Sei sulla pagina 1di 323

ALAN DEAN FOSTER

STELLA ORFANA
(Orphan Star, 1977)

A Joe e Sherry Hirschhom e alle loro


tre principesse,
Renée, Bonnie e Janice,
che abbellirebbero qualunque favola,
con amore, da Alan...

CAPITOLO PRIMO

— Guarda dove metti i piedi, qwot!


Il mercante lanciò un'occhiata furiosa al giovanotto magro dalla
pelle olivastra e ostentatamente si rassettò l'indumento appena
appena spiegazzato.
— Le chiedo perdono, nobile signore — replicò cortesemente il
giovanotto. — Non ho fatto in tempo a vederla, in mezzo a questa
calca. — Ciò era allo stesso tempo verità e menzogna. Flinx non
aveva visto quell'arrogante affarista, ma aveva percepito la
bellicosità di quell'uomo qualche istante prima che costui cambiasse
repentinamente direzione provocando l'urto.
I suoi misteriosi talenti mentali, benché si fossero notevolmente
sviluppati parecchi mesi prima, in occasione del suo incontro col
Krang (quella spaventosa arma semisenziente degli ormai scomparsi
padroni della galassia, i Tar-Aiym), erano ancora quantomai vaghi e
imprevedibili. L'essersi trovati a fungere da catalizzatore organico di
quel colossale congegno aveva finito quasi con l'uccidere sia lui che
Pip. Ma erano ambedue sopravvissuti, e dopo quella sconvolgente
esperienza lui aveva scoperto di essere cambiato, sia pure in
qualche modo finora incomprensibile.
In seguito aveva scoperto di essere in grado, a un certo istante,
di percepire addirittura i pensieri del re, nel cuore del palazzo di
Drallar, mentre l'istante successivo perfino le menti di coloro che si
trovavano vicinissimi a lui gli restavano ermeticamente chiuse,
peggio del borsellino di un taccagno. Ciò manteneva Flinx in una
continua incertezza, e lui malediceva quel dono per la sua
capricciosità che gli negava equilibrio e pace. Era come un bambino
che, disperatamente aggrappato alla criniera di un'antilope-diavolo
infuriata, lotta con tutte le forze per non farsi sbalzar via e al tempo
stesso per dominare la sgroppante cavalcatura.
Si fece di lato per aggirare quella massa di carne sfarzosamente
impaludata, ma il grasso mercante si mosse bloccandogli il passo.
— I ragazzini devono imparare a rispettare i grandi — insisté, con
un risolino compiaciuto: non era per nulla disposto, contrariamente a
Flinx, a lasciar perdere l'incidente.
Flinx percepì frustrazione nella mente dell'uomo, e ne cercò le
cause scavando più in profondità. Colse nebulosi accenni a un
grosso affare che gli era andato in fumo proprio quella mattina. Ciò
ne spiegava l'intima rabbia e il desiderio di rifarsi su qualcuno.
Mentre Flinx rifletteva su tutto questo, l'uomo si esibì in una scena-
madre, arrotolandosi le maniche e rivelando così un paio di braccia
massicce. La sua frustrazione sembrò trarre sollievo dalle occhiate
curiose che subito la folla aveva cominciato a rivolgergli; il continuo
fluire della gente rallentò intorno a lui: commercianti, venditori
ambulanti, mendicanti, artigiani, formarono ben presto un cerchio
compatto, immobile al centro dell'incredibile e multicolore vortice in
perenne movimento che era il mercato di Drallar.
— Le ho chiesto scusa — ripeté Flinx, con voce tesa.
Un pugno grosso come un maglio cominciò ad alzarsi.
— Chiesto scusa? Ma guarda! Credo proprio che dovrò
insegnarti... — Il mercante si arrestò di botto, il pugno minaccioso
s'irrigidì a mezz'aria. L'uomo si sbiancò in volto e strabuzzò gli
occhi, fissando la spalla di Flinx più lontana rispetto a lui.
Come d'incanto una testa era emersa dalle pieghe cascanti del
mantello del giovane. E quella testa contemplava a sua volta il mer
cante con uno sguardo fisso e immobile che irradiava morte: una
morte gelida, aliena, dallo sconvolgente sentore del metano
ghiacciato. Il cranio era minuscolo, scaglioso, da rettile, per nulla
impressionante; ma dietro la testa uscì fuori dalle pieghe del
mantello un lungo corpo cilindrico, e due ali membranose finemente
pieghettate si aprirono e batterono pigramente l'aria.
— Mi dispiace... — si trovò a balbettare il mercante. — È stato
tutto un errore... La colpa è tutta mia, davvero. — Fece un debole
sorriso e lanciò due rapide occhiate a sinistra e a destra. La folla
radunata all'intorno lo ricambiò con sguardi del tutto privi d'espres
sione.
Fu interessante notare che in pochi attimi il massiccio mercante
parve restringersi, rimpicciolire, finché la folla intorno a lui lo in
ghiottì pulitamente in un istante, all'identico modo in cui un garoupa
avrebbe inghiottito un pesce usato come esca. Fatto ciò, quelle
figure nuovamente impersonali e distratte ripresero il loro incessante
fluire, un fiume umano in eterno movimento.
Flinx si rilassò e alzò una mano per grattare il serpente volante
sotto il muso coriaceo. — Calma, Pip — gli bisbigliò, inviandogli
pensieri affettuosi e rilassanti. — Non è successo niente: calmati,
adesso.
Rassicurato, il minidrago lanciò un acuto sibilo e tornò a scivola
re sotto le pieghe del mantello, e le ali si ripiegarono appiattendosi
contro il suo corpo. Il mercante aveva identificato prontamente il
rettile, e poiché era un uomo che aveva viaggiato molto sapeva che
non c'erano antidoti conosciuti contro il veleno del serpente
alaspino.
— Forse ha imparato qualcosa, qualunque fosse la lezione che
aveva in mente di darci — osservò Flinx. — Cosa diresti se
andassimo da Piccolo Symm per una birra e un po' di pretzel per
te? Ti piacerebbe, summm?
Il serpente fece a sua volta «Summm», manifestando così il pro
prio gradimento.
Non molto distante, tra la densa folla, un signore sgradevole e
obeso ringraziò un soddisfattissimo orefice mentre s'infilava in tasca
un gingillo acquistato con distratta condiscendenza. Quella
transazione gli era servita soltanto a far passare il tempo e a
dissimulare la sua ardente e micidiale attenzione, che non era certo
rivolta a gemme o monili.
Due uomini lo affiancarono: uno era basso di statura, untuoso,
coll'espressione della tipica spia. L'altro ostentava un torace simile a
una caldaia galvanizzata, e soltanto metà faccia. Il suo unico occhio
ammiccò con insistenza mentre lui fissava la figura di Flinx che si
allontanava. Intanto il suo compagno si rivolgeva con solerte servili
smo al grasso signore che si era infilato in tasca il minuscolo piano
forte d'oro e perle appena acquistato.
— Challis, hai visto l'espressione sulla faccia di quel tipo? — gli
chiese. — Quel serpente significa morte. Non ce ne avevano detto
nulla. Quel grosso idiota non soltanto ha salvato la sua vita ma an
che la mia e quella di Nanger.
Monocolo annuì.
— Dovrai trovarti qualcun altro, per questa porcheriola —
proseguì il tracagnotto, in tono inflessibile.
Il grassone non si scompose, e si grattò uno dei molti menti. —
Sono mai stato poco generoso, con voi? Poiché siete entrambi in
permanenza al mio servizio, strettamente parlando non dovrei darvi
un bel niente per quest'incarico. — Scrollò le spalle. — Ma se è
questione di altro denaro...
Il viscido spione basso di statura scosse la testa. — Puoi
comperare i miei servigi, Challis, ma non la mia vita. Sai cosa
succede se il veleno di quel serpente ti colpisce negli occhi? Nessun
contravveleno conosciuto ti terrà vivo più di sessanta secondi. —
Diede un calcio al terreno sotto i suoi piedi, ancora bagnato dalle
piogge del mattino, facendo volar via un po' di ciottoli. — No,
questo non è per me, e neppure per Nanger.
— Proprio così — assentì solennemente l'uomo dalla mezza fac
cia. Annusò l'aria e annuì in direzione del giovanotto, ora molto
lontano. — Ma ad ogni modo, cos'è questa tua ossessione per quel
ragazzo? Non è robusto, non è ricco, e neppure è particolarmente
grazioso.
— È la sua testa che m'interessa, non il suo corpo — sospirò
Challis, — anche se questa è una faccenda legata al mio piacere. —
Sbuffando come un cuscino sfondato che lancia intorno a sé vortici
di piume, li guidò attraverso la folla affaccendata e chiassosa. Uma
ni, thranx e mercanti che rappresentavano un'altra decina di razze
scivolavano veloci intorno a loro, nonostante la ressa soffocante,
quasi fossero unti d'olio dalla testa ai piedi, tutti diretti a commissioni
e affari importantissimi.
— Si tratta del mio gioiello di Janus. Mi annoia.
L'uomo più basso assunse un'espressione disgustata. — Come
può essere annoiato uno che è ricco al punto di possedere un
gioiello di Janus?
— Oh, ma io sono annoiato, Nolly caro, lo sono.
Nanger esibì un sorrisetto fatuo e compiaciuto. — Qual è il pro
blema, Challis? Ti viene meno l'immaginazione? — Scoppiò a
ridere: un breve e squillante latrato.
Challis gli rispose con un ampio sorriso: — No di certo, Nanger,
ma sembra che io non abbia il tipo di mente adatta a evocare dal
gioiello le squisitezze di cui è capace. Per riuscirci ho bisogno di aiu-
to. Perciò in questi ultimi mesi ho dedicato tutti i miei sforzi alla
ricerca di un socio adatto, di una mente del tipo giusto che mi aiuti
ad attivare il gioiello. E questa informazione mi è costata un sacco di
denaro — concluse, rivolgendo un cenno di saluto a un impettito
osiriano che conosceva. L'aviario fece schioccare il becco verso di
lui, e il collo gli si arrotolò con un guizzo grazioso ricordando uno
struzzo; quindi riprese ad avanzare impettito, emergendo come un
periscopio tra la folla.
Nanger si fermò un attimo per acquistare una focaccia di thisk;
poi proseguirono, mentre Challis riprendeva le sue spiegazioni.
— Perciò, adesso capisci perché ho bisogno di quel ragazzo.
L'irritazione di Nolly era cresciuta. — Perché non assoldarlo, al
lora? Perché non gli chiedi se è disposto a partecipare di sua vo
lontà?
Challis lo fissò, dubbioso. — No, non credo che funzionerebbe,
Nolly caro. Tu conosci, no?, i miei gusti e le mie fantasie... o almeno
ne conosci alcuni. — La sua voce all'improvviso era piatta, priva
d'espressione. — Saresti disposto a partecipare volontariamente?
Nolly distolse gli occhi, improvvisamente spaventato. Benché la
sua vita fosse costellata di ogni tipo di nefandezze, rabbrividì. —
No — riuscì a bisbigliare a stento, — no, non credo proprio che
sarei disposto...

— Ciao, ragazzo! — tuonò Piccolo Symm: il gigante era costitu


zionalmente incapace di parlare senza urlare. — Come va la vita? E
cosa mi racconti di Malaika?
Flinx si sedette a uno degli sgabelli davanti al banco ricurvo del
bar, ordinando una birra al peperoncino per sé e un vassoio di
pretzel per Pip. Il serpente volante scivolò giù graziosamente dalle
spalle di Flinx e s'infilò sull'ampio vassoio di legno colmo dei
caratteristici biscotti trapezoidali. Il rapido movimento di Pip fu
osservato da due tizi dal losco aspetto, lì accanto, i quali, con gli
occhi sbarrati, si affrettarono a lasciar liberi i loro sedili rifugiandosi
in gran fretta in uno degli scomparti più lontani.
— È un bel po' che non ho contatti con Malaika, Symm. Ho
sentito che è in affari fuori sistema.
Era grazie al ricco mercante suo amico che Flinx aveva potuto
smettere di esibirsi nel suo spettacolo da baraccone: per l'aiuto
decisivo fornito nell'esplorazione del pianeta dei Tar-Aiym, dov'era
stato trovato il Krang, Malaika gli aveva offerto una sostanziosa
somma di denaro. La maggior parte dei soldi erano serviti a
sistemare la madre adottiva di Flinx, mamma Mastino, in un negozio
ben fornito al centro di un quartiere elegante di Drallar. La vecchia,
pur dandosi della sciocca, aveva salvato Flinx (quand'era ancora
bambino) dal palco dei mercanti di schiavi. Per anni e anni aveva
brontolato per questo suo capriccio, ma era l'unico genitore che luì
avesse mai conosciuto. Gli brontolava ancora fra i denti, ma con
affetto.
— A dir la verità — proseguì Flinx sorseggiando la birra al
peperoncino, — Malaika avrebbe voluto che andassi con lui. Ma
pur rispettando quel vecchio ingordo, sono convinto che avrebbe
finito col mettersi in testa di cacciarmi dentro un vestito inamidato,
di farmi pettinare i capelli con tanto di scriminatura e d'insegnarmi il
bel parlare. — Tremò visibilmente a queste orribili prospettive. —
Non avrei mai potuto sopportarlo. Preferirei piuttosto riprendere il
mio mestiere di giocoliere e d'indovino nella più puzzolente delle
piazze. E tu, padre di tutte le bestemmie? Ho sentito che hai avuto
qualche altro fastidio con le guardie municipali.
Il proprietario del bar appoggiò il suo corpaccio alto due metri e
mezzo e pesante quasi due quintali sul banco di legnoplastica spu
gnosa, che protestò scricchiolando energicamente. — Sembra che il
commissario del mercato abbia preso come un affronto personale il
fatto che io ho sbattuto quel branco di pellegrini che aveva spedito
qui per chiudermi il locale. Forse non avrei dovuto fracassare il loro
veicolo... Adesso stanno agendo in maniera più subdola. Ne ho
avuto fra i piedi uno proprio l'altro giorno: osava asserire di avermi
visto servire allucinogeni a una banda di adolescenti.
— È ovvio che meriteresti di essere appeso per le dita dei piedi
— ribatté Flinx, con finta indignazione. Anche lui era ben al disotto
dell'età minima per la maggior parte delle bevande che Symm gli
serviva.
— Comunque — proseguì il gigante, — questo imbecille mi
scappa fuori all'improvviso da uno degli scomparti là in fondo, mi
sventola davanti agli occhi la sua tessera d'ispettore municipale e
cerca di dirmi che sono in arresto. Aveva intenzione di portarmi via
con sé, e io avrei fatto meglio a seguirlo senza protestare. —
Scosse la testa con aria afflitta, mentre Flinx trangugiava parecchi
sorsi di birra.
— E tu cos'hai fatto? — chiese infine Flinx, leccandosi la
schiuma agli angoli della bocca.
— Oh, io non voglio altri guai, non voglio certo che mi si accusi
un'altra volta di aggressione. Ho pensato che un'adeguata esibizione
fisica, condotta con calma e compostezza, avrebbe fatto cambiare
idea a quell'energumeno. E così è stato: il tizio se n'è andato via
quieto quieto. — Piccolo Symm indicò con un gesto il boccale di
Flinx ormai vuoto. — Un altro?
— Certo. Ma dimmi, cos'hai fatto?
— Ho mangiato la sua tessera di riconoscimento. Ecco la tua
birra. — E un secondo boccale slittò accanto al primo.
Flinx capiva perfettamente quell'aria compiaciuta di Piccolo
Symm. Il gigante doveva difendere la propria reputazione. Il suo era
uno dei pochi locali, a Drallar, dove una persona poteva andare di
notte con la garanzia di non essere aggredita o comunque infastidita
da ogni genere di delinquenti o di balordi. Ciò perché Piccolo
Symm si comportava con l'identica imparzialità nei confronti di ogni
tipo di disturbatore.
— Torno subito — disse Flinx rivolto al suo amico. Scivolò giù
dallo sgabello e si diresse verso quel locale sul retro le cui funzioni
erano cambiate ben poco nelle ultime centinaia d'anni. Appena en
trò fu investito da una zaffata mista di odori e sensazioni penetranti:
birra stantia, alcolici rivomitati, ansietà, tensione, stillante umidità,
acqua stagnante e putrida, il tutto in certo qual modo come sospeso
in un'attesa piena di paura. Flinx fu quasi sopraffatto da questa
mescolanza di miasmi fisici e mentali.
Si voltò istintivamente a sinistra, dove la concentrazione di tutti
quei sentori era più forte, e notò una lieve contrazione sul volto di un
uomo che lo stava fissando. Percepì l'intima agitazione di
quell'individuo, appena mascherata dalla calma esteriore. L'uomo
stringeva in mano una siringa osmotica, col dito girato intorno allo
strumento come sul grilletto di un'arma. Flinx fece per gridare aiuto,
ma l'urlo gli fu soffocato in gola da qualcosa di scuro e pesante che
gli calò sulla testa. E l'istintivo appello mentale fu cancellato dalla
gelida efficacia della siringa...
Quando Flinx si svegliò, si trovò a fissare un confuso caleidosco
pio di luci che brillavano davanti e sotto di lui, attraverso una parete
e un pavimento di plastica trasparente.
Con una serie di contorcimenti riuscì a mettersi seduto: operazio
ne, questa, ostacolata dal fatto che i suoi polsi erano bloccati da un
paio di manette cromate. Ne partiva una lunga catena metallica, che
serpeggiava sul lucido pavimento rispecchiandovisi come un lungo
verme prima di sparire fra i mobili lussuosi.
Flinx studiò con più attenzione lo spolverio di luci all'esterno:
erano il luminoso palpito della città di Drallar, dominata sulla sinistra
dalle fulgenti guglie del palazzo del re. Quel panorama gli consentì di
orientarsi. Associando la posizione del palazzo del re col complesso
disegno delle luci e l'ovvia constatazione che quella stanza si trovava
parecchi piani sopra il livello del suolo, intuì di trovarsi prigioniero in
uno dei quattro grandi complessi edilizi nel cuore della città, le isole
strettamente sorvegliate e interdette che ospitavano i membri
dell'alta società, nativi sia di Drallar che di altri mondi, fa
volosamente arricchitisi coi commerci. I suoi catturatori, dunque,
erano qualcosa di più che semplici ladri da strada.
Flinx fu incapace di percepire qualcosa nelle vicinanze. L'unica
sensazione insolita che in quel momento riuscì a cogliere fu il leggero
pulsare dei muscoli del suo avambraccio destro, là dove gli era stata
praticata l'iniezione. Provava anche un'intensa rabbia: ma soprattutto
verso se stesso, per non aver saputo cogliere le irradiazioni
minacciose che certamente i suoi aggressori dovevano aver
emanato prima che lui entrasse nella toilette.
Improvvisamente si accorse della mancanza di un'altra
sensazione: il confortevole peso di Pip sulle spalle.
— Ciao — disse, esitando, una sottile voce argentina.
Girandosi di scatto, Flinx si trovò faccia a faccia con un angelo.
Si rilassò, mise giù i piedi dal divano sul quale era disteso, e la fissò
sbalordito. Non poteva avere più di nove o dieci anni: indossava un
paio di ampi calzoni frangiati azzurroverdi che si prolungavano in
alto in una specie di blusa trasparente dalle lunghe maniche orlate di
merletti. I lunghi capelli biondi le ricadevano arricciolati fin quasi alle
ginocchia. Un paio di occhi azzurri da bambina lo fissavano da un
volto dagli alti zigomi, degno di un raffinato cherubino.
— Mi chiamo Mahnahmi — l'informò la ragazzina, con la sua
sottile voce trillante. — E tu?
— Tutti mi chiamano Flinx.
— Flinx. — Si succhiò pensosamente la nocca del pollice. — È
un nome strano ma simpatico. — Sorrise, esibendo due file perfette
di denti simili a perle. — Vuoi vedere cosa mi ha portato il mio
papà?
— Papà? — le fece eco Flinx, guardandosi attorno.
Nuovamente si sentì come soverchiato dall'ampia e ricurva parete
trasparente e dallo scintillante panorama che si stendeva sotto di lui.
Fuori era notte... ma era quella stessa notte? Per quanto tempo era
rimasto privo di sensi? Non c'era modo di dirlo... per ora.
L'arredamento della stanza era in tardo stile siberade: cuscini
straripanti, poltrone e divani sostenuti da montanti di duralega sottili
come matite, e ogni altro oggetto appeso al soffitto con fili di
duralega così sottili che tutto dava l'impressione di galleggiare
nell'aria. Sotto. l'ampio soffitto a cupola, un'abbondante spruzzata di
cristalli luminescenti di spodumene e kunzite. Qua e là finestre cir
colari erano aperte, fornendo una visione del cielo notturno bruli
cante di stelle. Regolatori climatici impedivano che i rari spruzzi del
la pioggia serale cadessero dentro la stanza.
Sì, pensò Flinx, il suo catturatore era una persona molto ricca.
La voce della ragazzina, petulante perché lei non si trovava più al
centro della sua attenzione, si fece nuovamente udire: — Vuoi
vederlo o no?
Flinx, il quale avrebbe desiderato che l'insistente pulsazione
all'avambraccio gli desse sollievo, rispose con un sospiro: — Ma
certo.
Istintivamente le sorrise quando lei si cacciò la mano in tasca e gli
si fece più vicina. La mano ricomparve, stretta a pugno, e lenta
mente si aprì esibendo orgogliosamente sotto il suo naso un piano
forte in miniatura, fatto di filigrana d'oro e perle autentiche.
— Suona davvero, sai? — disse la bambina, tutta eccitata.
Toccò i minuscoli tasti, e Flinx poté udire una serie di note quasi
impercettibili. — È per la mia bambola.
— È molto carino — la complimentò Flinx, rievocando il tempo
non molto lontano in cui un tale giocattolo gli sarebbe costato più
crediti di quanti avrebbe mai sperato di guadagnare in tutta la vita.
Lanciò un'occhiata ansiosa oltre la bambina. — Dov'è il tuo papà,
adesso?
— Sono qui.
Flinx si voltò verso la fonte di quelle semplici parole, che pure
erano suonate così minacciose ai suoi orecchi.
— So già che ti chiami Flinx — proseguì l'uomo, alzando la ma
no in un gesto imperioso che gli troncò le domande che gli urgevano
in bocca. I numerosi anelli alle dita scintillarono, aggiungendo nuove
minacce. — Conosco già parecchio, di te.
Due uomini emersero dall'ombra del suo corpo incredibilmente
obeso. Uno dei due aveva il cranio orribilmente infossato su un lato,
semidistrutto da qualche tremenda vampa di calore e rabberciato
alla bell'e meglio da qualche segaossa spaziale. Il suo compagno,
più basso di statura, esibiva ora una calma che gli era
completamente mancata quando aveva praticato quell'iniezione
fulminante a Flinx nella toilette di Symm.
L'uomo grasso riprese a parlare: — Mi chiamo Conda Challis.
Forse hai già sentito parlare di me.
Flinx annuì lentamente. — Conosco la tua organizzazione.
— Bene — commentò Challis. — Fa sempre piacere essere
riconosciuti. Si risparmiano un mucchio di spiegazioni... — Il
pulsare del braccio di Flinx si stava attenuando a livelli di
sopportabilità, quando il grassone calò la propria massa di carne su
una poltrona lasciando tra sé e Flinx un tavolino rotondo di metallo
e plastica. L'uomo dalla mezza faccia e il suo tozzo compare si
misero comodi a loro volta lì accanto: ma non troppo comodi, notò
Flinx.
— Mahnahmi, vedo che hai intrattenuto il nostro ospite — disse
Challis alla ragazzina. — Ora fa' la brava bambina e va' a giocare
da qualche altra parte.
— No, voglio restare a guardare.
— Guardare? — Flinx sbarrò gli occhi, allarmato. — Guardare
cosa?
— Sta per usare il gioiello, so che lo farà! — esclamò la
bambina, per tutta spiegazione. Si voltò verso Challis. — Per
favore, lasciami guardare, papà! Non dirò una sola parola, lo
prometto!
— Mi dispiace, piccola. Non questa volta.
— Non questa volta, non questa volta — ripeté lei. — Non mi
lasci mai guardare. Mai, mai, mai! — Con la stessa rapidità di uno
scroscio di pioggia che lascia il posto al sole sfolgorante, il suo volto
si aprì in un radioso sorriso. — Oh, va bene, ma perlomeno lascia
che lo saluti.
Quando Challis annuì, con un gesto d'impazienza, lei balzò lette
ralmente tra le braccia di Flinx, gli si avvinghiò forte forte procuran
dogli nuove trafitture nel punto dell'iniezione, gli depose sulla guan
cia un bacio umido e schioccante, e gli bisbigliò all'orecchio destro
con la sua trillante e immatura voce da soprano: — Meglio fare
quello che ti dirà, altrimenti ti strapperà le budella.
In qualche modo lui riuscì a mantenersi impassibile, mentre lei si
staccava con un sorriso innocente e disarmante.
— Ciao. Forse papà ci lascerà giocare più tardi. — Si voltò e
corse via, sparendo oltre una porta seminascosta sul lato opposto
della stanza.
— Una... ragazzina molto interessante — commentò Flinx, de
glutendo.
— Non è graziosa? — fece Challis, con degnazione. — Sua
madre era eccezionalmente bella.
— Ti sei sposato, allora? Non mi sembri il tipo.
Per un attimo il grasso mercante parve sbigottito. — Io
accoppiato per l'intera vita? Mio caro ragazzo! Sua madre è stata
acquistata proprio qui, a Drallar, parecchi anni orsono. Il suo
pedigree vantava eccezionali talenti, che però si sono rivelati assai
inferiori alle promesse: adatti a qualche trucco da salotto, ma niente
più.
«Tuttavia era in grado di adempiere egregiamente ad altre funzio-
ni, perciò infine il denaro non è risultato del tutto sprecato. L'unico
inconveniente è stato la nascita di quella ragazzina, dovuta al fatto
che non mi sono presentato in tempo per una debioiezione stan
dard. Non avevo pensato alle possibili conseguenze di un simile
ritardo». Scrollò le spalle. «Ma mi sbagliavo. Comunque, poiché la
madre mi aveva soddisfatto, le ho permesso di avere la piccola...
Io, tuttavia, ho la tendenza a essere duro con tutto ciò che è di mia
proprietà. La madre non è vissuta a lungo, dopo il parto. Ho l'im
pressione, a volte, che la bambina abbia ereditato qualcuno degli
scarsi talenti di sua madre, ma ogni tentativo di rivelarli è fallito».
— Tuttavia, nonostante ciò, la tieni lo stesso — osservò
incuriosito Flinx. Per un attimo Challis parve confuso, ma subito
recuperò la padronanza.
— Non è poi così sconcertante. Considerando il modo in cui è
morta sua madre (cosa questa che la bambina ignora), io provo una
specie di vaga responsabilità nei suoi confronti. Non ho un
particolare amore per i bambini, ma devo ammettere che lei mi
ubbidisce con una prontezza che molti adulti potrebbero trovare
assai conveniente imitare. — Accompagnò queste parole con un
ampio sorriso che diede a Flinx l'impressione di un bianco cranio
pieno di ghiaccio tritato.
— È abbastanza grande da capire che se non ubbidisce la ven
derò. — Challis si sporse in avanti, e lo sforzo di piegare il petto sul
ventre prominente lo fece ansimare. — Ma tu non sei stato portato
qui per discutere i particolari della mia vita privata.
— E allora a che scopo? Ho sentito il vago accenno a un
gioiello. Di preziosi me ne intendo un po', ma non sono certo un
esperto.
— Un gioiello, sì. — Ma Challis omise qualunque ulteriore
spiegazione a parole. Invece manipolò alcuni interruttori invisibili, sul
lato del tavolo rivolto verso di lui. Le luci della stanza si attenuarono
e i due sinistri assistenti di Challis scomparvero nella penombra,
anche se Flinx riuscì ancora a percepirne la presenza: muscoli tesi e
pronti a scattare, lì vicino, piazzati fra lui e l'unica porta chiaramente
distinguibile.
Ma un sommesso ronzio distolse rapidamente la sua attenzione.
Il piano del tavolo scivolò di lato e Flinx riconobbe che in realtà il
tavolo era un massiccio forziere. Dalla cavità al centro s'innalzò un
grosso oggetto, che si rivelò una luccicante scultura avvolta da una
ragnatela di fili sottili. Un globo trasparente spiccava al centro della
scultura: dentro il suo guscio di robustissima vetrolega c'era qualco
sa che somigliava a un limpido cristallo naturale, grosso all'incirca
quanto una testa umana. Sembrava che ardesse di una luce
interiore. A una prima occhiata pareva quarzo, ma un'ispezione più
accurata rivelò che si trattava di un silicato dalla struttura più unica
che rara. Il centro del cristallo era cavo, dal profilo irregolare, e
pieno di un fluido vischioso dentro il quale particelle verdi e brune
compivano traiettorie con una lentezza da sogno. Le particelle
formavano in realtà una specie di sottile pulviscolo che, pur
giungendo quasi in alcuni punti a sfiorare le pareti interne del
cristallo, tendeva perlopiù a concentrarsi al centro della cavità. Di
tanto in tanto una particella si animava, sfrecciando all'intorno come
spinta da una forza invisibile. Flinx sprofondò, come ipnotizzato, in
quelle mutevoli profondità...

Sulla Terra viveva un ricco di nome Endrickson, che negli


ultimi tempi aveva assunto uno sguardo assorto, come
incantato. La sua famiglia l'adorava, e così pure i suoi amici, e
lui era riuscito a strappare una riluttante ammirazione perfino
ai suoi diretti rivali. Endrickson, benché negli ultimi tempi
fosse tutt'altro che sveglio di mente, era uno di quei rari geni
che non possiedono nessuna capacità creativa propria ma che
esibiscono l'inestimabile potere di controllare e dirigere i talenti
degli individui più dotati di loro.
La sera del venticinquesimo giorno della quinta luna, alle
cinque e trenta, Endrickson avanzava ancor più lentamente del
solito lungo i corridoi dell'Impianto, massicciamente
sorvegliati. L'Impianto non aveva un nome specifico —
precauzione sulla quale avevano particolarmente insistito i
nervosissimi addetti alla Sicurezza — ed era stato costruito
nelle viscere rocciose del versante occidentale delle Ande.
Mentre passava accanto agli uomini e alle donne, e agli
insettoidi thranx che lavoravano nell'Impianto, Endrickson
rivolgeva a tutti un cenno di saluto, che veniva sempre
ricambiato da rispettose risposte. Tutti andavano in direzione
opposta alla sua, poiché per loro la giornata lavorativa era
finita. Erano diretti — quei molti, moltissimi esseri dotati di
talento — alle loro case a Santiago, a Lima, a Nuova Delhi e a
Nuova York, come pure alle colonie thranx sulla Terra, nel
bacino dell'Amazzonia.
Una guardia che non era ancora smontata dal servizio
scattò rìgidamente sull'attenti quando Endrickson svoltò entro
l'ultimo corridoio schermato. Ma appena vide che non si
trattava del suo superiore diretto, un individuo che ostentava
su di sé una perenne irritazione come un paio di mutande
infilate fuori dai calzoni, la guardia armata fino ai denti si
rilassò. Sapeva che Endrickson era amico di tutti.
— Ehi, Davis... — fece lentamente il capo.
La guardia lo salutò; poi lo scrutò con attenzione, turbato
dal suo aspetto.
— Buonasera, signor Endrickson. È certo di star bene?
— Sì, grazie, Davis — rispose Endrickson. — Mi è venuta in
mente una cosa all'ultimo momento. Non ci metterò molto. —
Teneva gli occhi fissi su qualcosa di stranamente scintillante
che reggeva in una mano piegata a coppa. — Vuoi vedere la
mia tessera d'identificazione?
La guardia sorrise, infilò nella macchina la striscia di
plastica opportunamente trattata, e fece entrare Endrickson
nell'altro locale, che ospitava il laboratorio: un'ampia caverna
ulteriormente ampliata per le necessità di una tecnologia di
precisione. Quello era il cuore dell'Impianto. Muovendosi con
gesti sicuri, Endrickson discese la rampa fino al pavimento
ermeticamente rivestito della grande caverna e passò davanti a
enormi macchinari, a lunghi banchi da lavoro e a grandi
strutture di metallo e di altri materiali. Il laboratorio era vuoto,
e tale sarebbe rimasto finché il primo turno del mattino fosse
entrato in servizio, cinque ore dopo.
Giunto a un terzo della caverna, Endrickson si fermò
davanti a un'imponente porta di metallo grigiastro, unica
interruzione nella compatta parete dello stesso materiale che
isolava un'ampia sezione della caverna. Gli occhi sempre fissi
su ciò che reggeva in una ma.no, Endrickson estrasse di tasca
con l'altra un anello su cui erano infilati un certo numero di
piccoli cilindri metallici. Ne scelse uno, e premendo il pollice
contro la rientranza a una sua estremità inserì l'altra in un
piccolo foro della porta e spinse in avanti. Una complessa serie
di radiazioni si sprigionò e fu analizzata dal meccanismo di
apertura.
La porta, giudicato regolare il codice espresso dal cilindro,
nonché l'equilibrio mentale di chi l'impugnava, espresse la sua
soddisfazione inabissandosi, con un lieve fruscio, nel
pavimento. Endrickson valicò la soglia: la porta registrò il suo
passaggio e nuovamente risali, chiudendo ermeticamente il
varco dietro di lui.
Un complicato congegno, in avanzata fase di montaggio,
campeggiò davanti a Endrickson, riempiendo buona parte
dello spazio disponibile. Era circondato da un gran numero di
apparecchiature: complicati utensili ora in riposo, schermi e
dispositivi a snodo per operazioni a distanza, quadri di
comando, e un'interminabile serie di casse piene dei più svariati
componenti.
Endrickson non degnò di uno sguardo quel familiare intrico
d'immagini e si diresse senza esitare verso un pannello nero.
Scrutò pensierosamente le spie e gli interruttori che vi si
trovavano, poi l'attivò servendosi di un altro dei cilindri del suo
anello. Le spie si accesero subito, e gli indici fornirono dati e
cifre.
L'imponente massa del motore interstellare KK ancora
incompiuto incombeva sopra di lui. Il completamento definitivo
sarebbe avvenuto — come poteva soltanto avvenire — fuori,
nello spazio cosmico, poiché altrimenti il campo
posigravitazionale del motore, una volta attivato, interagendo
col campo di gravità del pianeta avrebbe prodotto una serie di
terremoti e di sconvolgimenti tettonici di proporzioni
catastrofiche. Ma tutto ciò, in quel momento, non preoccupava
affatto Endrickson. La sua mente era affascinata da un'idea: il
montaggio dell'unità propulsiva era abbastanza avanzato da
renderla funzionante? E in tal caso perché non azionarla,
osservandone il funzionamento da vicino? Non sarebbe stato
interessante... splendido, anzi?
Lanciò un'occhiata alla cosa meravigliosa che reggeva in
mano; poi, servendosi di un terzo cilindro, apri una scatola
ermeticamente chiusa su un lato del pannello nero, mettendo
così allo scoperto numerosi interruttori dipinti di un vivido
color rosso. Udì un ululato innalzarsi acuto da qualche parte,
ma ignorò l'allarme mentre premeva i pulsanti nel giusto
ordine. Un brivido di piacere l'attraversò, facendogli
pregustare ciò che stava per verificarsi. Una volta attivati gli
interruttori, le istruzioni cominciarono a fluire attraverso il
monolite di vetro-plastica-metallo. Lontano, sull'altro lato della
porta sbarrata, Endrickson poteva udire gente che accorreva
urlando. Nel frattempo gli automatismi compivano la sequenza
di operazioni che avrebbe innescato la fiamma termonucleare;
Endrickson vide attraverso i vari schermi i congegni scattare
uno dopo l'altro, e annuì soddisfatto. Infine gli ultimi relè
s'inserirono, chiudendo il circuito del computer incorporato nel
motore. Per la frazione di un secondo il campo Kurita-Kita si
formò fra quelle massicce pareti... e ugualmente, nel cervello di
Endrickson balenò fugace il pensiero che ciò non si sarebbe
mai dovuto fare là dentro bensì nelle remote profondità dello
spazio. Ma subito, in quel supremo istante, la sua intera
attenzione tornò a rivolgersi a quell'affascinante meraviglia e
alle strane parole chiuse nell'oggetto che lui reggeva sul palmo
della mano...
Se l'unità propulsiva fosse stata completa, il disastro
avrebbe assunto proporzioni colossali. Ma non era completa:
per cui il campo collassò subito, incapace di sostenersi e di
espandersi fino al massimo diametro operativo. Così, anche se
le finestre andarono in frantumi e qualche vecchio edificio
crollò e a seicento chilometri da lì la guglia della chiesa di
Santa Teresa d'Avila nel centro di Valparaiso si fendette, nelle
immediate vicinanze soltanto poche cose subirono alterazioni
significative.
Endrickson, l'Impianto e la vicina comunità tecnologica di
Santa Rosa de Cristobal (popolazione: 3200) svanirono. La
montagna alta quattromila metri alla cui base era sorta la città
e nelle cui viscere era stato scavato l'Impianto fu sostituita da
un cratere profondo quattrocento metri, rivestito di vetro fuso.
Ma poiché la logica insisteva nell'affermare che quell'evento
non poteva essere stato altro che un incidente, così appunto
decisero gli esperti chiamati a dare una spiegazione: esperti
che non avevano avuto accesso alla stessa bellezza che aveva
così totalmente affascinato l'ormai volatilizzato Endrickson...

Flinx ammiccò, risvegliandosi dalla paralizzante bellezza del


gioiello di Janus. La gemma continuava a pulsare, irradiando la sua
sottile e suggestiva luminescenza gialla.
— Ne avevi mai visti prima d'ora? — chiese Challis.
— No. Ma ne avevo sentito parlare. Ne so abbastanza da
poterli riconoscere.
Challis doveva aver toccato un altro interruttore nascosto,
poiché un lieve bagliore comparve dietro il bordo del tavolo. Il
mercante aprì un cassetto incorporato e ne tirò fuori un oggetto che
somigliava all'immagine stilizzata di un uccello in volo, con le ali
rivolte verso il basso. Era progettato per adattarsi a una testa
umana. Il liscio profilo era interrotto qua e là da alcune
protuberanze e qualche filo.
— Sai cos'è? — chiese il mercante. Flinx confessò che non lo
sapeva.
— È la cuffia dell'operatore — gli spiegò Challis, sistemandosela
sopra i capelli stopposi. — Questa cuffia e i circuiti inseriti nel tavo
lo registrano i pensieri della mente umana e li trasmettono al gioiello.
Il gioiello ha una certa proprietà...
Challis pronunciò la parola «proprietà» con quella stessa
reverenza spirituale che la maggior parte degli uomini esibiscono
quando descrivono i propri dèi o le proprie amanti.
Il mercante smise di armeggiare con gli invisibili comandi e con la
cuffia. Incrociò le mani sul ventre proiettato all'infuori e fissò il
cristallo. — Ora mi sto concentrando su qualcosa — annunciò a
bassa voce, rivolgendosi al suo ascoltatore. — Ci vuole un po' di
allenamento, anche se c'è qualcuno che può farne a meno.
Mentre Flinx guardava affascinato, le particelle al centro del
gioiello cominciarono a riordinarsi. Il loro movimento non era più
casuale, e fu chiaro che erano i pensieri di Challis a dirigere i loro
spostamenti. Lì davanti a lui c'era qualcosa di leggendario o quasi:
qualcosa che era oggetto di mille racconti fantastici, ma che ben
pochi, se non i molto ricchi e privilegiati, avevano realmente visto
coi propri occhi.
— Più grande è il cristallo — continuò Challis, il quale si stava
chiaramente sforzando di ottenere un certo risultato, ancora
imprecisabile, — e più sono i colori presenti nel colloide, più
preziosa è la pietra. La norma è un cristallo di un solo colore.
Questa pietra ne contiene due, ed è una delle più grandi e delle
meglio formate che esistano... ma anche le più piccole sono rare.
«Ci sono gemme con tracce d'impurità che producono tre o
quattro colori, e corre voce dell'esistenza di una gemma che ne
contiene cinque. Non mi crederesti se ti dicessi chi la possiede e
cosa è giunto a fare per procurarsela».
Flinx constatò che le particelle colorate all'interno del cristallo
stavano assumendo uno schema ben definito, sotto la direzione del
pensiero di Challis. — Nessuno — proseguì il mercante, — è stato
mai capace di sintetizzare il particolare fluido in cui le particelle co
lorate vanno alla deriva, in sospensione. Quando uno di questi cri
stalli è rotto, è impossibile ripararlo. Ed è anche impossibile trasferi
re tutto o in parte il colloide a un altro involucro. Se la complessa
combinazione cristallo-colloide viene scomposta, il potenziale
piezoelettrico caratteristico di quella particolare gemma viene
irremissibilmente distrutto. Per fortuna il cristallo è duro come il
carborundum, anche se è ben lontano dalla robustezza di sostanze
artificiali come la duralega.
Benché i contorni continuassero a vibrare e ad alterarsi, senza
mai immobilizzarsi del tutto, all'interno del cristallo presero forma le
figure riconoscibili di diverse persone. Una era una donna esagera
tamente giunonica; poi c'era un maschio umanoide, mentre la terza
figura appariva chiaramente aliena. Intorno a queste figure prese
forma il profilo di una stanza che si riempì di numerosi oggetti, i quali
però non mantenevano mai la loro forma per più di qualche secon
do. Sebbene la loro consistenza mutasse di continuo, l'impressione
che comunicavano restava sempre la stessa. Flinx ne vide
abbastanza da sentirsi rivoltare lo stomaco prima che ogni cosa
all'interno del cristallo tornasse a dissolversi in uno scintillio
polverulento.
Alzando gli occhi dal cristallo vide che il mercante si era tolto la
cuffia e si stava asciugando la fronte con un fazzoletto profumato.
Illuminato dalla tenue luce che s'irradiava dal fianco nascosto del
tavolo, il suo volto divenne quello crudele di un demonio.
— Cominciare è facile — mormorò Challis, esausto, — ma poi
è maledettamente difficile proseguire. Quando la tua attenzione si
concentra su una figura, le altre cominciano a disfarsi. E quando il
gioco comporta tutto un insieme di azioni, se sei coinvolto in una è
praticamente impossibile seguirle tutte.
— Ma cosa c'entra tutto questo con me? — l'interruppe Flinx.
Benché la domanda fosse diretta a Challis, la sua attenzione era ri
volta a quelle due figure mezzo percepite che sorvegliavano l'uscita.
Né Nolly né Nanger si erano mossi, ma ciò non significava che
avessero allentato la sorveglianza. E c'erano ben poche probabilità
che quella porta da loro sorvegliata non fosse chiusa a chiave. Flinx
vide anche parecchie aperture sulla parete di vetrolega che andava
dal pavimento al soffitto dominando la città, ma sapeva che
all'esterno c'era una caduta a picco di almeno cinquanta metri fino
alla strada privata che passava di sotto.
— Vedi — cominciò a spiegare Challis, — se da un lato non mi
vergogno di aver ereditato con la Challis un'impresa di famiglia di
enorme successo, dall'altro non mi considero un dilettante in affari.
Ho migliorato l'azienda con l'aggiunta di gente dai molti e diversi
talenti. — Fece un gesto in direzione della porta. — Nolly caro e
Nanger sono due esempi tipici. Spero che tu, caro ragazzo, sarai un
altro.
— Non sono ancora sicuro di capire — replicò Flinx
lentamente, cercando di guadagnare tempo.
— Ora vengo al punto. — Challis congiunse le mani quasi in atto
di preghiera. — Per agire sulle particelle sospese all'interno dei
gioielli di Janus, per modellarne le disposizioni, è necessario un tipo
speciale di mente. Le mie scenografie mentali sono molto
complesse: troppo, per me; e allora, per goderle in pieno, ho
bisogno di un'altra mente che agisca al posto della mia. La tua
mente! Io ti darò tutte le istruzioni su ciò che desidero, e tu
modellerai i miei disegni all'interno del gioiello.
Flinx ripensò a ciò che aveva visto pochi attimi prima in quel
mutevole abbozzo, a ciò che Challis aveva costruito come un dio in
quel piccolo mondo racchiuso dal gioiello. Lui era molto più maturo
dei suoi diciassette anni, e nella sua pur breve vita aveva visto fin
troppe cose. E anche se alcune avrebbero rivoltato lo stomaco
perfino del più incallito mercenario, la maggior parte non erano state
niente più che innocue perversioni. Ma sotto tutta la superficiale
cordialità di Challis e l'apparentemente pacata richiesta di
collaborazione, gorgogliava una profonda palude piena dei più fetidi
e ributtanti prodotti di fogna, e Flinx non aveva la minima intenzione
di fungere da guida al mercante per attraversarla.
L'essere sopravvissuto per l'intera infanzia al mercato di Drallar,
comunque, aveva fatto di Flinx un realista. Perciò non vibrò tutto di
sdegno alla proposta del mercante, e neppure rovesciò su di lui le
parole che gli tumultuavano nella mente: «Mi ripugni e mi nausei,
Conda Challis, e io mi rifiuto di essere coinvolto a qualunque titolo
con te e con le tue ributtanti fantasie». Invece disse: — Non capisco
come tu abbia potuto ritenermi in grado di darti un simile aiuto.
— Oh, non puoi certo negare la tua storia — replicò Challis, con
un cinico sorriso. — Al tuo riguardo ho un fascicolo non
voluminoso ma interessante. Soprattutto vi figurano i tuoi peculiari
talenti e il modo in cui te ne sei servito per aiutare un mio
concorrente, Maxim Malaika. Ma già prima di questo, e anche
dopo, parecchia gente ha avuto modo di constatare le tue
eccezionali capacità mentali esibite in spettacoli da baraccone per
spillare quattro crediti dalle tasche dei passanti. Io posso offrirti
molto di più per l'uso dei tuoi talenti. Questo non puoi certo
negarlo.
— Oh, certo, posso fare qualche trucco e imbrogliare i turisti —
concesse Flinx mentre studiava il sottile braccialetto luccicante che
gli serrava i polsi, cercando di scoprire il dispositivo di sblocco. —
Ma quelli che tu chiami «talenti» sono erratici, indisciplinati e per la
maggior parte del tempo fuori dal mio controllo. Non posso mai
prevedere quando vengano e quando scompaiano.
Challis annuì in un modo che non piacque affatto a Flinx. —
Certo, capisco. Tutti i talenti (artistici, atletici, di qualunque tipo)
richiedono addestramento e disciplina per essere sviluppati in pieno.
Io voglio aiutarti ad acquisire il completo controllo dei tuoi. Per
esempio... — Tirò fuori un oggetto che sembrava un antico orologio
da tasca ma che in realtà non lo era, e premette un minuscolo
pulsante. Istantaneamente tutta l'aria fu risucchiata dai polmoni di
Flinx, il quale s'incurvò in avanti: le sue mani si strinsero a pugno,
mentre il suo corpo fu scosso da brividi, e gli parve che qualcuno gli
stesse segando le ossa dei polsi. Il dolore passò all'improvviso, e lui
poté accasciarsi all'indietro rantolando e tremando. Quando scoprì
di poter aprire di nuovo gli occhi, vide che Challis lo stava fissando
con viva attesa e curiosità. Il suo sguardo era quello di un chimico
che scruta le reazioni di un animale da laboratorio al quale sia stata
appena iniettata una sostanza probabilmente letale.
— Questo... non era necessario — bisbigliò Flinx.
— Forse no — convenne impassibile Challis, — ma sempre
utile. Ho visto i tuoi occhi vagare qua e là mentre parlavi... Davvero
non puoi uscire da qui, sai? Anche se tu riuscissi in un modo o
nell'altro a raggiungere il pozzo centrale che si trova oltre Nolly e
Nanger, ci sono altri in attesa. — Fece una pausa, poi chiese
all'improvviso: — Ciò che desidero ti riesce così ripugnante? Sarai
ricompensato. Ti offro un'esistenza sicura nella mia organizzazione.
In cambio potrai spassartela come vorrai. Sarai convocato soltanto
per aiutarmi a far funzionare il gioiello.
— Ciò che mi turba è l'aspetto etico di tutta questa faccenda,
non il salario — insisté Flinx.
— Oh, l'etica. — Challis non dissimulò l'espressione divertita. —
Certo, puoi pensarci sopra. Ma l'alternativa è assai meno
affascinante. — Batté con intenzione due dita sopra lo pseudo-
orologio.
Mentre fingeva di discutere in silenzio con la coscienza, Flinx
pensava intensamente. I polsi gli facevano ancora male, e la
pulsazione dell'iniezione gli era risalita fino alla spalla. Avrebbe
potuto sopportare quell'atroce sofferenza altre volte, ma non certo
se gli fosse stata inflitta in continuazione. E qualunque altro
trattamento più intenso l'avrebbe certamente messo fuori
combattimento per un bel pezzo. Constatò, allarmato, di avere una
notevole difficoltà a mettere a fuoco gli occhi.
Eppure... non poteva acconciarsi a fare quello che Challis esige-
va da lui. Quelle immagini! Lo stomaco gli si rivoltò mentre ricorda
va. Partecipare a simili oscenità... No! Stava pensando affannosa
mente a ciò che avrebbe dovuto dire, qualunque cosa pur
d'impedire che quel dolore lo travolgesse di nuovo... quando
qualcosa di asciutto e di liscio gli premette contro la guancia. Fu
seguito dalla piumosa carezza di qualcosa d'invisibile ma famigliare
dietro il collo.
Evidentemente Challis non aveva visto nulla, in quella fitta
penombra, poiché quando tornò a parlare la sua voce non aveva
cambiato tono. Le sue dita continuarono a giocherellare pigramente
sulla superficie dell'ovoide. — Su, caro ragazzo, c'è davvero
bisogno di tirarla ancora in lungo per molto? Sono sicuro che ne
ricavi ancora meno piacere di me. — Un dito smise di ticchettare e
fece per premere un pulsante.
— EHI!
L'urlo era giunto dalle vicinanze della porta, e fu seguito da una
serie d'imprecazioni soffocate e da movimenti appena visibili nel
buio. Le due guardie del corpo di Challis danzavano follemente
all'intorno, agitando le braccia e cercando di colpire qualcosa
d'invisibile.
La voce di Challis suonò rabbiosa e cattiva per la prima volta.
— Cosa vi succede, idioti?
Nanger rispose nervosamente: — C'è qualcosa, qui con noi.
— Vi ha dato di volta quel vostro striminzito cervello. Siamo a
otto piani dalla superficie stradale, e perfettamente schermati da
qualunque intrusione meccanica. Niente potrebbe mai...
Nanger interruppe le parole rassicuranti del mercante con un urlo
spaventoso. Flinx se l'era mezzo aspettato, ma anche così l'improv
visa esplosione gli fece correre un brivido lungo la spina dorsale.
Ciò che stava accadendo a Nolly (o a Challis, che all'improvviso si
era arrampicato sullo schienale della poltrona e si stava frugando
all'interno della cintura) poteva soltanto essere immaginato. Flinx udì
uno schianto, seguito dall'urto violento di un corpo pesante e privo
di controllo. Era Nanger. Il mezza-faccia aveva le mani strette
sull'occhio superstite e barcollava come impazzito in tutte le
direzioni.
— Il gioiello... sorvegliate il gioiello! — ululò Challis, in preda al
panico. Muovendosi a quattro zampe con sorprendente rapidità,
raggiunse di nuovo il tavolo e schiacciò un interruttore. Subito la
luce si spense. Alla debole radiosità che giungeva dall'esterno
attraverso la parete-finestra, Flinx riuscì a distinguere il mercante
che staccava la parte superiore dell'apparato, il globo che
conteneva il cristallo, stringendolo poi tra le braccia lardose.
All'improvviso altre luci lampeggiarono nella stanza, verdi
vampate intermittenti sparate da una pistola-ago. Nolly aveva
estratto la pistola e si stava difendendo disperatamente da un
avversario che continuava a lanciarsi in picchiata su di lui.
Poi un ronzio si levò dall'interno del tavolo. Challis si affrettò a
voltarsi, afferrò un ricevitore e ascoltò. Anche Flinx tese l'orecchio,
ma non riuscì a udire nulla. Ciò che veniva detto attraverso il ricevi
tore provocò alcune inferocite risposte da parte del mercante, il cui
fare cortese e mielato si era cancellato in un attimo. Challis latrò
qualcosa d'incomprensibile; poi lasciò andare il ricevitore, che rien
trò nel tavolo con un colpo secco. Lo sguardo che rivolse a Flinx,
pur nella penombra, rivelò chiaramente un misto di collera e di cu
riosità. — Ti dico addio, mio caro ragazzo. Spero che avremo l'op
portunità d'incontrarci di nuovo. Ti avevo giudicato niente più che
un mendicante dotato di talenti troppo grandi per la tua testa. Po
tresti aspirare a essere qualcosa di più. Mi dispiace che tu abbia ri
fiutato di collaborare. La tua ascendenza materna accennava alla
possibilità che l'avresti fatto. — Challis sogghignò. — Io non ripeto
mai un errore. Sei avvertito. — Sempre a quattro zampe raggiunse
la porta interna. Quando questa si aprì, Flinx intravide una piccola
figura dorata in piedi oltre la soglia.
— Stai origliando di nuovo, mocciosa? — grugnì Challis, rialzan-
dosi. Diede uno schiaffo alla bambina e l'agguantò per un braccio.
Lei distolse lo sguardo e scoppiò a piangere, mentre la porta
tornava a chiudersi.
Mentre Flinx riportava l'attenzione all'altra porta, la sua mente
veniva già afferrata in un vortice a causa dell'ultimo commento fatto
distrattamente dal mercante. Ma prima di poter analizzare le impli
cazioni contenute in quell'osservazione, Flinx fu investito da un'ura
gano di folle energia mentale che quasi lo fece crollare a terra dal
divano. Era potente oltre ogni immaginazione, tremenda e irresistibi
le più di ogni altra cosa che lui avesse mai udito rovesciarsi fuori da
una mente umana. C'erano immagini urlanti di Conda Challis che
lentamente andavano in pezzi come bambole disarticolate,
frammiste a caso con altre immagini fra cui non poche di lui stesso,
Flinx.
Sussultò sotto quel gemito ciclonico. Alcune di quelle immagini
fugaci erano assai peggiori di qualunque altra cosa che Challis
avesse tentato di creare all'interno del gioiello. La mente del
mercante poteva anche essere totalmente depravata, ma il cervello
dietro quella tempesta mentale non si fermava certo a niente di così
insignificante.
Un'ultima volta, un attimo prima che la porta interna si chiudesse
del tutto, Flinx colse gli occhi neri incastonati in quel volto d'angelo.
In quel piccolo corpo ancora non formato, lo sapeva, abitava una
bambina tormentata. Ma neppure questa rivelazione accese in lui la
stessa incontrollata eccitazione che l'aveva afferrato alla casuale
affermazione di Challis. «La tua ascendenza materna», aveva detto il
mercante.
Flinx conosceva dell'intero universo ben più di quanto sapesse
dei suoi veri genitori. Se Challis conosceva anche soltanto una vaga
voce sulla sua ascendenza, avrebbe visto soddisfatto al più presto il
desiderio di un altro incontro.

