetto di grande importanza per l'umanità. Mi dispiace che
siamo costretti a provocarle tanto disturbo, ma tutto questo è
necessario. Vorrei che lei possedesse un'istruzione migliore,
così da poter capire il nostro punto di vista. Questo renderebbe
le cose più facili per lei.
— Disturbo! — sbuffò Mamma Mastino. — Mi strappate dalla
mia casa e mi trascinate attraverso una buona metà del piane-
ta... Un piccolo disturbo, Io chiamate? Io lo chiamo qualcos'al-
tro. — La sua collera si dissipò alquanto quando chiese:
— Cos'è che volete dal mio ragazzo, Flinx?
— Il suo ragazzo adottivo — puntualizzò Nyassa-lee. Mentre
la piccola orientale parlava, Mamma Mastino osservò che gli
altri due la stavano studiando così come un collezionista
avrebbe potuto scrutare un insetto sulla panchina di un parco.
Questo la fece infuriare ancora di più, e la rabbia l'aiutò a
smorzare la paura.
— Non vi renderei le cose più facili neppure se mi promet-
teste metà delle ricchezze del pianeta.
— Mi spiace che la pensi così, ma è soltanto quello che ci
aspettavamo — replicò Nyassa-lee, ridiventando di ghiaccio.
— Ha mai sentito parlare della Meliorare Society?
Mamma Mastino scosse energicamente la testa, troppo ar-
rabbiata per gridare, il che era tutto quello che avrebbe voluto
fare. Nomi... parole che le scaraventavano addosso, tutti senza
senso.
— Noi siamo parte d'un esperimento — insisté a spiegarle l'o-
rientale, — un esperimento che ha avuto inizio sulla Terra mol-
ti anni fa. Noi non siamo soltanto scienziati, siamo anche atti-
vatori. Noi crediamo che il vero compito della scienza non sia
soltanto quello di studiare ciò che già esiste, ma di forgiare il
futuro e di creare ciò che ancora non esiste ma un giorno esi-
sterà. Noi siamo decisi a non rimanere immobili, e ad impedire
che resti immobile la natura.
Mamma Mastino scosse la testa. — Non capisco.
— Pensi — prese a sollecitarla Nyassa-lee, accalorandosi men-
tre si addentrava nell'argomento, — cosa c'è, oggigiorno, nella
società del Commonwealth, che potrebbe venir migliorato? Il
governo? — Una risata amara e carica di disprezzo echeggiò
dietro di lei, proveniente da Haithness. — Non il governo, allo-
ra. Le navi che ci portano da una stella all'altra? No. La lingua,
allora? Un miglioramento del terranglo o della simbolingua?
Oppure la musica, o l'architettura?
Mamma Mastino si limitò a fissare la donna che stava bla-
terando davanti a lei. Adesso ne era sicura, del tutto sicura:
quei tre erano completamente pazzi, almeno quanto uno yax'm
dal cervello danneggiato.
— No, nessuna di queste cose! — ruggì quasi Nyassa-lee. Era
terribile vedere una tale assoluta sicurezza in qualcuno di così
minuto. — Siamo noi. Noi. — Si batté una mano sullo sterno. —
L'umanità. E i mezzi per migliorarci si trovano dentro di noi. —
Sollevò la mano alla testa. — Qui dentro, nelle aree della nostra
mente non ancora ben sviluppata, nelle nostre capacità ancora
ignote.
«Noi, e gli altri membri della nostra Società, abbiamo deciso
molti anni fa che si poteva e si doveva fare qualcosa in pro-
posito. Formammo un'organizzazione di copertura per ingan-
nare i superstiziosi custodi delle leggi. In segreto, fummo in
grado di scegliere certi ovuli umani, certi tipi di sperma, e di la-
vorare su di essi con molta attenzione. La nostra pianificazio-
ne fu accurata, i nostri preparativi esaurienti. Grazie a tecni-
che microchirurgiche fummo in grado di alterare il codice ge-
netico dei nostri potenziali umani prima del trapianto nell'ute-
ro. Il risultato doveva essere, sarà una migliore versione
dell'umanità.
Mamma Mastino la fissò. Nyassa-lee sospirò e si rivolse ai
suoi compagni. — Come temevo, tutto questo è al di là della sua
misera comprensione.
— Perfettamente comprensibile — annuì Brora. — Quello che
non capisco è perché ti dài tanta pena di provarci.
— Sarebbe tutto più facile — rispose Nyassa-lee.
— Più facile per lei, o per te? — si chiese Haithness. L'orienta-
le non rispose. — Comunque, dopo l'operazione non avrà più
importanza. — A quelle parole i sottili capelli sulla nuca di
Mamma Mastino cominciarono a drizzarsi.
— Potrebbe — insisté Nyassa-lee. Gettò un'altra occhiata a
Mamma Mastino, dietro di lei, fissando con durezza quei vec-
chi occhi. — Non capisci ancora, vecchia? Il tuo ragazzo, il tuo
figlio adottivo: era uno dei nostri soggetti.
— No — bisbigliò Mamma Mastino, anche se nel medesimo
istante in cui fu pronunciato quel diniego, seppe che le parole
della donna erano vere. — Cosa... cos'è successo al vostro espe-
rimento?
— A tutti i bambini erano stati riservati attenzione, affetto,
educazione, e uno speciale addestramento. La maggior parte
dei soggetti non aveva mostrato niente d'insolito quanto a ca-
pacità o a talenti. Sotto ogni aspetto erano del tutto normali.
Avevamo proceduto con ogni cura e con la massima cautela,
capisce.
«Ma alcuni dei soggetti si svilupparono in maniera anormale.
Questo, sfortunatamente, è nella natura stessa della scienza.
Dobbiamo accettare il buono con il cattivo. Comunque, alla luce
del nostro imminente successo, quei fallimenti erano del tutto
giustificati». Pareva che stesse cercando di rassicurare se stes-
sa, oltre a Mamma Mastino.
— Alcuni fra quei bambini, un numero molto piccolo, diedero
indizi di aver sviluppato quelle capacità che noi riteniamo
dormienti in ogni cervello umano. Non abbiamo la pretesa di
capire tutto, di questi talenti. Siamo nella posizione d'un mec-
canico che ha una buona idea su come riparare una macchina
imperfetta senza sapere sul serio di che cosa sarà capace quan-
do l'avrà riparata... Per questo, appunto, ci procurò alcune
sorprese.
«L'ignorante e ipocrita società del Commonwealth non la
pensava come noi sull'importanza delle nostre attività. Come
risultato, abbiamo subito molti anni di persecuzioni. Eppure
abbiamo continuato. Come può vedere tutti noi, i membri ori-
ginari della Society, siamo in età avanzata quasi quanto la sua.
«Il governo è stato spietato nei suoi sforzi per spazzarci via.
Col passare degli anni ha eroso il nostro numero finché è riu-
scito a ridurci a pochissimi superstiti devoti alla causa. Eppu-
re, ci serve soltanto un successo, una prova incontrovertibile
della validità del nostro lavoro, per liberarci dalle menzogne e
dalle insinuazioni che per tanto tempo ci sono state accumula-
te addosso.
«È stato un governo crudele e insensibile a causare la di-
spersione dei bambini molti anni fa, quella dispersione che ci
ha costretto alla nostra attuale condizione di scienziati in esi-
lio. Ma lentamente e con pazienza abbiamo lavorato per sco-
prire le nuove località dov'erano stati portati questi bambini,
in particolare tutti quelli con dei profili cerebrali che mostra-
vano vere promesse. Il suo Flinx è appunto uno di quelli che
abbiamo individuato come un indubbio, potenziale talento.
— Ma non c'è niente di anormale in lui — protestò Mamma
Mastino. — È un giovane sano, che corrisponde in modo perfet-
to alla media. Più tranquillo di tanti altri, forse, ma questo è
tutto. Ed è proprio lui che vi spinge a darvi tanti fastidi? Oh,
ammetterò che sa combinare dei trucchetti di tanto in tanto.
Ma conosco cento maghi da strada che possono fare altret-
tanto. Perché non andate a prender loro, piuttosto?
Nyassa-lee esibì un'altra volta quel suo sorriso gelido e del
tutto privo d'allegria. — Tu ci stai mentendo, vecchia. Noi sap-
piamo che quel tuo Flinx è capace di qualcosa di più che sem-
plici trucchetti, e che c'entra qualcosa di assai più importante
della destrezza di mano.
— Bene, allora — continuò Mamma Mastino, tentando di
cambiare argomento, — perché rapire me? Perché strapparmi
da casa mia in questo modo? Sono una vecchia, come dice lei.
Non sono certo in grado d'intralciarvi o farvi del male. Se è
Flinx che v'interessa tanto, allora perché non avete rapito lui?
Certo non avrei potuto impedirvi di farlo.
— Perché potrebbe essere pericoloso.
Sì, questa è davvero una banda di pazzi, rifletté Mamma Ma-
stino. Il suo ragazzo, Flinx, pericoloso? Sciocchezze! Era vero
che era un ragazzo sensibile; a volte sapeva quello che gli altri
provavano, ma soltanto di rado, e niente del tutto quando
avrebbe più desiderato farlo. E, forse, poteva spingere un po' le
emozioni degli altri. Ma... pericoloso? Era lui ad essere in peri-
colo a causa di quei pazzi scatenati giunti da un altro mondo.
— Inoltre — continuò la piccola orientale, — dobbiamo proce-
dere con molta cautela poiché non possiamo rischiare di dan-
neggiare ulteriormente la Society. Il nostro numero è già ul-
teriormente ridotto, in parte a causa del nostro tentativo trop-
po affrettato di riguadagnare il controllo d'una bambina, un
nostro soggetto, un certo numero di anni fa. Non possiamo cor-
rere il rischio di commettere lo stesso errore con questo Nu-
mero Dodici. La maggior parte dei nostri compagni è rimasta
uccisa, imprigionata, oppure il loro cervello ha subito la can-
cellazione.
L'intima preoccupazione di Mamma Mastino raddoppiò da-
vanti a quell'ammissione fatta quasi con indifferenza. Non ca-
piva tutte le chiacchiere di quella donna sulle alterazioni ge-
netiche e il miglioramento dell'umanità, ma capiva benissimo
la cancellazione del cervello. Un criminale doveva essere stato
riconosciuto colpevole di qualche delitto particolarmente or-
rendo per venir condannato a quel trattamento, che l'avrebbe
privato per sempre d'una porzione dei suoi ricordi, della sua
vita, del suo stesso io, e lo lasciava pieno d'interrogativi per il
resto dei suoi giorni, tormentato da uno squarcio vuoto e buio
nella sua mente.
— Lasciatelo stare! — urlò Mamma Mastino, sorpresa dalla
violenza delle sue stesse parole. Si era affezionata talmente al
ragazzo? La maggior parte delle volte lo considerava un fasti-
dio inflittole da un avverso destino... ma era poi così?
— Non fategli del male! — Si era alzata in piedi e si era messa
a picchiare con entrambi i pugni sulle spalle della donna chia-
mata Nyassa-lee.
Malgrado avesse i capelli bianchi e non fosse più giovane,
Nyassa-lee aveva assai meno anni ed era molto più forte di
Mamma Mastino. Afferrò i polsi della vecchia e con delicatezza
la risospinse in basso sulla sedia.
— Ora... noi non abbiamo nessuna intenzione di fargli del ma-
le. Non le ho appena spiegato l'importanza che ha per noi? Le
pare che vorremmo far del male a qualcuno come lui? Cer-
tamente no. È chiaro che lei si è molto affezionata al suo pro-
tetto. A modo nostro, gli siamo affezionati anche noi.
Che gente senz'anima è questa, pensò Mamma Mastino men-
tre si accasciava impotente sulla sedia. Che ombre morte e lon-
tane di esseri umani.
— Le prometto che non cercheremo di costringere il ragazzo
a far niente contro la sua volontà, né gli faremo del male in
nessun modo.
— Cosa volete fare di lui, allora?
— È indispensabile che noi guidiamo la sua futura matura-
zione — le spiegò la donna, — per garantirci che qualunque ca-
pacità possieda venga sviluppata al massimo. È altamente im-
probabile che possa far questo senza adeguate istruzioni e un
appropriato addestramento, ed è proprio per questo che le sue
capacità non si sono manifestate per intero finora. Comunque
l'esperienza ci ha dimostrato che quando i bambini raggiungo-
no la pubertà, non sono più disposti ad accettare un simile ad-
destramento o altre manipolazioni. Perciò, noi dovremo gui-
darlo senza che lui ne sia consapevole.
— E come potrete farlo, senza che lui sappia che glielo state
facendo?
— Manipolandolo attraverso una terza persona dalla quale
accetti liberamente suggerimenti e direttive — disse Nyassa-
lee. — È qui che lei diventa importante.
— Cosi, vorreste che fossi io a fargli fare certe cose, che al-
terassi la sua vita cosicché il vostro esperimento risulti un suc-
cesso?
— Esattamente questo — annuì Nyassa-lee. — E ogni cosa
dev'essere fatta in modo tale che lui non sospetti d'essere gui-
dato da una forza esterna. — Le indicò l'estremità della stanza,
al di là di una porta trasparente che chiudeva una sala opera-
toria. Alla fioca luce azzurra e verde degli schermi, in mezzo
alla complessa apparecchiatura, la sala operatoria irradiava
una debole luminosità.
— Non possiamo lasciare spazio alla possibilità che inter-
ferenze od orientamenti sbagliati ostacolino i nostri sforzi, né
possiamo rischiare un'aperta opposizione agli agenti del Com-
monwealth che continuano a darci la caccia. È d'importanza
vitale che le nostre istruzioni vengano compiute in fretta e con
efficienza. Perciò sarà necessario che noi piazziamo dentro il
suo cervello certi piccoli congegni, per assicurarci la sua totale
obbedienza alle nostre direttive.
— Col cavolo! — sbottò Mamma Mastino. — Ho passato quasi
cento anni a riempire questa mia testa. So dov'è imma-
gazzinato tutto. Non voglio che nessuno si metta a combinar
pasticci quassù. — Non precisò, mentre guardava di sottecchi
la sala operatoria, che non era mai stata sotto il coltello o il la-
ser e che aveva una paura mortale all'idea di venir tagliata.
— Ascoltate — proseguì disperatamente la vecchia, — sarò più
che lieta di aiutarvi. Dirò al ragazzo tutto quello che vorrete,
gli farò studiare tutto quello che mi direte e lo terrò lontano da
tutte le cose che gli proibirete. Ma lasciate stare la mia povera
testa. Non vi sarei molto più di aiuto se facessi volontaria-
mente quello che chiedete, invece che nei panni di un anima-
letto ammaestrato?
Brora incrociò le mani sul tavolo e la fissò senza emozione. —
Questo sarebbe senz'altro vero. Tuttavia vi sono fattori che
sfortunatamente vanno in senso opposto.
«Tanto per cominciare, vi sono attività mentali fra quelle che
le verranno richieste, che coinvolgono procedimenti complessi
con i quali lei non ha dimestichezza, ma che noi siamo in grado
di stimolare grazie a un trapianto diretto. In secondo luogo non
c'è nessuna garanzia che in un futuro lei non si scoraggi o si ri-
belli, e riveli al soggetto tutto quello che sa. Questa sarebbe
un'autentica catastrofe per l'esperimento. E, terzo, malgrado
lei possa dirigerlo grazie alla sua volontà superficiale, le capa-
cità del ragazzo potrebbero consentirgli di percepire il suo tur-
bamento in profondità, facendogli capire che qualcosa non fun-
ziona, mentre non credo che sia in grado d'individuare i tra-
pianti stessi, poiché sono interamente meccanici. E, per finire,
penso che lei menta quando dice di essere disposta ad aiutarci.
— Ma non voglio essere operata! — gridò la vecchia, pic-
chiando violentemente i pugni sui braccioli. — Vi dico che non è
necessario! Farò tutto quello che mi chiederete se lascerete
stare il ragazzo e mi darete le istruzioni necessarie. Perché do-
vrei mentirvi? Avete detto voi stessi che non è il mio vero fi-
glio, soltanto un figlio adottivo. Sarò lieta di aiutarvi, e in modo
particolare — aggiunse con un furbesco sorriso, — se ci saranno
di mezzo dei soldi.
Ma quell'uomo, Brora, scosse la testa. — Lei sta facendo un
grande sforzo per mentirci, vecchia, ma non si sforza abba-
stanza. Abbiamo passato la maggior parte della nostra vita
avendo a che fare con traditori in mezzo a noi. Non possiamo
certo permettercene un altro. Mi spiace. — La sua attenzione
andò all'ingresso principale, ai due uomini che erano appena
entrati. Indicò Mamma Mastino con un cenno del capo.
— Tenetela ferma — disse. — Ne sa abbastanza da commettere
qualche sciocchezza contro se stessa.
Uno dei nuovi arrivati afferrò il braccio sinistro di Mamma
Mastino e guardò Brora. — Anestetico, signore?
— No, non ancora. — Mamma Mastino fissò l'orrido ometto e
rabbrividì quando questi si rivolse con calma alla donna nera.
— Cosa ne pensi, Haithness?
La donna studiò per un attimo Mamma Mastino. — Domani
andrà bene. Sono stanca. Meglio cominciare riposati. Avremo
tutti bisogno d'esser vigili.
Brora annuì il suo consenso. E invitò i due uomini più giovani
a legare la farneticante Mamma Mastino.
Più tardi, quella stessa sera, durante la cena, Nyassa-lee dis-
se a Haithness: — Sono sempre preoccupata dall'età avanzata
di quella donna.
— Non è poi così vecchia — replicò la donna alta, inghiottendo
cucchiaiate d'un qualche cibo artificiale ma nutriente. — Fa-
cendo un po' di attenzione, può senz'altro contare su altri
vent'anni di buona salute.
— Lo so. Ma d'altra parte non ha neppure più le riserve di
una donna di cinquant'anni. È un bene che non le abbiamo det-
to quanto sarà complessa l'operazione di domani, spiegandole
che la sua mente rimarrà alterata in modo permanente.
Haithness annuì, mostrandosi d'accordo. — Non c'è bisogno di
sconvolgerla più di quanto già lo sia. Mi sorprende questa tua
eccessiva preoccupazione per la sua salute.
Nyassa-lee continuò a sbocconcellare il suo cibo e non fece
commenti, ma Haithness rifiutò di lasciar cadere così la fac-
cenda.
— Quanti dei nostri compagni sono periti per mano del go-
verno? Quanti fra essi hanno avuto il cervello obliterato? È ve-
ro che se questa vecchia morisse, perderemmo un elemento
importante dell'esperimento, ma non necessariamente decisi-
vo. Eravamo tutti d'accordo, mi pare, che il trapianto su di lei è
il modo migliore di procedere.
— Questo non lo metto in discussione — replicò Nyassa-lee. —
Vi sto soltanto ricordando che dovremmo esser pronti per un
fallimento.
Brora si lasciò andare contro lo schienale e sospirò. Non ave-
va fame; era troppo eccitato dalle prospettive aperte dall'ope-
razione.
— Non falliremo, Nyassa-lee. Questa è la miglior possibilità
che ci si presenta, da molti anni, di ottenere il controllo su un
soggetto davvero promettente. Non falliremo. — Guardò Haith-
ness. — Ho controllato i trapianti prima di cena.
— Di nuovo?
— Non avevo altro da fare, in verità. Non potevo sopportare
di starmene con le mani in mano. Il circuito è completo, l'in-
nervazione criogenica costante. Non prevedo nessun problema
nell'attuazione dei collegamenti sinaptici. — Si voltò a fissare
Nyassa-lee. — Malgrado l'età della donna.
«In quanto alla parte della vecchia che andrà inevitabilmente
perduta a causa dell'operazione... — diede una scrollata di spal-
le, — ho approfondito parecchio la questione e non ho trovato
nessun modo di aggirarla. Non che sembri che ci sia molto di
valido da conservare. È una primitiva ignorante. Semmai, do-
po le resezioni e i trapianti, la sua personalità sarà migliorata.
— Le sue qualità più forti sembrano essere la litigiosità e l'o-
stinazione — annuì Haithness, — associate ad una spaventevole
ignoranza della vita al di fuori della collettività immedia-
tamente vicina.
— Un esemplare tipico — riprese Brora. — È davvero un'ironia
che un esemplare così infimo debba essere la chiave non sol-
tanto del nostro più grande successo, ma della nostra ri-
vendicazione finale.
Nyassa-lee a questo punto spinse via il proprio cibo. Si sen-
tiva turbata dalla conversazione dei suoi due compagni. — A
che ora, domani?
— A un'ora ragionevole sul presto, credo — mormorò Haith-
ness. — Sarà senz'altro l'ora migliore per la vecchia, e sarà me-
glio per noi non perdere troppo tempo con la filosofia e le ipo-
tesi.
Brora mostrò una viva sorpresa per ciò che quest'ultima fra-
se implicava. — Non ti aspetterai che il ragazzo si faccia vivo,
per caso?
— Farai meglio a smetterla di considerarlo un ragazzo.
— Si qualifica appena appena come un giovane adulto.
— Basta un solo appena. Malgrado non abbia dato finora nes-
suna dimostrazione di talenti inaspettati, questo suo lungo, te-
nace inseguimento della madre adottiva è un'indicazione più
che sufficiente, per me, che possiede una mente acuta, oltre
che un talento preciso. — Rivolse un pallido sorriso a Nyassa-
lee. — Vedi, mia cara: malgrado io non condivida la tua propen-
sione al panico, in questo caso, rispetto pur sempre e valuto la
tua opinione.
— Così, ti aspetti di vederlo arrivare?
— No, non me l'aspetto — insisté Haithness, — ma sarebbe im-
barazzante se per qualche miracolo dovesse farsi vivo qui pri-
ma che l'operazione sia stata completata con successo. Una
volta compiuta, vorremo naturalmente prender contatto con
lui attraverso sua madre. Quando la troverà illesa... all'appa-
renza indenne... certamente si rilasserà, aprendo così la strada
al nostro controllo.
— Ma se dovesse farsi vivo prima che riportiamo la vecchia a
Drallar?
— Non preoccuparti — ribadì Haithness. — Ho preparato la
nostra storia-standard, e il nostro personale di qui è stato
istruito su tutti i dettagli inerenti.
— Ma sei convinta che sarebbe disposto ad accettare quella
storia? — chiese Nyassa-lee. — Quella vecchia favola che noi
siamo una società altruistica di medici dediti ad aiutare i vec-
chi e i deboli contro l'indifferenza governativa nei confronti di
adeguate attrezzature sanitarie?
— È vero che abbiamo già utilizzato la storia sotto diverse
mimetizzazioni prima d'oggi, ma sarà nuova per questo sogget-
to — ricordò Haithness alla sua collega. — Inoltre, come dice
Brora, ha appena appena la qualifica di adulto, e l'ambiente in
cui è vissuto nega in pratica ogni sofisticazione, in lui. Credo
che presenterà senz'altro orecchio, specialmente quando gli re-
stituiremo sua madre. Questo dovrebbe essere più che suffi-
ciente a soddisfarlo. Naturalmente, una plastica chirurgica
cancellerà ogni traccia esterna dell'operazione.
— Sarà meglio che mi dia da fare per avere un'intera notte di
sonno. — Brora si scostò impetuosamente dal tavolo. — Spe-
cialmente in vista della dura giornata di lavoro.
Si alzarono tutti e si avviarono ai rispettivi alloggi, Brora
meditando sull'imminente operazione, Haithness sulle loro
possibilità di successo e Nyassa-lee che, lei sola, guardò un'ulti-
ma volta negli occhi di Mamma Mastino.