CAPITOLO SECONDO

La porta che dava sul pozzo centrale della torre si aprì mentre la
superstite guardia del corpo cercava di fuggire. Invece di un
ascensore vuoto si trovò ad affrontare una figura di proporzioni
ciclopiche, che la sollevò urlante dal pavimento e le strappò di mano
la pistola ad ago, Il nuovo arrivato rese prontamente innocua l'arma
schiacciandola entro un pugno che aveva la forza di una pressa
meccanica. Il dito di Nolly, ancora ripiegato intorno all'arma, fu
strappato via dalla mano e finì impastato col metallo, mentre Nolly,
cacciato un urlo, sprofondò nell'incoscienza.
Piccolo Symm si chinò, scaraventando sul pavimento il corpo
esanime. Nel medesimo istante una lunga forma sottile si adagiò
mollemente sulle spalle di Flinx, salutandolo con un umido schiocco
dietro l'orecchio. Flinx, portato indietro il braccio in un gesto fin
troppo consueto, grattò il minidrago sotto la mandibola e sentì la
lunga forma muscolosa che si rilassava. — Grazie, Pip.
Si alzò infine dalla sedia, girò intorno al tavolo-forziere e ma
novrò i comandi sull'altro lato. Non gli occorse molto per illuminare
vivamente la stanza. Là dove Nanger aveva vacillato, crollando poi
al suolo, la costosa mobilia giaceva contorta e fracassata. Il corpo
di Nanger, che già cominciava a irrigidirsi per il veleno, giaceva
accartocciato su una sedia rovesciata. Il corpo del suo compagno,
altrettanto immobile, era disteso di fianco accanto alla porta. Dalla
mano maciullata colava il sangue.
— Mi stavo appunto chiedendo — disse Flinx a Symm, —
quando saresti arrivato.
— È stato difficile — si scusò il barista. La sua voce uscì
rimbombando dal pozzo senza fondo del suo petto. — La tua
bestiolina era impaziente. Continuava a guizzar via e a ricomparire
quando restavo indietro. Come faceva a sapere dov'eri?
Flinx girò il capo e lanciò un'occhiata affettuosa alla testa di Pip,
adesso sonnolenta. — Ha annusato la mia paura. Vita-d'Acqua sa
che io la trasmettevo fin troppo forte. — Porse a Piccolo Symm i
polsi ammanettati: — Puoi far qualcosa con queste? Devo dare la
caccia a Challis.
Piccolo Symm diede un'occhiata alle manette, con
un'espressione di lieve sorpresa disegnata sul volto. — Non avevo
mai creduto che la vendetta facesse parte del tuo temperamento.
Strinse fra il pollice e l'indice della mano destra una delle fasce
metalliche che imprigionavano Flinx, scrutandola con attenzione.
Strinse le dita per un attimo: si udì un pop e il metallo ricadde,
stracciato come carta. Una seconda operazione altrettanto rapida li-
berò anche l'altro polso di Flinx.
Scrutandosi il polso destro mentre se lo sfregava con la sinistra,
Flinx non riuscì a trovare nessun segno — non la più piccola traccia
— dell'intenso dolore che gli era stato inflitto.
Quindi pensò al modo in cui avrebbe potuto ribattere all'amico.
Come avrebbe potuto chiarire a quell'omaccione benevolo l'impor
tanza che aveva per lui quell'osservazione casuale? — Credo che
Challis sappia qualcosa dei miei genitori. Non posso certo lasciar
perdere un simile fatto.
L'insolita amarezza nella risposta di Symm lo sorprese. — Ma
cosa sono, per te? Cos'hanno fatto, per te? Hanno lasciato che tu
fossi trattato come un oggetto, qualcosa che si poteva vendere e
comperare. Se non fosse intervenuta mamma Mastino, ora saresti
uno schiavo di qualcuno... qualcuno, magari, dello stampo di
Challis. Ai tuoi veri genitori non devi nulla, e men che meno la
soddisfazione di fargli sapere che sei sopravvissuto!
— Io non conosco le circostanze del mio abbandono — ribatté
Flinx. — Devo scoprirle. Devo.
Il gigantesco proprietario del bar, anche lui orfano, scrollò
ostentatamente le spalle. — Flinx, sei un idealista fuori dal mondo.
— E tu lo sei anche più di me — replicò il ragazzo. — Ed è per
questo che mi aiuterai.
Symm borbottò qualcosa d'inintelligibile, che avrebbe potuto es
sere un'imprecazione o anche no. — Da dove è fuggito?
Flinx gli indicò la porta interna. Symm si avvicinò e si limitò ad
appoggiarsi col corpo al pannello metallico. I cardini si schiantarono
con ammirevole prontezza. Oltre la porta trovarono un breve corri
doio che conduceva a un piccolo ascensore privato. La cabina li
portò rapidamente alla base di quella torre fastosa.
— Ma dimmi, come hai fatto a entrare? — chiese Flinx rivolto
all'amico.
Symm fece una smorfia. — Ho detto alle guardie che avevo un
appuntamento con relativo lasciapassare: è il procedimento
consueto in una torre come questa.
— Ma nessuno ti ha chiesto di vederlo?
Symm lo fissò. — Tu lo faresti? Soltanto una delle guardie ha
osato tanto, e credo che si rimetterà in sesto solo se la cureranno a
lungo e come si deve. Attento, adesso! — esclamò appena
l'ascensore giunse a fermarsi. Rannicchiatosi su un lato della cabina,
balzò fuori appena lo sportello si aprì a sufficienza per consentirgli di
passare. Ma non c'era nessuna imboscata ad attenderli. Si
trovarono in un garage di veicoli di superficie che mostrava ampi
segni di essere stato evacuato di recente.
— Ora — disse Flinx al gigante, senza scomporsi, — tu tieni
aperti i tuoi enormi orecchi, e vedi di scoprire dov'è scappato
Challis. Io lavorerò alle mie fonti...
Quando uscirono dalla porta spalancata del garage, nessuno in
timò loro di fermarsi, anche se dispositivi nascosti li stavano osser
vando. Ma chi si trovava all'altra estremità di quei dispositivi fu lieto
di constatare che se ne andavano.
— Sei sicuro che non siano ancora qui? — chiese Symm. —
Qualcuno potrebbe aver preso l'auto per creare una falsa pista.
Flinx rispose con quella sua irritante sicurezza, che Symm non
pretendeva di capire ma aveva finito con l'accettare: — No, qui in
torno non ci sono più.
I due si separarono appena superata l'ultima recinzione che cir
condava il quartiere privilegiato. Non ci furono formalità, niente
strette di mano: fra loro due non era richiesto niente del genere.
— Se vieni a sapere qualcosa, mettiti in contatto con me al
negozio di mamma Mastino — disse Flinx al gigante. — Qualunque
cosa accada, ti farò conoscere i miei piani.
Mentre riattraversava i cerchi concentrici del mercato, Flinx si
strinse bene addosso il mantello. Stavano cadendo le ultime gocce
della pioggia del mattino, in lontananza, un sole sempre fiducioso
accennava a voler sbucare dalle basse nuvole grevi d'acqua.
Intorno a Flinx l'attività turbinava frenetica. In quell'autentico
fulcro dei commerci dell'intero Commonwealth gli affari si facevano
giorno e notte senza interruzione.
Flinx conosceva di vista un gran numero degli abitanti di quel
mondo dentro il mondo. Alcuni erano ricchi e grandi, altri poveri ma
altrettanto grandi. Certi erano non-umani, e vi erano rappresentate
tutte le gradazioni di non-umanità, anche se tutti rivendicavano una
specie d'inespressa fratellanza universale.
Passando accanto al banco del venditore di dolciumi, Kiki, Flinx
mantenne lo sguardo risolutamente rivolto davanti a sé. Era troppo
presto, e il suo stomaco era troppo vuoto per i dolciumi. Inoltre i
suoi visceri si contraevano ancora per i postumi del gioiello
apparentemente innocuo esibitogli da Challis. Perciò, giunto davanti
al banco del presidente Nils, si limitò ad acquistare una pagnottella
di pane integrale spalmata di burro di noci.
Nils era un venditore di alimentari sulla quarantina, dai modi
autoritari. Tutti lo chiamavano «presidente»: infatti governava il suo
angolo di mercato con modi dittatoriali, non sospettando che i suoi
colleghi merciai e ambulanti assecondavano quella sua lieve mania
solo perché la trovavano divertente. Tuttavia le sue merci cotte al
forno non riservavano mai brutte sorprese ai clienti. Flinx addentò
avidamente la pagnottella triangolare, godendosi il crocchiare delle
noci frammiste al burro scuro.
Un'occhiata al cielo gli diede un nuovo briciolo di speranza che il
sole si decidesse davvero a spuntare: comunque sarebbe stato un
evento raro a Drallar, mondo nuvoloso come nessun altro.
Terminato rapidamente lo spuntino, Flinx si addentrò in un set
tore del mercato in cui negozi eleganti ostentavano ricche vetrine:
tutto, lì, era ben diverso dalle baracche e dai magazzini improvvisati
fra i quali era cresciuto. Quando aveva proposto di trasferire il ve
tusto chiosco dalle rumorose profondità del mercato, mamma
Mastino aveva reagito protestando vivacemente. — Non saprei
come comportarmi — aveva obbiettato. — Cosa ne so, io, sul
modo in cui si deve trattare con i clienti ricchi ed eccentrici?
— Credimi, mamma — (lui la chiamava così anche se entrambi
sapevano che non era la sua vera madre, e del resto lei si
comportava come una madre affettuosa verso una buona metà dei
senza tetto di Drallar) — sono tali e quali i tuoi vecchi e affezionati
clienti... soltanto che questi idioti verranno da te con rotoli di
banconote molto più pingui. E poi, cos'altro potrei fare di tutti quei
soldi che Malaika ha voluto darmi per forza?
Ma alla fine era stato costretto a comperare il negozio di nasco
sto e a offrirglielo, mettendola davanti al fatto compiuto. Lei gli
aveva inveito contro per ore, dopo che lui le aveva fatto la rivelazio-
ne; alla fine si era lasciata convincere a venirlo a vedere con i propri
occhi. Anche se aveva continuato a proferire i più spaventosi
improperi a ogni nuovo oggetto che lui le esibiva (l'alta classe delle
merci esposte, il lussuoso alloggio al piano di sopra, la sfavillante
cucina automatizzata) la sua resistenza era crollata in un batter
d'occhio.
Ma c'erano due cose che lei si rifiutava ancora cocciutamente di
fare. Una era decidersi finalmente a gettar via il suo abbigliamento
confezionato in casa: una congerie stupefacente di perline, campa
nellini e toppe dei più svariati tessuti e colori. L'altra era servirsi del
piccolo e comodo ascensore che metteva in diretta comunicazione il
negozio al pianterreno con l'alloggio al primo piano. — Il giorno in
cui non sarò più capace di farmi una rampa di scale — protestava,
— potrai farmi imbalsamare e mettermi in vetrina come una
curiosità in vendita. — E per mostrare quant'era decisa, fin dal
primo giorno aveva cominciato a salire e a scendere i gradini a
quattro per volta.
Nessuno sapeva quanti anni avesse mamma Mastino, e lei si
guardava bene dal rivelarlo. E neppure era disposta a sottoporsi
all'estesa chirurgia estetica che adesso Flinx avrebbe potuto offrirle,
o a usare qualcuno dei congegni che avrebbero potuto ringiovanire
artificialmente il suo aspetto generale. — Ho passato troppo tempo
ad allenarmi per questo ruolo di vecchia befana, e non ho intenzione
di rinuciarci proprio adesso — gli aveva dichiarato una volta per
tutte. — Inoltre, più disgraziata e decrepita sembrerò, più cortesi e
compassionevoli si mostreranno quegli schiocchi... ma sì, i clienti.
E, fatto per nulla sorprendente, il negozio prosperava. Soprattut
to perché molti dei migliori artigiani di Drallar avevano le stesse umili
origini di mamma Mastino, e riservavano a lei le creazioni più belle.
Mentre Flinx svoltava l'angolo, vide che lei lo stava aspettando
all'ingresso posteriore. — Di nuovo fuori per tutta la notte! Immagi
no che tu sia stato in qualche posto salubre come il Palazzo Rosa o
Peccatoville. Vuoi proprio farti tagliare la gola prima ancora di aver
compiuto diciott'anni? — Prese subito a rampognarlo, agitandogli
sotto il naso un dito ammonitore.
— Sarà un po' difficile, mamma. — La superò, e lei (senza
lasciarsi per niente rabbonire) lo seguì nel magazzino sul retro del
negozio.
— Quel tuo grondone volante non ti salverà tutte le volte, sai?
Non certo in una città come questa, dove tutti sono pronti a
stringerti la mano mentre nel medesimo istante ti pugnalano alla
schiena. Continua pure a passeggiare così nel cuore della notte, ra
gazzo mio, e una mattina ti porteranno qui pallido e svuotato di ogni
goccia di sangue. Ma ti avverto — proseguì lei, alzando la voce, —
il tuo sarà un funerale molto alla buona, poiché io non intendo
rompermi la schiena lavorando per pagare un corteo lussuoso a uno
sciocco!
Si udì un acuto ronzio, che però non interruppe la sua concione:
— Perciò ti dico per l'ultima volta, ragazzo mio...
— Mamma, non hai sentito la porta? — Flinx sorrise. — È
arrivato il primo cliente della mattina.
Mamma Mastino scrutò attraverso la cortina di perline: — Uff!
— sbuffò. Ma subito cambiò tono: — Dovresti vedere la tanzanite
all'anello della donna... — Esitò, combattuta dalla necessità di
soddisfare allo stesso tempo l'affetto per il figlio e l'avidità. — Ma
cosa vuoi che siano un paio di clienti, quando... — Nuova
esitazione. — Dodici carati almeno, quella tanzanite. E i loro vestiti
indicano che forse sono terrestri... — Sollevò infine le braccia, in
preda alla confusione e al disgusto. — Tu sei la mia punizione
vivente, il castigo per tutti i peccati della mia giovinezza. Sparisci
dalla mia vista, ragazzo! Va' di sopra, datti una lavata, spruzzati di
disinfettante da capo a piedi... puzzi tremendamente di fogna.
Asciugati bene, e sta' attento! Non sei ancora troppo vecchio o
troppo grosso perché io non possa farti diventare paonazzo il
sederino a furia di sculaccioni. — Scivolò attraverso la fitta tendina
di perline, ed ebbe luogo una trasformazione quasi miracolosa:
— Ah, signore... signora — tubò, con voce mielata e lusinghiera,
la sua tipica voce da vecchia nonna con cui sapeva incantare tutti:
— Voi onorate con la vostra presenza il mio modesto negozio. Mi
sarei subito precipitata da voi, ma stavo accudendo al mio
sventurato nipote che è gravemente malato e ha bisogno di molte
cure costose. Il dottore teme che perda la vista a meno che
l'operazione venga eseguita il più presto possibile, e...
Il suo fluido discorso da consumata imbonitrice s'interruppe
quando la porta dell'ascensore si chiuse alle spalle di Flinx. Al con
trario di mamma Mastino, lui non rifuggiva dal servirsi delle como
dità moderne: certo non vi avrebbe rinunciato adesso, stanco
com'era dopo le fin troppo intense esperienze della notte
precedente. Quando infine mise piede nell'alloggio al piano
superiore, si chiese come fosse possibile che una voce emessa da
una gola raggrinzita dalla vecchiaia potesse assumere toni così
diversi, dalla minaccia più truce all'invito più suadente e insincero.
Più tardi, durante il pasto serale (che lui stesso aveva preparato,
visto che mamma Mastino era stata occupata coi clienti per tutta la
giornata), cominciò a spiegarle ciò che gli era successo. Una volta
tanto lei non gli tenne concioni né lo sgridò, ma si limitò ad ascol
tarlo con sufficiente condiscendenza finché lui ebbe finito.
— Così, ora gli darai la caccia — fu il suo commento finale.
— Devo farlo, mamma.
— E perché?
Lui distolse lo sguardo. — Preferirei non dirlo.
— E va bene. — Mamma Mastino spazzò via dal piatto con un
pezzo di pane l'ultima traccia di sugo. — Ho sentito parlare molto,
di quel Challis: i più svariati commenti sui suoi gusti, e nessuno
buono. Sui suoi affari si sa molto meno, anche se corre voce con
insistenza che la ditta Challis abbia conosciuto un impulso decisivo
quando lui ne è diventato il capo. — Concluse la concione con un
fragoroso grugnito e si pulì la bocca con un lembo della sua gonna a
più strati.
— Sei proprio sicuro di doverlo fare, ragazzo? Finora sei stato
fuori pianeta una volta sola, sai?
— Credo di potermela cavare, mamma.
— Ma sì, ne sono convinta — replicò lei, ma senza riuscire a
dissimulare una sfumatura di scherno nella sua voce. — Anche se,
stando a tutte le probabilità logiche, tu avresti dovuto morire non
meno di una decina di volte prima del tuo quindicesimo
compleanno; e non credo che quel diavoletto che ti sogghigna lì
sulle spalle possa garantirti la salvezza in ogni occasione.
Allungò un'occhiata velenosa alla riproduzione di un albero in oro
e smeraldi. Pip era comodamente arrotolato intorno a uno dei rami,
e neppure alzò la testa: il rapporto fra lui e mamma Mastino era
sempre stato quello di una tregua in armi.
— Prima che tu scappi via, lasciami fare una telefonata — ter
minò lei.
Mentre era intento a staccare laboriosamente frammenti di gelati-
na nera dagli interstizi fra i molari, Flinx tese l'orecchio al borbottio
di mamma Mastino seduta accanto a un piccolo comunicatore all'e
stremità opposta della stanza. Quel radiotelefono le dava una mobi
lità che in tanti anni non aveva mai conosciuto: era una delle poche
innovazioni tecnologiche, lì nel negozio, di cui lei avesse accettato
subito di servirsi. In pochi giorni il radiotelefono l'aveva trasformata
nel terrore di qualunque funzionario cittadino in qualche modo re
sponsabile del corretto funzionamento di quella bolgia che era il
mercato.
Mamma Mastino fu ben presto di ritorno al tavolo. — Il tuo ami-
co Challis è partito stamattina a bordo dell'astronave di crociera
Auriga in compagnia di sua figlia e di una folla di servi. —
Sogghignò. — Da quanto mi hanno riferito, se n'è andato davvero
in fretta. Tu e quel grosso tonto di Symm dovete averlo spaventato
davvero a morte; ma d'altra parte quel gigante, da solo, è sufficiente
a far crepare uno specchio, se gli si avvicina.
Fissò Flinx con sguardo interrogativo. Lui non le ricambiò lo
sguardo e cominciò invece a giocherellare con l'orlo della tovaglia.
— Qual è la destinazione dell'Auriga?
— Hivehom — fu la risposta. — La Challis ha un bel po'
d'investimenti sul tavoliere Mediterranea. Immagino che lui si
precipiterà là appena l'astronave sarà atterrata.
— Sarà meglio che mi prepari. — Flinx si alzò e fece per
avviarsi verso la propria stanza.
Una mano raggrinzita ma robusta lo agguantò a un polso, e un
volto simile a una valle scoscesa scrutò minuziosamente il suo. —
Non farlo, ragazzo — lo pregò lei in un sussurro.
Lui scosse la testa. — Non ho scelta, mamma. Non saprei dirti
cos'è, ma mi chiama... Un richiamo irresistibile. Devo andare.
La stretta al suo polso si allentò. — Non so che razza di affari tu
abbia con quell'uomo infame, ma non posso credere che sia una
faccenda così seria. — Flinx non replicò, e quando il silenzio si pro
lungò oltre ogni limite lei finì col lasciarlo libero. — Se pensi di do
ver andare, allora va'. — Distolse lo sguardo. — Non so come
funzioni la tua testa, ragazzo. Non l'ho mai capito, sai? Ma so che
quando ti ficchi qualcosa dentro il cervello, poi solo tu sei capace di
spremerlo fuori. Vai, allora, e abbiti la mia benedizione. Anche se
— concluse, sibilando fra i denti, — non vuoi dirmi il motivo.
Flinx si chinò e baciò la crocchia grigia arrotolata dietro la testa
della vecchia. — Sii benedetta anche tu, mamma — le disse,
mentre lei si contorceva ostentando una viva ripugnanza per quel
gesto affettuoso.
Non occorse molto a Flinx per impacchettare i pochi averi che
voleva portare con sé. All'improvviso gli parve che per lui
contassero così poco... Quando si avviò per uscire, vide la vecchia
ancora seduta al tavolo, immobile: una figura all'improvviso
minuscola e fragile. Come avrebbe potuto farle capire che lui
doveva rischiare la vita — quella vita che lei aveva salvato e
protetto — in una ricerca quasi certamente inutile di due persone
che non avevano fatto niente per lui se non metterlo al mondo...?

Quando arrivò all'astroporto di Drallar, quello stesso giorno, si


accorse di essere stanco soltanto fisicamente. La sua mente era
acuta e sveglia più che mai. Del resto, col passare degli anni aveva
scoperto di aver sempre meno bisogno di sonno. C'erano giorni in
cui riusciva a farcela senza fatica dopo aver dormito sì e no
mezz'ora. Quando non era sotto sforzo, qualunque momento era
buono per riposare la mente. E i momenti liberi non gli mancavano
di certo.
Per lui, viaggiare non presentava più difficoltà, perché c'era
ancora una cospicua somma registrata sulla sua carta di credito.
Malaika era stato generoso. Ma c'erano altre fonti di angustia, non
strettamente finanziarie. Così, un'occhiata alla gente che aspettava di
salire in prima classe nella navetta bastò a provocargli un vivo
disagio, perciò si affrettò ad acquistare un biglietto di classe
turistica.
Certo, pensò, in questo modo il suo viaggio sarebbe stato più
istruttivo: era il suo primo viaggio su un'astronave di linea, e la se
conda volta che lasciava Falena. Mentre seguiva lentamente la fila di
gente che saliva a bordo della navetta, sotto lo sguardo di benevola
degnazione dello steward, all'improvviso si rese conto, sbigottito,
che stava realizzando il più affascinante sogno della sua infanzia —
viaggiare fuori pianeta su una delle grandi navi di crociera equipag
giate col motore KK — senza provare la più piccola emozione.
Questo lo preoccupò, mentre si stava allacciando la cintura.
Mamma Mastino avrebbe potuto spiegarglielo, se si fosse
trovata lì. Ciò si chiamava diventare adulti.
Il viaggio in navetta fu sopportabile, ma non certo comodo e pia
cevole quanto il balzo compiuto col lussuoso traghetto dello yacht di
Malaika, il Buco Radioso. La navetta in cui ora Flinx si trovava era
concepita per trasportare più passeggeri e carico possibile dalla
superficie del pianeta all'orbita, e con la minor spesa possibile; giunti
in orbita, passeggeri e carico venivano trasbordati dentro il grande
scafo globulare della nave interstellare, e spesso con uguale
mancanza di delicatezza.
Una volta scaricato all'interno della grande nave, Flinx si vide as
segnata una minuscola e compatta cabina; due minuti gli bastarono
per ispezionarla e per disfare il suo scarso bagaglio. Durante quella
settimana di viaggio intendeva trascorrere la maggior parte del tem
po nelle sale di ritrovo della nave, discorrendo col maggior numero
possibile di compagni di viaggio e imparando una grande quantità di
cose nuove.
Il passaggio dalla velocità subfotonica alla propulsione KK che
consentiva di valicare l'antica barriera einsteiniana non fu una sor
presa per lui, poiché l'aveva già sperimentato parecchie volte a bor
do dello scafo di Malaika.
Di quella nave transpaziale gli piacque soprattutto una sala-
osservatorio situata sul lato anteriore: da lì poteva guardare in avanti
e contemplare le immense aste che si proiettavano come ampie
autostrade, avvicinandosi fra loro per effetto della prospettiva fino a
unirsi al lato posteriore del colossale disco ricurvo del proiettore del
campo KK. Il grande disco cancellava le stelle davanti a loro.
Sul lato frontale del disco, come lui sapeva, l'unità propulsiva
proiettava il pozzo di gravità di un piccolo sole, che risucchiava po
tentemente in avanti la nave e il propulsore stesso e quindi anche il
campo KK e il relativo pozzo di gravità... e così via. Flinx non si
stancava di meravigliarsi per la linearità del funzionamento di un
congegno così possente, e si convinse che tutte le grandi invenzioni
sono essenzialmente semplici.
Il terzo giorno stava passando piacevolmente il tempo nella sala
dei giochi quando un thranx splendidamente dipinto di marrone,
giallo e verde, i colori dei commercianti, si sedette sul divano di
fronte al suo. Era un maschio piuttosto piccolo, alto meno di un
metro al secondo torace. Entrambe le serie di gusci per le ali gli
luccicavano ancora sulla schiena, indicando che non si era ancora
accoppiato. I brillanti occhi sfaccettati fissarono Flinx attraverso le
lenti multiple simili a gemme. Il gradevole odore naturale della sua
razza aleggiò attraverso il tavolo da gioco.
La creatura guardò giù, verso il tavoliere luccicante, poi la sua
testa a forma di cuore tornò ad alzarsi incuriosita verso il giovane
umano che lo stava manovrando.
— Giochi a caccia all'hibush? La maggior parte degli umani la
trova troppo complicata. Voi di solito preferite giochi
bidimensionali. — La simbolingua del thranx era precisa e piatta
come un libro di testo: la varietà che un qualsiasi thranx affarista
avrebbe parlato.
— Ne ho ascoltato qualche descrizione e ho assistito ad alcune
partite — replicò modestamente Flinx, — ma non posso certo dire
di sapere come si giochi.
Le mandibole dell'insetto ticchettarono comprensive (il suo rigido
volto di chitina non permetteva niente di così elastico come un sor
riso). Il thranx fece anche un rapido cenno col capo; poi, visto che
ormai il ghiaccio era rotto, si sistemò più comodamente sul divano,
le veregambe ripiegate sotto le mani-piede dell'addome, le quali si
strinsero a sostenere il primo e il secondo torace. Le veremani si
protesero con delicatezza e precisione sopra il tavoliere, regolando
il piano del gioco. — Mi chiamo Bisondenbit — dichiarò.
— E io Flinx.
— Flinx... e nient'altro? — Il thranx scrollò leggermente le sue
spalle da insetto. — Bene, Flinx: se vuoi imparare, io conosco le re-
gole del gioco; ma non sono un gran giocatore, perciò sono l'ideale
come primo avversario per te. — Di nuovo il ticchettio delle mandi
bole, accompagnato questa volta da un fischio: la risata dei thranx.
Flinx rispose con un sorriso: — Mi piacerebbe molto, imparare.
— Bene, bene... Questa vorrebbe essere una sequenza
d'apertura mefiana, vero? Ti ho osservato mentre eseguivi gli
spostamenti, lisciandomi le antenne finché i miei nervi non hanno più
resistito. — Il thranx scosse vistosamente la testa. — Il tuo errore
più grave — riprese subito, in tono dottorale, — è che ti ostini a
dimenticare che i pezzi possono muoversi sia sopra la superficie che
verso il basso, oltre che lungo le gallerie esistenti. E inoltre devi
tenere le antenne costantemente puntate sul tavoliere, cercando
d'intuire in anticipo le mosse dell'avversario. — Indicò poi una
figura d'argento all'interno del tavolo da gioco trasparente. — Ora,
ascoltami bene. Questo è un combattente Doan e può muoversi
soltanto lateralmente e verticalmente, ma non può mai salire fino in
superficie. Quest'altro pezzo scomponibile qui...
Flinx imparò a conoscere abbastanza bene Bisondenbit durante il
resto del viaggio. Il thranx amava avvolgere i suoi affari veri e propri
in una specie di velo fumoso di circonlocuzioni, ma Flinx ne trasse
l'impressione che commerciasse in antichità. Forse, pensò,
Bisondenbit avrebbe potuto procurare qualche pregevole oggetto
per il negozio di mamma Mastino.
Il giovane thranx esibiva in pieno la caratteristica che più aveva
contribuito a rendere amici degli uomini quelli della sua razza: la
capacità di ascoltare con la massima attenzione, indipendentemente
da quanto fosse noiosa la storia che veniva raccontata. Comunque
sembrò che trovasse affascinante l'intera storia della vita di Flinx —
per quanto censurata in parecchi punti — dal giorno della nascita
fino a quel viaggio.
— Senti — disse a Flinx mentre stavano mangiando insieme in
una delle ampie sale da pranzo della nave, — tu non sei mai stato
prima d'ora su Hivehom ma sei deciso a trovare quell'umano come
si chiama... Challis? Posso almeno aiutarti a orientarti. Senza dubbio
lo troverai da qualche parte sul tavoliere Mediterranea. È lì che si
trova la maggior parte degli insediamenti umani. — Rabbrividì. —
Anche se non riuscirò mai a capire perché qualcuno voglia metter su
casa in una tundra gelata come quella.
Flinx ebbe un sorriso. La temperatura media del Mediterranea,
un altopiano piatto a parecchie migliaia di metri sopra le brumose
paludi di Hivehom, si aggirava confortevolmente sui ventidue gradi.
I thranx prediligevano invece le temperature dai trentacinque ai qua
ranta, con un'umidità il più possibile vicina al cento per cento.
La parola «colonizzazione» non veniva mai menzionata in
relazione a questi insediamenti, su nessuno dei due mondi. Su
Hivehom c'erano parecchie regioni abitate dagli umani, delle quali il
tavoliere Mediterranea — con una popolazione sui tre milioni —
era di gran lunga la più grande. I thranx erano favorevoli allo
sfruttamento di quelle regioni inospitali, che loro avevano sempre
evitato. E per contro c'erano quattro milioni di thranx che vivevano
nel solo bacino del Rio delle Amazzoni, sulla Terra, il che in un
certo senso pareggiava i conti.
Bisondenbit spiegò a Flinx che la maggior parte delle aziende di
proprietà dei terrestri stabilivano la sede sull'orlo meridionale del
Mediterranea, nelle vicinanze del grosso porto per navette di
Chitteranx. Senza dubbio anche quel Challis doveva avere lì la sua
rappresentanza.
— La città umana che sorge in quel punto viene chiamata, in lin
gua thranx, Azerick — fischiò sommessamente Bisondenbit. — È
alto thranx, e significa «desolazione gelata»: un'espressione che in
questo caso ha un doppio significato che non approfondirò,
limitandomi a dire che è un bene, da parte di voi umani, possedere
un senso dell'umorismo non del tutto dissimile dal nostro. Quando
saremo atterrati sarò lieto di accompagnarti là io stesso, anche se
non mi fermerò a lungo. Non sono equipaggiato per i viaggi nelle
terre artiche. E inoltre la vita ad Azerick è parecchio costosa. —
Esitò, poi aggiunse, nel tono più cortese: — Tu mi sembri molto
giovane, per un umano che viaggia da solo. Hai fondi sufficienti?
— Posso cavarmela — ammise cautamente Flinx. La sua innata
malfidenza era più che mai presente, anche se doveva ammettere
che durante quegli ultimi giorni Bisondenbit si era dimostrato un
vero amico, aiutandolo in tutti i modi.
Salirono insieme a bordo della navetta. Flinx si sedette accanto a
un oblò di vetrolega, dal quale avrebbe avuto un'ottima vista
d'assieme del pianeta principale dei thranx, una delle due capitali del
Commonwealth. Il pianeta ruotava lento sotto di lui quando la
navetta si separò dalla nave-madre e cominciò la discesa. Due
grandi lune risplendevano sopra il lontano orizzonte, una in parte
nascosta dalla curva del pianeta. Là dove il manto nuvoloso
s'interrompeva, Flinx poté distinguere l'azzurro dei piccoli oceani di
Hivehom e il verde intenso delle sue giungle.
All'improvviso percepì la forza di gravità che lo schiacciava sul
sedile, mentre la navetta cadeva, coda in avanti, attraverso le
nuvole.

CAPITOLO TERZO

Chitteranx era imponente: anche se era piccolo come porto per


un mondo popoloso e sviluppato quanto Hivehom, sminuiva pur
sempre il porto delle navette di Drallar.
— La città si trova per la maggior parte nel sottosuolo, natural
mente. Tutte le città thranx sono costruite così, anche se non tra
scuriamo di sfruttare nel migliore dei modi la superficie. — La testa
a cuore si scrollò, perplessa. — Perché voi umani abbiate sempre
scelto di costruire all'insú invece che all'ingiú è una cosa che non
capirò mai.
Il terminale delle navette, più o meno uguale a ogni altro termi
nale, non attirò granché l'attenzione di Flinx, il quale aveva occhi
soltanto per lo spettacolo visibile oltre le pareti trasparenti del corri
doio di accesso. La giungla lussureggiante s'innalzava compatta, av
volgendo completamente il condotto. Fuori pioveva, o meglio
evaporava. Il calore all'interno del terminale era oppressivo, anche
se la temperatura era un compromesso fra il delizioso clima esterno
— come l'aveva definito Bisondenbit — e il gelo artico del vicino
Mediterranea.
Su Falena, Flinx era praticamente cresciuto con la pioggia; ma
quell'umidità densa e soffocante era per lui nuova e estremamente
sgradevole. Gli umani potevano tollerare il clima di una serra, ma
mai troppo a lungo senza una protezione e mai confortevolmente.
Bisondenbit, invece, continuava a lamentarsi per la temperatura
gelida all'interno del terminale. Quando Flinx gli fece le proprie ri
mostranze, lui ribatté: — Questo è il più importante porto umano di
accesso a Hivehom. Se fossimo atterrati vicino all'equatore, a Daret
o a Ab-Neub, non so davvero come te la saresti cavata. — Si
guardò intorno mentre sbucavano dal condotto in mezzo a un
gruppo di edifici commerciali.
— Prima che ti accompagni al Mediterranea, dopo essermi arra
battato a infilarmi una di quelle scomode tute termiche, lascia che mi
goda un po' di questo clima meraviglioso. Cosa diresti di bere un
goccio?
— Vorrei cominciare subito a cercare Challis...
— I traghetti per il Mediterranea partono ogni dieci cronit — in
sisté Bisondenbit. — Vieni... E non mi hai ancora detto cos'hai in
quella scatola. — Indicò il grande contenitore quadrato che Flinx
reggeva con la sinistra. — Deve trattarsi di qualcosa di esotico e
prezioso, vista la cura con cui lo maneggi.
— Suppongo che sia esotico, sì — ammise lui, — ma non di
particolare valore.
Trovarono subito un piccolo locale dove rifocillarsi, appena ad
dentratisi fra gli edifici. C'erano pochi umani, frammisti a una folla di
thranx. Flinx contemplò incantato i divani di riposo dei thranx, il
gioco delle luci, i distributori delle bevande di maggior consumo so
spesi sopra ogni scomparto.
Bisondenbit scelse un tavolo isolato sul fondo e si dilungò in al
cune raccomandazioni, utili anche se non necessarie. Flinx non ebbe
nessuna difficoltà a decifrare il menù, che era stampato in quattro
lingue: alto thranx, basso thranx, simbolingua e terranglo.
Bisondenbit fece le ordinazioni, dopo che Flinx ebbe scelto uno
fra le parecchie migliaia di alcolici che i thranx erano maestri
nell'inventare.
— Quand'è che vuoi tornare al terminale per ritirare il resto del
tuo bagaglio? — chiese tra una frase e l'altra l'insetto, dopo che le
bevande ordinate furono giunte. Osservò, con approvazione, che
Flinx scartava il bicchiere per servirsi di uno dei boccali dal compli
cato beccuccio usati dai thranx.
— È tutto qui — disse Flinx, accennando alla piccola borsa che
portava a tracolla e alla grande scatola bucherellata. Bisondenbit
non nascose la sorpresa.
— È tutto quello che ti sei portato per questo viaggio senza
sapere quanto tempo ti occorrerà per trovare quell'umano...
Challis?
— Ho sempre viaggiato leggero — fu la sbrigativa risposta di
Flinx. La bevanda aveva un sapore caratteristico, dolce, vagamente
simile a quello dell'uva secca. Gli andò giù calda e liscia. Decise co
munque che quel viaggio cominciava ad avere il sopravvento su di
lui. Si sentiva molto più stanco di quanto avrebbe dovuto essere, a
quell'ora del mattino: evidentemente non era l'esperto viaggiatore
interstellare che si era immaginato. — Inoltre non dovrebbe essere
difficile trovare Challis — proseguì. — Certamente alloggerà alla
sede della sua ditta. — E trangugiò un'altra sorsata di quel fluido
denso simile al miele.
Ma mentre il liquore sciropposo gli scendeva in gola, lui si acci
gliò. Nonostante la propria età si considerava un buon giudice per
ciò che riguardava gli intossicanti, ma quel nuovo prodotto si stava
rivelando ben più potente di come lo descriveva il menù. Scoprì che
la vista gli si stava offuscando.
Bisondenbit lo scrutò con sollecitudine. — Stai bene? Se non hai
mai bevuto sookcha prima d'ora, potrebbe risultare un po' troppo...
sì, un po' troppo agguerrito, per te.
— Energico — lo corresse Flinx, farfugliando un poco.
— Sì, proprio così, energico. Ma non preoccuparti: la
sensazione passerà quasi subito.
Ma Flinx si sentì crescere l'intontimento. — Credo che... se sol
tanto potessi uscire... Un po' d'aria fresca... — Fece per alzarsi, ma
scoprì che i muscoli delle gambe rifiutavano di ubbidirgli, mentre i
piedi sembravano camminare sulle pale di un mulino. Ritentò, ma
inutilmente.
Rinunciò a sforzarsi quando scoprì che anche il resto dei suoi
muscoli sembrava in preda a una completa anarchia. — È strano —
bofonchiò. — Sembra che non riesca a muovermi.
— Oh, non devi preoccuparti — lo rassicurò Bisondenbit. Si
sporse attraverso il tavolo e lo fissò con un'intensità che riuscì nuova
a Flinx. — Vedrò che si prendano cura di te come si deve.
L'ultimo pensiero di Flinx, mentre un velo nero calava intorno a
lui, fu che il suo nuovo amico aveva fatto fin troppo...
Si risvegliò in una cacofonia di schianti e imprecazioni in diverse
lingue. Ammiccando — gli pareva di avere le palpebre foderate di
platino — lottò senza successo per muovere le braccia e le gambe.
Fallito ogni tentativo, si limitò a starsene lì con gli occhi parzialmente
aperti. Una debole luce, proveniente da una fonte invisibile,
illuminava la piccola stanza in cui si era svegliato. A un arredamento
spartano di legno rozzamente squadrato facevano da sfondo pareti
di gunite grigiastra. Quando infine tutti i suoi sensi si furono schiariti,
scoprì che robuste fasce metalliche gli assicuravano i polsi e le
caviglie a una rozza piattaforma di legno che non era né un letto né
un tavolo. Giacque disteso in silenzio. Il suo stomaco sembrava in
tento a complicate acrobazie, e lui pensò che sarebbe stato meglio
non occuparsi della confusione esterna finché quella dentro di lui
fosse cessata. Inoltre, ciò che riusciva a percepire e udire bastava
ad ammonirlo che non sarebbe stato saggio richiamare l'attenzione
sul fatto che si era svegliato.
Il distruttivo fracasso proveniva dalla metodica dissezione dei
suoi effetti personali. Ruotando lentamente gli occhi verso destra
vide infatti i resti a brandelli della sua borsa e dei suoi indumenti.
Quei resti lacerati venivano ispezionati da tre uomini e un thranx.
Riconoscendo in quest'ultimo il suo ex insegnante di gioco e
presunto amico Bisondenbit, Flinx maledisse la propria ingenuità. A
Drallar non si sarebbe mai mostrato così loquace e fiducioso con un
completo sconosciuto. Ma aveva passato tre giorni isolato, in totale
solitudine, a bordo della nave, quando il thranx l'aveva avvicinato e
si era offerto d'insegnargli a giocare. La gratitudine aveva spinto da
parte l'istintiva cautela.
— Nessun'arma, nessun veleno, nessuna pistola a raggi o ad
ago... niente che somigli sia pur vagamente a una minaccia — si
lamentò uno degli uomini, esprimendosi correttamente in
simbolingua.
— Cosa ancora peggiore, niente soldi — intervenne uno dei suoi
compagni. — Niente... salvo una schifosa carta di credito. —
Sollevò il minicomputer ultrapiatto che registrava e trasferiva i
crediti in maniera infalsificabile e lo gettò disgustato su un vicino
tavolo. La carta di credito atterrò fra gli altri pochi averi di Flinx. Lui
osservò che restava soltanto una cosa che non avevano aperto e
frugato.
— Non è colpa mia — replicò Bisondenbit, fissando furioso i tre
umani con i suoi occhi simili a prismi frantumati. — Non ho pro
messo nessun beneficio supplementare. Se insisterete a dire che non
mi sono guadagnato il mio compenso, mi rivolgerò direttamente a
Challis.
Uno dei tre parve rassegnato. Prese da una tasca un paio di
manciate di rettangolini di metallo e li porse a Bisondenbit. Il thranx
li contò attentamente.
L'uomo che l'aveva pagato diede un'occhiata alle fasce che
imprigionavano Flinx, il quale chiuse gli occhi appena in tempo. —
Sono parecchi soldi — commentò l'uomo. — Non so perché
Challis abbia tanta paura: questo è soltanto un ragazzo. Ma lui è
convinto che valga il compenso che hai chiesto. Comunque, non
capisco proprio. — Indicò il più grosso dei suoi compagni. —
Charlie potrebbe spaccarlo in due con una mano sola. — Si voltò e
toccò la grossa scatola ancora chiusa. — E qui dentro cosa c'è?
— Non lo so — ammise il thranx. — L'ha tenuta in cabina per
tutto il tempo.
Il terzo uomo intervenne, in tono vagamente spregiativo: —
Potete smettere di preoccuparvene. Ho sondato quel contenitore
con i miei strumenti, mentre voialtri perdevate il vostro tempo con
un innocuo ricambio di vestiti. Là dentro non c'è niente di metallico,
nessun meccanismo e nessun esplosivo. Le letture degli strumenti in-
dicano che è pieno di materia organica, o comunque di derivati or
ganici. Probabilmente altri vestiti. — Sospirò. — Tanto vale
controllare. Siamo pagati per un lavoro completo. — Prese un paio
di cesoie metalliche da una valigetta ben fornita di utensili, e tagliò
come burro la piatta serratura a combinazione. Fatto questo, aprì
senza difficoltà il coperchio della scatola. Guardò dentro e grugnì:
— Indumenti, come pensavo. Un altro paio di vestiti, e... — Fece
per togliere il primo vestito... poi cacciò un urlo terribile,
incespicando all'indietro, e si artigliò il lato sinistro della faccia che
all'improvviso si era messa a ribollire come fango caldo. Una forma
sottile eruppe dalla scatola aperta.
Bisondenbit cinguettò qualcosa in alto thranx e sparì fuori
dall'unica porta. L'uomo chiamato Charlie cadde all'indietro, di
traverso sul corpo immobile di Flinx, sparando all'impazzata col suo
lanciaraggi contro il soffitto, mentre, in un spaventoso silenzio, si
affondava le dita negli occhi. Il capo del piccolo gruppo si stava
precipitando a sua volta verso la porta dietro a Bisondenbit quando
qualcosa lo colpì sul collo. Ululando ricadde nella stanza e prese a
rotolarsi sul pavimento.
Era passato meno di un minuto.
Qualcosa di lungo e liscio scivolò sul petto di Flinx.
— Basta così, Pip — disse lui, rivolto alla sua bestiolina. Ma il
minidrago non era dell'umore di lasciarsi convincere. Dopo aver
ispezionato Flinx, si alzò nuovamente in volo e cominciò a sfrecciare
contro l'uomo disteso sul pavimento e a colpirlo. L'uomo prese a
rotolarsi urlando, mentre degli squarci comparivano sugli indumenti
e sulla pelle, dovunque il veleno colpiva. Ben presto l'uomo smise di
rotolarsi.
Il primo uomo colpito era già morto, mentre il secondo giaceva
gemendo contro una parete dietro Flinx. Brandelli di pelle gli pen
zolavano da una guancia e dal collo, e del bianco balenava là dove il
veleno di Pip aveva messo a nudo l'osso.
Il minidrago tornò ad adagiarsi delicatamente sullo stomaco di
Flinx, poi scivolò verso la sua testa quasi accarezzandolo. La lunga
lingua guizzò fuori più e più volte a sfiorargli le labbra e il mento. —
La mano destra, Pip — lo istruì Flinx. — La mia mano destra. —
Nella fitta penombra il rettile lo guardò interrogativamente.
Flinx fece schioccare le dita in un modo speciale, e finalmente il
minidrago in parte strisciò e in parte svolazzò fino alla mano in
questione, appoggiando la testa sul palmo aperto. Le dita comincia
rono a chiudersi lentamente, la testa di Pip si agitò raschiando appe-
na la pelle di Flinx, poi s'immobilizzò, senza opporre resistenza,
quando la stretta si chiuse.
Muovendosi a tentoni, Flinx ebbe qualche difficoltà ad allineare
esattamente il muso di Pip, ma infine riuscì a puntarlo esattamente là
dove la fascia metallica s'incastrava nel legno. Allora le dita presero
a massaggiare alcuni muscoli dietro la mascella del minidrago.
Qualche goccia di veleno colò giù dal tubulo rastremato che solcava
il palato osseo di Pip.
Si udì un energico sfrigolio.
Flinx attese fino a quando il rumore cessò, poi diede un violento
strattone col braccio. Un secondo strattone, e il metallo profonda
mente corroso cedette. Ora Flinx, sollevando Pip con rinnovata
prudenza, lo trasferì sull'altro lato del corpo, e lì ripeté il
procedimento. Una volta liberati i polsi, Flinx passò alla caviglia
sinistra: Pip eseguiva accuratamente tutto ciò che gli veniva
ordinato.
Liberata la gamba sinistra, Flinx colse un movimento alla propria
destra. E anche Pip lo colse: s'innalzò in aria fulmineo. L'unico so
pravvissuto dei tre uomini strillò quando il minidrago gli si fece vici
no. — Va' via, va' via!... Non lasciare che si avvicini! — farfugliò,
in preda al più abbietto terrore.
— Pip! — ordinò Flinx. Un attimo di silenzio, durante il quale il
minidrago continuò a svolazzare nervosamente davanti all'uomo ran-
nicchiato, gli occhi gelidi, le ali che sbattevano così veloci da forma
re una macchia confusa, minacciando la sua vittima sanguinante, la
cui clavicola occhieggiava livida attraverso il tessuto disfatto.
Infine Flinx strappò via l'ultima fascia. Si tirò lentamente in piedi e
si avvicinò al tavolo. I vestiti che indossava erano sporchi e lacerati
al punto di risultare irrecuperabili. Cominciò allora a infilarsi i pochi
indumenti rimasti intatti, quelli tra le cui pieghe Pip era rimasto
comodamente arrotolato.
— Mi dispiace per i tuoi amici, ma in verità neanche troppo —
mormorò all'uomo sconvolto sul pavimento. Tirò l'ultima chiusura
lampo, poi si girò verso di lui. — Raccontami l'intera storia e non
tralasciare nessun particolare. Più domande sarò costretto a fare,
più Pip diventerà impaziente.
Un torrente di parole sgorgò dalle labbra dell'uomo: — Quel tuo
amico thranx è un criminale di terz'ordine!
— Commercio d'antiquariato — mormorò Flinx. — Molto
divertente. Continua.
— Gli era parso strano che un ragazzo come te, che viaggiava
da solo, volesse a tutti i costi trovare Conda Challis. D'intuito, si è
messo in contatto con gli uffici di Challis di qui e ha riferito del tuo
imminente arrivo. Qualcuno, in alto loco, è rimasto turbato e gli ha
detto di consegnarti a noi perché ti controllassimo.
— Sì, tutto questo ha senso — convenne Flinx. — E cosa mi
sarebbe accaduto dopo essere stato... sì, controllato?
L'uomo si rannicchiò in un angolo il più possibile lontano dal
minidrago e bisbigliò: — Usa la testa: cosa puoi immaginarti?
— Challis ha sostenuto di essere una persona che odia le mezze
misure — osservò Flinx. — Io avrei potuto essere anche un
passeggero innocente... ma non avrebbe fatto differenza. — Infilate
di nuovo nella borsa le sue poche cose rimaste indenni, si avviò
verso la porta dalla quale Bisondenbit si era dileguato pochi istanti
prima.
— E io? — farfugliò l'uomo a terra. — Hai intenzione di
uccidermi?
Flinx si voltò sorpreso, e i suoi occhi si strinsero quando contem-
plò quel relitto umano che appena pochi minuti prima stava rovi
stando fra le sue cose con tanta arroganza. — No, perché? Dimmi
invece dove posso trovare Conda Challis. Poi, ti consiglio di
raggiungere al più presto un ospedale.
— Si trova all'ultimo piano della torre amministrativa, all'estre
mità opposta del complesso.
— Quale complesso? — chiese Flinx, sorpreso.
— Oh, già! Tu non sai ancora dove ti trovi, vero? — Flinx
scosse la testa. — Qui siamo al quarto sottolivello dell'impianto
della Challis Hivehom Mining Components. La famiglia Challis
controlla una grossa fetta nell'industria dei macchinari per miniere.
«Esci qua fuori nel corridoio, gira a sinistra, e va' avanti finché
avrai raggiunto una fila di ascensori. Vanno tutti in superficie. Lassù,
chiunque potrà indicarti la torre amministrativa: complessivamente
l'impianto ha una forma a esagono, e la torre amministrativa è
all'angolo di nordest».
— Grazie — commentò Flinx. — Mi sei stato di molto aiuto.
— Non di aiuto, piccolo avvelenatore bastardo — borbottò
l'uomo crudelmente ferito, appena Flinx se ne fu andato. — Solo...
cos'altro avrei potuto fare? — Si mise a strisciare verso la porta
aperta.
Nel corridoio, una volta assicuratosi che nessuno gli aveva
preparato un'imboscata, Flinx aveva fatto nuovamente schioccare le
dita: — Pip, adesso puoi riposarti.
Il minidrago fischiettò piacevolmente e svolazzò fin dentro la sca
tola aperta, rintanandosi fra i brandelli di tessuto. Flinx riuscì a
chiuderla con un gancio raffazzonato in qualche modo. Il più presto
possibile avrebbe fatto sostituire la serratura rotta: in caso contrario,
qualche innocente avrebbe corso il rischio di fare la stessa fine dei
suoi ex catturatori.
Nessuno gl'intimò di fermarsi mentre proseguiva verso gli
ascensori. Le varie porte erano affiancate da file di numeri: 4-B, 3-
B, e così via fino allo zero, poi la numerazione riprendeva da zero a
quattro. Quattro piani sotto e quattro piani sopra la superficie,
dedusse Flinx. Lo zero doveva contrassegnare la superficie, e fu
questo il pulsante che Flinx premette quando infine arrivò una
cabina.
L'ascensore lo trasportò fino a un immenso atrio dalle pareti
completamente di vetro e dal soffitto altissimo. Un flusso costante di
thranx e di umani entrava e usciva dagli ascensori. — Scusi — trillò
un terzetto di thranx, scostandolo delicatamente per entrare
nell'ascensore che lui aveva appena lasciato libero.
Benché lui avesse l'inquietante impressione che tutti lo
guardassero, in realtà nessuno gli prestava la minima attenzione.
Non c'era ragione perché dovessero farlo, concluse infine
rilassandosi. Soltanto un uomo e uno sparuto gruppo di servitori,
forse, gli stavano dando la caccia.
Un'immensa scrivania con la vistosa scritta Informazioni era
piazzata subito dentro l'ingresso della grande sala. Vi sedeva un
thranx, quasi sperduto. Flinx si avvicinò con passo tranquillo,
cercando di dare un'impressione di efficiente sicurezza.
— Scusi — chiese in alto thranx, — può dirmi come si arriva
alla torre amministrativa da qui?
L'insetto, un anziano dall'aspetto piuttosto ufficiale, si voltò verso
di lui. Flinx notò che era dipinto di nero e di giallo ma che non
ostentava sulla chitina nessuno degli intarsi smaltati di cui i thranx
erano così orgogliosi. Il tipo di funzionario rigido e austero.
— Quadrante nordest — rispose seccamente il thranx, sottinten
dendo che colui che aveva fatto la domanda avrebbe dovuto
saperlo. — Esca dall'ingresso principale, quello — continuò,
puntando una veramano, mentre con una manopiede sosteneva il
torace superiore proteso sopra la scrivania. — Poi giri a sinistra fino
al portale H. La torre è alta dodici piani, l'autoporto è sulla terrazza.
— L'alveare la benedica — lo ringraziò Flinx, ossequioso.
L'anziano lo fissò, con improvvisa attenzione. — Ehi, cosa signi...
Ma Flinx era già stato inghiottito dalla folla indaffarata. Il fun
zionario lo cercò con lo sguardo per qualche istante, poi rinunciò e
tornò al suo lavoro.
Flinx avanzò rapidamente attraverso il complesso degli impianti;
un operaio gli indicò cortesemente la strada l'unica volta che si
smarrì. Quando finalmente scorse l'inequivocabile profilo della torre
amministrativa, Flinx rallentò, rendendosi conto all'improvviso che
da quell'istante in poi non aveva la minima idea di ciò che avrebbe
dovuto fare.
La reazione di Challis alla sua inaspettata scomparsa sarebbe
stata tutt'altro che amabile. E questa volta il grasso mercante, e
probabilmente anche i suoi sottoposti, sarebbero stati pronti ad
affrontare Pip. Malgrado tutte le sue capacità letali, il minidrago era
ben lungi dall'essere invulnerabile.
In qualche modo lui doveva intrufolarsi dentro la torre e scoprire
il punto esatto dove si trovava Challis. Perfino da quella distanza
riusciva a percepire le intense emanazioni di una presenza più picco-
la e tenebrosa. Non aveva però nessuna garanzia che Mahnahmi e
Challis si trovassero insieme. La ragazzina aveva forse percepito
anche lei la sua presenza? Fu un pensiero che lo rese subito attento
e teso. Infine decise di gettarsi dietro le spalle ogni esitazione e di
agire con decisione. Varcò con passo spavaldo l'ingresso
principale.
Un thranx dall'aria efficiente, con tre galloni intarsiati sul torace
superiore, fu pronto a intercettarlo: con estrema cortesia, natural
mente.
— Lo sciame sia con i suoi affari — disse l'insetto, con voce
mielata. — Vuole dichiarare il suo nome e il motivo della sua visita,
per favore?
Flinx stava per rispondere quando una porta laterale si spalancò
all'improvviso e una squadra di thranx massicciamente armati ne
sgorgò fuori. Il caposquadra lo indicò e urlò: — È lui! Fermalo!
Reagendo prontamente, il sottufficiale che aveva chiesto a Flinx
le sue generalità l'afferrò per un braccio con una veramano. Flinx
sollevò una gamba e gli sferrò un calcio, sebbene con riluttanza. La
chitina, una vera e propria corazza, era praticamente invulnerabile
salvo alle giunture, e fu appunto una di queste che il piede di Flinx
colpì. La giuntura si spezzò con un crac!, e il sottufficiale lanciò un
angosciato cinguettio mentre Flinx si precipitava verso la fila di
ascensori che si aprivano sulla parete di fronte.
Balzò dentro una cabina, appiattendosi di lato, e schiacciò il pul
sante più alto. Indicava l'undicesimo piano. Per raggiungere il dodi
cesimo, notò Flinx, occorreva azionare un comando con una chiave
speciale.
Parecchi raggi ad alta energia perforarono la porta dell'ascensore
mentre si metteva in marcia. Fortunatamente non colpirono nessun
meccanismo vitale e la corsa non fu rallentata, anche se i tre fori
dagli orli fusi, comparsi al centro della porta, fecero rabbrividire
Flinx.
Un rabbioso picchiare dentro la scatola ai suoi piedi richiamò la
sua attenzione. Appena ebbe sganciato il rudimentale dispositivo di
chiusura, un Pip inferocito ne balzò fuori come un razzo. Dopo una
rapida ispezione all'interno della cabina il minidrago si accomodò
nervosamente sulla spalla destra di Flinx, arrotolandosi strettamente
e vibrando di eccitazione con i muscoli tesi. Non c'era più motivo di
tenere nascosto il rettile, pensò Flinx, poiché ora sapevano fin trop
po bene chi era lui. Ma chi o cosa l'aveva tradito, adesso?
Mahnahmi! Doveva essere stata lei! Gli parve quasi di udire la ri-
sata di scherno della ragazzina. La capacità di Mahnahmi di recar
danno restava pur sempre un fattore ignoto: ma era senz'altro possi
bile, pensò Flinx, che lei disponesse di poteri mentali perfino supe
riori ai suoi, e per giunta non sottoposti alla minima disciplina
interiore. Certo, nessuno gli avrebbe creduto se lui avesse avuto la
possibilità di raccontarlo. Mahnahmi aveva imparato a recitare in
modo perfetto la sua parte di bambina innocente, dagli occhi
sgranati per lo stupore.
Il problema, tuttavia, consisteva nello stabilire se la malizia di
Mahnahmi era basata sul calcolo o su un puro e indisciplinato desi
derio di distruzione. Flinx sentiva che lei poteva passare dall'odio
all'amore — entrambi ugualmente intensi — da un istante all'altro.
Se soltanto si fosse resa conto che lui non intendeva farle del male...
Ma subito pensò che con tutta probabilità se ne rendeva conto.
Lui era soltanto una possibile fonte di divertimento per quella
ragazzina, niente più.
Qualche semplice manipolazione gli consentì di bloccare il
meccanismo della porta, per cui gli fu possibile aprirla senza che
l'ascensore si arrestasse. Quando la cabina fu al decimo piano,
balzò fuori, voltandosi poi a guardarla mentre proseguiva verso il
piano di sopra. Quindi si diede a una rapida esplorazione del luogo
in cui si trovava. Sembrava una combinazione di studio e alloggio, e
probabilmente apparteneva a uno dei più elevati segretari di Challis.
O a uno dei sovrintendenti degli impianti.
Se non c'erano scale, sarebbe rimasto intrappolato lì. Non
riteneva che le guardie del corpo di Challis sarebbero state così
sciocche da consentirgli una seconda fuga con l'ascensore.
Il luogo in cui si trovava, comunque, era deserto. Mentre lui si
soffermava a riflettere sulla situazione, una violenta esplosione ri
suonò al piano di sopra. Si girò di scatto e vide frammenti di metallo
e di plastica cadere fumanti nel pozzo dell'ascensore.
Si rese conto, all'improvviso, che c'era un solo modo di sfuggire
al malanimo di Mahnahmi. Lottò per svuotare la mente, cancellò
ogni pensiero, ogni più piccolo accenno a ciò che aveva intenzione
di fare, ai suoi movimenti nell'immediato futuro Lentamente la scura
nube che aveva aleggiato intorno a lui si diradò. Lui non riuscì più a
percepire la presenza di Mahnahmi, e adesso lei avrebbe dovuto
essere altrettanto cieca nei suoi confronti. E c'era anche una forte
probabilità che Mahnahmi, come chiunque altro, pensasse, almeno
nei prossimi minuti, che lui era rimasto ucciso nell'esplosione della
cabina dell'ascensore.
Una rapida perlustrazione gli rivelò che quell'alloggio aveva un
solo ingresso: la porta dell'ascensore, adesso inutile. Nessun altro
ascensore si apriva lì dentro. Ciò lasciava soltanto una strada aperta
per i piani superiori e l'autoporto sul tetto. Il suo sguardo cercò la
finestra ricurva che si affacciava sul panorama dell'intero complesso
e sul tavoliere Mediterranea più oltre.
Flinx raggiunse la finestra e scoprì che si apriva facilmente. La
parete esterna della torre era ricoperta da una fitta decorazione in
rilievo in stile thranxiano. Lui guardò in alto, valutando ogni aspetto
della situazione.
Adesso, almeno, non lo stavano più aspettando.
La sua mente registrò per un breve attimo la splendida vista del
Mediterranea, punteggiato di fabbriche e di agglomerati residenziali
umani. In lontananza s'intravedevano le terre basse, coperte di bru
ma ed estese fino all'orizzonte.
Gli appigli offerti dalle asperità metalliche ornamentali, là fuori,
non erano sicuri come lui li avrebbe voluti, ma se la sarebbe cavata
lo stesso. Gli sarebbe bastato scalare un piano. Riattraversò
l'ufficio-alloggio ed entrò nel bagno, dove trovò una finestra più
piccola. L'aprì, uscì fuori e cominciò la scalata. A meno che la
pianta dell'appartamento al piano di sopra fosse radicalmente
diversa, avrebbe dovuto trovare un altro bagno — magari più
ampio ma sperabilmente libero — in corrispondenza di quello dal
quale era appena uscito. Sarebbe stato il posto migliore per infilarsi
dentro con la massima discrezione.
Muovendo mani e piedi in accurata successione fece dei lenti ma
costanti progressi verso l'alto, senza mai guardare dietro di sé e men
che meno in basso. A Drallar aveva scalato altezze maggiori, su
superfici umide e ancor meno sicure... e quand'era molto più giova
ne. Comunque continuò a muoversi con la massima cautela. La
mancanza di vento era una benedizione. Infine incontrò una
pronunciata sporgenza sopra la quale c'era una finestra. Si
aggrappò, tirandosi su con forza, e si trovò in tal modo a guardare
attraverso una lastra trasparente: scoprì, con soddisfazione, che era
socchiusa di qualche centimetro. Poi notò due figure in piedi in
fondo alla stanza. Una era grassa e madida di sudore, ma non certo
a causa di qualche brusco esercizio fisico. L'altra era piccola,
bionda e con due grandi occhi spalancati.
Improvvisamente lo videro.
— Non lasciare che mi prenda, papà! — gridò lei, con finto
terrore. Flinx aprì la mente e percepì la viva eccitazione che faceva
vibrare quella di lei. Ne fu nauseato.
— Non so perché insisti a tormentarmi — balbettò Challis,
confuso e frenetico. Una pistola a raggi gli era comparsa in mano,
puntata verso la spalla di Flinx. — Non ti ho fatto un gran male...
Ma ora porrò fine alla tua persecuzione. Addio. — Il suo dito
cominciò a stringersi sul grilletto.
Pip comparve fulmineo sulla spalla di Flinx. Challis vide il
serpente alato, spostò la mira e sparò. Ma il ricordo di ciò che il
minidrago era capace di fare gli provocò un tremito così forte che le
scariche mancarono abbondantemente il bersaglio. Pip e Flinx
rimasero del tutto illesi mentre invece l'incorniciatura della finestra,
di legno autentico, prese fuoco sopra di loro. Le fiamme si estesero
velocemente, e in pochi attimi l'intera stanza si riempì di un fumo
denso e acre.
La fitta nuvolaglia costrinse il mercante a precipitarsi fuori dalla
stanza, ma impedì ugualmente a Flinx di entrarvi. Allora lui cominciò
a scendere lungo la parete esterna, quanto più rapidamente osava,
mentre Pip gli svolazzava rabbioso intorno alla testa cercando
qualcosa da uccidere. Flinx rifletté che ben difficilmente sarebbe
riuscito a scendere fino al livello del suolo prima che Challis ne in
formasse le guardie. Continuò a scendere aguzzando gli occhi: un
piano, un altro, un terzo. Quattro piani più in basso scoprì una fi
nestra con un vetro rotto e riparato alla bell'e meglio per mezzo di
un adesivo trasparente.
Due rapidi calci violenti bastarono a far schizzare via un'abbon
dante fetta di vetro, e lui balzò dentro... per trovarsi davanti a una
donna stupefatta.
Lei urlò.
— Per favore — si affrettò a dirle Flinx, gesticolando nel tentati
vo di calmarla mentre si avvicinava a lei. — Non gridi... non ho
nessuna intenzione di farle del male.
La donna urlò di nuovo.
Flinx gesticolò, ancor più frenetico, per azzittirla. — Stia buona...
Finirà col farmi scoprire...
Le urla continuarono.
Flinx si fermò, la mente in subbuglio, non sapendo cosa fare.
Inevitabilmente quella femmina urlante si sarebbe fatta sentire.
Pip risolse prontamente il problema. Fece un balzo a mezz'aria
verso la donna. Lei vide la lunga e sinuosa forma del rettile che ful
mineamente si avvicinava, la bocca spalancata, le ampie ali
membranose che sbattevano nell'aria...
E allora svenne.
Ciò servì a far smettere le urla, ma Flinx era ancora intrappolato
in quella torre dove ora certamente l'allarme squillava dal primo
all'ultimo piano, togliendogli praticamente ogni possibilità di allonta
narsi indisturbato. Si guardò rapidamente intorno, cercando dove
nascondersi, un armadio, una cassa... o quantomeno un'arma con
cui potersi difendere. Infine la sua attenzione ritornò alla donna, che
si era afflosciata scompostamente in avanti. Si curvò ad afferrarla e
sistemarla in una posizione meno scomoda, ma mentre la sollevava
da terra vide la porta socchiusa dell'adiacente bagno. Il suo sguardo
tornò alla donna: ora che la vedeva meglio, si rese conto che era
alquanto giovane.
Un minuto più tardi un folto drappello di guardie armate fino ai
denti irruppe nella stanza. Non trovando nessuno, le guardie si spar-
pagliarono all'intorno ispezionando ogni possibile nascondiglio. Una
entrò nel bagno, notò due gambe di donna che sporgevano in basso
da dietro un paravento, e si ritrasse rapidamente bofonchiando le
sue scuse. Insieme alle altre, la guardia uscì per proseguire l'ispezio
ne nell'appartamento vicino.
Tre uffici più in là le venne in mente che la donna non aveva
risposto alle sue scuse: né con un «Prego», né con una gelida
accettazione formale, e meno ancora con una serie d'improperi.
Niente. Ciò le parve strano, e allora riferì il fatto al suo superiore.
Insieme, si precipitarono nuovamente nelle stanze in questione e da
lì nel bagno. Le gambe erano ancora nella stessa posizione.
Cautamente, l'ufficiale bussò al paravento e si schiarì la gola. Non
ricevendo risposta, diede ordine agli uomini che lo scortavano di
tirarsi indietro coprendo ogni possibile via di fuga, e tirò via di
scatto il paravento.
La donna stava recuperando i sensi giusto in quell'istante: si trovò
seduta, tutta nuda, sul water, a fissare le bocche delle armi da fuoco
puntate con estrema decisione su di lei da alcune guardie.
Svenne di nuovo.
Quando finalmente la donna, brutalmente scossa, riuscì a ripren
dersi, Flinx era ben lontano dalla torre. Nessuno aveva fatto caso
alla ragazza snella e dai capelli corti che stava lasciando l'alta torre.
Flinx aveva fatto un uso eccellente dei cosmetici trovati nella scriva
nia della giovane donna: a Drallar era assai utile essere esperti anche
in cose che altri trovavano assurde o perfino sconvenienti. Uno
solo, fra gli impiegati, aveva notato qualcosa di strano. Ma preferì
non confidare ai colleghi che la grossa cintura di cuoio stretta
intorno alla vita della ragazza aveva compiuto un paio di bruschi
movimenti che neppure il suo vistoso ancheggiare avrebbe
giustificato.
Finalmente lontano sia dalla torre che dalle fabbriche di Challis,
Flinx si sfilò gli abiti muliebri e lasciò che Pip smettesse di far finta di
essere una cintura di cuoio. Sdegnando i normali mezzi di trasporto,
adesso troppo rischiosi, si avviò a piedi fino all'orlo della scarpata.
La ripida discesa fra le rocce, profonda alcuni chilometri, era tale
da mozzare il fiato; ma lui non poteva starsene lì ad aspettare, pas
seggiando per il Mediterranea, che qualcuno degli scherani di
Challis gl'intimasse l'alt con l'arma spianata. Né, d'altra parte, voleva
trovarsi costretto ad affrontare le imbarazzanti domande di qualche
autorità. Perciò inspirò profondamente, scelse un punto in cui la
parete rocciosa appariva meno a strapiombo, e cominciò a calarsi
verso il paese delle nebbie.
In certi tratti il basalto scendeva sì a picco ma era molto antico e
friabile, perciò Flinx trovò un gran numero di appigli. Comunque,
dubitò ugualmente che Challis l'avrebbe ritenuto capace di affronta
re una simile scarpata affidandosi soltanto alle mani e ai piedi.
Non mancarono, qua e là, punti assai difficili da superare, ma
ciuffi di rampicanti robusti e flessibili gli permisero di oltrepassarli
senza danni. Le braccia, per lo sforzo continuo, cominciarono a do
lergli, e a un certo punto un piede gli s'informicolò lasciandolo ap
peso precariamente con le mani e un piede aggrappati a sporgenze
quasi impercettibili.
Un chilometro più in basso il dirupo accennò ad addolcirsi e la
discesa si fece molto più agevole su pendii meno vertiginosi. Flinx
aumentò la velocità. Alla fine, pieno di lividi e graffi, del tutto
esausto, raggiunse la giungla sul fondo. Si fermò un paio di minuti
per orientarsi, poi si avviò con passo deciso in quella che doveva
essere — così si augurò — la direzione del porto. Aveva scelto con
cura il tracciato della discesa, in modo da non essere costretto ad
aprirsi troppo a lungo una strada nel folto della vegetazione.
Ma era ben lungi dall'immaginare che nonostante le apparenze
stava lottando al disopra di una delle regioni più densamente popo
late del pianeta. Un'intera metropoli thranx si stendeva nelle viscere
del suolo, scavata nella terra e nella roccia sotto quella soffocante
distesa di piante e di nebbia. In altre parole, Flinx camminava nel
cuore di una nuvola verde e grigia sospesa sopra una città.
Svuotato di ogni energia, al punto di augurarsi che Challis
l'avesse centrato quando gli aveva freneticamente sparato addosso
lassù sulla torre, si spinse attraverso un'altra fitta e coriacea macchia
di arbusti... e finì col ruzzolar fuori, all'improvviso, sulla superficie di
una superstrada. Altri due giorni, e fu di nuovo a Porto Chitteranx.
Tutti quelli che incrociò si affrettarono a evitarlo. Lui era ben
conscio dello spettacolo che doveva offrire, dopo la faticosa
discesa giù per la scarpata e il successivo attraversamento della
giungla. Per sua fortuna, qualche thranx fra quelli incontrati aveva
avuto pietà di un essere umano così malridotto e gli aveva fornito
cibo e acqua sufficienti a continuare.
La vista della periferia del porto bastò a rallegrarlo. Pip si alzò in
volo alle grida di gioia di Flinx, poi riprese il suo posto sulla spalla
del ragazzo. Flinx alzò gli occhi a guardarlo: il minidrago appariva
perfettamente a suo agio a quel calore tropicale così simile a quello
del suo mondo natio, Alaspin.
— Tu sì che puoi permetterti di essere contento, brutta bestia —
gli disse Flinx con invidia. Quando lui era sceso per lo strapiombo
lottando centimetro dopo centimetro, Pip aveva svolazzato
continuamente intorno a lui, senza il minimo impaccio, continuando a
pungolarlo con la sua impazienza perché accelerasse la discesa,
quando anche un mezzo passo falso poteva significare la morte
certa.
L'impiegato allo sportello dell'agenzia bancaria al terminale del
porto era umano, ma ciò non gl'impedí di conservare tutta la com
postezza alla vista di quel giovane incredibilmente sporco e con
l'abito a brandelli che si stava avvicinando. Da uomo saggio, aveva
appreso ben presto nella sua vita un principio fondamentale: uno
strano aspetto poteva sempre indicare ricchezza o stravaganza, e i
due fatti non si escludevano a vicenda.
Perciò trattò quello straccione all'identico modo in cui avrebbe
trattato un cliente elegante e fastoso. — In cosa posso servirla,
signore? — chiese nel suo tono più soave, anche se, senza parere,
distolse il naso da quell'apparizione.
Flinx gli spiegò le proprie necessità e fornì tutte le informazioni su
se stesso, che furono inserite in un computer. Pochi istanti più tardi il
computer dichiarò che sì, la persona davanti allo sportello
dell'agenzia bancaria — di nome Flinx, nome registrato «Philip
Lynx», impronte retiniche così e cosà, schema di pulsazioni tot e tot
— era davvero un correntista della King's Bank di Falena, città di
Drallar, e che l'ammontare complessivo del suo credito ritirabile in
data odierna era...
L'impiegato si ricompose e riuscì a guardare in faccia Flinx. —
Signore... come le è accaduto di perdere la sua carta di credito
computerizzata?
— Ho avuto un incidente — gli spiegò Flinx, senza scoprirsi
troppo, — e non mi sono accorto quando mi è schizzata via di
tasca.
— Sì. — L'impiegato continuò eroicamente a sorridere. — Ma
non deve assolutamente preoccuparsi. Come lei sa, nessun altro
può usare la sua carta di credito. Dirameremo un avviso a tutte le
banche e le agenzie del Commonwealth con le caratteristiche della
sua carta smarrita, e nel giro di un'ora lei ne riceverà un'altra nuova
di zecca, a questo sportello.
— Posso aspettare. Tuttavia... — Flinx indicò i propri vestiti con
un eloquente gesto delle mani. — Vorrei ripulirmi un po' e
comperare qualche abito nuovo.
— Naturalmente — assentì l'impiegato, e infilò la mano in un
cassetto. — Basta che lei firmi questo scontrino e mi permetta di
registrarvi sopra la sua impronta retinica, e potrò anticiparle
qualunque somma le serva.
Flinx chiese una somma ridicolmente modesta, ascoltò le indica
zioni che gli diede l'impiegato su dove avrebbe potuto farsi un ba
gno e acquistare di che rivestirsi da cima a fondo, e si allontanò
dopo avergli stretto la mano pieno di gratitudine.
Acquistò due tute, e alla fine indossò la più elegante: sentì di
dovere a se stesso un po' di lusso, dopo quello che aveva passato.
Il bagno lo tenne occupato per la maggior parte dell'ora; quando
infine tornò all'agenzia bancaria, somigliava nuovamente a un essere
umano invece che a un selvaggio delle giungle di Hivehom. La sua
nuova carta di credito, come promesso, era pronta.
— Posso fare qualcos'altro, per lei?
— Grazie, ha fatto fin troppo. Io... — Flinx s'interruppe e girò di
scatto la testa a sinistra. — Mi scusi, ma vedo un vecchio amico.
Diede all'impiegato una pingue mancia e schizzò via, lasciandolo
a bocca aperta.
La zona centrale del terminale, ricoperta da un'ampia cupola, era
gremita di viaggiatori che andavano e venivano producendo un
intenso brusio. Ma il piccolo thranx alle spalle del quale Flinx si
avvicinò a rapidi passi silenziosi era occupato in un'attività di tipo
del tutto diverso.
— Credo che farai meglio a restituire a quella signora la sua bor
setta addominale — disse Flinx all'insetto dalle dita fin troppo abili.
Quando udì quelle parole, una matrona thranx dalla chitina profusa
mente intarsiata e ingioiellata e qua e là placcata d'argento si voltò a
fissarlo, perplessa e incuriosita.
Il thranx colto di sorpresa da Flinx sussultò visibilmente e si girò
di scatto per affrontare il suo accusatore. — Signore, se lei pensa
che io abbia... — La sua voce divenne un pietoso gorgoglio. Flinx
gli fece un soave sorriso, e Pip si agitò nervoso sulle sue spalle.
— Ciao, Bisondenbit.
L'idea di un paio di occhi compositi che schizzavano fuori dalle
orbite era ovviamente un'assurdità biologica, ma quella fu
l'impressione che ebbe Flinx. Le antenne di Bisondenbit tremavano
con tanta violenza che Flinx quasi si convinse che si sarebbero
staccate. Il thranx fissava con angosciato terrore Pip, che si era
snodato in tutta la sua lunghezza.
— La borsetta addominale — ripeté Flinx, a voce più bassa, —
e calmati, prima che ti si spacchi in due la scatola cranica.
— S-s-sí — balbettò Bisondenbit. Cosa interessante, prima di
allora Flinx non aveva mai visto un thranx afflitto da balbuzie.
Volgendosi verso la vecchia femmina, Bisondenbit infilò una mano
dentro la fin troppo ampia tasca del secondo torace e ne tirò fuori
una borsetta esagonale di filigrana d'oro.
— Ha appena lasciato cadere questa, regina madre — borbottò
con riluttanza, usando il titolo onorifico ufficiale. — I ganci si sono
tutti aperti: vede?
La veneranda matrona stava controllando il proprio secondo
torace con una manopiede, mentre allungava una veramano verso la
borsetta.
— Non capisco, ero certa che fosse saldamente... —
S'interruppe ed eseguì un complicato movimento col cranio e le
antenne che indicava profondi ringraziamenti; poi aggiunse: — Il suo
intervento è molto apprezzato, padre della guerra.
Flinx trasalì al complimento, certo vergognosamente immeritato.
L'atteggiamento di Bisondenbit durò finché la matrona fu scomparsa
tra la folla; poi il giovane thranx si rialzò con un guizzo e fissò ner
vosamente Flinx. — Io non volevo che ti uccidessero... Nessuno
doveva restare ucciso — si affrettò a dire, riprendendo il patetico
balbettio. — Non me l'avevano detto, che erano decisi a ucciderti.
Io avrei dovuto soltanto portarti...
— Smettila — gli ingiunse Flinx. — E non farfugliare di morti e
non morti. Troppa gente ci ha già rimesso la pelle, in questa faccen
da.
— Oh, su questo sono d'accordo — fu pronto ad ammettere il
thranx, mentre lentamente riprendeva a respirare. — Comunque, io
non ho ammazzato nessuno e non... — Improvvisamente il suo at
teggiamento cambiò, passando dalla paura a una viva curiosità. —
Come sei riuscito a scappare dalla torre e a scendere giù dal
Mediterranea? Mi era stato riferito che ti stavano dando una caccia
spietata.
— Mi sono reso invisibile e sono volato giù — rispose Flinx con
un sogghigno.
Bisondenbit lo fissò perplesso; poi scoppiò a ridere, s'interruppe
di colpo e tornò a fissarlo. — Sei un tipo davvero strano, anche per
un umano. Non so se devo crederti o no. — Improvvisamente si
guardò intorno, contemplando il terminale in piena attività, e il suo
nervosismo riaffiorò. — Challis, e altri intorno a lui, vogliono sapere
dove ti sei cacciato. Si parla di una grossa ricompensa, che
verrebbe pagata seduta stante. L'unico indizio che hanno della tua
fuga, tuttavia, è rappresentato da una donna che è confinata in un
ospedale. È ancora in preda a un attacco isterico.
— Oh, mi dispiace — mormorò Flinx, in tutta sincerità.
— Non è bene che mi vedano insieme a te: tu sei diventato
merce che scotta.
— Fa sempre piacere, sapere che si è desiderati — replicò Flinx
in tono spensierato, ignorando deliberatamente le paure di
Bisondenbit. — A proposito: non sapevo che i thranx
annoverassero fra i propri talenti anche quello del borsaiolo.
— La nostra abilità digitale è sempre stata notevole. E a loro
volta anche molti esseri umani hanno preso da noi altre abilità ugual
mente... ehm, utili.
— Posso ben immaginarlo — sbuffò Flinx. — Si dà il caso che
io viva in una città piena di simili abilità. Ma adesso non ho tempo di
disquisire sulla moralità di certi scambi culturali. Dimmi invece dove
posso trovare Conda Challis.
Bisondenbit fissò stralunato il giovanotto come se all'improvviso
si fosse fatto spuntare un paio di mani in più. — Ma è quasi riuscito
a ucciderti, e ti sta cercando per riprovarci. Non posso credere che
tu voglia continuare a misurarti con un nemico così potente. Io mi
considero un buon giudice degli umani. Tu non mi sembri mosso da
desiderio di vendetta.
— Infatti non è per questo — replicò Flinx, nervoso, ricordando
che Piccolo Symm aveva supposto che lui inseguisse Challis spinto
appunto da quel desiderio. La gente insisteva ad attribuirgli moventi
che lui non aveva.
— Ma se non è vendetta, allora perché lo insegui? Non che mi
renda triste vedere un po' sulle spine un tizio con la reputazione di
Challis, anche se questo intralcia non poco le mie relazioni d'affari.
— Dimmi soltanto dove si trova.
— Se mi dirai perché lo cerchi.
Flinx diede di gomito a Pip: il serpente volante si mosse, sbadi
gliando ed esibendo così la sommità dell'esofago col sacco velenife
ro. — Non credo che sia necessario — disse Flinx, in tono
significativo. Bisondenbit, terrorizzato, alzò di scatto le veremani e le
manipiede in un istintivo gesto di difesa.
— Lascia perdere — sospirò Flinx, stanco di minacciare. — Se
te lo dirò, potrebbe anche filtrare in modo convincente fino all'orec
chio di Challis. Sono convinto che lui è in possesso d'informazioni
sui miei veri genitori e su quello che è accaduto loro dopo che... mi
hanno abbandonato.
— Genitori? — fece Bisondenbit, perplesso. — Mi era stato
detto che tu l'avevi minacciato di morte.
— Non è vero. Challis è terrorizzato nei miei confronti a causa di
un incidente accaduto durante un nostro precedente incontro. Ha
tentato di obbligarmi a fare una cosa che io non volevo.
— E per questo hai ucciso tutte quelle persone?
— Io non ho ucciso nessuno — protestò Flinx, a disagio. —
L'ha fatto Pip, e soltanto per difendermi.
— Be', i morti sono morti — concluse Bisondenbit, con filosofia.
Fissò Flinx, incredulo. — Non avrei mai immaginato che un essere
qualsiasi, perfino un essere umano, potesse essere ossessionato a
tal punto da simili desideri aberranti. Forse t'importa più della tua
vita sapere chi erano i tuoi genitori?
— Noi non abbiamo la tradizione della madre dell'alveare alla
quale far risalire la nostra origine — gli spiegò Flinx. — Sì,
m'importa davvero così tanto.
L'insetto scrollò la sua testa a cuore. — Ti auguro allora una feli
ce e armoniosa caccia in questa tua folle ricerca. In un altro tempo e
in un altro luogo, forse sarei stato tuo compagno di clan. — Spor
gendosi in avanti, protese le antenne. Dopo un attimo di esitazione,
Flinx si sporse a sua volta e le sfiorò con la testa. Quindi si rad
drizzò e diede un'occhiata ammonitrice allo smilzo thranx.
— Cerca — disse, — di tenere le tue veremani nel tuo torace e
non in quello degli altri.
— Non vedo perché le mie attività dovrebbero interessarti
fintanto che non ti coinvolgono — protestò il thranx. Ora che,
chiaramente, Flinx non manifestava nessuna intenzione di trucidarlo,
il sollievo lo rendeva quasi arrogante. — Mi denuncerai alle
autorità?
— Soltanto per deliberato rifiuto di fornirmi informazioni vitali —
rispose Flinx, sempre più impaziente. — Non mi hai ancora detto
dove si trova Challis.
— Perché non gli mandi un nastro con la tua richiesta? — gli
consigliò il thranx.
— Tu non penseresti subito che è una trappola?
Le mascelle di Bisondenbit ticchettarono. — Capisco. Sei uno
strano essere, uomo-ragazzo.
— Neppure tu sei un incubante. Dov'è?
La chitina delle spalle del thranx si mosse producendo un
caratteristico raschiamento, come un cartone passato su una stuoia.
Bisondenbit parlò con una percettibile sfumatura d'orgoglio.
— Io non sono uno dei vermi al soldo di Challis, te lo garantisco.
Tu l'hai fatto scappare da Falena, e adesso l'hai fatto scappare an
che da Hivehom. La sede principale della Challis si trova nella capi
tale della Terra, e sono convinto che Challis si è rifugiato là. Senza
dubbio ti sta aspettando, se nel frattempo non è morto di paura.
Possa tu trovarlo prima che quelli che t'inseguono trovino te. — Fe-
ce per andarsene, poi si fermò più che mai incuriosito.
— Addio, Bisondenbit — lo salutò Flinx, asciutto. Il thranx fece
per aggiungere qualcosa, ma vide il minidrago che cominciava a
muoversi e ci ripensò. Si allontanò lanciando di tanto in tanto delle
occhiate dietro di sé e borbottando insoddisfatto. Da parte sua,
Flinx non provava il minimo senso di colpa per aver lasciato andar
libero un borsaiolo. Non spettava certo a qualcuno che aveva sulla
coscienza la sua parte di losche attività, pensò, giudicare quelle di
un altro.
Per quale motivo Challis non avrebbe voluto credere che lo
scopo che spingeva lui a cercarlo non era un'inutile e primitiva
vendetta? Decise che Challis riusciva a capire soltanto le menti
perfide e crudeli come la sua. In un modo o nell'altro doveva
escogitare qualcosa per aggirare l'ostacolo.

Il viaggio da Hivehom all'altro pianeta-capitale del


Commonwealth, la Terra, era assai lungo, anche alla propulsione
massima. Ma Flinx si considerò infine ripagato dal panorama che si
godeva dal traghetto che lo trasportava giù dalla grande nave
transpaziale.
Quella era la verde leggenda, Terra magnificat, il luogo da cui
era proliferata l'umanità, seconda capitale del Commonwealth e
sede della Chiesa Unita. Il mondo in cui un rozzo primate si era
improvvisamente sollevato sulle zampe posteriori per essere più
vicino al cielo, mai immaginando che un giorno l'avrebbe varcato.
Eppure, salvo per l'azzurro degli oceani, in sé quel globo non era
niente di notevole, per la maggior parte una distesa di nubi bianche
e di brune macchie di terra. Lui, del resto, non avrebbe saputo dire
cosa si era aspettato. Guglie dorate che trapassavano le nubi, forse,
o montagne scintillanti di cromo che si stagliavano contro i mari:
tutto ciò era allo stesso tempo assurdo e sublime. Ma certamente la
Terra possedeva ambedue queste qualità, anche se non le esibiva
nel modo clamoroso che lui aveva sognato.
Certo, pensò mentre la navetta sprofondava attraverso l'alta at
mosfera, l'onnipresente e sfavillante color smeraldo di Hivehom col
piva assai di più, e anche le gialle «ali» di Falena — cioè i resti dei
suoi anelli — erano molto più spettacolari.
Ma in qualche punto là sotto, il suo bis-bisnonno o bis-bis-bis
nonno era nato e vissuto e morto...

CAPITOLO QUARTO

Scendendo lungo un invisibile corridoio diretto da ovest a est, la


navetta passò sopra il grande centro direzionale di Perth prima d'ini-
ziare la lunga planata finale sopra le interminabili distese coltivate
dell'Australia centrale. Flinx intravide fugacemente singole città,
grandi impianti per la produzione di cibo e scintillanti stazioni per
l'energia solare, concentrati soprattutto intorno alla metropoli indu
striale di Alice Springs. Batté la mano sulla lussuosa valigia ai suoi
piedi, ascoltò il confortante sibilo che ne uscì, e si allacciò la cintura
per l'atterraggio.
Il traghetto stava scendendo verso il più grande porto per
navette di tutta la Terra. Il porto formava la base del gambo di
un'immensa T brulicante di edifici, la cui sommità si allargava a nord
e a sud fronteggiando le calde acque del Pacifico. Brisbane era la
capitale della Terra da centinaia di anni, e il suo porto marittimo —
in posizione ideale fra le distese continentali e l'aperto Pacifico —
era il più attivo del pianeta. Era anche nella posizione più
conveniente per i grandi insediamenti thranx dell'Australia
settentrionale e della Nuova Guinea, e per la sede centrale della
Chiesa Unita a Denpasar.
Ci fu un lieve urto, e furono a terra.
Nessuno al terminale mostrò d'aver notato Flinx, né più tardi
mentre si avviava lungo le strade dell'immensa città. Si sentiva tre
mendamente solo, ancor più che a Hivehom.
La capitale lo stupì. Lì non c'erano torri svettanti. Brisbane non
brulicava di attività commerciali come la città di Lala, nel nordovest
dell'America, oppure Londra o Jakutsk, o perfino il mercato di
Drallar. Le strade erano assai tranquille, e in alcuni punti spiccava
ancora un'architettura originale, pittoresca, che risaliva perfino a un
periodo precedente all'Amalgamazione.
Gli uffici governativi apparivano sì adeguatamente immensi, ma
erano stati costruiti bassi, aderenti al suolo, e fornivano un'ampia
prospettiva panoramica poiché si estendevano in una sapiente
combinazione di metallo e pietra affondata nel verde.
Localizzare la sede della Challis fu abbastanza semplice.
Un'accurata ricerca gli permise d'identificare senza difficoltà il luogo
in cui sorgeva la residenza di famiglia. Ma riuscire a entrare in quella
specie di santuario isolato e protetto era tutt'altra faccenda.
Le osservazioni di Bisondenbit gli tornarono alla mente: come
avrebbe potuto raggiungere Challis e spiegargli il proprio scopo
prima che il mercante lo facesse uccidere?
Doveva trovare il modo di prolungare il tempo che Challis gli
avrebbe concesso prima di distruggerlo. Doveva... Verificò la carta
di credito. Non era ricco, ma certamente si trovava molto al disopra
delle condizioni di mendicante. Comportandosi con oculatezza
avrebbe avuto qualche settimana di tempo per trovare la ditta più
adatta per portare a compimento il suo piano.
Trovò la ditta che cercava alla periferia della zona industriale a
sud della città. Una segretaria lo scortò da un vicedirettore, il quale,
presa visione degli abbozzi che Flinx aveva preparato, a sua volta lo
condusse dal direttore.
Questo era una vecchia signora la quale, essendo laureata in in
gegneria, non ebbe difficoltà ad afferrare gli aspetti tecnici della ri
chiesta. La sua preoccupazione riguardava altri aspetti.
— Perché gliene servono tanti? — chiese, stringendo le labbra e
scostandosi istintivamente dalla fronte una ciocca di capelli grigi.
— Conosco bene la gente con cui dovrò trattare. Credo proprio
che mi servano tutti.
Lei fece dei calcoli sul minuscolo computer da tavolo, poi con
templò nuovamente i suoi abbozzi. — Possiamo senz'altro
procurarle ciò che lei vuole, ma il tempo necessario e il grado di
precisione desiderato richiederanno molto denaro.
Flinx diede il nome di una banca locale e un numero. Una breve
conversazione al videotelefono fece sì che il volto dell'anziana signo-
ra si allargasse in un sorriso. — Sono lieta che questo aspetto sia
sistemato. Le questioni di denaro mi fanno sempre sentire un po'
sporca, sa? Uhm... posso chiederle per cosa intende usarli?
— No — rispose in tono amabile Flinx, mentre Pip si spostava
pigramente sulla sua spalla. — È per questo, che sono venuto da
voi: una piccola ditta con una grande reputazione.
— Lei sarà disponibile per la programmazione? — chiese
ancora la vecchia signora, esitando.
— Trasferimento diretto, se sarà necessario.
Ciò parve sistemare definitivamente le cose nel cervello del diret-
tore. Lei si alzò e gli porse la mano. — Penso proprio che potremo
accontentarla, signor...
— Usi pure il numero della banca che le ho dato — replicò lui,
sorridendo e stringendole la mano.
— Come vuole — acconsentì lei, chiaramente delusa.

Il contrasto fra il sontuoso azzurro dell'oceano e le colline sab


biose della Costa d'Oro era sensazionale. Un alto crinale poco di
stante era sparso di lussuose residenze private, ampiamente spaziate
fra loro e disposte in modo da godere il più possibile dello splendi
do panorama della baia... nonché da fornire spazi aperti, fra vicini,
che non presentavano difficoltà a una sorveglianza continua e
discreta.
Una fra queste residenze spiccava appunto per la sua
riservatezza spinta all'estremo. Era situata addentro alle rocce come
un topazio incastonato nell'oro; del tutto priva di angoli acuti,
sembrava far parte integrante della scogliera chiazzata qua e là
d'erba. Soltanto le finestre di vetrolega bizzarramente sagomate
indicavano che là dietro c'era un'abitazione.
Più in basso, riccioluti frangenti percuotevano la sponda con
geometrica regolarità, cugini più piccoli delle grandi ondate che si
rovesciavano contro la costa più a sud. Lì, in un antico villaggio
ribattezzato Surferparadise, una congerie di umani di molte razze
misti ad alieni di altri mondi praticavano il surf, lasciandosi
trasportare dalle acque ribollenti per centinaia di metri fino alla
battigia.
Flinx se ne stava lì osservando, senza partecipare. Seduto su una
bassa duna, nervi e muscoli distesi, studiava i più recenti adepti di
quello sport arcaico. Non lontano da lui sostava il veicolo di
superficie che aveva noleggiato.
In quel momento Flinx stava osservando un gruppo misto di gio
vani, ognuno dei quali era allo stesso tempo più vecchio e più giova-
ne di lui. Erano studenti di una delle molte grandi università che
mantenevano alcune delle loro facoltà nella capitale. Quel gruppo
disdegnava di esibirsi con le tavole in favore del più breve e violento
surf corporale. Tra loro c'erano alcuni giovani thranx, e ciò era ov
vio. L'azzurro cupo dei maschi e l'intenso acquamarina delle femmi
ne erano quasi invisibili sull'acqua, e spiccavano chiaramente soltan
to quando la sommità di un cavallone si frantumava in una cresta di
schiuma candida. Il surf corporale non era certo uno sport nativo
dei thranx, ma come molti altri sport umani era stato da loro gioio
samente adottato. Vi portavano la loro caratteristica bellezza: anche
se un thranx non avrebbe mai potuto uguagliare l'agilità da foca di
un essere umano, quando si trattava di cavalcare nudi le onde erano
assai superiori. Flinx contemplò i loro corpi dal duro guscio danzare
sulla parte anteriore delle onde, il torace superiore proiettato in
avanti così da consentire all'aria di raggiungere le spicole respirato
rie. Di tanto in tanto un umano montava sulla schiena di un amico
thranx per una doppia cavalcata. Ciò non rappresentava il minimo
fastidio per le cavalcature insettoidi, il cui corpo era più duro e quasi
altrettanto galleggiante delle tavole ellittiche.
Flinx sospirò. La sua adolescenza era stata piena di attività assai
meno innocenti. Le circostanze l'avevano fatto maturare troppo in
fretta.
Abbassò gli occhi sulla sabbia e spinse in fuori un piede per im
pedire l'avanzata di un granchio eremita. Con un dito lo fece rotola
re sul fianco. Il piccolo crostaceo sferzò furiosamente l'aria con le
zampette pelose e scagliò granelli di collera indignata contro il suo
enorme assalitore. Recuperato l'equilibrio, continuò ad avanzare
lungo la sua incerta traiettoria, a una velocità appena maggiore del
normale. Flinx sospirò: se anche gli esseri umani avessero badato ai
fatti loro con altrettanta tenace determinazione...
Esplorando con gli occhi su e giù lungo la costa, al centro della
quale la casa di pietra gialla cercava di nascondersi il più possibile
tra i dirupi, rifletté che Challis doveva far ritorno presto dai suoi
uffici nella capitale.
Un gabbiano stridette sopra di lui, annunciandogli che era giunto
il momento...

Conda Challis non aveva dimenticato il suo giovane inseguitore


quando scese, scortato dalla sua guardia personale, dal veicolo di
superficie. Mahnahmi corse fuori dalla casa per dargli il benvenuto,
ed entrambi videro la figura in tuta che stava risalendo il viottolo con
aria solenne. In qualche modo, aveva valicato le difese esterne.
Mahnahmi restò col fiato sospeso, e Challis riuscì perfino a
diventare ancor più pallido. — Francis...
La guardia del corpo di Challis non aspettò altri ordini. Aveva
notato la reazione di entrambi, il suo datore di lavoro e la figlia, e
fulmineamente dedusse che la persona che si stava avvicinando era
una che non si doveva stare ad ascoltare ma uccidere. Estratta la
pistola, sparò prima ancora che Challis avesse fatto in tempo a
completare l'ordine.
Naturalmente la persona che stava risalendo il viottolo avrebbe
potuto essere anche del tutto innocua. Ma già in passato Challis gli
aveva perdonato simili sviste, che anzi avevano rinforzato la fiducia
di quel grand'uomo in lui...
La fiducia di Challis diede i suoi frutti, poiché la figura del giova
ne dai capelli rossi che gesticolava all'impazzata si disintegrò in una
spaventosa esplosione innescata dal lanciaraggi illegalmente
sovraccarico.
— E questa è fatta, finalmente — mormorò il mercante con
torva soddisfazione. — Ma non mi sarei mai aspettato che riuscisse
ad arrivarmi così vicino. Grazie, Francis.
La guardia rinfoderò la pistola, assentì brevemente col capo, poi
iniziò un giro completo intorno alla casa, per un'accurata ispezione
alla ricerca di altre possibili insidie.
Mahnahmi si era avvinghiata disperatamente alla vita di Challis.
Normalmente il mercante sdegnava ogni affettuosità; ma poiché il
fulmineo episodio l'aveva scosso al punto di fargli provare sentimen-
ti quasi normali, non scacciò via la bambina.
— Oh, sono così contenta che tu l'abbia ucciso — disse
Mahnahmi, tirando su rumorosamente col naso. Challis abbassò gli
occhi su di lei e la fissò stranamente.
— Sei contenta che io... Ma perché? Perché avrebbe dovuto
spaventare te?
— Be'... — La sua voce angelica esitò. — Spaventava te, e così
spaventava anche me.
— Uhm — grugnì Challis. A volte i commenti di quella bambina
suonavano sorprendentemente maturi. D'altra parte, rammentò a se
stesso sorridendo, dal giorno della nascita era vissuta in compagnia
di adulti. Altri tre o quattro anni, se non prima, e sarebbe stata
pronta per un altro tipo di educazione.
Mahnahmi rabbrividì e si nascose la faccia tra le mani, cosicché
Challis non potesse accorgersi che lei rabbrividiva di ripugnanza e
non di paura. Francis, completato il giro, ricomparve e non fece ca
so a lei. Mahnahmi aveva letto i pensieri di Challis riguardo al suo
futuro (non era la prima volta che glieli leggeva nella mente), e come
al solito erano viscidi e appiccicosi come la scia di una lumaca.
— Benvenuto a casa, signore. La cena sarà pronta fra poco —
disse il maggiordomo, accogliendoli. — C'è un tale che l'aspetta,
signore. Non ha armi con sé: ho controllato personalmente. Insiste a
dire che lei lo conosce. La sta aspettando in soggiorno.
Challis sbuffò irritato, e si svincolò bruscamente da Mahnahmi.
Era insolito che qualcuno venisse fin lì per affari. Gli uffici di Challis
al centro della città erano perfettamente accessibili alla clientela
legittima, e comunque lui preferiva che nessuno venisse fin lì a vio
lare l'intimità della sua residenza personale.
Tuttavia poteva pur sempre trattarsi di Cartesan con urgenti in
formazioni sull'acquisto di quel forte quantitativo di minerale grezzo
su Santos V, oppure... Si avviò verso il soggiorno, dietro a
Mahnahmi che lo stava precedendo di corsa.
Una figura con la schiena rivolta verso di lui contemplava l'ocea
no sottostante attraverso l'ampia finestra ricurva. Challis si accigliò,
e cominciò a dire: — Non credo...
La figura si voltò. Challis, che si era appena ripreso dallo
spavento subito mezzo minuto prima, fu colto completamente di
sorpresa. I circuiti semiorganici che controllavano il suo occhio
artificiale, il sinistro, si contrassero e lo fecero ruotare
vorticosamente nell'orbita, confondendo ancor di più i suoi pensieri.
— Senti — prese a dire affannosamente la figura dai capelli
rossi. — Devi ascoltarmi. Non voglio farti del male. Voglio soltanto
che tu...
— Francis! — strillò il terrorizzato mercante alla vista del fanta
sma.
— Dammi solo un minuto, un minuto per spiegare — insisté
Flinx. — Finirai soltanto col rovinare la tua mobilia, se... — Ac
cennò ad alzarsi.
Challis fece un balzo indietro, fuori dal soggiorno, e premette fre-
netico un pulsante nascosto. Interruttori simili a quello erano dissi
mulati accanto a ogni porta, dentro la casa. Era il suo estremo
dispositivo di sicurezza, e funzionò con perfetta efficienza.
Una fitta rete di raggi azzurri sprizzò da lenti nascoste nelle pare
ti, tracciando nel soggiorno una specie di mosaico di pura energia.
Due raggi trapassarono la figura dai capelli rossi. Challis aveva
dovuto aspettare che si alzasse in piedi, altrimenti i raggi gli
sarebbero passati sopra la testa senza colpirlo.
Il mercante si esibì in una breve risata nervosa mentre la figura
crollava, scivolando goffamente contro il divano e rotolando poi sul
pavimento. Dietro Challis, Mahnahmi fissava la scena con gli occhi
spalancati.
Challis lottò per dominare il respiro affannoso, poi con cautela si
avvicinò alla figura immobile. Le tirò un calcio, prima con cautela e
poi con tutte le forze. Il corpo esanime non cedette sotto il suo
stivale come avrebbe dovuto.
Sporgendosi in avanti, Challis scrutò i due fori che i raggi aveva
no prodotto sul petto del visitatore. Non c'era sangue, e all'interno
di entrambi i fori intravide qualcosa di carbonizzato che non era
carne né ossa. L'odore che ne emanava era famigliare... ma sbaglia
to.
— Circuiti elettrici e gelatina elastica! — borbottò. — Non c'è
da meravigliarsi che ce ne fossero due. Robot.
— Robot! — squittí una voce argentina dietro di lui. — Non c'è
da meravigliarsi che... — Lei tacque di colpo, e Challis,
accigliandosi, si girò a mezzo verso di lei.
— Cosa stavi dicendo, Mahnahmi?
Lei si mise un dito in bocca e cominciò a succhiarlo con aria
innocente mentre fissava la figura contorta sul pavimento. — ... che
non uscisse sangue — concluse, in tono disinvolto.
— Sì, ma... — riprese Challis, il volto preoccupato, — ... dov'è
Francis?
— Sta dormendo — l'informò una nuova voce. Le mani del
mercante ricaddero impotenti lungo i fianchi, e Mahnahmi si ritrasse
istintivamente quando Flinx fece il suo ingresso nella stanza, col suo
sorriso sornione. A differenza dei primi due, quel terzo esemplare
aveva un rettile che si agitava, arrotolato sulla sua spalla destra.
— Mi dispiace — proseguì. — Temo di aver dovuto metterlo
fuori combattimento... e anche quel tuo troppo zelante
maggiordomo. Hai un personale troppo nervoso, Challis. — La sua
mano si alzò e toccò la parete accanto al pulsante nascosto che
comandava i lanciarazzi multipli. — Davvero un bell'espediente!
Challis valutò freneticamente la possibilità di gettarsi lungo diste
so sul pavimento; poi distolse lo sguardo dal pulsante, fissò di
nuovo Flinx e si leccò le labbra.
— Vuoi smetterla con la tua fissazione? — lo pregò il giovane.
— Se volevo ucciderti avrei già attivato questo comando, non ti
pare? — E picchiò col dito sulla parete accanto al pulsante. Challis
si lasciò cadere lungo disteso, con un'esclamazione angosciata.
Mahnahmi si precipitò piegata in due verso di lui, urlando con
collera infantile: — Uccidilo, papà, uccidilo!
— Va' via! — ringhiò all'improvviso Challis, sbattendola da
parte con un ceffone. E lentamente si risollevò, prima in ginocchio e
poi in piedi, e fissò la figura silenziosa nel corridoio. — Hai ragione,
avresti potuto uccidermi facilmente e non l'hai fatto. Perché?
Flinx si appoggiò allo stipite della porta. — È un bel po' di tem
po, che cerco di dirtelo. Quell'incidente su Falena è passato, finito,
chiuso. Non ti ho inseguito fin qui per ucciderti. La tua morte non
sarebbe valsa la pena che io facessi un viaggio fino a Hivehom e
meno ancora fin qui sulla Terra.
— Non riesco a crederlo... ma forse sei davvero sincero —
confessò il mercante, mentre cercava faticosamente di rimettere
ordine nei pensieri. — Sei davvero tu, questa volta?
— Sì. — Il giovane annuì e indicò la propria spalla sulla quale
Pip allargava le mascelle in impressionanti sbadigli. — Non sono
mai senza Pip. Oltre a essere la mia miglior assicurazione, è anche il
mio migliore amico. Come hai fatto a non notare che le mie due
riproduzioni meccaniche sono comparse senza Pip sulla spalla?
— Uccidilo! — urlò di nuovo Mahnahmi.
Challis si voltò verso di lei. — Chiudi il becco, altrimenti ti darò a
Francis perché si diverta con te appena avrà ripreso i sensi. Perché
questa improvvisa collera, Mahnahmi? Lui ha ragione: a quest'ora
avrebbe potuto uccidermi un paio di volte, se davvero l'avesse
voluto. Comincio a convincermi che dica la verità. Perché sei così...
— Perché lui... — cominciò a dire precipitosamente Mahnahmi;
poi si azzitti e riprese, guardando per terra: — Perché mi fa paura.
— E allora vai dove non può farti paura. Va' nella tua stanza. Su,
presto, esci da qui.
La ragazzina dai capelli dorati si voltò e si diresse, altezzosa e
fremente di rabbia, verso una porta all'estremità opposta della stan
za, biascicando fra i denti qualcosa che certamente Challis non
avrebbe apprezzato se fosse stato in grado di udirla.
Ma Challis si era voltato di nuovo a fissare incuriosito Flinx. —
Ma se non mi vuoi morto, allora perché, in nome di Aucreden, mi
hai dato la caccia attraverso metà Commonwealth? — Improvvisa
mente divenne un ospite estremamente gentile. — Su, entra,
accomodati, bevi qualcosa. Vuoi fermarti a cenare con noi, stasera?
Flinx scosse la testa, sogghignando in un modo che a Challis non
piacque affatto. — Non voglio la tua amicizia, Challis, ma soltanto
alcune informazioni.
— Se si tratta dei gioielli di Janus o di qualunque altra cosa col
legata a loro, non posso dirti nulla.
— Non c'entra niente con questo, né col tuo tentativo di costrin
germi a partecipare alle tue depravazioni private. Quando stavi
per... lasciare la tua casa, a Drallar, hai detto qualcosa sulle caratte
ristiche della mia discendenza materna.
Challis parve perplesso. — Se dici che l'ho detto, l'avrò detto
senz'altro. E allora?
— Io non so assolutamente nulla dei miei veri genitori. Tutto ciò
che il mio venditore ha potuto fornire alla mia madre adottiva è stato
il mio nome. Nient'altro. — Flinx si sporse avidamente in avanti. —
Credo che tu ne sappia di più.
— Be', io... non ci ho mai pensato.
— Hai detto che avevi un fascicolo su di me, che avevi
accumulato informazioni sul mio passato.
— È vero. Per essere sicuro che tu possedessi realmente il tipo
di talento che stavo cercando, era necessario indagare sulla tua
storia personale il più completamente possibile.
— Dove ti sei procurato le informazioni?
— Non vedo ragione di tenertelo nascosto... salvo il fatto che
non lo so. — La mano di Flinx si mosse di scatto verso l'interruttore
fatale. — Ma è vero, è vero! — urlò Challis, di nuovo in preda al
panico. — Credi forse che io possa tenere a mente ogni più piccola
fonte d'informazione che la mia gente scopre? — Si drizzò, con
esagerato orgoglio. — Si dà il caso che io sia a capo di una...
— Sì, sì — ammise impaziente Flinx. — Non deliziarmi con
l'elenco dei tuoi titoli. Puoi identificare la fonte dell'informazione?
Vediamo se il tuo sistema di raccolta dati è efficiente come sostieni.
— Se ti accontenterò — chiese bruscamente il mercante, —
sarà l'ultima volta che ti vedrò?
— Questa è l'unica cosa che voglio da te.
Infine il mercante si decise. — Aspetta un attimo. — Si voltò e si
diresse verso l'estremità opposta della stanza. Fece scorrere all'insù
il coperchio di quello che sembrava un antico scrittoio di legno.
L'interno risultò gremito di blocchi magnetici e circuiti logici collegati
a un'elaborata tastiera. Le dita di Challis si mossero rapide sui tasti.
Si produsse tutta una serie di lampeggiamenti e ticchettii, quindi
dalle nascoste profondità dello scrittoio uscì un piccolo nastro
stampato che lui inserì in un lettore.
— Ecco qui. Vieni a vedere tu stesso.
— Grazie, ma preferisco restare qui. Leggimelo tu.
Challis scosse la testa davanti a quell'irragionevole mancanza di
fiducia, poi rivolse l'attenzione al testo ingrandito. — Bambino di
sesso maschile — lesse meccanicamente, — età registrata sette
mesi all'orfanotrofio patrocinato dalla chiesa di Allahabad, provincia
India, Terra. Quest'informazione è seguita dall'elenco dei dati
d'identificazione (impronte digitali, corneali, retiniche, conformazione
del cranio e così via) più alcune caratteristiche puramente esteriori
quali colore dei capelli e degli occhi, numero delle pieghe cutanee
alle articolazioni delle dita, e così via.
«Tutti questi dati sono messi a confronto con quelli relativi a un
orfano di cinque anni venduto sotto il nome di Philip Lynx in tale e
tale data al libero mercato di Drallar, Falena. A quanto pare i miei
informatori hanno avuto l'impressione che ci fossero sufficienti coin
cidenze per affermare che si trattava dello stesso bambino».
— Ma il nome... il nome del bambino all'orfanotrofio di
Allahabad, lo dice? — Flinx doveva sapere se Lynx era il suo vero
nome di famiglia oppure se era soltanto un nomignolo che gli era
stato dato perché era figlio di una «lynx», cioè di una di quelle
donne sofisticate e indipendenti che sceglievano e abbandonavano
gli amanti per propria scelta, libere di andare e venire come
desideravano.
Challis non fu in grado di dirglielo. — Qui non c'è. Se vuoi ulte
riori informazioni, probabilmente dovrai cercarle nella documenta
zione originale della Chiesa... ammesso che ti venga concesso di ac-
cedervi. Potresti cominciare da Allahabad, naturalmente, ma senza
dare prima un'occhiata alla documentazione originaria sarebbe diffi
cile dire da dove cominciare. Inoltre, Denpasar è molto più vicina.
— Allora andrò lì.
— Non riuscirai mai ad avere accesso a quei documenti.
Ragazzo mio, credi che sia concesso a chiunque lo voglia di
accedere agli archivi originali della Chiesa?
— Dimmi soltanto dove si trova Denpasar.
Challis sogghignò. — Su un'isola chiamata Bali, a circa
cinquemila chilometri da qui in direzione nordovest, nell'arcipelago
indonesiano.
— Grazie, Challis, non mi vedrai mai più. — Flinx si girò e
scomparve lungo il corridoio. Subito Challis si voltò verso un
complesso di piccoli schermi situati sopra la tastiera. Uno mostrava
il suo visitatore che si stava dirigendo all'ingresso principale. Challis
schiacciò un pulsante. La figura dai capelli rossi allungò una mano
per far scattare il meccanismo di apertura... e sia lui che la porta si
dissolsero in una vampa accecante. Il contraccolpo giunse fino a
Challis, obbligandolo ad aggrapparsi per non cadere.
— Non rendo certo facile l'ingresso agli ospiti indesiderati —
commentò, lanciando uno sguardo truce alla tastiera. — Ma una
volta dentro, faccio in modo che non escano più.
Ciò che adesso era, Challis non lo era diventato affidandosi al
caso. Forse l'assurda storia del ragazzo era vera, ma poteva anche
trattarsi di un espediente per attirarlo in qualche inimmaginabile
trappola diabolica. Che il ragazzo fosse astuto era stato dimostrato
ampiamente. In ogni caso non costava nulla accertarsene.
Soltanto la sua vita.
Chiuso lo scrittoio, Challis uscì con calma dalla sala. Fu sorpreso
d'incontrare Mahnahmi nel corridoio. Dietro di lei il telaio metallico
della porta principale, contorto e annerito, fumigava ancora: adesso
sovrastava un cratere irregolare che si estendeva per un buon tratto
nel corridoio, prolungandosi all'esterno della casa attraverso la pavi-
mentazione di ferrocemento della stradina di accesso.
La ragazzina reggeva in mano qualcosa. Un pezzo di braccio.
Fluidi variamente colorati ne sgocciolavano fuori, e minuscoli cavi
penzolavano da ambedue le estremità squarciate. Challis fu afferrato
da un miscuglio di paura e di ammirazione mentre fissava il fram
mento dell'arto che Mahnahmi stava ispezionando con tanta accura
tezza. Per la prima volta cominciò a chiedersi che razza di creatura
si fosse scelto come nemico. Che si trattasse di qualcosa di più di
un diciassettenne insolitamente astuto l'aveva sospettato fin da
quell'incredibile fuga da Hivehom. Ora ne era certo.
Quel braccio, ovviamente, era meccanico. Il Flinx della cui
autenticità Challis era convinto era solo un automa più convincente,
come Mahnahmi avrebbe potuto dirgli subito. Ma ora Flinx se n'era
andato, pensò con rabbia la bambina, e aveva guastato il suo gioco.
Quei pezzi rimasti erano così interessanti... Continuò a scrutare il
pezzo di braccio, e lo confrontò con un frammento di serpente
volante metallico lì vicino.
Non era giusto! Poiché Challis aveva detto a quell'automa ciò
che l'automa voleva sapere, lei non avrebbe più rivisto il vero Flinx.
E con Flinx lei si era tanto divertita! Ora avrebbe dovuto trovare la
mente di qualcun altro con cui giocare...