XII

Dovevano trovarsi vicini alla loro destinazione, poiché la


preda era rimasta immobile ormai da più di un'ora. Fu allora
che il dolore colpì Flinx: acuto, rovente, e come sempre ina-
spettato. Sussultò, strinse gli occhi, mentre Pip si agitava ner-
voso sulla sua spalla.
Allarmata, Lauren si girò di scatto verso il suo giovane com-
pagno. — Cosa succede? Cosa c'è che non va, Flinx?
— Siamo vicini. Molto vicini.
— Lo vedo guardando il rilevatore — confermò la donna.
— È lei, è Mamma Mastino.
— È ferita? — Già Lauren stava facendo abbassare il flut-
tuante verso la foresta. Il minidrago si scontorse sulla spalla di
Flinx, alla ricerca d'un nemico invisibile.
— Non è... non è ferita — borbottò Flinx. — È... sì, c'è una for-
tissima preoccupazione in lei, e tanta paura. Qualcuno ha la
precisa intenzione di farle qualcosa di terribile. Ha anche pau-
ra per me, credo. Ma non riesco a capire... non so che cosa, o
perché...
Flinx sbatté le palpebre. Pip cessò le sue convulsioni. — L'ho
perso. Dannazione l'ho perso. — Per la frustrazione, sferrò un
calcio al quadro di comando. — L'ho perso e non posso farlo
tornare.
— Pensavo...
Flinx l'interruppe, un'espressione rassegnata sul volto: —
Non ho nessun controllo sul mio talento. Proprio nessun con-
trollo. Queste sensazioni mi colpiscono quando meno me l'a-
spetto, e mai, a quanto pare, quando lo vorrei. A volte non rie-
sco neppure a localizzare la fonte. Ma questa volta era Mamma
Mastino: ne sono sicuro.
— Come fa a esserne sicuro? — Lauren fece inclinare il flut-
tuante a babordo, schivando un promontorio roccioso compar-
so all'improvviso.
— Perché so come sente la sua mente.
Lauren gli lanciò un'intensa occhiata, poi decise che non va-
leva la pena cercar di capire qualcosa al di dà del suo campo.
Il fluttuante rallentò, avanzando quasi a passo d'uomo, e ben
presto si adagiò tra gli alberi che sarebbero serviti a na-
sconderlo, sopra una collinetta asciutta. Dopo aver spento il
motore, Lauren si portò sul retro della cabina e cominciò a rac-
cogliere zaini ed equipaggiamento. La notte era profonda in-
torno a loro, e i vari suoni prodotti dagli abitatori notturni del-
la foresta cominciarono a filtrare dentro il fluttuante.
— Dobbiamo affrettarci — disse Flinx, ansioso. Stava già fa-
cendo scattare la serratura. — Le faranno del male ben presto!
— Aspetti! — esclamò Lauren secca. — Non sa cosa le accadrà.
Cosa più importante, non sa quando.
— Presto! — insisté Flinx. Il portello si aprì, scivolando den-
tro l'intercapedine del doppio scafo di plastica trasparente.
Guardò fuori in mezzo alla foresta, nella direzione che sapeva
avrebbero dovuto prendere, anche se non aveva controllato
l'esatta posizione sullo schermo del rilevatore.
— Le prometto che la raggiungeremo il più presto possibile —
gli garantì Lauren, mettendosi a tracolla il fucile a dardi, — ma
non faremo niente di buono per lei e per noi se ci lanceremo al-
la cieca contro quella gente, chiunque essi siano. Ricordi che
avevano armi paralizzanti a bordo dei loro veicoli. Qui, po-
trebbero disporre di armi ancora più letali. Non se ne staranno
seduti immobili mentre lei marcerà contro di loro per chiedere
la restituzione della donna che hanno trascinato attraverso un
intero continente affrontando fastidi d'inferno. La riavremo,
Flinx, con quanta più rapidità possibile, ma un comportamento
temerario non potrà esserci di nessun aiuto. Lei lo sa quanto
me. È un ragazzo di città.
Flinx trasalì alla parola «ragazzo», ma per tutto il resto do-
vette trovarsi d'accordo con lei. Con considerevole sforzo evitò
di lanciarsi alla cieca dentro la cupa foresta. Invece, si costrin-
se ad avvicinarsi al lato posteriore del fluttuante per control-
lare il contenuto dello zaino che la donna aveva riempito per
lui. — Non dà un'arma anche a me?
— Un padiglione per pescatori non è un'armeria, sa? — Lau-
ren accarezzo il calcio del fucile. — Questo è tutto quello che
teniamo, come armi portatili. Inoltre, mi pare di ricordare che
lei ha liquidato un avversario assai più grosso usando soltanto
la sua attrezzatura.
Imbarazzato, Flinx guardò il suo stivale destro. Non era par-
ticolarmente orgoglioso della sua prodezza col coltello, e non
gli piaceva parlarne. — Uno stiletto non serve molto da lontano,
e non è detto che abbiamo l'oscurità come alleato.
— Ha mai maneggiato una vera arma portatile? — gli chiese
la donna. — Una pistola ad aghi? Un lanciaraggi o un'arma a
pallottole?
— No, ma le ho viste usare e so come funzionano. Non è diffi-
cile capire che si deve puntare l'estremità del congegno contro
la persona con cui ce l'abbiamo e tirare il grilletto o premere il
pulsante di sparo.
— A volte non è proprio così semplice, Flinx. — Strinse la cin-
ghia ventrale del suo zaino. — In ogni caso dovrà arrangiarsi
con la sua lama giacché non c'è altro. E non le darò il fucile a
dardi. Mi ci trovo molto più a mio agio io di quanto ci si trove-
rebbe lei. Se è preoccupato circa la mia effettiva decisione a
usarlo, a quest'ora dovrebbe conoscermi a sufficienza. Non me
la sento di esser gentile con questa gente. Rapitori e uccisori di
wervil!
Lauren ricontrollò la loro direzione sul rilevatore, inserì il
dato nella piccola bussola, e gli fece strada fuori della cabina. Il
terreno sotto i loro piedi era relativamente asciutto, morbido
ed elastico.
Mentre camminavano dietro a due fari gemelli, Flinx si sco-
prì ancora una volta intento a riflettere sulla sua compagna.
Avevano in comune un certo numero di cose oltre all'indipen-
denza. L'amore per gli animali, ad esempio. I capelli nasconde-
vano il lato del viso rivolto verso di lui, ma Flinx sentì di poter-
la vedere lo stesso. Pip si agitò leggermente sulla spalla del suo
padrone, quando sentì delle strane emozioni sorgere dentro a
Flinx, emozioni nuove per il minidrago che, pur non lasciando-
lo davvero turbato, lo facevano sentire decisamente a disagio.
L'animaletto cercò di scivolare ancora di più sotto la protezio-
ne della giacca.
Quand'ebbero raggiunto la loro destinazione, era quasi mez-
zanotte. Si accovacciarono in mezzo a un folto boschetto e
sbirciarono fra gli alberi. Flinx smaniava dalla bramosia di
proseguire, sapendo che Mamma Mastino giaceva in preda a
un sonno agitato in qualche punto di quel complesso di edifici,
non molto più in basso di loro. Il buon senso che l'aveva sempre
servito tanto bene sin dall'infanzia contribuiva più della logica
e della ragione a trattenerlo. Visto cosi da fuori e da distante
quel raggruppamento di strutture assomigliava ad un altro
padiglione di caccia o di pesca, anche se di dimensioni assai
maggiori di quello diretto da Lauren. Al centro c'erano gli edi-
fici principali, sulla sinistra gli alloggi per gli ospiti meno dana-
rosi, sulla destra i capannoni della manutenzione e i depositi.
Lauren studiò la disposizione degli edifici attraverso il suo pic-
colo binocolo combinato visibile-infrarosso grande non più di
un pollice. Il suo occhio esperto individuò qualcosa di assai più
significativo dell'ingannevole disposizione del complesso.
— Quelli non sono tronchi — disse a Flinx. — Sono plastica re-
sinata. Molto ben camuffati, ma non c'è più legno in essi di
quanto ce ne sia nella mia testa. Lo stesso vale per le opere in
muratura e quelle in pietra delle fondamenta.
— Come fa a dir questo? — chiese Flinx, pieno di curiosità.
La donna gli porse un minuscolo congegno. Flinx l'accostò
all'occhio, e questo si regolò subito sulla sua acutezza visiva,
cambiando sia la luminosità che la messa a fuoco.
— Guardi le giunture agli angoli e le linee troppo regolari,
troppo precise. Di solito è il risultato che si ottiene quando
qualcuno tenta di copiare la natura. La mano del computer, o
anche soltanto quella dell'uomo, rivelano sempre la propria
presenza. Le sporgenze sui tronchi, le concavità troppo lisce
delle «rocce»... ci sono troppe repliche ovvie dall'una all'altra.
«Oh, ingannerebbe chiunque non fosse familiarizzato con
questa roba, e certo chiunque voli qua sopra con un aereo o un
fluttuante. Ma i materiali di quegli edifici sono contraffatti, il
che ci dice che sono stati posti qui di recente. Chiunque co-
struisca un padiglione nel paese dei laghi per farne un lungo
uso, utilizza sempre materiali nativi.
Un paio di strutture lunghe e strette erano quelle a loro più
vicine sul fianco della piccola collina. Una era immersa nei
buio, l'altra aveva molte luci accese. Marciapiedi fluorescenti
tracciavano strette piste luminose tra gli edifici. Sulla destra
delle due lunghe strutture si ergeva un edificio esagonale, alto
circa tre piani, fatto di finta roccia di plastica, sormontato da
pannelli pure di plastica. Al di là di esso si stendeva una gran-
de struttura a due piani il cui scopo Flinx poté facilmente in-
dovinare dalle alte porte sul davanti e una singola fangomobile
parcheggiata al di fuori: era un hangar per il parcheggio e la
manutenzione dei veicoli.
Accanto all'hangar c'era un edificio tozzo coronato da festo-
nature di sottili cavi d'argento. La centrale elettrica non era
grande abbastanza da nascondere un sistema a fusione. Flinx
decise che si trattava, con ogni probabilità, d'una batteria di
singole pile modulari, di dimensioni variabili a volontà.
Quello che lasciava più perplessi era l'assenza di qualunque
tipo di recinto o altre barriere. Questo voleva dire spingere la
verosimiglianza con un innocuo padiglione troppo oltre, riflet-
té Flinx. In assenza d'una qualunque barriera, l'attenzione di
Flinx come quella di Lauren furono attirate dalla caratteristica
torre centrale, l'unica struttura che si trovasse davvero fuori
posto in un complesso turistico.
Lauren l'ispezionò con grande attenzione attraverso il bino-
colo. — Anche là ci sono delle luci accese — annunciò. — Po-
trebbero magari volerla far passare per un qualche tipo di tor-
re d'osservazione, o addirittura per un ristorante.
— Mi sembra che in cima sia terribilmente stretta per poterci
far entrare una sala da pranzo — commentò Flinx.
Quando tutte le luci interne ancora accese si spensero, alcuni
riflettori presero a sciabolare l'oscurità tra gli edifici. Un'altra
ora di attesa tra i cespugli umidi e freddi confermò i sospetti di
Lauren su quella torre misteriosa.
— Ci sono sei oggetti conici regolarmente spaziati sopra il tet-
to — disse a Flinx, indicandoglieli con la mano guantata. — Sul-
le prime avevo pensato che fossero riflettori, ma nessuno dei
sei si è acceso. Cosa diavolo possono essere?
Anche Flinx era riuscito a distinguerli. — Adesso credo di ri-
conoscerli. Sono proiettori d'ultrasuoni ecosensibili.
Lauren lo fissò sbalordita. — Cosa? E come fa ad essere tanto
sicuro di quello che sono?
Flinx le concesse un fugace sorriso. — Ho dovuto schivarli al-
tre volte. Ognuno di quei coni proietta un fascio ampio e piatto
di ultrasuoni ad alta intensità. Gli oggetti immobili non vengo-
no registrati dai sensori, e questo rende possibili usarli per
spazzare zone in cui s'innalzano edifici ed altre installazioni
fisse. — Flinx riprese a studiare la torre con rinnovata atten-
zione.
— Sì — riprese, — a giudicare da come sono sistemati i proiet-
tori, direi che la loro portata effettiva si fermi a circa cin-
quanta metri da quei due edifici lunghi e stretti.
— Questo non va bene — ribadì la donna, cercando di di-
stinguere l'invisibile barriera, anche se sapeva che era impos-
sibile.
— È anche peggio di quanto lei possa pensare — aggiunse
Flinx. — Il computer, infatti, è programmato per scartare au-
tomaticamente tutte le interruzioni dei raggi sonici prodotte
da oggetti di dimensioni diverse da quelle umane. Mentre, al
contrario, l'interruzione del campo sonico di qualcosa che an-
che vagamente abbia dimensioni e forma umana genera una
proiezione grafica su uno schermo. Qualunque guardia stia os-
servando lo schermo sarà perciò in grado di dire cosa sia en-
trato nell'area protetta e decidere su quella base se dare o no
un ulteriore allarme. — Aggiunse in tono di scusa: — I ricchi
adorano questo sistema di difesa.
— Quando non abbiamo visto un normale recinto, ho temuto
che vi fosse qualcosa del genere. Non c'è nessun modo per ag-
girarlo, Flinx? Ha detto di aver evitato cose come queste, in
passato.
Flinx annuì. — Evitato, appunto. Non c'è nessun modo per
evitare questo sistema. Non dall'esterno, comunque. Suppongo
che potremmo scavare una galleria sotto di esso.
— Fino a quale profondità il fascio d'ultrasuoni penetra nel
terreno?
— È un problema — fece Flinx. — Dipende interamente dall'e-
nergia con cui vengono alimentati i proiettori e dalle frequenze
che vengono generate. Forse soltanto un metro, o al contrario
una dozzina. Potremmo scavare una galleria fino all'interno
del campo e andare a sbattere contro il raggio senza saperlo,
fino al momento in cui emergere in mezzo a un cerchio di fucili.
E anche se riuscissimo a penetrare fin dentro il campo,
avremmo un altro problema, poiché è probabile che i raggi co-
prano l'intera superficie esterna. Dovremo uscire rasenti uno
di quegli edifici, o addirittura al suo interno.
— Non ha importanza — l'interruppe la donna, — poiché non
abbiamo a portata di mano nessuna attrezzatura per scavare
gallerie. Azzarderò l'ipotesi che, visto il loro controllo così
stretto della superficie, il cielo nelle immediate vicinanze
dell'installazione sia coperto con un'attenzione ancora maggio-
re.
— Pronto a scommettere anche su questo — dichiarò Flinx.
Indicò la torre e il resto dell'installazione. — Potremmo sempre
speronarli con un tuffo improvviso del fluttuante. Non ci sono
molti edifici, laggiù. Forse riusciremmo a trovare Mamma Ma-
stino e a tirarla fuori prima che abbiano il tempo di reagire.
Lauren continuò a studiare il complesso. — Non c'è niente di
più costoso d'una installazione temporanea sistemata in ma-
niera tale da sembrare permanente. Direi che un insediamento
del genere è in grado di ospitare dalle trenta alle cento perso-
ne. Non hanno certo compiuto un simile sforzo per individuare
degli intrusi, senza essere anche dannatamente pronti a re-
spingerli. Ricordi che noi siamo soltanto in due.
— Tre — la corresse Flinx. Un sibilo compiaciuto si fece udire
da sopra la sua spalla.
— La sorpresa può valer parecchio — annuì Lauren. — Dicia-
mo, dieci, ma non di più. E nella veste di cadaveri non sa-
remmo di grande aiuto a sua madre. Si ricordi che nessun altro
sa che noi siamo qui. Se noi dovessimo sparire, sparirebbero
anche le possibilità di sua madre di cavarsela.
— So che le probabilità a nostro favore non sono granché —
ribatté Flinx, irritato, — ma dobbiamo fare qualcosa.
— E qualcosa faremo. Ricorda quella sezione di foresta messa
quasi del tutto allo scoperto, che abbiamo sorvolato ieri sul
presto?
Flinx ci pensò su un momento, poi annuì.
— Quella era una linea-guida.
— Una linea-guida per che cosa?
— Per l'egualizzazione — gli rispose la donna. — Per pa-
reggiare le probabilità. Per un'arma migliore di questa. — Ac-
carezzò la tracolla del fucile a dardi. — Ancora migliore di quel
serpente che cavalca la sua spalla. Non condivido la fiducia che
ha in lui.
— Lei non ha visto Pip in azione — obiettò Flinx. — Di che raz-
za di arma sta parlando?
Lauren si alzò e spazzolò via il terriccio e i frammenti di cor-
teccia dalla sua tuta. — Vedrà — garantì a Flinx. — Ma dovremo
stare dannatamente attenti. — Scrutò una volta ancora il cam-
po sotto di loro. — Vorrei riuscire a pensare a un sistema mi-
gliore, ma proprio non ce la faccio. Possiamo star certi che ol-
tre al sistema d'individuazione che lei mi ha descritto hanno
piazzato anche delle sentinelle. Noi non sappiamo neppure in
quale edificio si trovi sua madre. Se dobbiamo rischiare tutto
in una singola carica alla cieca, allora dovrà essere una carica
davvero infernale.
«L'arma che ho in mente è del tipo volatile. Può colpire in en-
trambe le direzioni... è un'arma a doppio taglio, in altre parole,
ma preferisco un pericolo che mi sia familiare. Torniamo al
fluttuante.
Lauren si girò e si incamminò verso la foresta. Flinx si alzò a
sua volta per raggiungerla; gli costò uno sforzo allontanarsi dal
campo, che sembrava fissare la notte con tanti occhi fosfo-
rescenti da rettile, fino a quando gli alberi non li inghiottirono
del tutto.
Avevano già percorso metà della strada che li separava dal
boschetto dove avevano parcheggiato il fluttuante, quando una
nuova sensazione spazzò il suo corpo. Come al solito l'investì
del tutto all'improvviso, ma questa volta era del tutto diversa
dalle sue ultime recezioni. Tanto per cominciare, non era colle-
gata con nessuna sensazione di dolore, e per di più proveniva
da una direzione diversa da quella del campo. Sì, il suo punto
d'origine era un altro. Stranamente, aveva delle sfumature di
allarme, anche se si trattava d'un allarme vago, confuso.
Proveniva da Lauren ed era diretto a lui.
Non c'era amore, nessun seguito caldo e appassionato al ba-
cio casuale che la donna gli aveva dato a bordo del fluttuante.
Sì, c'era affetto, ma non era quello che lui aveva sperato. E c'e-
rano ammirazione, e qualcos'altro. Qualcosa che non si sarebbe
aspettato da lei: una viva ondata di preoccupazione per lui, e in
misura minore, pietà.
Flinx era diventato esperto nel distinguere e identificare le
emozioni che riceveva, e non c'erano equivoci su quelle che in
quel momento l'investivano. Quel bacio, dunque, non soltanto
non era stato dettato da vero amore, era molto, molto di meno.
Lauren provava dispiacere per lui. Niente di più.
Cercò di respingere quelle sensazioni, non soltanto perché
provava a causa d'esse una viva delusione, ma perché era an-
che imbarazzato. Era anche peggio che guardare dentro la
mente di qualcuno: lui stava leggendo il cuore di Lauren, non la
mente. Ma, malgrado ci mettesse ogni energia, non riuscì a
escludere da sé quel flusso. Non poteva arrestare quel flusso di
emozioni più di quanto fosse in grado di metterlo in moto. Si
accertò di restare un passo o due dietro di lei, cosicché non
fosse in grado di distinguere il suo viso, sempre assorbendo le
ondate di compassionevole preoccupazione che sgorgavano da
Lauren, continuando a sperare che fossero qualcos'altro...
qualcosa di più.
Esitarono prima di avvicinarsi al fluttuante, compiendo un
giro completo intorno all'area di atterraggio. Questa rapida ri-
cerca rivelò comunque che il loro nascondiglio era rimasto in-
violato. Una volta saliti a bordo, Lauren fece alzare l'apparec-
chio. Non puntò verso il campo; invece curvò verso sud e co-
minciò a ripercorrere il loro tragitto sempre sfiorando le cime
degli alberi. Ben presto incontrarono il lungo squarcio aperto
nel folto della foresta. Lauren si librò sopra di esso per parec-
chi minuti, studiando il terreno, poi con mossa decisa puntò
verso ovest. Flinx si tenne sulle sue cercando di escludere dal-
la sua mente quel diluvio di emozioni. Poi, in modo del tutto im-
provviso, quello spazio aperto tra gli alberi terminò.
— Dannazione — imprecò a bassa voce Lauren, — devo aver
scelto la direzione sbagliata. Ero sicura di aver interpretato la
superficie nella maniera giusta. Forse è nella direzione op-
posta.
Flinx non fece commenti quando Lauren fece virare il flut-
tuante puntando verso sud-est. Quando il sentiero terminò
un'altra volta con un muro ininterrotto di alberi, la donna con
un moto di rabbia fece virare il velivolo una seconda volta. E
quando incontrarono per la terza volta il muro compatto della
foresta, rallentò ma continuò verso ovest, puntando più volte
tutti i rivelatori del radente sulla buia foresta sottostante.
— Forse, se mi dicesse con più precisione cosa sta cercando,
potrei aiutarla a guardare — disse infine Flinx, con una punta
di frustrazione nella voce.
— Gliel'ho già detto. Armi. O meglio, alleati. Il che è la stessa
cosa. Tuttavia, non c'è nessun segno di loro. Devono aver finito
di mangiare ed essere entrati in semiletargo. È così che vivono:
non fanno niente, si limitano soltanto a mangiare per parecchi
giorni di fila, poi si stendono al suolo e dormono per un'intera
settimana. Il guaio è che quando hanno terminato uno dei loro
periodi di nutrizione, sono inclini a girovagare in qualunque
direzione fino a quando non trovano un posto per dormire che
li soddisfa. E noi non abbiamo certo il tempo di rovistare l'inte-
ra foresta per trovare la mandria.
— Mandria di cosa? — chiese Flinx.
— Non gliel'ho detto? Devilopi.
Flinx adesso capì. Aveva sentito parlare dei devilopi, ne ave-
va perfino visto una o due teste imbalsamate in un grande edi-
ficio commerciale. Ma non aveva nessuna esperienza diretta
con loro. Pochi cittadini di Drallar, del resto, l'avevano. Non ce
n'era un solo esemplare nello zoo della città. Da quanto gli ave-
vano detto, non era possibile tenere dei devilopi in uno zoo.
Il demichin devilope era la forma di vita nativa dominante su
Falena. Era insolito che un erbivoro fosse la forma di vita do-
minante su un pianeta ma, a parte l'uomo, un arrivo molto re-
cente, i devilopi non avevano nemici naturali. Erano relativa-
mente scarsi, come del resto lo erano le teste imbalsamate che
Flinx aveva visto. Il costo eccessivo dell'indispensabile imbal-
samazione permetteva soltanto alle persone più ricche di colle-
zionare devilopi.
Il fluttuante volteggiava tra le cime degli alberi, prendendo
quota di tanto in tanto per superare gli occasionali esemplari
che superavano i novanta metri di altezza, e scendendo più in
basso quando la foresta toccava altezze più modeste. Di tanto
in tanto Lauren faceva abbassare il fluttuante fino al livello del
suolo, ma soltanto per levarsi di nuovo verso il cielo, delusa,
quando le tracce si rivelavano inconcludenti. Sì, non c'era il
minimo segno d'una mandria di devilopi.
Nel frattempo, un'altra serie di sensazioni stava investendo
la mente aperta di Flinx, e Pip cominciò ad agitarsi sulla sua
spalla. Flinx aveva continuamente cercato di ritrovare le emo-
zioni di Mamma Mastino, ma senza successo. Al contrario, i
suoi tentativi parevano attirare le sensazioni di tutti, salvo
quelle della sua madre adottiva. Tornò a chiedersi il perché di
quella sua percezione così accentuata dal momento in cui ave-
va acquisito il suo animaletto; anche se era probabile, puntua-
lizzò a se stesso, che lassù nel nord, dove le menti erano poche
e sparse, fosse soltanto naturale che la sua ricettività miglio-
rasse.
Quelle ultime sensazioni portavano un'indubbia firma fem-
minile. Ma erano nuove, per lui. Non appartenevano né a
Mamma Mastino né a Lauren. Gelide e calme, erano vaghe e
difficili da definirsi: a chiunque appartenessero, si trattava
d'una persona insolitamente priva di emozioni. Lui percepiva
anche una leggera ma inequivocabile paura, associata ad una
formidabile determinazione, fredda e implacabile: così dura e
irremovibile che Flinx ne provò un vivo timore, intenso quasi
quanto il terrore che aveva sentito irradiarsi da Mamma Ma-
stino. Ma, salvo per quelle sfumature di paura, avrebbero po-
tuto essere le emozioni d'una macchina.
Quelle sensazioni provenivano dal campo in cui Mamma Ma-
stino era tenuta prigioniera. Flinx aveva pochi dubbi che ap-
partenesse a uno di quei misteriosi individui che l'avevano ra-
pita. Dalla debole, fioca sensazione che percepiva poteva ca-
pire la sua paura. Poi la sensazione scomparve. Era durata me-
no di un minuto. Eppure, durante quel tempo, Flinx aveva ri-
cevuto una completa immagine emotiva della persona che l'a-
veva agganciato con i suoi sentimenti. Mai prima di allora ave-
va incontrato una mente concentrata a tal punto su un singolo
scopo, e del tutto priva delle consuete sfumature emotive che
facevano parte della normale umanità. Pip sibilò contro l'aria
vuota come se fosse pronto a colpire per difendere il suo pa-
drone.
— Questo non funziona — borbottò Lauren, cercando di vede-
re attraverso gli alberi. — Dovremo... — S'interruppe, lo guardò
e corrugò la fronte. — Si sente bene? Ha l'espressione più stra-
na che io abbia mai visto, sulla sua faccia.
— Sto benissimo. — Il gelo profondo si stava finalmente dile-
guando dalla sua mente. Gli fu chiaro che non si era reso conto
di quanto l'avesse interamente afferrato. La domanda della
donna lo riportò all'immediatezza del momento, e poté di nuo-
vo sentire il calore della cabina del fluttuante e del proprio
corpo. Non per la prima volta si trovò a chiedersi se quell'ingo-
vernabile talento un giorno non avrebbe finito per fargli del
male piuttosto che del bene. — Stavo solo pensando.
— Lo fa molto spesso — mormorò la donna. — Flinx, lei è l'uo-
mo più bizzarro che abbia mai incontrato.
Lauren riportò la sua attenzione sui comandi. — Adesso at-
terreremo. Questo fluttuante non è precisamente attrezzato
per il genere di ricerca notturna che stiamo conducendo. Inol-
tre non so come lei si senta, ma è tardi ed io sono esausta.
Anche Flinx era tremendamente stanco, sia nella mente che
nel corpo. Così non fece obiezioni quando Lauren scelse una
macchia d'alberi e fece calare il fluttuante in mezzo ad essi.
— Non credo che dovremo fare la guardia — disse la donna. —
Siamo abbastanza lontani dal loro campo, cosi nessuno do-
vrebbe incappare su di noi. Non ho visto nessun segno di pat-
tugliamenti aerei. — Adesso si trovava sul retro del fluttuante,
intenta a sprimacciare i sacchi a pelo che avevano portato dal
padiglione.
Flinx se ne stava seduto e la guardava in silenzio. Aveva co-
nosciuto alcune ragazze e giovani donne a Drallar. Abitanti del
mercato come lui, studentesse alla dura scuola del vivere alla
giornata. Non era mai riuscito a provare un vero interesse per
nessuno di loro, anche se qualcuna aveva mostrato per lui un
interesse più che casuale. Non erano, be'... non erano serie, né
sulla vita, né su altre faccende.
Mamma Mastino l'aveva rimbrottato spesso per questo suo
atteggiamento. — Non c'è motivo perché tu debba comportarti
con tanto dislacco, ragazzo. Non sei più vecchio di loro. — Que-
sto non era vero, naturalmente, ma lui non poteva convin-
cersene.
Lauren era cittadina d'una dimensione interamente diversa.
Era una donna attraente e matura. Un'adulta capace di pensa-
re, e che aveva fiducia in se stessa, il che era appunto l'immagi-
ne che Flinx aveva di se stesso, malgrado l'età. La donna si era
già tolta i calzoni e la camicia e si era infilata nel sottile bozzolo
termico del sacco a pelo.
— Be'? — Gli strizzò l'occhio, si spinse via i capelli dal viso. —
Non va a letto? Non mi dica che non è stanco.
— Riesco appena a reggermi in piedi — ammise Flinx. Si tolse
a sua volta gli indumenti e s'infilò nel sacco a pelo accanto a
quello di lei. Giacendo là ed ascoltando il ritmico picchiettare
della pioggia contro la calotta del fluttuante, si protese verso
Lauren con la sua mente, facendo uno sforzo, cercando un ac-
cenno, una traccia delle emozioni che tanto disperatamente
avrebbe voluto che lei sentisse. Invece, cosa che lo fece infuria-
re, non riuscì a percepire niente.
Il calore del sacco a pelo e della cabina lo avvolse, e Flinx di-
venne conscio in modo acuto del debole odore di muschio della
donna che si trovava a poca distanza da lui. Avrebbe voluto al-
lungare la mano, toccare quella pelle liscia e abbronzata dal so-
le, accarezzare quei lucidi riccioli neri come la notte che le ri-
cadevano giù da un lato della testa e coprirle la guancia e il col-
lo, formando uno scuro rigonfiamento contro il bastione del
sacco a pelo. La mano gli tremava.
Cosa devo fare?, pensò furiosamente. Come comincio? C'è
qualcosa di speciale che dovrei dire all'inizio, oppure dovrei al-
lungare la mano subito e parlare più tardi? Come posso dirle
quello che sento? Io posso ricevere... Se soltanto potessi tra-
smettere!
Pip giaceva arricciato in un nodo duro e scaglioso vicino ai
suoi piedi, in fondo al sacco a pelo. Flinx si accasciò su se stes-
so, stanco, frustrato e impotente. Cosa c'era da fare, adesso?
Cosa c'era da fare... se non quello che lui avrebbe voluto, ma
esitava a osare?
Un lieve mormorio lo raggiunse dall'altro sacco a pelo. Un
fruscio di capelli neri. — Buona notte, Flinx. — Lauren si voltò
per un fugace sorriso che illuminò la cabina, poi tornò a girarsi
e rimase immobile.
— Buona notte — borbottò il ragazzo. La mano incerta che era
uscita per metà dal sacco a pelo si ritrasse, stringendo convul-
sa l'orlo del tessuto. Forse era meglio così, cercò di dirsi. Per
quanto si credesse adulto, c'erano misteri e parole d'ordine che
non gli erano ancora familiari. Inoltre c'era quell'ondata di pie-
tà e di compassione che aveva individuato in lei... E anche
ammirazione, rassicurazione, ma non ciò che aveva sperato di
sentir irradiare da lei. Voleva, doveva avere, qualcosa di più.
La cosa di cui non aveva proprio nessun bisogno era un'altra
madre.