Flinx seguì con lo sguardo il granchio eremita, il quale, conclusa


l'esplorazione, si lasciò trasportar via dal risucchio di un'onda mo
rente. Quando il granchio scomparve, Flinx spense il registratore af
fibbiato alla cintola. Quel nastro non aveva registrato più nulla, dopo
che il terzo simulacro era stato distrutto dal mercante.
Flinx si alzò in piedi, spazzolando via la sabbia che gli era rimasta
aderente al vestito. Rifletté tristemente sull'infondata paranoia di
Conda Challis. Finalmente lui aveva appreso tutto ciò che era
possibile da quel grasso mercante, e l'informazione era lì al sicuro in
quel piccolo e prezioso registratore che funzionava su distanze
sorprendenti. I robot erano stati un azzardo costoso, ma avevano
funzionato.
Flinx tornò alla vettura presa a nolo. Sul sedile accanto a lui c'era
una speciale tastiera con cinque spie luminose. Tre erano spente,
mentre due brillavano ancora di una costante luce verde. Challis
avrebbe appreso con vivo interesse che, se avesse distrutto il terzo
visitatore prima di rispondere alle sue domande, erano in attesa altri
due Flinx eseguiti alla perfezione. Per qualche istante Flinx pregustò
l'idea di aspettare la notte e di mandarli tutti e due nella camera da
letto del mercante. Ma... no. Si sarebbe reso passibile di una de
nuncia per molestie continuate — o peggio — ai danni di un'altra
persona.
Invece inviò ai due simulacri rimasti il segnale di ritorno alla base.
Le due luci verdi cominciarono ad ammiccare con regolarità, in
dicando che si stavano muovendo. Erano sulla via del ritorno alla
fabbrica dove Flinx li aveva ordinati. Là le loro complesse interiora
sarebbero state recuperate, e lui sarebbe tornato in possesso di una
porzione non trascurabile del conto in banca che aveva così brutal
mente svuotato.
Mise in moto la piccola e potente vettura e la regolò perché lo
portasse automaticamente al porto delle navette atmosferiche. Quel
terminale per voli esclusivamente planetari si trovava molto lontano
a sud della capitale, nelle vicinanze della zona industriale nord di
Sydney.
Challis aveva esplicitamente affermato che sarebbe stato assai
difficile per un estraneo avere accesso agli archivi della sede
centrale della Chiesa Unita. Be', lui l'avrebbe controllato ben presto.
Là, seppellita in quegli archivi, c'era un'oscura genealogia che lui
voleva a tutti i costi rintracciare.

CAPITOLO QUINTO

I voli suborbitali da e per ogni città importante della Terra si


svolgevano con cronometrica regolarità, riempiendo perennemente
il cielo di quel gigantesco porto. L'impiegato nel quale Flinx
s'imbatté aveva un aspetto lustro ed efficiente, ma la sua mente era
ottenebrata da un quarto di secolo passato a dar sempre le stesse
risposte alle domande più sciocche. Perdipiu lui sapeva di non
potersi aspettare nessuna promozione, e inoltre sospettava che la
sua figlia più piccola desse simultaneamente appuntamenti a due
uomini anziani e a una giovane signora. Quando Flinx gli si presentò,
l'impiegato stava appunto riflettendo che ai suoi tempi le ragazze si
comportavano in modo assai diverso.
— Ho appena cercato di acquistare un biglietto per una città
chiamata Denpasar — gli spiegò Flinx, — ma la biglietteria
automatica ha lampeggiato Nessuna destinazione del genere.
Perché?
— Lei da dove viene, giovane signore? — chiese cortesemente
l'impiegato.
Flinx lo fissò a bocca aperta. Ben poche volte in vita sua qualcu
no l'aveva chiamato «signore». Stava per rispondere «Vengo dalla
città di Drallar, sul pianeta Falena», ma all'improvviso ricordò una
delle sagge massime di mamma Mastino: «Rispondi sempre nel mo
do più conciso possibile alle domande che ti fanno, ragazzo mio»,
gli aveva detto. «Ciò farà sì che la gente ti consideri intelligente e
non noioso, e nello stesso tempo tu le darai il minor numero possi
bile d'informazioni su di te».
Rispose semplicemente: — Da fuori pianeta.
— Da molto fuori, oserei dire — replicò l'impiegato. — Non sa,
giovane signore, che Bali è un'isola chiusa? Soltanto tre categorie di
persone sono autorizzate a viaggiare fin là. — Le enumerò sulle dita
mentre parlava. — I balinesi e i loro parenti, i religiosi, e i funzionari
governativi con autorizzazione speciale.
Scrutò attentamente Flinx. — Lei potrebbe anche passare per un
balinese, se non fosse per quella chioma color carota: perciò,
chiaramente, non è un nativo. Lei non sostiene di essere un
religioso, e... — (represse un sorriso) — ... e io non credo proprio
che lei sia un rappresentante governativo. Comunque, perché vuole
recarsi a Bali?
Flinx scrollò ostentatamente le spalle. — Ho sentito dire che è la
sede centrale della Chiesa Unita. Ho pensato che poteva essere un
luogo interessante da visitare mentre facevo il giro turistico della
Terra. Tutto qui.
Ah, una domanda-standard, dunque. Qualunque sospetto avesse
cominciato a nascere nella mente dell'impiegato, morì subito. — È
comprensibile. Se comunque le basta poter contemplare il
panorama di Bali, può recarsi in un punto da cui può contemplarlo
con tutto comodo, vale a dire... — (fece una pausa per controllare i
dati che una grossa bobina magnetica trasmetteva a uno schermo
davanti a lui) — ... l'estrema punta orientale dell'isola di Giava. Ci
sono stato anch'io. Potrà guardare Bali da Banjuwangi, e lì vicino
c'è Surabaja, una vecchia città molto pittoresca. Può perfino
godersi il volo giornaliero sopra il riallevamento dei dinosauri, a
Komodo. Ma quanto a Bali — (scosse la testa con rincrescimento)
— è forse più facile atterrare sulla Casa Imperiale che entrare a
Denpasar. In verità lei potrebbe anche entrare a Denpasar, se
riuscisse in qualche modo a infilarsi in una navetta diretta a quella
città. Ma non potrebbe più uscire dall'isola senza essere prima
sottoposto a un interrogatorio che mi dicono molto ma molto duro.
— Capisco — fece Flinx, sorridendogli con gratitudine. —
Ignoravo tutto questo. Lei mi è stato di grande aiuto.
— Dovere mio, signore. Si goda il resto del suo soggiorno sulla
Terra.
Flinx si allontanò immerso in profondi pensieri. Così, c'era pur
sempre una vaga possibilità di raggiungere l'isola. Ma lui era
davvero disposto, poi, a subire quel duro interrogatorio per poterne
uscire? No, non era disposto. Ciò lo lasciava con tutto il problema
di riuscire a farsi ammettere in un luogo dove a nessuno era
consentito entrare. No, ricordò a se stesso, bisbigliando alla
valigetta e al suo coriaceo contenuto: questo non era
completamente vero. Tre categorie di persone potevano accedere
all'isola.
Neppure prese in considerazione di falsificare qualche
lasciapassare governativo: lui era chiaramente troppo giovane per
spacciarsi per un funzionario di qualunque tipo. Forse avrebbe
potuto dichiarare di essere un novizio della Chiesa. Ma forse la
terza possibilità era migliore... Cos'aveva detto, quell'anziano
impiegato? Salvo per i suoi capelli rossi, lui non avrebbe potuto farsi
passare per un balinese?
Passando davanti a un pannello di metallo lucidato a specchio,
alto tre metri, Flinx vide la propria immagine riflessa. Un po' di tin
tura per capelli, un corso accelerato di lingua locale, una barchetta...
no, non poteva essere così facile! Ma c'era pur sempre la possibilità
che la semplicità stessa del suo piano gli consentisse di farla in
barba a coloro che stavano proteggendo l'isola da infiltrazioni molto
più agguerrite e sofisticate. E lui aveva constatato spesso che una
certa dose di faccia tosta poteva rivelarsi l'arma più efficace per
turlupinare anche la più cipigliosa burocrazia di tutto quel braccio
della galassia.
Si voltò e fece ritorno alla riottosa biglietteria automatica. Batté
la nuova richiesta sulla tastiera, infilando nell'apposita fessura la sua
carta di credito computerizzata. Il risultato fu un biglietto di andata
sulla navetta per Surabaja...
L'antica città mercantile aveva conservato molto dello spirito del
passato. Flinx si sentì subito a casa propria, imparando qualcosa
che sospettava da tempo: un mercato affollato è assai simile a
qualunque altro mercato affollato, in qualunque punto della galassia
si trovi.
Tutti parlavano terranglo e simbolingua, oltre al venerando dialet-
to locale conosciuto come «bahasa indonesiano». Flinx si procurò
facilmente della tintura nera; e appena il colore dei suoi capelli cam
biò, lui diventò identico a ogni altro indigeno. Poche settimane tra
scorse tra la folla gli consentirono, grazie alle sue naturali doti di
linguista, d'impadronirsi quanto bastava del linguaggio locale.
Procurarsi una barchetta fu abbastanza semplice. Se il tentativo
di spacciarsi per balinese purosangue fosse fallito, avrebbe sempre
potuto ripiegare sulla versione che lui era uno sfortunato pescatore il
cui pilota automatico si era guastato, cosicché non aveva potuto
opporsi alle raffiche del vento che l'avevano spinto fuori rotta. Inol
tre fece un'ultima considerazione: per qualunque spia extraterrestre il
momento difficile sarebbe stato quello di superare senza destar
sospetti la dogana all'astroporto, e lui l'aveva già fatto senza diffi
coltà.
Così, dopo qualche giorno di tranquilla crociera sull'automatico,
si trovò in vista dei torreggianti picchi dei monti Agung e Batur, i
due vulcani che dominavano l'isola.
Scelta una notte senza luna, si avvicinò al punto più settentrionale
della magnifica spiaggia deserta chiamata Kuta, sul lato occidentale
di Bali. Nessuna pattuglia comparve a intimargli l'alt quando tirò la
barca sulla sabbia. Nessun lanciaraggi automatico balzò fuori da
pozzi nascosti per fulminarlo dove si trovava.
Fino a quel momento, il successo era stato completo. Ciò non
diminuì, però, la sua inquietudine. Una cosa era trovarsi, saldo sui
piedi, su una spiaggia deserta; un'altra, e ben diversa, era penetrare
nei più riposti recessi della Chiesa Unita.
Si avviò verso l'interno dell'isola, sempre reggendo il suo unico
bagaglio (la valigetta perforata che conteneva pochi indumenti e
Pip); e non gli occorse molto per imbattersi in una strada lunga e
non lastricata nel folto della giungla che faceva da sfondo alla spiag
gia. Camminava già da molte ore quando infine convinse un veicolo
agricolo di superficie a raccoglierlo. Il contadino che guidava la
macchina gli diede un passaggio fino a Bena, e lì Flinx non ebbe
difficoltà ad affittare un bekak automatico per raggiungere la città di
Denpasar vera e propria.
Tutto andò bene, come non aveva quasi osato sperare. Il
contadino aveva supposto che lui fosse un forestiero venuto a far
visita a parenti in città, e Flinx non aveva visto nessuna ragione di
mettersi a contestare una scusa che gli era stata offerta bella e
confezionata. Né il giovane agricoltore aveva mostrato il minimo
desiderio di passare dal terranglo al bahasa, cosicché la lingua
frettolosamente appresa da Flinx non fu messa alla prova.
La padrona della locanda alla quale Flinx si rivolse gli fece un'ot
tima accoglienza, anche se insisté nel voler vedere l'animale nella va-
ligia. Alla fine Flinx glielo mostrò, augurandosi che la donna non
fosse una comare ciarliera. Se la voce fosse giunta, di bocca in boc-
ca, fino ai rappresentanti della Chiesa, qualcuno avrebbe potuto in
curiosirsi per la presenza, su Bali, di un animale extraterrestre e così
mortalmente pericoloso come un minidrago.
Ma Flinx rifiutò deliberatamente di preoccuparsi. Dopotutto, non
si trovava forse sistemato comodamente in una camera, nel cuore
proprio di quella città per raggiungere la quale gli era stato detto che
avrebbe incontrato difficoltà insormontabili? L'indomani si sarebbe
occupato del modo migliore di penetrare nel sistema organizzativo
della Chiesa. Per prima cosa doveva scoprire dove venivano
conservati, sull'isola, i documenti genealogici, e poi quali procedure
bisognava seguire per potervi accedere. Forse avrebbe dovuto
operare una o due abili falsificazioni, o addirittura rubare
un'uniforme della Chiesa ed entrare a testa alta e sfacciatamente nel
complesso.
Flinx il prete... Si addormentò sogghignando per quel pensiero e
per la reazione che avrebbe avuto mamma Mastino se avesse
potuto vederlo così acconciato...

La mattina dopo diede inizio al personale assalto ai più segreti


santuari della più potente organizzazione di tutto il Commonwealth.
Il primo passo fu quello di trovare una vettura pubblica con un
conducente il più possibile ciarliero. Flinx scelse il più vecchio che
gli riuscì di trovare, basandosi sull'ipotesi che i tassisti che facevano
quel mestiere da più tempo erano sì inclini a chiacchierare fin troppo
ma sotto ogni altro aspetto si facevano i fatti loro. Il conducente
scelto era un patriarca dalla bianca criniera, con un folto paio di
baffi cascanti. Era sottile ma tenace come fil di ferro, come la mag
gior parte degli indigeni. Le donne erano tutte belle, una parata di
bambole tutte uguali che sembravano invecchiare di colpo passando
dai quattordici agli ottant'anni senza fasi intermedie.
Alcune avevano già iniziato a lanciare a Flinx occhiate non del
tutto casuali, ma in quegli ultimi anni lui aveva cominciato ad
abituarcisi man mano che cresceva. Adesso, tuttavia, non aveva
tempo per quelle faccende.
— Cos'hai in mente per il tuo giro, signore?
— Sono venuto fin qui a trovare i miei cugini a Singaradja. Ma
prima di essere travolto da zii e zie, vorrei visitare l'isola senza
essere assordato da discorsi di famiglia. I vecchi templi... e quelli
nuovi.
Il vecchio non batté ciglio: si limitò ad annuire e avviò il motore.
Il giro fu completo almeno quanto il vecchio fu loquace. Fece
ammirare a Flinx la grandiosa spiaggia di Kuta dove i giganteschi
cavalloni della Sunda Bali si frangevano, senza sapere che Flinx
aveva valicato quelle stesse onde la notte prima. Lo condusse alla
grande stazione di ricerche oceanografiche a Sanur, e all'estesissimo
parco naturale dell'università della Chiesa alla periferia di Denpasar.
Gli mostrò gli impianti nei quali la Chiesa conduceva le più disparate
ricerche, tutti costruiti nel vecchio stile balinese carico di sculture
(ora realizzate in ferrocemento) che decoravano fittamente muri e
soffitti. Gli fece attraversare le antiche risaie lungo i pendii di alte
montagne terrazzate: le più belle risaie della Terra, insisté a dire il
vecchio, anche se ora i contadini coi loro ampi copricapi guidavano
piccoli trattori agricoli e non cavalcavano più i bufali d'acqua.
Passò mezza giornata prima che Flinx osasse commentare: —
Non è proprio come me l'aspettavo, il quartier generale della
Chiesa Unita.
— Be', cosa ti aspettavi? — chiese il vecchio. — Una
riproduzione su scala maggiore dell'enclave del Commonwealth a
Brisbane? Cupole dai riflessi neri e bronzei e guglie alte migliaia di
metri rivestite di mosaico?
Flinx si lasciò andare sul sedile consunto accanto al conducente e
parve confuso. — Non sono mai stato alla capitale, naturalmente,
ma ho visto le fotografie. Immagino proprio di essermi aspettato
qualcosa di simile... sì.
Il vecchio gli rivolse un caldo sorriso. — Non sono un esperto
nella mentalità della Chiesa, figliolo, ma alla mia anima contadina
sembrano persone semplici, gentili. L'università è il più grande edifi
cio della Chiesa sull'isola; e l'osservatorio di astrofisica, con i suoi
quattro piani, il più alto. — Per un po' tacque, mentre
costeggiavano un fiume dentro una stretta gola.
— Secondo te — riprese, — perché la Chiesa Unita, secoli fa,
ha scelto quest'isola per il suo quartier generale?
— Non lo so — rispose in tutta sincerità Flinx. — Non me lo
sono mai chiesto. Per essere vicini alla capitale, suppongo.
Il vecchio autista scosse la testa. — La Chiesa era qui molto
tempo prima che Brisbane fosse proclamata capitale della Terra.
Per essere un tizio che se ne va in giro con uno spirito garuda per
compagno, tu mi sembri parecchio ignorante, figliolo.
— Uno spirito garuda? — Flinx vide il conducente che girava la
testa e fissava quella del rettile semiaddormentato che aveva fatto
capolino dalla spalla. Pensò freneticamente a una risposta, poi si ri
lassò.
— Ma il garuda è un uccello, non un serpente.
— Nel tuo animaletto vedo lo spirito — gli spiegò il conducente,
— non la forma.
— È qualcosa di buono, dunque — replicò Flinx, ricordando
che il mostruoso uccello garuda era una creatura buona nonostante
l'aspetto feroce. — Ma qual è allora la ragione della presenza della
Chiesa in quest'isola, se non per trovarsi vicina alla capitale?
— Credo che ciò sia dovuto al fatto che i valori della Chiesa e
del popolo balinese sono assai simili. Entrambi mettono l'accento
sulla gentilezza e sulla creatività. Tutta la nostra arroganza e animo
sità si è esaurita nelle antiche mitologie.
Flinx guardò il vecchio con nuovo rispetto e nuova curiosità. In
quel momento ebbe quasi il sospetto che in realtà non fosse un sem-
plice tassista ma qualcosa di ben più... ma si affrettò a scacciare
quel pensiero, frutto della sua mente inquieta.
— Il nostro gesto più aggressivo è una scrollata di spalle —
riprese il vecchio, contemplando con amore il paesaggio
circostante. — Questo è l'effetto di vivere in uno dei più bei posti
della galassia.
Aveva cominciato a cadere una pioggia sottile. Il vecchio chiuse
il tettuccio della vettura e inserì l'aria condizionata. Flinx, che fino a
quel momento era stato costretto a recitare la parte del quasi-
indigeno, benché andasse orgoglioso della sua capacità di
adattamento ai più strani ambienti esalò un sospiro mentale di
sollievo alla rinfrescante carezza.
L'umidità del più bel posto della galassia era davvero soffocante.
Non c'era da stupirsi che i membri thranx della Chiesa Unita
avessero consentito che la sede centrale fosse edificata lì, molti
secoli prima.
Fecero una sosta a Ubud, e Flinx fece finta d'interessarsi alle fa
mose sculture di legno, nei negozi che il vecchio gli aveva
raccomandato. Questa non era un'usanza esclusivamente balinese.
Mamma Mastino aveva anche lei i suoi accordi con le guide
turistiche a Drallar.
Il giro riprese, e la necessità di mostrarsi interessato divenne
sempre più un peso per Flinx, il quale giunse a sbadigliare mentre
attraversavano la caverna degli elefanti e ammiccò davanti alle sacre
sorgenti e ai templi costruiti su altri templi.
Davvero un'appropriata scelta per la sede centrale della Chiesa,
pensò quando le nuvole sì aprirono e un doppio arcobaleno
comparve dietro il fumante cono del monte Agung, alto migliaia di
metri. Le vesti color acquamarina della gente della Chiesa che
incontravano si fondevano con naturalezza nel caleidoscopio di tinte
smaglianti della giungla ancora abbondante e rigogliosa, allo stesso
modo degli alberi da frutta che sorgevano immobili come sentinelle
lungo le strade o sui bordi dei campi e delle risaie a terrazzi.
— È tutto molto bello — disse infine Flinx al vecchio conducen
te, — ma ora mi piacerebbe molto vedere il quartier generale della
Chiesa.
— Il quartier generale della Chiesa? — Il vecchio parve incerto,
e si tirò un baffo. — Ma tutta l'isola è il quartier generale della
Chiesa Unita.
— Sì, lo so — replicò Flinx, cercando di non apparire
impaziente, — ma io intendo il quartier generale del quartier
generale.
— Be'... — Il vecchio alzò gli occhi e smise di tirarsi il baffo. —
La cosa più vicina a questo sarebbe il centro amministrativo, ma
perché qualcuno voglia vederlo non lo so proprio. —
All'improvviso sorrise, esibendo una fila di denti bianchi tra le labbra
raggrinzite. — Ti aspetti ancora torri di metallo sfolgorante e archi
di ametista, eh, figliolo? — Flinx parve imbarazzato. — Lascia però
che ti dica che, anche se il centro amministrativo non merita che
qualcuno ci perda tempo, si trova in un ambiente che lo stesso
Budda gl'invidierebbe.
Infine il conducente si decise. — Bene: allora ti porterò lì, se
proprio ti sei messo in testa di andarci.
Proseguirono verso nord, uscendo da Ubud e risalendo un
pendio terrazzato sempre più ripido lungo una vecchia carrozzabile
che non mostrava nessun segno dell'intenso traffico che Flinx si era
aspettato intorno al quartier generale di un quartier generale. Forse
il vecchio aveva ragione. Forse la sede centrale che lui cercava non
esisteva.
Forse stava sprecando il proprio tempo.
Si sporse dal finestrino. Vide che il fondo stradale conservava le
sue caratteristiche di una via ben poco frequentata, coperto com'era
da una compatta distesa d'erba alta parecchi centimetri, senza segni
di un continuo passaggio di veicoli.
Infine la vettura si fermò con un sospiro. L'anziano autista invitò
con un gesto Flinx a scendere, e lui lo fece. Il conducente lo scortò
fino all'orlo di un precipizio.
Flinx si sporse cautamente a guardare. In fondo a una valle, cen
tinaia di metri più sotto, si stendeva un lago ampio e poco profondo.
Campi irrigati e case di contadini sparpagliate qua e là spiccavano
tra il verde.
Sulla riva opposta del lago, sugli ultimi pendii del fumante monte
Agung, c'era un gruppo di modeste strutture squadrate, alte due
piani e rivestite di smalto color acquamarina. Erano di aspetto
strettamente funzionale, se non addirittura brutto. Non vi svettava
nessuna torre, nessun arco. A un'estremità del complesso
s'innalzavano alcune antenne metalliche dalle quali spuntavano fiori
artificiali di fitta rete, dal profilo astratto, e lì vicino si apriva una
radura ampia quanto bastava a ospitare una piccola navetta
atmosferica.
Era tutto lì?
Flinx fissò l'intera scena, incredulo. — È sicuro che sia questo?
— Sì, quello laggiù è il centro amministrativo. Io non ci sono sta
to, ma dicono che viene usato soprattutto per archiviare documenti.
— Ma la cancelleria della Chiesa?... — cominciò a protestare
Flinx.
— Ah, tu intendi dire il luogo dove s'incontrano i consiglieri? È
l'edificio basso a forma di conchiglia che ti ho fatto vedere a
Denpasar, accanto all'osservatorio solare. Non ricordi? — Flinx si
frugò nella mente e scoprì che infatti lo ricordava. Un edificio
dall'aspetto appena più solenne di quel modesto gruppo laggiù
vicino al lago.
— Il Consiglio della Chiesa Unita si riunisce in quell'edificio una
volta all'anno, ed è lì che vengono prese tutte le decisioni. Posso
riportarti là, se vuoi.
Flinx scosse la testa, incapace di nascondere il disappunto. Ma...
Se quelli in riva al lago erano depositi per i vecchi documenti, forse
proprio là dentro si trovava ciò che lui era venuto a cercare. E se
non era così? Be', prima di tutto avrebbe dovuto risolvere il proble
ma di lasciare l'isola senza incorrere in quelle sgradevoli domande...
e poi avrebbe cercato altrove, magari ad Allahabad, nella provincia
India.
— Lei mi ha detto di non esserci stato — fece, rivolto al
vecchio. — La Chiesa proibisce i visitatori?
Il conducente parve divertito. — No, che sappia io. È che non
c'è nessuna ragione di andarci. Ma se proprio lo desideri...
Flinx si voltò e si avviò verso l'auto. — Andiamo, allora. Può la
sciarmi là.
— Ne sei proprio sicuro, figliolo? — chiese il vecchio, in tono
preoccupato, fissando il sole basso sull'orizzonte nel cielo gravido di
umidità. — Presto farà buio. Potresti incontrare difficoltà a trovare
una macchina che ti riporti indietro.
— Ma io credevo... — cominciò Flinx.
Il vecchio scosse la testa e riprese con pazienza: — Tu non vuoi
ancora ascoltarmi. Non ti ho forse detto che quello là è poco più di
un magazzino? Non c'è traffico, là nella valle. È un luogo dove tutto
si svolge lentamente, lontano da qualunque città. Sinceramente, se
io fossi un prete preferirei essere destinato a Benoa o Denpasar
piuttosto che là al centro amministrativo. È un luogo tremendamente
solitario. Comunque — concluse con una scrollata di spalle, —
sono soldi tuoi. Perlomeno sarà una notte calda.
Risalirono in auto, e il vecchio prese a guidarla lungo uno stretto
sentiero che serpeggiava sul fianco della valle, quasi invisibile. — Se
non riuscirai a trovare una macchina che ti riporti indietro — disse a
Flinx, — potrai sempre dormire disteso fra l'erba. Però fa' attenzio
ne ai centopiedi, che pungono in modo poco piacevole. Sono sicuro
che domattina qualche contadino ti darà un passaggio fino in città...
se ti sveglerai abbastanza presto.
— Grazie — disse Flinx, lo sguardo fisso alla valle sottostante. Il
lago scintillante raccolto alla base del vulcano era un panorama dav-
vero splendido, anche se la prosaica architettura del centro ammini
strativo continuava a ricevere tutta la sua attenzione. Man mano che
si avvicinavano il gruppo di edifici apparve sempre meno solenne, e
il suo smalto acquamarina s'impoverì sempre più al confronto dei
lussureggianti verdi e marroni della vegetazione che cingeva la mon
tagna. Quando raggiunsero il fondo della valle, Flinx si accorse che
quelle costruzioni erano prive di finestre. Ovvio, pensò, visto che
erano edifici riservati a oggetti inanimati e non a gente viva. La vet
tura si arrestò davanti a quello che doveva essere per forza
l'ingresso principale, dato che non ce n'erano altri. Flinx non vide
statue celebrative della fratellanza degli humanx, e nessuna fontana
col gioco di cento zampilli s'innalzava davanti alla semplice porta di
vetro. Poche e anonime vetture di superficie sostavano nel piccolo
parcheggio aperto, su un lato.
Flinx aprì la portiera e discese. Pip si agitò sulla sua spalla e lui lo
tranquillizzò, mentre porgeva la carta di credito al vecchio condu
cente.
Questo la infilò in una larga fessura del cruscotto e attese finché il
lettore computerizzato smise di ronzare. Effettuato il trasferimento
dei fondi, porse nuovamente a Flinx la carta di credito.
— Buona fortuna a te, figliolo. Spero che la tua visita valga tutto
l'incomodo che ti è costato venir qui. — E lo salutò con un cenno
della mano mentre il tassi ripartiva per affrontare la strada della
montagna.
«Incomodo» è un'espressione inadeguata, vecchio, pensò Flinx
mentre ricambiava l'augurio gridando il tradizionale saluto: —
Selamat seang!
Sostò per qualche istante davanti al centro amministrativo, ascol
tando il lieve sgocciolio dell'acqua fra i terrazzi. Il sommesso put-
put di una macchina agricola guidata dalla mano di un contadino
giunse fino a lui attraverso i campi. Secondo quanto aveva letto su
una vecchia guida, in quell'epoca dell'anno si stava effettuando il
quinto raccolto di riso, mentre si cominciava a seminare il sesto.
Ma Flinx ormai era sazio fino alla nausea di quell'isola, dei suoi
templi, della sua agricoltura. Avrebbe cercato di sbrigare il più rapi
damente possibile la sua ricerca fra quelle poco invitanti strutture, e
se non avesse trovato niente avrebbe poi tentato agli archivi di
Allahabad, e infine, con o senza le informazioni desiderate, avrebbe
fatto ritorno su Falena.
Si rimproverò per non aver prestato più attenzione all'indiretto
suggerimento dell'impiegato al porto delle navette atmosferiche a
sud di Brisbane, di venirsene a Bali in volo fingendo di essere un
funzionario governativo in missione. Invece aveva sprecato il suo
tempo a imparare la lingua locale e a pilotare la piccola barca.
Certo, si disse, lui si era aspettato una fortezza corazzata dalle
pareti spesse un paio di metri irte di lanciaraggi e proiettori
SCCAM. E invece si era trovato a correre su e giù attraverso
un'isola di coltivatori di riso e studenti. Neanche la cancelleria era in
seduta.
Salì i pochi gradini e spinse la porta a vetri, constatando con di
sgusto che si apriva manualmente e senza che nessuno intimasse il
chivalà. Un breve corridoio sboccava su una stanza circolare
dall'alto soffitto a cupola. Il suo sguardo fu attirato verso l'alto... e
lui restò lì a guardare, affascinato. L'intera cupola era occupata da
una proiezione tridimensionale dell'intera galassia abitata. Ogni
pianeta del Commonwealth era chiaramente contrassegnato da un
codice a colori e da minuscole parole in simbolingua.
Flinx identificò per primi la Terra e Hivehom, per i loro colori più
brillanti; poi trovò Evoria, Amropolous, Bell'Alveare — i mondi dei
thranx — e i pianeti umani di Repler, Falena, Catchalot e Centaurus
III e V. Deboli scintille indicavano gli avamposti dell'esplorazione
humanx, mondi di frontiera come Burley con i suoi enormi
giacimenti metalliferi, Rhyinpine dalle innumerevoli caverne abitate
da trogloditi, e il gelido e lontanissimo globo di Tran-ky-ky.
I suoi occhi si abbassarono quindi sul pavimento, dove scoprì un
mosaico complesso anche se concettualmente semplice e significati
vo: era formato da quattro grandi cerchi, due dei quali rappresenta
vano gli emisferi della Terra e gli altri due quelli di Hivehom. Nel
centro del disegno c'era un cerchio più piccolo, tangente a tutti e
quattro gli emisferi e diviso in quattro settori a formare due clessidre
stilizzate: una azzurra, il simbolo della Terra, e una verde, a rap
presentare Hivehom. Le due clessidre s'intersecavano in una piccola
area centrale dove i due colori si fondevano dando l'acquamarina, il
colore della Chiesa Unita.
La parete della stanza s'interrompeva in tre punti, rivelando al
trettanti corridoi: uno che svaniva in lontananza proprio davanti a lui,
gli altri due che si aprivano a sinistra e a destra. Negli spazi in
termedi la parete era illustrata con le figure dei grandi personaggi
della Chiesa Unita — sia thranx che umani — rappresentati in
atteggiamento umile e rispettoso. C'era, più solenne, una scena che
rappresentava la firma dell'Amalgamazione, l'atto che formalmente
aveva unito thranx e uomini. Il quarto Supremo, David Malkezinski,
toccava con la fronte le antenne del tri-eint Arlenduva, mentre la
veramano dell'insetto stringeva la mano destra dell'umano.
Sul lato destro di quel bassorilievo erano incise alcune delle mas
sime fondamentali della Chiesa Unita: «L'uomo è un mammifero, il
thranx è un insetto, ma entrambi sono fratelli»; «Non imporrai la tua
civiltà»; «Fa' che la tua forza fisica sia sempre dominata dalla luce
della tua intelligenza»; «Se Dio avesse voluto che l'uomo e il thranx
si dedicassero esclusivamente a lui, non avrebbe fatto i loro mondi
così complicati»; «La presunzione è l'ineluttabile presupposto della
distruzione»... L'elenco continuava ancora a lungo.
Sulla parete di fronte c'era un'altra sfilza di considerazioni
filosofiche più recenti, che Flinx lesse con vivo interesse. Aveva
appena letto le concise frasi che condannavano l'edonismo in
quanto violazione del primo Editto, e stava iniziando l'esplicito
ammonimento di non fidarsi di niente e nessuno che si presentasse in
nome di una giustizia assoluta, quando una voce lo interruppe:
— Posso aiutarla, signore?
— Cosa...?
Flinx si girò di scatto, colto di sorpresa, e vide una giovane don
na in una veste acquamarina che lo fissava, stupita quanto lui. Era
seduta accanto all'ingresso del corridoio di sinistra, dietro uno scrit
toio sul quale erano sparse alcune carte. Non si era minimamente
accorto di lei, prima.
— Ho detto: posso aiutarla? — Lei gli si avvicinò e lo fissò negli
occhi. Già questo era insolito. La maggior parte delle sue nuove co
noscenze abbassavano quasi subito lo sguardo, puntandolo sulla
forma scagliosa arrotolata sulla sua spalla.
Quell'esile ragazza, però, continuò a ignorare il serpente volante.
Ciò indicava o una forte miopia o una notevole sicurezza di sé,
pensò Flinx. L'indifferenza di lei nei confronti di Pip era la prima
cosa che lo colpiva veramente, su quell'isola.
— Mi scusi — mentì con disinvoltura. — Stavo giusto per venire
da lei. L'ho fatta aspettare troppo?
— Oh, no: ho soltanto pensato che lei si stesse stancando.
Ormai è più di un'ora che sta studiando quelle mappe e quelle
iscrizioni.
Flinx si girò verso la porta a vetri, e vide che lei gli stava dicendo
la verità. Fuori era calata una notte tropicale nera come la coscienza
di un giocatore d'azzardo.
Flinx si sentì inquieto e turbato. Gli sembrava di essersi soffer
mato a osservare le immagini e le scritte sulle pareti e sulla cupola
soltanto per pochi minuti. Il suo sguardo tornò nuovamente alla
mappa tridimensionale sopra di lui, alle figurazioni sulle pareti e alle
massime incise. Quei colori, quelle parole, quei rilievi realizzati con
tanta cura celavano forse qualche schema mnemonico in grado
d'imprigionare un osservatore costringendolo ad assorbirli suo
malgrado?
Le sue congetture furono nuovamente interrotte dalla calda voce
della ragazza: — Per favore, venga alla scrivania. Potrò esserle
meglio d'aiuto.
Sempre stordito, Flinx la seguì senza protestare. Fogli di carta e
numerosi piccoli schermi si trovavano sulla superficie dello scrittoio.
Vide anche file d'interruttori.
— Ero immersa nello studio — si scusò lei, — altrimenti sarei
intervenuta prima. Inoltre lei sembrava così affascinato...
Comunque, siccome il mio turno finisce tra breve ho pensato che
fosse giunto il momento d'intervenire per accertarmi se aveva
bisogno di qualcosa. Senz'altro il mio sostituto avrebbe ripreso a
ignorarla.
Se quella era una bugia, pensò Flinx, gli era stata propinata con
raffinata disinvoltura.
— Cosa sta studiando?
— Atteggiamento mentale ed equazioni filosofiche in rapporto
alle fluttuazioni demografiche ai livelli più elevati.
— Che cosa, scusi?
— Mi sto preparando a entrare nel corpo diplomatico — chiarì
lei (o almeno credette di averlo fatto). — Ma ora, mi dica: cosa
posso fare, per lei?
Flinx si trovò a fissare un'altra volta ancora la porta a vetri che si
apriva con una semplice spinta, la mappa tridimensionale sulla sua
testa, le immagini e le parole che ricoprivano le pareti tutt'intorno, e
confrontò tutto questo con la semplice (o addirittura squallida)
apparenza esteriore dell'edificio.
Tutto ciò in cui si era imbattuto sull'isola, dall'apparente modestia
di quel centro amministrativo al linguaggio del tassista, era una
mescolanza di semplicità e di sofisticazione. Una mistura pericolosa-
mente incerta. Per un attimo fu nuovamente tentato di girarsi di
scatto e uscire da quella porta incustodita dimenticando l'intera fac
cenda, compreso il suo viaggio attraverso mezzo Commonwealth e
l'intenzione di aggiungervi altre tappe. Aveva passato gran parte
della sua ancor giovane vita nello sforzo di evitare l'attenzione degli
altri; ora, qualunque cosa dicesse a quella ragazza, c'erano buone
probabilità di finire tra le grinfie di un gruppo di severissimi
inquisitori.
Ma, invece di girarsi e scomparire nella notte, disse: — Sono
stato allevato da una madre adottiva, che non ha nessuna idea su chi
fossero i miei veri genitori. E oggi non so ancora chi sono e da dove
vengo. Queste possono essere cose di nessuna importanza per
chiunque altro, ma per me... sono tutto.
— Anche per me sarebbe tutto — replicò la ragazza, seria. —
Ma cosa le ha fatto pensare che noi possiamo aiutarla a scoprirlo?
— Una persona che conosco ha accennato vagamente al fatto di
aver trovato alcune informazioni sulla mia ascendenza (alcuni indizi
che mi farebbero corrispondere fisicamente a un bambino nato qui
sulla Terra) nella città di Allahabad. Il mio nome attuale è quello che
compariva sui... documenti del mercante di schiavi, ma io non so se
è il mio vero nome di famiglia o soltanto un nomignolo che mi è
stato appioppato da un bello spirito qualche anno dopo la mia
nascita. Questo nome è Philip Lynx. — Lo pronunciò scandendo le
sillabe, ma non lo sentiva suo. Per lui, era quasi il nome di un
estraneo. Da troppo tempo lui era semplicemente Flinx.
— Mi era stato detto che questo era l'archivio di tutti i documen-
ti della Chiesa Unita, ma... — (con un gesto circolare del braccio
indicò la saletta in cui si trovavano con i suoi tre corridoi diretti
all'interno) — questi edifici mi sembrano di dimensioni così ridotte
da poter contenere soltanto una porzione trascurabile di quei docu
menti.
— Noi siamo molto efficienti, con lo spazio — replicò lei, come
se questa fosse una spiegazione sufficiente. — I documenti di
Allahabad sono conservati qui, come pure i documenti di qualunque
essere registrato dalla Chiesa. — I suoi occhi si mossero, ma non
per fissare Pip.
Flinx si girò di scatto, pensando che lei guardasse qualcuno com-
parso alle sue spalle; ma non vide nulla, e allora si voltò di nuovo
verso la ragazza e vide che gli stava sorridendo.
— I suoi capelli — gli spiegò con calma. — La tintura comincia
a venir via.
Flinx portò istintivamente le mani alla chioma e sentì il bagnato.
Quando le abbassò, erano macchiate di nero.
— Lei è rimasto alla pioggia troppo a lungo, e chiunque le abbia
venduto quella tintura l'ha imbrogliata. Ma perché tingerli, poi? Il
rosso è più che attraente.
— Un amico mi aveva consigliato altrimenti. — Non avrebbe
potuto dire se lei ci credeva, ma la ragazza preferì non insistere.
Toccò invece un interruttore sullo scrittoio.
— Allahabad, ha detto? — Flinx annuì. Lei si chinò su un micro
fono sopra lo scrittoio. — Controlla se ci sono documenti su Philip
Lynx — disse, — nato a Allahabad. — Sollevò gli occhi a fissarlo.
— Come si scrive?
Flinx allargò le braccia: — L-y-n-x, P-h-i-1-i-p: così stava
scritto sul foglio dello schiavista, ma potrebbe anche essere stato
scritto in modo sbagliato.
— Per una svista... o volontariamente, se chi l'ha trascritto era
stato corrotto — aggiunse lei, e si chinò nuovamente verso il micro
fono. — Controlla anche le possibili varianti grafiche. E inoltre tutte
le richieste avanzate per visionare quei documenti relative agli ulti
mi... cinque anni. — Poi spense l'apparecchio.
— Perché quest'ultima richiesta? — chiese Flinx. La ragazza si
era aggrondata.
— Quel suo conoscente non avrebbe dovuto avere accesso ai
suoi documenti: riguardano soltanto lei e la Chiesa. Eppure sembra
che qualcuno sia riuscito a consultarli abusivamente... Più avanti, se
lei è davvero questo Philip Lynx, dovrà affrontare un interrogatorio
nient'affatto piacevole.
— E se non lo sono?
— Dovrà rispondere ugualmente a un bel po' di domande, solo
che non avrà modo di consultare nessun documento. — Lei
sospirò. — Comunque, per quella fuga d'informazioni qualcuno
perderà la propria veste. I gradi più bassi della gerarchla sono
sempre vulnerabili alla corruzione, specialmente quando la richiesta
si riferisce a informazioni in apparenza innocue.
— Non c'è bisogno di preoccuparsi per me — replicò Flinx. —
L'unica cosa di cui sono certo in questa galassia è che io sono io.
— Sorrise. — Chiunque io sia.
Lei non ricambiò il sorriso. — Questo è ciò che scopriremo.
Quando infine tutta una serie di controlli ebbe dimostrato la sua
identità, la ragazza ridivenne cordiale con Flinx. — È tardi — os
servò, quando infine tutte queste procedure furono concluse. —
Perché non aspetta e comincia a visionare quei documenti domatti
na? C'è un dormitorio a disposizione per i visitatori; e può cenare
alla mensa, insieme al personale del Centro, se ha i soldi per
pagarsela. Oppure può chiedere l'elemosina, anche se la Chiesa
Unita non vede di buon occhio queste forme di carità individuale.
— Posso pagare — dichiarò Flinx.
— Meglio così, allora. — La ragazza gli indicò il corridoio più
lontano. — Segua la striscia gialla sul pavimento. La condurrà all'uf
ficio visitatori. Là si occuperanno di lei.
Flinx si avviò verso il corridoio, poi si voltò. — E la ricerca dei
dati? Dove...
— Si ripresenti a questa scrivania domattina. Io sarò di servizio
dalle dieci alle diciotto, per tutta la settimana. Dopodiché dovrà fa
ticare per riuscire a rintracciarmi al mio nuovo incarico. Dovrò tra
sferirmi a un'attività manuale... ma per il resto di questa settimana
potrò sempre esserle di aiuto. Mi chiamo Mona Tantivy. — Lei
tacque un attimo, continuando a fissare Flinx che si allontanava, poi
lo chiamò mentre stava per scomparire nel corridoio. — E se il
nome di Philip Lynx non corrispondesse al bambino nato ad
Allahabad?
— Allora — le rispose Flinx, gridando per farsi sentire, — potrà
chiamarmi come vuole...