XIII

La mattina dopo, quando si alzarono, non dissero niente. In-


ghiottirono una rapida colazione a base di concentrati, poi si
sollevarono un'altra volta in volo nel cielo fosco. Il sole non si
era ancora alzato del tutto, anche se la sua luce diffusa dalle
nubi illuminava le cime degli alberi. Flinx sapeva che doveva-
no trovare al più presto la mandria di Lauren, poiché la batte-
ria del fluttuante si stava scaricando e così anche le loro possi-
bilità. Flinx non sapeva quanto tempo restasse ancora a
Mamma Mastino prima che la fonte di paura che aveva perce-
pito la raggiungesse.
Forse erano stati ostacolati dalla mancanza della luce del
giorno, o forse erano semplicemente passati accanto al luogo
giusto senza avvedersene, ma questa volta trovarono la man-
dria nel giro di pochi minuti. Sotto il fluttuante sospeso nell'a-
ria videro una moltitudine di piccole colline colore dell'ossidia-
na. Il nero pelame s'increspava alla brezza del mattino, folto e
spesso più d'un metro. Là dove una delle piccole colline si mos-
se nel suo sonno profondo, vi fu un lampo di rosso, come un ru-
bino smarrito in un mucchio di carbone, quando un occhio si
aprì e tornò a chiudersi in un attimo.
Flinx contò più di cinquanta adulti. Sparsi tra loro c'erano in
numero pressoché uguale i cuccioli e gli animali giovani. Tutti
giacevano distesi sul fianco sopra il terreno umido, e il bo-
schetto che avevano scelto come riparo li proteggeva un po'
dalla pioggia.
Così, quelli erano i favolosi demichin devilope! Minacciosi,
spaventevoli perfino nel loro sonno sazio. Lo sguardo di Flinx
si appuntò su uno degli immensi maschi che russava tra due
torreggiami alberi di legno duro. Calcolò che fosse lungo alme-
no dieci metri, e la sua altezza, una volta in piedi, sarebbe arri-
vata a sei metri. Se fosse stato in piedi, un uomo alto di statura
avrebbe potuto camminare sotto il suo ventre sfiorando appe-
na le punte inferiori dei suoi ispidi peli.
Il collo inclinato verso il basso, dai muscoli possenti, pen-
zolava tra un paio d'immense spalle ingobbite per terminare in
un cranio da incubo dal quale sporgevano parecchie corna. Al-
cuni devilopi avevano soltanto due corna, altri arrivavano ad
averne fino a nove. Le corna erano contorte e arricciate, anche
se per la maggior parte terminavano puntate in avanti; non
c'erano due devilopi le cui corna crescessero esattamente nello
stesso modo. Le piastre ossee erano scampanate leggermente
verso l'esterno, partendo dalle corna, per proteggere gli occhi.
Le zampe anteriori erano più lunghe di quelle posteriori, una
cosa insolita per un mammifero tanto massiccio. Questa tre-
menda muscolatura anteriore consentiva a un devilope di sra-
dicare un albero completamente cresciuto. Questo spiegava la
pista devastata che contrassegnava i loro periodi di alimenta-
zione. Una sola mandria era in grado di spogliare del tutto
un'intera sezione della foresta, spingendo giù i sempreverdi
per arrivare agli aghi e ai germogli più teneri, giungendo anche
a strappare e a divorare la corteccia dei tronchi più grossi.
I devilopi si mossero nel loro sonno, scalciando con le loro
zampe grosse come alberi.
— Dormiranno così per giorni — gli spiegò Lauren mentre
compivano un lento giro sopra la mandria. — Fino a quando
non avranno di nuovo fame, o a meno che qualcosa non li di-
sturbi. Non si preoccupano neppure di mettere delle sentinelle.
Nessun predatore sano di mente attaccherebbe un'orda di de-
vilopi addormentati. C'è sempre il pericolo che si sveglino.
Flinx fissò quella nera distesa di devilopi. — Cosa ne facciamo
di loro? — Per non dire come, pensò.
— Non possono venir domati, e neppure possono venir guida-
ti — gli disse Lauren. — Ma a volte è possibile attirarli. Dobbia-
mo trovare una giovane giumenta in calore. La stagione è giu-
sta. — Le sue dita si mossero sopra i comandi, e il fluttuante
cominciò a perder quota.
— Scendiamo là in mezzo? — Flinx indicò la mandria.
— Dobbiamo — rispose la donna. — Non c'è altro modo. Do-
vrebbe andare tutto bene. Sono addormentati e non hanno
paura.
— È più di quanto possa dire io — bofonchiò Flinx mentre il
fluttuante si tuffava tra gli alberi. Lauren lo manovrò con mol-
ta cautela, cercando di rompere quanti meno rami possibile e
di produrre poco o niente rumore. — A cosa ci serve una giu-
menta in calore?
— Olio di muschio e sangue — gli spiegò Lauren, quando il
fluttuante si adagiò al suolo con leggerezza.
Vista da vicino, la mandria era il doppio più impressionante.
Una massa ribollente e increspata di neri peli irsuti interrotta
da isolate chiazze di corna massicce e ritorte: il tutto era assai
più simile ad un paesaggio dell'inferno che a un raduno di erbi-
vori temporaneamente inanimati. Quando Lauren spense il
motore e spalancò la porta della cabina, Flinx fu investito da
un denso, violentissimo odore e dal rumoreggiare costante del
respiro della mandria. Il ronzio primordiale della Terra, venne
fatto di pensare al ragazzo.
Lauren aveva tirato fuori il fucile a dardi e lo teneva pronto
mentre si avvicinavano un passo dopo l'altro alla mandria.
Flinx la seguì cercando di far finta che quelle rupi nere che gli
torreggiavano sopra la testa fossero di basalto e non di carne.
— Ecco. — Lauren indicò un punto fra un paio di masse ani-
malesche di media grandezza che respiravano lentamente.
Prendendo la mira, la donna sollevò con cautela la lunga canna
prima di piazzare tre dardi dietro a quel cranio massiccio. La
giumenta si mosse, tossendo una volta. Poi la sua testa, che
aveva cominciato a sollevarsi, si rilasciò, riaffondando lenta-
mente verso il terreno. Flinx e Lauren trattennero il fiato, ma
la loro attività in punta di piedi non aveva destato nessuno de-
gli animali vicini al loro bersaglio.
Senza nessun timore, Lauren avanzò a grandi passi tra le
due masse che formavano un canyon vivente e si sfilò lo zaino
dalle spalle quando fu accanto alla giumenta narcotizzata. Pri-
ma di lasciare il fluttuante, aveva tirato fuori parecchi oggetti
dal magazzino. Adesso li dispose in fila, con ordine, sul terre-
no, e si mise al lavoro. Flinx osservò con vivo interesse mentre
un coltello ed altri arnesi che non riconobbe venivano mossi
con destrezza.
Un contenitore si riempì rapidamente di sangue. Un secondo
si riempì ancora più in fretta d'un liquido verde e cristallino.
Lauren aveva storto violentemente il viso, e non appena l'aro-
ma di quel fluido verde raggiunse anche Flinx, questi ne capì il
perché. Quell'odore lo travolse più di qualunque altra cosa che
le sue narici avessero mai affrontato. Per fortuna, l'odore in sé
non era cattivo... soltanto troppo intenso.
Un grugnito forte e acuto s'innalzò all'improvviso alle sue
spalle. Flinx si girò di scatto e si trovò a fissare, affascinato e
terrorizzato insieme, un grande occhio scarlatto. Una pupilla
nera, assurdamente minuscola, galleggiava al centro di quel di-
sco color rosso-sangue. Poi la palpebra discese come una tenda
sopra quell'apparizione. Nervi e muscoli di Flinx non si rilassa-
rono.
— Faccia presto! — fu il flebile grido emesso da Flinx senza
voltarsi. — Credo che quel devilope si stia svegliando!
— Non abbiamo ancora finito — replicò Lauren, chiudendo il
secondo flacone e mettendosi al lavoro con un laser a bassa
energia. — Prima devo suturare le due ferite.
— Lasci che ci pensi la natura a chiuderle — la sollecitò Flinx,
tenendo gli occhi fissi sull'orbita che l'aveva fissato senza
espressione. La palpebra tornò a incresparsi, e Flinx si con-
vinse che quando si fosse aperta una seconda volta, l'avrebbe
fatto in piena coscienza.
— Lei mi conosce troppo bene, ormai — aggiunse Lauren, con
fermezza. Flinx aspettò, urlando in silenzio che si affrettasse.
Finalmente, la donna annunciò: — È fatta. Possiamo andare.
Si affrettarono a tornare indietro in mezzo ai bastioni di pel-
liccia nera. Flinx non si permise di rilassarsi finché non si tro-
varono ancora una volta seduti all'interno del fluttuante. Flinx
passò parecchio tempo per cercare di calmare Pip. Reagendo
alla preoccupazione del suo padrone, l'animaletto aveva svi-
luppato un tic nervoso.
Malgrado il tappo ermetico, il miasma che si levava dalla bot-
tiglia verde quasi lo soffocava. Il contenitore del sangue non
emanava nessun odore.
— Quello verde è l'olio di muschio — gli spiegò Lauren, senza
che ce ne fosse bisogno. — È la stagione della monta.
— Posso capire cos'ha in mente di fare con quello — replicò
Flinx. — Ma a cosa serve il sangue?
— Liberato nell'aria aperta, l'olio basterebbe a interessare i
maschi della mandria. Ma dobbiamo far di più che limitarci a
interessarli. Dobbiamo farli impazzire un po'. E l'unico modo di
farlo è convincerli che una femmina in calore è in pericolo. E a
quel segnale reagiranno anche le femmine della mandria. —
Lauren si mise a lavorare con la piccola disponibilità di sostan-
ze chimlche del fluttuante.
— Dovrebbe vedere quando i maschi sono svegli e lottano —
riprese Lauren mentre mescolava l'olio, il sangue e diversi ca-
talizzatori in un contenitore a chiusura ermetica. Flinx conti-
nuava a fissare ansioso la mandria. — L'intera foresta trema.
Perfino gli alberi più alti sono scossi. Quando due dei maschi
più grossi cozzano l'uno contro l'altro con quei crani e quelle
corna, si riesce a sentire il tonfo anche a chilometri di distan-
za.
Cinque minuti più tardi la donna sollevò una grossa fiasca al-
la debole luce del primo mattino. — Ecco, questo dovrebbe es-
sere più che sufficiente. Feromoni e sangue e qualche altro
stuzzichino per l'olfatto. Se questo non li attirerà, allora non c'è
niente che possa farlo.
— Faranno scattare l'allarme quando traverseranno la bar-
riera sonica — le ricordò Flinx.
— Sì, ma a quel punto saranno talmente impazziti che niente
gli farà cambiare direzione. Allora non avrà più importanza
quello che faranno scattare. — La donna sorrise con cattiveria,
poi esito a quel pensiero. — La mia sola preoccupazione è quella
di trovare sua madre prima che i devilopi comincino ad inve-
stire gli edifici.
— Sarà meglio — disse Flinx.
— Dovrebbe esserci abbastanza confusione — proseguì Lau-
ren, — da distrarre l'attenzione di tutti. A meno che non siano
del tutto inumani, gli abitanti del campo non avranno da pen-
sare ad altro, se non a salvare la loro pelle.
«In quanto a tirar fuori sua madre in fretta, credo si possa
senz'altro supporre che non si trovi nell'area dell'hangar o nel-
la centrale elettrica... e neppure nella torre centrale. Rimango-
no quelle due lunghe strutture situate a ovest. Se riusciremo a
irrompervi e a tirarla fuori prima che chiunque sia al comando
riprenda il controllo della situazione, dovremmo riuscire a
scappare prima che qualcuno si renda conto di cosa sta succe-
dendo.
«Ricordi che noi saremo i soli preparati a quanto sta per ac-
cadere. Molto dipenderà da come reagirà questa gente. È ovvio
che non sono stupidi, ma non vedo come qualcuno possa avere
nervi tanto d'acciaio da reagire senza perdere la testa a ciò che
stiamo per combinargli. Inoltre... io non ho nessuna idea mi-
gliore.
Flinx scrollò la testa. — E neppure io. Tuttavia, vedo una dif-
ficoltà. Se riusciremo a convincere questa mandria che stanno
battendo la pista d'una devilope in calore e ferita, dovremo ri-
manere al suolo. Non vedo come possano seguire l'odore se sa-
remo in aria.
— Proprio così. E dovremo rendere la nostra azione il più
possibile credibile. Questo significa che dovremo stare a terra.
Anche un volo all'altezza delle cime degli alberi potrebbe con-
fondere la mandria... le correnti d'aria porterebbero l'afrore in
quota troppo rapidamente e lo dissiperebbe in pochi attimi.
— Cosa accadrà allora — incalzò Flinx, — se questa nostra
idea dovesse funzionare e quando la mandria c'inseguisse ver-
so il campo... e noi dovessimo andare a sbattere contro un al-
bero, un palo o qualcosa del genere?
Lauren scrollò le spalle. — Sa arrampicarsi?
— Non sono molti gli alberi disponibili a Drallar — obiettò
Flinx. — Ma ho fatto molte arrampicate sulla facciate esterne
degli edifici.
— Scoprirà che c'è assai poca differenza — gli garantì la don-
na, — soprattutto con la spinta psicologica di cui disporrà se il
fluttuante dovesse incepparsi. Comunque... se accadrà qualco-
sa, corra verso l'albero più grosso che riesce a trovare. Credo
che eviteranno quelli che emergono dalla massa della foresta.
— Lo fissò di traverso, con un attimo di esitazione. — Vuole
aspettare un po' e rifletterci sopra?
— Stiamo perdendo tempo a parlare qui — rispose Flinx, sa-
pendo che ogni minuto portava Mamma Mastino più vicina alla
sorte che i suoi rapitori le avevano destinato. — Se lei è pronta,
lo sono anch'io.
— Non sono pronta — disse Lauren, — ma per una cosa come
questa non lo sarò mai. Così, tanto vale che andiamo. — Prese
posto sul seggiolino del pilota e azionò un comando. La parte
posteriore della calotta si sollevò, aprendosi. — Salga là dietro.
Quando glielo dirò, tolga il tappo al flacone e ne versi fuori, oh,
all'incirca un decimo del contenuto. Poi lo tenga pronto aperto
e ne versi fuori un decimo tutte le volte che glielo dirò. Ha capi-
to?
— Ho capito — le assicurò, con molta più fiducia di quanta ne
provasse. — Lei si limiti a guidare quest'affare e si assicuri che
non ci mettiamo a litigare con un albero.
— Non si preoccupi. — Gli rivolse un ultimo sorriso prima di
tornare a voltarsi verso il cruscotto.
Il fluttuante si alzò in volo e virò, puntando lentamente verso
la mandria sonnolenta. Quando furono a soli dieci metri dall'a-
nimale più vicino, Lauren fece ruotare l'apparecchio e lo tenne
sospeso, immobile, a mezz'aria, studiando l'immagine della fo-
resta come veniva analizzata dallo schermo.
Violenti grugniti frammisti a qualche belato cominciarono a
levarsi dalla mandria quando Flinx tese il flacone ancora chiu-
so sopra la poppa del fluttuante. Si guardò intorno finché non
trovò un pezzo di tessuto sottile che si strinse intorno alla boc-
ca e al naso.
— Avrei dovuto pensarci — mormorò la donna guardandolo.
— Mi spiace.
— Non ne vuole un pezzo anche lei? — chiese Flinx.
Lauren scosse la testa. — Sono quassù e il vento allontanerà
l'odore da me. È pronto? — Le sue mani si strinsero sul volante.
— Pronto — disse Flinx. — Sei pronto, Pip?
Il serpente volante non disse niente; neppure sibilò in rispo-
sta. Ma Flinx sentì le spire che si stringevano nell'attesa intor-
no al suo braccio e alla spalla sinistra.
— Apra il flacone e versi — Lauren gli ordinò.
Flinx fece saltare il tappo che chiudeva il flacone, mentre
Lauren rallentava ancora di più la velocità del fluttuante. An-
che con quella maschera improvvisata e la brezza che allonta-
nava l'afrore da lui, l'odore era del tutto soffocante. Gli occhi gli
lacrimavano e le narici si ribellavano. In qualche modo riuscì a
mantenere la sua attenzione sul compito immediato e versò
lentamente un decimo del liquido.
Un muggito querulo e violento si levò da parecchie massicce
gole. Quando il fluttuante scivolò oltre una macchia di alberi di
legno duro simile ad una cattedrale, Flinx riuscì a vedere un
maschio gigantesco che si sollevava da terra. Parve dominare
la foresta, malgrado i grandi alberi s'innalzassero sopra di lui.
Adesso quei rossi occhi metallici erano completamente aperti,
le minuscole pupille nere parevano come buchi su uno sfondo
scarlatto.
Il devilope scosse la testa da un lato all'altro, avanti e indie-
tro, e tuonò. Fece un passo avanti, poi un secondo. Dietro di lui
il resto della mandria si stava alzando, gli iniziali muggiti d'in-
certezza si stavano trasformando in ruggiti di desiderio e di
rabbia. Un secondo maschio prese ad avanzare sulla scia del
primo. Poi un terzo tracciò i primi passi lunghi e poderosi. Con
quella velocità, pensò Flinx, avrebbero impiegato giorni prima
di raggiungere il campo. Ma proprio mentre guardava, sempre
più preoccupato, la velocità della mandria che si stava sve-
gliando cominciò ad aumentare. Ci voleva tempo perché ani-
mali così massicci potessero mettersi in moto. Però, una volta
che l'avevano fatto, divoravano le distanze. Non molto tempo
dopo, Flinx si trovò a desiderare che il fluttuante accelerasse, e
accelerasse ancora.
La mandria stava puntando su quell'apparecchio che avan-
zava serpeggiando e schivando gli alberi. Lauren doveva evita-
re anche gli alberi più piccoli, che la mandria ignorava, in pre-
da com'era alla bramosia e al furore di localizzare la fonte di
quell'odore pungente ed elettrizzante. Lauren si voltò per gri-
dargli qualcosa, ma Flinx non riusciva più a sentirla.
Gli alberi schizzavano via sibilando accanto a loro mentre
Lauren riusciva in qualche modo ad aumentare ancor di più la
loro velocità senza andare a sbattere contro qualche ostacolo.
Dietro di loro il rimbombo del tuono s'innalzava sempre più
mentre il rumore di centinaia di zoccoli polverizzava il terreno
mischiandosi al crepitio dei tronchi spezzati e al gemito di al-
beri ancora più grossi che venivano sradicati dal suolo.
Flinx riuscì a vedere soltanto degli occhi rossi e un mare di
corna mentre versava un altro decimo di quel liquido che face-
va impazzire la mandria, attirando quel rombo di tuono verso
il fragile fluttuante e il suo ancora più fragile carico.

Non c'era niente nella piccola sala operatoria che non fosse
stato completamente sterilizzato. A Mamma Mastino non re-
stava più nessuna forza per combattere mentre la legavano
con fermezza, ma delicatamente, al tavolo tiepido. Le sue be-
stemmie e le imprecazioni erano ridotte a implorazioni appena
appena uggiolate, più frutto di riflesso che altro, giacché ormai
aveva capito che niente avrebbe dissuaso quei pazzi dalle loro
intenzioni. Alla fine non ebbe neppure più la volontà d'implo-
rare e si accontentò di fissare a labbra strette i suoi tormenta-
tori.
Delle luci vivide si accesero, abbagliandola. La donna alta e
nera era in piedi alla destra del tavolo, intenta a controllare un
cerchio di plastica grande quanto il palmo d'una mano. Mam-
ma Mastino riconobbe la siringa a pressione e distolse lo sguar-
do da essa.
Come i suoi compagni, Haithness indossava una tunica chia-
ra da chirurgo e una maschera che le lasciava scoperti soltanto
gli occhi. Nyassa-lee inserì le forbici che sarebbero servite a
depilare il cranio del soggetto. Brora, che avrebbe eseguito il
trapianto vero e proprio, si teneva in disparte intento a con-
trollare dei dati su uno schermo appeso appena sopra e dietro
la testa di Mamma Mastino. Di tanto in tanto gettava un'oc-
chiata al ripiano sul quale erano posati gli strumenti chirurgici
e parecchie scatole quadrate trasparenti appannate dalla bri-
na. All'interno delle scatole c'erano le componenti microelet-
triche che avrebbe trapiantato nel cranio del soggetto.
Una massa metallica globulare appesa al soffitto si trovava
sulla verticale del tavolo operatorio, luccicante come una me-
dusa d'acciaio. Dai suoi visceri s'irradiavano bracciate di filo
metallico e altre appendici. Tutti questi collegamenti avrebbe-
ro fornito energia ai vari accessori, succhiando i liquidi organi-
ci attraverso i tubi, e sostituendo temporaneamente qualunque
organo che avesse mostrato sintomi di cedimento sotto l'opera-
zione. C'erano sottilissimi filamenti che potevano sostituire i
capillari cerebrali, appendici che avrebbero potuto fondere o
scavare le ossa, e congegni in grado di scavalcare i polmoni e
fornire direttamente ossigeno al sangue.
— Sono pronto a cominciare. — Brora rivolse un flebile sorri-
so a Nyassa-lee, la quale annuì. Fissò la sua collega. — Haith-
ness? — La donna alta e nera gli rispose con gli occhi mentre
preparava la siringa.
— Un ultimo controllo degli strumenti, allora — mormorò
l'uomo, rivolgendo la sua attenzione al ripiano che ospitava gli
strumenti per la microchirurgìa. Sopra di lui la medusa ronza-
va in attesa.
— Questo sì che è strano. — Brora ristette, corrugando la
fronte. — Guardate qui. — Le due donne si sporsero verso di lui.
Gli strumenti, le minuscole scatole col loro contenuto con-
gelato, perfino lo stesso ripiano, parevano vibrare.
— Problemi con la corrente? — azzardò Nyassa-lee. Sollevò lo
sguardo e vide che il globo centrale di sostegno ondeggiava
leggermente.
— Non lo so. Certo, se si trattasse di qualcosa di serio, a que-
st'ora ce l'avrebbero detto — borbottò Brora. Le vibrazioni s'in-
tensificavano. Una delle sonde rotolò giù dal ripiano e rimbalzò
sul pavimento di plastica. — Mi pare che stia peggiorando. —
Un lieve rombo giunse ai loro orecchi da qualche parte all'e-
sterno. A Brora parve che arrivasse da ovest.
— Una tempesta in avvicinamento? — chiese Nyassa-lee, cor-
rugando la fronte.
Brora scosse la testa. — Il tuono non farebbe tremare il ta-
volo, e le previsioni del tempo non hanno parlato di tempeste
imminenti. E non può neppure essere un terremoto. Questa re-
gione è sismicamente stabile.
Il tuono che continuava a crescere d'intensità non scendeva
dalle lontananze del cielo ma saliva dal terreno disturbato da
qualcosa. D'un tratto il sistema di allarme entrò in funzione in
tutto il campo. I tre chirurghi si guardarono confusi quando il
rombo cominciò a scuotere non soltanto i tavoli e gli strumenti,
ma l'intero edificio.
Le sirene di allarme ululavano lamentose. Poi esplose un fra-
gore lacerante quando qualcosa si riversò attraverso l'estre-
mità opposta della sala conferenze, mancando la sala chirurgi-
ca per un margine minimo. Fu visibile solo per pochi istanti,
anche se bastò per riempire ogni cosa. Poi passò oltre, trasci-
nando sulla sua scia sezioni di tronchi e di pietre fasulli, facen-
do entrare il cielo e la nebbia e lasciandosi alle spalle un'ampia
depressione nelle fondamenta di plastacciaio. Haithness ebbe
modo di vedere meglio dei compagni mentre i detriti cadevano
giù dal tetto lentamente a coprire il segno: era l'impronta d'uno
zoccolo.
Nyassa-lee si strappò di dosso la maschera chirurgica e corse
verso la porta più vicina. Brora e Haithness le furono subito
dietro. Alla loro fuga, Mamma Mastino, che si era ormai rasse-
gnata a perdere quella parte di sé che le garantiva libertà e in-
dipendenza, d'un tratto ritrovò la voce e si mise a gridare aiu-
to.
Polvere e frammenti di materia isolante cominciarono a ca-
der giù dal soffitto man mano il rombo e il violento tremito
continuavano a crescere d'intensità intorno a lei. La sfera chi-
rurgica multibraccia sopra il tavolo operatorio stava adesso
oscillando pericolosamente avanti e indietro, ruotando su se
stessa, minacciando, a ogni sobbalzo, di staccarsi dai suoi so-
stegni.
Mamma Mastino non sprecò energia nel futile tentativo di
spezzare le cinghie che la tenevano legata. Conosceva i propri
limiti. Invece impegnò tutta la forza che le rimaneva per urlare
con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Non appena erano entrati nei confini del raggio sonico che
circondava il campo, Lauren aveva accelerato ancora, lancian-
dosi a velocità pericolosamente alta al di là della torre centra-
le. Qualcuno aveva avuto la presenza di spirito di afferrare
un'arma, ai frenetici ululati della sirena d'allarme, ma il fucile
ad energia sparò troppo precipitosamente e mancò il fluttuan-
te ormai in fuga.
Allo stesso tempo, colui che impugnava il fucile aveva visto
qualcosa che veniva scagliato fuori dal retro dell'apparecchio
invasore. Si era tirato istintivamente indietro, e quando non
era seguita nessuna esplosione, si era sporto dalla finestra del
terzo piano per fissare incuriosito il vetro fracassato e il liqui-
do verde-rosso che colava lungo il fianco dell'edificio. Ma non
restò a fissarlo a lungo, facendo ipotesi, poiché la sua situazio-
ne e quella dei suoi compagni nella torre fu ben presto occupa-
ta dalla marea nera che usciva dalla foresta col rombare d'un
tuono.
La mandria frustrata e incollerita concentrò tutta la sua at-
tenzione verso la direzione da cui giungeva più intenso quello
sconvolgente odore. La torre centrale, che conteneva le princi-
pali attrezzature per la comunicazione e la difesa dell'accam-
pamento, fu in pochi attimi ridotta a un cumulo di macerie di
plastica e metallo.
Nel frattempo Lauren aveva riportato indietro il fluttuante
facendogli descrivere un ampio cerchio e infine atterrando fra
i due lunghi edifici sul lato ovest del campo. Il personale del
campo era troppo impegnato nel tentativo di fuggire nella fore-
sta, schivando quegli enormi zoccoli, per porsi domande circa
la presenza d'un velivolo sconosciuto fra loro.
Avevano cinquanta probabilità su cento d'imbroccare l'edi-
ficio giusto al primo tentativo. La fortuna volle che scegliesse-
ro bene... e non grazie al suo talento, pensò Flinx, che non l'a-
veva aiutato proprio per niente.
Il tetto cominciava già a crollare sulla sala operatoria quando
infine raggiunsero quell'estremità dell'edificio.
— Flinx, come hai...? — cominciò a balbettare Mamma Masti-
no.
— Come ha fatto a sapere dove trovarla? — finì per lei Lau-
ren, mentre cominciava a lavorare alle cinghie che imprigio-
navano il braccio destro della vecchia donna.
— No — la corresse Mamma Mastino. — Avevo cominciato a
chiedergli come aveva fatto ad arrivare fin qui senza soldi. Non
pensavo che fosse possibile andare da qualche parte su Falena
senza soldi.
— Ne avevo un po', Mamma. — Flinx le sorrise. La vecchia
donna appariva illesa, era soltanto logorata a causa della du-
rissima prova di quei giorni frenetici e confusi. — E ho altre ca-
pacità, sai.
— Ah — annuì la vecchia con aria cupa.
— No, non quello — lui la corresse. — Ti sei dimenticata che ci
sono altri modi di usare le cose senza dover pagare per farlo.
La vecchia scoppiò a ridere a quelle parole. L'echeggiare di
quella risata gracchiante lo rincuorò. Per un attimo, Mamma
Mastino dominò le urla e gli echi della distruzione che riempi-
vano l'aria fuori dell'edificio. La terra tremava sotto i loro pie-
di.
— Sì, sì, sei sempre stato in gamba ad aiutare te stesso quan-
do ti serviva qualcosa. Non ti ho avvertito anche troppo spesso
di non farlo? Ma non credo che adesso ci sia il tempo di rim-
proverarti. — Sollevò lo sguardo su Lauren, che stava faticando
a sciogliere le cinghie.
— Adesso — chiese la vecchia, sollevando le sopracciglia, —
questa, chi è?
— Un'amica — le assicurò Flinx. — Lauren, le presento Mam-
ma Mastino.
— Incantata, nonna. — Lauren digrignò i denti mentre lottava
con le cinghie recalcitranti. — Dannati ganci magnetici in-
corporati nel polietilene! — Guardò Flinx. — Forse dovremo ta-
gliargli.
— So che puoi farcela da sola. — Flinx si girò di scatto e corse
verso la porta infranta, schivando per un soffio un'intera se-
zione del tetto che si schiantò al suolo.
— Ehi, dove diavolo crede di andare? — gli gridò dietro Lau-
ren.
— Voglio delle risposte — lui le gridò di rimando. — Non so an-
cora cosa sia tutta questa storia, e che io sia dannato se me ne
andrò di qui senza tentare di scoprirlo!
— Si tratta di te, ragazzo! — gli gridò a sua volta Mamma Ma-
stino. — Volevano servirsi di me per influenzarti! — Ma Flinx
era già fuori portata della sua voce. Mamma Mastino tornò ad
appoggiare la testa sul tavolo operatorio e fissò preoccupata il
soffitto che vibrava e cigolava. — Quel ragazzo — borbottò, —
non so se mi sia costato più guai di quanto valesse la pena.
Le cinghie che le imprigionavano la parte superiore del corpo
cedettero d'un tratto con un sonoro clic, e Lauren esalò un so-
spiro di sollievo. Era conscia quanto Mamma Mastino della
precarietà dello scricchiolante soffitto e della pesantissima
massa del globo chirurgico che oscillava come un pendolo so-
pra il tavolo operatorio.
— Dubito che lei parli sul serio, donna — dichiarò Lauren,
calma. — E dovrebbe smetterla di considerarlo un ragazzo. — Si
scambiarono una lunga occhiata, i vecchi occhi che sprizza-
vano domande, e gli occhi più giovani che fornivano una rispo-
sta eloquente.