CAPITOLO SESTO

Il cubicolo che gli assegnarono era assai piccolo e arredato in


stile spartano. Passò un'ora a levarsi da dosso la polvere di
parecchi giorni, e una piacevole sorpresa lo aspettava alla sua uscita
dal bagno: qualcuno aveva mandato a pulire i suoi vestiti, che erano
stati disposti in bell'ordine sul lettuccio. Fortuna, pensò, che aveva
portato con sé Pip nel bagno.
Sentirsi così pulito lo faceva quasi star male. Uscì dal cubicolo, e
la prima persona che incontrò gli indicò la mensa più vicina. Ben
presto si trovò mescolato a una folla di mantelli e tute color acqua
marina.
La mensa lo stupì: verdeggiante di piante e zampillante di fonta
ne, il suo lusso formava un vivo contrasto con la squallida semplicità
della facciata esterna del centro amministrativo. Era divisa in tre set
tori da pannelli semipermeabili. Il settore più vicino alla porta era
regolato su un clima temperato, e ospitava esclusivamente umani; il
settore più lontano fumigava immerso nel calore e nell'umidità pre
feriti dai thranx. L'area di mezzo, di gran lunga la più estesa, era
regolata su un clima intermedio, un po' troppo caldo e umido per gli
umani e un po' troppo asciutto e freddo per i thranx ma senz'altro
sopportabile per entrambi. Tutti e tre i settori erano affollati.
Flinx fu contento di notare, tra la folla, parecchi umani e thranx
che indossavano abiti di colore diverso da quello della Chiesa: ciò
lo fece sentire molto meno appariscente.
L'odore composito del cibo era dovunque: alcuni aromi erano
strani, insoliti, ma nel complesso tutto ciò era beri lontano dall'in
credibile varietà di odori che avvolgeva perennemente il mercato di
Drallar. Ma anche così, a Flinx venne l'acquolina in bocca. Non
aveva mangiato più niente da quando aveva fatto colazione, quella
mattina sul presto.
Fece le ordinazioni al cuoco automatico, e poco dopo gli fu ser
vita una bistecca di origine imprecisabile ma assai saporita, con un
assortimento di verdure. Quando però s'informò al distributore della
fine fatta dal resto della sua ordinazione, un piccolo schermo si ac
cese: Nessun intossicante, per quanto moderato, è permesso
all'interno del Centro.
Flinx inghiottì il suo disappunto — un ben misero surrogato della
birra che aveva ordinato — e si accontentò della shaka ghiacciata.
Pip era nuovamente arrotolato sulla sua spalla. Il serpente
volante aveva suscitato qualche commento, ma nessun timore. La
gente lì nella mensa — in una gamma che andava dai ragazzj di età
inferiore alla sua fino a vecchi che avevano superato di parecchio i
cent'anni — era stranamente indifferente di fronte alla possibilità che
il minidrago si mettesse all'improvviso a spargere la sua morte
corrosiva.
Flinx prese posto a un tavolo, senza attaccar discorso con
nessuno. I suoi peculiari talenti dormicchiavano ma il suo udito era
ben addestrato, poiché per sopravvivere a Drallar bisognava
servirsi di tutti i propri sensi sviluppati al massimo. Poté perciò
soddisfare la sua curiosità ascoltando le conversazioni che si
svolgevano intorno a lui.
Una coppia di thranx anziani stava discutendo alla sua sinistra
della possibilità di compiere manipolazioni genetiche sulle uova non
schiuse. Stavano confrontando il metodo «scorm» con la tecnica
oppordiana, o qualcosa di simile, e poi passarono a disquisire
sull'induzione di mutazioni nella pupa non ancora formata.
Cercando qualcosa di meno incomprensibile, Flinx ascoltò poi
una vecchia signora con due galloni color crema sulla manica che
teneva lezione ad alcuni novizi, due umani e due thranx. Sopra i
galloni ostentava il simbolo dell'atomo d'idrogeno.
— Così, vedete, da un'analisi delle ricerche condotte su Plutone,
Gorisa e Tipendemos durante gli ultimi otto anni risulta evidente che
qualunque ulteriore modifica delle armi SCCAM deve prendere in
considerazione i limiti tensoriali dello stesso rivestimento di
osmiridio...
Un boccone di pane e un altro brandello di conversazione,
questa volta da un uomo di mezza età seduto dietro di lui, con una
fluente barba bianca: — I livelli produttivi su Kansastan e Inter-
Kansastan nel settore di Bryan indicano che con una corretta
semina preatmosferica il raccolto di frumento potrà essere
aumentato del venti per cento durante i prossimi tre anni, e...
Flinx si accigliò, mentre rifletteva su quel variato e incessante
brusio. A turbarlo non era tanto la completa assenza di argomenti
religiosi ma il fatto che, anche se lui non era in grado di esprimere un
giudizio competente, perfino al suo orecchio non addestrato sem
brava che un gran numero di questioni assai delicate venissero di
scusse in completa libertà, in presenza di gente non appartenente al
la Chiesa. Non seppe decidere se ciò rivelava un'eccessiva fiducia o
addirittura una grave inefficienza da parte della Chiesa. Benché
quello della sicurezza non fosse un suo problema, questa
constatazione lo turbò ugualmente mentre finiva di mangiare.
La mattina dopo, quando si ripresentò alla scrivania, nell'atrio
dell'edificio, era ancora turbato. Mona Tantivy era in servizio, e gli
sorrise mentre lui si avvicinava. C'era molto movimento: religiosi e
altra gente continuavano a uscire e a entrare dalla porta a vetri, e
passavano da un corridoio all'altro.
— È pronto? — gli chiese lei.
— Voglio finirla con questa faccenda il più presto possibile —
rispose Flinx in un tono di voce più aspro di quanto avrebbe voluto.
Un tremito l'afferrò, ma riuscì a dominarsi.
La giovane lo fissò con aria di rimprovero, stringendo le labbra.
— Non si comporti come se stesse per essere processato in
tribunale.
— In un certo senso, è proprio così che mi sento — dichiarò
Flinx, cupo.
Ed era vero. Lui era cresciuto con un'immagine incompleta di se
stesso. Se non riusciva a completarla in quel luogo, con tutta proba
bilità sarebbe stato costretto a vivere con quel peso per sempre.
La ragazza annuì lentamente e schiacciò un pulsante. Qualche
minuto più tardi un umano sulla quarantina con una corporatura da
lottatore uscì dal vicino corridoio. Il suo sorriso era identico a quello
di Mona Tantivy, e lui irradiava lo stesso desiderio di aiutare e
collaborare. Flinx si chiese se il suo atteggiamento era naturale o se
faceva parte anche quello dell'istruzione religiosa: «profonda modifi
ca della personalità mediante un'adeguata serie di movimenti dei
muscoli facciali» o qualcosa di simile.
Quasi con rabbia, scacciò dalla mente l'istintivo sarcasmo.
L'unica cosa che importava, adesso, erano i motivi per cui era
venuto fin lì.
— Mi chiamo Namoto — disse il massiccio orientale,
presentandosi con un sorriso e una stretta di mano. — Sono lieto
d'incontrarla, signor Lynx.
Flinx sollevò una mano. — Non mi chiami così fino a quando
l'avremo dimostrato oltre ogni dubbio. Prima... soltanto Flinx, per
favore.
Il sorriso non si cancellò. — D'accordo, chiunque lei sia. Venga
con me e vediamo se riusciremo a scoprire chi è lei.
Dopo quelli che gli sembrarono non meno di venti minuti di
cammino lungo corridoi uno uguale all'altro, Flinx si trovò del tutto
disorientato. — È difficile credere che la documentazione della
Chiesa per ogni essere umano del Commonwealth...
— ... e per ogni thranx — completò Namoto per lui, — sia tutta
immagazzinata in questo piccolo edificio, ma è vero. L'immagazzina-
mento delle informazioni è una scienza vecchia di mille anni, Flinx.
L'arte della miniaturizzazione dei documenti è stata sviluppata al
massimo grado. La maggior parte dei documenti in questo edificio
sarebbero invisibili a un normale microscopio. I nostri analizzatori e
stampatori funzionano con poteri risolutivi molto superiori. — Si
fermò davanti a una porta che non sembrava diversa dalle altre cen
to davanti alle quali erano passati.
— Eccoci giunti.
La parola incisa sulla porta diceva semplicemente Genealogie.
Dietro quella porta c'era la storia di miliardi di creature humanx,
anche se non di tutte. C'erano individui che non desideravano
riguardo a loro altro documento che l'epitaffio, e alcuni ci
riuscivano.
Flinx, al contrario, era stanco dell'incompletezza della documen
tazione sulla sua vita.
— Potrebbe risultare che c'è un gran numero di Philip Lynx
sparsi qua e là per il Commonwealth — l'avverti Namoto mentre
apriva la porta, — anche se a causa di certe caratteristiche
sociologiche è un nome assai meno comune di tanti altri.
— So cosa significa — ribatté Flinx, brusco. Pip si mosse
inquieto a quell'improvvisa vampata di rabbia interiore.
La stanza oltre la porta era enorme. Per la maggior parte era oc
cupata da file di strutture metalliche, tutte uguali fra loro e separate
da corsie in apparenza interminabili. Le strutture metalliche andava
no dal pavimento al soffitto. Qua e là c'erano gruppi di cabine. Flinx
fu condotto a una fila di dieci: due erano occupate da altri
ricercatori, le restanti erano vuote. Namoto si sedette davanti al
grande schermo sulla parete di fondo di una cabina, e invitò con un
cenno Flinx a sedersi accanto a lui. Poi premette i pollici in due
cavità sul fianco dello schermo.
Una luce ammiccò, in basso, e lo schermo si accese. Namoto si
sporse in avanti e disse: — Mi chiamo Sbigeta Namoto. — Quindi
si tirò indietro. Ci fu un attimo di silenzio, poi la macchina ronzò e
una luce verde ammiccò al centro dello schermo.
— Lei è stato identificato, padre Namoto — intonò la macchina.
— Sono in attesa delle richieste.
— Riferisci i risultati della ricerca di ieri sera su un umano di
nome Lynx Philip. Trattieni le ortografie alternative fino a nuove
istruzioni. — Namoto si voltò e bisbigliò a Flinx: — Per cominciare,
supporremo che il nome sul documento del mercante di schiavi fos
se esatto.
— Possibile luogo di origine — proseguì, rivolto alla macchina,
— Allahabad, provincia India, Terra. — Lanciò un'occhiata al suo
ansioso compagno. — Quanti anni ha? Oppure non lo sa con
precisione?
— Mamma Mastino mi ha detto che dovrei averne diciassette,
anche se non può esserne sicura. Ci sono giorni in cui mi sembra di
averne settecento.
— E a volte a me sembra di averne sette — ribatté amabilmente
il massiccio sacerdote, riportando l'attenzione alla macchina.
— Preso nota dell'età approssimativa — dichiarò questa. —
Ora compaiono i risultati della ricerca.
Un breve elenco apparve sullo schermo. Namoto lo studiò. —
Avevo ragione — commentò. — Qui ci sono i dati di tre Philip
Lynx soltanto, nati e registrati ad Allahabad nell'ultimo mezzo
secolo. E uno soltanto ha un'età paragonabile alla sua. — Tornò a
rivolgersi alla macchina.
— Desidero ulteriori informazioni.
Ci fu un breve ronzio, poi sullo schermo comparve una scritta
intensamente luminosa: COLLEGAMENTO COL TERMINALE
DI ALLAHABAD. E un attimo dopo: COLLEGAMENTO
COMPLETATO. INFORMAZIONI IN CODICE.
Namoto scrutò la lista di numeri che seguirono. — Non pare che
ci siano molte informazioni. Spero che sia valsa la pena per lei... —
S'interruppe, improvvisamente preoccupato. — Sta bene, Flinx?
Sta tremando tutto.
— Sto benissimo... Qua dentro la temperatura è molto più bassa
che fuori, tutto qui. Faccia presto.
Namoto annuì, e ordinò alla macchina: — Decodifica le informa
zioni da Allahabad.
Le mani di Flinx si strinsero convulsamente sulle cosce, via via
che le parole comparivano sullo schermo:
LYNX PHILIP. NOME AUTENTICO. NATO 533 D.A.,
2993 VECCHIO CALENDARIO, NEI SOBBORGHI DI
SARNATH, GRANDE ALLAHABAD, PROVINCIA INDIA.
Ci fu una pausa durante la quale nient'altro comparve sullo
schermo. Flinx si girò verso Namoto, quasi urlando:
— È tutto qui?
— Calma, Flinx... Non vede? Sta arrivando dell'altro. — Nuove
parole comparvero.
NOTE AGGIUNTIVE: I DOCUMENTI DELL'ASSISTENTE
MEDICO E DEL MEDITECNICO DEL MONITORAGGIO
INDICANO LA PRESENZA DI UN'AURA INSOLITAMENTE
ALTA AL MO MENTO DELLA NASCITA NEL CAMPO
DELLE ONDE R, COME DA LETTURE DEGLI STRUMENTI
DELLA STANZA DELLA MATERNITÀ. NESSUNA
INSOLITA O CONTRASTANTE REAZIONE DA PARTE
DELLA MADRE. IL TRACCIATO DELL'ON DA R INDICA
LA POSSIBILE PRESENZA DI TALENTI ANOR MALI
CLASSE UNO.
PARTO NORMALE. NESSUNA REAZIONE DA ONDA R
IMPUTABILE A TRAUMA. CONTROLLO
POSTOPERATORIO NORMALE. NEONATO SOTTO OGNI
ALTRO ASPETTO NORMALE E IN SALUTE.
ETÀ DELLA MADRE 22. NOME: ANASAGE. NONNI
SCONOSCIUTI...
Namoto non guardò Flinx quando il messaggio concluse:
PADRE SCONOSCIUTO, NON PRESENTE ALLA
NASCITA.
Flinx lottò per distendere muscoli e nervi. Ora che questa prova
si era conclusa, si chiese a cosa fosse dovuta tutta la sua tensione.
Le informazioni che ne aveva ricavato gli dicevano poco; e quanto
all'ultima... be', gli avevano dato del bastardo un mucchio di altre
volte, e in modi ben peggiori di quello. Ma ancora non era riuscito a
sapere se Lynx era il suo vero cognome di famiglia oppure un
appellativo che gli avevano affibbiato in mancanza di meglio al
momento della nascita. Senza questa informazione — o altre
equivalenti — tutto il suo daffare non gli sarebbe servito a nulla.
— Ci sono informazioni sulle condizioni... — mormorò, con uno
sforzo, — ... sulle condizioni della... (ora la parola gli venne facile)
— ... della madre dopo il parto?
Namoto ripeté la domanda alla macchina. La risposta fu breve
ed eloquente:
MADRE DECEDUTA. FUORI PIANETA, 537 D.A.
ULTERIORI PARTICOLARI...
— Chieda in che... — cominciò Flinx, ma Namoto lo azzitti.
— Un momento, Philip.
Pip si agitò nervosamente quando il suo padrone ebbe una
reazione irritata: — Non mi chiami così. Io sono Flinx, soltanto
Flinx.
— Mi conceda un minuto, in ogni caso. — Namoto si servì di
una piccola tastiera per fornire manualmente nuove istruzioni alla
macchina. Si udì un basso gemito uscire dalle sue ermetiche
profondità. Una minuscola bobina di nastro alto un millimetro, così
sottile da essere quasi invisibile, fu espulsa da una piccola fessura.
Nel medesimo istante lo schermo s'illuminò una volta ancora:
STAMPA DELLE INFORMAZIONI FORNITE
COMPLETATA. ULTERIORI PARTICOLARI RITIRATI
DIECI MESI STANDARD DUE SETTIMANE QUATTRO
GIORNI PRIMA DI QUESTA DATA.
Namoto socchiuse gli occhi. — Qualcuno ha manomesso la sua
scheda, non c'è dubbio... — Tornò a rivolgersi alla macchina: —
Identifica chi ha eseguito il ritiro.
RISPOSTA IMPOSSIBILE. AUTORIZZAZIONE A
RISPONDERE A QUESTA DOMANDA CANCELLATA
DOPO IL RITIRO DEGLI ULTERIORI PARTICOLARI.
— Perfetto — fu tutto ciò che disse Namoto. — Quel suo
conoscente voleva essere sicuro che nessun altro avesse accesso
alle informazioni rubate, quali che fossero.
Un'immagine tinta di rosso crebbe nella mente di Flinx: Challis! Il
mercante l'aveva ingannato perfino nell'attimo in cui era convinto di
morire. Aveva confessato al simulacro dove aveva ottenuto le
informazioni su Flinx, ma senza aggiungere che l'informazione-chiave
non c'era più.
Ciò che aveva lasciato negli archivi della Chiesa era appena
sufficiente a soddisfare una superficiale ispezione, per impedire che
la cancellazione operata scatenasse l'allarme.
E Flinx era più che convinto che Challis non fosse certo rimasto
a Brisbane ad aspettare il suo ritorno. Perciò adesso lui doveva
ricominciare a dargli la caccia, e questa volta senza la più pallida
idea di dove potesse essersi cacciato il grasso mercante. Una voce
pacata accanto a lui si fece udire. Namoto gli stava porgendo la
minuscola bobina. — Qui c'è una copia di quel poco che il ladro ha
lasciato nell'archivio. — Flinx allungò la mano a prenderla, con
movimenti esitanti, stordito. — Mi spiace per le informazioni
scomparse, qualunque cosa potessero rivelarle. Sono convinto,
ormai, che se vorrà conoscerne il contenuto dovrà trovare di nuovo
quel suo conoscente e rivolgergli qualche domanda esplicita. E
quando l'avrà fatto, le sarò grato se si metterà in contatto con la più
vicina autorità ecclesiastica. — Il religioso aveva smesso di
sorridere. — Il furto di documenti della Chiesa è un crimine molto
grave.
«Questo nastro, come anche quello rubato, è un duplicato
ingrandito molte volte di quello originale dell'archivio. Qualunque
analizzatore microscopico le permetterà di riascoltarlo». Namoto si
alzò in piedi. «Se vuole riascoltarlo subito, usi pure l'analizzatore che
troverà nella terza cabina della fila a partire da questa. Io sarò alla
scrivania del sorvegliante, se avrà bisogno di me per qualunque
cosa».
Flinx annuì lentamente quando Namoto si voltò e si allontanò.
Challis! Ladro, assassino, distruttore della vita altrui! La
prossima volta avrebbe lasciato che Pip lo uccidesse. Il
Commonwealth sarebbe stato senz'altro più pulito e più salubre se
quel grasso e lurido mercante non fosse più... Qualcosa gli graffiò a
sangue la spalla e quasi lo strappò via dalla sedia. Pip era balzato
con la violenza di un'esplosione dalla spalla di Flinx che gli faceva
da posatoio. Flinx, cacciandosi la bobina in tasca, balzò a sua volta
in piedi e si lanciò lungo la corsia all'inseguimento della sua letale
bestiolina.
— Pip... aspetta... Non c'è niente... che...
Il minidrago aveva già raggiunto la porta. Sia Namoto che il sor
vegliante, precipitosamente allontanatisi dalla scrivania,
continuavano lentamente ad arretrare tenendo d'occhio il serpente.
Il minidrago cozzò contro la plexite translucida della porta, mentre
Flinx si precipitava lungo la corsia. Flinx stava chiamando il rettile
sia ad alta voce che mentalmente, pregando che il serpente si
calmasse prima che qualcuno — per quanto gentile e comprensivo
fosse — gli scaricasse addosso un'arma ammazzandolo.
Il minidrago arretrò, sbattendo le ali e contorcendosi nell'aria, e
sputò contro la porta. Ci fu un assordante sfrigolio, e nella plexite
comparve un grosso buco dai bordi irregolari. Flinx cercò
disperatamente di agguantare Pip per la coda, ma questa gli sfuggì
tra le dita: il rettile infuriato aveva già spremuto il corpo attraverso
l'apertura.
— Aprite la porta! — gridò Flinx. — Devo seguirlo!
Il sorvegliante restò come paralizzato, fino a quando Namoto gli
disse: — Apri la porta, Yena.
Yena si riscosse come d'incanto dalla sua immobilità. — Sì,
signore... Devo suonare l'allarme?
Namoto guardò Flinx, il quale era sul punto di scagliarsi addosso
alla porta, pronto a strapparla via dalle guide... o quantomeno a
provarci. — Pip non farà mai del male a nessuno, a meno che senta
che io sono in pericolo.
— Ma allora cosa gli è successo? — chiese Namoto, mentre la
porta si apriva. Flinx si tuffò fuori dalla stanza, seguito dal
sacerdote.
— Non lo so... Eccolo laggiù! Pip...
La coda arricciata stava giusto svanendo oltre una curva del
corridoio. Flinx si gettò all'inseguimento.
Nel labirinto dei corridoi, di tanto in tanto perse di vista l'infuriato
animaletto domestico. Ma gli umani dal volto pallido come la cenere
e i thranx dalle antenne che vibravano incontrollabilmente gli
indicavano il cammino seguito dal minidrago con la stessa chiarezza
di una scia di lacca scarlatta. Nonostante il corpo massiccio, padre
Namoto continuò a seguire dappresso Flinx. Ebbero l'impressione
di aver superato chilometri di corridoi e migliaia di angoli prima di
riuscire a raggiungere, ansanti, il minidrago. Pip stava sbattendo le
ali coriacee contro un'altra porta, molto più grande di tutte le altre
che Flinx aveva visto fino a quel momento.
Solo che lì non c'era un unico sorvegliante. Due uomini che in
dossavano uniformi acquamarina erano rannicchiati su un lato dietro
una barriera formata da un intreccio di tubi. Ognuno dei due stava
puntando un piccolo lanciaraggi sullo svolazzante minidrago. All'e
stremità opposta del corridoio era accalcato un piccolo gruppo di
religiosi e novizi che fissavano tremebondi la scena.
— Non sparate! — gridò Flinx, freneticamente. — Non farà
male a nessuno! — Rallentò la corsa e si avvicinò al serpente
volante. Ma Pip si mostrò ostinatamente sordo ai suoi richiami,
mantenendosi con infernale abilità fuori portata dalle mani del suo
padrone mentre continuava a sbattere col corpo contro la grande
porta.
— Qualunque cosa l'abbia fatto infuriare, si trova dall'altra parte
— gridò Flinx ai due uomini armati. — Fatelo passare.
— Quella è un'area riservata, ragazzo — replicò una delle due
guardie, dividendo l'attenzione fra il serpente volante e il nuovo arri
vato.
— Fateci passare — ordinò padre Namoto con quel po' di fiato
che gli era rimasto in gola, facendosi avanti cosicché tutti lo
vedessero chiaramente. La voce della guardia si fece rispettosa.
— Scusi, padre, non sapevamo che fosse lei a dirigere questa
faccenda.
— No, infatti. È il serpente, a dirigerla. Ma aprite ugualmente la
porta. Avete la mia autorizzazione.
Flinx ebbe pochi istanti per chiedersi quanto fosse importante in
realtà padre Namoto, che con tanta sollecitudine l'aveva assistito:
poi quella grande e pesantissima porta a doppio battente cominciò a
schiudersi. Pip riuscì a infilarsi nell'apertura quand'era larga appena
pochi centimetri, e nuovamente scomparve lasciando Flinx ad
aspettare fremente che lo spiraglio si fosse aperto abbastanza da
permettere anche a lui di passare. Poi, quando fu dall'altra parte, si
trovò in un corridoio non diverso dai molti che aveva già
attraversato.
Salvo per...
Salvo per la fila di sei ascensori davanti a lui. Due padri-eletti
stavano aspettando davanti all'ascensore all'estremità di sinistra.
Uno era un umano molto vecchio, alto e stranamente deforme.
Accanto a lui, una giovane femmina thranx. Pip era sospeso a
mezz'aria quando Flinx e Namoto riuscirono infine a sgusciare nel
corridoio. Poi all'improvviso si tuffò verso la coppia, ignorando
l'altra gente della Chiesa lì intorno, che cominciava ad accorgersi
soltanto allora della presenza del rettile velenoso in mezzo a loro.
— Lo richiami, Flinx — gli intimò Namoto. La sua voce aveva
perso ogni sfumatura di amabilità. Il sacerdote aveva estratto un
lanciaraggi e stava prendendo la mira.
Flinx percepì all'improvviso ciò che aveva scatenato l'ira di Pip.
Mentre il minidrago si tuffava, il vecchio si curvò di scatto schivando
il rettile con sorprendente agilità e scaraventando la sua giovane
compagna contro la parete degli ascensori. Istintivamente lei ruotò il
corpo, così da ridurre la violenza dell'urto ed evitare il rischio di
brutte fratture, ma ugualmente andò a sbattere duramente contro il
metallo. Le sue lucide gambe azzurroverdi non la sorressero, si af
flosciò contro una delle porte.
L'improvvisa esibizione di tanta agilità da parte del vecchio
sacerdote fece sì che Namoto e gli altri tardassero a intervenire.
Estratto a sua volta un lanciaraggi dalle pieghe della veste, il vecchio
sacerdote — che non aveva ancora pronunciato una sola parola e
neppure lanciato un grido per chiedere aiuto — lo agitò
convulsamente in direzione di Pip. Il minidrago sputò, e soltanto una
disumana rapidità di riflessi consentì al suo bersaglio di evitare d'un
soffio il mortale veleno. Questo si spiaccicò contro la parete dietro
di lui, bruciando e corrodendo la vernice e il metallo.
— Pip, basta così! — Qualcosa nella voce del suo padrone
sembrò placare la furia del minidrago. Il rettile alato svolazzò ancora
intorno, incerto, poi tornò fulmineo da Flinx. Ma il serpente volante
era ancora inquieto: sdegnò di arrotolarsi come d'abitudine intorno
alla spalla del suo padrone, ma preferì restarsene all'erta, pronto a
scattare, sospeso a mezz'aria accanto al suo orecchio destro.
Per lunghi e silenziosi secondi la piccola folla lì nel corridoio ri
stette come paralizzata, incerta sul da farsi. Poi Namoto ruppe l'in
canto. — In che settore lavora, signore? — chiese al bersaglio
dell'assalto di Pip. — Non mi sembra di riconoscerla...
S'interruppe quando il lanciaraggi, un attimo prima agitato verso
il serpente, fu puntato all'improvviso contro di lui. Il vecchio sacer
dote squadrò minacciosamente col suo sguardo glaciale la piccola
folla. Nessuno lo sfidò: tutti preferirono aspettare lo svolgersi degli
eventi.
— State indietro — disse infine il vecchio. Flinx non riconobbe
la voce. Le parole, più che articolate, erano sibilate.
Quando il vecchio cominciò ad arretrare verso la massiccia porta
che Flinx e Namoto avevano appena valicato, Flinx si mosse lenta
mente verso la giovane thranx per aiutarla: stava giusto riprendendo
conoscenza quando lui le arrivò vicino. — Ha... ha minacciato di
uccidermi — mormorò con voce malferma, barcollando ancora
sulle veregambe e sulle manipiede. Flinx sentì il torace superiore di
lei che pulsava affannato.
Poi la giovane thranx, recuperato all'improvviso il pieno controllo
di se stessa, alzò uno sguardo accusatore verso colui che l'aveva
aggredita. — Ha detto che se non l'avessi condotto giù al livello di
comando mi avrebbe uccisa!
— Lei non può uscire da questo edificio, signore — esclamò
Namoto, rivolto al vecchio così esplicitamente accusato. — Devo
chiederle di deporre quel lanciaraggi e di venire con me. — Il
lanciaraggi fu nuovamente puntato verso di lui, e Namoto si arrestò
a metà di un passo.
— Fate come dico io, se volete aver salva la vita! — esclamò/si-
bilò il vecchio.
Continuando a puntare il lanciaraggi, infilò l'altra mano fra le
pieghe della veste (eccezionalmente ampia, come osservò Flinx).
Un attimo dopo ne tirò fuori un piccolo cubo marrone irto di cavi e
di protuberanze.
— Questo è un contenitore di cento grammi di kelite: quanto
basta per uccidere chiunque in questo corridoio. — Tali parole
furono sufficienti a far arretrare precipitosamente alcuni dei novizi
più giovani.
Namoto non si mosse. — Nessun esplosivo, per quanto potente,
potrà farla uscire da questi edifici — replicò, con voce calma ma
decisa. — Inoltre, anche se quel cubo sembra un contenitore di
kelite giudico assai improbabile che contenga effettivamente ciò che
lei dice, poiché nessuna quantità di esplosivo può essere portata
qui dentro senza essere subito individuata. Inoltre non credo che lei
sia un membro autorizzato di questa Chiesa, per cui il lanciaraggi
che stringe in mano non può essere attivato.
Fece un passo avanti.
— Stia lontano, altrimenti scoprirà a sue spese se è attivato o
no! — urlò il vecchio, con voce stridula.
Gli occhi di tutti i presenti nel corridoio fissavano con affascinato
terrore i due protagonisti di quel concitato confronto. Flinx ebbe
l'impressione di qualcosa che si muoveva vicino al soffitto, e girò di
scatto la testa a destra: Pip non era più lì.
Non avrebbe saputo dire se il vecchio fosse stato semplicemente
colto da un sospetto o se effettivamente avesse scorto anche lui
quel movimento in alto. Qualunque cosa fosse stata, il vecchio si
abbassò e sparò prima che Flinx potesse gridare un avvertimento a
Pip.
Namoto aveva avuto insieme ragione e torto. Quella piccola
arma aveva l'aspetto di un lanciaraggi, ma era qualcosa di diverso.
Sparò un minuscolo proiettile che sfiorò il corpo del minidrago
lanciato in picchiata e colpì la parete opposta, rimbalzando sul
pavimento. Qualunque cosa fosse, quell'arma non funzionava a
esplosivo, ma Flinx la giudicò ugualmente assai pericolosa.
Questa volta Pip era troppo vicino perché il vecchio potesse
schivarlo. La robusta muscolatura delle mascelle e del collo del
minidrago si contrasse facendo schizzare il veleno lungo il condotto
che attraversava il palato. Il veleno mancò gli occhi del vecchio, ma
questo, nonostante la sua innaturale agilità, non poté evitare del tutto
l'attacco. Il liquido corrosivo gli lambì il collo e la testa. La pelle si
dissolse sfrigolando e l'uomo produsse un incongruo sibilo
acutissimo, come un'antica macchina a vapore alla quale fosse
saltata la valvola di sicurezza.
Non era un suono che potesse essere prodotto da una gola uma-
na.
Namoto e Flinx si precipitarono addosso al vecchio mentre quel-
lo cadeva. Ma proprio mentre crollava sul pavimento, annaspò con
le mani sul cubo di kelite.
A quel movimento Namoto si gettò lungo disteso al suolo, lan
ciando un grido di avvertimento a tutti gli altri. Si udì un'esplosione
soffocata: ma era assai più debole di quella che avrebbero prodotto
cento grammi di kelite, e non proveniva dal cubo marrone. Un paio
di grida di spavento si levarono dalla piccola folla, ma ogni minaccia
era cessata.
Quando Flinx si rialzò in piedi, tornò a riflettere sull'imprecisione
delle affermazioni di Namoto. Non soltanto il lanciaraggi si era
rivelato davvero un'arma, anche se non un lanciaraggi, ma adesso
sembrava che l'intruso fosse riuscito a contrabbandare dentro quel
complesso di edifici una sia pur minima quantità di esplosivo. Se era
davvero kelite, doveva trattarsi di una quantità microscopica,
insufficiente a compiere la strage minacciata ma bastante a
maciullare completamente l'intera porzione mediana del corpo del
vecchio. I suoi visceri erano sparpagliati per un buon tratto
sull'estremità del corridoio vicina alla grande porta. Flinx stava
ancora ansimando quando Pip discese ad appollaiarsi sulla sua
spalla; fece qualche passo in avanti e si affiancò a Namoto,
scrutando i resti di quello che fino a pochi istanti prima era un essere
vivente.
Mentre gli ultimi brandelli di vita stavano lasciando quel corpo,
ogni barriera della sua mente crollò e i suoi pensieri s'irradiarono
chiari e intensi. Un improvviso turbine d'immagini, parole e ideo
grammi investì Flinx, e il fatto che una di quelle figure gli fosse fin
troppo nota lo sconvolse al punto di farlo incespicare.
Flinx percepì infatti l'immagine spettrale di un uomo grasso che
ardentemente desiderava rivedere, un uomo che aveva perso ogni
speranza di ritrovare: Conda Challis. Quell'immagine era frammista
alla visione di un mondo... un mondo che, come Flinx seppe, si
chiamava Ulru-Ujurr. Molte altre immagini si stavano disputando la
sua attenzione, ma l'inaspettata comparsa di Challis nella mente del
morente le sopraffece.
Pip aveva avvertito la collera del suo padrone nei confronti di
quel grasso mercante, pochi minuti prima, nella cabina dell'archivio.
E quasi nello stesso istante quello scellerato sicario aveva formato
nella propria mente l'immagine del medesimo mercante, sempre in
una condizione ostile a Flinx. Perciò Pip aveva reagito con una vio
lenza direttamente proporzionale all'emozione di Flinx. Se il finto
sacerdote non avesse estratto l'arma, il minidrago sarebbe giunto ad
aggredirlo direttamente? Questo, Flinx non l'avrebbe mai saputo.
Namoto stava studiando il cadavere. L'esplosione era rimasta
racchiusa in uno spazio limitato, ma i suoi effetti erano stati
devastanti. Era rimasto ben poco, del corpo, fra la testa e le spalle
da un lato e le gambe dall'altro. Ciò che stava in mezzo era una
poltiglia maciullata.
Namoto si curvò, protese una mano e afferrò ciò che sembrava
un brandello di pelle strappato via dalla carne sottostante. Tirò... e il
brandello gli restò in mano, rivelando una seconda pelle al disotto.
Una pelle luccicante, zigrinata, squamosa: inumana quanto lo era
stato quell'ultimo grido.
Inumana quanto il turbine di pensieri che Flinx aveva trapassato.
Un mormorio di stupore cominciò a levarsi dalla folla, e crebbe
d'intensità quando Namoto, inginocchiatosi, afferrò e strappò via la
complessa struttura che mascherava il volto del morto. Quando l'in
tera testa fu esposta, Namoto si rialzò, e il suo sguardo andò ai
brandelli di pelle umana contraffatta che stringeva in mano. — Un
nye — commentò realisticamente. Lasciò cadere i brandelli di pelle
e si ripulì le mani su un lembo della veste.
— Un AAnn adulto — mormorò qualcuno tra la folla.
— Ma perché? Cosa sperava di fare, con così poco esplosivo?
Qualcuno richiamò l'attenzione da dietro la folla, protendendo la
mano che stringeva un minuscolo oggetto. — Un dardo da siringa,
di cristallo — spiegò la giovane thranx. — Così ha potuto superare
la barriera dei rivelatori: niente lanciaraggi, niente armi con proiettili
esplosivi.
— Ma certamente — commentò qualcun altro, avvicinandosi a
Namoto, — non avrà fatto tutta questa strada, con una
preparazione così complicata, soltanto per uccidere qualcuno con
una siringa a dardi camuffata da lanciaraggi!
— Neppure io lo credo — replicò Namoto, guardando il
cadavere. — Quell'esplosione... Niente più di una carica suicida,
nel caso che qualcuno l'avesse scoperto. Ma forse aveva con sé
qualcosa per compiere ben altre distruzioni.
— Ma cosa? E quali altre distruzioni? — insisté l'interlocutore.
— Non lo so, ma esamineremo a fondo questo cadavere prima
di eliminarlo. — Namoto tornò a inginocchiarsi e saggiò cautamente
la carne maciullata. — Comunque era ben armato: le sue interiora
sono piene di cristallo polverizzato. Deve aver portato con sé
parecchie decine di quei dardi da siringa.
A quell'osservazione Flinx trasalì e aprì la bocca per dire qualco
sa, poi si trattenne e trasformò il commento in uno sbadiglio. Non
poteva dimostrare niente, e in ogni caso la sua era una supposizione
folle. Inoltre, se per qualche miracolo avesse avuto ragione anche
per metà sarebbe stato sottoposto quantomeno a un anno d'interro
gatori da parte degli inquirenti della Chiesa Unita. E in tal caso, con
tutta probabilità non sarebbe più riuscito a ritrovare poi Conda
Challis. O, peggio ancora, era possibile che quando lui fosse
riuscito a trovarlo, quell'odioso mercante avesse distrutto la
documentazione che aveva rubato, quell'ultimo pezzo mancante del
mosaico della sua vita.
Perciò non poteva azzardarsi a esprimere quella sua assurda idea
sull'eventuale natura di quei frammenti.
Irruppe nel corridoio un'intera squadra di guardie in uniforme.
Alcune cominciarono a disperdere la piccola folla che si ostinava a
rimanere lì intorno commentando l'accaduto, mentre le rimanenti
iniziarono a ispezionare attentamente il corpo lacerato.
Un piccolo umano, dalla pelle assai scura, diede una rapida oc
chiata a quei resti organici; poi a rapidi passi si avvicinò a Namoto e
si fermò davanti a lui, piantandogli gli occhi in faccia.
— Dunque, Namoto!
— Signore. — Il sacerdote rispose con una voce talmente carica
di rispetto che Flinx, distolto dai suoi pensieri, alzò lo sguardo a
fissare il nuovo arrivato. — Era ben travestito.
— Un AAnn — osservò quel piccolo individuo guizzante. —
Devono sentirsi tremendamente astuti, per osare d'intrufolare
qualcuno dei loro qui dentro. Mi chiedo quale fosse il suo scopo.
Flinx aveva un'idea, ma faceva parte di ciò che aveva deciso di
non rivelare. Che quegli efficienti e brillanti ecclesiastici ci arrivasse
ro da soli. Dopo aver recuperato da Challis quel frammento
perduto della sua vita, gliel'avrebbe detto. Non prima.
Mentre il nuovo arrivato stava parlando con Namoto, Flinx ri
portò l'attenzione sullo stuolo di specialisti al lavoro sul cadavere.
Non era la prima volta che s'imbatteva in quei rettili, gli AAnn, an
che se era la prima volta che ne incontrava uno in carne e ossa.
Un'incerta tregua esisteva fra il Commonwealth humanx e il vasto
impero stellare degli AAnn. Una tregua che non impediva affatto ai
rettili di cercare ogni opportunità d'inserirsi nei punti deboli dell'al
leanza umana-thranx.
— Chi ha scoperto il suo travestimento?
— Io, signore — lo informò Flinx, — o meglio questa mia
bestiola, Pip. — Accarezzò la liscia testa triangolare, e gli occhi del
minidrago si chiusero per il piacere.
— Ma come faceva il rettile a sapere della sua presenza? —
chiese con intenzione Namoto. Si voltò verso il proprio superiore e
precisò, a suo beneficio: — In quel momento, signore, ci trovavamo
in Genealogia, sul lato opposto del complesso.
La risposta di Flinx si mantenne in equilibrio fra sincerità e omis
sione. Ciò che lasciò fuori, tuttavia, era molto più importante di ciò
che disse.
— Il minidrago può avvertire il pericolo, signore — spiegò, in
modo disinvolto. — Pip è un telepate empatico, e siamo stati
insieme abbastanza a lungo da sviluppare fra noi uno stretto
rapporto. Evidentemente Pip deve aver percepito che l'AAnn
costituiva una minaccia per me, per quanto remota, e ha reagito di
conseguenza.
— Evidente — mormorò l'ometto, senza sbilanciarsi. Poi si voltò
verso la giovane thranx: — E lei, com'è rimasta coinvolta in questa
storia?
La giovane smise di lisciarsi le antenne e scattò quasi in posizione
di attenti. — Ero di servizio alla stazione degli ascensori, signore.
Ho creduto che fosse un umano. Mi si è avvicinato e mi ha detto
che doveva scendere al livello di comando.
Scendere. La mente di Flinx cominciò a rendersi conto più chia
ramente che una parte abbondante di quel complesso non era
visibile dall'esterno.
— Mi sono chiesta come mai non usasse semplicemente il suo
lasciapassare per azionare l'automatico. Nessuno privo di
lasciapassare dovrebbe giungere fin qui. Lui ne aveva uno, e me l'ha
mostrato. E ha insistito a dire che non funzionava e che con tutta
probabilità il sensore dell'automatico doveva essere guasto. — La
giovane thranx chinò gli occhi. — Mi rendo conto che a questo
punto avrei già dovuto subodorare qualcosa, ma... non l'ho fatto.
Namoto la confortò. — Come poteva saperlo? Lei stessa ha
detto che era arrivato fin qui. La sua contraffazione, tuttavia, non si
è rivelata abbastanza perfetta da ingannare il dispositivo di sicurezza
degli ascensori.
— Comunque — riprese lei, — ho controllato il sensore
dell'automatico col mio lasciapassare, e ha funzionato
perfettamente. Poi ho provato il suo, e non ha neppure fatto
accendere la luce del Riconoscimento. Allora lui mi ha chiesto di
chiamargli una cabina per poter discendere, e io gli ho risposto che
prima era meglio far controllare il suo lasciapassare per accertarne
la disfunzione. Lui ha replicato che non aveva tempo, allora io ho
rifiutato seccamente. A questo punto ha estratto l'arma e mi ha
intimato di chiamargli subito una cabina, altrimenti mi avrebbe
uccisa.
Flinx notò che si reggeva ancora a stento, benché usasse
veregambe e manipiede.
— Poi, quando ormai stavo per chiamare l'ascensore, hanno
fatto irruzione questi due signori. — La giovane indicò Flinx e
Namoto.
— Non poteva suonare l'allarme? — le chiese, asciutto,
l'anziano.
Lei eseguì con le veremani un elaborato gesto thranx d'impoten
za. — Quando mi ha puntato addosso l'arma ero lontana dal
pulsante nascosto dietro la scrivania, signore. E non sono riuscita a
trovare una scusa plausibile per avvicinarmi... ed ero spaventata,
signore. Mi dispiace. È stato così inaspettato... — Un brivido
l'attraversò. — Non avevo nessuna ragione di sospettare che fosse
un AAnn.
— Tutti l'hanno scambiato per un umano — le disse Flinx, per
confortarla. La testa a forma di cuore si voltò a guardarlo con grati
tudine. Anche se il volto era incapace di un sorriso, lei fece ticchet
tare le mandibole verso di lui per ringraziarlo.
— Tutte le esperienze che non si concludono con la morte sono
preziose — pontificò l'uomo di bassa statura. Ciò, per quanto lo ri
guardava, sembrò metter fine al coinvolgimento della giovane thranx
nella faccenda. La sua attenzione si rivolse nuovamente alla squadra
che lavorava sul cadavere.
— Ripulite tutto e presentatemi un rapporto appena le analisi
preliminari saranno state completate — ordinò seccamente. Flinx
notò una volta ancora quanto fossero rapidi e scattanti i suoi movi
menti, come se si muovesse e pensasse più velocemente della
media. Uno di quei movimenti fu una penetrante occhiata a Flinx. —
È interessante quel tuo animaletto, figliolo. Un telepate empatico, hai
detto?
— Viene da un pianeta chiamato Alaspin, signore — l'informò
premurosamente Flinx.
L'uomo annuì. — Li conosco, ma non mi sarei mai aspettato di
vederne uno. E meno ancora uno addomesticato. Hai detto che
percepisce i pericoli che ti minacciano?
Flinx ebbe un lieve sorriso. — È un'efficace guardia del corpo.
— Sarei pronto a giurarlo. — L'uomo porse una mano a Flinx,
spropositatamente grande per il suo corpo. — Io sono il secondo
consigliere Joshua Jiwe.
Ora Flinx comprese la deferenza con cui tutti trattavano
quell'uomo. Gli strinse lentamente la mano. — Non mi sarei mai
aspettato d'incontrare qualcuno così in alto nella gerarchia della
Chiesa, signore. — Anche se non aggiunse che un tempo Bran Tse-
Mallory e Truzenzuzex, i quali l'avevano accompagnato nella ricerca
del Krang sul mondo dei Tar-Aiym, avevano rivestito un rango
ancora più alto.
— Sono l'incaricato della sicurezza di questo Centro. — La
testa bruna si girò ancora di scatto, stavolta verso Namoto. —
Cosa sa, lei, di questo giovanotto?
— È venuto da molto lontano alla ricerca dei suoi genitori carna
li. Ho fatto del mio meglio per aiutarlo a trovarne qualche traccia.
— Capisco. — Nuovo scatto, e Jiwe fissò Flinx. — Senza
dubbio, ora sarai ansioso di andartene.
— Qui ho fatto tutto quello che potevo — ammise Flinx. Quel
Jiwe poteva essere l'uomo capace di fargli le domande imbarazzanti
che lui aveva sempre temuto.
Il secondo consigliere gli ricordava un canish, un piccolo
carnivoro frenetico che infestava le gelide foreste di Falena. Era un
uccisore fulmineo, dagli occhi acuti e dai movimenti difficili da
identificare quanto un'imprecazione soffocata in mezzo a una foEa.
Una minaccia perfino per creature molto più grandi e massicce di
lui. Proprio come quel Jiwe, sospettò Flinx. Quell'uomo
s'interessava troppo a Pip e al rapporto che il minidrago aveva con
lui. Ma a Flinx risultava difficile concentrarsi su Jiwe, poiché la sua
mente era in subbuglio dall'istante in cui Conda Challis era
comparso nei pensieri dell'AAnn morente. Cosa c'entrava un
mercante umano con quelle lucertole?
— Flinx, si sente bene? — Namoto lo stava guardando
preoccupato. — Mi sembra stordito.
— Stavo riflettendo, infatti. La mia mente ha vagato verso casa...
dove anche il mio corpo sta anelando a ritornare.
— Verso casa... dove? — indagò Jiwe, vivamente interessato.
Accidenti a quell'uomo! — Un mondo commerciale che si
chiama Falena... e la città di Drallar.
Il consigliere rifletté sull'informazione. — Lo conosco, quel
pianeta. È un mondo con una lunga storia di colonizzazioni. La sua
popolazione è distribuita in centri sparsi a grandi distanze, e ha
sviluppato una mentalità assai indipendente. Mi sembra che la forma
di governo sia una monarchia benevola.
Flinx annuì.
— Una monarchia indifferente, sarebbe forse meglio dire — az
zardò Namoto.
Il consigliere sorrise. — Per quanto riguarda gli indigeni è la
stessa cosa. — Ha anche il sorriso del canish, aggiunse fra sé Flinx.
— E dici che a volte riesci a percepire i pensieri di quel tuo ser
pente volante, e lui i tuoi?
— Sensazioni, non pensieri — lo corresse prontamente Flinx.
Il consigliere parve soppesare la cosa, prima di chiedere: —
Non avresti un minuto o due da concedermi? Non ritarderemo la
tua partenza troppo a lungo. Se vuoi accompagnarmi giù...
— Signore... — fece per intervenire Namoto, ma il consigliere lo
fermò con un gesto della mano.
— Non ha importanza. Questo giovanotto è perspicace, e ha
sentito abbastanza per sapere che il centro amministrativo si estende
per un certo numero di livelli sotto la superficie e quindi è assai più
grande di quanto sembra all'esterno. E credo inoltre che sia maturo
quanto basta per sapere quando deve tenere la bocca chiusa... er-
meticamente chiusa. — Lanciò un'occhiata penetrante a Flinx. —
Non è così, figliolo?
Flinx annuì, vigorosamente, e il consigliere gli rivolse un altro dei
suoi sorrisi quasi carnivori. — Bene: mi piace, uno spirito libero... e
acuto. Dunque, ti dirò: noi abbiamo un piccolo problema che siamo
incapaci di risolvere. Probabilmente tu sei in grado di considerarlo
da un punto di vista diverso da chiunque altro. Tutto quello che ti
chiedo è di fare uno sforzo per noi. Dopo, indipendentemente dai
risultati, ti caricheremo su una navetta atmosferica, libero di andare
dovunque tu voglia, sulla Terra. Cosa ne dici?
Dato che se avesse rifiutato avrebbe reso il consigliere almeno
due volte più sospettoso di quanto già fosse sulle sue peculiari
capacità, Flinx esibì un allegro sorriso e replicò, con la splendida
imitazione di un innocente entusiasmo:
— Sarò felice di fare tutto ciò che posso, naturalmente!
— Pensavo che l'avresti detto... o, a essere onesti, lo speravo.
Padre Namoto, tanto vale che lei venga con noi: potrebbe essere
assai istruttivo. Qualcun altro potrà sostituirla temporaneamente nel
suo specifico incarico. — Il consigliere indicò il corpo dell'AAnn.
— La Sicurezza lavorerà ancora per un bel pezzo, su questo
pasticcio.
Poi si voltò verso la giovane thranx. — Padre-eletto
Sylzenzuzex, le era stato chiesto di chiamare un ascensore. Lo
faccia pure, adesso.
— Sì, signore. — La giovane thranx sembrava completamente
ristabilita dal trauma del quasi-rapimento. Alla richiesta del
consigliere si esibì nel rituale saluto combinato della veramano e
dell'antenna sinistre, poi si avvicinò alla fila degli ascensori e inserì in
una fessura una scheda a tre punte dalla forma irregolare. In seguito
a una complicata manovra di torsioni e spinte, dalla fessura s'irradiò
un'intensa luce verde. Una spia luminosa cominciò ad ammiccare
sopra una delle porte, e si udirono tre b i p . Scivolando
silenziosamente di lato, la porta rivelò una cabina d'ascensore di
dimensioni sorprendenti. Flinx entrò dopo la giovane thranx. C'era
qualcosa, a proposito di lei, che suscitava in lui un elusivo ricordo. Il
pensiero svanì subito quando la sua attenzione fu attirata dalla fila di
numeri appena all'interno della porta.
In ordine discendente lesse sul pannello: 2-1-0-1-2-3... e così
via fino a dodici. Dodici piani sotto il livello del suolo e soltanto tre
sopra. Mentalmente sorrise, ricordando. Adesso era certo che il
conducente della vettura che l'aveva condotto fin lì era qualcosa di
più di un vecchio ciarliero. Ma non gli aveva mentito: aveva
semplicemente descritto il Centro come appariva, senza
preoccuparsi di parlare di quello che non si poteva vedere.
La giovane thranx inserì la scheda in una fessura sotto il pannello
dei numeri. Flinx vide che non c'erano pulsanti, interruttori o co
mandi d'altro tipo. Anche se qualcuno fosse riuscito a penetrare con
la forza nella cabina di un ascensore, senza quella particolare
scheda triangolare non sarebbe riuscito a metterla in moto.
La giovane thranx alzò la testa verso Jiwe. — Signore?
— Livello sette — le disse il consigliere. — Settore quarantatré.
— È l'ospedale, non è vero, signore? Non vado molto spesso da
quelle parti.
— Sì, è l'ospedale.
Tenendo inserita la scheda nella fessura, la giovane thranx eseguì
una nuova complicata serie di torsioni. Il numero 7 si accese sul
pannello, mentre una serie di minuscole cifre compariva sulla super
ficie della scheda. Tenendola rigidamente ferma, lei fece scivolare
un dito sul numero 43. Appena le cifre luminose furono coperte, la
porta della cabina si chiuse.
Flinx sentì la cabina scendere, accelerando, e cambiare più volte
direzione, con tanta rapidità che non riuscì a seguirla. Parecchi mi
nuti più tardi la cabina si arrestò. In ogni caso, valutò Flinx, non si
trovavano più sotto la struttura visibile del centro amministrativo.
Quando la porta tornò ad aprirsi, Flinx uscì in mezzo a una folla
di umani e di thranx che lo stupì: non avrebbe mai supposto che
tanta gente si trovasse lì nel sottosuolo. Lì il bianco era il colore
predominante degli indumenti, anche se ogni uniforme, camice o tuta
che fosse recava ben visibile la cifra 7 impressa in un punto o
nell'altro, sempre in color acquamarina.
Jiwe e Namoto fecero strada mentre Flinx restava sempre indie
tro, tenendosi al passo con la giovane thranx. L'iniziale supposizione
che aveva fatto su di lei si era trasformata in una curiosità quasi
insopportabile.
Fu lei, tuttavia, a parlare per prima. Gli appoggiò delicatamente
una veramano sulla spalla libera. — Non ho ancora avuto la
possibilità di ringraziare te e il tuo amico alato per avermi salvato la
vita. Mi vergogno di aver aspettato tanto. Ti prego di accettare
adesso i miei ringraziamenti.
Flinx s'inebriò della sua naturale fragranza. — Tutti i tuoi ringra
ziamenti devono andare a Pip, non a me — mormorò, imbarazzato.
— Senti, come ti ha chiamata il consigliere?
— Padre-eletto. Il rango è approssimativamente...
— No, non intendevo dire quello — si affrettò a interromperla
Flinx'. — Il tuo nome.
— Oh, vuoi dire... Sylzenzuzex?
— Che si dovrebbe scomporre in Syl, dell'alveare Zen, famiglia
Zu, del clan Zex?
— Proprio così — ammise lei, per nulla sorpresa. Qualunque
umano poteva scomporre un nome thranx. — E qual è il tuo?
— Flinx. Sì, nient'altro. Ma ho un'altra ragione per accertarmi
del tuo, una ragione che va oltre lo scambio di identificazioni. —
Superarono una curva del corridoio dalle pareti color pastello.
— Vedi — proseguì Flinx, — credo di aver conosciuto tuo zio...

CAPITOLO SETTIMO

I thranx hanno il corpo rigido, ma sono estremamente saldi sui


piedi. Tuttavia l'improvvisa dichiarazione di Flinx fece barcollare la
sua compagna insettoide. Gli occhi dalle lenti multiple lo fissarono
con stupore.
— Il mio... cosa?
Flinx esitò, mentre superavano un angolo. Si chiese fin dove si
estendesse quel mondo sotterraneo. Forse per l'intera lunghezza e
larghezza dell'isola?
— Probabilmente la mia pronuncia non era quella giusta — re
plicò impacciato. — Ma tu non sei imparentata con un vecchio filo
sofo che si chiamava Truzenzuzex?
— Ripeti il nome — lo pregò lei. Flinx lo ripeté. — Sei sicuro
dell'accento sulla sillaba di famiglia? — Un cenno positivo del capo.
— Non sono del tutto certa che «zio» sia il giusto analogo in
terranglo, ma... sì, siamo parenti prossimi. Non vedo Tru da
parecchi anni, da quando è cominciata la mia adolescenza.
— Lo conosci bene?
— No davvero. Era una specie di divinità della nostra infanzia,
capisci? Un adulto che gli altri adulti idolatravano. Ma tu, come mai
lo conosci?
— Abbiamo fatto un viaggio insieme non molto tempo fa — le
spiegò Flinx.
— Era un Eint, sai — proseguì lei, soprappensiero. — Molto
famoso e controverso per le sue idee. Troppo controverso,
pensavano molti nel clan. Poi, quando ho sentito che aveva lasciato
la Chiesa...
S'interruppe. Poi riprese: — Non ne discutiamo mai, nel clan.
Praticamente non ho più sue notizie da anni, cioè da quando è
scomparso per una sua ricerca privata con un umano, il suo
compagno di nave-ago dai tempi della sua giovinezza.
— Bran Tse-Mallory — esclamò Flinx, dando libera stura ai
ricordi.
La giovane thranx quasi barcollò un'altra volta. — Non ho mai
conosciuto un umano così pieno del nettare dell'inaspettato. Tu sei
uno strano essere, uomo-Flinx.
Quando la faccenda della sua stranezza affiorava, era il momento
giusto per cambiare argomento.
Flinx indicò con un gesto sopra di sé. — Così, quel piccolo
gruppo di edifici in superficie non è altro che una mimetizzazione del
vero centro della Chiesa.
— Io... — Lei guardò davanti a sé, e Flinx si rese conto che il
consigliere non aveva perso una sola sillaba della loro
conversazione, a giudicare dalla prontezza con cui s'intromise.
— Glielo dica pure, padre-eletto. Se non glielo dirà, lui l'indovi
nerà lo stesso in ogni caso. Cosa ne dici, figliolo: non sei un chiaro
veggente?
— Se lo fossi non avrei bisogno di chiederlo, non è vero? — re
plicò nervosamente Flinx, cercando di nascondere la crescente in
quietudine ai pungenti commenti del consigliere. Doveva uscire da lì
a tutti i costi. Se si trovava ancora al Centro quando la notizia della
sua straordinaria fuga da Hivehom fosse giunta fino al livello di Jiwe,
allora con tutta probabilità non l'avrebbero più lasciato andare.
Sarebbe diventato ciò che aveva sempre cercato di evitare: una cu
riosità, che doveva essere studiata come una farfalla infilzata su uno
spillo e tenuta sotto vetro.
Ma non poteva girarsi di scatto e fuggir via di corsa. Era
costretto ad aspettare che quella faccenda si concludesse.
Poiché adesso le era stato dato il permesso, Sylzenzuzex comin
ciò a spiegare entusiasticamente: — Gli edifici sopra la superficie
sono completamente utilizzati, ma la maggior parte dell'installazione
si prolunga per lunghi tratti nel sottosuolo, per quasi tutta
l'estensione di Bali. Ma ci sono soltanto due vie per entrare e uscire.
Una è quella che tu conosci, attraverso gli archivi, che adesso ci
siamo lasciati molto indietro, in superficie; l'altra è attraverso il porto
sottomarino delle navette, davanti alla vicina isola di Lombok. — I
suoi occhi scintillarono. — È un luogo meraviglioso. Qui dentro ci
sono tante cose da studiare, tante cose da imparare!
La reazione di Flinx non mostrò un identico entusiasmo illimitato.
Lui sospettava che Sylzenzuzex provenisse da una famiglia alquanto
— per così dire — vezzeggiata. Da parte sua, ogni spensierata
fiducia nelle persone e nelle istituzioni, anche le più venerabili, si era
spenta in qualche punto fra gli otto e i nove anni d'età.
Vide, comunque, che le luci fluorescenti sul soffitto riempivano di
arcobaleni sempre mutevoli gli enormi occhi di lei. — La gola vul
canica del monte Agung è completamente imbrigliata. Fornisce tutta
l'energia che il complesso della Chiesa richiede. L'intera isola è
autonoma, del tutto autosufficiente. E...
La giovane thranx s'interruppe quando Namoto e Jiwe si arresta-
rono davanti a una porta fiancheggiata da due guardie della Chiesa
che indossavano la divisa color acquamarina.
Flinx percepì la loro tensione dietro l'atteggiamento apparente
mente rilassato, com'era pure ingannevole il modo quasi distratto in
cui reggevano i propri lanciaraggi. Ci fu un rispettoso ma efficiente
scambio d'identificazioni, e il piccolo gruppo fu ammesso in un cor
ridoio più stretto. Dopo due ulteriori controlli da parte di guardie
umane e thranx armate, finalmente fu loro consentito di accedere in
una modesta cameretta. Al centro di questa c'era uno stretto
lettuccio, come un ragno nella propria tela: era circondato da un
complesso di macchinari scintillanti, una strumentazione medica
altamente sofisticata.
Mentre si avvicinavano al lettuccio, Flinx vide che vi era disteso
sopra un uomo, immobile, gli occhi aperti sul vuoto. Un sistema
d'illuminazione indiretta garantiva che i suoi occhi spenti non
subissero danni, e un minuscolo dispositivo inumidiva regolarmente
le sue cornee dall'aspetto vitreo. Sveglio ma inconsapevole, ignaro
di tutto ciò che lo circondava, l'uomo galleggiava nudo — salvo per
l'intreccio di cavi e tubi — su uno strato di gelatina medicamentosa.
Flinx cercò di seguire il labirinto dei circuiti nel complesso degli
apparecchi scintillanti, ma non vi riuscì. Quell'uomo immobile,
pensò, assomigliava soprattutto al terminale ultraraffinato di un ul
traperfezionato computer.
Jiwe fissò l'uomo immobile. — Questo è Mordecai Povalo — di
chiaro. Si voltò verso Flinx. — Non ne hai mai sentito parlare?
Flinx scosse la testa: quel nome gli giungeva nuovo.
Il consigliere si sporse sopra il lettuccio. — Sono ormai molte
settimane che è sospeso fra la vita e la morte. Certi giorni mostra un
lieve miglioramento, e invece in altri occorrono gli sforzi di una
decina di medici per tenerlo in vita. Se gli rimanga o no una pur
minima volontà di vivere, nessuno sa dirlo.
«Gli specialisti insistono nell'affermare che la sua mente è ancora
attiva, che funziona tuttora. Il suo organismo tollera le macchine che
lo fanno funzionare. Anche se i suoi occhi sono aperti, non siamo in
grado di dire se registrano le immagini. Soltanto perché i suoi centri
visivi continuano a funzionare, non è detto che effettivamente veda».
Flinx trovò insieme affascinante e spaventosa quella figura im
pietrita. — Ma uscirà mai, dal coma?
— Secondo i medici non si tratta esattamente di coma. Non
hanno ancora un termine per definirlo. Qualunque cosa sia... no. Si
aspettano che rimanga così fino a quando la mente l'abbandonerà, o
fino a quando il suo corpo rigetterà definitivamente l'equipaggia
mento che lo fa sopravvivere.
— Ma allora — chiese Flinx, — perché tenerlo in vita?

Su Evoria viveva un thranx Di-Eint di nome Tintonurac il


quale godeva di una vasta fama per la sua intelligenza acuta e
vivace, anche se nel momento da noi preso in considerazione la
sua espressione era quella di un idiota felice.
Naturalmente il suo volto da insetto non era in grado di
esibire un'espressione confrontabile con quelle umane, ma nei
numerosi anni trascorsi dall'Amalgamazione gli umani avevano
imparato a leggere le espressioni dei thranx con la stessa
facilità con cui i loro associati quasi-simbiotici avevano
imparato a interpretare quelle degli uomini.
Nessun umano o thranx notò la sua espressione in quel
momento, un'espressione davvero insolita sul volto del più
acclamato membro del suo alveare.
Capo del suo clan, Tintonurac costituiva un patrimonio
inestimabile per zii e zie al completo, per la madre dell'alveare
nonché per i suoi veri genitori. La sua particolare abilità quasi
magica stava nella capacità di tradurre in realtà i concetti e gli
schemi mentali degli altri, poiché lui era un Maestro
Fabbricatore, ossia un tecnico di precisione. Non soltanto le
sue creazioni meccaniche miglioravano i progetti iniziali degli
stessi ideatori, ma, oltre a essere supremamente funzionali,
erano anche molto attraenti alla vista. Fra i suoi ammiratori
infuriava inesausto il dibattito se l'idolo dell'alveare dovesse es-
sere considerato più giustamente un ingegnere o piuttosto uno
scultore.
Fra i suoi molti prodotti figuravano un congegno che
eliminava totalmente una grave infermità umana, un sistema a
energia multiplex per le centrali idroelettriche (così numerose
nei mondi dei thranx), e un nuovo dispositivo di puntamento
per le armi SCCAM, così tremendamente efficiente (nonostante
una certa tendenza a sfuggire di mano a chi l'usava) da
costituire l'autentico punto di forza delle flotte associate
umane-thranx adibite al mantenimento della pace. Ce n'erano
molti altri, alcuni così strani ed esoterici che lui solo, grazie
alla sua straordinaria abilità, era riuscito a renderli concreti e
funzionanti. Ma nessuna di queste sue mirabolanti creazioni era
la causa della sua espressione attonita e beata, in quell'ottavo
mese della stagione del Supremo Polline su Evoria. Tutto il suo
piacere emanava da un oggetto luccicante che lui teneva
nascosto in un cassetto del banco da lavoro. Ora lo stava
fissando, immergendosi voluttuosamente nella gloria del suo
silenzioso messaggio mentre i suoi assistenti si affaccendavano
ignari intorno a lui. Tutti e sei erano scienziati e tecnici di gran
merito: quattro erano thranx e due umani. Era una
testimonianza dell'ammirazione resa a Tintonurac il fatto che si
fossero offerti di fargli da assistenti quando invece tutti e sei
avrebbero potuto ottenere con estrema facilità laboratori e
personale in proprio.
Le mandibole del Di-Eint si mossero per ridere alla maniera
dei thranx mentre lui si deliziava a un nuovo pensiero. Che
buffa, pensò, quell'idea che gli era venuta. Cosa sarebbe
accaduto se lui avesse mescolato ai due metalli liquidi nella
bottiglia della sua veramano sinistra quel catalizzatore ben
chiuso in quell'altra bottiglia, sul lato opposto della stanza?
Muovendosi come se fosse mezzo addormentato, raggiunse
l'armadietto, l'aprì e prese la bottiglia col catalizzatore.
Tornato alla sua poltroncina, eseguì ciò che aveva pro gettato,
mentre il piacere che provava raggiungeva vertici sempre più
sublimi.
Dridenvopa stava lavorando con l'umano Cassidy, ma non
era assorto al punto di non accorgersi di ciò che stava facendo
il Di-Eint. Improvvisamente s'immobilizzò e fissò Tintonurac
che stava versando in una vaschetta di vetro il contenuto di
una bottiglia, sciropposo e dai riflessi metallici. I suoi occhi
compositi simili a gioielli sfaccettati luccicarono incerti quando
il contenuto della vaschetta stracolma si riversò sul banco da
lavoro e da lì sul pavimento. Il Di-Eint era scrupolosamente
pulito in tutte le sue manipolazioni, sia fisiche che mentali, e
questo comportamento non era da luì. Né lo era
quell'espressione di attonita delizia che irradiava.
Dridenvopa accennò a farsi avanti, poi si arrestò:
certamente il Di-Eint sapeva il fatto suo. Questo rassicurante
pensiero lo fece ritornare al suo lavoro, fino a quando lui e
Cassidy notarono contemporaneamente l'etichetta vivacemente
colorata di una seconda bottiglia che il Di-Eint stava
trasferendo da una manopiede a una veramano.
— Ma non è...? — cominciò a dire, perplesso, l'umano
Cassidy in simbolingua, il gergo galattico buono a ogni uso,
mentre il Di-Eint stava svitando il tappo della seconda
bottiglia. Invece di terminare la frase, Cassidy produsse uno
strano gnaulio umano e cercò d'un balzo di attraversare metri
di banchi e di attrezzature frapposte, prima che accadesse
l'inevitabile. Ma fu incapace di giungere in tempo a impedire
che una piccola porzione del liquido di per sé innocuo della
seconda bottiglia si riversasse sulla di per sé innocua miscela di
metalli. Da quell'impasto di sostanze di per sé innocue nacque
all'improvviso una sfera di luce accecante, così calda e
ruggente da far sembrare il fosforo bianco, al suo confronto,
ghiaccio artico.
Malgrado il ruggente esplodere della vampa, Tintonurac si
concentrò sulla sua appagante bellezza interiore...
L'efficientissima squadra antincendio della comunità thranx
giunse sul posto con la consueta fulmineità. Tutto ciò che si
trovò davanti fu un'area totalmente combusta fra due edifici.
L'incredibile calore aveva volatilizzato perfino le pareti
metalliche del laboratorio. I suoi occupanti erano periti senza
lasciar traccia.
Gli inquirenti decisero che qualcuno doveva aver compiuto
un errore, per quanto insolito e inaspettato. Anche lo scienziato
più brillante poteva esser vittima di una svista fatale: perfino il
più acuto e capace dei thranx poteva compiere uno sbaglio
dalle conseguenze mortali, soprattutto se ipnotizzato da un
oggetto meraviglioso e affascinante... che però fu impossibile
ritrovare essendo stato distrut to nella tremenda fornace in cui
si era trasformato il laboratorio: distruzione che faceva parte
del piano.

Jiwe rifletté, prima di rispondere alla domanda di Flinx. — Per


ché è un importante indizio di qualcosa che recentemente ha comin
ciato ad accadere, con dolorosa frequenza, nel Commonwealth. La
maggior parte della gente rifiuta di vedervi un preciso disegno, di
collegare fra loro i diversi incidenti. Una piccola minoranza, nella
quale mi annovero anch'io, non è così sicura che questi incidenti non
siano in qualche modo collegati.
«In questi ultimi anni, troppi individui dotati di talenti insostituibili
hanno mostrato una desolante tendenza a farsi saltare in aria, spesso
insieme ad apparecchiature scientifiche d'inestimabile valore.
Considerati uno per uno, può sembrare che questi tragici fatti ri
guardino soltanto chi ne è stato vittima. Ma considerati nel loro
complesso, indicano che oggi nessuno studioso o tecnico di talento
può ritenersi al sicuro da un improvviso olocausto».
Il silenzio, nella stanza, era reso ancor più intenso dall'acuto ron
zio dell'equipaggiamento per la sopravvivenza, l'arcano sibilo di uno
zombi meccanico.
— Fra le numerose vittime registrate finora, il qui presente
Povalo è stato l'unico che non è riuscito a liquidarsi completamente.
Anche se, visto com'è ridotto, tanto varrebbe che fosse morto.
Certamente non può più essere utile a se stesso.
— Lei ha detto che alcuni di voi sono convinti che questi suicidi
siano tutti collegati fra loro — arrischiò Flinx. — Avete scoperto
qualcosa al riguardo?
— Niente di concreto — ammise Jiwe, — ed è questa la
ragione per cui siamo così pochi a pensarla in questo modo. Ma
tutti loro avevano una cosa in comune. Nessuno aveva una ragione
per uccidersi. Si dà il caso che io sia convinto che proprio questo
sia enormemente significativo. Ma il Consiglio non è d'accordo.
Flinx non si mostrò granché interessato. Con uno sforzo mise a
tacere ogni sua personale curiosità, e tornò a concentrarsi sul modo
di uscire di lì. — Cosa volete, da me? — chiese.
Jiwe si accostò alla sedia più vicina e vi si lasciò cadere. —
Povalo era un brillante ingegnere, ricco, intelligente, completamente
padrone di sé, intento a un'importante ricerca. Adesso — (indicò il
lettuccio) — è ridotto a un vegetale. Voglio sapere perché
all'improvviso un simile uomo, e molti altri simili uomini e thranx,
sembrano irresistibilmente attirati dal suicidio. O meglio
autoassassinio: non voglio chiamarlo suicidio perché sono
profondamente convinto che si tratta di qualcosa di completamente
diverso.
— E io cosa dovrei fare? — chiese Flinx, sul chi vive.
— Tu hai individuato l'infiltrazione di quell'AAnn quando nessun
altro aveva sospettato la sua presenza.
— È stato un puro caso — replicò Flinx. Grattò le mascelle di
Pip. — Cose simili accadono soltanto quando Pip si eccita perché
ha percepito una possibile minaccia per me. — Indicò Povalo. — Il
vostro soggetto non è certo una minaccia.
— Non mi aspetto niente — si affrettò a calmarlo Jiwe. — Ti
chiedo soltanto di provare. Quando anche tu avrai fallito, proverò
con i lettori dei tarocchi e con le foglie di tè.
Flinx esalò un lungo sospiro. — Se lei insiste...
— Chiedo — gli ricordò gentilmente il consigliere, — non
insisto.
Giochi semantici, pensò Flinx; ma si girò ugualmente verso il letto
e si concentrò sull'afflosciato occupante.
Lottò per proiettare la mente oltre quegli occhi ciechi, timoroso
— più che di fallire — di ciò che avrebbe potuto scoprire.
Istintivamente Pip si strinse ancor più alla sua spalla, percependo
lo sforzo del suo padrone. Flinx sperò, senza troppa fiducia, che Ji
we non avesse notato la reazione del minidrago. La sua stessa in
quietudine — non aveva tenuto conto di questo — sarebbe bastata
ad allarmare Pip, mentre lui si concentrava su Povalo. Era presente
una minaccia, anche se solo nella sua mente.
Nessuna nebbia per quanto sottile offuscava la sua visione. Non
c'era nessuna musica cadenzata nei suoi orecchi a distrarlo. Il letto,
il suo bozzolo di cavi e circuiti elettrici, l'attrezzatura scintillante, e il
translucido materassino di gelatina... ai suoi occhi ogni cosa era
chiara e limpida come sempre. Eppure... c'era qualcosa nella sua
mente, qualcosa che lui non vedeva con gli occhi, qualcosa che non
era lì un momento prima. Faceva parte della creatura sul letto.
Un giovane nel suo pieno fiorire — un'immagine idealizzata di
Mordecai Povalo — stava corteggiando una donna di una bellezza
soprannaturale in un mondo di nuvole fioccose, rosee, stillanti amo
re. A fianco a fianco si tuffavano estatici nelle verdi profondità di un
basso oceano. Di tanto in tanto le due figure cambiavano lievemente
di corporatura e di colore, ma i protagonisti e gli sfondi incantati
restavano sempre gli stessi.
All'improvviso la donna scomparve: volò, nuotò, corse via, a se
conda del tipo di suolo che incontrava. Sconvolto e senza speranza,
l'uomo si diresse a un quadro di comandi occhieggiante di luci e
premette un pulsante... e tutto ricominciò. Nello splendore della sua
giovinezza, Povalo-plus corteggiò una donna dalla bellezza mutevole
ma sempre smagliante, turbinando, roteando in giri d'amore intorno
a lei, mentre galleggiavano fra le nuvole rosate...
Flinx ammiccò e distolse lo sguardo dal letto. Jiwe lo stava fis
sando intensamente. — Mi spiace — mormorò Flinx in un soffio.
— Non sono riuscito a individuare nulla.
Il consigliere lo fissò ancora per un attimo, poi si afflosciò sulla
sedia. Pareva invecchiato di dieci anni.
— Ho ottenuto ciò che mi aspettavo. Grazie per aver tentato,
Flinx.
— Posso andare, adesso?
— Eh? Oh, sì, naturalmente. Padre-eletto — disse Jiwe, rivolto
a Sylzenzuzex, — farà meglio ad accompagnare il nostro giovane
amico e a mostrargli la via per uscire. — Poi guardò di nuovo Flinx.
— Autorizzerò un lasciapassare in bianco, così potrai viaggiare
dovunque sulla Terra. Potrai prenderlo quando esci.
— Se non ha nulla in contrario — replicò Flinx, — vorrei
recarmi un'altra volta agli archivi. Sono convinto di poter trovare
altre informazioni collegate con i miei genitori. E vorrei riascoltare i
dati della bobina già in mio possesso.
Jiwe fissò Namoto, interdetto, e quest'ultimo si affrettò a ram
mentargli: — I genitori del ragazzo, ricorda?
— Ah, sì, naturalmente. Qualunque aiuto ci sia possibile darti, te
l'offriremo. Padre-eletto, lei potrà assistere il nostro amico Flinx nel-
la ricerca di qualunque informazione di cui abbia bisogno. Un'ultima
cosa, figliolo — concluse Jiwe, e sul suo volto si disegnò un fugace
sorriso. — Se finché ti troverai qua dentro ti capiterà d'imbatterti in
qualche altro visitatore che puzzi di vecchia valigia di coccodrillo in
vece che di umano o di thranx, per favore, diccelo, prima che la tua
bestiolina lì sulla spalla lo ammazzi.
— Lo farò senz'altro, signore — replicò Flinx, ricambiando il
sorriso. Il suo sollievo, quando uscirono da quella stanza, fu
considerevole.
— Dove vuoi andare? — gli chiese Sylzenzuzex, mentre
rientravano nel corridoio principale dell'ospedale. — Di nuovo in
Genealogia?
— No: credo di aver ottenuto là dentro tutto il possibile. Vorrei
provare la vostra sezione Galattografica. Credo di aver localizzato il
pianeta dove i miei genitori sono morti. — Era una bugia, natural
mente.
— Nessun problema — gli assicurò Sylzenzuzex, facendo
ticchettare cortesemente le mandibole.
Mentre proseguivano lungo il corridoio, Flinx rifletté su ciò che
aveva visto nella mente di Povalo. La visione idealizzata di se
stesso, della donna amata, di nuvole rosate, di mari verdi, di colline
ondulate... tutte dolci e semplici immagini di un paradiso senza
complicazioni.
Salvo per quel quadro di comandi... Ogni cosa sfolgorava di lu
minosi colori. Lui non aveva visto la realtà, naturalmente, ma soltan
to una ricostruzione di qualcosa che quell'uomo sprofondato nel co
ma aveva ritenuto realtà.
Quei colori puri, quei contorni mutevoli dei corpi, lui li aveva visti
già un'altra volta.
Poco prima di quel quasi riuscito suicidio, Mordecai Povalo
aveva posseduto un gioiello di Janus e ci aveva giocato.
Il gioiello di Povalo portò naturalmente Flinx a pensare a Conda
Challis e ai suoi graziosi giochi col cristallo. Conda Challis si era
trovato nella mente dell'AAnn che era riuscito a infiltrarsi fin là den
tro, insieme allo sconosciuto mondo di Ulru-Ujurr. Una bizzarra se
rie di coincidenze che indubbiamente non conducevano da nessuna
parte. Oh, si disse, lasciamo perdere l'AAnn e la dorata perdizione
di Mordecai Povalo. Ora nella sua mente c'era soltanto posto per
Challis e l'informazione-chiave che il mercante era riuscito a trafuga
re dagli archivi della Chiesa. Era per questo che voleva consultare la
sezione Galattografica. I suoi genitori... assai facilmente potevano
esser morti lì sulla Terra. Per averne la certezza avrebbe dovuto
trovare Challis, e il mercante poteva benissimo essere fuggito su un
mondo strano e misterioso come quell'Ulru-Ujurr... sempre che un
simile pianeta esistesse davvero e non fosse invece un rigurgito
mentale dell'AAnn, da lui equivocato.
Gli parve di aver camminato per un tempo lunghissimo, prima di
ritrovarsi di nuovo davanti all'ascensore. Ancora una volta
Sylzenzuzex fece uso della curiosa scheda triangolare che fungeva
da chiave, e ancora una volta la cabina partì seguendo un percorso
in apparenza del tutto irregolare.
Il livello in cui alla fine uscirono era deserto: una bella differenza
dall'animazione della sezione-ospedale. La giovane thranx condusse
Flinx lungo una fila di porte, con nomi complicati incisi sopra, finché
trovarono quella che cercavano.
Galattografia sembrava l'esatto duplicato di Genealogia, salvo
il fatto che era più piccola e disponeva di un numero più grande di
cabine. Inoltre, lì la sorvegliante era assai giovane.
— Sono alla ricerca di un mondo lontano, quasi del tutto ignoto.
Mi serve aiuto.
L'addetta si drizzò orgogliosamente. — L'acquisizione d'informa-
zioni elimina l'ignoranza. Questo è il mattone fondamentale del su
perbo edificio della Chiesa, sul quale devono avere base tutti gli altri
studi. Senza accesso al sapere, infatti, com'è possibile imparare ad
apprendere?
— Per favore — l'interruppe Flinx. — Non più di due massime
eterne per ogni frase. — Dietro di lui si udì il sommesso ticchettio
delle mascelle di Sylzenzuzex, che a stento riusciva a nascondere
l'ilarità.
Il sorriso professionale dell'addetta scomparve. — Il catalogo
delle bobine — replicò in tono gelido, — si trova tre corsie più
avanti.
Flinx e Sylzenzuzex avanzarono nella direzione indicata. — Il
mondo che m'interessa si chiama Ulru-Ujurr.
— Ujurr — gli fece eco l'addetta in simbolingua. Quello strano
nome aveva un suono più naturale nella sua bocca, ovviamente più
adatta a pronunciare le consonanti. Flinx la scrutò con più attenzio
ne, ma lei non diede minimamente a vedere di aver udito prima quel
nome.
Lui non riuscì a decidere subito se ciò era un bene o un male.
— È questa l'ortografia corretta in simbolingua? — chiese
l'addetta dopo che Flinx ebbe pronunciato il nome lettera per
lettera. — Potrebbero esserci delle varianti che il nastro non
registra. Supponiamo, prima di tutto, che sia scritto nello stesso
modo in cui si pronuncia... — Sembrava che avesse difficoltà ad
accettare il fatto che anche un solo nastro della Chiesa potesse
fornire dati incerti o peggio ancora imprecisi. Ma rifletté che a volte
anche i nomi di mondi assai più conosciuti avevano grafie variabili.
Percorsero la stretta corsia fiancheggiata dalle alte pareti
metalliche. Flinx cercò inutilmente d'immaginarsi i miliardi di dati
immagazzinati là dentro, su ogni mondo conosciuto dentro e fuori il
Commonwealth.
Ed era assai probabile che una porzione di quegli archivi fosse
sepolta in qualche punto segreto dell'immenso labirinto che era il
centro amministrativo, un settore vietato alle normali consultazioni.
Se il pianeta di cui lui era in caccia aveva qualche caratteristica pe
culiare, che la Chiesa non intendeva divulgare, con tutta probabilità
quei dati non erano contenuti nelle bobine che si trovavano lì.
Fu quasi sorpreso quando constatò che erano già arrivati davanti
alla sezione del catalogo che stavano cercando. Sylzenzuzex
premette un pulsante lì vicino, e da un altoparlante dissimulato nella
parete giunse la conferma verbale che Ulru-Ujurr si trovava lì
schedato.
— Potrebbe trattarsi di un Ulru-Ujurr diverso — lo ammonì
Sylzenzuzex cominciando a scorrere la lunga fila verticale di etichet
te ricoperte di minuscoli caratteri. — Qui però non viene citato il
fatto che esistano diversi pianeti con questo nome o altri analoghi.
— Avanti, allora — esclamò lui, impaziente.
La giovane thranx inserì una scheda-chiave nella corrispondente
fessura. Era un piccolo dispositivo dello stesso tipo (ma assai più
semplice) di quello che serviva ad azionare gli ascensori multilivello.
Pochi attimi più tardi la loro ricerca fu compensata dall'emissione di
una minuscola bobina di nastro sottile come un filo. Sylzenzuzex la
fissò socchiudendo gli occhi, anche se questa fu soltanto un'impres
sione mentale che Flinx ricavò dal suo atteggiamento più che da un
atto concreto, dal momento che i thranx non possedevano
palpebre.
— È difficile giudicare da una prima occhiata, ma sembra che su
questo nastro ci sia molto poco — disse lei alla fine. — A volte,
tuttavia, si può trovare una bobina che ha l'aria di contenere non più
di duecento parole mentre in realtà ne ha due milioni. Perché non
rendono più efficiente questo sistema?
Flinx si meravigliò che qualcuno potesse definire non efficiente
quel sistema. Ma, considerò fra sé, perfino i membri ai livelli più
bassi della gerarchia della Chiesa venivano continuamente stimolati
a trovare nuovi modi di migliorare l'organizzazione. Ginnastica spiri
tuale, la chiamavano.
Soltanto poche cabine erano occupate. Ne trovarono una vuota
in fondo a una fila, isolata da orecchi indiscreti.
Flinx prese posto sul sedile riservato agli umani, mentre
Sylzenzuzex si ripiegò sulla stretta mensola concepita per i thranx e
inserì la bobina nell'apposito ricettacolo. Poi attivò lo schermo, che
subito s'illuminò.
Come c'era da aspettarsi, cominciarono ad apparire per primi i
dati generali: Ulru-Ujurr era all'incirca del venti per cento più grande
rispetto alla Terra o a Hivehom, anche se, essendo composto da
minerali più leggeri, la sua forza di gravità era di pochissimo
superiore. La sua atmosfera era respirabile, e non conteneva gas
rari o strani. C'era acqua in abbondanza, in buona parte allo stato
solido nelle due estese calotte polari ghiacciate. Il ghiaccio si
prolungava in più punti ben dentro le latitudini più basse, indicando
una vera e propria epoca glaciale in corso e un clima rigido. Era un
mondo ricco di montagne.
— Anche se non è completamente ghiacciato — commentò
Flinx, — è un mondo assai più freddo della maggior parte dei
pianeti adatti alla colonizzazione da parte degli humanx. — Esaminò
con rinnovata attenzione l'elenco delle notizie, accigliandosi. — A
parte il clima freddo, sotto ogni altro aspetto le caratteristiche di
questo pianeta sono favorevoli; ma non vedo nessuna indicazione
d'insediamenti humanx, sia pure una semplice stazione per
osservazioni scientifiche. Ogni mondo abitabile ne ha come minimo
una. Falena ha una popolazione discretamente numerosa, e ci sono
insediamenti umani tutt'altro che trascurabili su pianeti assai meno
ospitali. Non capisco.
La sua compagna era scossa da brividi soltanto a immaginare le
gelide temperature di quel mondo. — Lo chiami «freddo» e «abita
bile»! — esclamò. — Forse per voi umani, Flinx. Per un thranx è un
inferno di ghiaccio.
— Ammetto che è ben lungi dal nostro concetto di pianeta idea
le. — Flinx continuò nella lettura delle informazioni. — A quanto
sembra c'è vita sia vegetale che animale, ma nessuna descrizione,
nessun particolare. Capisco che le descrizioni orali sono un ben mi
sero surrogato delle immagini, ma non capisco perché le abbiano
eliminate del tutto — commentò, perplesso.
— Non ci sono giacimenti importanti di metalli pesanti o radioat
tivi — aggiunse Sylzenzuzex.
In breve, benché gli humanx potessero vivere su Ulru-Ujurr, il
pianeta non aveva proprio niente che potesse attirarveli. Il pianeta si
trovava ai margini del Commonwealth, appena entro i limiti dei suoi
confini spaziali, ed era assai distante dal più vicino mondo coloniz
zato. Non era certo un mondo che favorisse gli insediamenti.
Ma, accidenti, doveva pur esserci qualche tipo di avamposto!
Lo schermo mostrò che il nastro era finito. Esibì però un'aggiunta
appena leggibile: COLORO CHE SONO DESIDEROSI DI
OTTENERE ULTERIORI NOTIZIE CONSULTINO
L'APPENDICE 4325 SEZIONE BMQ...
— Presumo che tu sia stanco di leggere statistiche planetarie
quanto lo sono io — dichiarò Sylzenzuzex, premendo il tasto per il
riawolgimento del nastro. — Per quanto riguarda i tuoi genitori,
questo mondo sembra indubbiamente un vicolo cieco. Cosa
desideri vedere, adesso?
Cercando di mantenere calmo e discorsivo il tono della voce,
Flinx replicò: — Andiamo avanti e finiamo prima di tutto con que
sto.
— Ma ciò significa cercare nei sub-indici — protestò lei. —
Certamente tu non...
— Cerchiamo questa appendice — l'interruppe Flinx.
Lei produsse il suono thranx che indicava rassegnazione
accoppiata a un vago sbalordimento, ma non stette a discutere
oltre.
Dopo quasi un'ora di ricerche riuscirono infine a scovare
l'appendice 4325 sezione BMQ. Chiesero dunque alla macchina di
fornire il nastro richiesto, ma dovettero ripetere più volte la manovra
poiché la macchina si mostrò stranamente riluttante a fornirlo.
Qualcuno, pensò Flinx, si era dato molto da fare per nascondere
quelle notizie, senza nel contempo darlo a vedere.
Il nuovo nastro confermò infine i suoi sospetti. Appena infilata la
bobina e attivato lo schermo, comparvero delle fiammeggianti
lettere scarlatte che dicevano: ULRU-UJURR... MONDO
ABITABILE... QUESTO PIANETA E IL SUO SISTEMA
SONO SOTTO EDITTO...
Erano indicate sia la data della prima e unica ricognizione sul pia
neta sia quella in cui era stato posto sotto Editto Ecclesiastico dal
Gran Consiglio.
Quella era la fine, per quanto riguardava Sylzenzuzex. — Hai
toccato il muro dell'alveare. Non riesco a capire cosa ti abbia
convinto che i tuoi genitori potessero trovarsi su quel mondo. Devi
aver commesso un errore, Flinx. Quel mondo è sotto editto. Ciò
significa che niente e nessuno ha il permesso di viaggiare a distanza
di navetta dalla sua superficie. Ci sarà in orbita almeno un guardiano
automatico della pace, per intercettare e intimare l'alt a chiunque
cerchi di raggiungerlo. Se qualcuno volesse ignorare l'editto... —
(lei indugiò significativamente) — be', non si può correre più veloci
di un guardiano della pace, né manovrare per sfuggirgli. — I suoi
occhi luccicarono. — Perché mi guardi così?
— Perché io ci andrò. A Ulru-Ujurr — esclamò Flinx, reagendo
col tono più deciso alla sua espressione incredula.
— Ritiro il mio primo giudizio — replicò lei. — Tu non sei stra
no, Flinx: tu sei pazzo. Forse la tua mente si sta scardinando a causa
degli eventi drammatici che ha vissuto oggi.
— I cardini della mia mente sono ben saldi e il mio cervello fun
ziona egregiamente, grazie. Ma tu vuoi sentire qualcosa di
veramente assurdo?
Lei lo fissò, guardinga. — Non ne sono sicura.
— Penso che tutti quei suicidi di persone importanti di cui Jiwe si
preoccupa c'entrino con i gioielli di Janus.
— I gioielli di Janus... Ne ho sentito parlare, ma in che modo...?
Flinx proseguì in fretta: — Quella polvere cristallina che impre
gnava il corpo maciullato dell'AAnn poteva essere ciò che restava
di un gioiello di Janus disintegrato.
— Io credevo che fossero dardi-siringa sbriciolati
dall'esplosione.
— Ma poteva essere anche un gioiello distrutto — insisté Flinx.
— E allora?
— E allora... non so. Ma ho la sensazione che tutto sia collegato:
i gioielli, i suicidi, questo pianeta proibito... e gli AAnn.
Sylzenzuzex lo fissò, cupa. — Ma se davvero ne sei così convin
to... per l'alveare, perché non l'hai detto al consigliere Jiwe?
— Perché... perché... — Le parole gli si spensero in bocca,
mentre la sua mente si arrestava davanti a quella barriera
ammonitrice sempre presente. — Non posso, tutto qui. Inoltre, chi
crederebbe a una teoria così folle, se viene da un... — (le sorrise di
colpo) — ... da un giovane col cervello scardinato come il mio?
— Giovane sì, ma non bambino — ribatté lei, ignorando
volutamente il suo commento sul cervello scardinato. — E allora,
perché non hai continuato a tenerlo per te? Perché l'hai detto a me?
— Volevo... l'opinione di un'altra persona, o quantomeno
verificare se la mia teoria, detta a voce alta, sembra altrettanto folle
di quanto lo sembra stando chiusa nella mia testa.
Le mandibole di Sylzenzuzex ticchettarono nervosamente. —
D'accordo, sembra del tutto folle. E adesso dimentichiamoci di tutto
questo e passiamo a esaminare gli altri mondi che la tua ricerca ha
tirato fuori.
— La mia ricerca non ha tirato fuori nessun altro mondo. E non
ha tirato fuori neppure Ulrr-Ujurr.
Lei parve esasperata. — Ma allora, dove hai trovato questo no
me?
— Nel... — Flinx si frenò appena in tempo. Stava quasi per
rivelarle che l'aveva letto nella mente dell'AAnn morente. — Non
posso dirti neppure questo.
— Ma come posso aiutarti, se rifiuti di...
— Venendo con me.
Lei lo fissò sbalordita.
— Ho bisogno di qualcuno che sia in grado di annullare l'ordine
impresso in quel guardiano automatico della pace. Tu sei un padre-
eletto della Sicurezza, altrimenti non avresti avuto un incarico così
delicato come quello di addetto alla stazione di superficie degli
ascensori. Tu puoi valicare quella barriera. — La fissò ansioso.
— Sarà meglio che tu vada a parlare col consigliere Jiwe — re
plicò lei, scandendo le parole. — Anche presumendo che io sia in
grado di fare una cosa simile, non penserei mai neppure per un atti
mo di sfidare un editto della Chiesa.
— Ascolta — le disse Flinx, rapidamente, — un membro di alto
rango della Chiesa non penserebbe mai a una cosa simile, e comun
que verrebbe sempre seguito nei suoi movimenti, se non altro per
ragioni di protezione. E neppure un vascello militare del Common
wealth lo farebbe. Ma tu non sei così in alto nella gerarchia da cau
sare allarme se all'improvviso deviassi dal comportamento che ci si
aspetta da te. E inoltre scommetto che hai dentro di te un po' di tuo
zio, e lui è l'individuo dall'intelligenza più acuta che io abbia mai
incontrato.
Sylzenzuzex si stava guardando intorno con l'espressione di chi si
sveglia all'improvviso con un cannibale affamato in una stanza chiusa
a chiave.
— Non ho intenzione di ascoltare niente del genere — mormorò
freneticamente. — No. È blasfemo e... idiota. — Senza togliergli gli
occhi di dosso, fece per scivolar giù dalla panca. — Come mai mi
sono lasciata invischiare da te?
— Per favore, non gridare — l'ammoni Flinx con la massima
cortesia. — Quanto alla tua domanda, pensaci un momento: ti ho
salvato la vita...
CAPITOLO OTTAVO

Sylzenzuzex ristette con i quattro arti ripiegati sotto di lei, pronta


a un rapido scatto verso la scrivania della sorvegliante. Le parole di
Flinx le roteavano nella testa.
— Sì — ammise alla fine, — tu mi hai salvato la vita. Per un mo
mento me n'ero dimenticata.
— E allora, per l'alveare, per la madre regina e per il miracolo
della metamorfosi — intonò Flinx solennemente, — ora io esigo il
debito dovuto.
Lei si sforzò di guardarlo divertita, ma lui si rese conto che era
scossa. — È uno strano giuramento. È forse concepito per
prendere in giro i bambini?
Flinx tornò a ripeterlo, con enfasi ancora maggiore e questa volta
in alto thranx. Non riuscì a evitare tutti i tranelli di quella difficile
lingua, e incespicò negli schiocchi e nelle consonanti più aspre.
— Dunque lo sai — mormorò Sylzenzuzex, afflosciandosi visibil-
mente e lanciando poi un'occhiata alla sorvegliante tranquillamente
seduta alla lontana scrivania. Flinx sapeva che le sarebbe bastato
cacciare un urlo perché gli si precipitassero addosso una moltitudine
di guardie armate e molte domande rabbiose. Lui aveva puntato il
tutto per tutto sulla speranza che lei non l'avrebbe fatto, che l'antica
e potente istituzione del debito-vita e della solenne richiesta della
sua soddisfazione l'avrebbe trattenuta.
E così fu, infatti. Lei lo guardò implorante. — Sono appena di
ventata adulta, Flinx. Ho ancora tutte le elitre, e ho perso la chitina
di adolescente soltanto un anno fa. Non sono mai stata sposata.
Non voglio morire per una tua inspiegabile ossessione. Amo i miei
studi, la Chiesa, e quello che potrà essere il mio futuro. Non sver
gognarmi davanti alla mia famiglia e al mio clan. Non farmi fare...
questo.
«Mi piacerebbe aiutarti, mi piacerebbe davvero. Certamente tu
hai avuto dalla vita la tua parte d'infelicità e d'indifferenza, molta più
di quanta ne meritavi. Ma, ti prego, cerca di capire...».
— Non ho tempo per capire — l'interruppe bruscamente Flinx,
prima che le parole di lei indebolissero la sua decisione. Lui doveva
andare su Ulru-Ujurr anche se ci fosse stata una probabilità su un
milione che Challis fosse fuggito là. — Se avessi perso il mio tempo
a capire, sarei già morto cinque o sei volte. Mi appello a quel giura
mento perché tu paghi il debito che hai verso di me.
— Allora acconsento — replicò lei, in tono accorato. — Devo
farlo. Mi hai sacrificata ai tuoi sogni. — E aggiunse un'interiezione
che indicava impotenza mista a disprezzo.
Per un breve attimo lui fu sul punto di dirle di scomparire, di
lasciare la stanza, di fuggir via. Ma l'attimo passò. Lui aveva troppo
bisogno di lei.
Se fosse andato direttamente da qualcuno come Jiwe e gli
avesse dichiarato che doveva andare su Ulru-Ujurr, il consigliere
avrebbe sorriso scrollando le spalle. Se gli avesse esposto la sua
teoria sui gioielli di Janus, Jiwe avrebbe chiesto particolari, fonti di
sospetto. E ciò, per Flinx, avrebbe significato rivelare i suoi talenti,
cosa questa che lui, semplicemente, non poteva fare.
La Chiesa Unita, nonostante tutta la sua buona volontà e l'ottimo
lavoro fatto, era pur sempre un enorme apparato burocratico.
Avrebbe posto i propri interessi al disopra dei suoi. — Ma
certamente — avrebbero detto, — ti aiuteremo a ritrovare i tuoi
genitori, ma per prima cosa...
E quella «prima cosa» avrebbe potuto durare per sempre, lui ne
era convinto: o, se non sempre, almeno fino a quando un annoiato
Challis avrebbe finito col distruggere l'ultimo labile legame che lo
univa alla sua ascendenza. E anche se lui avesse rivelato in pieno i
propri talenti, l'avrebbero davvero aiutato? Lui non era affatto certo
che l'adattabilità della Chiesa si estendesse fino alla violazione di un
proprio editto.
Sarebbe andato su Ulru-Ujurr a qualunque costo, anche se non
poteva rivelare a nessuno il vero motivo. Neppure a Sylzenzuzex,
che aspettava in silenzio fissando il pavimento con un'espressione da
morta-viva. Ma certamente, lui pensò, l'avrebbero pienamente
assolta quando avessero saputo le costrizioni cui l'aveva sottoposta
per obbligarla a seguirlo.
Certamente...
Dopo che Sylzenzuzex ebbe chiesto e naturalmente ottenuto un
lungo periodo di ferie arretrate, volarono fino a Brisbane in una na
vetta atmosferica. Sylzenzuzex, alla macchina che l'aveva interroga
ta, aveva spiegato che era giunto per lei il momento di far visita ai
suoi genitori su Hivehom. Flinx, nel frattempo, non aveva mostrato il
minimo cedimento nella sua decisione di portarla con sé. Era troppo
importante. Per cui, durante il volo, lei fu rigidamente cortese in
risposta alle sue domande. Per reciproco accordo, non
s'impegnarono in frivole conversazioni tanto per far passare il
tempo.
Furono costretti a trattenersi a Brisbane più di una settimana,
mentre Flinx concludeva le complicate trattative richieste per noleg
giare una piccola nave munita di autopilota e propulsori KK.
Vascelli privati in grado di compiere voli interstellari non erano
facilmente disponibili.
Malaika era stato molto generoso, ma il nolo della nave per tre
giorni prosciugò completamente il credito di Flinx. Ciò non lo
preoccupò: dato che era già colpevole di rapimento, il fatto che al
suo mancato ritorno dopo tre giorni il noleggiatore della nave avreb-
be sganciato gli esattori al suo inseguimento assumeva
un'importanza del tutto trascuràbile. Si sarebbe preoccupato in
un'altra occasione di come pagare il debito astronomico che stava
per contrarre. Se ritornava, ricordò fra sé. La Chiesa non aveva
certo imposto un editto su Ulru-Ujurr solo per un perverso
capriccio. Doveva esserci una buona ragione... e c'era sempre
Challis.
Sylzenzuzex ne sapeva ancora meno di lui, di astrogazione. Se il
noleggiatore aveva mentito sull'efficienza del pilota automatico, non
sarebbero mai arrivati su Ulru-Ujurr né in nessun altro posto.
Sylzenzuzex gli spiegò che il campo di studio da lei scelto era
l'archeologia. Il servizio prestato alla Sicurezza era uno degli obbli
ghi della sua condizione di studente. Le primitive società insettoidi di
Hivehom l'avevano sempre affascinata. Aveva sognato di studiarle
per tutto il resto della vita, una volta laureata e ritornata a casa co
me pieno-padre: ma adesso tutto ciò non sarebbe mai più accaduto,
ricordò amaramente a se stessa.
Lui non badò a queste sue dolenti recriminazioni. Doveva farlo,
altrimenti la sua determinazione si sarebbe dissolta in un attimo.
Ancora una volta si chiese la ragione per cui un pianeta abitabile e in
apparenza innocuo come Ulru-Ujurr aveva costretto la Chiesa a
metterlo sotto editto. Le scarse informazioni trovate in
Galattografia, quei freddi elenchi di cifre e di dati che in così breve
tempo l'avevano condotto a rendersi colpevole di rapimento e
frode, evitavano accuratamente di fornire ogni più piccolo indizio.
Ma almeno una prima preoccupazione si dimostrò quasi subito
infondata, quando il piccolo e potente vascello eseguì il balzo
superfotonico che li portò fuori dall'immediata portata di eventuali
inseguitori. Stando alle indicazioni degli strumenti, la nave
procedeva alla massima velocità di crociera in base alle coordinate
che Flinx le aveva fornito.
Il fatto di trovarsi a tasche vuote, o meglio in pieno disastro fi
nanziario, non preoccupava minimamente Flinx. Anzi, quando ci
pensava provava perfino un certo sollievo. Aveva passato senza
soldi tutta la vita. L'improvviso ritorno a quella condizione era come
cambiare un costoso ma scomodo vestito con un paio di vecchi, lo
gori, comodissimi calzoni da lavoro.
Il tempo che passarono viaggiando non andò sprecato. Flinx lo
trascorse consultando per lunghi periodi il computer del vascello,
migliorando grandemente le sue rudimentali conoscenze di astroga
zione, e imparando il funzionamento della maggior parte dei sistemi
della nave, pur tenendosi a rispettosa distanza dall'interruttore che
escludeva il pilota automatico per passare ai comandi manuali. Non
provava vergogna per la propria ignoranza. Tutte le navi a
propulsione KK viaggiavano guidate praticamente per l'intera rotta
dal computer. Le distanze e le velocità stellari erano troppo
colossali perché semplici menti organiche potessero manipolarle.
L'equipaggio humanx sempre presente nelle più grandi navi
transpaziali KK era lì soprattutto per accudire alle necessità dei
passeggeri e del carico; sarebbe intervenuto nella guida della nave
soltanto nell'estremamente improbabile caso che la mente
computerizzata della nave si fosse guastata.
Fu una fortuna, per lui, che il funzionamento della piccola nave lo
interessasse tanto, poiché Sylzenzuzex si dimostrò tutto fuorché una
compagnia piacevole. Preferiva restarsene sempre chiusa nella
propria cabina, uscendone soltanto per prelevare i pasti dalla cucina
automatica. Gradualmente, però, anche la sua pazienza —
nonostante l'abitudine di vivere nel sottosuolo — cominciò a
logorarsi, e allora la giovane thranx prese a trascorrere intervalli di
tempo sempre più lunghi sul ponte falsamente lussuoso della nave.
Tuttavia, quando si degnava di parlare, la sua conversazione
consisteva in commenti monosillabici del tutto sconfortanti.
Un simile atteggiamento fatalistico non avrebbe potuto essere in
contrasto più stridente col carattere di Flinx. — Non ti capisco,
Sylzenzuzex — le disse. — Tu sei come una persona che partecipi
alla sua veglia funebre. Te l'ho detto, confermerò ufficialmente che ti
ho rapita contro la tua volontà. E allora tutti dovranno ammettere
che sei libera da ogni colpa... qualunque cosa possa accadere!
— Tu non capisci — mormorò lei con voce sibilante. — Non
potrei mai mentire così. Non ai miei superiori nella Chiesa, o alla
mia famiglia, o alla madre dell'alveare. Certamente non ai miei
genitori. Sono venuta con te di mia spontanea volontà. — La sua
testa dal grazioso profilo, che scintillava di un intenso azzurro in
mezzo alle luci del ponte, si abbassò sconsolata.
— Ma quello che dici non ha senso — protestò Flinx con
veemenza. — Tu non avevi scelta! Io mi sono appellato a te perché
pagassi un debito in base alle vostre più rigide leggi ereditarie.
Com'è possibile che qualcuno ti biasimi per questo? Quanto alla
destinazione proibita di questo viaggio, è stata interamente una mia
scelta. Tu non soltanto non hai avuto nessuna voce in merito alla mia
decisione, ma anzi hai sollevato tutte le possibili argomentazioni
contrarie. — Mentre Flinx parlava, il pasto che aveva prelevato alla
cucina automatica si stava raffreddando accanto a lui. E gli occhi
color giaietto di Pip fissavano perplessi il loro padrone sempre più
innervosito.
Sylzenzuzex lo fissò. — Ci sono ancora molte cose, su di noi,
che voi umani non avete capito. — E voltò la testa, come se quelle
dovessero essere le sue ultime parole sull'argomento.
Sempre la frase lapidaria, pensò Flinx, furioso. Sempre quella
prontezza a rifugiarsi negli assoluti, per tappare la bocca a chi
invece avrebbe voluto ragionare, spiegare, capire. Perché tutta
quella paura, da parte di esseri che si presumevano intelligenti, di
aprire gli occhi, di toccare con mano la verità? Guardò fuori
dall'oblò di prua, frustrato oltre ogni misura. L'universo funzionava
sulla logica, non sull'emotività. E come mai (questo, lui non era mai
riuscito a capirlo) la gente era sempre pronta a rovinarsi l'esistenza a
causa delle proprie emozioni?
— Fa' pure a modo tuo — borbottò. — E ora passiamo a
preoccupazioni più immediate. Parlami di questa sonda automatica,
di questo guardiano automatico che dovrebbe impedirci di atterrare
su Ulru-Ujurr.
Ci fu un suono sibilante, mentre un abbondante sbuffo d'aria ve
niva espulso a forza dalle spicole respiratorie: un sospiro thranx. —
Più probabilmente molte sonde. Ce ne dovrebbero essere da una a
quattro in orbita sincrona intorno al pianeta. Non ne sono troppo
sicura, perché i mondi sotto editto sono così pochi che molto di
rado l'argomento diventa oggetto di discussione. E così, di conse
guenza, manchiamo di qualunque informazione su quei mondi. Che
un pianeta finisca sotto editto, in pratica è piú una possibilità su cui
disquisire in teoria che un fatto.
«Immagino — concluse, avvicinandosi al quadro dei comandi e
fissando distrattamente indici e quadranti, — che ci saranno fatti dei
segnali, o che saremo intercettati in qualche altro modo e ci sarà
ordinato di andarcene».
— E se ignoreremo tali avvertimenti?
Sylzenzuzex scrollò le spalle alla maniera dei thranx. — Allora,
probabilmente, ci faranno saltare le elitre.
Il tono di Flinx suonò sarcastico. — Pensavo che la Chiesa fosse
un intermediario pieno di gentilezza e comprensione fra le specie.
— Esatto — ribatté lei. — Ed è motivo di conforto per tutti
sapere che i decreti della Chiesa vengono fatti rispettare. — La sua
voce si fece più acuta. — Credi forse che la Chiesa metta un intero
mondo sotto editto a causa del capriccio di qualche consigliere?
— Non lo so — rispose lui, imperturbabile. — Probabilmente,
tra poco ci sarà data la possibilità di scoprirlo...
La fortezza volante sbucò dal nulla senza preavviso. Un attimo
prima erano soli nello spazio sconfinato, in rotta di avvicinamento al
quarto pianeta di una stella anonima, e un attimo dopo una macchi
na fornita di sei aguzze protuberanze in corrispondenza dei suoi assi
principali aveva uguagliato la loro velocità e percorreva a poca di
stanza una rotta parallela. Era molte volte più grande del loro picco
lo vascello.
— Stazione automatica 24 per la conservazione della pace —
dichiarò attraverso gli altoparlanti una voce meccanica dal tono non
sgradevole. Lo steroschermo non rivelò immagini dell'interno della
sonda. — Al vascello non identificato classe 16-R. In nome della
Chiesa e del Commonwealth, questo messaggio è per notificarvi
che il mondo al quale vi state avvicinando è sotto editto. Siete
invitati a invertire la vostra attuale rotta e a reinnestare la vostra
propulsione doppia-K. A nessun vascello è consentito scendere
sulla superficie del quarto pianeta, né di restare nelle vicinanze di
questo sole.
«Avete trenta minuti standard dalla fine di questo messaggio per
riprogrammare il vostro computer-pilota. Non tentate di avvicinarvi
a portata di rilevamento visivo dal quarto mondo. In mancanza di un
pronto adeguamento ai summenzionati divieti, verranno subito presi
provvedimenti».
— Un modo gentile di dirci che ci farà scoppiare in tanti
pezzettini — commentò asciuttamente Sylzenzuzex. — Ora
possiamo tornare indietro?
Flinx non rispose, intento com'era a studiare l'enorme massa di
metallo che li stava fiancheggiando. Era già stato dimostrato che era
veloce, enormemente più veloce del loro piccolo scafo. E, senza
dubbio, parecchie armi delle più svariate capacità distruttive erano
puntate contro di loro, mentre lui si stava ancora chiedendo quale
sarebbe stata la sua prossima mossa. Non era possibile raggiungere
la superficie del pianeta con un balzo disperato, così come lui non
sarebbe riuscito a correre più veloce di un'antilope-diavolo sulle
pianure che costeggiavano la palude di Gelerian, sul suo mondo.
— È appunto per questo, che ti ho portata con me — disse alla
giovane thranx in attesa. — Non certo per il piacere della tua com
pagnia. — Si spostò di lato, rivelando una strumentazione già attiva-
ta. — Ecco. Dagli il tuo nome, la tua sigla d'identificazione come
membro della Chiesa, il codice della Sicurezza... qualunque cosa sia
necessaria per ottenere il permesso di atterrare.
Lei non si mosse: sembrava che le sue gambe avessero messo
radici sul pavimento metallico. — Non mi presterà ascolto —
obbiettò.
— Prova.
— Io... non lo farò.
— Sei sotto giuramento: l'hai giurato in nome del tuo alveare —
le ricordò lui a denti stretti, odiandosi ancora di più a ogni parola
che diceva. La testa a forma di cuore si chinò di nuovo e di nuovo si
fece udire quella voce vacua e sconfitta: — D'accordo. — Lei si
avvicinò al quadro dei comandi con passo strascicato.
— Te lo dico per l'ultima volta — aggiunse. — Obbligandomi a
far questo, è come se tu stesso mi bandissi dalla Chiesa.
— Si dà il caso che io abbia nella tua organizzazione più fiducia
di quanta ne abbia tu stessa. Inoltre, se dopo un'esauriente
spiegazione delle circostanze in cui sei stata costretta ad agire ti
butteranno veramente fuori, allora non credo proprio che
l'organizzazione sia degna di te.
— Come sei sicuro di quanto dici! — replicò lei, concludendo
con un suono così aspro che Flinx fece istintivamente un passo
indietro.
— Avanti — le intimò.
Sylzenzuzex controllò il dispositivo di trasmissione, poi snocciolò
a supervelocità una lunga serie di parole e numeri. Flinx riuscì a
stento a identificarli, ma non riuscì a scoprire un significato appa
rente in quel prolungato farfugliamento. Gli venne in mente che la
giovane thranx avrebbe potuto benissimo dare alla fortezza volante
l'ordine di distruggerli. Ma non accadde niente di simile, e quello
sgradevole pensiero passò. Dopotutto, nei thranx l'istinto di conser
vazione era forte almeno quanto negli umani.
Invece quel messaggio crittografico diede l'effetto sperato. —
Emergenza per annullamento temporaneo dell'editto ricevuta e com-
presa — fece la voce metallica. — Elaborazione.
Passarono due minuti che sembrarono due anni, poi finalmente
giunse la conclusione:
— Altre stazioni avvisate. Potete procedere.
Non c'era tempo da sprecare in ringraziamenti. Flinx si precipitò
al computer e diede verbalmente istruzioni perché la nave s'inserisse
in una bassa orbita intorno al pianeta, così da sorvolare il continente
più grande. Poi i sensori automatici avrebbero iniziato la ricerca di
un qualunque indizio della presenza di attrezzature di comunicazione
situate in superficie: qualunque cosa che indicasse la presenza di un
insediamento humanx. Qualunque luogo dove Challis potesse
trovarsi.
— E se non ci fosse niente di simile? — chiese Sylzenzuzex, im
pallidendo mentre il vascello si allontanava dalla fortezza orbitale.
— Là sotto c'è un intero pianeta, più grande di Hivehom e più
grande della Terra.
— Ci sarà certamente qualcosa — le assicurò Flinx. Il tono fidu
cioso della sua voce non tradiva l'incertezza della sua mente.
Ed effettivamente c'era. Solo che non furono loro a localizzarlo:
fu il qualcosa a localizzare loro.
— Quale nave... quale nave...? — crepitarono gli altoparlanti
appena i due s'inserirono nella bassa orbita di parcheggio. La
domanda era formulata in perfetta simbolingua, anche se Flinx non
avrebbe saputo dire se la bocca che la pronunciava era umana o
thranx.
Flinx si avvicinò al trasmettitore. — Chi chiama? — chiese, un
po' scioccamente.
— Quale nave? — ripeté imperiosamente la voce.
La cosa avrebbe potuto andare avanti per ore. Lui rispose con le
prime parole che gli parvero plausibili: — Questo è il vascello
privato di ricerca Chamooth, giunto qui dalla Terra per affari
attinenti alla Chiesa.
Non era una menzogna totale. Il fatto che lui avesse rapito
Sylzenzuzex costituiva senz'altro un affare di pertinenza della Chie
sa, e lui era giunto fin lì sulla base d'informazioni trovate negli archivi
della Chiesa stessa.
Seguì una lunga pausa, mentre le invisibili creature all'altra estre
mità del collegamento digerivano il fatto. Infine giunse la risposta:
— Eccovi le coordinate del porto delle navette.
Flinx si affrettò a registrare l'informazione. Il suo espediente era
servito a fargli ottenere almeno questo. E quando fossero atterrati...
be', avrebbe deciso sul posto il modo in cui procedere.
I numeri si tradussero in un punto sopra un pianoro alquanto
stretto fra le montagne del continente meridionale. La pista di
atterraggio costeggiava un grande lago, a 1400 metri di quota.
Sudando, imprecando fra i denti per la sua goffaggine, Flinx
riuscì a dirigere la scialuppa del vascello verso il punto indicato per
l'atterraggio con un minimo di correzioni all'autopilota. Infine lasciò
che l'automatico provvedesse — sia pure fra improvvisi scarti e
sobbalzi — a portarli giù a diretto contatto col suolo.
Sylzenzuzex stava parlando ininterrottamente, soprattutto fra sé.
— Non capisco proprio — continuava a ripetere. — Non
dovrebbe esserci niente, qui. Non su un mondo sotto editto.
Neppure un avamposto della Chiesa. Questo non ha senso, non
ha...
— Perché non dovrebbe aver senso? — le chiese Flinx, lottando
per tenersi seduto mentre il piccolo scafo affrontava le turbolenze
dell'alta atmosfera. — Perché la Chiesa non dovrebbe svolgere
qualche sua attività su un mondo dal quale vuol tenere lontani tutti gli
altri?
— Ma soltanto una gravissima minaccia al bene delle razze
humanx può essere motivo di editto — protestò lei, più che mai
incredula. — Io non ho mai sentito parlare di eccezioni a questa
regola.
— Naturalmente no — ammise Flinx, con la sicurezza di chi
aveva sperimentato tutta la perversità di cui potevano essere capaci
sia gli uomini che i thranx. — Nessuna informazione è disponibile sui
mondi colpiti da editto. Molto comodo per chi stia svolgendo atti
vità segrete.
Ora il piccolo scafo stava scendendo, inclinato in avanti, fra alti
pendii montagnosi ricoperti da fitte foreste. La densa atmosfera del
pianeta faceva sì che la vegetazione potesse crescere a quote assai
maggiori che sulla Terra o su Hivehom. Laghi alpini occhieggiavano
dovunque. Tra le cime più alte, numerose lingue di ghiaccio si stava
no lentamente aprendo la strada verso il basso: perfino lì, quasi
all'equatore del pianeta.
— Inizia la fase di atterraggio — li informò il computer dell'auto
pilota.
Flinx aguzzò gli occhi e vide che il pianoro di cui aveva parlato
l'emittente a terra era assai meno esteso di quanto lui avrebbe desi
derato. Più che una piatta distesa di rocce era un ampio deposito di
detriti lasciati da qualche precedente glaciazione, sul quale il ghiac
cio aveva ripreso qua e là ad avanzare. Un lago, lungo e stretto co
me un fiordo, luccicava come una gigantesca scheggia di zaffiro.
Mentre la scialuppa si raddrizzava, sfrecciarono sopra una
cascata che precipitava nel canyon sottostante in un unico getto alto
almeno mille metri e simile a candido acciaio. Ulru-Ujurr, decise
Flinx, era un mondo splendido.
Purché la scialuppa li avesse portati al suolo tutti d'un pezzo.
Il suo sedile antiaccelerazione tremò quando i getti di frenaggio
entrarono in funzione. Ora Flinx riuscì a distinguere, davanti a sé, la
pista di atterraggio che correva parallela alle profonde acque del la
go. All'estremità opposta un gruppo di edifici spiccava sopra il
deposito glaciale e i bassi arbusti.
Con vivo sollievo di Flinx, quell'installazione disponeva
quantomeno di agganci automatici, che evidentemente qualcuno
stava manovrando in qualche centro di controllo. All'improvviso
scattarono su dalla pista e s'innestarono nelle corrispondenti cavità
situate nel ventre della scialuppa. La manovra fu accompagnata da
un violento contraccolpo, poi l'ultima scivolata di qualche centinaio
di metri fu compiuta nel modo più regolare e uniforme.
Sylzenzuzex guardò fuori dall'oblò di sinistra, mentre già si sfilava
da dosso le cinghie. — Questo è pazzesco — esclamò, fissando il
complesso degli edifici che adesso, visti da vicino, apparivano
imponenti. — Non può esserci una base, qui. Non dovrebbe
esserci niente: niente.
— C'è appunto un niente che ci sta venendo incontro — com
mentò Flinx indicandole due grossi veicoli di superficie che stavano
attraversando la piatta distesa nella loro direzione. — E adesso non
dimenticare — proseguì in tono deciso, mentre calmava Pip che si
stava innervosendo e infilava il breve corridoio fino al portello di
accesso, — che tu sei qui perché ti ho costretta io a venire.
— Non mi hai costretta fisicamente — ribatté lei. — Te l'ho già
detto e ripetuto: io non posso mentire.
— Oh, che testa dura! — esclamò lui, esasperato, levando gli
occhi al cielo. — E allora... sii evasiva, cerca di... — S'interruppe,
con uno sbuffo d'impazienza. — Insomma, fa' quello che vuoi. Non
ho nessuna possibilità di convertirti alla ragione, così come non ne
hai tu di convincermi a entrare nella tua Chiesa.
Schiacciò il pulsante che azionava la cabina stagna automatica.
Questa cominciò subito ad aprirsi. Se l'atmosfera esterna fosse stata
irrespirabile, nonostante le informazioni contrarie dell'archivio
galattografico, lo sportello esterno sarebbe rimasto bloccato finché
quello interno si fosse richiuso ermeticamente. Quando il portello
esterno si aprì, una rampa a fisarmonica si allungò all'infuori e i
sensori all'estremità inferiore la bloccarono appena toccò il terreno
solido.
Pip prese ad agitarsi violentemente, ma Flinx gli appoggiò sopra
saldamente una mano, conscio però che quel nervosismo significava
che il minidrago percepiva qualche nuova minaccia: il che, probabil
mente, era giustificato se quella davanti a loro era un'installazione
della Chiesa. Oppure no? In ogni caso non era certo possibile che
loro affrontassero un'intera squadra, presumibilmente armata. Gli
occorsero parecchi minuti per convincere la bestiola a rilassarsi,
indipendentemente da ciò che sarebbe successo poi.
Respirò profondamente e cominciò a discendere la rampa.
Sylzenzuzex lo seguì imbronciata, immersa in pensieri altrettanto
imbronciati. Malgrado l'altitudine, l'aria era densa e ricca di ossige
no, il che compensava ancor più del necessario la forza di gravità
leggermente più intensa del normale.
Dirupi coronati di neve s'innalzavano su tre lati intorno alla valle.
Salvo per la pianura detritica sulla quale adesso si trovavano, i pen
dii tutt'intorno erano rivestiti da fitte distese di grandi alberi. Il verde
era ancora il colore predominante, ma qua e là c'erano abbondanti
chiazze gialle. I rami si ergevano verso il cielo, ma senza dubbio il
peso delle nevi invernali li avrebbe piegati completamente verso il
basso.
La temperatura, comunque, era ideale: circa venti gradi. Per
quanto riguardava Flinx, almeno, non c'erano problemi. Ma Sylzen
zuzex stava già soffrendo per il freddo, e l'aria asciutta non giovava
certo alle articolazioni del suo esoscheletro.
— Non preoccuparti — le disse Flinx, come incoraggiamento,
mentre i veicoli erano ormai vicini. — Ci saranno certamente degli
alloggi per il personale thranx. Presto potrai scaldarti.
E spiegare la tua triste storia in privato alle autorità locali,
se lo vorrai, aggiunse tra sé.
I suoi pensieri s'interruppero quando il primo veicolo si arrestò
davanti a loro. Strinse Pip, afferrandogli saldamente l'attaccatura
delle ali per impedirgli di prendere improvvisamente il volo. Nono
stante i lunghi minuti passati a calmarlo, il minidrago lottava ancora
per liberarsi. Infine si calmò, ma sempre poco convinto, e la sua
stretta intorno alla spalla di Flinx quasi lo fece spasimare.
Il veicolo cominciò a eruttare individui armati: non indossavano le
divise acquamarina della Chiesa e neppure quelle cremisi del Com
monwealth. I lanciaraggi da loro impugnati sembravano pronti a
sparare.
Sette uomini e due donne si disposero in semicerchio, con un'ef
ficienza che a Flinx non piacque affatto. Quando arrivò il secondo
veicolo, che a sua volta cominciò a rovesciar fuori gli occupanti, un
paio di membri del primo gruppo si staccarono dai compagni,
corsero su per la rampa e scomparvero dentro la scialuppa.
— Sentite, gente... — cominciò Flinx, in tono disinvolto. Uno
degli uomini armati agitò minacciosamente il lanciaraggi.
— Non so chi sei, ma adesso chiudi il becco.
Flinx aderì prontamente all'ingiunzione, mentre Sylzenzuzex, ora
impietrita più dallo stupore che dal freddo, s'immobilizzava dietro di
lui, fissando sbalordita i loro catturatori.
Passarono parecchi minuti prima che i due uomini entrati nella
scialuppa ne tornassero fuori, gridando ai loro compagni: — Non
c'è nessun altro a bordo, e nessuna arma.
— Bene. Riprendete le vostre posizioni.
Flinx guardò la tozza donna di mezza età che aveva parlato. Era
proprio davanti a lui. Aveva la faccia di chi ha visto troppe cose e
troppo presto e la cui giovinezza è stata una serie ininterrotta di
speranze distrutte e di sogni irrealizzati. Una vistosa cicatrice le cor
reva dall'angolo di un occhio lungo una linea frastagliata fino
all'orecchio e poi giù lungo il collo fino a scomparire dentro l'alto
colletto. Il livido biancore della cicatrice faceva un effetto
sconvolgente contro il colore scuro della pelle. Lei esibiva quella
cicatrice come un prezioso monile. Flinx notò il suo semplice
abbigliamento da lavoro: calzoni, stivali, camiciotto dal collo alto,
tutti chiaramente logori per il lungo uso.
La donna estrasse un comunicatore portatile e disse: —
Secondo Javits non c'è nessun altro a bordo e nessuna arma. — Un
borbottio troppo sommesso e lontano perché Flinx riuscisse ad
afferrarlo uscì dall'altoparlante di quella piccola unità compatta. —
No, gli strumenti non mostrano neppure la presenza di un
trasmettitore automatico a bordo. La nave in orbita non ha... —
un'altra pausa, poi: — Pare che siano soltanto loro due.
Spense il comunicatore, tornò a infilarlo nella cintura milleusi e
fissò Flinx e Sylzenzuzex. — Qualcuno sa che siete venuti qui?
— Non ti aspetterai che ti semplifichi le cose fino a questo pun
to, vero? — le rispose Flinx, per distogliere la sua attenzione da
Sylzenzuzex oltre che per evitare una risposta diretta alla domanda.
— Fai lo spiritoso, eh? — La donna avanzò decisamente di un
passo, e nel contempo sollevò il lanciaraggi fin sopra la spalla sini
stra. Ma in quell'istante Pip si mosse, e lei si rese conto all'improvvi
so che il minidrago non era una decorazione.
— Io non lo farei — disse Flinx fra i denti. Lei fissò il serpente.
— Velenoso?
— Mortale.
Lei non ricambiò il sorriso. — Possiamo ucciderlo e uccidere
anche voi due, sai?
— Sicuro — ammise Flinx, nuovamente amabile. — Ma provati
a puntare contro di me quel lanciaraggi: Pip e io ti salteremo alla go
la. Se lui non ti ucciderà lo farò io, non importa a che velocità potrà
muoversi questo cerchio di belle facce allegre. Nel caso assai
improbabile che moriamo tutti e due prima di ucciderti, il tuo supe
riore sarà maledettamente seccato per non aver più la possibilità
d'interrogarmi. In entrambi i casi, saresti tu a perdere.
Fortunatamente quella donna non era il tipo che agiva senza pen
sare. Fece un passo indietro, sempre tenendo il lanciaraggi puntato
su di lui. — Molto spiritoso, ragazzo — commentò a denti stretti.
— Forse madama ti lascerà a me quando avrà finito d'interrogarti.
Fa' pure il furbo quanto vuoi, adesso. Ti si prospetta comunque un
futuro assai breve. — Fece un rapido gesto con l'arma ai suoi
compagni. — Tutti e due dentro il primo veicolo.
Avanzarono tra due fitte ali di lanciaraggi puntati. Flinx divenne
teso, pronto a tutto, ma quando entrarono nel grande scomparti
mento interno vide con suo grande disappunto altri due individui
armati che chiaramente l'aspettavano. Nessuna speranza di potersi
impadronire dei comandi, dunque. S'infilò dentro, rassegnato.
Sylzenzuzex lo segui, e fu costretta a sistemarsi scomodamente
sul nudo pavimento poiché il veicolo era fornito soltanto di sedili per
gli umani, sui quali non poteva distendere il suo corpo da insetto.
Parecchie guardie armate li seguirono. Con notevole sollievo, Flinx
vide che la donna tozza dalla cicatrice non era con loro.
Il basso ronzio del motore divenne un gemito quando il massiccio
veicolo si alzò a un metro di altezza dal suolo e si diresse verso gli
edifici, seguito dalla seconda macchina. Quando furono più vicini,
Flinx poté vedere che il complesso era stato costruito ai margini
della foresta. Riuscì a distinguere in lontananza parecchie strutture
supplementari, in alto fra gli alberi, abbarbicate al fianco della
montagna.
I due veicoli si arrestarono davanti a un edificio di cinque piani.
Vennero scortati all'interno.
— Qui gli edifici hanno i tetti fortemente obliqui — osservò
Flinx, rivolto a Sylzenzuzex, mentre percorrevano il breve tratto
scoperto dal veicolo all'ingresso. — Già i rami degli alberi mostrano
che le nevicate devono essere terribili. E pensare che questo è
l'equivalente locale dei tropici.
— Tropici — sbuffò lei, facendo schioccare rabbiosamente le
mandibole. — Sono quasi del tutto congelata. — Poi, a voce più
bassa: — Probabilmente non fa nessuna differenza, poiché saremo
presto uccisi... Ti sei reso conto o no che siamo incappati in
un'enorme installazione illegale?
— Lo sospettavo — disse lui, sarcastico.
Dopo essere entrati in un ascensore che li portò all'ultimo piano,
uscirono in un corridoio dove un certo numero di uomini e donne
dall'aria preoccupata andavano e venivano intenti a diversi compiti.
Ma non erano assorti al punto di non mostrare una viva sorpresa
alla comparsa di Flinx e Sylzenzuzex.
Il loro gruppo fece una svolta a sinistra, continuò fino in fondo a
un corridoio laterale, poi si fermò. La donna si rivolse al microfono
della porta e ottenne il permesso di entrare. Scomparve all'interno
lasciando le altre due guardie pesantemente armate ad aspettare e a
pensare; qualche minuto dopo la porta tornò a riaprirsi, scivolando
sulle guide.
— Fateli entrare.
Qualcuno diede a Flinx una robusta spinta che lo mandò barcol
lante oltre la porta; anche la giovane thranx fu sottoposta allo stesso
rude trattamento.
Si trovarono in una stanza lussuosa. Finestre dai vetri rosati rive
lavano un roseo panorama del lago e della montagna, della pista di
atterraggio e — Flinx provò una stretta di nostalgia — della loro
scialuppa parcheggiata laggiù. Adesso sembrava molto lontana.
Una cascatella d'acqua gorgogliava a un'estremità della stanza,
circondata da morbidi tappeti: più pellicce che tappeti, in realtà. Un
denso profumo impregnava l'aria, provocandogli quasi un senso di
nausea. La porta tornò a chiudersi in silenzio alle loro spalle.
Nella stanza c'era un'altra persona.
Era seduta su una poltrona davanti ai rosei pannelli trasparenti,
rivestita di una leggera tunica. I suoi lunghi capelli biondi erano
acconciati in un triplice giro, e formavano tre trecce: due arrotolate
una per parte sopra gli orecchi, mentre la terza le ricadeva dietro la
testa. Stava giusto sorseggiando qualcosa di fumante da un boccale
taganou.
La donna sfregiata le si rivolse con deferenza: — Eccoli,
madama Rudenuaman.
— Grazie, Linda — La donna bionda si girò verso di loro. Flinx
percepì la sorpresa di Sylzenzuzex.
— È appena più vecchia di te o di me — bisbigliò la giovane
thranx.
Flinx non pronunciò parola. Si limitò impassibile ad aspettare,
fissando a sua volta quegli occhi color... oliva? No, oliva non era la
descrizione giusta. «Verde cancrenoso» sarebbe stato molto più ap-
propriato. Dietro quegli occhi c'era una gelida volontà omicida, che
lui percepiva molto più del profumo aleggiante nell'aria.
— Prima che vi faccia uccidere — cominciò la giovane donna,
con una voce piacevolmente morbida, — esigo che rispondiate a
qualche domanda. E vi prego di ricordarvi che non avete
assolutamente alcuna speranza. L'unica cosa sulla quale potrete
influire in qualche maniera è il modo della vostra morte: potrà essere
rapida ed efficiente se vi mostrerete pronti e disponibili a rispondere
alle mie domande, o al contrario assai lenta ed estremamente
spiacevole qualora vi mostriate riluttanti. Anche se non vi annoierete
di certo, questo ve lo posso garantire...
CAPITOLO NONO