Fiducioso che Lauren avrebbe ben presto liberato Mamma


Mastino, Flinx fu in grado di lasciare che la rabbia accumulata
per giorni dentro di lui finalmente erompesse. Quell'emozione
liberata fu tanto potente che Pip tutto allarmato scivolò giù
dalla spalla del suo padrone e lo seguì dall'alto, in preda all'an-
sia. La minuscola testa triangolare si muoveva guizzando in
tutte le direzioni nel tentativo di localizzare la fonte non anco-
ra percepita verso la quale era diretto l'odio di Flinx.
La furia che ribolliva dentro di lui era controllata a stento. —
Non se la caveranno, dopo quello che hanno fatto — si disse ri-
petutamente. — Non se la caveranno. — Non sapeva cosa
avrebbe fatto se si fosse trovato davanti a quegli aggressori an-
cora sconosciuti, sapeva soltanto che doveva fare qualcosa.
Appena un mese prima non avrebbe mai preso in considerazio-
ne la possibilità di affrontare un nemico così pericoloso, ma le
ultime settimane avevano contribuito molto a rafforzare la fi-
ducia che aveva in sé.
La mandria cominciava a smorzare il proprio furore, anche
se una parte dei suoi membri cercavano ancora quella miste-
riosa fonte del loro disagio. Le femmine con gli esemplari più
giovani furono i primi a staccarsi dal branco, ritirandosi di
nuovo nella foresta. E infine rimasero soltanto i maschi solitari
a vagare per il campo, sfogando la loro rabbia e la frustrazione
su qualunque oggetto più grande d'un macigno. Di tanto in tan-
to Flinx passava davanti ai resti di quelli che non erano riusciti
a scappare in mezzo agli alberi in tempo per evitare la carica
dei devilopi. Di rado c'era qualcosa di più d'una chiazza rossa a
macchiare il suolo.
Stava avanzando verso l'hangar che lui e Lauren avevano
identificato dalla cima della collina. Era l'ultimo rifugio, a fil di
logica. Non impiegò molto a raggiungere la costruzione. Men-
tre attraversava con passo deciso il terreno aperto, non gli
venne mai in mente di chiedersi perché mai nessuno degli
sbuffanti e scalcianti devilopi si fosse voltato verso di lui cari-
candolo e spiaccicandolo contro il suolo.
La grande porta sul davanti dell'hangar era spalancata. Flinx
colse dei movimenti e udì degli ordini, che non afferrò. Entrò
senza esitazione e vide un grosso fluttuante da trasporto sul
quale venivano caricate delle casse. L'equipaggio si stava af-
fannando in preda alla disperazione, sotto la direzione d'una
piccola e anziana donna orientale. Flinx si fermò appena all'in-
terno della porta a fissare la scena. Adesso che era riuscito a
localizzare qualcuno in posizione di comando, non sapeva dav-
vero cosa fare. La rabbia e la confusione l'avevano condotto fin
lì. Non c'era stato posto nella sua mente per elaborare una li-
nea di comportamento ragionevole.
Una donna alta e nera, in piedi nella sezione anteriore del
fluttuante, stava abbaiando una serie di ordini in varie direzio-
ni, e a un certo punto si trovò a fissare verso la porta. I suoi oc-
chi agganciarono quelli di Flinx. E questi, invece di provar
odio, si trovò a pensare che nella sua giovinezza costei doveva
essere stata una donna di straordinaria bellezza. Gelida, però.
Entrambe le donne erano così fredde... I suoi capelli erano qua-
si tutti grigi e anche i suoi occhi.
— Haithness. — Un uomo le arrivò di corsa alle spalle. — Non
abbiamo tempo per sognare ad occhi aperti. Dobbiamo...
La donna puntò un dito tremante. Brora guardò nella dire-
zione indicata e si trovò a fissare, sgranando gli occhi, una fi-
gura giovane ed esile sulla porta. — Quel ragazzo... — bisbigliò.
— È lui?
— Sì, ma guarda più in alto, Brora. Contro la luce.
Lo sguardo dell'uomo tarchiato si alzò, e la sua aria di di-
staccato interesse l'abbandonò tutto d'un tratto. Restò a bocca
aperta. — Oh, mio Dio — esclamò, — un minidrago alaspiniano.
— Vedi — mormorò Haithness mentre tornava ad abbassare
lo sguardo su Flinx, esaminandolo come avrebbe fatto con qua-
lunque altro soggetto da laboratorio. — Questo spiega molte co-
se. — Intorno a loro il fracasso dell'accampamento che veniva
distrutto continuava a dominare l'attenzione di tutti gli altri.
Brora riprese subito il controllo di sé. — Potrebbe, potrebbe, ma
il ragazzo forse non è neppure consapevole che...
Flinx si sforzò di capire i loro borbottii ma c'era troppo ru-
more dietro di lui. — Da dove venite? — gridò in direzione del
fluttuante. La maturità che aveva appena scoperto di possede-
re lo lasciò: d'un tratto fu soltanto un adolescente furibondo e
frustrato. — Perché avete rapito mia madre? Non mi piacete
affatto, sapete. Nessuno di voi mi piace. Voglio sapere perché
avete fatto quello che avete fatto!
— Fate attenzione — gridò Nyassa-lee ai suoi due compagni. —
Ricordatevi il profilo del soggetto! — Sperò che l'udissero in
mezzo al baccano.
— Non è pericoloso, ti dico — insisté Haithness. — Questo di-
mostra la sua innocuità. Se avesse il completo controllo di sé,
adesso lancerebbe contro di noi qualcosa di più queste infantili
domande.
— Ma la creatura catalizzatrice... — Brora indicò con un gesto
della mano il rettile che svolazzava sopra la testa di Flinx.
— Non sappiamo se stia catalizzando qualcosa — gli ricordò
Haithness, — poiché non sappiamo ancora quali siano le capa-
cità del ragazzo. Sono soltanto potenziali. Il minidrago potreb-
be non far niente per lui siccome non ha niente con cui lavora-
re, salvo una dannatissima tenacia e un talento sovran-
naturale per seguire le tracce più sottili. — La donna continuò
ad esaminare il soggetto che avevano quasi a portata di mano.
— Darei parecchio per sapere come ha fatto a venire in posses-
so d'un minidrago.
Brora si leccò involontariamente le labbra. — Abbiamo fallito
con la madre. Forse dovremmo tentare di prendere il soggetto,
malgrado la nostra esperienza negativa con la ragazza.
— No — fu pronta a ribattere la donna. — Non abbiamo l'auto-
rità per correte quel tipo di rischio. Prima dobbiamo consulta-
re Cruachan. Sta a lui prendere la decisione. La cosa importan-
te per noi, adesso, è andarcene da qui con i nostri documenti e
noi stessi intatti.
— Non sono d'accordo. — Brora continuò a studiare il ragazzo,
affascinato dalla sua calma. Il soggetto pareva del tutto indiffe-
rente alla fortissima probabilità di morire schiacciato sotto
quegli zoccoli che stavano adesso devastando il campo. — Il no-
stro piano iniziale è fallito. Adesso è giunto per noi il momento
d'improvvisare. Dovremmo cogliere l'opportunità di farlo.
— Anche se fosse la nostra ultima opportunità?
Flinx tornò a gridare: — Di cosa state parlando? Perché non
mi rispondete?
Haithness si voltò e parve sul punto di rispondere quando un
terrificante grugnito scosse l'hangar. D'un tratto la parete a est
si gonfiò verso l'interno. Vi furono grida di disperazione men-
tre l'equipaggio scagliava il carico in tutte le direzioni e si
sparpagliava, ignorando le implorazioni di Nyassa-lee.
Ma non si sparpagliò abbastanza in fretta.
Pareti e soffitto vennero giù con uno schianto tremendo,
seppellendo uomini, contenitori e il grande fluttuante da cari-
co. Tre devilopi maschi penetrarono attraverso la parete
squarciata mentre Flinx si scagliava all'indietro attraverso la
porta anteriore. Il metallo, la carne e la plastica si mescolarono
in una poltiglia indifferenziata sotto quegli enormi zoccoli.
Frammenti di plastica schizzarono nell'aria tutt'intorno a
Flinx. Uno di essi gli fece un taglio a una spalla.
Occhi rossi lampeggiarono, uno dei maschi si girò di scatto
verso la solitaria figura distesa al suolo. La grande testa si ab-
bassò.
Coincidenza, fortuna, qualcosa di più: qualunque fosse la co-
sa che aveva protetto fino a quel momento Flinx dall'atten-
zione della mandria, d'un tratto era scomparsa. Il maschio che
incombeva sopra di lui era impazzito dal furore. Le sue inten-
zioni apparivano fin troppo chiare nel suo sguardo: bramava di
trasformare Flinx in un'altra chiazza scarlatta sul terreno.
Qualcosa di tanto minuscolo da non venir notato calò davanti
a quel cranio abbassato e sputò dentro a un occhio grande co-
me una sottocoppa. Il devilope sbatté l'occhio una volta, due
volte contro quella dolorosa intrusione. Ciò fu sufficiente a dif-
fondere il veleno entro il suo flusso sanguigno. Il mostro aprì la
bocca e lasciò partire un muggito terrificante mentre si allon-
tanava da Flinx. Cominciò a scuotere la testa con violenza,
ignorando gli altri due maschi che continuavano a fracassare
sotto i loro zoccoli i resti dell'hangar.
Flinx si tirò in piedi e fuggì da quella scena di distruzione,
correndo verso l'edificio in cui aveva lasciato Lauren e Mamma
Mastino. Pip lo raggiunse, planando veloce sopra la testa del
suo padrone, disdegnando per il momento il suo abituale posa-
toio.
Dietro di loro il muggito del devilope ferito divenne più som-
messo e confuso. Poi vi fu uno schianto quando il mostro cadde
sul posteriore. Rimase seduto per parecchi istanti ancora pri-
ma che le gigantesche zampe anteriori scivolassero via da sot-
to il corpo. Con estrema lentezza, come un iceberg che si stesse
staccando da un ghiacciaio, cadde sul fianco. L'occhio che era
stato colpito dal veleno di Pip era scomparso, lasciando soltan-
to un'occhiaia vuota.
Respirando a fatica, Flinx ritornò di corsa dentro l'edificio
che ospitava la sala operatoria e quasi investì Lauren e Mam-
ma Mastino che ne fuggivano fuori. Abbracciò sua madre per
un breve, intenso istante, poi si mise il suo braccio sopra la
propria spalla per offrirle un sostegno.
Lauren sostenne la vecchia sull'altro lato e fissò Flinx incu-
riosita. — Ha trovato quelli che stava cercando?
— Credo di sì — lui le rispose. — Sennar e Soba sono stati ven-
dicati come si deve. I devilopi l'hanno fatto a loro nome.
Lauren annuì mentre emergevano dai resti dell'edificio. Là
fuori la terra aveva smesso di tremare.
— La mandria si sta disperdendo. Si riunirà nella foresta, i
devilopi si chiederanno cosa mai gli abbia preso, ed è probabile
che si rimettano a dormire. Non appena cominceranno a dor-
mire, questo campo si riempirà di tutti quelli che sono riusciti
a scappare. Dobbiamo migliorare i nostri mezzi di trasporto, e
in fretta. Ricorderà che il fluttuante ha la batteria pressoché
scarica. Lei ed io potremmo camminare, ma...
— Posso camminare fin dove e come potete farlo voi — l'inter-
ruppe Mamma Mastino. Anche se lo stato in cui si trovava
smentiva la sua smargiassata... Se non fosse stato per il so-
stegno di Flinx e Lauren, non sarebbe riuscita a reggersi in pie-
di.
— Non preoccuparti, mamma — le disse Flinx. — Troveremo
qualcosa.
Salirono sul loro fluttuante. Lauren reinfilò la chiave dell'av-
viamento, che aveva portato via per evitare che eventuali fug-
giaschi potessero svignarsela con il suo vleicolo, e incrociarono
intorno all'edificio in rovina fino al centro del campo.
Il loro timore d'un pericolo rappresentato dai sopravvissuti
si rivelò infondato. I pochi uomini e donne che comparvero da-
vanti a loro erano troppo storditi dalla catastrofe, anche sol-
tanto per spiccicare qualche domanda. Per la maggior parte
erano appartenuti al personale amministrativo oppure erano
addetti alla manutenzione, ed erano del tutto inconsapevoli
dell'importanza di Flinx o di Mamma Mastino.
I devilopi se n'erano andati. La centrale elettrica del campo
era pressoché intatta, forse perché si trovava alquanto stacca-
ta dal resto degli edifici, forse perché, funzionando in maniera
automatica, non aveva offerto alla mandria nessun bersaglio
vivente. Nessuno del personale del campo comparve davanti a
loro a contestare l'uso che fecero dell'impianto di ricaricamen-
to della stazione. Ad ogni buon conto, Lauren tenne un dito
pronto sul grilletto del fucile a dardi fino a quando un contato-
re non mostrò che il fluttuante aveva di nuovo una carica com-
pleta.
— Non credo che dovremo preoccuparci d'essere inseguiti —
dichiarò Lauren. — Pare che non sia rimasto nessuno per farlo.
Se i capi di questa banda sono rimasti imprigionati in
quell'hangar calpestato come lei ha detto, Flinx, allora non
avremo niente di cui preoccuparci.
— Non ho avuto le mie risposte — borbottò lui, deluso. Poi, a
voce più alta: — Usciamo da questo posto.
— Sì — aggiunse in fretta Mamma Mastino. Fissò Lauren con
espressione implorante. — Sono una donna di città. La vita di
campagna non si concilia con me. — Se ne uscì in un ine-
sprimibile sorriso, e Flinx seppe che se la sarebbe cavata benis-
simo.
Anche Lauren sorrise e toccò l'acceleratore. Il fluttuante si
mosse, sollevandosi sopra gli alberi circostanti. Incrociarono
sopra parecchi devilopi esausti e disorientati e sfrecciarono
verso sud con tutta la velocità concessa dal motore del flut-
tuante.
— Non sono riuscito a sapere il perché di tutta questa storia
— continuò a borbottare Flinx dal suo sedile vicino al fondo del-
la cabina. — Sai perché ti hanno rapito, mamma? Cosa voleva-
no da te?
La vecchia aveva sulla punta della lingua la storia che quelli
della Meliorare le avevano raccontato la sera prima... davvero,
era soltanto la sera prima? Qualcosa la fece esitare. Una natu-
rale prudenza, la preoccupazione per lui, l'esperienza di un'in-
tera vita che le aveva insegnato a non andare avanti alla cieca,
sbottando fuori la prima cosa che veniva in mente, non impor-
ta quanto potesse esser vera. C'erano cose che lei aveva biso-
gno d'imparare, cose che lui aveva bisogno d'imparare. Ci sa-
rebbe sempre stato il tempo di farlo.
— Hai detto che la storia di come sei riuscito a rintracciarmi
è lunga, ragazzo. Anche la mia storia è lunga. In quanto a quel-
lo che volevano da me. ti basti sapere che ha a che fare con un
vecchio, vecchissimo crimine al quale una volta ho parteci-
pato, e con una sete di vendetta che non muore mai. Questo
puoi capirlo.
— Sì... sì, posso capirlo. — Sapeva che Mamma Mastino aveva
avuto una vita quanto mai varia e movimentata. — Potrai rac-
contarmi tutto, una volta che saremo ritornati a casa?
— Sì — disse la vecchia, soddisfatta che in apparenza il ra-
gazzo avesse accettato la sua spiegazione. — Quando saremo di
nuovo a casa e al sicuro. — Guardò verso il seggiolino del pilota
e vide che Lauren la stava sbirciando con un sorriso divertito.
Mamma Mastino si portò un dito alle labbra. L'altra donna
annuì, anche se non aveva capito del tutto, ma abbastanza sen-
sibile da assecondare i desideri di una vecchia.

XIV

Passarono molte ore. L'aria era tranquilla, la nebbia sottile, il


viaggio comodo mentre il fluttuante scivolava verso sud.
Mamma Mastino guardò verso il fondo dell'apparecchio e vide
che Flinx stava dormendo della grossa. E quel suo utile, per
quanto odioso animaletto, era come al solito raggomitolato vi-
cino alla testa del ragazzo.
La vecchia studiò Lauren, intenta alla guida. Graziosa, dura
e autosufficiente, decise. La notte cominciava a calare sulla fo-
resta, che continuava a scorrere sotto di loro. Là, sotto la ca-
lotta ermetica del fluttuante, era caldo e asciutto. — Qual è il
tuo interesse per il mio ragazzo? — chiese con calma la vec-
chia.
— Un interesse da amica. Avevo anch'io un debito personale
da saldare — le spiegò Lauren. — Quelle persone che l'hanno
rapita hanno trucidato una coppia di rari animali che erano da
tempo miei compagni. «La vendetta non muore mai». — Lauren
sorrise. — L'ha detto lei stessa, ricorda?
— Come l'ha incontrato?
— È comparso al padiglione che dirigo su un lago qui vicino.
— Ah, sì, il combattimento, adesso ricordo. Così, quel locale è
suo.
— Dirigo soltanto. È là che sto andando. Poi, potrò aiutarvi a
trovare un passaggio fino a Drallar.
— Come fa a sapere che veniamo dalla città?
Lauren le indicò con un gesto del pollice il ragazzo addor-
mentato dietro di loro. — Me l'ha detto lui. Mi ha detto un bel
po' di cose.
— È strano — commentò Mamma Mastino. — Non è il tipo
ciarliero, quel ragazzo. — Per un po' la vecchia donna rimase in
silenzio, osservando la foresta che scorreva sotto di loro. Flinx
continuava a dormire, godendosi il suo primo sonno rilassato
da parecchio tempo a questa parte.
— Ha passato non pochi guai per suo conto — dichiarò alla fi-
ne Mamma Mastino, — soprattutto per qualcuno che le è del
tutto estraneo. Soprattutto per qualcuno così giovane.
— La giovinezza è una cosa relativa — replicò Lauren. — For-
se ha fatto affiorare in me l'istinto materno.
— Non si metta a fare la profonda con me, figliola — l'ammonì
Mamma Mastino, — e neanche l'impertinente. — Tuttavia, sentì
l'ironia di quel commento. Non aveva provato anche lei la stes-
sa cosa per il ragazzo, alcuni anni prima? — L'ho osservata, ho
visto il modo in cui lo guarda. Lo ama?
— Amarlo? — La sorpresa di Lauren era genuina. Poi, ve-
dendo che Mamma Mastino era seria, si costrinse a rispondere
in tono grave: — Certo che no! Per lo meno non in quel modo.
Gli voglio bene, certo. Lo rispetto immensamente per quello
che è riuscito a fare da solo, e provo anche dispiacere per lui.
C'è dell'affetto, certo. Ma il genere di amore di cui lei sta par-
lando? Neanche per sogno.
— «La giovinezza è relativa» — la canzonò Mamma Mastino,
con delicatezza. — Bisogna esserne certi. Ho visto tante cose
nella mia vita, figliola. C'è ben poco che riesca a sorprendermi,
o per lo meno lo pensavo fino a poche settimane fa. — Ridac-
chiò a bassa voce. — Sono lieta di sentirle dire questo. Qualun-
que altra cosa potrebbe far del male al ragazzo.
— Non lo farei mai — le garantì Lauren. Gettò un'occhiata die-
tro di sé verso la forma addormentata di Flinx. — Vi lascerò giù
al padiglione. Il mio assistente si chiama Sal. Fingerò di entra-
re per organizzare il vostro trasporto a parlargli. Ma invece
decollerò e attraverserò il lago. Credo che sarà meglio così, per
Flinx. Non voglio ferirlo. — Esitò. — Non pensa mica che farà
qualche sciocchezza come quella d'inseguirmi, vero?
Mamma Mastino rifletté sulla cosa, poi scosse la testa. — È
soltanto un po' troppo sensibile. Capirà, ne sono sicuro. In
quanto a me, non so cosa dire, figliola. È stata di grande aiuto
per me e lui.
— La «vendetta», ricorda? — Lauren sogghignò. Le luci del
cruscotto si riflettevano sui suoi alti zigomi. — È un tipo strano,
il suo Flinx. Credo che non lo scorderò mai.
— Sai, figliola, questo è davvero tipico — borbottò Mamma
Mastino fissando le nubi e la nebbia. — Non sei la prima perso-
na a dirlo.
— E credo — aggiunse Lauren, riportando la sua attenzione
sulla guida, — che non sarò neppure l'ultima.