Flinx continuò a studiare la donna bionda mentre lei inghiottiva un


altro sorso della sua bevanda fumante. Era quasi bella, lui non poté
fare a meno di notarlo, anche se dal suo volto era assente la più
piccola traccia di dolcezza.
Protesa di lato una mano, lei afferrò un bastone artisticamente
intagliato. Vi si appoggiò, riuscendo così ad alzarsi in piedi, e si av
vicinò lentamente a loro, zoppicando, chiaramente desiderosa di os-
servarli più da vicino. La gamba sinistra sembrava affetta da qualche
malformazione congenita che la rendeva incapace di sostenerla.
— Sono Teleen auz Rudenuaman. Voi siete...?
— Io mi chiamo Flinx — rispose lui prontamente, non vedendo
nessun vantaggio nell'irritare quella donna storpia e minacciosa.
— Sylzenzuzex — aggiunse la giovane thranx.
La donna bionda annuì, si girò, tornò indietro, si sedette e ordinò
che anche loro due si sedessero. Flinx prese una sedia e notò con la
coda dell'occhio che la donna dalla cicatrice stava seguendo con
estrema attenzione dalla sua posizione accanto alla porta ogni
movimento di lui e di Pip. Sylzenzuzex si ripiegò su una pelliccia lì
vicino.
— Nuova domanda — riprese madama Rudenuaman. — Come
avete fatto a superare il guardiano della pace della Chiesa?
— Noi... — cominciò a spiegare Flinx, ma si arrestò quando
sentì una stretta leggera ma decisa al braccio. Guardò oltre la
veramano e vide Sylzenzuzex che lo fissava implorante.
— Mi dispiace, Syl — le disse, — ma ho una profonda
avversione per la tortura. Non ci restano molte possibilità di scelta,
e quantomeno vorrei... — La veramano lo lasciò. Lui non mancò di
notare l'occhiata di totale disprezzo che la thranx gli rivolse.
— Pratico, oltre che impertinente — commentò, approvando,
madama Rudenuaman. — Ti sto ascoltando dall'istante in cui sei
atterrato. — Un sorriso guizzò per un attimo e poi svanì, lei ripeté
pazientemente: — La fortezza. Come avete fatto a superarla?
Flinx indicò Sylzenzuzex. — La mia amica — spiegò, senza
badare alla ticchettante risata mandibolare che accompagnò queste
parole, — è un padre-eletto che abitualmente svolge la sua attività
come membro della Sicurezza della Chiesa Unita. Ha convinto il
guardiano a lasciarci passare.
Madama Rudenuaman parve pensierosa. — Siete dunque riusciti
a passare grazie a un espediente verbale? — Flinx annuì. —
Dobbiamo far subito qualcosa perché un fatto simile non abbia a
ripetersi mai più — dichiarò madama Rudenuaman.
— Intende dire... alterare il funzionamento di una fortezza vo
lante? — esclamò Sylzenzuzex. — Ma come può sperare di... —
S'interruppe, e riprese, sbalordita: — Già, è vero... come siete
riusciti a superarle? Cosa fate, qui, con questa installazione illegale?
Questo è un mondo sotto editto. Nessuno, salvo la Chiesa e i gradi
più alti della gerarchia del Commonwealth, è in possesso dei codici
indispensabili per superare un guardiano della pace. Certo nessuna
società privata può possedere questi...
La donna bionda sorrise. — Questa società privata può.
— Ma quale società sarebbe? — chiese Flinx. Lei gli rivolse un
sorriso per nulla divertito.
— Per essere un condannato a morte fai troppe domande.
Tuttavia, non mi viene offerta troppo spesso la possibilità di
vantarmi di ciò che ho fatto. Si tratta della società Nuaman. Ne hai
mai sentito parlare?
— Sì — rispose Flinx, riflettendo sul fatto che quella ricerca dei
suoi genitori lo stava costringendo ai più putridi contatti col mondo
degli affari. — Fondatori sono stati...
— ... alcuni parenti di mia zia — terminò lei. — Poi mia zia
Rashalleila (possa ogni immaginabile sozzura impestare la sua
anima) l'ha ampliata. — Sorrise di nuovo. — Ma adesso sono io a
comandare. Mi è parso infatti che s'imponesse un cambiamento al
vertice.
«Sfortunatamente, la prima volta che ho tentato di sostituire mia
zia la mia scelta è caduta su un uomo tutto muscoli e niente cervello.
No, non è esatto: tutto muscoli ma niente fedeltà. Mi è costato —
(si accigliò al ricordo) — un brutto periodo. Ma sono riuscita a
fuggire dall'inferno medico in cui mia zia mi aveva relegata. Il mio
secondo tentativo era congegnato assai meglio, e ha avuto
successo.
«E adesso, vedi, questa è la società Rudenuaman. Vale a dire
me».
— Nessuna società privata ha i mezzi per trarre in inganno un
guardiano della pace — insisté Sylzenzuzex.
— Anche se appartieni alla Sicurezza, mio piccolo scheletro am
bulante, sembri caparbia nelle tue sciocche ostinazioni. Ammetto
che siamo riusciti a valicare (con un certo aiuto, lo riconosco) la
barriera dei guardiani della pace. Ma loro rimangono in funzione per
allontanare o distruggere qualunque visitatore che noi non autoriz
ziamo a scendere.
«Ora capisci perché la vostra improvvisa apparizione mi aveva
causato una viva ansietà. Ma non è durata a lungo: è cessata
quando vi siete mostrati così pronti a collaborare con noi per le
manovre di atterraggio. Naturalmente non avevate nessuna ragione
di aspettarvi qui qualcosa di diverso da un branco di religiosi
stupefatti».
— Non hai il diritto... — cominciò Sylzenzuzex.
— Oh, per favore — borbottò disgustata Rudenuaman. — Lin
da...
La donna dalla cicatrice lasciò il suo posto accanto alla porta.
Flinx strinse saldamente Pip: quello non era né il momento né il
luogo per lo scontro finale. Non ancora.
La sfregiata tirò un calcio improvviso a Sylzenzuzex, e Flinx udì il
crac! della chitina. La giovane thranx lanciò uno strillo acuto e
sibilante mentre una manopiede ricadeva giù, non più sorretta dalla
giuntura principale. Il sangue verde-rossastro cominciò a
sgocciolare mentre lei si accasciava su un fianco, stringendosi con le
veremani e l'altra manopiede l'arto ferito.
Linda si voltò e riprese la sua posizione accanto alla porta come
se nulla fosse accaduto.
— Sai che ha un sistema circolatorio aperto — mormorò cauta
mente Flinx. — Morirà dissanguata.
— Morirebbe — lo corresse Rudenuaman, — se Linda le
avesse spezzato la manopiede invece di romperle semplicemente la
giuntura. La giuntura ferita di un thranx si coagula. La sua
manopiede guarirà, il che è ben più di quanto abbia fatto la mia
gamba dopo che i medici di mia zia avevano finito di eseguirci sopra
i loro esperimenti. — Si batté col bastone ornato la gamba sinistra,
che risuonò cava. — Anche altre parti del mio corpo hanno dovuto
essere sostituite, ma la cosa più importante — (si indicò la testa) —
me l'hanno lasciata intatta. Questo è stato l'ultimo errore di mia zia.
«Ho un'ultima domanda da rivolgerti. — Si sporse in avanti, mo
strando per la prima volta, da quando l'interrogatorio era
incominciato, un genuino interesse. — Che razza di idea avete
avuto, di venire qui su un mondo sotto editto? E perdipiú voi due
soli, disarmati?».
— Può sembrarti strano — dichiarò Flinx, — ma... io sto
cercando risposta a una domanda.
Vedendo che Flinx parlava con estrema serietà, lei sprofondò di
nuovo nella poltrona, fissandolo. — Sei uno strano individuo.
Strano quasi quanto sei stupido. Quale domanda?
Lui fu improvvisamente sopraffatto da una moltitudine di possi
bilità in conflitto fra loro. Un fatto era chiaro: che lei potesse o no
dirgli ciò che lui desiderava sapere, lui e Sylzenzuzex sarebbero
morti. Man mano che il silenzio si prolungava, perfino Sylzenzuzex
divenne curiosa al punto di dimenticare per qualche istante il dolore
alla manopiede.
— Non posso dirtelo — rispose lui alla fine.
Rudenuaman lo guardò di traverso. — Questa sì che è strana.
Mi hai detto tutto il resto: perché esitare proprio su questo punto?
— Potrei dirtelo, ma tu non mi crederesti mai.
— A volte posso mostrarmi molto credula — ribatté lei. —
Mettimi alla prova, e se troverò interessante la cosa, forse
nonostante tutto non ti ucciderò. — Questo pensiero parve
divertirla. — Sì, dimmelo, e vi lascerò vivere entrambi. Qui
abbiamo sempre bisogno di lavoratori non specializzati. E perlopiù i
tipi che mi circondano sono tutt'altro che intelligenti. Potrei tenerti
come una piacevole novità, per quando vengo qui in visita.
— E va bene — replicò Flinx, decidendo di accettare
quell'offerta in quanto era la migliore che avrebbe potuto sperare.
— Sono venuto fin qui con la speranza di scoprire la verità sulla mia
nascita.
L'espressione divertita di Rudenuaman svanì. — Hai ragione:
non ti credo. Se davvero non riesci a escogitare nulla di meglio...
Fu interrotta da un lieve bussare, e alzò gli occhi irritata verso la
porta. — Linda...
Ci fu un attimo di attesa mentre la donna dalla cicatrice apriva la
porta e si affacciava per mormorare alcune irritate parole a
qualcuno di fuori. Ma nel medesimo istante, qualcosa di dimenticato
cominciò all'improvviso a urlare nella mente di Flinx.
E a quell'urlo mentale fece eco un altro urlo, di fuori, che tutti
poterono udire.
— Challis — gridò a sua volta Rudenuaman, incollerita, — non
puoi far tacere quella mocciosa? Perché poi tu continui a
trascinartela dietro è qualcosa che io... — S'interruppe, facendo
passare il suo sguardo sbalordito dal mercante (il quale, immobile
sulla soglia, fissava Flinx strabuzzando gli occhi) al ragazzo dai
capelli rossi e poi di nuovo al mercante.
— Ma... ma... Tu! — riuscì finalmente a esclamare Conda Chal-
lis, esplodendo come chi riesce a cacciar fuori dalla gola un osso
che lo stava soffocando.
— Lo conosci? — chiese Rudenuaman, rivolta a Challis. Una
terribile collera stava crescendo dentro di lei mentre le diveniva
chiaro in che modo Flinx era riuscito a trovare quel mondo. Lei
aveva ragione soltanto in parte, ma era una parte che la persuadeva
pienamente. — Vi conoscete! Spiegati, Challis!
Il grasso mercante aveva perso completamente il controllo di sé.
— Lui sa dei gioielli — farfugliò. — Volevo che mi aiutasse a
giocare con un gioiello, e...
Senza volerlo aveva rivelato qualcosa di cui fino a quel momento
Flinx aveva solo un vago sospetto. — Così, i gioielli di Janus
vengono da qui. È molto interessante, e spiega parecchie cose. —
Si voltò a guardare Sylzenzuzex. — Syl, ecco l'ovvia spiegazione
del perché qualcuno è disposto ad affrontare spese incredibili,
rischiando l'enorme penalità che comporta l'ignorare un editto della
Chiesa.
Una vocetta argentina esplose: — Colossale idiota di un
grassone!
Challis, ormai del tutto fuori di sé, abbassò lo sguardo, allibito
nel vedere la sempre sottomessa Mahnahmi che gli stava facendo
delle boccacce orribili. Flinx osservò la scena, interessato. Il
mercante aveva fatto finalmente qualcosa di abbastanza pericoloso
perché lei fosse spinta a infrangere quella maschera d'innocenza che
aveva sempre così accuratamente conservato.
Rudenuaman contemplava la scena con uguale curiosità, anche
se tutta la sua rabbia, concentrata su Challis, non accennava a
sbollire. Purtuttavia c'era una sfumatura di pietà nel suo sguardo.
— Stai diventando un'autentica passività, Challis. Non so perché
costui sia venuto fin qui, ma non credo che c'entri con i gioielli. Né
ha importanza il fatto che tu abbia appena rivelato il segreto meglio
custodito di tutto il Commonwealth, poiché nessuno di questi due
— (indicò Flinx e Sylzenzuzex) — lascerà mai più questo pianeta.
— Ma mi ha dato la caccia! Mi ha inseguito fin qui! — protestò
freneticamente Challis. — Deve avere per forza un nesso con i
gioielli!
Rudenuaman si rivolse a Flinx. — Hai inseguito Challis? Ma per
ché?
Il mercante continuò a farfugliare, confermando senza saperlo ciò
che poco prima Flinx aveva dichiarato: — ... o qualche idiota follia
sui suoi genitori! — Non aggiunse, con viva costernazione di Flinx,
se lui possedeva o no qualche altra informazione su quella particola
re ossessione.
— Forse potrei anche crederti, allora — disse Rudenuaman,
rivolgendosi prudentemente a Flinx. — Anche se è soltanto una
mascheratura, è ben congegnata.
Flinx decise che era meglio distoglierla da questo argomento che
lo riguardava troppo da vicino. — Dove vengono estratti, i gioielli?
— chiese. — Da lassù, dal fianco della montagna?
— Sei davvero divertente — rispose lei, senza impegnarsi. —
Sì, forse ti terrò vivo per un po'. Sarà un buon cambiamento, aver
vicino qualcuno in grado di stimolare la mia mente. — Tornò a
rivolgersi in tono aspro al grasso mercante. — Quanto a te, Conda,
hai consentito una volta di troppo che le tue perversioni private
interferissero con gli affari. Speravo... — Scrollò le spalle. —
Quanto minore è il numero d'individui che sanno dei gioielli e del
loro luogo d'origine, meglio è. Ma considerando ciò che è in gioco,
credo che dovrò rischiare e trovarmi un altro distributore esterno.
— Teleen, no — bofonchiò Challis, scuotendo violentemente la
testa. In pochi attimi, quel mercante immensamente ricco e potente
si era ridotto a un uomo obeso, vecchio e spaventato.
— E dovremo far qualcosa anche a proposito di quella
mocciosa impertinente e piagnucolosa — aggiunse Rudenuaman,
lanciando un'occhiata velenosa a Mahnahmi che la stava fissando in
silenzio. — Linda, portali da Riles. Può fare tutto quello che vuole
con Challis, sempre che sia ragionevolmente veloce. Dopotutto —
aggiunse in tono magnanimo, — è stato nostro socio, per un po'.
Quanto a quella piccola frignona, la conservi per i nostri divertimenti
del dopocena. Dovremmo riuscire a farla durare qualche giorno.
— No!
Flinx si sentì letteralmente sollevare da uno strillo mentale di
rabbia. Una forza tremenda attraversò la stanza, una potenza lace
rante che strappò i mobili, i tappeti e le persone dal suolo e dalle
pareti, scagliandoli in ogni direzione. Molti dei pannelli rosa di
poliplexlega andarono in frantumi.
Flinx lottò per riprendere il controllo del proprio corpo e riuscì
ad avvinghiarsi a un divano che, robustamente inchiodato al pavi
mento, aveva resistito a quella furia scatenata. Pip svolazzò inquieto
intorno alla sua testa, sibilando rabbiosamente ma incapace di far
qualcosa di più che mantenersi stabile in aria in mezzo a quella tem
pesta.
Con i capelli al vento, Flinx si riparò la faccia con un braccio e si
scrutò intorno, socchiudendo appena gli occhi.
Sylzenzuzex era rotolata via, fermandosi contro una parete. Lin
da giaceva al suolo priva di sensi: si era trovata più vicina di chiun
que altro all'origine dell'improvvisa bufera. Teleen auz Rudenuaman
giaceva sepolta in più strati di pelliccia misti a pezzi di arredamento.
La considerevole mole di Conda Challis si stringeva al tappeto in
chiodato davanti alla soglia per salvarsi la vita, mentre il vento tem
pestoso continuava ad avvolgerlo sforzandosi di strapparlo via da lì.
— Grasso imbecille! — gli stava urlando l'origine di quel tifone
tascabile, pestando infantilmente i piedi sul pavimento. — Culo di
porco, idiota gelatinoso... hai guastato tutto! Non potevi tener
chiusa quella tua lercia bocca? Per anni ti ho impedito d'inciampare
sulla tua stessa lingua, per anni ho preso le giuste decisioni per te,
mentre tu, grasso imbecille, pensavi che fossero opera tua! Adesso
hai buttato via tutto! — E continuò a urlare, mentre lacrime infantili
le scorrevano lungo le guance.
— Bambina mia — rantolò Challis, fronteggiando il vento furioso
a testa china, — facci uscire da questa situazione, e...
— Bambina mia! — ripeté Mahnahmi, facendogli il verso. —
Non conosco ancora le parole per descrivere quello che mi hai fatto
o quello che hai pensato di farmi. Non posso più salvarti, papà
Challis. — Girò gli occhi tutt'intorno, furiosa. — Potete precipitare
nei vostri rispettivi inferni! Non ho paura di nessuno di voi. Ma ho
bisogno di crescere dentro me stessa. Io non so ancora cosa sono!
Rivolse a Challis una folgorante occhiata di disprezzo. — Hai di
strutto ogni mia possibilità di diventare ricca e potente. Che il dia
volo ti porti!
Si girò di scatto e scomparve, precipitandosi lungo il corridoio.
Un grido mentale sempre più fievole trapassò Flinx: Un giorno
sarò forte perfino per ritornare a fare i conti con te...
Il vento diminuì lentamente la sua furia, a bruschi scatti. Flinx
riuscì di nuovo a muoversi senza rischio nell'aria turbinosa, e comin
ciò a contarsi i lividi. Vide che Sylzenzuzex era riuscita in qualche
modo a proteggere la manopiede ferita: il suo duro esoscheletro
l'aveva difesa da ulteriori danni, cosicché, pur essendo stata la
prima in quella stanza a subire una lesione, adesso era la meno
malridotta. Salvo per Pip, naturalmente, il quale, illeso ma ancora
turbato, tornò ad adagiarsi sulla spalla di Flinx. Soltanto la furia
rabbiosa del vento gli aveva impedito di uccidere Mahnahmi.
— Lei... lei sa pilotare una scialuppa spaziale — borbottò fra sé
Conda Challis, ancora intontito.
— Zitto, Conda. Chiunque può dirigere un vascello predisposto
ad accettare ordini verbali. Tuttavia, da sola, alla sua età...
— Mi ha usato. Lei ha usato me — continuò Challis, dimentico
di tutto ciò che lo circondava. I suoi occhi erano vitrei. — Durante
tutti questi anni ho pensato che fosse una bambina tanto carina e
deliziosa... e mi stava usando! — Scoppiò in una risata nervosa.
— Vuoi chiudere il becco? — dovette infine urlare
Rudenuaman. Ma il mercante la ignorò e continuò a rotolarsi sul
pavimento, in preda a convulse risate isteriche al pensiero dello
splendido scherzo che gli era stato giocato. Stava ancora ridendo,
ma sempre più rauco e rantolante, quando arrivarono due guardie a
trascinarlo fuori dalla stanza.
Flinx lo invidiò: in quelle condizioni non avrebbe neppure sentito
la lama del lanciaraggi quando l'avrebbero giustiziato. Scuotete con
sufficiente violenza il mondo di un uomo e sarà l'uomo ad andare in
pezzi, non il suo mondo. Prima l'improvvisa comparsa di Flinx e poi
la rivelazione di Mahnahmi... No, neppure tutti i cavalli e gli uomini
del re avrebbero mai potuto rimettere insieme Conda Challis.
Rudenuaman lo seguì con lo sguardo finché la porta fu chiusa:
allora crollò, esausta, sopra un divano sconquassato, uno dei pochi
che non erano andati completamente in frantumi sotto la violenza
infernale e incontrollata di Mahnahmi. Rifletté per qualche attimo,
poi disse: — Bisogna farlo. Chiama Riles.
— Sì, madama — esclamò Linda.
Momentaneamente dimenticati, Flinx e Sylzenzuzex ripresero fia
to e cercarono di provvedere alle rispettive ferite come meglio
potevano. Qualche minuto dopo un uomo alto e muscoloso entrò
nella stanza.
— Sono stato sommariamente informato — disse, seccamente.
— Come ha potuto accadere, Rudenuaman?
Pip s'inalberò, vibrando tutto, e Flinx fu costretto a trattenerlo
con tutte le sue forze. Ma anche i suoi sensi vibravano. Qualcosa
che lui aveva percepito nel preciso istante in cui avevano lasciato la
scialuppa si era intensificato improvvisamente alla comparsa del
nuovo venuto.
— Non si poteva evitare — rispose Rudenuaman, con un tono
di voce sorprendentemente docile. — La bambina, a quanto pare, è
una psionica dai poteri di una intensità sconosciuta. Ha ingannato
perfino suo padre.
— Non dev'essere stato difficile, da quanto mi è stato riferito sul
comportamento di Challis. Ci sarà più utile morto. — L'alta figura si
voltò verso Flinx e Sylzenzuzex. — Questi due prigionieri sono gli
individui che hanno superato le difese?
— Sì.
— Fa' in modo che non fuggano anche loro, se puoi — ordinò
seccamente l'alta figura. — Anche se in fondo la loro sorte non avrà
più importanza qualora la bambina riuscisse a fuggire da questo po
sto e a rivelarne i segreti. Tutto questo intricato raggiro comincia a
stancarmi... — Sollevò una mano, si afferrò il mento e si staccò via
l'intero volto.
Sylzenzuzex esplose in un ticchettante gorgoglio mentre l'irritato
non-uomo si girava di scatto per lasciare la stanza. Anche Flinx era
scosso. Adesso sapeva cos'aveva inquietato lui e il minidrago dall'i
stante in cui erano atterrati su quel mondo. Non era soltanto il fatto
che quell'uomo avesse rivelato di essere in realtà un AAnn: si
trattava pur sempre di una possibilità che Flinx aveva fiutato dal
momento in cui aveva ripescato l'immagine di Conda Challis e di
Ulru-Ujurr dalla mente del rettile infiltratosi sulla Terra.
Era il fatto che lui conosceva quell'AAnn.
Ma il barone Rudi WW non aveva mai posto l'occhio su Flinx, il
quale non era mai finito a portata di schermo quando il barone ave
va inseguito lui e gli altri che si trovavano a bordo della nave di
Maxim Malaika, tanti mesi prima. Flinx, da parte sua, aveva visto
fin troppo quel volto gelido e assolutamente incrollabile, e aveva
udito troppe minacce pronunciate da quella voce melliflua.
Riidi, giunto alla porta, tornò a girarsi, e per un attimo Flinx
temette che dopotutto l'aristocratico AAnn l'avesse riconosciuto.
Ma l'AAnn indugiò soltanto per scambiare qualche altra frase con
Rudenuaman.
— Farai meglio a sperare che la bambina non scappi, Teleen.
Benché non irradiasse più la primitiva impressione di totale onni
potenza, la donna-mercante era ben lungi dal lasciarsi intimorire. —
Non minacciarmi, barone. Ho anch'io le mie risorse. Una mia im
provvisa scomparsa potrebbe renderti le cose assai difficili.
— Mia cara Rudenuaman — obbiettò lui, — non ti stavo
minacciando. Non oserei mai... Sei stata troppo preziosa, per noi,
come tua zia prima di te. Non accetterei che nessun altro umano, in
tutto il Commonwealth, prendesse il tuo posto in questa nostra
relazione d'affari. Ma se la bambina dovesse riuscire nel suo
tentativo di fuga, allora, per la sabbia che protegge la vita, tutta
questa operazione dovrebbe essere chiusa. Se una successiva
spedizione della Chiesa dovesse scoprire questa base, e che è stata
in parte finanziata e fatta funzionare da membri della razza
dell'Impero, ciò potrebbe essere pretesto per una guerra. Anche se
non teme una guerra, l'Impero preferirebbe non impegnarsi proprio
adesso in un aperto scoppio di ostilità. Sarebbe costretto a
distruggere la miniera e a cancellare qualunque traccia di questa
installazione.
— Ma poi ci vorrebbero anni, per ripristinarla — obbiettò
Rudenuaman.
— Molti anni, come minimo — riconobbe il barone, — anche
con la valutazione più ottimistica. E se la Chiesa decidesse di far
pattugliare lo spazio circostante da fortezze dotate di equipaggio
invece che da sonde automatiche facilmente ingannabili, noi non
potremmo mai più ritornare qui.
— Avevo ragione — dichiarò Sylzenzuzex, in tono soddisfatto.
— Nessuna società privata ha risorse sufficienti per manomettere e
aggirare un guardiano della pace della Chiesa Unita. Soltanto un
altro governo spaziale come l'Impero poteva riuscirci.
Il barone le rivolse un saluto AAnn, il quale suggeriva che lei
aveva conseguito una vittoria di Pirro. — È proprio così, giovane
signora. Tanto più che per l'Impero non ha la minima importanza
(come invece l'ha per una società privata) che la vostra Chiesa
abbia posto questo mondo sotto editto. C'importa molto più il fatto
che si trova all'interno del territorio del Commonwealth. Ma per noi,
se fossimo scoperti, il pericolo starebbe nelle conseguenze
diplomatiche, non in qualche immaginario demone che la vostra
gerarchia ha immaginato che si trovi quaggiù.
— Non avete trovato nulla, su questo pianeta, che giustifichi la
sua quarantena? — chiese Flinx. La curiosità aveva avuto la meglio
sulla prudenza.
— Nulla, mio giovane amico — rispose l'alto dignitario AAnn.
— È un pianeta umido e freddo, ma sotto ogni altro aspetto è
ospitale.
Flinx aguzzò lo sguardo interiore, cercando, ma senza successo,
di penetrare nella calcolatrice mente del barone. In quel momento i
suoi mutevoli e capricciosi talenti rifiutavano di collaborare. — State
rischiando una guerra interstellare pur di guadagnare qualche credito
in più?
— Cosa c'è di male, nei soldi? L'Impero ci prospera, e a quanto
so neppure il vostro Commonwealth li disdegna. E poi, chissà —
aggiunse sorridendo il barone, — potrebbe anche darsi che la mia
mano in questa faccenda sia nascosta al mio stesso governo. Quello
che l'arkazy non vede nella sabbia, non morde, vya-nar?
«Ma adesso dovete scusarmi, perché abbiamo una bambina in
fuga che si merita una bella sculacciata». E si dileguò oltre la porta.
C'erano decine di domande che Flinx avrebbe potuto rivolgere
all'aristocratico AAnn. Tuttavia, benché il barone non avesse dato
segno di riconoscerlo quando aveva risposto alle sue domande,
restava pur sempre il rischio che in una conversazione più lunga e
approfondita Flinx si lasciasse sfuggire qualche affermazione
imprudente. Se l'AAnn avesse anche soltanto sospettato che Flinx si
era trovato nel ristretto gruppo che mesi prima era riuscito a
ingannare sia lui che l'Impero a proposito del Krang, avrebbe
agguantato il giovanotto e l'avrebbe vivisezionato con infinita
lentezza. Molto meglio non correre quel rischio.
Perciò aspettarono, mentre Teleen recuperava l'equilibrio dopo
la fuga di Mahnahmi così ricca di possibili conseguenze e il trauma
provocatole dalle rampogne del barone incollerito. Flinx guardò
fuori, attraverso una finestra frantumata: vide in lontananza un
montacarichi dissimulato nel terreno che sollevava fino in superficie
dagli hangar sotterranei due grosse navette militari. Un veicolo
isolato, che senza dubbio conteneva Riidi WW, si fermò accanto a
una delle navette: ne uscirono parecchie figure che si precipitavano
di corsa verso gli scafi in attesa.
Il veicolo si allontanò, e quando fu giunto a una distanza di sicu
rezza le due navette s'innalzarono tuonando verso il cielo, dove pro
babilmente avrebbero avuto un rendez-vous con una nave militare
degli AAnn in attesa. Mahnahmi si era presa un buon vantaggio, ma
Flinx sapeva che il vascello da lui noleggiato non avrebbe mai potu
to competere con uno scafo militare. Tuttavia la mente della ragaz
zina era come un reattore incontrollato: non c'era modo di prevede
re cosa sarebbe stata capace di fare sotto sufficiente tensione. Flinx
rifletté che il barone avrebbe fatto meglio a stare in guardia.
Tenendosi rivolto verso la finestra, parlò a bassa voce con
Sylzenzuzex. Entrambi cercarono di trovare delle spiegazioni valide
per la presenza dell'AAnn in quel luogo. Neppure lei credeva
all'affermazione del barone secondo la quale lui si trovava su quel
pianeta per questioni di puro profitto finanziario. Gli AAnn erano
nemici giurati del Commonwealth fin dal suo inizio. Non avevano
mai smesso i loro tentativi, subdoli e guardinghi ma implacabili, di
nuocere al Commonwealth, d'infliggergli colpi che finissero col
portarlo alla distruzione, per concretare infine quello che ritenevano
il loro destino: governare l'intero cosmo e le sue razze «inferiori».
Perciò doveva esserci una ragione più profonda per la loro
presenza lì, una ragione che coinvolgeva quegli straordinari gioielli di
Janus, anche se nessuno di loro due era riuscito a elaborare
un'ipotesi accettabile.

Su Tharce IV vive una donna di nome Amasar, di celebrata


saggezza. Ora, però, noi la vediamo immersa in una specie di
ebbra estasi, mentre fissa il meraviglioso oggetto che stringe in
mano.
Venerata dai suoi elettori, rispettata dagli avversari, per due
decenni è stata rappresentante permanente per l'emisfero nord
di Tharce IV al Consiglio del Commonwealth. La sua mente
non si è mai riposata, poiché si è sempre dedicata alla ricerca
di soluzioni ai problemi o di risposte alle domande, e ha sempre
lavorato tante ore da riempire d'imbarazzo colleghi e assistenti
due volte più giovani di lei. Attualmente ricopre il ruolo di
secondo consigliere esperto in teoria diplomatica nell'ambito
dello stesso Consiglio. Questo suo incarico la mette in posizione
tale da influenzare fortemente la politica estera del
Commonwealth.
Lei dovrebbe studiare i punti principali all'ordine del giorno
dell'imminente seduta, ma la sua mente è occupata invece dalla
magnificenza che sfolgora nell'oggetto che regge in mano.
Inoltre, per la maggioranza delle questioni che il Consiglio
dovrà votare, lei ha già deciso. Come persona assai rispettata,
i suoi consigli avranno un peso decisivo. Si su quella questione,
no su questa, quella proposta va riesaminata attentamente,
non bisogna assolutamente cedere in quella disputa,
riaffermare i propri diritti su quel punto... Un lungo elenco.
Con la mente concentrata altrove, Amasar spegne il visore,
che da qualche minuto è rimasto acceso ma vuoto. Lasciatasi
andare contro lo schienale della poltrona, si reimmerge
estatica nel modulato scintillio dell'oggetto che stringe in
mano.
Domani salirà nell'astronave per recarsi alla riunione
annuale del Consiglio. Il luogo varia alternativamente fra le
capitali della Terra e di Hivehom. Quest'anno tocca alla
capitale del mondo dei thranx. Promette di essere una sessione
impegnativa e stimolante, una sessione che per lei riveste molto
interesse. Molte questioni d'importanza vitale saranno messe in
votazione, comprese urgenti misure riguar danti quegli scaltri
assassini, gli AAnn. Nel Consiglio c'è ancora qualcuno che
crede nell'uso della moderazione, con quei rettili, per garantire
la pace. Lei non ci crede. No, non ci crede!
Ma perché preoccuparsi di questo, proprio adesso?
Muovendosi come in un sogno, apre il cassetto centrale per un
ultimo controllo. C'è tutto: le credenziali diplomatiche, la
conferma dei posti riservati, i nastri con la documentazione, e
ogni altra informazione utile. Sì, sarà una sessione interessante,
quest'anno.
È ancora raggiante di piacere quando infila una mano nel
cassetto in basso a destra, estrae la piccola ed efficace ago-
pistola, fa esplodere in tante briciole quell'oggetto lucente e
meraviglioso, e subito dopo si brucia le cervella!
Il suicidio viene registrato dal giudice istruttore e aggiunto
dai funzionari del Commonwealth all'ormai lungo elenco di
eventi inesplicabili che sembrano affliggere, con frequenza
crescente, anche gli esseri umani più stabili. Troppo pochi
soldi, troppo pochi affetti... O troppo di un certo tipo di letale
bellezza.

— Una bambina eccezionale — commentò infine Teleen auz


Rudenuaman, interrompendo il loro fitto parlare. — Questa sembra
proprio la giornata dei ragazzini fuori dall'ordinario. — I due prigio
nieri non replicarono, e allora lei strinse le spalle e guardò fuori dalle
finestre infrante. — Sapevo che doveva esserci un motivo per de
testare con tanta forza quella mocciosa. Devo ammettere, tuttavia,
che era riuscita a ingannarmi completamente. Mi chiedo quanto a
lungo abbia maneggiato Challis per i propri fini.
— Stando a quanto ha detto, fin dal giorno in cui è nata, o quasi.
— Flinx pensò che fosse bene continuare a deviare l'attenzione di
quella donna su qualcosa che non fosse lui. — Ci ucciderai, ades
so? — chiese, con disarmante franchezza. — Oppure hai deciso
finalmente di credermi?
— Il fatto che io decida di ucciderti oppure no non c'entra niente
con la tua storia — rispose Rudenuaman, — anche se sembra che
Challis l'abbia confermata. Ho tutto il tempo che voglio, per sbaraz
zarmi di te. Ma per adesso... sei ancora una stimolante novità. —
Lo fissò compiaciuta. — Sei un groviglio d'interessanti
contraddizioni, difficile da classificare. Non sono sicura che la cosa
mi piaccia. Ho la tendenza a sentirmi frustrata da ciò che non
capisco. È pericoloso, perché potrei finire con l'ucciderti per un
capriccio: e questo servirebbe soltanto a farmi sentire ancor più
frustrata, dal momento che moriresti con tutte le risposte.
«No, credo proprio che aspetterò il ritorno del barone, prima di
fare qualcosa di definitivo con voi due. — Sorrise, mostrando i
denti candidi. — Gli AAnn sono molto abili a sciogliere anche le più
intricate contraddizioni».
Sylzenzuzex si sollevò sulle veregambe e saggiò l'arto ferito. Sa
rebbe stata costretta a zoppicare su tre supporti fino a quando la
manopiede si fosse rimarginata. Lanciò un'occhiata furiosa a Rude
nuaman: gli occhi sfaccettati erano assai adatti a lanciare occhiate
furiose.
— Allearsi ai nemici giurati del genere humanx! — esclamò.
Rudenuaman non batté ciglio. — Tanta indignazione per pochi
soldi. — Fissò con aria di compatimento la giovane thranx. — Gli
AAnn mi hanno concesso i diritti esclusivi per la distribuzione dei
gioielli all'interno del Commonwealth. In cambio io gli permetto di
prelevare una piccola parte della nostra produzione. Io fornisco la
maggior parte delle attrezzature per l'estrazione del minerale, e loro
neutralizzano i guardiani della pace.
«Ho reso la società Nuaman, ora Rudenuaman, più forte di
quanto sia mai stata sotto mia zia. Abbiamo scoperto soltanto
quell'unica sacca di gioielli, che sembra una mutazione mineralogica
isolata. Nel giro di cinque-dieci anni avremo estratto l'ultimo gioiello
dalle viscere della montagna. Poi ce ne andremo da qui
volontariamente, senza che la Chiesa se ne sia mai accorta e senza
che al Commonwealth ne sia venuto il minimo danno. Per
quell'epoca la società Rudenuaman si troverà in una posizione
finanziaria invincibile. Mia zia (possa marcire nel limbo) avrebbe
approvato. Credo che...
— Io credo che tu ti stia accecando volontariamente —
intervenne Flinx. — Per ciò che riguarda l'Impero, in questa
faccenda c'è molto più di una meschina somma di denaro.
Rudenuaman lo fissò incuriosita. — Cosa ti dà il diritto di fare
una simile affermazione?
— Prima di venir qui sono stato al centro amministrativo della
Chiesa Unita, sulla Terra. E mentre ero lì, un AAnn con un travesti
mento chirurgico simile a quello del barone, ma molto più elaborato,
ha tentato d'introdursi furtivamente nella sezione di comando. Si è
ucciso con una carica di kelite, e una polvere cristallina è stata
trovata sparsa dappertutto nelle sue interiora maciullate. Poteva be
nissimo essere stata prodotta dallo sbriciolamento di un gioiello di
Janus.
— Ma i dardi di cristallo che aveva con sé... — obbiettò
Sylzenzuzex.
— ... avrebbero potuto essere confezionati con qualche gioiello
di Janus difettoso — le fece osservare lui. — Non ci hai pensato?
Non avrebbe costituito una magnifica copertura? — Si voltò a
fissarla. — Non credo affatto che quell'intruso si sia suicidato per
impedire che l'interrogassero. Non si può far parlare un AAnn. Cre-
do invece che l'esplosione sia servita a distruggere ciò che portava
con sé: un gioiello di Janus.
— Ma perché l'aveva con sé? — insisté lei. — Per corrompere
qualcuno?
— Non lo credo... ma non ne sono sicuro. Non ancora.
— Come se m'importasse ciò che accade alla Chiesa — fece in
tono spregiativo Rudenuaman.
Sylzenzuzex replicò, piena di dignità:— La Chiesa è l'estremo
baluardo che si frappone tra la civiltà e la barbarie.
— Credi che ai rappresentanti del Commonwealth piacerebbe
sentirti dire questo, mia cara? Anche loro hanno l'aria di
considerarsi i supremi difensori della civiltà degli humanx.
— Il Commonwealth si regge soltanto perché è sostenuto dagli
incorruttibili principii della Chiesa Unita.
— Ecco qualcosa che vorrei davvero incontrare — replicò
sarcastica la donna bionda, sistemandosi meglio sul divano. — Un
incorruttibile.
— Anch'io — dovette ammettere Flinx.
Sylzenzuzex si girò di scatto verso di lui. — Da che parte stai,
tu? — La sottile peluria dietro il secondo torace si drizzò, in segno
di viva irritazione.
— Non lo so — replicò lui, in tutta sincerità. — Non ho ancora
studiato attentamente tutti i lati della faccenda.
— Vi piacerebbe visitare la miniera? — chiese Teleen,
all'improvviso.
— Molto — ammise Flinx. Sylzenzuzex ostentò indifferenza, ma
lui poté percepire la sua intima eccitazione.
— Molto bene — decise la donna bionda, chiaramente
d'impulso. — Linda!
— Veicolo di superficie, madama... e guardie?
— Soltanto il conducente e un altro uomo.
La tozza guardia del corpo la fissò incerta. — Madama, lei
crede che...?
Rudenuaman scartò l'obbiezione. Desiderava soprattutto distrarsi
per scacciar via i tormentosi avvenimenti del pomeriggio. Una giusta
porzione di vanterie sarebbe stata la terapia adatta. — Ti preoccupi
troppo, Linda. Dove possono andare? La loro scialuppa è stata
rubata, il barone si è preso il nostro vascello, e questo pianeta, in
qualunque direzione si voglia fuggire, è una distesa gelida e
inospitale.
— Proprio così — ammise Flinx. — Inoltre la mia compagna ha
un arto ferito.
— Davvero te ne importa? — ribatté Sylzenzuzex in tono di
scherno.
Flinx si rivolse a lei rabbioso. — Sì: nonostante tutto quello che è
successo (e per buona parte me ne dispiace), m'importa ancora
molto di ciò che ti può accadere, che tu voglia crederlo o no!
Sylzenzuzex fissò in silenzio le sue spalle quando lui le voltò la
schiena cacciandosi le mani nelle tasche della tuta. Le rigide proce
dure della Sicurezza, la cronofisica archeologica... tutto ciò appariva
estremamente semplice e chiaro se messo a confronto con quel
giovane e impenetrabile umano. Probabilmente non si sarebbe senti-
ta granché confortata se avesse saputo che la sua opinione su Flinx
era condivisa, sia pure in vario grado, dalle altre due donne presenti
in quella stanza.
Senza dubbio, Flinx sarebbe stato assai più facile da capire se
prima di tutto fosse stato capace di capire se stesso...