La fangomobile girò parecchie volte intorno al campo de-


vastato prima di lasciare la copertura della foresta e incrociare
fra gli edifici in rovina. Alla fine si adagiò vicino al troncone di
quella che era stata la torre centrale.
La donna che scese a terra era abbigliata con una tuta mi-
metica verde scuro e marrone, allo stesso modo dell'uomo che
era ai comandi del veicolo. Questi mantenne in funzione il mo-
tore mentre la sua compagna percorreva una mezza dozzina di
metri verso la torre, si fermava e girava lentamente su se stes-
sa con le mani sui fianchi. Poi, entrambi si rilassarono, ricono-
scendo che, qualunque cosa avesse annientato l'installazione,
non costituiva più alcuna minaccia. Non fu necessaria nessuna
discussione, avevano lavorato insieme per moltissimo tempo, e
le parole erano divenute superflue.
L'uomo spense il motore della fangomobile e uscì, per unirsi
alla sua associata nella ricognizione alle rovine. Stava cadendo
una leggera pioggia. Poiché le tute erano idrorepellenti, non fi-
nirono inzuppati d'acqua. Da quanto potevano vedere del cam-
po, non avrebbero dovuto fermarsi in quel luogo tanto a lungo
da dover ricaricare le batterie.
— Sono stufo di aprire pacchi soltanto per trovare dentro
pacchi più piccoli — dichiarò l'uomo, mesto. — Sono stufo di ve-
dere che ogni nuova strada da noi percorsa finisce in un punto
morto. — Indicò con un gesto la distruzione che li circondava:
edifici accartocciati e a pezzi, fili di fumo che si levavano qua e
là dalle macerie, scorie là dove esplosioni d'energia avevano
fuso il metallo.
— Sì, «morto» potrebbe anche essere la migliore descrizione, a
giudicare da come appaiono le cose.
— Non necessariamente. — La sua compagna l'aveva ascolta-
to solo in parte. Stava fissando un'ampia depressione vicino ai
suoi piedi. Era appuntita a una estremità. Un secondo segno
identico intaccava il suolo parecchi metri più in là, e un terzo a
un'uguale distanza più oltre. Man mano la donna identificava
la successione, le fu chiaro che questi segni formavano una pi-
sta curva; dapprima non li aveva notati perché erano pieni
d'acqua.
Colpì con un calcio la depressione più vicina ai suoi stivali. —
Impronte — disse, secca.
— Impronte di zoccoli — precisò l'uomo. Il suo sguardo andò
alla foresta avvolta nella nebbia che circondava il campo. —
Vorrei saperne di più su questo mondo primitivo.
— Non criticare te stesso. Non avevamo previsto di dover
passare qui tanto tempo. Inoltre, il centro urbano è molto co-
smopolita.
— Già. E la civiltà si arresta alla sua periferia. Il resto del
pianeta è fin troppo primitivo per meritarsi anche una classifi-
cazione. È questo che ci ha rallentato fin dall'inizio. Troppi po-
sti in cui nascondersi.
Lo sguardo della donna tornò sulle rovine. — Non pare che
sia servito a granché neanche a loro...
— No — fu d'accordo l'uomo. — Ho visto anch'io le ossa mentre
arrivavamo. Mi chiedo se quello sventurato mostro non è mor-
to qui anche lui.
— Non parlare così — replicò la donna, a disagio. — Tu sai per-
fettamente qual è il suo nome corretto. Se non stai attento fini-
rai per chiamarlo «mostro» in un rapporto ufficiale, una volta o
l'altra, e ti pioverà addosso un rimprovero.
— Ah, sì, me ne sono dimenticato — mormorò l'uomo. — Il
bambino svantaggiato. Scusami, Rose, ma tutta questa fac-
cenda è stata un lavoro schifoso sin dall'inizio. Hai ragione,
tuttavia, non dovrei dargli quell'appellativo. Non è colpa sua...
al contrario. Lui non è responsabile di quello che i Meliorare gli
hanno fatto.
— Esatto — disse la donna. — Ma ben presto vi verrà posto
rimedio.
— Se è riuscito a cavarsela — le ricordò il suo compagno.
— Qualcuno di loro certo c'è riuscito — commentò la donna.
E indicò lunghi cumuli di macerie che un tempo potevano es-
sere stati degli edifici: — Parla del diavolo...
Una figura era comparsa e si dirigeva verso di loro. Impiegò
più del tempo necessario a raggiungerli perché non riusciva a
camminare in linea retta. Cercava di farlo, ma ogni tanto bar-
collava sulla sua destra come una ruota dai cuscinetti a sfere
sregolati. Gli indumenti dell'uomo erano sporchi, i suoi stivali
incrostati di fango. Non si era cambiato da parecchi giorni, ov-
viamente. Fece un debole cenno con la mano verso i nuovi ve-
nuti. A parte il fatto che zoppicava, sembrava non aver subito
danni. I suoi capelli filamentosi erano inzuppati e incollati co-
me fil di ferro al cranio e al volto. Non fece nessuno sforzo per
scostarseli dagli occhi.
Pareva del tutto indifferente all'identità dei nuovi arrivati.
Le sue preoccupazioni erano assai più prosaiche. — Avete da
mangiare?
— Cos'è successo qui? — gli chiese la donna, non appena il su-
perstite arrivò claudicando a portata dei loro orecchi.
— Avete da mangiare? Dio sa se non c'è acqua in abbondanza.
È tutto quello che questo miserabile posto ha da offrire... acqua
in abbondanza. Tutta quella che volete anche quando non la
volete. Ho vissuto di noci e di bacche e di quello che sono riu-
scito a salvare dalla cucina del campo. Ho dovuto combattere
continuamente contro i mangiacarne. Miserabile buco puzzo-
lente!
— Cos'è successo qui? — ripeté la donna con calma. Quell'uo-
mo pareva sulla trentina. Troppo giovane, lo sapeva bene, per
essere un membro della cerchia interna dei meliorare. Soltan-
to uno sfortunato impiegato.
— Caster — mugugnò costui. — Mi chiamo Caster. — Scusate-
mi un momento. — Scivolò giù dalla rozza gruccia fatta a mano
fino a quando non si fu del tutto disteso sul terreno umido. —
Mi sono fratturato la caviglia, credo. Non si è rimarginata mol-
to bene. — Ho bisogno che qualcuno esperto me la rimetta bene
a posto. — Sussultò, poi sollevò lo sguardo sui due.
— Dannazione se lo so... Quello che è successo qui, voglio dire.
Un minuto prima stavo sostituendo dei moduli al centro comu-
nicazione, e in quello successivo è scoppiato l'inferno. Avreste
dovuto vederli. Grandi come maledettissime torri, ognuno di
loro, A me, comunque, sono parsi così. La cosa peggiore erano
quegli occhi sanguinosi grandi come piattelli con minuscoli
puntini neri, che vi guardavano come fanali di macchine. Una
cosa abominevole, quegli occhi. Non so cosa li abbia scaraven-
tati contro di noi, ma sicuro come l'inferno che non è stato un
caso.
— Lei è l'unico sopravvissuto? — domandò l'uomo.
— Non ho visto nessun altro, se è questo che intende dire. —
La sua voce divenne implorante. — Ehi, non avete da man-
giare?
— Sì, possiamo nutrirla — disse la donna, sorridendogli. —
Ascolti, per chi lavorava, qui?
— Un branco di scienziati. Un branco di presuntuosi. Non par-
lavano mai con noi, gente comune. — Fece un patetico tentativo
di ridere. — Comunque, pagavano bene. Tenete la bocca chiusa,
fate il vostro lavoro e godetevi il paesaggio. Soltanto, non mi
sarei mai aspettato che il paesaggio venisse a trovare me. Ne
ho avuto abbastanza di questa organizzazione. Sono pronto a
tornarmene a casa. Possono tenersela, la loro dannata liquida-
zione. — Un nuovo pensiero gli folgorò la mente, e fissò la cop-
pia in piedi sopra di lui strizzando gli occhi.
— Ehi, volete dire che non sapete chi erano? Ma voi, chi sie-
te?
I due si scambiarono un'occhiata, poi la donna scrollò le spal-
le. — Non c'è niente di male... Forse gli aiuterà la memoria.
La donna tirò fuori una piccola tessera di plastica da una ta-
sca e la esibì all'uomo ferito. Era d'un rosso vivo. Su di essa era
stampato il suo nome, poi il suo mondo di origine: la Terra.
L'uomo disteso al suolo sgranò gli occhi, e li sgranò ancora di
più quando lesse la serie di lettere che seguivano.
FLT-I-PC-MO. Le prime sigle le capiva: gli dicevano che quel
visitatore era un agente autonomo, col rango d'ispettore, della
polizia del Commonwealth: gli Impositori della Pace.
— Cosa vuol dire «MO»? — domandò?
— Sezione operazioni morali — gli spiegò la donna, rimet-
tendosi in tasca il documento d'identificazione. — Questi scien-
ziati per i quali lavorava, anche se ha avuto pochi o nessun
contatto con loro, deve pur averli visti di tanto in tanto...
— Ma certo. Si tenevano sulle loro, ma a volte li ho visti
quando passeggiavano fuori.
— Erano tutti molto anziani, vero?
L'uomo ferito corrugò la fronte. — Sa, non ci avevo fatto mol-
to caso, ma sì, credo proprio che lo fossero. Vuol dire qualcosa,
per voi?
— Non c'è bisogno che la cosa la preoccupi — gli disse il com-
pagno della donna, in tono calmo. — Lei ha detto di non aver
visto nessun altro qui intorno dopo che quell'orda di bestie vi
ha sopraffatto. Questo però non significa che lei sia il solo so-
pravvissuto. Presumo che qui ci fosse qualche forma di tra-
sporto ad uso locale. Non ha visto nessuno passare con una
fangomobile o un fluttuante?
L'uomo disteso rifletté per qualche istante, poi il suo volto
s'illuminò. — Sì, l'ho visto. C'era questa vecchia signora e una
più giovane... bella, quella più giovane. C'era un ragazzo con lo-
ro. Non li ho riconosciuti, ma qui c'era sempre gente che an-
dava e veniva.
— Quanti anni aveva il ragazzo? — chiese la donna.
— Che io sia dannato se lo so. Stavo correndo come un matto
in una direzione e il loro fluttuante andava nella direzione op-
posta, perciò non mi sono fermato a fare domande. Il ragazzo
aveva i capelli rossi, comunque. Questo me lo ricordo. I testa-
rossa sembrano scarsi su questa palla di fango.
— Una vita incantata — mormorò l'uomo più anziano, rivolto
alla compagna. La sua voce risuonava d'ammirazione, oltre
che di frustrazione. Quel ragazzo conduce una vita incantata...
— Sai fin troppo bene che potrebbe esserci in gioco assai più
dell'incanto — replicò la donna con voce tagliente. — La vecchia
alla quale si riferisce è senza dubbio la sua madre adottiva, ma
chi era l'altra? — Si accigliò, adesso preoccupata.
— Non ha importanza — disse il suo compagno. Si rivolse
all'uomo ferito: — Senta, fino a che punto riesce a ricordarsi
l'atteggiamento di quel terzetto? So che non aveva molto tem-
po. Quella donna più giovane, quella attraente... dava l'im-
pressione di avere il controllo degli altri due? Sembrava che
tenesse sotto sorveglianza il ragazzo e la vecchia?
— Gliel'ho detto, non ho guardato molto — replicò Caster. —
Ad ogni modo non ho visto nessuna arma, se è di questo che
parla.
— Interessante — mormorò la donna. — Potrebbero aver ar-
ruolato un alleato. Un'altra complicazione da affrontare. — So-
spirò. — Oh, maledizione a questo caso... Se non avesse una tale
priorità per il quartiere generale, chiederei che me lo toglies-
sero.
— Tu sai fin dove arriveresti con una simile richiesta — sbuffò
il suo compagno. — Li piglieremo. Ci siamo arrivati vicini ormai
tante volte. Le probabilità dovranno per forza crescere in no-
stro favore.
— Forse. Ma ricordati dei tuoi pacchetti dentro altri pacchi —
lo canzonò lei, blandamente. — Tuttavia, adesso potrebbe esser
facile. — La donna indicò con un gesto della mano il campo in
rovina. — Non pare che molti meliorare siano riusciti a scappa-
re, sempre che qualcuno ci sia riuscito.
— Melio... meliorare? — L'uomo ferito li guardò a bocca spa-
lancata. — Ehi, conosco questa parola. Non erano i...? — I suoi
occhi si allargarono quando se ne rese conto. — Aspettate un
momento, gente, io non...
— Se la prenda con calma — l'invitò l'uomo in tuta mimetica.
— La sua sorpresa conferma la sua innocenza. Inoltre, lei è
troppo giovane. Nel corso degli anni hanno abbindolato gente
assai più in gamba di lei.
— Non dovremmo avere molti problemi a localizzare quel ra-
gazzo. — Adesso la donna si mostrava piena di fiducia. — Do-
vremmo riuscire a prenderli con tutto il nostro comodo.
— Vorrei anch'io avere tutta la tua fiducia — replicò il suo
compagno, mordicchiandosi pensieroso il labbro inferiore. —
Non c'è stato niente di comodo in questa faccenda, sin dall'ini-
zio.
— Non lo sapevo — balbettò l'uomo ferito. — Non sapevo che
fossero i meliorare. Nessuno di noi lo sapeva. Io ho soltanto ri-
sposto a un annuncio che chiedeva un tecnico. Nessuno ci ha
mai detto una sola parola su...
— Le ho detto di prenderla con calma — ripeté l'uomo più an-
ziano, disgustato dalla reazione dell'altro. La gente si lascia
prendere così facilmente dal panico... pensò. — Una cosa, tut-
tavia: dovrà sottoporsi alla macchina della verità. Non c'è
niente di pericoloso. In quanto alla gamba, gliela rimetteranno
a posto. E nella fangomobile c'è del cibo. Dopo... con tutta pro-
babilità sarà rimesso in libertà.
L'uomo si alzò in piedi a fatica, usando la gruccia per sor-
reggersi. Si era un po' calmato, dopo le parole rassicuranti
dell'altro. — Non hanno mai detto una sola parola su questo.
— Non lo farebbero mai — disse la donna. — È in questo modo
che sono riusciti a sfuggire all'arresto per tanti anni. E gli one-
sti non fanno mai domande.
— Meliorare. All'inferno — borbottò l'uomo. — Se l'avessi sa-
puto...
— Se l'avesse saputo, non avrebbe mai accettato i loro soldi
né avrebbe mai lavorato per loro, giusto?
— Certo che no. Ho i miei princìpi.
— Sicuro che li ha. — Un rapido gesto della mano prevenne la
pronta protesta dell'altro. — Mi scusi, amico, ma ho sviluppato
una visione molto sospettosa dell'umanità durante gli otto anni
che ho passato nel MO. Non è colpa sua. Vieni — fece, rivolto al-
la donna chiamata Rose, — qui non abbiamo nient'altro da fare.
— Anch'io devo venire? Ne siete sicuri? — Il giovane li seguì
zoppicando.
— Sì, anche lei — disse l'impositore della pace. — È sicuro che
non le dispiaccia fare una deposizione sotto la macchina? È
una procedura per soli volontari.
— Sarò ben lieto di farlo — dichiarò l'altro, ansioso di compia-
cerli. — Dannati schifosi meliorare, assumere in quel modo dei
lavoratori innocenti! Spero che riuscirete a ripulire il cervello
fino all'ultimo di loro.
— C'è del cibo là dietro — l'informò con calma la donna quan-
do salirono sulla fangomobile.
— È strano — osservò il suo compagno quando si furono sedu-
ti. — È strano come la fauna locale abbia travolto questo campo
giusto in tempo per consentire alla nostra preda di squa-
gliarsela. Le storie di questi ragazzini sono piene di queste
tempestive coincidenze.
— Lo so — annuì Rose, mentre il ronzio del motore della fan-
gomobile aumentava fin quasi a un rombo e il piccolo veicolo
scivolava via verso la foresta. — Prendi quel serpente volante
di cui ci hanno parlato. Da dove viene?
— Alaspin, se i rapporti sono precisi.
— Sì, appunto, Alaspin. Se ricordo bene la mia galattografia,
quel mondo si trova a un buon numero di parsec da qui. Una
coincidenza dannatamente incredibile.
— Ma non impossibile.
— Pare che niente sia impossibile quando ci sono di mezzo
questi ragazzini. Prima lo arresteremo e lo consegneremo agli
psicochirurgi, meglio starà. Preferisco cento volte un buon as-
sassino deviante ma pulito. Questa caccia al mutante mi fa ve-
nire i brividi.
— Non è un mutante, Rose — le ricordò il suo compagno. — È
un termine impreciso, come volerlo chiamare un mostro. —
Guardò verso il fondo della fangomobile. Il loro passeggero si
stava ingozzando col cibo prelevato dal deposito, ignorando
quanto stavano dicendo. — Non sappiamo neppure se possieda
qualche speciale capacità. Gli ultimi due che abbiamo braccato
erano normali fino all'insulso.
— I meliorare la pensavano in maniera diversa — ribatté Ro-
se. — Hanno affrontato un bel po' di fastidi per cercare di ag-
guantare questo esemplare, e guarda cosa gli è capitato.
Adesso erano bene addentro la foresta, diretti a sud. Il campo
in rovina era completamente scomparso alla loro vista dietro
di loro, inghiottito dagli alberi e dalle ondulazioni del terreno.
— Qualche grosso animale nativo li ha uccisi — disse il suo
compagno. — Una mandria impazzita che non aveva nulla a
che fare col ragazzo o con qualunque sua immaginaria capa-
cità. Finora la sua pista dimostra soltanto che si tratta del soli-
to giovane turbato dei meliorare. Tu ti preoccupi troppo, Rose.
— Sì, lo so. È la natura di questo lavoro, Feodor.
Ma le loro preoccupazioni continuarono a ossessionarli an-
che quando la notte avvolse del tutto la sfrecciante fangomobi-
le.

La donna addetta al quadro delle comunicazioni era molto


vecchia, vecchia e tremolante quasi quanto la stessa piccola
nave stellare, ma le sue mani si muovevano sulla strumenta-
zione con una sicurezza nata da una lunga esperienza, e il suo
udito era abbastanza acuto da poter essere certa di non avere
perso il più piccolo frammento di trasmissione. Sollevò lo
sguardo dalla sua postazione sul volto dell'uomo alto e solenne
in piedi accanto a lei e scosse lentamente la testa.
— Mi spiace, dottor Cruachan, signore. Non rispondono a
nessuno dei nostri segnali di chiamata. Non riesco neppure più
a intercettare la loro frequenza a raggio ristretto.
L'uomo alto annuì a sua volta lentamente, riluttante. — Sa
cosa vuol dire?
— Sì — ammise la donna, con una penetrante nota di tristezza
nella voce. — Nyassa-lee, Haithness, Brora... tutti morti, ades-
so. Dopo tutti questi anni. — La sua voce si ridusse a un sussur-
ro.
— Non possiamo esserne sicuri — mormorò Cruachan. — Non
al cento per cento. È solo che... — esitò, — ... a quest'ora avreb-
bero dovuto rispondere, per lo meno attraverso l'unità di
emergenza.
— Quella carica di bestie selvagge impazzite è stata una vera
sfortuna, signore.
— Sempre che sia stata una sfortuna — replicò l'uomo a bassa
voce. — La storia mostra che là dove c'entrano in qualche modo
i nostri soggetti-bambini, a volte l'ignoto dà una spinta alla for-
tuna... talvolta una spinta molto energica.
— Lo so, signore — annuì l'addetta alle comunicazioni. Era
stanca. Cruachan lo sapeva; ma d'altra parte erano tutti stan-
chi. Il loro tempo si stava esaurendo, e anche quello della Me-
liorare Society con i suoi nobili obbiettivi tanto equivocati. An-
ni addietro avevano pensato di addestrare nuovi accoliti nelle
tecniche e nelle finalità della manipolazione genetica in cui la
Society aveva svolto un'opera da pionieri, ma i vincoli e i pesi
sotto cui erano costretti a operare facevano sì che fosse impos-
sibile ottenere la collaborazione di giovani ricercatori... co-
munque assai difficile sotto l'inarrestabile sbarramento della
propaganda diffamatoria diffusa dalla Chiesa e dal governo del
Commonwealth.
Che fossero maledetti, per essere tanto ottusi e primitivi! La
Society non era ancora morta!
Haithness, Nyassa-lee, Brora: quei nomi echeggiavano come
un canto funebre nella sua mente. Se adesso erano davvero
morti, e sembrava che fosse proprio così, rimanevano molto
pochi di loro a portare avanti l'Opera. Il conflitto dentro di lui
era forte. Doveva insistere lì, oppure fuggire e insediare le ope-
razioni in qualche altro luogo? Tanti, troppi vecchi amici, col-
leghi, grandi menti scientifiche, perduti: quel soggetto ne vale-
va la pena? Non avevano ancora prove concrete che la valesse.
Soltanto grafici e cifre ai quali si attenevano i computer. Ma ai
computer non importava. A nessuno importava.
Non c'era niente a indicare che il soggetto fosse stato in qual-
che modo responsabile di quella sciagurata carica che aveva
distrutto il campo insieme alle loro speranze. Naturalmente
era anche possibile che il soggetto fosse perito insieme a tutti
gli altri, rifletté Cruachan. Ma se così non era, se lui avesse de-
ciso d'inseguire quel soggetto fino alla conclusione, allora non
sarebbe stato più possibile tentare manipolazioni indirette.
Avrebbero dovuto affrontare il soggetto direttamente, come
anni prima avevano tentato di fare con la ragazza.
Fu un lungo, tortuoso tragitto fino alla successiva stazione
«sicura». Cruachan non aveva affatto fiducia di poter operare
per parecchi anni ancora nella clandestinità, alla ricerca di un
altro soggetto promettente. Se il lungo braccio degli Impositori
della Pace non l'avevano raggiunto finora, il tempo e la vec-
chiaia avevano buone probabilità di fare il lavoro al posto del
governo. Avevano fatto molta strada insieme, lui e i suoi asso-
ciati, un grande sforzo; ci si era aspettati che molti tenessero
in vita il progetto. Lui e i pochi colleghi rimasti dovevano se-
guire quel caso fino alla sua conclusione.
— Grazie, Amareth — disse alla donna che aspettava paziente
alla consolle. — Tenga aperto il ricevitore, non si sa mai.
— Naturalmente, dottor Cruachan, signore.
Si voltò e si avviò lentamente verso la sala conferenze. Giun-
to a metà strada, il suo passo accelerò, divenne più vivace. Così
non può andare, si disse. Come presidente della Society, tocca-
va a lui dare l'esempio agli altri, adesso più che mai. Quand'eb-
be raggiunto la sala e vi entrò a grandi passi, la sua iniziale di-
sperazione per gli ultimi rapporti arrivati era stata sostituita
da una gelida determinazione.
Una mezza dozzina di uomini e donne anziani lo aspettava-
no, seduti. Così pochi, pensò, siamo rimasti così in pochi. Gli ul-
timi membri della Society, gli ultimi sostenitori d'una grande
idea. I loro volti silenziosi, rivolti verso l'alto, esprimevano tut-
ti la stessa domanda.
— Ancora nessuna notizia — dichiarò con voce ferma
Cruachan. — Dobbiamo perciò supporre che i dottori Brora,
Haithness e Nyassa-lee siano dispersi. — Non vi furono espres-
sioni esteriori di dolore, nessun grido o lamento. Attesero con
pazienza che proseguisse, e il loro silenzioso voto di fiducia
raddoppiò la sua determinazione.
— Raccomando che si proceda con il tentativo di riprendere il
controllo del Numero Dodici.
— Abbiamo motivo di credere che agenti del MO siano all'ope-
ra in questa zona — disse una vecchia dall'estremità più lonta-
na della confortevole stanza.
— E allora? — chiese un'altra donna, in tono secco. — Si tro-
vano due passi dietro di noi... e lo sono sempre stati.
— Vorrei esserne sicura quanto te, Hanson — replicò la prima
delle donne. — La longevità della Society è il risultato della no-
stra lungimiranza e di cautela, non di disprezzo verso coloro
che ci disprezzano. — Alzò lo sguardo verso il loro capo. — Sei
sicuro che possiamo continuare ad operare qui, Cruachan?
— Più che mai — fu la risposta del vecchio. — Abbiamo inve-
stito troppo su questo Numero Dodici, per non continuare. —
Passò ad enumerare la lunga lista dei fattori responsabili della
sua decisione.
Quando ebbe finito, un ometto magro seduto all'angolo oppo-
sto della stanza parlò in tono asciutto con una voce biz-
zarramente profonda. Aveva il cuore e una gamba artificiali,
ma l'espressione dei suoi occhi aveva la stessa cieca intensità
di cinquant'anni prima.
— Sono d'accordo! Qui c'è ancora una promessa. Se il soggetto
è ancora accessibile...
— Non abbiamo nessun motivo di credere che non lo sia —
menti in parte Cruachan.
— ... allora abbiamo la possibilità di arrivare a lui prima che
lo facciano quei vermi del MO. Come dice Cruachan, dobbiamo
equilibrare il nostro potenziale quaggiù, pur con le nostre cre-
scenti infermità. — Scalciò il pavimento con la gamba artificia-
le.
— Molto bene — replicò la vecchia che aveva fatto balenare lo
spettro dell'interferenza del Commonwealth. — Vedo che la
maggior parte di voi è dell'idea di continuare col nostro lavoro
quaggiù. Devo confessare che non riesco a trovare nessun soli-
do argomento contro i molti, ottimi punti del dottor Cruachan.
Ma adesso dobbiamo affrontare un nuovo problema che non
può venire risolto con un voto.
«È vero che l'ultimo rapporto dal campo situa il soggetto in
prossimità d'un minidrago alaspiniano?
Cruachan annuì con un gesto misurato: — Sì, si è alluso alla
presenza della creatura catalizzatrice vicino al soggetto.
— Allora, come dobbiamo procedere? Oltre a fungere da lente
d'ingrandimento per qualunque talento il soggetto possieda,
questo specifico animale è già di per sé micidiale. Se ha rea-
lizzato un legame emotivo con il soggetto, sarà un avversario
più pericoloso di un'intera dozzina di emissari del MO.
Cruachan scartò le sue preoccupazioni. — Ho valutato a fon-
do la questione. Ci occuperemo di quel serpente, ve lo ga-
rantisco. Se non fossimo in grado di neutralizzare un semplice
rettile, allora non avremmo nessun diritto di rivendicare gli
ideali della nostra Society.
— Non è un rettile — intervenne un altro uomo dal fondo della
sala. Aveva occhi dall'aspetto vitreo a causa delle spesse lenti a
contatto che era costretto a portare. — Ha la parvenza d'un
rettile ma nelle sue vene scorre sangue caldo, e potrebbe venir
classificato assai più correttamente come un...
— Non me ne importa un accidente dell'ordine al quale ap-
partiene — l'interruppe Cruachan, perdendo la pazienza. — Ci
occuperemo di quella bestia. — Le sue sopracciglia si accosta-
rono, come se fosse stato colto da un pensiero improvviso. — In
effetti, se adesso esiste davvero un simile legame, è probabile
che sia più intenso di quello che unisce il soggetto alla sua ma-
dre adottiva.
— Un'altra possibilità di controllo esterno — esclamò una
donna.
— Sì. Invece di rappresentare per noi una nuova minaccia, è
possibile che questa creatura sia in realtà la nostra chiave per
controllare il soggetto. Vedete perciò come delle apparenti dif-
ficoltà possano venir risolte a nostro vantaggio.
— Peccato per Haithness e gli altri — mormorò uno degli uo-
mini più anziani. — Conoscevo Haithness da più di quaranta-
cinque anni.
— Anch'io — gli ricordò Cruachan. — Dobbiamo fare in modo
che la loro morte non sia stata inutile. Se, come adesso sembra
probabile, si sono sacrificati per la nostra causa, essi ci forni-
scono una ragione di più per continuare. Man mano il numero
diminuisce, deve crescere la nostra decisione.
Mormoni di assenso si levarono da tutto l'emiciclo.
— No, non abbandoneremo questo progetto — proseguì in to-
no energico Cruachan. — Verrà portato sotto le nostre ali con
qualunque mezzo sarà necessario impiegare. Chiedo un voto
ufficiale per procedere.
Cruachan fu soddisfatto quando constatò che ia decisione di
continuare veniva confermata all'unanimità. Di solito, deci-
sioni del genere venivano confermate; il dissenso non poteva
trovar posto in una organizzazione tesa verso un simile, unico
scopo.
— Grazie a tutti — disse, quando abbassarono le mani. — Ri-
cordate che questo Numero Dodici potrebbe essere la chiave
della nostra rivendicazione. Dovremo procedere con quella
speranza nella mente. Da questo momento in poi ogni nostra
energia verrà dedicata a guadagnarci il suo controllo. — Si girò
verso la porta. — Dobbiamo affrettarci. Se il MO dovesse tro-
varlo per primo, lo rovineranno... lo renderanno inutile per l'u-
so che noi intendiamo farne.
Il gruppo si disperse in un turbine di attività e di rinnovata
decisione, uguagliata come intensità soltanto dalla disperazio-
ne che l'animava.

XV
La città puzzava di umani e di altre creature, di animali e ci-
bi esotici, di resine e materiali da costruzione vecchi e nuovi, il
tutto intaccato dall'eterna umidità che impregnava allo stesso
modo i materiali organici e inorganici. Ma tutto questo erano
fiori e delicati aromi per Flinx. La macchina da trasporto si ar-
restò con un sibilo all'esterno del piccolo bar rivestito di pan-
nelli e con il poco credito che gli restava Flinx pagò la macchi-
na! Questa rispose con un meccanico: — Grazie, signore, —
prima di allontanarsi lungo la strada alla ricerca del suo suc-
cessivo passeggero.
Mamma Mastino si appoggiò pesantemente contro di lui
mentre entravano. Quell'esperienza le aveva fatto sentire la
sua età, ed era molto stanca. Così stanca che neppure si ritrae-
va davanti al serpente arrotolato sulla spalla di Flinx.
Quando furono entrati, Pip si srotolò dal suo posatoio sotto
l'incerato che Lauren Walder aveva fornito a Flinx e si avviò
serpeggiando verso il banco del bar. Conosceva quel posto: da-
vanti a lui c'erano scodelle di pretzel, noci termac e altre squi-
sitezze salate con le quali era quasi più divertente giocare, ol-
tre che mangiarle.
Flinx aveva fatto ritorno sulla piazza del mercato compiendo
deliberatamente un percorso a zig-zag, con molte giravolte e
cambiando spesso mezzo di trasporto, cercando il più possibile
di viaggiare in compagnia di altri passeggeri. Per quanto aves-
se aguzzato i sensi, non scoprì nessun indizio che qualcuno li
seguisse, né il minidrago aveva reagito con ostilità verso quei
viaggiatori che avevano guardato di traverso il giovane esau-
sto e la vecchia che era con lui. Tuttavia, era appunto questa
cautela che li aveva spinti a far visita a questo bar prima di far
ritorno nel negozio. Sarebbe stato saggio non tornare in casa
da soli, e Small Symm, il proprietario del bar, avrebbe costitui-
to un'ottima compagnia da avere a portata di mano quando
avessero appoggiato di nuovo il palmo della mano sulla serra-
tura dell'ingresso esterno. Entro un certo grado, i suoi talenti
fisici uguagliavano quelli mentali di Flinx.
Come gigante, Small Symm era sulla media. Era diventato
amico di Flinx sin dal giorno in cui il ragazzo era stato adotta-
to. Acquistava spesso da Mamma Mastino degli interessanti
utensili per farne uso nel suo locale.
Una mano enorme comparve e sospinse i due viaggiatori in
un separé. Al lungo banco metallico, intanto, gli altri avventori
si facevano nervosamente da parte per consentire all'acrobati-
co rettile volante di aver libero accesso ai pretzel.
— Ho sentito — disse il giovane gigante a mo' di saluto, la sua
voce era un eco che saliva dalle profondità del petto cavernoso,
— che eravate tornati. Le notizie viaggiano in fretta qui nel
mercato.
— Stiamo bene, Symm. — Flinx gratificò il suo amico d'uno
stanco sorriso. — Me la sentirei di dormire un anno... Ma a par-
te questo, sto benissimo.
Il gigante tirò fuori un tavolo vicino al separé e l'usò come
sedia. — Cosa posso offrirvi? Qualcosa di caldo e piacevole da
bere?
— Non adesso, ragazzo — disse Mamma Mastino con un gesto
della mano rugosa. — Siamo ansiosi di arrivare a casa. È della
tua buona compagnia che vogliamo usufruire, non delle tue be-
vande. — Si azzitti e lasciò che fosse Flinx a fornire la maggior
parte delle spiegazioni.
Small Symm corrugò la fronte, le sue sopracciglia si con-
giunsero come nubi nel cielo. — Pensate che questa gente vi
stia ancora cercando?
Mamma Mastino stava quasi per dire «Non è me che stanno
cercando», ma sia pure a stento riuscì a trattenere la lingua.
Era convinta che fosse ancora troppo presto, per rivelare a
Flinx tutto quello che aveva appreso. Troppo presto. Disse, in-
vece: — Improbabile ma non impossibile, e io non sono il tipo da
tentare la sorte... soprattutto una sorte bastarda!
— Capisco. — Symm si risollevò in tutta la sua statura. La sua
voce toccava quasi il soffitto. — Vi piacerebbe una compagnia
amichevole sulla via di casa.
— Se riuscirai a trovare un briciolo di tempo... — gli disse
Flinx con gratitudine. — Anche se io credo che abbiamo proprio
finito con quella gente. — Non gli disse che era convinto che
fossero tutti morti. Non c'era bisogno di complicare ancor di
più le cose. — Ma ci sentiremo di sicuro assai più a nostro agio
se verrai con noi mentre controlliamo il negozio.
— Ci metterò solo un attimo — gli assicurò Symm. — Aspetta-
te qui. — Scomparve dentro una stanza sul retro. Quando tornò
era in compagnia d'una giovane donna alta. Le parlò a voce
bassa per qualche istante, la donna annuì in risposta, poi il gi-
gante raggiunse di nuovo i suoi visitatori. Indossava un incera-
to che sia pure a stento avrebbe protetto un edificio di medie
dimensioni.
— Sono pronto — annunciò. — Nakina baderà agli affari fino al
mio ritorno. A meno che non vogliate riposarvi ancora per un
po'.
— No, no. — Mamma Mastino si alzò in piedi con uno sforzo. —
Mi riposerò quando sarò tornata a casa, nel mio negozio.
La stradina laterale dove si trovava la bottega di Mamma
Mastino non era molto lontana dal locale di Small Symm. E con
Symm che la portava quasi di peso ci misero poco ad arrivarci.
— Sembra vuoto — commentò Symm mentre metteva giù, in
piedi, la vecchia donna.
Era sera. La maggior parte dei negozi erano già chiusi, forse
perché la pioggia cadeva più forte del solito. Al mercato il clima
era spesso l'arbitro più imparziale e drastico dell'economia lo-
cale.
— Immagino che sia tutto a posto. — Mamma Mastino fece un
passo verso la porta principale.
— Aspetta un momento. — Flinx allungò un braccio per trat-
tenerla. — Laggiù, sulla sinistra del negozio...
Symm e Mamma Mastino guardarono nella direzione indi-
cata. — Non vedo niente — disse il gigante.
— Mi è parso di vedere un movimento. — Flinx abbassò lo
sguardo su Pip. Il serpente volante sonnecchiava pacifico sotto
l'incerato. Naturalmente gli umori del rettile erano spesso im-
prevedibili, ma quella sua prolungata calma era pur sempre un
buon segno. Flinx indicò con un gesto la sua destra. Il gigante
annuì e si allontanò, come una grande ombra, per nascondersi
nel buio vicino al negozio vuoto sulla sinistra. Flinx avanzò sul
lato opposto, a tribordo, come avrebbe detto Lauren. Gli ci era
voluto un po' per perdonarle il fatto di essersi dileguata in quel
modo (e anche per perdonare Mamma Mastino per averglielo
lasciato fare) mentre lui era ancora profondamente addormen-
tato. Si chiese cosa stesse facendo adesso, eppure il ricordo di
lei cominciava già a svanire. Avrebbe impiegato un po' più di
tempo per sfuggire alle sue emozioni.
Mamma Mastino attese immobile mentre l'amico e il figlio
adottivo si allontanavano in direzioni opposte. Non le importa-
va di dover stare li ferma sotto la pioggia. Era la pioggia di
Drallar, che in qualche modo era diversa da quella che cadeva
in qualunque altra parte dell'universo.
Flinx strisciò con cautela lungo le umide pareti di plastica sul
davanti del negozio, avvicinandosi al vicolo che serpeggiava
dietro la loro casa. Se il movimento che pensava di aver intra-
visto significava la presenza di qualche spia in attesa del loro
ritorno, non voleva che quell'individuo facesse rapporto ai suoi
superiori fino a quando lui stesso non gli avesse spremuto fuori
ogni informazione.
Ecco... di nuovo il movimento, non c'era alcun dubbio sta-
volta! Si stava allontanando da lui. Flinx accelerò il passo te-
nendosi fra le ombre più profonde. Lo stiletto che portava nello
stivale adesso era nella sua mano destra, freddo e familiare.
Poi, un grido nell'oscurità davanti a lui, e una forma enorme
gli si profilò di fronte. Flinx si lanciò in avanti, pronto ad aiuta-
re anche se era improbabile che il gigante ne avesse bisogno.
Poi qualcosa di nuovo, qualcosa d'inatteso... una risata nervo-
sa.
— Ciao, Flinx-ragazzo. — Alla fioca luce Flinx distinse la figu-
ra di Arrapkha.
— Ciao a te. — Flinx reinfilò lo stiletto al suo posto. — Mi hai
dato motivo di preoccupazione. Pensavo che l'avessimo finita
con le ombre della notte.
— Io ti avrei dato motivo di preoccupazione? — L'artigiano
indicò la massa di Small Symm che si ergeva dietro di lui.
— Mi spiace — si scusò Symm. — Non eravamo riusciti a ve-
dere chi eri.
— Adesso lo sapete. — Arrapkha tornò a fissare Flinx. — Ho
sorvegliato il negozio per te. — Symm andò a rassicurare
Mamma Mastino. — Sai — proseguì Arrapkha, — volevo esser
sicuro che nessuno scassinasse la porta cercando di rubar
qualcosa.
— È stato gentile da parte tua — disse Flinx mentre facevano
ritorno verso la strada.
— Mi fa piacere rivederti, Flinx-ragazzo. Ti avevo dato per
perduto non molto tempo dopo che te n'eri andato.
— E allora, perché hai continuato a sorvegliare il negozio?
Il vecchio sogghignò. — Non potevo smettere di sperare, sup-
pongo. Di cosa mai si trattava?
— Qualcosa d'illegale in cui Mamma Mastino è rimasta coin-
volta molti anni fa — gli spiegò Flinx. — Non si è addentrata nei
particolari. Mi ha detto soltanto che c'era di mezzo una ven-
detta.
— C'è gente che ha davvero la memoria lunga — replicò Ar-
rapkha, annuendo. — Dal momento che siete ritornati sani e
salvi, suppongo che tu abbia fatto la pace con la gente che ha
rapito tua madre?
— Abbiamo concluso una transazione — tagliò corto Flinx.
Riemersero nella strada, dove Symm e Mamma Mastino li
stavano aspettando.
— Cosi eri tu, Arrapkha. Ignorante d'un fleurm che non sei al-
tro! Farci preoccupare così! — La vecchia sorrise. — Co-
munque, non avrei mai pensato quanto sarei stata contenta di
rivederti!
— Neanch'io — confessò l'artista del legno. Indicò Flinx con
un gesto. — Quel tuo ragazzo è cocciuto quant'è temerario. Ho
fatto del mio meglio per convincerlo a non cercarti.
— Gli avrei detto la stessa cosa anch'io — replicò la vecchia, —
e non avrebbe ascoltato neppure me. Sì, è un gran testardo. —
Si permise un'occhiata di imperdonabile orgoglio. Flinx la fissò
imbarazzato. — Ed è una fortuna per me.
— Vecchie conoscenze e cattivi affari. — Arrapkha agitò un
dito ammonitore verso di lei. Guardati dalle vecchie cono-
scenze, dai cattivi affari e dalle imprese lasciate in sospeso...
— Ah, sì. — La vecchia donna si affrettò a cambiare argo-
mento. — Hai sorvegliato per me il vecchio negozio, eh? Allora
sarà meglio che faccia con gran cura l'inventario non appena
saremo dentro. — Scoppiarono tutti e due a ridere.
— Se pensate che io possa andarmene, adesso — mormorò
Small Symm. — Nakina ha un caratteraccio e non sa far bene
gli affari.
Mamma Mastino parve pensierosa. — Se il nostro amico qui
presente insiste a dire di aver sempre tenuto d'occhio il ne-
gozio...
— L'ho tenuto d'occhio, eccome — insisté Arrapkha. — A meno
che non abbiano scavato una galleria per entrare, nessuno è
penetrato all'interno da quando il ragazzo è partito per venirti
a cercare.
— Non c'è modo di scavar gallerie sotto queste strade — os-
servò la vecchia con un sorriso. — Finirebbero dentro le fogne.
— Si girò verso la sua scorta. — Molte grazie, Symm. Puoi tor-
nare di corsa nella tua adorabile tana d'iniquità.
— Oh, certamente non lo è — replicò il gigante con modestia.
— Un giorno, forse, se lavorerò duro.
Flinx tese una mano che scomparve nella stretta del gigante.
— Ti ringrazio anch'io, Symm.
— Nessun problema. Lieto di aiutarti. — Poi il gigante si voltò
e si allontanò a passi poderosi nella notte.
I tre amici si diressero verso la porta d'ingresso. Mamma
Mastino appoggiò il palmo della mano destra contro la piastra
della serratura. Questa diede subito in un clic e la porta scivolò
via lasciandoli entrare. Flinx accese le luci, le quali gli permise-
ro di vedere chiaramente che, almeno in apparenza, l'area del
negozio era intatta. I vari oggetti erano rimasti là dove li ave-
vano lasciati, luccicanti e rassicuranti, sotto la luce, nella loro
familiarità.
— Pare che sia rimasto tutto allo stesso modo di quando me
ne sono andata — commentò Mamma Mastino in tono grato.
— Pare addirittura lo stesso di dieci anni fa. — Arrapkha
scosse lentamente la testa. — Non cambi molto, Mamma Ma-
stino, e neppure una parte della tua roba. Credo che tu sia
troppo affezionata a certi pezzi per venderli.
— Non c'è niente a cui sia tanto affezionata da non venderlo —
lo rimbeccò la vecchia donna, — e la mia roba cambia due volte
più velocemente di quel mucchio di spazzatura mezza mangia-
ta dagli scarafaggi che tu cerchi di rifilare ai tuoi ingenui clien-
ti, spacciandola per artigianato artistico.
— Per favore, niente zuffe — li implorò Flinx. — Sono stufo di
combattere.
— Combattere? — esclamò Arrapkha, mostrandosi sorpreso.
— Non stiamo combattendo, ragazzo — intervenne Mamma
Mastino. — A quest'ora dovresti sapere come si salutano i vec-
chi amici. Gareggiando per vedere quale dei due batte gli in-
sulti dell'altro. — E per mostrargli che era sincera, rivolse ad
Arrapkha un affettuoso sorriso. L'artigiano del legno non era
affatto cattivo, soltanto un po' lento.
Trovarono che anche la sezione destinata all'alloggio non era
stata toccata: infatti qui il caos era totale, proprio come Flinx
l'aveva visto l'ultima volta.
— Le faccende di casa... — mugugnò Mamma Mastino. — Ho
sempre detestato le faccende di casa. Comunque, qualcuno do-
vrà ben ripulire questo posto, e sarà meglio che lo faccia io
piuttosto che tu ci metta le mani, ragazzo. Non hai il tocco per
le cose domestiche, temo.
— Non stanotte, mamma — sbadigliò Flinx. La vista del pro-
prio letto si era dilatata in lui fino a invadere la sua intera vi-
suale.
— No, non stanotte, ragazzo. Devo confessare di essere giusto
un pochino stanca. — Flinx sorrise tra sé. La vecchia era
sull'orlo d'un collasso fisico, pronta ad addormentarsi di colpo
dovunque il suo corpo cadesse... ma che fosse dannata pur di
mostrare anche il minimo segno di debolezza davanti ad Ar-
rapkha.
— Bene, allora vi lascio — li salutò l'artigiano. — Ancora una
volta, mi fa piacere vedervi in salute. La strada non era più la
stessa senza di voi.
— È difficile sbarazzarsi di noi monumenti — dichiarò Mam-
ma Mastino. — Forse ti rivedremo domani.
— Forse — fu d'accordo Arrapkha. Si voltò e se ne andò, assi-
curandosi che la porta d'ingresso si chiudesse alle sue spalle.
Una volta fuori Arrapkha si strinse l'incerato intorno alla te-
sta e alle spalle e si avviò a rapidi passi verso il suo negozio.
Non aveva nessuna intenzione di consegnare i suoi amici alle
autorità, come gli era stato intimato, più di quanta ne avesse di
ridurre del cinquanta per cento il prezzo delle sue merci per
qualche ricco mercante. Non intendeva ostacolare la polizia,
ma neppure avrebbe fatto niente per aiutarla. Poteva sempre
sostenere d'essere troppo ignorante, cosa questa per la quale
era famoso in quella zona del mercato.
Erano parsi così stanchi, così stanchi... pensò. Era la prima
volta che vedeva Mamma Mastino dimostrare tutta la sua età.
Perfino il ragazzo, nonostante la sua costituzione sottile ma ro-
busta, e che mai prima di allora gli era parso affaticato da qua-
lunque lavoro, era sembrato completamente esausto. Perfino
quel suo mortale animaletto sempre a cavalcioni della sua
spalla era parso affaticato.
Be', gli avrebbe dato qualche giorno per rimettere in sesto la
casa e riprendere le forze. Poi li avrebbe sorpresi conducendoli
da Magrim per bere del tè e mangiare dei sandwich giganti,
raccontandogli della misteriosa visita dei due impositori della
pace nella loro stradina. Sarebbe stato interessante vedere co-
me avrebbe reagito Mamma Mastino. Avrebbe potuto acco-
gliere con favore l'interessamento delle autorità al suo caso...
oppure no. Non conoscendo i particolari della sua storia, Ar-
rapkha non poteva esserne sicuro, ed era per questo che aveva
scelto di non aiutare quei visitatori venuti da fuori.
Sì, decise con fermezza: aspetta qualche giorno e lascia che si
riposino, prima di dargli quella notizia. Non ci sarebbe stato
certo niente di male. Aprì la porta del suo negozio e subito la
chiuse lasciando fuori la notte e la pioggia.
Passò un giorno, poi un altro, e il negozio di Mamma Mastino
tornò ad assumere l'aspetto di una casa man mano veniva ri-
messo in ordine dopo il caos causato dai rapitori. A suo agio in
quell'ambiente familiare, Mamma Mastino riacquistò con rapi-
dità le forze. Era una vecchia così elastica, adattabile, pensò
Flinx con ammirazione. Lui stesso, intanto, già il secondo gior-
no si avventurò fuori nel suo familiare territorio, andando a sa-
lutare i vecchi amici, alcuni dei quali avevano saputo dell'inci-
dente e altri no, ma senza mai allontanarsi troppo dal negozio
per timore che perfino adesso, e malgrado ogni sua convinzio-
ne contraria, alcuni membri dell'organizzazione che aveva ra-
pito Mamma Mastino potessero rifarsi visi, ancora assetati di
vendetta.
Comunque, niente si materializzò per dar corpo alle sue an-
sie. Il terzo giorno aveva cominciato a rilassarsi fisicamente,
oltre che mentalmente. C'era da stupirsi, rifletté quella notte
mentre si coricava, considerando le cose di cui si sentiva più la
mancanza dopo una lunga assenza. È strano quanto familiare e
amichevole ci sembri il nostro letto quando si è costretti a dor-
mire altrove...
Fu l'odio a svegliare Pip. Freddo e aspro, come il più brutale
giorno d'inverno che potesse vantare il mondo di ghiaccio di
Tran-ky-ky, strappò il rettile volante dal suo sonno profondo.
Non era però diretto al minidrago, bensì al suo padrone.
Le spire rose e azzurre scivolarono via senza rumore dalla
coperta termica. Flinx continuò a dormire, inconscio dell'atti-
vità del suo animaletto. Mancavano ancora parecchie ore pri-
ma dello spuntar del sole.
Pip sostò alquanto ad analizzare. Esaminando il minidrago
disteso ai piedi del letto, un osservatore avrebbe potuto rite-
nerlo un essere ragionevole. Non lo era, ovviamente, ma non
per questo le sue capacità mentali erano incoerenti. In effetti
nessuno avrebbe potuto dire con certezza come funzionava la
mente d'un minidrago alaspiniano o di quali profondi contatti
avrebbe potuto essere capace, poiché nessun xenobiologo ave-
va mai osato avvicinarsi a sufficienza per studiarlo.
Le ali azzurre e rosa si aprirono, le pieghe si distesero, e con
un lieve ronzio il serpente prese il volo. Si librò in alto sopra la
testa del suo padrone, preoccupato, cercando tutt'intorno l'ori-
gine di quell'incessante malvagità che stava avvelenando i suoi
pensieri. L'odio era molto vicino. Cosa ancora peggiore, gli era
familiare.
C'era uno sfiatatoio ricurvo nel tetto di cui Pip si era ap-
propriato per il suo privato andirivieni. Il serpente alato sfrec-
ciò verso di esso, ripiegando le ali all'ultimo istante per consen-
tire al corpo sottile di scivolare attraverso quello stretto con-
dotto. Con le ali ripiegate di piatto sui fianchi muscolosi, il mi-
nidrago passò con facilità.
Pip emerse sopra il tetto alla leggera pioggia del primo mat-
tino. Era su quel lato, verso l'alto, che si trovava l'origine
dell'odio, verso nord, lungo il vicolo. Le ali tornarono a dispie-
garsi e sventolarono nell'aria. Il minidrago compì un giro com-
pleto sopra la bottega, sostò un attimo per orientarsi, poi con
un ronzio deciso s'infilò nell'apertura lì vicino, là dove il vicolo
emergeva alla luminosità grigiastra delle nuvole.
Si arrestò di colpo e si librò a mezz'aria, sibilando contro il
ringhio mentale che l'aveva attirato fin là.
— Da questa parte, carino, caruccio — lo blandì una voce. —
Sai chi odia il tuo padrone, no? E sai cosa gli faremo, se ne
avremo la possibilità.
Il serpente volante attraversò una porta parzialmente aper-
ta entrando nella stanza più oltre traboccante d'odio. Due
umani erano lì ad aspettarlo con calma micidiale. Mai avrebbe-
ro avuto la possibilità di far del male al padrone del minidrago,
mai!
Un sottile getto di veleno schizzò dal palato del serpente vo-
lante e colpì in direzione del più vicino dei due bipedi malvagi.
Ma non raggiunse mai l'uomo. C'era qualcosa fra lui e Pip,
qualcosa di duro e trasparente. Il veleno entrò in contatto con
questa barriera e sfrigolò nell'aria immobile quando cominciò a
divorarla. Sorpresi, i due mostri seduti dietro lo schermo si ri-
trassero istintivamente e cominciarono ad alzarsi in piedi.
Ma la porta che dava sul vicolo si era già chiusa alle spalle
del minidrago. D'un tratto uno strano odore dolciastro riempì
la stanza. Il battito delle ali rallentò e s'infiacchì. Le palpebre
gemelle sbatterono e si chiusero. Il rettile volante si dibatté sul
pavimento come un pesce fuor d'acqua, con le ali che sbatac-
chiavano futili contro la plastica mentre annaspava per respi-
rare.
— Fai attenzione — ammonì una voce lontana. — Non vo-
gliamo dargli una dose troppo forte. Morto non ci serve.
— Preferirei vederlo morto e correre i nostri rischi con il sog-
getto — ribatté un'altra voce.
— Abbiamo bisogno di ogni aggancio possibile, compresa la
possibilità offerta da questo piccolo demonio.
Le voci svanirono. Ben presto il serpente volante smise del
tutto di muoversi. Passarono lunghi minuti, però, prima che un
uomo si azzardasse a metter piede nella stanza ermeticamente
chiusa. Indossava una tuta protettiva che lo copriva dalla testa
ai piedi. Dietro il visore trasparente, i suoi occhi erano colmi
d'ansia. Con un lungo pungolo che aveva con sé, toccò una vol-
ta o due il minidrago in coma. Questi sussultò convulso a quei
tocchi, ma per il resto non mostrò altri segni di vita.
L'uomo tirò un profondo sospiro e mise da parte il lungo pun-
golo mentre si chinava a raccogliere il minuscolo corpo. Questo
giacque flaccido nelle sue mani guantate, mentre lo esaminava
con attenzione.
— Respira ancora — annunciò agli altri che si schiacciavano
contro la parete trasparente.
— Bene. Mettilo subito in gabbia — disse il più basso dei due
osservatori. Il suo compagno stava studiando il foro dove il ve-
leno aveva infine divorato l'intero spessore dello schermo pro-
tettivo.
— Vorrei avere un'analisi molecolare di questa roba — mor-
morò, facendo attenzione a tenere le dita ben lontane dai bordi
frastagliati dello squarcio che sfrigolavano ancora.
— Qualunque cosa possa corrodere il pancrilico così in fret-
ta... — Scosse la testa incredulo. — Non riesco a capire come le
sacche del veleno possano contenere quel veleno senza corro-
dere e dissolvere la stessa mascella della creatura.
— Sarebbero indispensabili un tossicologo e un biochimico
per spiegare il perché, sempre che possano farlo — dichiarò la
donna in piedi accanto a lui, dedicandosi anche lei per qualche
istante all'esame del foro slabbrato. — Forse c'è qualcosa di più
d'un semplice veleno. La bocca del serpente potrebbe con-
tenere parecchie sacche separate il cui contenuto si mescola
soltanto quando schizza addosso a qualcuno.
— Sì, potrebbe essere... — L'uomo girò la schiena a quello
schermo che li aveva quasi traditi. — Sarà meglio che ci muo-
viamo. Il soggetto potrebbe ormai svegliarsi da un momento
all'altro. Assicurati di tenere quel mostriciattolo del tutto nar-
cotizzato.
— È necessario? — La donna corrugò la fronte. — Certo la
gabbia basterà a tenerlo.
— Pensavamo la stessa cosa della parete trasparente. La
gabbia è più che robusta, ma non vogliamo correre nessun ri-
schio. Non voglio che il nostro ospite si liberi a colpi di sputo
mentre noi stiamo dormendo nei nostri letti.
— No, è sicuro come l'inferno che non lo vogliamo. — La don-
na ebbe un leggero brivido. — Me ne occuperò io stessa.
— Speravo che l'avresti detto. — Cruachan sorrise tra sé.
Aveva una profonda familiarità con le teorie che cercavano di
spiegare i particolari legami che potevano nascere fra una
creatura catalizzatrice come il minidrago e uno dei soggetti do-
tati di talenti. Certo il legame che esisteva fra questa creatura
e il ragazzo conosciuto come Numero Dodici era potente come
qualunque altro dei casi imperfettamente documentati che
aveva studiato. Non era irragionevole supporre che potesse
essere più forte del legame affettivo tra il ragazzo e la sua ma-
dre adottiva.

Giunsero senza alcun preavviso durante il periodo finale di


sonno REM, quand'era indifeso. Comparvero dal nulla, deri-
dendolo, tormentandolo con sentimenti e sensazioni che non
riusciva a definire né a comprendere.
Incubi.
Qualcuno stava torcendo un filo di ferro intorno al suo cer-
vello, comprimendolo sempre di più fino a quando non parve
inevitabile che gli occhi gli sarebbero schizzati fuori dalla testa
volando attraverso la stanza. Giaceva sul suo letto, in preda a
lievi contrazioni spasmodiche, le palpebre tremolanti, mentre
compivano il loro lavoro su di lui, approfittando della sua men-
te impotente e inconscia.
Quel branco era peggiore di tanti altri; forme che si contor-
cevano, cupi colori turbinanti, e lui in qualche modo al loro
centro, che avanzava correndo lungo un interminabile e sini-
stro corridoio. Sapeva che alla fine del corridoio c'era la sua
salvezza e, cosa quasi altrettanto importante, anche le risposte
che cercava. La comprensione e la sicurezza.
Ma più aumentava la sua velocità, più lentamente avanzava.
Il pavimento che non era un pavimento si dissolveva sotto i
suoi piedi facendolo precipitare come una relativistica Alice
dentro la tana d'un coniglio fatto di distorsioni spaziotempora-
li, mentre la lontana estremità del corridoio e la sua promessa
di luce e di comprensione retrocedevano nelle distese sempre
più alte e lontane.
Si svegliò con un silenzioso sussulto e si guardò affannato in-
torno. Soltanto dopo essersi convinto della realtà della stanza
che lo circondava cominciò a rilassarsi. Era la stanza giusta, sì,
la sua stanza, quella in cui aveva trascorso la maggior parte
della sua vita: minuscola, spartana ma confortevole. Il pic-
chiettare della pioggia del mattino sul tetto era musica per i
suoi orecchi, e la fioca luce del giorno filtrava dalla finestra so-
pra il suo letto. Buttò fuori le gambe su un lato, oltre la coperta,
e si sfregò con le dita entrambi gli occhi palpitanti.
D'un tratto le sue dita smisero la loro opera, e Flinx tornò a
fissare il letto. Qualcosa non andava.
— Pip? — Il serpente volante non era arrotolato nella fa-
miliare posizione sopra il cuscino, né si trovava sotto di esso.
Flinx scostò la coperta, poi si chinò a guardare sotto il letto. —
Suvvia, ragazzo, non nasconderti a me, stamattina. Sono esau-
sto, ho un mal di testa che mi uccide.
Non vi fu nessun familiare sibilo in risposta alla sua invoca-
zione. Flinx si aggirò entro gli angusti confini della stanza,
dapprima perplesso, poi sempre più preoccupato. Alla fine, si
alzò in piedi sopra il letto e urlò in direzione dello sfiatatoio so-
pra la sua testa:
— Pip, la colazione!
Non gli giunse in risposta il solito confortevole ronzio delle
ali dai vivaci colori. Trovò un pezzo di fil di ferro e lo usò per
sondare lo sfiatatoio. Era del tutto sgombro fino all'estremità
esterna.
Flinx lasciò la sua stanza e cominciò una frenetica ispezione
del resto della casa. Mamma Mastino era in piedi accanto alla
stufa a convezione, intenta a cucinare qualcosa che esalava
aromi di pepe e di altre spezie meno esotiche. — Qualcosa che
non va, ragazzo?
— Si tratta di Pip. — Flinx guardò sotto i mobili da poco rad-
drizzati, spostò scodelle e tende.
— L'ho capito dalle urla che lanciavi dalla tua camera da letto
— replicò la vecchia, sarcastica. — È scomparso di nuovo, non è
vero?
— Non sta mai via tutta la mattina quando fa un volo tutto da
solo nella notte. Mai.
— C'è sempre una prima volta, anche per i mostri. — Mamma
Mastino scrollò le spalle e si concentrò sui suoi piatti. — Non
resterei certo sconvolta se quella piccola bruttura non ritor-
nasse mai più.
— Vergognati, mamma! — esclamò Flinx, con l'angoscia nella
voce. — Mi ha salvato la vita, ed è probabile che abbia salvato
anche la tua.
— Così sono un ingrato, vecchio yax'm — sbuffò la vecchia. —
Eppure lo sai cosa provo per la tua bestia.
Flinx terminò di esplorare a fondo la stanza di Mamma Ma-
stino, poi con fare risoluto tornò nella sua e cominciò a vestirsi.
— Vado fuori a cercarlo.
Mamma Mastino corrugò la fronte. — La colazione è quasi
pronta. Perché preoccuparti, ragazzo? Con tutta probabilità
sarà di ritorno molto presto... anche se sarà un vero peccato.
Inoltre, se si è incastrato da qualche parte col suo piccolo corpo
viscido, è improbabile che tu riesca a trovarlo.
— Potrebbe esser giusto nel vicolo dietro il negozio — ribatté
prontamente Flinx, — ed io potrò sentirlo, anche se non riusci-
rò a vederlo.
— Fai come vuoi, ragazzo.
— E non aspettarmi per la colazione.
— Credi che sia disposta a morire di fame per te? Ancora
meno per quel piccolo demonio con le ali. — La vecchia aveva
rinunciato da molto tempo a discutere con lui. Quando Flinx
decideva di far qualcosa... be', sarebbe stato come desiderare
che gli anelli del pianeta fossero completi. Era un figliolo obbe-
diente in molte cose, ma semplicemente rifiutava qualunque li-
mitazione nei suoi movimenti.
— La troverai pronta al tuo ritorno — gli disse a bassa voce,
controllando i contenitori e abbassando la loro temperatura a
quella ambiente. — Potrai riscaldartela quando torni.
— Grazie, mamma. — Malgrado il suo brusco tentativo di evi-
tarlo, Flinx riuscì a piazzarle un bacio affrettato sulla guancia
coriacea. La vecchia si asciugò prontamente il punto in cui era
stata baciata, ma senza troppa energia, mentre lo guardava
correr fuori dal negozio. Per un istante pensò di dirgli quello
che giorni prima aveva appreso là nella foresta: di quella stra-
na gente dei Meliorare e delle loro intenzioni nei suoi confron-
ti. Poi respinse l'idea. No, ormai era fuori portata da quell'orri-
bile gente, e da com'era stato ridotto il loro campo, non avrebbe
più dato fastidio al suo ragazzo.
In quanto a ciò che aveva appreso della sua storia, sarebbe
stato meglio conservare quel segreto ancora per qualche anno.
Conoscendo la sua cocciuta impulsività, una simile informa-
zione poteva farlo correr via in ogni genere di direzione sba-
gliata. Sarebbe stato assai meglio non dirgli niente ancora per
un bel po'. Quando avesse raggiunto un'età ragionevole, ven-
titré anni o giù di lì, avrebbe potuto rivelargli quanto aveva ap-
preso del suo passato. Per allora Flinx avrebbe preso in mano
la direzione del negozio, forse sarebbe stato sposato... Si sareb-
be sistemato vivendo un'esistenza piacevole, pratica e tran-
quilla.
Assaggiò il contenuto della pentola più grande, e trasalì.
Troppa sassifraga. Allungò la mano verso un piccolo mescola-
tore.

— Pip! A me, ragazzo! — Ma nessun lampo azzurro e rosa


ravvivò il cielo; non si udì ancora nessun ronzio. Adesso, dove
sarebbe dovuto andare? Flinx rifletté: sapeva che al minidrago
piaceva molto il vicolo dietro il negozio. Era là dietro che aveva
incontrato per la prima volta il serpente volante, dopotutto, e
per il modo di pensare di un serpente quel vicolo doveva esser
pieno di cose buone da mangiare. Malgrado tutta l'agilità aerea
del minidrago, però, una scatola che cadesse giù da un muc-
chio di spazzatura o un contenitore rotolante avrebbero potuto
facilmente inchiodarlo al suolo. Flinx sapeva che c'erano assai
poche probabilità che un estraneo osasse avvicinarsi a meno di
dieci passi da un serpente intrappolato.
Be', tanto vale che vada a guardare là dietro, decise Flinx.
Scivolando attraverso lo stretto spazio che separava il negozio
di Mamma Mastino dalla struttura vuota adiacente, si trovò
ben presto nel vicolo. Era umido e buio e come al solito l'aspet-
to complessivo era desolato.
Portò le mani in forma di coppa alla bocca e chiamò: — Pip!
— Da questa parte, ragazzo — disse una voce sommessa.
Flinx divenne teso, ma la sua mano ancora non si allungò
verso il coltello nascosto nello stivale. Troppo presto. Un'oc-
chiata gli mostrò che la ritirata verso la strada era ancora
sgombra, come anche la sezione del vicolo dietro di lui. Né l'in-
dividuo in piedi sotto l'arcata della porta davanti a lui pareva
particolarmente minaccioso.
Flinx restò immobile dove si trovava, riflettendo tra sé, poi
alla fine domandò: — Se sa dov'è il mio animaletto, può dirmelo
con tutta facilità dal punto in cui si trova. Ed io la posso sentire
con chiarezza dal punto in cui mi trovo.
— So dov'è il tuo animaletto — ammise l'uomo. Flinx osservò
che i suoi capelli erano completamente grigi. — Ti ci porterò
subito, se vuoi.
Flinx prese tempo. — Sta bene? Non si è cacciato in qualche
guaio?
L'ometto scosse la testa e sorrise con cordialità. — No, non è
nei guai, e sta benissimo. Più precisamente, sta dormendo.
— Allora perché non può portarlo fuori? — chiese Flinx. Con-
tinuò a mantenere la sua posizione, pronto a caricare l'uomo
ed a precipitarsi verso la strada a seconda della piega che
avrebbe preso la situazione.
— Perché non posso — rispose l'uomo. — Davvero, non posso.
Sto eseguendo degli ordini, sai.
— Gli ordini di chi? — domandò Flinx, subito insospettito.
D'un tratto gli avvenimenti tornavano a farsi complicati. L'età
dell'interlocutore e il suo atteggiamento lo colpirono tutto d'un
tratto. — Lei è associato alla gente che aveva rapito mia ma-
dre? Glielo dico perché, se sta cercando di vendicarsi di lei per
qualunque cosa in cui sia stata coinvolta molti anni fa facendo
del male a me, non funzionerà.
— Stai calmo, adesso — replicò l'uomo. Una voce che Flinx
non riuscì a riconoscere bisbigliò qualcosa al suo interlocutore
da dietro la porta:
— Per l'amor del cielo, Anders, non eccitarlo!
— Sto cercando di non farlo — ribatté l'anziano interlocutore
a denti stretti. Rivolto a Flinx, proseguì a voce più alta: — Nes-
suno vuol fare del male a te o al tuo animaletto, ragazzo. Ti do
la mia parola, anche se pensi che non valga niente. I miei amici
ed io abbiamo soltanto buone intenzioni verso di te e il tuo
animaletto. — Non rispose alla breve allusione di Flinx al pas-
sato della sua madre adottiva.
— Allora, se avete soltanto buone intenzioni — disse Flinx, —
non avrete nulla in contrario che io mi assenti un minuto per
andare a rassicurare...
L'interlocutore fece un passo avanti. — Non c'è bisogno di di-
sturbare la tua genitrice, ragazzo. Fra un attimo il negozio sarà
aperto e la folla garantirà la sua sicurezza, se è questo che ti
preoccupa. Perché allarmarla inutilmente? Noi vogliamo sol-
tanto parlarti. Inoltre — aggiunse in tono cupo, correndo un ri-
schio calcolato, — non hai altra scelta se non quella di ascol-
tarmi, se vuoi rivedere vivo il tuo animaletto.
— È soltanto un serpente. — Flinx ostentò un'aria d'indif-
ferenza che non provava. — E se mi rifiutassi di venire con
voi? Ci sono moltissimi altri animaletti da compagnia disponi-
bili.
L'interlocutore scosse lentamente la testa. Il tono della sua
voce lo faceva infuriare per la sicurezza che mostrava. — Non
certo come questo. Il piccolo serpente alato fa parte di te, non è
vero?
— Come fa a saperlo? — chiese Flinx. — Come fa a sapere quel-
lo che provo per lui?
— Perché, malgrado ciò che puoi pensare di me in questo
momento — gli disse l'interlocutore, provando un po' più di fi-
ducia, — so come funzionano certe cose. Se me lo permetterai,
condividerò con te quello che so.
Flinx esitò, combattuto fra la preoccupazione per Pip e una
sensazione di minaccia che non aveva niente a che fare con i
suoi particolari talenti. Ma quell'uomo aveva ragione: non c'era
scelta. Non poteva correre il rischio che venisse fatto del male
a Pip, anche se non avrebbe saputo dire il perché.
— D'accordo. — Si fece avanti verso l'interlocutore. — Verrò
con lei. Farà meglio a dirmi la verità.
— Sul fatto che non desideriamo far del male a te né al tuo
animaletto? — Il sorriso si fece più ampio. — Ti garantisco che
te la sto dicendo.
Malgrado si sforzasse, Flinx non sentiva nessuna sensazione
ostile emanare dall'ometto. Data la natura erratica delle sue
capacità, ciò non provava niente... per quanto Flinx poteva sa-
perne, quell'uomo poteva progettare di assassinarlo proprio
nel medesimo istante in cui gli sorrideva. Visto da vicino, co-
munque, l'interlocutore gli parve ancora meno formidabile. A
stento arrivava alla sua altezza, e malgrado non fosse vecchio
quanto Mamma Mastino, c'era da dubitare che avrebbe potuto
rivelarsi un granché come avversario in un corpo a corpo.
— Questa è la mia amica e associata Stanzel — disse l'uomo.
Una donna anziana quanto lui uscì dall'ombra. Pareva stanca,
ma si sforzò di tenersi eretta e di avere un aspetto deciso.
— Neppure io voglio farti del male, ragazzo. — Lo studiò con
imperturbata curiosità. — Nessuno di noi lo vuole.
— Allora, ce ne sono altri, oltre a voi — mormorò Flinx, con-
fuso. — Non riesco a capire tutta questa faccenda. Perché dove-
te continuare a perseguitare Mamma Mastino e me? E adesso
anche Pip... Perché?
— Ti spiegheremo tutto — gli assicurò la donna, — se soltanto
vorrai venire con noi. — Lo invitò con un cenno a incamminarsi
lungo il vicolo.
Flinx si avviò tra loro osservando, mentre faceva questo, che
nessuno dei due appariva armato. Quello era un buon segno,
ma lo lasciava perplesso. Sentiva il freddo della lama dello sti-
letto contro il polpaccio. Guardò con nostalgia verso il negozio.
Se soltanto avesse potuto avvertire Mamma Mastino! Ma ri-
cordò a se stesso che la vecchia, sempre che lui fosse tornato
per l'ora di andare a letto, non si sarebbe preoccupata. Era abi-
tuata alle sue lunghe assenze esplorative senza nessun preav-
viso.
— Tieni bene a mente le mie parole — declamava sempre
Mamma Mastino. — Quella tua curiosità sarà la mia morte!
Però... cosa poteva volere da lui quella gente, se non inten-
devano far del male a Mamma Mastino? Era importante per
loro, molto importante. Altrimenti non avrebbero rischiato un
incontro col suo micidiale animaletto. Malgrado fossero vecchi,
provava un vivo timore nei loro confronti, non fosse altro per il
fatto che erano riusciti a catturare Pip, un'impresa che andava
al di là delle capacità della maggior parte della gente.
Ma qualcosa, forse una sfumatura nel loro atteggiamento,
contrassegnava quella gente, rendendola diversa dai soliti, co-
muni tagliagole del mercato. Erano diversi da qualunque altra
persona lui avesse incontrato. La loro freddezza e insofferen-
za, unite al loro calmo professionismo, lo spaventavano.
Il vicolo sboccava in una laterale dove li aspettava un'avio-
mobile. Il vecchio gli aprì lo sportello e gli fece cenno di salire.
Mentre Flinx stava per metter piede nel piccolo apparecchio,
provò una di quelle misteriose ed imprevedibili esplosioni d'in-
tuizione emotiva. Fu breve, così breve che non fu davvero sicu-
ro di averla davvero provata. Spazzò via la sua paura, ma la-
sciandolo più confuso e incerto che mai.
Poteva aver paura per Pip e forse un po' anche per se stesso,
ma per qualche sconosciuta ragione quei due individui, este-
riormente così rilassati e supremamente sicuri di sé, avevano
un folle terrore di lui!

XVI

Cruachan studiò con cura i dati sugli schermi. La sezione del


vecchio magazzino in cui si erano insediati era un ben scarso
sostituto rispetto alla costosa e ben attrezzata installazione
che avevano costruito lontano, al nord. Ma non voleva soffer-
marsi su quella perdita. Anni di delusioni l'avevano abituato a
simili insuccessi. I macchinari che lo circondavano erano stati
messi insieme e collegati in fretta. I cavi erano esposti dapper-
tutto, ulteriore prova dell'urgenza e della mancanza di tempo
per installare l'attrezzatura in maniera corretta. Tuttavia,
avrebbe dovuto bastare.
Non provava disappunto. Malgrado tutti i loro problemi,
sembravano ormai sul punto di compiere ciò che avevano avu-
to intenzione di fare su quel mondo, anche se non nella manie-
ra progettata in origine. Pareva che la presenza di quell'immi-
grante alaspiniano sarebbe tornata a loro vantaggio. Per la pri-
ma volta da quando si erano posti in orbita intorno a quel pia-
neta, provava più d'una pura e semplice speranza. La sua fidu-
cia gli veniva dall'ultimo rapporto ricevuto da Anders e Stan-
zel. Il soggetto, che li stava accompagnando tranquillo, pareva
disponibile a collaborare, sia pure con riluttanza, ma non ave-
va finora mostrato nessun segno d'inaspettate e pericolose ca-
pacità.
E un'azione potenzialmente d'alto rischio, la cattura dell'a-
nimaletto del soggetto, aveva avuto una riuscita assai mag-
giore del tentativo di adattare ai loro scopi la madre adottiva
del soggetto. Adesso Cruachan era pronto ad ammettere che si
era trattato d'un errore. Se soltanto le loro informazioni aves-
sero parlato anche di quella creatura catalizzatrice! Tuttavia
non biasimava l'informatore. Era probabile che il soggetto fos-
se venuto in possesso del minidrago dopo l'invio di quel rap-
porto.
Si sentiva come un vecchio dente, crepato e corroso dal trop-
po uso e dall'età. Ma con quell'animaletto semisimbiotico ades-
so sotto il loro controllo, il soggetto sarebbe stato costretto a
soddisfare i loro desideri. Non era più questione di cercar d'in-
fluenzare il ragazzo dall'esterno. Avrebbero dovuto impiantare
le sinapsi elettroniche concepite per la madre adottiva nel cer-
vello stesso del ragazzo. Il controllo diretto presentava certi
rischi, ma da quello che Cruachan e i suoi associati potevano
vedere, non avevano altra scelta. Cruachan era felice che il ca-
so fosse vicino alla conclusione. Era molto stanco.
Pioveva più forte del consueto, per quella stagione, quando la
piccola aviomobile si arrestò fuori del magazzino. Flinx fissò il
posto con disgusto. Il quartiere di Drallar che si protendeva
all'esterno della città verso il navettaporto rigurgitava di mo-
numenti tozzi e spogli eretti in nome di affari di cattiva lega e
dell'eccesso dei consumi. Quegli edifici erano popolati soprat-
tutto di macchinari, bui, per niente invitanti, alieni.
Non aveva cambiato idea, non aveva neppure pensato di
scappare verso la più vicina strada laterale o di tuffarsi dentro
qualche porta socchiusa. Chiunque fosse, quella gente non era
ignorante. Aveva dedotto correttamente l'intensità dei suoi
sentimenti verso Pip, ed era proprio per questo che non l'ave-
vano legato né erano venuti armati.
Non riusciva ancora a immaginare cosa volessero da lui. Se
non gli mentivano, e davvero non avevano intenzione di fargli
del male, allora, lui, di quale utilità avrebbe potuto essere per
loro? Se c'era una cosa che non poteva soffrire erano le do-
mande senza risposta. Lui voleva spiegazioni quasi con la stes-
sa ansia con cui voleva vedere Pip.
Parevano molto sicuri di sé. Naturalmente il fatto che non ci
fossero armi in vista non significava che non ci fossero armi lì
nelle vicinanze. Non riusciva a far quadrare il timore che ave-
vano di lui con l'assenza di armi. Forse, rifletté, avevano paura
di lui perché avrebbe potuto rivelare alle autorità locali quello
che sapeva del rapimento. Forse era quello che volevano da lui:
la promessa che avrebbe taciuto.
Ma per qualche motivo, neppure questo aveva molto senso.
— Vorrei che mi diceste cosa volete da me — disse ad alta vo-
ce, — e cosa sta succedendo.
— Non sta a noi spiegarlo. — L'uomo guardò la sua compagna,
poi aggiunse, come se fosse incapace di reprimere la propria
curiosità: — Ha mai sentito parlare della Meliorare Society?
Felix scosse la testa. — No. Però so cosa vuol dire la parola.
Cos'ha a che fare con me?
— Tutto. — L'uomo parve sul punto di dire di più, ma la vec-
chia lo azzitti.
L'edificio nel quale entrarono era circondato da altri edifici
ugualmente anonimi. Si trovavano poco discosti dalla princi-
pale via di accesso al navettaporto. Da quando erano entrati in
quell'area, Flinx aveva visto pochissime persone lì intorno.
Nello squallido atrio non c'era nessuno.
Salirono con un ascensore fino al terzo piano. Flinx fu gui-
dato dalla sua scorta lungo ampi e vuoti corridoi, attraverso
stanze dal soffitto altissimo adibite a depositi, piene di casse e
barili di plastica. Alla fine si arrestarono davanti a un piccolo
altoparlante incassato nella plastica d'una porta priva di con-
trassegni. Furono scambiate alcune parole tra la scorta di
Flinx e qualcuno che si trovava dall'altra parte, e la porta si
spalancò per lasciarli entrare.
Flinx si trovò in un'altra stanza anch'essa zeppa di scatoloni
e fagotti. Ciò che la distingueva da una dozzina di stanze uguali
che aveva attraversato era la parete sulla destra. Allineato
contro di essa c'era un impressionante spiegamento di appa-
recchiature elettroniche. Delle casse vuote lì vicino indicavano
che il tutto era stato sballato e montato in fretta. I quadri di co-
mando erano accesi e davanti ad essi sedevano degli operatori.
Questi rivolsero occhiate incuriosite ai nuovi arrivati, affret-
tandosi poi, però, a riportare la propria attenzione sull'equi-
paggiamento. Salvo per le espressioni uniformemente cupe,
parevano dei pensionati in gita di fine settimana.
Due persone emersero da una porta sul fondo della stanza.
Furono ben presto raggiunte da una terza persona: un uomo al-
to, dai capelli argentei, d'una scabra bellezza. Aveva il porta-
mento innato d'un capo, e Flinx concentrò subito la sua atten-
zione su di lui. L'uomo sorrise a Flinx. Malgrado fosse vicino
all'età di Mamma Mastino, si teneva in posizione eretta. Se era
soggetto alle infermità della vecchiaia, riusciva a nasconderle
con grande abilità. Vanità o volontà? Flinx se lo chiese. Cercò
di cogliere le emozioni dell'uomo, ma come al solito non avvertì
niente. Né riusciva a percepire qualcosa che indicasse la pre-
senza di Pip in quella stanza o nelle vicinanze.
Mentre quell'uomo anziano, alto di statura, gli stringeva la
mano e blaterava luoghi comuni, Flinx stava cercando una pos-
sibile via di fuga. Pareva che ci fosse una sola uscita: la porta
attraverso la quale era entrato. Non aveva nessuna idea di do-
ve conducesse la porta all'altra estremità della stanza, ma so-
spettava che la libertà non si trovasse in quella direzione.
— Che piacere incontrarti, finalmente, ragazzo mio — stava
dicendo il vecchio. La sua stretta era salda. — Abbiamo dovuto
affrontare tante difficoltà, davvero, per arrivare a questo in-
contro. Avrei preferito non dover procedere in questo modo,
ma le circostanze mi hanno indotto a forzare la mano.
— Siete voi, allora — Flinx indicò lui e gli altri con un ampio
gesto, — i responsabili del rapimento di mia madre?
Cruachan si rilassò. Non c'era nessun pericolo in quel ra-
gazzo magrolino e ingenuo. Qualunque abilità possedesse, ri-
maneva assopita, in attesa delle corrette istruzioni e di un'ulte-
riore maturazione. Certo, il suo atteggiamento era tutto men
che minaccioso.
— Gli ho chiesto — riferì l'uomo che aveva condotto Flinx fin
là dal mercato, — se avesse mai sentito parlare della Society.
Ha risposto di no.
— Non c'è ragione per cui ne abbia sentito parlare — osservò
Cruachan. — La sua vita è stata ristretta, i suoi orizzonti limi-
tati.
Flinx ignorò quella valutazione delle sue limitazioni. — Dov'è
Pip?
— Il suo animaletto, suppongo? Sì. — L'uomo alto si girò e gri-
dò verso la porta in fondo alla stanza. La sezione di parete che
conteneva la porta scricchiolò mentre dei congegni nascosti la
facevano scivolar via. Al di là della parete c'era un'altra di
quell'interminabile serie di stanze adibite a magazzini, piena
zeppa dei soliti contenitori, barili e casse. Sopra un tavolo spic-
cava un cubo trasparente, lo spigolo lungo circa un metro, sor-
montato da molti piccoli serbatoi metallici. Dei tubi passavano
dai serbatoi al cubo.
Sulla sinistra del tavolo un uomo dall'aria nervosa reggeva in
mano un piccolo telecomando piatto. Il suo pollice era premuto
con forza su uno dei pulsanti incassati nella superficie su-
periore. I suoi occhi si spostavano regolarmente dal cubo a
Flinx e poi al cubo.
Pip giaceva in fondo al cubo, arrotolato su se stesso, e sem-
brava immerso in un sonno profondo. Flinx fece un passo
avanti. Cruachan allungò una mano e lo tenne indietro.
— Il tuo animaletto sta riposando, comodo. L'aria della gabbia
è mescolata a un leggero sonnifero. Westhoff sta regolando il
miscuglio e il flusso dei gas, mentre stiamo parlando. Se tu do-
vessi tentare qualche sciocchezza, aumenterebbe il flusso dai
serbatoi prima che ti fosse possibile liberare il tuo animaletto.
Come vedi, la gabbia è stata chiusa ermeticamente mediante
saldature: non c'è serratura.
«La normale atmosfera di cui è riempito il cubo verrà sosti-
tuita interamente da un narcolettico e il tuo animaletto verrà
asfissiato. Non ci vorrebbe molto. Tutto quello che Westhoff
deve fare è schiacciare il pulsante che adesso il suo pollice ac-
carezza. Se necessario, vi si butterà sopra col suo corpo. Per-
ciò, vedi che non c'è niente che potresti fare per impedirgli di
compiere la sua missione.
Flinx ascoltò in silenzio, misurando nello stesso tempo la di-
stanza dal punto in cui si trovava alla gabbia. L'anziano che
reggeva il telecomando lo fissò con aria cupa. Anche se lui fos-
se riuscito in qualche modo a schivare le mani che si sarebbero
protese a trattenerlo, non vedeva come avrebbe potuto aprire
la gabbia e liberare Pip. Il suo stiletto sarebbe stato inutile con-
tro lo spesso e resistente pancrilico.
— Sì, è stato chiaro — disse alla fine Flinx. — Cosa volete da
me?
— La redenzione — gli rispose Cruachan, con voce sommessa.
— Non capisco.
— Alla fine capirai, spero. Per adesso ti basti sapere che c'in-
teressano molto quelle tue capacità erratiche ma che tu pos-
siedi oltre ogni dubbio... Il tuo talento, insomma.
Tutte le idee preconcette di Flinx crollarono come un castello
di sabbia investito da un tifone. — Vuol dirmi che avete fatto
tutto questo, rapito Mamma Mastino e adesso Pip, soltanto
perché siete curiosi circa le mie capacità? — Scosse la testa, in-
credulo. — Avrei fatto del mio meglio per soddisfarvi senza
nessun bisogno che affrontaste tutti questi guai.
— Non è così semplice. Tu potresti dire una cosa, perfino cre-
derci, e poi la tua mente potrebbe reagire altrimenti.
Sempre più pazzesco, pensò Flinx, stordito. — Non so di che
diavolo stiate parlando.
— Meglio così — mormorò Cruachan. — Sei un telepate emo-
zionale, non è vero?
— A volte sono sensibile a quello che gli altri provano, se è
questo che intende — rispose Flinx bellicoso.
— Nient'altro? Nessuna capacità precognitiva? Telecinesi?
Vera telepatia? Pirocinesi? Percezione dimensionale?
Flinx gli rise in faccia. E il suono fu acuito dalla tensione che
riempiva la stanza. — Non so neppure cosa significano quelle
parole, salvo telepatia. Se con questo intende che io possa leg-
gere il pensiero della gente, no. Soltanto le loro sensazioni, a
volte. Quell'altra roba è tutta fantasia, vero?
— Non del tutto — replicò Cruachan con voce sommessa. —
Non del tutto. In ogni mente umana esistono simili poten-
zialità. O per lo meno è quanto crede la Society. Quando si ap-
plicano adeguati stimoli, tramite l'addestramento e altri mezzi,
tali capacità possono venire risvegliate del tutto. Quello era... —
S'interruppe, mentre gli ritornava il sorriso. — Come ho detto,
un giorno capirai tutto, spero. Per ora sarà sufficiente che tu ci
consenta di sottoporti ad alcuni test. Desideriamo misurare i
probabili limiti del tuo talento e saggiare la possibile esistenza
di altre capacità nascoste non ancora sviluppate.
— Che genere di test? — Flinx guardò preoccupato l'uomo al-
to.
— Oh, niente di complicato. Misurazioni, elettroencefalotopo-
grafia.
— A me pare complicato.
— Ti assicuro che non proverai nessun disagio. Se soltanto
vuoi venire con me... — Appoggiò una mano paterna sulla spal-
la di Flinx. Il ragazzo sussultò. Là avrebbe dovuto esserci il
serpente, non una mano che non gli era familiare. Cruachan lo
guidò verso gli strumenti. — Dacci ventiquattr'ore, e ti pro-
metto che riavrai il tuo animaletto illeso, e non dovrai più subi-
re niente del genere.
— Non so... — fu la risposta di Flinx. — Non sono ancora sicuro
di cosa volete da me. — Gli pareva che ci fossero tanti, troppi
strumenti là, per pochi semplici test. E alcuni fra essi gli pare-
vano quasi familiari. Dove aveva già visto quel globo con tante
appendici?
D'un tratto si rese conto che l'aveva visto sopra un tavolo
operatorio in una stanza che si era trovata lontano, al nord.
Cosa devo fare? pensò freneticamente. No, non poteva di-
stendersi su quel tavolo, sotto quei tentacoli in attesa. Ma se
avesse esitato, cosa avrebbero potuto fare a Pip per la collera e
l'impazienza?
Inaspettatamente, mentre i suoi pensieri erano tutto un gro-
viglio e stava cercando di decidere che cosa fare, un'improvvi-
sa ondata di emozione esplose nel suo cervello. C'era odio, e un
po' di paura e rabbia ipocrita che sconfinava con la paranoia.
Sollevò lo sguardo su Cruachan. Il vecchio gli sorrise cordiale,
poi corrugò la fronte quando vide l'espressione che si era dipin-
ta sul volto del soggetto. — C'è qualcosa che non va?
Flinx non rispose, ma si mise ad esaminare metodicamente
ogni volto nella stanza. Nessuno fra essi sembrava esser l'origi-
ne dei sentimenti che riceveva. E questi si stavano facendo
sempre più forti e intensi. Venivano... venivano... D'un tratto si
girò di colpo verso l'ingresso principale.
— Che nessuno si muova! — esclamò una voce decisa. La cop-
pia che fece irruzione attraverso la porta, dopo aver aggirato
silenziosamente la serratura, era completamente estranea per
Flinx. Due individui di mezza età vestiti come turisti ultra-
mondani. Ognuno dei due impugnava un'arma più grossa d'una
pistola e più lunga d'un fucile, mantenuta in attento equilibrio
con entrambe le mani. Esaminarono rapidamente i sorpresi
occupanti della stanza.
Flinx non riconobbe le loro armi. Questo era insolito: le sue
spedizioni di apprendimento attraverso il mercato gli avevano
reso familiare la maggior parte dell'armamento personale. Ma
queste armi gli riuscivano nuove. Nuove come la stessa coppia.
Avevano di primo acchito un aspetto normale, medio; ma non
c'era niente che assomigliasse alla media della gente, nel modo
in cui si muovevano o davano ordini o impugnavano quelle
strane armi. Viceversa, i meliorare parevano conoscerli assai
bene.
— Sezione MO, Impositori della Pace del Commonwealth —
sbraitò l'uomo. — Da questo preciso istante siete tutti in stato
di detenzione per disposizione governativa. — Ebbe un sogghi-
gno quasi selvaggio. — Le accuse contro di voi, i cui dettagli
non dubito vi siano familiari, sono molte e varie. Non credo ci
sia bisogno di elencarle.
Flinx fece per avanzare verso di loro con un istintivo moto di
gratitudine: — Non so come abbiate fatto a trovarmi, ma sono
davvero contento di vedervi.
— Fermo dove ti trovi! — La donna spostò l'arma verso di lui.
L'espressione del suo viso convinse Flinx che era pronta a spa-
rargli se lui avesse fatto anche soltanto mezzo passo verso di
lei. Perciò s'immobilizzò, offeso e confuso. C'era qualcosa di
nuovo, in parte nei suoi occhi, ma anche nella sua mente: non
tanto paura, ma una sorta di odio distorto, una sensazione di
disgusto. E l'emozione era diretta proprio contro di lui. Era una
cosa così nuova, così aliena e nauseante, che Flinx non sapeva
come reagire. Sapeva soltanto che questi cosiddetti salvatori
non avevano più simpatia, verso di lui, e forse ancora meno
buone intenzioni, di quante ne avesse quella folle società dei
Meliorare.
La sua confusione fu sostituita dalla rabbia, un furore fre-
netico nato dalla frustrazione e dalla disperazione, accresciute
dalla sensazione d'impotenza e dallo sconforto. Senza nessuna
colpa, desideroso soltanto d'essere lasciato solo, era diventato
il punto focale di forze al di là del suo mondo. E non sapeva
come, non riusciva neppure ad elaborare l'inizio d'un pensiero
sul modo in cui avrebbe potuto affrontarli.
In mezzo a tutta quella confusione giunse a una lucida con-
statazione: non era ancora tanto adulto quanto si era convinto
di essere.
In fondo alla stanza l'uomo chiamato Westhoff era sfuggito
all'attenzione dei due impositori della pace. E non aveva in-
dugiato. Messo giù il telecomando, aveva iniziato una cauta ri-
tirata, utilizzando le casse e gli altri contenitori per sgusciare
via senza essere visto.
Tolta la pressione, il pulsante che aveva fino a quel momento
premuto era rimbalzato all'insù.
— Mettetevi contro le casse vuote, lontano dai quadri di co-
mando. Tutti — intimò la donna, facendo un gesto significativo
con la sua arma. Alzandosi dai loro sedili e mostrando le mani
vuote, i meliorare si affrettarono a obbedire.
— Se qualcuno tocca un solo pulsante — li ammonì l'altro im-
positore della pace, — sarà l'ultima cosa che toccherà.
La donna lanciò a Flinx un'occhiata dura. — Ehi, anche tu.
Muoviti. — Da lei s'irradiava una ripugnanza ancora più forte.
Il disgusto e la pietà investivano Flinx a ondate. La donna gli
stava trasmettendo tutte quelle sensazioni. Flinx cercò di
smorzare al minimo quelle emozioni dentro la sua mente.
— Io non sono con loro — protestò. — Non ho nessuna parte in
questa faccenda.
— Ho paura di sì, ragazzo, ti piaccia o no — ribatté la donna. —
Hai causato un sacco di guai. Ma non preoccuparti. — Cercò di
sorridergli: il risultato fu una sconcertante parodia. — Tutto
andrà bene. Sarai rimesso a posto, cosicché potrai vivere un'e-
sistenza normale.
D'un tratto un cicalino entrò rumorosamente in funzione su
uno dei quadri dei comandi lasciati incustoditi, riempiendo la
stanza d'una discordante cacofonia. Ammutolito, Cruachan lo
fissò, poi guardò Flinx, e infine gli impositori della pace.
— Per l'amor del cielo, non minacciatelo!
— Minacciarmi? — Adesso Flinx era quasi sul punto di pian-
gere, sbalordito per l'improvviso terrore di Cruachan a quel
ronzio. Tutto contribuiva a sbigottirlo; tornò a rivolgersi alla
impositrice della pace: — Cosa significa, minacciarmi? Cosa in-
tendeva dire che sarei stato rimesso a posto? Io sono a posto.
— Forse lo sei, e forse non lo sei — gli rispose la donna. — Ma
questi meliorare... — Fu come avesse sputato la parola, — ...
sembrano pensarla altrimenti. Io a questo punto mi fermo. Non
sono una specialista. Ci sono altri che decideranno cosa fare di
te.
— E prima lo faranno meglio sarà — ribadì il suo compagno. —
Hai chiamato i rinforzi?
— Non appena ne siamo stati sicuri. — La donna annuì. — Im-
piegheranno pochi minuti ad arrivare. Questo non è Brizzy,
sai.
Flinx si sentiva poco saldo sia sulle gambe che nella mente.
Là dove si era aspettato la salvezza, aveva trovato soltanto
nuove offese, nuova indifferenza. No, peggio ancora dell'in-
differenza, giacché quella gente lo vedeva soltanto come una
creatura deforme e malata. Non c'era comprensione per lui in
quella stanza, né da parte dei suoi antichi persecutori, né da
quei nuovi arrivati. L'intero universo, rappresentato sia da or-
ganizzazioni legali, sia da gruppi illegali, pareva tutto contro di
lui.
A posto, aveva detto quella donna. L'avrebbero rimesso a po-
sto. Ma non c'era niente che non andasse in lui. Niente! Perché
vogliono farmi queste cose innominabili? pensò con rabbia.
Il suo dolore e la confusione produssero dei risultati, sul lato
opposto della stanza, che i due gruppi antagonisti, nella loro
ansia, non notarono. Pungolato dalle potenti emozioni che
emanavano dal suo padrone, semirisvegliato a causa della ri-
dotta quantità di gas soporifero che entrava adesso nella sua
gabbia, il serpente volante si era riscosso dal suo torpore. Non
ebbe bisogno di cercare Flinx visivamente: il suo scoppio di
rabbia era un faro urlante che contrassegnava la sua posizio-
ne.
Le ali del serpente rimasero piegate, mentre esaminava ra-
pidamente la sua prigione. Poi si sollevò e sputò. Nel farfuglia-
re confuso che riempiva l'estremità opposta della stanza, il si-
bilo quasi impercettibile del pancrilico che si dissolveva passò
inosservato.
— Portiamolo fuori. — Il maschio della coppia degli Impositori
si mosse verso la propria destra, separandosi dalla sua compa-
gna per porsi su un lato dell'ingresso, mentre lei si muoveva
per portarsi dietro il gruppo raccolto nel mezzo della stanza.
— In fila per uno, adesso — ordinò, facendo un gesto esplicito
con la sua arma. — Tutti voi. E per favore tenere in alto le ma-
ni. Niente gesti drammatici dell'ultimo minuto, per favore. Non
mi piacciono i pasticci.
Cruachan l'implorò. — Per favore, siamo soltanto un gruppo
di vecchi e stanchi studiosi. Questa è la nostra ultima possibili-
tà. Questo ragazzo — indicò Flinx, — potrebbe essere la nostra
ultima possibilità di dimostrare che...
— Ho studiato tutta la vostra storia, ho letto i rapporti. — La
voce della donna era di ghiaccio. — Quello che avete fatto va al
di là della redenzione o del perdono. Avrete quello che vi meri-
tate, e non vi saranno concesse altre possibilità di fare esperi-
menti con questo povero ragazzo deforme.
— Per favore — intervenne Flinx, disperato, — qualcuno vuol
dirmi di cosa state parlando?
— Qualcuno probabilmente lo farà — gli rispose la donna. —
Non sono al corrente dei particolari, e le spiegazioni non rien-
trano nella mia sfera di competenze. — Rabbrividì visibilmente.
— Per fortuna.
— Rose, attenta! — Al grido di avvertimento del suo com-
pagno, la donna si girò di scatto. C'era qualcosa nell'aria, che
ronzava come un'enorme vespa, schizzando rapidamente da
un punto all'altro: una macchia confusa azzurra e rosa contro
il soffitto.
— Cosa diavolo è? — sbottò la donna.
Flinx fece per rispondere, ma Cruachan parlò per primo, fa-
cendo un passo fuori della fila verso la donna: — È l'animaletto
del ragazzo. Non so come sia riuscito a scappar fuori. È molto
pericoloso.
— Oh, davvero? — La bocca del fucile si sollevò.
— No! — Cruachan si precipitò verso di lei, il cicalino del qua-
dro dei comandi gli urlava negli orecchi. — Non lo faccia!
La donna chiamata Rose reagì istintivamente a quell'attacco
inaspettato. Una breve scarica ad alta intensità investì il capo
dei Meliorare. Lo stomaco gli esplose attraverso la spina dorsa-
le. Il fucile non aveva prodotto nessun suono. C'era stato sol-
tanto un lieve schiocco quando la raffica era giunta a segno.
Una delle donne anziane urlò; l'impositrice della pace im-
precò per la precipitazione che l'aveva travolta e prese di mira
l'origine del suo imbarazzo. Quando puntò la sua arma contro
Pip, tutto il suo furore, il dolore e l'angoscia cozzarono insieme
dentro la testa di Flinx.
— Pip! No! — urlò il ragazzo, precipitandosi contro la donna.
L'altro impositore della pace si mosse per coprire la sua com-
pagna. Pip sfrecciò verso il fondo del magazzino. L'arma della
donna seguì il minidrago mentre il suo dito cominciava a strin-
gersi sul grilletto.
Accadde qualcosa. Gli occhi di Cruachan erano ancora aperti.
Un sorriso di soddisfazione gli comparve sul viso. Poi morì.
La notte calò inaspettata.

Flinx galleggiava all'interno d'un gigantesco tamburo. Qual-


cuno vi stava picchiando sopra su entrambi i lati. Il ritmo era
vagante, incerto, ma il rimbombo gli assordava l'anima. Faceva
male.
Qualcosa era adagiato sopra il suo petto. Sono supino, pensò.
Sollevò la testa per abbassare Io sguardo su se stesso. Pip gia-
ceva sopra l'incerato, coperto di lividi ma vivo. Il serpente vo-
lante pareva stordito. Man mano riacquistava la completa co-
noscenza, la lingua sottile schizzò fuori più volte per toccare le
labbra e il naso di Flinx. Soddisfatto, il minidrago smise il suo
esame e gli strisciò dal petto sulla spalla. Flinx lottò per rizzar-
si a sedere.
C'era qualcosa di sbagliato nel suo equilibrio. Il semplice atto
di cambiare la sua posizione da distesa a seduta risultò un'ope-
razione tremendamente difficile. Due furono le cose che Flinx
notò subito: faceva freddo, e la pioggia gli inzuppava il viso. Poi
la sua vista si schiarì e vide il vecchio chino su di lui.
Per un istante gli tornò la paura, ma quel vecchio non era
uno dei meliorare. Era un volto gentile, sconosciuto. Il vecchio
era vestito in modo molto diverso dai membri della Society.
Non c'era stato niente di trasandato nell'abbigliamento dei me-
liorare. Ma questo sconosciuto era un uomo che veniva senz'al-
tro da una vita più semplice.
— Stai bene, ragazzo? — Lo sconosciuto guardò dietro di sé. —
Sì, credo che tu stia bene.
Flinx aguzzò lo sguardo oltre la spalla del vecchio. Parecchi
altri estranei si erano raccolti dietro di lui. E Flinx si rese con-
to di trovarsi al centro della loro preoccupata curiosità. Brac-
cia robuste si tesero verso di lui e lo aiutarono a rimettersi in
piedi. Furono fatti commenti sul serpente volante appollaiato
sopra la sua spalla.
Un uomo più giovane si fece avanti tra la folla. — Stai bene? —
Scrutò il volto di Flinx. — Ho fatto un po' di tirocinio medico.
— Non proprio... credo... — Strano, neppure la bocca funzio-
nava a dovere. Deglutì. — Cos'è successo?
— Dimmelo tu — rispose il giovane, senza sorridere. Era ve-
stito bene, assai meglio del vecchio che aveva esaminato Flinx
per primo. Un incerato a strisce gialle e verdi copriva un abito
da uomo d'affari a vivaci colori che Flinx riuscì appena a intra-
vedere.
— Sono un factotum della Subfiliale di Grandier — spiegò il
giovane. — Stavo arrivando per controllare un recente invio di
merci da Evoria. — Si girò e gli indicò qualcosa. — Quello laggiù
è il nostro magazzino. Sono quasi inciampato su di te.
— Anch'io — annuì il vecchio. — Anche se non sono il factotum
di nessuno salvo di me stesso. — Sorrise, esibendo un bel po' di
denti mancanti.
Flinx si scostò dagli occhi e dalla fronte alcune ciocche di ca-
pelli intrisi d'acqua. Come aveva fatto a bagnarsi così a fondo?
Non riusciva a ricordarsi d'essere finito lungo disteso sulla
strada. Non riusciva a ricordare di essersi disteso da nessuna
parte. Adesso, tutta la gente intorno a lui si era azzittita. Il
rombo che aveva riempito i suoi orecchi fin da quando aveva
ripreso conoscenza assunse proporzione assordanti. Udì un
ululato di sirene.
A un paio d'isolati di distanza le fiamme si levavano verso il
cielo dalla sommità d'un magazzino sfidando il costante velo di
pioggia. Un fluttuante della squadra antincendio si librava su
un lato. Il suo equipaggio stava spargendo sopra le fiamme del-
la schiuma chimica a effetto ritardante. Si combinava all'effet-
to della pioggia per far ripiegare le fiamme su se stesse.
— Ad ogni modo — riprese l'uomo più giovane accanto a Flinx,
mentre tutti e due tenevano lo sguardo puntato su quell'infer-
no morente, — stavo giusto entrando nel nostro ufficio laggiù
quando quell'edificio — fece un cenno col capo in direzione delle
fiamme, — è saltato in aria. Se ricordo bene, era alto quattro o
cinque piani. Come puoi vedere ne sono rimasti soltanto due. I
tre piani più alti devono essere stati ridotti in briciole nei primi
istanti della deflagrazione. Ci sono rottami carbonizzati dap-
pertutto nelle strade qui intorno. L'esplosione mi ha fatto man-
care il terreno sotto i piedi, proprio come è successo a te. — Lo
sguardo di Flinx vagò sulla folla che si era radunata per con-
templare l'insolito spettacolo. A Drallar, a causa del clima, i
grossi incendi erano rari.
— Qualcuno si è cacciato in un nido di guai — borbottò il vec-
chio. — Immagazzinare esplosivi o sostanze volatili entro i con-
fini della città. Brutto affare. Sì, proprio brutto.
— Qualcuno mi ha detto che hanno sentito lo scoppio fino agli
inurb — disse il giovane, con rinnovata loquacità. — Mi chiedo
cosa diavolo fosse immagazzinato là dentro, per causare un'e-
splosione così catastrofica... Un intero pezzo dell'edificio mi è
passato sopra la testa come un proiettile. Si è conficcato nella
nostra porta d'ingresso, se vuoi vederlo. Quando mi sono rial-
zato, ti ho visto disteso qui in strada. O ti ha colpito qualcosa di
misericordiosamente piccolo, oppure hai perso i sensi quando
hai sbattuto la testa per terra.
— Non ho visto niente che lo colpiva — dichiarò il vecchio.
— Questo non vuol dire niente, vista la velocità con cui volava
quella roba. — Il giovane funzionario guardò Flinx. — Scommet-
to che non l'hai neppure sentito.
— No — ammise Flinx, ancora terribilmente confuso. — Non
l'ho sentito. Ma adesso sto benissimo.
— Ne sei proprio sicuro? — L'altro lo fissò. — È strano. Qua-
lunque cosa ti abbia stordito, dev'essere schizzata oltre. Non
vedo nessun taglio, neppure un livido, anche se sembra che il
tuo animaletto sia rimasto un po' ammaccato.
— Devi esserne contento — disse il vecchio. — Un altro centi-
metro, e forse adesso avresti un pezzo di metallo che ti sporge
dalla testa. — Ridacchiò.
Flinx esibì un pallido sorriso. — Adesso mi sento meglio. —
Barcollò di nuovo, ma durò un attimo e poi fu di nuovo saldo
sulle gambe.
Il giovane factotum stava ancora studiando il minidrago ar-
rotolato intorno alla spalla sinistra di Flinx. — È un animaletto
interessante, non c'è dubbio.
— Lo pensano tutti. Grazie per la vostra premura... a tutti e
due. — Si fece avanti con passo ancora incerto e raggiunse il
cerchio di spettatori che stava guardando a bocca aperta l'edi-
ficio frantumato.
Lentamente e con riluttanza il suo cervello riempì gli spazi
vuoti che crivellavano la sua memoria. Terzo piano, era stato
lassù che i meliorare... Sì, i Meliorare, era quello il loro nome:
lassù si stavano preparando a sottoporlo ad alcuni test. Poi gli
Impositori della Pace avevano fatto irruzione, Pip si era libera-
to e uno dei due era stato sul punto di sparargli, e il capo dei
Meliorare (Flinx non riusciva a ricordare il suo nome, soltanto
i suoi occhi) era stato preso dal panico e si era lanciato contro
uno degli impositori, e Flinx ricordava di avere urlato, in preda
alla disperazione, di non sparare, che la donna non facesse ma-
le a Pip, non gli facesse del male, non...
Poi si era svegliato, inzuppato di pioggia e stordito, sulla
strada, con un vecchio che si curvava sollecito sopra di lui e
Pip che gli leccava la bocca.
Si portò la mano alla nuca, che gli pulsava come un tamburo
dentro il quale aveva sognato d'essere imprigionato. Non c'era
nessun bernoccolo, niente sangue, ma gli pareva proprio che
qualcuno l'avesse colpito con forza, proprio come il factotum
dell'azienda aveva supposto. Soltanto il dolore pareva concen-
trato dentro la sua testa.
Delle persone stavano emergendo dal magazzino in fiamme:
personale medico dai bianchi incerati. Scortavano qualcuno...
Gli indumenti della donna erano a brandelli, e il sangue goccio-
lava dagli squarci. Anche se riusciva a camminare con le pro-
prie forze, ci volevano due medici per guidarla.
D'un tratto Flinx riuscì a percepirla, ma solo per un istante.
Non c'era però nessuna emozione... nessuna emozione o senti-
mento di nessun genere. Il suo sguardo era vuoto, torpido. L'e-
splosione doveva averla fatta piombare in un profondo stordi-
mento, pensò Flinx. Quella donna era l'impositrice della pace
che era stata sul punto di colpire Pip.
In ospedale quel profondo vuoto mentale si sarebbe senza
dubbio dissipato, pensò ancora Flinx. Anche se adesso era qua-
si come se la sua mente fosse stata cancellata, e neppure in
modo selettivo. Pareva il guscio deambulante di un essere
umano. Flinx distolse lo sguardo provando un acuto senso di
disagio, pur non sapendo il perché, mentre l'impositrice veniva
fatta salire a bordo d'un fluttuante dell'ospedale. Il velivolo si
alzò sopra la folla e si avviò verso il centro della città fra un ur-
lio di sirene.
Tuttavia Flinx continuò a sforzarsi di ricostruire gli ultimi
istanti là nel magazzino. Cos'era successo? Quella sventurata
donna era stata sul punto di uccidere Pip. Flinx aveva comin-
ciato ad avanzare verso di lei, protestando freneticamente, e il
suo compagno, allora, aveva cominciato a ruotare la sua arma
verso di lui. E quelle armi funzionavano senza far nessun ru-
more. La donna aveva sparato? L'aveva fatto l'uomo?
La strumentazione che aveva riempito quella stanza del ma-
gazzino richiedeva parecchia energia. Se l'impositore della pa-
ce aveva mancato lui, Flinx, forse limitandosi deliberatamente
a sparare un colpo di avvertimento, la raffica poteva aver col-
pito qualcosa di ugualmente sensibile ma di assai meno volatile
della carne umana. Di regola i magazzini non consumavano
molta energia. Potevano esserci state parecchie batterie cari-
che d'energia, là nella stanza, in una condizione di delicato
equilibrio. Lo sparo poteva averle fatte esplodere.
Oppure uno dei meliorare (forse proprio quello che si trovava
accanto alla gabbia di Flinx e che si era dileguato) aveva atti-
vato un qualche tipo di congegno suicida per evitare ai suoi
compagni il disonore d'un processo ufficiale? Si senti assai me-
glio mentre prendeva in considerazione entrambe queste ra-
gionevoli possibilità. Quadravano con quanto era accaduto e,
sì, erano plausibili.
L'unica cosa che non spiegavano era come lui avesse fatto a
toccar terra a due isolati di distanza, in apparenza illeso, salvo
per quel terrificante mal di testa... Be', lui si era diretto verso
la porta, e le esplosioni potevano avere strani effetti. Le strade
del quartiere industriale erano famigerate per le buche, che di
solito erano piene di acqua piovana. E lui era inzuppato dalla
testa ai piedi. Era possibile che la violenza dell'esplosione l'a-
vesse scagliato dentro una di queste buche, abbastanza pro-
fonda da smorzare la caduta, facendolo poi schizzar fuori di
nuovo come una pietra piatta su uno stagno? Era ovvio che do-
veva esser successo proprio questo. Non c'era nessun'altra
spiegazione possibile.
La testa continuava a fargli male.
Finalmente, i gendarmi locali erano comparsi. Quando li vide
arrivare, Fiinx istintivamente si allontanò, lasciandosi la folla
alle spalle e chiudendo Pip sotto l'incerato. Era contento di non
essere stato costretto a usare il suo coltello, e si sentiva fortu-
nato di essere vivo. Forse adesso, finalmente, le forze esterne
avrebbero lasciato in pace lui, Mamma Mastino e Pip.
Ripensò un'ultima volta a quell'ultimo istante nel magazzino.
La rabbia e la disperazione si erano accumulate dentro di lui
fino a quando era stato incapace di sopportarle più oltre e si
era scagliato alla cieca contro l'impositrice della pace che era
sul punto di uccidere Pip. Sperò di non essere mai più così ar-
rabbiato in vita sua.
La folla ignorò il ragazzo che stava abbandonando la scena.
Flinx scomparve tra le provvide ombre e i vicoli angusti che ri-
salivano verso il centro della città. Non c'era niente di straor-
dinario nella sua persona e i gendarmi non avevano nessuna
ragione di fermarlo e interrogarlo. Il vecchio e il factotum
dell'azienda che l'avevano trovato disteso nella strada si erano
già dimenticati di lui. Molto più affascinati dall'insolito spetta-
colo di un grosso incendio in una Drallar sempre gocciolante
d'acqua.
Flinx tornò verso i quartieri più animati della città, verso le
discussioni, le grida, gli odori e le scene del mercato, e il picco-
lo, caldo e familiare negozio di Mamma Mastino. Era dispia-
ciuto... dispiaciuto per tutti i guai che sembrava aver causato.
Dispiaciuto per quegli strani, vecchi meliorare che non esiste-
vano più. Dispiaciuto per quegli impositori della pace troppo
zelanti.
Sapeva che Mamma Mastino non sarebbe stata dispiaciuta.
Poteva essere vendicativa come un Aan, specialmente se qual-
cosa vicino a lei era stato minacciato. Lui comunque provava
rincrescimento per la morte di tanta gente. Tutto per niente,
tutto a causa d'una vagante, innocua, di solito inutile, capacità,
che lui possedeva, di leggere le emozioni. Colpa loro, co-
munque. Tutto quello che era accaduto era stato per colpa loro,
sia dei meliorare che degli impositori della pace in eguai mi-
sura. Lui aveva cercato di avvertirli. Mai cercare di mettersi
tra un ragazzo e il suo serpente.
L'umido viaggio verso casa finì per esaurire quella poca forza
che ancora gli restava. Mai prima di allora la città gli era parsa
così immensa, le sue strade secondarie così involute e tor-
tuose. Era completamente esausto.
Mamma Mastino era intenta al negozio, ma lo aspettava con
la stessa ansia con cui aspettava i clienti. Il suo vecchio braccio
sottile era forte ed energico quando glielo fece scivolare dietro
la schiena, aiutandolo a percorrere gli ultimi angosciosi metri
fin dietro il negozio.
— Ero preoccupata a morte per te, ragazzo! Che tu sii dan-
nato per aver procurato un simile sconforto a una povera vec-
chia! — Le sue dita sfiorarono i lividi che aveva sulle guance e
sulla fronte, mentre i suoi occhi cercavano danni più seri. — E
sei tutto tagliato e sanguinante. Cosa ti è successo, Flinx?
Quando imparerai a tenerti fuori dai guai?
Il ragazzo chiamò a raccolta tutte le forze residue per sorri-
dere. — Pare che i guai vengano a cercarmi, mamma.
— Uh! Tutte scuse. L'ingegno d'un ragazzo è sempre pieno
zeppo di scuse. Cosa ti è successo?
Flinx cercò di rimettere ordine nei suoi pensieri, mentre fa-
ceva scivolar fuori Pip da sotto l'incerato. Mamma Mastino ar-
retrò. Il minidrago era flaccido come un pezzo di corda. Giac-
que arrotolato in grembo al suo padrone, e se non era addor-
mentato, allora sapeva fare un'ottima imitazione scagliosa d'un
sonno profondo.
— Qualcuno ha rapito Pip. Si facevano chiamare Meliorare.
Ma era me che volevano. Quei... — Storse la faccia al ricordo. —
Uno di loro ha detto qualcosa sul fatto che voleva mettermi a
posto. Mettere a posto cosa? Cosa volevano da me?
La vecchia rifletté per un lungo istante, studiando il ragazzo.
Pareva proprio che stesse dicendo la verità, che non avesse
appreso più di quanto diceva. Ignorando la vicinanza di
quell'odiato serpente volante, Mamma Mastino si sedette ac-
canto a Flinx e gli mise un braccio intorno alle spalle.
— Adesso ascoltami bene, ragazzo, perché questo è d'im-
portanza vitale per te. Non devo dirti che sei diverso. Sei sem-
pre stato diverso. Devi nasconderlo meglio che puoi, e noi do-
vremo nasconderci. Drallar è un posto molto grande. Possiamo
trasferire il negozio, se è necessario. Ma devi imparare a vi-
vere senza dare nell'occhio, e dovrai tenere per te le tue diffe-
renze, altrimenti ci troveremo ancora afflitti da queste atten-
zioni sgradite e insalutari.
— È tutto così stupido, mamma. Soltanto perché a volte rie-
sco a percepire quello che gli altri provano?
— Questo. E forse qualcos'altro.
— Non c'è altro. È tutto quello che posso fare.
— Davvero, ragazzo? Come hai fatto a scappare da quella
gente? — Distolse lo sguardo da lui volgendolo verso la strada,
d'un tratto preoccupata. — Pensi che verranno a cercarti di
nuovo?
— Non lo credo. La maggior parte di loro erano morti quando
me ne sono andato. Non so come ho fatto a scappare da loro.
Credo che uno di loro abbia sparato a qualcosa di esplosivo, fa-
cendo saltare tutto in aria. Io sono stato scagliato fuori dall'edi-
ficio in mezzo a una strada.
— Sei fortunato ad esser vivo, a quanto pare, anche se mi
chiedo per mano di quale provvidenza. Forse è meglio così.
Forse è meglio che tu non sappia molto di te, ancora. Ma la tua
mente è sempre stata più avanti del tuo corpo, e forse c'è qual-
cosa di ancora più avanzato di questo.
— Ma io non voglio essere diverso — lui insisté, quasi pian-
gendo. — Voglio essere come tutti gli altri.
— So che lo vuoi, ragazzo — disse la vecchia donna con genti-
lezza. — Ma ciascuno di noi deve giocare le carte che il destino
gli dà. E tu sei rimasto incastrato con il jolly, e dovrai imparare
a trattare con esso, volgendolo in qualche modo a tuo vantag-
gio.
— Non voglio nessun vantaggio! No davvero, se deve pro-
curarci questo genere di guai.
— Non voglio affatto sentire questi discorsi, ragazzo! Una dif-
ferenza può essere sempre di vantaggio per qualcuno. Questa
volta sceglierai finalmente una professione. So che non ti piace
l'idea di dirigere un negozio come questo. Cosa ti piacerebbe fa-
re?
Flinx rimuginò sulla domanda per un bel po', prima di deci-
dersi a rispondere. — Tutto quello che mi piace è far felici gli al-
tri.
La vecchia donna scosse la testa con tristezza. — A volte
penso che tu non sia abbastanza egoista da riuscire a conser-
varti vivo. Tuttavia, se è questo che ti piace, allora dovrai tro-
vare un modo di guadagnarti da vivere facendolo.
— A volte sogno di diventare un dottore e guarire la gente.
— Ti consiglio di abbassare un po' il mirino, ragazzo.
— D'accordo. Un attore, allora.
— No, non così in basso. Sii pratico. Impegnati in qualcosa
che puoi fare adesso, senza tanti anni di studio.
— Potrei recitare qui nel mercato — disse lui, pensieroso. — E
me la cavo assai bene come giocoliere. Mi hai visto.
— Sì. E ti ho sgridato un sacco di volte per esserti esercitato
con i miei gingilli più costosi. Ma è un'idea valida. Dobbiamo
trovarti un buon angolo di strada. Certamente non potrai cac-
ciarti nei guai dando spettacolo per questi sempliciotti d'in-
digeni.
— Sicuro! Vado subito a fare esercizio.
— Calma, ragazzo, calma. Dormi quasi in piedi, e non intendo
lasciarti rompere le mie mercanzie o te stesso. Vai dentro e
stenditi. Ti preparo qualcosa da mangiare e poi arrivo subito
da te. Adesso vai, ragazzo, e assicurati di portare con te quel
tuo piccolo mostro.
Cullando tra le mani l'esausto Pip, Flinx si alzò e s'incam-
minò tra la merce in mostra, verso la sezione del negozio che
faceva loro da abitazione. Mamma Mastino lo seguì con lo
sguardo.
Cosa sarebbe diventato quel ragazzo? In qualche modo aveva
attirato su di sé l'attenzione di gente potente e pericolosa. Per
lo meno, adesso, c'erano buone possibilità che non sarebbero
stati più disturbati per un po'. No, se li aveva lasciati «come
morti».
Come era riuscito a fuggire? A volte riusciva ancora a spa-
ventarla. Oh, Flinx non avrebbe mai torto un solo capello alla
sua vecchia testa. Al contrario, come aveva dimostrato l'osti-
nato inseguimento e il salvataggio di quei giorni appena tra-
scorsi. Ma c'erano forze all'opera dentro quel corpo da adole-
scente, forze al di là della comprensione d'una semplice botte-
gaia, forze che forse non sarebbe stato capace di controllare. E
c'era di più che la semplice abilità di leggere le emozioni degli
altri. Di ciò era sicura. Quanto di più, poteva solo sospettarlo,
giacché era chiaro che il ragazzo stesso ne era assai poco con-
sapevole.
Be', che facesse pure il giocoliere per un po'. Certo non c'era
pericolo. Con un'occupazione così semplice, non sarebbe dav-
vero incappato in altri guai.
Se lo disse più volte per tutto il resto di quel pomeriggio, fino
a sera inoltrata, restando là a guardarlo dormire. Quando alla
fine s'infilò nel proprio letto, pensò di aver accantonato quelle
paure immaginarie. Ma non era così.
Sentiva che quel ragazzo, il quale giaceva soddisfatto e pa-
cifico nella stanza opposta alla sua era destinato a qualcosa di
più d'una vita oziosa d'intrattenitore dei passanti agli angoli
delle strade. In qualche modo sapeva che quel dannato univer-
so, il quale ficcava sempre il suo cosmico naso nel destino degli
innocenti cittadini, non avrebbe mai lasciato in pace qualcuno
di unico come Flinx.

FINE

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