CAPITOLO DECIMO

Il Veicolo ronzò in un gemito sempre uguale — testimoniando la


sua perfetta messa a punto — quando prese a risalire un erto
sentiero circondato da una bassa vegetazione simile all'erica. Flinx si
lasciò andare contro lo schienale e guardò attraverso il tetto
trasparente. Subito oltre il complesso di edifici della miniera la
montagna diventava praticamente verticale, elevandosi di altri 2500
metri sopra di loro.
In quei momenti, né l'incredibile panorama né le loro attuali
prospettive cupe né i gemiti che di tanto in tanto Sylzenzuzex sibi
lava ricevevano la sua attenzione. Invece la sua mente continuava a
concentrarsi su quel nastro trafugato che quasi certamente contene
va la registrazione della prima parte della sua vita. E nella sua mente
il nastro era collegato in modo indissolubile a Conda Challis, che
ora non avrebbe più potuto fuggire davanti a lui.
Flinx aveva già avuto modo di conoscere il sontuoso
appartamento-ufficio di Teleen auz Rudenuaman. Senza dubbio
Challis possedeva un appartamento simile, anche se meno ampio, in
qualche punto del complesso di edifici che si erano lasciati alle
spalle: forse nel medesimo edificio. Molto presto le stanze di Challis
sarebbero state sgombrate, i suoi effetti personali eliminati, e le
stanze adibite a nuovi usi. Ma in quel momento dovevano essere
chiuse e intatte, con tutto ciò che contenevano: compreso quel
nastro registrato, così insopportabilmente vicino.
Se si poteva convincere quell'imprevedibile donna bionda a
tenerli vivi ancora un po', forse lui avrebbe avuto ancora la
possibilità di scoprire cosa conteneva quella bobina rubata. Anche
se, considerato il sadismo di Rudenuaman, qualora lei avesse
saputo quanto disperatamente lui la desiderava, avrebbe potuto
senz'altro srotolarla lentamente davanti ai suoi occhi in una vaschetta
d'acido.
L'ordine che aveva dato, di uccidere Challis, era una misura della
sua megalomania, ossia della sua smisurata fiducia in se stessa. Sa
rebbe stato un lavoro assai arduo, quello di coprire poi in qualche
modo la sua scomparsa. Non che si dovessero temere obbiezioni
dai dipendenti della sua azienda, di qualunque ordine e grado. Gli
agenti di Rudenuaman non avrebbero fatto fatica a trovare gente
bramosa di prendere in mano (senza fare domande) le redini del
potere che era stato di Challis. Inoltre, le attività private di Challis
erano di natura tale da scoraggiare qualunque indagine
approfondita. Un uomo dedito a passatempi così ripugnanti poteva
incontrare una fine inaspettata in un gran numero di modi diversi.
Flinx si chiese se in quel momento la mente del mercante fosse
ancora abbastanza lucida da rammaricarsi per la deludente
semplicità del suo trapasso. Senza dubbio Challis aveva previsto
per la sua morte qualcosa di grandiosamente depravato.
Il veicolo si arrestò al limite più basso del gruppo di costruzioni,
accanto a una parete verticale di lucido metallo. Gli edifici erano
stati costruiti su un'area pianeggiante che era stata ottenuta scavan
do il fianco della montagna. Più in alto una serie di profili metallici
sprofondava dentro la parete rocciosa come giganteschi aghi di
siringa che stessero risucchiando il sangue a una balena. Dall'interno
di quei condotti giungeva, trasportato dalla limpida aria di
montagna, il costante ca-ranc, ca-ranc delle instancabili macchine.
Una guardia, che poteva essere umana oppure no, salutò con di
sinvolta deferenza quando entrarono dentro il complesso. —
Questo gruppo più esterno di edifici — aveva cominciato a spiegare
Rudenuaman, — ospita i nostri impianti per la frantumazione della
roccia e le lavorazioni successive. — E continuò a parlare, sempre
agitando le braccia, mentre s'inoltravano sempre più nel complesso.
— Questa installazione ci è costata un numero incredibile di crediti:
una minuscola goccia, in confronto al profitto che alla fine avremo
realizzato.
— Non capisco ancora perché gli AAnn abbiano così disperata
mente bisogno di te — disse Flinx, cercando di assimilare il più
possibile di ciò che stava vedendo, — soprattutto se si considera
che sono stati loro a escogitare il modo di eludere la sorveglianza
dei guardiani della pace.
— Credevo di averlo già chiarito — replicò lei. — Prima di
tutto, per le gemme il Commonwealth è un mercato infinitamente più
ampio dell'Impero. E loro non hanno modo d'immettere sul mercato
la loro parte se non attraverso un agente umano: nel caso specifico,
la sottoscritta. Ma c'è un fatto ancor più importante: come ha
spiegato il barone, questo mondo si trova all'interno della frontiera
del Commonwealth. Anche se è relativamente isolato, fra qui e il più
vicino pianeta popolato dell'Impero ci sono vari pianeti abitati e
attivi, più numerose stazioni d'osservazione automatiche. Perciò gli
AAnn hanno bisogno di salvacondotti per aggirarsi in questa zona di
spazio, e le navi della Rudenuaman glieli forniscono.
Flinx pensò all'improvviso al barone lanciato all'inseguimento di
Mahnahmi. — Ma allora, in questa regione non ci sono vascelli mili-
tari dell'Impero? — chiese.
Rudenuaman parve sorpresa per la sua ingenuità. — Credi forse
che il barone sia così pazzo? Basterebbe che una sola nave dell'Im
pero fosse scoperta in questo settore dello spazio, e subito la zona
pullulerebbe di navi da guerra del Commonwealth. Il barone — ri
badì, compiaciuta, — è assai più astuto di quanto gli humanx diano
credito agli AAnn.
Così astuto, pensò Flinx, agitato da sentimenti contrastanti, che
con tutta probabilità si era rovinato con le sue stesse mani. Se stava
inseguendo Mahnahmi con una nave mercantile invece che con un
caccia o un incrociatore spaziale, alla fine quella diabolica ragazzina
avrebbe anche potuto sfuggirgli. Non che lui fosse del tutto convinto
di desiderare che quel precoce talento diabolico sfuggisse al baro
ne; ma perlomeno una caccia lunga e vivace avrebbe potuto prolun
gare per un bel po' di tempo l'assenza del barone da Ulru-Ujurr.
Loro, comunque, dovevano risolvere la loro pericolosa
situazione prima che il barone ritornasse. Per quanto Rudenuaman
lo giudicasse una stuzzicante novità, Flinx non credeva che
l'aristocratico AAnn avrebbe tollerato a lungo la sua presenza e
quella di Sylzenzuzex, vivi, giusto nel cuore di simili attività segrete.
Per cui, al primo scontro aperto lui e la giovane thranx potevano
star sicuri che la titolare della società Rudenuaman li avrebbe
sacrificati per placare il socio. E anche senza uno scontro aperto,
sarebbe bastato un ordine del barone e Rudenuaman li avrebbe fatti
uccidere subito senza pensarci due volte, per quanto piacevole
fosse stato il passatempo che lui rappresentava ai suoi occhi. —
Taleen — cominciò a dire, quasi distrattamente, — non hai mai...
Rudenuaman si girò verso di lui, furiosa. — Non chiamarmi mai
più così, se no morirai molto più presto di quanto credi. Devi chia
marmi sempre madama, o madama Rudenuaman. Altrimenti, la
prossima volta mi divertirai col chiasso che farai davanti a me men
tre qualcuno ti scorticherà la schiena.
— Scusami... madama — replicò lui, in atteggiamento il più pos
sibile remissivo. — Insisti ancora a dire che l'interesse degli AAnn
per i gioielli di Janus è soltanto finanziario? — Mentre pronunciava
queste parole, era conscio che Sylzenzuzex lo stava osservando.
— Perché continui a sollevare questa questione? Sì, certo che lo
credo.
— Dimmi: hai mai visto un AAnn (lo stesso barone, ad esempio)
infilarsi in testa una cuffia trasmittente per creare giochi di particelle
all'interno di uno di questi cristalli?
— No. — Lei non parve affatto turbata da una simile idea. —
Questo è un avamposto minerario: non ci sono edonisti o
sfaccendati, qui.
— Tu hai una di quelle cuffie?
— Sì.
— E Challis? Presumo che anche lui ne avesse una, qui. Sembra
che i giochi colloidali fossero una delle sue maggiori ossessioni.
— Sì, e non l'unica — replicò lei, torcendo la bocca per il disgu
sto.
— E il barone? Davvero non piace anche a lui godersi queste
gemme?
— Il barone Riidi WW — dichiarò Rudenuaman, — ha una
mentalità rigidamente militaresca e affaristica. L'ho visto, in qualche
rara occasione, rilassarsi con qualche passatempo tipicamente aann,
ma mai con un gioiello di Janus.
— E gli altri AAnn di un certo rango che si trovano qui?
— No. Sono totalmente assorti nei loro compiti. Ma perché sei
tanto curioso di sapere se ho mai visto uno di quei rettili giocare con
quelle gemme?
— Perché — rispose Flinx in tono riflessivo, — non credo che
siano in grado di usarli. Non so cosa ne faccia, il barone, dei gioielli
che gli vengono consegnati: ma sono certo che non vengono riven
duti all'interno dell'Impero per il divertimento dei ricchi AAnn. È
probabile invece che siano usati per corrompere personaggi influenti
del Commonwealth; non ne sono ancora del tutto certo, ma...
«Il fatto è che la mente degli AAnn è diversa da quella degli uo
mini o dei thranx. Non necessariamente inferiore, perché anzi è su
periore sotto certi aspetti: ma diversa. Ho letto qualcosa in proposi
to, e credo che il loro cervello non produca i giusti impulsi per far
funzionare i gioielli di Janus. Forse possono giungere a far agitare la
sospensione colloidale delle particelle, ma senza mai strutturarla in
forme riconoscibili».
— Forse — commentò Rudenuaman alla fine di quella breve di
squisizione. — Ma cosa fa di te un esperto in queste faccende?
— Ho occhi e orecchi molto acuti — rispose Flinx. Meglio che
lei continuasse a considerarlo un individuo dotato di un'incredibile
intuizione, piuttosto che un tizio troppo capace di ragionare a fil di
logica.
— D'accordo, supponiamo dunque che non possano far
funzionare i gioielli alla nostra maniera. — Lei scrollò le spalle, con
indifferenza. — Un gioiello di Janus rimane pur sempre una gemma
di straordinaria bellezza.
— Infatti — concesse Flinx. — Ma lo è al punto di rischiare
questa pericolosa invasione del territorio del Commonwealth? Mi
venga un colpo se credo che gli AAnn amino a tal punto la bellezza.
No, in qualche modo quei gioielli vengono usati contro il
Commonwealth, contro il genere humanx.
Rudenuaman non rispose, preferendo ignorare ciò che non
poteva confutare. Erano penetrati ben dentro l'edificio, salendo ai
livelli più alti. Si avvicinò un AAnn di rispettabile statura: il suo
camuffamento chirurgico era perfetto, salvo che adesso Flinx
sapeva che sotto vi si celava un rettile.
— È Meevo FFGW — li informò Rudenuaman, confermando la
congettura di Flinx. — È l'AAnn secondo in comando, qui, e
assistente personale del barone. È anche un bravissimo ingegnere, e
l'intera operazione mineraria si svolge sotto la sua direzione. —
Fissò Flinx, truce e sicura di sé. — Ho riflettuto un po' sulle tue
affermazioni, e sai cos'ho deciso? Che non me ne importa un fico di
quello che gli AAnn fanno al Commonwealth con la loro parte di
gioielli, almeno finché ciò non interferisce con i miei affari.
— Pensavo proprio che avresti detto questo. — La voce di
Sylzenzuzex era carica di un disprezzo che soltanto il tono secco e
reciso dei thranx potevano esprimere. Flinx pensò che era da
sciocchi inimicarsi così la propria ombrosa ospite, ma Rudenuaman
parve del tutto insensibile all'offesa. Anzi, parve compiaciuta di
veder turbato a tal punto uno dei suoi prigionieri.
— Non fa piacere veder confermate le proprie opinioni? — fu la
sua risposta. Quindi si rivolse al nuovo venuto. — Salve, Meevo.
Flinx approfittò dell'occasione per studiare nei particolari la
mascheratura del rettile. Era estremamente accurata, ed era ben
difficile che un investigatore ignaro (anche se una nave di
Rudenuaman fosse stata fermata dagli ispettori del Commonwealth)
riuscisse a intuire ciò che nascondeva.
Tuttavia, se si sapeva guardare attentamente, gli occhi erano una
spia sicura. Infatti Meevo — come il barone, come tutti gli AAnn
— aveva una doppia palpebra. Un semplice ammiccamento
avrebbe rivelato che la mente dietro simili occhi non era umana.
— Sono questi i due che sono riusciti a superare la fortezza vo
lante? — chiese il luogotenente AAnn facendo passare lo sguardo
da Sylzenzuzex a Flinx.
— Sì, sono questi — confermò Rudenuaman.
Meevo li considerò con uno sguardo fra l'incuriosito e l'amabile.
— Allora, perché sono ancora vivi?
Gli occhi di Sylzenzuzex fremettero di nuovo a questa totale in
differenza inhumanx della sua voce.
— Mi divertono. Per ora. E quando il barone sarà di ritorno,
potrebbe avere qualche sua personale domanda da porre loro. Lui
sa condurre un interrogatorio in modo molto più efficace. Io
m'impazientisco subito, e allora...
L'ingegnere interruppe Rudenuaman con una sommessa risata da
rettile. — Ho sentito della bambina. Un'autentica sfortuna, una cosa
irritante... Ma non c'è ragione di preoccuparsi. Il barone la fermerà
comunque prima che riesca a mettersi in contatto con la gente di
fuori. L'efficienza del barone è grande anche in altri campi, oltre che
negli interrogatori. — Sogghignò, mostrando falsi denti umani
abilmente impiantati in una prominente mandibola umana. Ma più
indietro, sul fondo di quelle fauci aperte, Flinx riuscì a cogliere per
un attimo il luccicare dei suoi veri denti, assai più aguzzi.
— Tu li trovi divertenti: curioso — concluse l'ingegnere, con un
gesto che Flinx fu incapace d'interpretare. Il suo atteggiamento sug
geriva che quel tipo di divertimento era per lui un'assurda stravagan-
za, un po' come se lui si fosse trovato in grembo dei piccoli AAnn
vivi.
La curiosità, comunque, era una caratteristica che gli AAnn con
dividevano con i loro nemici. Meevo si accodò dunque a loro, men
tre Rudenuaman riprendeva a scortarli attraverso il complesso
minerario.
— Avete già visto le fasi di frantumazione e separazione. Qui si
eseguono invece l'eliminazione delle impurità superficiali e la lucida
tura. — Indicò delle aperture che davano su una serie di camere,
dalle quali uscivano dei ronzii musicali.
— Qui sono tutti AAnn salvo te e la tua guardia del corpo? —
chiese in tono sardonico Sylzenzuzex.
— Oh, no. Qui siamo all'incirca metà e metà. Nella nostra amata
società c'è un numero sorprendente di humanx dotati di molto ta
lento, per i quali i problemi della vita quotidiana sono risultati ec
cessivi. Autorità assai poco sensibili li hanno spinti a cercare un la
voro solo parzialmente onorevole. Un'esistenza troppo difficile ha
fatto loro superare qualsiasi scrupolo che potevano avere riguardo a
cose vaghe e impalpabili come la lealtà interspecie.
— Sbaglio... o nessuno di loro lascia questo mondo da vivo?
Rudenuaman parve genuinamente sorpresa. — Ridicolo!
Sarebbe assai nocivo per la nostra attività. Con ciò non intendo dire
c he n o i giungiamo a ispirargli una fedeltà assoluta nei nostri
confronti. Per la maggior parte di coloro che vivono qui, questa
parola non ha più il minimo significato: altrimenti non sarebbero qui.
Chiunque di loro sarebbe più che lieto di vendere al miglior
offerente, nel preciso istante in cui uscisse da qui, tutto ciò che sa di
questa installazione segreta.
«Noi usiamo, col loro consenso, una cancellazione mentale selet
tiva che ripulisce il loro cervello da tutti i ricordi del loro soggiorno
qui. Ciò li lascia con un vago disagio, con la sensazione di aver
attraversato un lungo periodo d'incoscienza, niente più. Ma il loro
conto in banca, salito di colpo, toglie ogni velleità di frugare nel
passato, e in tal modo noi abbiamo la garanzia che non potranno
mai rivelare la nostra presenza in questo luogo».
— Cancellazione mentale — mormorò Sylzenzuzex, sbalordita.
— Ma a chiunque è proibito usarla, salvo ai medici dei più alti gradi
della Chiesa e del Commonwealth, e anche a loro soltanto in circo
stanze di assoluta emergenza!
Rudenuaman sorrise. — Devi ricordarti di aggiungerlo al tuo
rapporto.
Entrarono in un vasto locale: lì la temperatura era assai più bassa,
quasi rigida. — Stiamo per entrare nel pozzo principale — annunciò
Rudenuaman, e indicò lunghi scaffali, lì vicino, sui quali erano
disposti pesanti indumenti. Sylzenzuzex ebbe modo di accertarsi che
un certo numero erano concepiti per i thranx.
— Eri forse convinta che i tuoi cari consimili fossero immuni
dall'allettamento del denaro? — la. beffeggiò Rudenuaman. —
Nessuna specie sfugge alla cupidigia, ragazza mia.
— Non chiamarmi ragazza mia — ribatté Sylzenzuzex, con voce
soffocata dalla rabbia.
La risposta di Rudenuaman non fu quella che Flinx si aspettava:
fu la prima vera risata che avessero udito da lei. Continuando a
ridere, si appoggiò al bastone istoriato. Due operai si voltarono
incuriositi a guardarli, mentre passavano.
— Ti chiamerò morta, se preferisci — dichiarò infine Rudenua
man. Indicò gli indumenti sugli scaffali. — Ora mettetevi addosso
uno di quelli: fa piuttoso freddo, all'interno della montagna.
Indossati gli indumenti protettivi, seguirono Rudenuaman e l'in
gegnere AAnn lungo un'ampia galleria che proseguiva verso il
basso. Ben presto il metallo si alternò alla roccia spoglia. Archi di
duralega a una sola campata, regolarmente spaziati, s'innalzavano a
sostenere il tetto e le pareti.
La tuta termica di Flinx era parzialmente aperta, così permetten
do che una piccola testa da rettile ne spuntasse fuori a scrutare i
gelidi dintorni con occhi che non ammiccavano. Una doppia fila di
tubi fluorescenti irradiava l'intera galleria di un'intensa luminosità
uniforme.
— Questo settore è già stato sfruttato — spiegò Rudenuaman.
— I gioielli si trovano in una vena che corre orizzontalmente dentro
la montagna.
Rallentarono il passo.
— Ci sono parecchi condotti laterali che corrono lungo vene se
condarie. Alcuni sono a un livello leggermente più alto, altri più in
basso della nostra attuale posizione. Mi dicono che i gioielli si sono
formati in tasche apertesi qua e là nella roccia, un tempo riempite di
gas. Un'insolita combinazione della pressione col calore avrebbe
prodotto i gioielli di Janus.
«Anche la matrice rocciosa nella quale si trovano i gioielli è di
tipo diverso da quello del resto della montagna, come la kimberlite
diamantifera della Terra o le lave crateriche di Evoria, da cui sono
estratte le gemme-arcobaleno bronine. Questo è quanto mi hanno
detto i miei specialisti, comunque».
Meevo non sembrò infastidito da questo ossessionante
riferimento a lui e ai suoi colleghi, e fece un breve gesto di
conferma. — È proprio così. Esempi simili di formazioni isolate di
gemme si trovano anche dentro i confini dell'Impero, benché non
siano neppure paragonabili con ciò che abbiamo qui.
Qualcosa solleticò il cervello di Flinx, e lui si sporse a guardare
verso il basso. — Qualcuno sta venendo verso di noi — annunciò.
Rudenuaman si voltò anche lei a guardare, e commentò distratta
mente: — Solo qualche indigeno. Sono esseri primitivi, ma dotati di
un'intelligenza sufficiente a svolgere i lavori più pesanti e grossolani.
Non sanno fabbricarsi utensili, non hanno prodotto nessuna civiltà, e
il loro linguaggio è composto da qualche grugnito e da poche parole
imitate dagli umani. Non indossano neppure un minimo di indumenti.
L'unico vago indizio per attribuir loro una rudimentale intelligenza
sono le grossolane modifiche che apportano alle caverne che
abitano: qualche rozzo scavo per ampliarle, o qualche grosso
macigno rotolato davanti all'imboccatura per ridurre l'ampiezza
dell'ingresso, e così via... Fanno per noi, come ho detto, i lavori più
pesanti, e trattano con le dovute precauzioni i gioielli che dis
seppelliscono.
«Abbiamo semplificato l'equipaggiamento per le perforazioni in
modo che potessero usarlo. Sono ricoperti di una folta pelliccia:
così il freddo dentro la montagna non sembra preoccuparli, il che è
una fortuna per noi. Anche indossando le tute termiche sarebbe as
sai difficile per gli umani, e impossibile per gli AAnn, lavorare all'e
strazione delle gemme, considerando quanto profondamente ormai i
pozzi penetrano dentro la montagna. Ma anche se il freddo dà loro
fastidio, sembrano più che disposti a sopportarlo in cambio della ri
compensa che diamo loro per ogni gioiello trovato».
— Con cosa li ricompensate? — chiese Flinx, incuriosito. Le
voluminose figure che aveva intravisto in lontananza continuavano
ad arrancare verso di loro. I capelli gli si drizzarono sulla nuca, e
Pip si agitò violentemente dentro la sua calda tuta.
— Bacche — esclamò disgustato Meevo. — Bacche e frutta,
noci e tuberi. Mangiaradici! — concluse, col tipico disprezzo di tutti
i carnivori.
— Sono vegetariani, allora?
— Non interamente — lo corresse Rudenuaman. — Sembra
che siano perfettamente in grado di digerire la carne, e hanno i denti
e gli artigli necessari per cacciare, ma preferiscono assai di più i
frutti e i tuberi che i nostri raccoglitori automatici trovano qui intorno
per loro.
— Zappaterra — fu il nuovo commento dell'ingegnere AAnn.
Rivolse un'occhiata a Rudenuaman. — Ora devo proprio lasciarvi.
Ho del lavoro da fare. — Si voltò, e con passo pesante ricominciò
a salire il pozzo.
I quattro nativi erano ormai giunti abbastanza vicini perché Flinx
li distinguesse chiaramente. Ognuno di loro era più alto di un uomo
e tre o quattro volte più largo. Quanta di tale mole fosse in realtà
costituita dalla bruna pelliccia incredibilmente folta, qua e là
costellata da macchie bianche e nere, non avrebbe saputo dirlo. Il
loro aspetto e l'atteggiamento in generale li rendevano simili a orsi,
anche se avevano il muso piatto invece che appuntito. Il muso aveva
al centro un naso nero quasi invisibile, ridicolo su creature così
enormi.
Tozzi e spessi artigli coronavano le sette dita all'estremità di ogni
arto; quelle creature sembravano capaci di spostarsi a quattro
zampe o di restare erette con uguale facilità. Non avevano coda. Gli
orecchi erano corti, arrotondati, inseriti in cima alla testa. Ma la
caratteristica che spiccava più di ogni altra erano gli occhi da tarsio,
grandi come piatti, che ardevano di una luminosità color ambra alla
luce dei tubi fluorescenti. Gigantesche pupille, simili a tuorli di
ossidiana, galleggiavano al loro centro.
— Direi esseri notturni, a guardarli, con un'attività diurna ridotta
al minimo — fu l'affascinato commento di Sylzenzuzex.
Gli indigeni scorsero i nuovi arrivati e si drizzarono tutti sulle
zampe posteriori per vedere meglio. Quando si furono rizzati, sem
brarono riempire tutta la galleria. Flinx notò una leggera incurvatura
ai lati delle bocche, che dava loro un sorriso da delfino, falsamente
umoristico sul volto massiccio.
Stava per porre una nuova domanda a Rudenuaman quando
qualcosa prese ad agitarsi violentemente dentro la sua tuta. Il suo
convulso tentativo di ghermire Pip prima che s'involasse giunse
troppo tardi: il minidrago stava già sfrecciando lungo la galleria,
verso i nativi.
— Pip! Aspetta, non c'è...
Intendeva dirgli che non c'era nessuna ragione di attaccare quei
pelosi giganti. Niente di terribile o minaccioso aveva sfiorato la sua
sensibile mente. Ma se il minidrago avesse fatto infuriare il gruppo
d'indigeni, c'era da dubitare che qualcuno di loro sarebbe riuscito a
uscirsene vivo da quella galleria.
Ignorando l'appello del suo padrone, Pip raggiunse la più vicina
di quelle creature. Ritto sulle zampe posteriori, l'enorme essere era
alto quasi tre metri e doveva pesare almeno mezza tonnellata. I suoi
grandi occhi ardenti guardarono quella minuscola apparizione mor
talmente velenosa. Pip si tuffò verso la testa dell'essere... ma all'ul
timo istante le sue ali increspate sbatterono violentemente l'aria e il
minidrago frenò, per atterrare e arrotolarsi con estrema leggerezza
sulla spalla della creatura. Il mostro guardò impassibile il minidrago,
poi rivolse lo sguardo ottuso verso Flinx, che a sua volta,
sbalordito, fissò il gigante a bocca aperta.
Per la seconda volta nella sua vita, Flinx svenne...

Il sogno era del tutto insolito, e profondo. Galleggiava su uno


sterminato lago nero, sotto un cielo notturno oppressivamente
vicino. Era così buio che non riusciva a veder nulla, neppure il
proprio corpo... che poteva anche non trovarsi lì.
Sullo sfondo del cielo color ebano aleggiavano quattro luci. Mi
nuscoli punti dorati, danzanti, che non ammiccavano e si spostavano
secondo un disegno imprevedibile eppure calcolato, come lucciole.
Danzavano su e giù, sfrecciando via e subito ritornando davanti ai
suoi occhi... occhi che lui non aveva, anche se li vedeva
chiaramente.
A volte danzavano gli uni intorno agli altri, e per un attimo tutti e
quattro guizzarono formando un intricato intreccio assai significativo,
anche se subito dimenticato.
— Ora è tornato — osservò la prima lucciola.
— Sì, è tornato — le fecero eco all'unisono altre due lucciole.
Flinx constatò con interesse che la quarta lucciola non era la luce
costante che lui aveva pensato sulle prime. Contrariamente alle
altre, ammiccava in modo irregolare come una lampadina
attraversata da una corrente pulsante. Quando si attenuava
scompariva del tutto, e quando era accesa avvampava assai più
luminosa delle altre.
— Ti abbiamo spaventato? — gli chiese la lucciola ammiccante.
Una voce disincarnata, stranamente simile alla sua, disse: — Ho
visto Pip...
— Ci dispiace di aver urlato contro di te — si scusò la prima
lucciola.
— Scusaci per aver urlato — le fecero eco le altre due. — Non
volevamo farti del male. Non volevamo spaventarti.
— Ho visto Pip che si adagiava sulla spalla di uno dei nativi —
disse Flinx. — Prima di oggi non gliel'avevo mai visto fare con un
estraneo. Non l'ha mai fatto neppure con mamma Mastino né con
Truzenzuzex: con nessuno, insomma.
— Pip? — chiese la terza voce.
— Oh — spiegò la seconda lucciola, — intende dire quella
piccola mente coriacea.
— Coriacea sì, ma gustosa — assentì la prima lucciola. —
Come un chunut.
— Temevi che la piccola mente coriacea volesse farci del male?
— chiese la prima voce.
— Sì, ma invece ha reagito alla vostra presenza con una tolleran-
za che non avevo mai visto prima d'ora. Perciò voi dovete
trasmettere anche a livello empatico, e i vostri pensieri... sono
amichevoli.
— Se dici che è così — dichiarò la terza lucciola, — allora
dev'essere così.
— Ma soltanto quando dobbiamo — intervenne in tono severo
la quarta voce, avvampando più luminosa che mai prima di svanire
del tutto.
— Perché la quarta di voi va e viene come attraverso una neb
bia? — mormorò la voce sognante di Flinx.
— La quarta? Oh — spiegò la prima voce, — quella è
Forsecosí. È il suo nome. Per questa fine-settimana, ad ogni modo.
Quanto a me, mi chiamano Ciuffo. — Flinx ebbe l'impressione che
le altre due luci diventassero leggermente più luminose.
— Queste sono Nenia e Azzurrosplendente. — La quarta luce
avvampò accecante per un attimo.
— Sono compagne... coniugi, consorti, come diresti tu —
spiegò, e si dileguò.
— Se n'è andata di nuovo — constatò Flinx, con disincarnato
distacco.
— Quella è Forsecosí, non ricordi? — gli disse la voce di
Ciuffo. — A volte non è qui. Noialtre siamo sempre qui. E noi non
cambiamo il nome, ma Forsecosí va e viene e cambia il suo nome a
ogni fine-settimana o pressapoco.
— Dove va Forsecosí, quando se ne va?
Azzurrosplendente rispose, con tutta franchezza: — Non lo sap
piamo.
— Da dove viene quando torna indietro, allora?
— Non lo sa nessuno — fece Nenia.
— Perché cambia nome da una settimana all'altra?
— Chiedilo a lei — suggerirono insieme Nenia e
Azzurrosplendente.
Forsecosí tornò indietro, e la sua luce brillava più viva di quella
degli altri.
— Perché cambi il nome da settimana a settimana, e dove vai
quando vai via, e da dove vieni quando torni indietro? — le chiese
la voce di Flinx.
— Oh, non c'è dubbio in proposito — fu la risposta di
Forsecosí, con una sognante cantilena; e sparì di nuovo in un attimo.
Ciuffo parlò con un sognante bisbiglio confidenziale. — Noi pen-
siamo che Forsecosí sia un po' matta. Ma è lo stesso un bravo tipo.
Flinx notò, distrattamente, che stava cominciando ad affondare
sotto la superficie del lago nero. Sopra di lui le quattro luci rotearo
no e si abbassarono di colpo incuriosite.
— Tu sei il primo che ci abbia parlato — mormorò la voce di
Ciuffo.
— Vieni a parlarci ancora — cantilenò Nenia, con un brivido di
piacere. — È divertente, avere qualcuno con cui parlare. Quel
piccolino dalla mente coriacea ascolta ma non può parlare. Questa
sì, invece, che è una novità divertente!
La voce di Flinx gorgogliò attraverso il liquido oleoso dentro il
quale sprofondava sempre più: — Dove devo venire, per parlarvi?
— Alla fine della lunga acqua — rispose Nenia.
— Alla fine della lunga acqua — confermò Azzurrosplendente.
— Sì, sull'estremo confine della lunga acqua — aggiunse Ciuffo,
che era assai più precisa degli altri.
— Non c'è dubbio in proposito — concluse Forsecosí, che
balenò vivida per una frazione di secondo e poi scomparve.
In proposito, in proposito... Le parole risuonarono più volte
come un'eco lontana nelle lievi increspature prodotte dal corpo di
Flinx che lentamente affondava, affondava, affondava, fino a quan
do toccò il fondo del lago. Le sue gambe lo toccarono per prime,
poi i suoi fianchi, la schiena e infine la testa.
C'era qualcosa di strano in quel posto, pensò. Il cielo era più ne
ro dell'acqua, e l'acqua era diventata sempre più chiara invece che
più scura man mano che lui sprofondava. Sul fondo la luminosità era
così intensa che gli faceva male agli occhi.
Li aprì.
Un volto luccicante, un azzurro-verde quasi metallico dominato
da due gemme sfaccettate, lo stava fissando, preoccupato. Lui
inspirò profondamente e percepì il profumo dell'olio di cocco e di
orchidea. Qualcosa gli stuzzicò l'orecchio sinistro.
Cercandone la causa, scoprì il piccolo muso da rettile di Pip
adagiato sul suo petto. La lunga lingua appuntita guizzò fuori e gli
lambì parecchie volte le guance. Infine, evidentemente soddisfatto
delle condizioni del suo padrone, il minidrago si rilassò e scivolò giù
dal cuscino per andare ad arrotolarsi comodamente lì accanto.
Cuscino?
Respirando profondamente, Flinx sorrise a Sylzenzuzex. Lei si
scostò, e lui vide che si trovavano in una piccola stanza bene
ammobiliata. La luce del sole si riversava dentro le alte finestre.
— Come ti senti? — gli chiese lei, con i ticchettii e i sibili della
simbolingua. Lui si limitò ad annuire, e allora la vide accasciarsi con
un sospiro di gratitudine su una piattaforma del tipo usato dai thranx
per sedersi o dormire, sull'altro lato della stanza.
— Sia ringraziato l'Alveare. Avevo pensato che tu fossi morto.
Flinx si sostenne la testa con una mano e la fissò. — Non
credevo che per te la cosa avesse molta importanza.
— Oh, sta' zitto! — replicò lei con inaspettata veemenza. Lui
colse nella sua voce un bel po' di confusione e frustrazione, più altri
sentimenti in lotta fra loro. — Ci sono state parecchie volte che ti
avrei tagliato allegramente la gola se non avessi giurato
solennemente di proteggerla. E altre, in pari numero, che desideravo
quasi che tu non portassi quel tuo scheletro dentro di te!
«Come ad esempio quando mi hai salvato la vita sulla Terra, e
quando hai tenuto così bravamente testa a quella giovane femmina
barbara. — Flinx vide le sue antenne agitarsi nervosamente, e la
graziosa curva dei suoi ovopositori ondeggiare incerta. — Tu sei la
creatura che più mi ha fatta impazzire fra quante ne ho incontrate
nella mia vita, Flinx-uomo!».
Lui si mise cautamente a sedere e scoprì che tutto funzionava
perfettamente, sia dentro di lui che fuori. — Cos'è accaduto? —
chiese, confuso. — No, aspetta... Ricordo di essere svenuto, ma
non il perché. Forse qualcosa mi ha colpito?
— Nessuno ti ha neppure sfiorato. Sei crollato a terra quando la
tua bestiolina si è scagliata contro uno dei lavoratori indigeni. Fortu
natamente sembra che si sia trattato soltanto di un finto attacco. E i
nativi non conoscevano abbastanza Pip da spaventarsi. —
L'espressione di lei si fece perplessa. — Ma perché questo avrebbe
dovuto farti svenire?
— Non lo so — rispose lui, tenendosi nel vago. —
Probabilmente mi sono immaginato in modo troppo vivido i nativi
che ci facevano a pezzi dopo che Pip aveva ucciso uno di loro. E
quando ho visto che Pip non ammazzava nessuno, l'emozione è
stata ancora più forte perché lui non si era mai comportato in quel
modo nei confronti di sconosciuti. — Si costrinse ad apparire
indifferente. — Perciò è ovvio che la pelliccia naturale gli piace più
della tuta termica, e che si è rannicchiato sulla spalla di un indigeno.
Probabilmente è per questo...
— Ma cosa dimostra, tutto ciò? — chiese Sylzenzuzex.
— Che io svengo troppo facilmente. — Flinx ruotò le gambe e
fece per scendere dal letto, lanciandole un'occhiata d'intesa. —
Ora, perlomeno, sappiamo perché questo mondo è sotto editto.
— Ssst! — Lei quasi cadde giù dalla piattaforma sulla quale si
era distesa. — Perché... No, aspetta — lo ammonì. Passarono
parecchi minuti durante i quali lei eseguì una completa ispezione
della stanza, controllando anche i luoghi che Flinx non avrebbe mai
pensato d'ispezionare.
— È pulita — annunciò infine con soddisfazione. — Non crede
ranno, suppongo, che abbiamo da dire qualcosa che valga la pena
di ascoltare.
— Ne sei certa? — chiese Flinx, provando un po' di vergogna.
— Non ci avevo mai pensato.
Sylzenzuzex parve offesa. — Non te l'ho detto, che sono stata
addestrata per la sezione Sicurezza? No, qui dentro non c'è niente
che possa ascoltarti, salvo me.
— D'accordo. La ragione per cui questo mondo è stato posto
sotto editto dalla Chiesa l'abbiamo incontrata nella galleria, oggi.
Sono i nativi: quei grugnanti manovali dagli occhi di folletto. Ecco la
ragione.
Lei continuò a fissarlo per un buon minuto, considerò la possibi
lità di scoppiare a ridere, ma ci ripensò quando vide che lui parlava
seriamente.
— Impossibile — finì col mormorare. — Sei stato vittima di
qualche allucinazione. Certamente i nativi non sono niente più di ciò
che sembrano: grossi, affabili e ottusi. Non si sono ancora evoluti
abbastanza perché la Chiesa isoli questo mondo.
— Al contrario — insisté lui. — Sono molto più di quanto sem
brano.
Lei replicò, irritandosi: — Se questo è vero, allora perché
accettano di eseguire pesanti lavori manuali, per lunghe ore, a una
temperatura prossima al congelamento, in cambio di qualche bacca
e qualche noce?
Flinx replicò a sua volta, sconsolato: — Ancora non lo so. —
Sollevò gli occhi. — Ma so questo: sono telepati naturali.
— Un'allucinazione — ribatté lei. — Hai avuto un'allucinazione.
— No. — La voce di Flinx suonò ferma, sicura. — Ho qualche
piccolo talento anch'io. Conosco benissimo la differenza fra un'allu
cinazione e una comunicazione da mente a mente.
— Sia pure come dici tu — dichiarò Sylzenzuzex, sospirando.
— Supponiamo, per ora, che non sia stata un'allucinazione. Questa
non è ancora una buona ragione perché la Chiesa metta sotto editto
un mondo. Finora un'intera razza di telepati è niente più di
un'ipotesi, ma le sue straordinarie qualità non sarebbero una ragione
sufficiente per escluderli da un'associazione col Commonwealth.
— Non si tratta soltanto di questo — cercò di spiegarle Flinx,
sempre più eccitato. — Sono... be', sono molto più intelligenti di
quanto sembrano.
— Ne dubito — sbuffò Sylzenzuzex, — ma neppure una razza
di telepati intelligenti sarebbe considerata un'insostenibile minaccia.
— Molto più intelligenti.
— Non lo crederò se non quando vedrò delle prove inconfutabili
— obbiettò lei, tenacemente. — Se dovessero rappresentare, in un
qualunque modo, una seria minaccia per il Commonwealth...
— Ma perché altrimenti la Chiesa avrebbe messo sotto editto
questo mondo?
— Flinx, non hanno utensili, nessun indumento, niente linguaggio
parlato, niente civiltà. Vanno in giro raccogliendo frutta e radici, vi
vono nelle caverne. Se sono potenzialmente intelligenti, come tu so
stieni, allora perché insistono a vivere nella povertà?
— Questa — ammise Flinx, — è un'ottima domanda.
— Hai una risposta altrettanto ottima?
— No, ma sono più che mai convinto che è proprio questa la
ragione per la quale la Chiesa ha agito così. Per una razza, qual è
l'effetto di essere posta sotto editto?
— Nessun contatto con governi, organizzazioni, razze
provenienti da altri pianeti — elencò lei. — Numerose e gravi
sanzioni per qualunque infrazione dell'editto. Così la razza è libera di
evolversi in completa libertà.
— O libera di stagnare — mormorò Flinx. — Il Commonwealth
e la Chiesa hanno aiutato moltissimi popoli primitivi... Perché non
dovrebbero fare lo stesso con gli ujurriani?
— Adesso pretendi di giudicare i più delicati aspetti della politica
della Chiesa? — mormorò lei, tornando a ritrarsi da lui.
— Non io! — esclamò Flinx quasi in un urlo, sbattendo rumoro
samente le mani sul letto. Quindi riprese a parlare, gesticolando fre
neticamente. — È il Consiglio della Chiesa, ad arrogarsi il diritto di
manipolare i destini delle razze. E se non lo fa la Chiesa, allora ci
pensa il governo del Commonwealth. E se non è il Commonwealth,
allora sono le corporazioni e le strapotenti società delle grandi fa
miglie. Poi c'è l'Impero degli AAnn, che per chissà quale suo diritto
pretende di porsi al disopra di tutto e tutti. — Mentre parlava,
aveva preso a camminare rabbiosamente avanti e indietro a fianco
del letto.
— Mio Dio — proseguì, — quanto sono stufo di queste
organizzazioni che credono di avere il diritto esclusivo di decidere
come devono svilupparsi gli altri!
— Cosa vorresti, al posto di questo? — ribatté lei. —
L'anarchia? Flinx tornò a sedersi pesantemente sul letto,
prendendosi la testa
fra le mani. Era stanco, stanco, e troppo giovane. — Come
faccio a saperlo? Io so soltanto che comincio a sentirmi
maledettamente nauseato verso ciò che vuole farsi passare per
intelligenza in quest'angolo della creazione.
— Non posso credere che tu sia così ingenuo — replicò lei,
moderando l'asprezza della sua voce. — Cos'altro ti aspetti, da
semplici mammiferi e insetti? L'Amalgamazione ha rappresentato
soltanto l'inizio di una nuova fase durante la quale sia la tua razza
che la mia hanno cominciato a emergere da una lunga epoca buia. Il
Commonwealth e la Chiesa Unita sono vecchi soltanto di alcuni dei
tuoi secoli. Cosa esigi da loro, così presto: il nirvana? L'utopia? —
Scosse la testa, nel gesto che i thranx avevano imparato dagli
uomini. — Né tu né io possiamo porci al disopra della Chiesa, che
è servita a farci uscire da quei tempi oscuri.
— La Chiesa, la Chiesa, la tua onnipotente Chiesa! — esclamò
lui, urlando. — Perché la difendi così? Credi forse che sia
composta di santi?
— Io non ho mai sostenuto che. la Chiesa sia perfetta — rispose
lei, cominciando a sua volta ad accalorarsi. — Gli stessi consiglieri
sarebbero gli ultimi a sostenere una cosa simile. Questa è una delle
sue virtù. Certo, che la Chiesa non è perfetta: e non sosterrebbe mai
di esserlo.
— È quello che mi ha detto una volta Tse-Mallory — mormorò
lui, riflettendo.
— Cosa... Chi?
— Un tale che conosco, che ha lasciato la Chiesa per ragioni
sue.
— Tse-Mallory. Di nuovo questo nome — fece la giovane
thranx, anche lei riflettendo. — Era il compagno di nave-ago di mio
zio, quel Bran Tse-Mallory di cui mi hai parlato una volta?
— Sì.
— Agli incontri del clan hanno parlato di lui, come pure di
Truzenzuzex. — Ma subito lei si riportò al presente: non serviva a
nulla rievocare nostalgicamente cose che probabilmente non
avrebbe mai più rivissuto. — Adesso che hai dimostrato che
l'universo non è perfetto e che essere intelligenti non significa essere
anche onniscienti, cosa proponi di fare?
— Una chiacchierata con i nostri futuri amici, gli ujurriani.
— E loro cosa faranno? — ribatté lei, in tono di scherno. —
Lanceranno sassi contro la navetta del barone, quando tornerà?
Oppure contro le guardie armate di lanciaraggi che certamente
pullulano in questo posto?
— Forse — concesse Flinx. — Ma anche se non potessero far
niente contro i nostri nemici, penso che avremo una probabilità assai
migliore di sopravvivere fra loro che dentro questi edifici, aspet
tando che Rudenuaman si stanchi di averci attorno. Quando lei si
sarà stancata di noi, puoi star sicura che ci eliminerà con lo stesso
fare distratto con cui getterebbe via un vecchio vestito. — Lasciò
vagare la mente, e non vide più nessuna ragione di nascondersi a
Sylzenzuzex. — C'è soltanto una guardia, fuori da questa porta.
— Come fai a saperlo... oh, me l'hai detto — mormorò lei, ri
spondendo da sé alla propria domanda. — Fino a che punto arriva-
no, i tuoi talenti?
— Non ne ho la più pallida idea — dichiarò lui, onestamente. —
A volte non riesco a percepire la presenza di un ragno in una stanza.
Altre volte... — Sentì che era meglio conservare ancora qualche se-
greto per sé. — Comunque puoi prendermi in parola, se ti dico che
là fuori c'è soltanto una guardia. Presumo che la nostra remissività
abbia convinto Rudenuaman che non c'è bisogno di sorvegliarci
troppo attentamente. Come ha detto lei stessa, non c'è nessun
posto dove possiamo scappare.
— In verità, mi trovo costretta a essere d'accordo con lei —
mormorò Sylzenzuzex, alzando la testa a fissare le gelide montagne.
— Infatti devo ammettere che, se fuggissimo, lei potrebbe anche la-
sciarci andare. Fra le montagne non costituiremmo un pericolo per
lei più di quanto lo rappresentiamo qui.
— Mi auguro sinceramente che anche lei la pensi in questo
modo — ammise Flinx. — Ma il barone non sarebbe d'accordo
con lei. Dobbiamo fuggire subito. — Saltò giù dal letto, si avvicinò
alla porta e bussò delicatamente. La porta si aprì e la guardia li
scrutò con attenzione... mantenendosi a parecchi passi di distanza,
osservò Flinx.
Era un uomo alto e magro, con l'espressione sciupata e i capelli
prematuramente sbiancati. Da quanto Flinx riuscì a giudicare, non
era un AAnn travestito.
— Hai interrotto la mia lettura — disse a Flinx in tono acido,
indicando il minuscolo nastrovisore che reggeva in mano. Ciò ri
cordò a Flinx un altro nastro che lui avrebbe voluto leggere. Ma
nonostante l'ansietà che sentiva crescere in sé, per vedere quel
nastro doveva aspettare ancora per molto, sempre che fosse
riuscito infine nella sua impresa.
— Cosa vuoi? — Era chiaro che quell'uomo era ben informato
dell'apparente remissività che loro due avevano mostrato fino a quel
momento. All'improvviso Flinx gridò nella sua mente, creando l'im
pressione di una minaccia.
Pip, schizzato fuori da sotto il cuscino del letto, aveva attraversa
to la porta prima che l'uomo riuscisse a deporre il visore. Un
lanciaraggi fu alzato di scatto, ma non fece in tempo a sparare
perché l'uomo si portò le mani al volto per proteggerlo. Flinx colse il
momento: balzò attraverso l'apertura e piantò un piede nel plesso
solare dell'altro, che soltanto serrando le palpebre impedì agli occhi
di schizzargli fuori.
La guardia andò a sbattere contro la parete opposta con un
sonor o bam! e scivolò a terra, dove rimase seduta come un
pupazzo di stracci, in bilico contro la gamba di una sedia. Flinx
richiamò il minidrago, che si appollaiò ancora fremente sulla spalla
lanciando occhiate furiose all'uomo privo di sensi.
Sylzenzuzex comparve accanto a Flinx. — Perché non ha
sparato subito? Non... — S'interruppe, e Flinx percepì il lavorio
della sua mente.
— Appunto. Qui nessuno ha ancora riconosciuto Pip per un ani
male pericoloso. L'unica persona alla quale l'ho detto è Linda, quel
la donna con la cicatrice, la guardia del corpo di Rudenuaman. Con
tutta la confusione che c'è stata, Linda dev'essersi dimenticata d'in
formare gli altri. Noi eravamo intrappolati qui senza speranza di fug
gire, non ricordi? Gli unici a saperlo oltre a noi erano Challis e
Mahnahmi. Lui è morto e lei è scappata.
Flinx indicò la stanza dietro di sé. — Per questo ho chiamato Pip
in aiuto, ma ho voluto colpire io stesso la sentinella. Tutti ignorano
ancora quali sono le vere capacità di Pip. Presto o tardi, però,
Linda si ricorderà di dirlo alla sua padrona. Per allora, noi dovremo
essere liberi. Sarà proprio meglio che lo siamo: Rudenuaman non ci
darà una seconda possibilità.
— Cosa faremo, adesso?
— Nessuno ci conosce, qui, se non un piccolo gruppo di
guardie, Rudenuaman e qualcuno alla miniera. Questa è
un'installazione piuttosto grande. Agisci come se tu sapessi
perfettamente ciò che stai facendo, e forse riusciremo a uscire da
qui senza che nessuno ci fermi.
— Tu sei pazzo — mormorò lei con voce nervosa mentre
entravano nell'ascensore. — Questa potrà essere anche una grande
base, ma è una comunità chiusa. Tutti devono conoscersi fra loro.
— Tu fai parte di una burocrazia e ancora non capisci —
osservò tristemente Flinx. — Tutti, in una complicata operazione
come questa, tendono ad attenersi al massimo alla propria
specializzazione. Non è certo una piccola società omogenea, quella
che abbiamo qui. A meno d'incontrare una delle guardie che ci sono
venute incontro all'atterraggio, dovremmo essere in grado di
muoverci liberamente.
— Fino a quando la guardia davanti alla nostra stanza riprenderà
conoscenza — gli ricordò lei. — Poi cominceranno a darci la
caccia.
— Ma non oltre i confini della base, ci scommetto. Rudenuaman
sarà più irritata che furiosa. Supporrà senz'altro che il durissimo am
biente qui intorno si prenderà cura di noi. E sarà senz'altro così, se
gli ujurriani non ci aiuteranno.
La cabina dell'ascensore partì verso il basso. — Cosa ti fa
pensare che lo faranno?
— Ho avuto l'impressione che fossero ansiosi di parlarmi. Se ci
fossero dieci thranx naufragati che parlano soltanto basso thranx, e
all'improvviso comparisse un undicesimo thranx, non gli vorresti
parlare?
— Forse, per un po' — ammise lei. — Naturalmente, una volta
che avessi sentito tutto quello che ha da dire potrei anche volerlo
mangiare.
— Non penso che gli ujurriani lo faranno. — L'ascensore
raggiunse il livello del suolo.
— Cosa ti fa essere così certo? Bacche o non bacche, sono
onnivori, non ricordi? Immagina che non siano niente più che idioti
telepatici.
— Se mi sbaglio su di loro, allora quantomeno morremo molto
più pulitamente che per mano di Rudenuaman. Sto scommettendo
su due cose: un sogno e il fatto che prima d'ora non avevo mai visto
Pip volare verso un essere che non intendeva attaccare. — Flinx
abbassò la mano e grattò la testa di Pip attraverso il tessuto della
tuta.
«Avevi ragione, Syl — aggiunse, — quando hai detto che era
volato verso un maggior calore: ma il calore non era nella pelliccia
degli ujurriani». La porta della cabina scivolò di lato sulle guide, e
loro uscirono spavaldamente nel corridoio deserto.
Usciti all'esterno, s'incamminarono fra gli edifici, in direzione del
lago. Molte persone passarono loro accanto. Flinx non ne
riconobbe nessuna, e fortunatamente nessuno riconobbe i
prigionieri.
Quando si avvicinarono ai confini della base, Flinx rallentò, i sen
si sul chi vive per percepire qualunque cosa che indicasse una
barriera difensiva automatica. A sua volta Sylzenzuzex esplorò la
zona alla ricerca di armi nascoste. Ma non trovarono nulla, neppure
una semplice staccionata. Evidentemente in quella vallata non
c'erano grossi carnivori, e loro conoscevano già l'opinione che
Rudenuaman aveva degli indigeni.
Quando infine si trovarono sotto la protezione degli alberi, acce
lerarono il passo muovendosi alla maggior velocità consentita dalla
manopiede ferita di Sylzenzuzex. Malgrado la giornata anormalmen
te lunga, il sole era già assai basso sull'orizzonte prima che loro ral
lentassero. Quando infine il sole fosse scomparso dietro i
torreggianti picchi nevosi, il suo calore si sarebbe dissipato
rapidamente nell'aria montana. Sylzenzuzex sarebbe stata la prima a
soffrirne, e in modo più grave, ma Flinx pensò che anche lui sarebbe
rimasto pericolosamente esposto al gelo in quella tuta sottile.
Si augurò che i loro pelosi amici potessero fare qualcosa in meri
to. Se non trovavano nessuno ad aspettarli all'estremità del lago (la
«lunga acqua» dei suoi sogni), lui si sarebbe trovato nel più grave
degli imbarazzi.
All'estremità inferiore il lago si restringeva fino a sboccare in uno
stretto torrente che si precipitava lungo un pendio non troppo ac
centuato con l'umore vivace di tutti i torrenti di montagna, danzando
e ricadendo in una fluida coreografia sopra rocce e tronchi spezzati.
Malgrado la densità della foresta, lo strato di vegetazione simile a
erica sul terreno era ugualmente folto e lussureggiante.
Flinx colse qualcuna di quelle piante dalle strane foglie ad ago e
dai fiori multipli. Minuscole creature pelose correvano, scavavano e
si contorcevano in mezzo a quella bassa giungla.
Sylzenzuzex annusò sdegnosamente l'aria e le sue spicole
sibilarono, mentre una piccola creatura con dieci zampette pelose e
zoccoli in miniatura sfrecciava davanti a loro infilandosi dentro un
buco sulla sponda opposta del torrente.
— Un mondo davvero primitivo — commentò. — Niente insetti.
— Stava già tremando per il freddo. — Non mi sorprende. Questo
mondo è troppo freddo per loro e per me.
Flinx cominciò a cercare fra gli alberi, sfregandosi nello stesso
tempo le mani. Di tanto in tanto infilava una mano dentro la tuta per
accarezzare Pip. Anche il minidrago proveniva da un mondo tipo
serra. Si era via via irrigidito nell'immobilità, nello sforzo di conser
vare il più possibile l'energia e il calore del corpo.
— Neppure io mi sento esattamente a casa mia, qui, sai? — le
rispose Flinx. Scrutando preoccupato sopra di sé vide che una fetta
di sole era già stata inghiottita da un crinale montuoso il cui profilo
sembrava quello di un dinosauro azzoppato.
— Stanotte potremo gelare a morte, qui fuori, oppure tornare in-
dietro e affrontare quella femmina infuriata, con tutti i rischi connessi
— dichiarò Sylzenzuzex. — Ci troviamo di fronte proprio a una
bella alternativa, grazie a te.
— Non capisco — balbettò lui, perplesso. — Ero così sicuro.
Le voci erano così chiare...
— Tutto è chiaro, in un sogno — filosofeggiò tristemente lei. —
È il mondo reale a non avere mai senso, attendere sempre ad avere
dei profili confusi. Non sono ancora sicura che tu non abbia un
profilo sfumato.
— Oh! Oh! — tuonò una voce simile a un martello che colpisce
il fondo di una grossa pentola metallica. Era una vera voce, non un
bisbiglio telepatico. — Uno scherzo. Mi piacciono, gli scherzi!
Il cuore di Flinx tornò al battito normale quando lui e
Sylzenzuzex si girarono di scatto e videro una figura enorme che
usciva ancheggiando allo scoperto fra due alberi. Sembrava, a una
prima occhiata, in tutto uguale agli altri nativi.
Ma ora Flinx sapeva dove cercare e riconoscere le diversità. Il
gigantesco essere ammiccò verso di lui con qualche sprazzo di
vivida luce, un forte e concentrato bagliore mentale: come una
lucciola, si disse Flinx.
— Salve, Ciuffo. Hai un eccellente senso dell'umorismo, ma per
favore non sbucare più fuori all'improvviso in questo modo.
— Senso dell'umorismo? — gli fece eco il gigante. — Ciò
significa che mi piace fare scherzi? — Torreggiava su di loro, ritto
sulle gambe posteriori. — Sì, cosa c'è di meglio che fare scherzi?
Salvo forse scavare caverne, mangiare, dormire e fare l'amore.
Flinx notò che quella bocca distesa in un ampio sorriso si
muoveva.
— Stai parlando — osservò nel medesimo istante Sylzenzuzex.
Si rivolse a Flinx: — Mi sembrava che tu mi avessi detto che erano
telepatici.
— Possiamo anche parlare con la mente. — Queste parole,
fiorite nella testa di Sylzenzuzex, la fecero sussultare.
— Allora è questa, la telepatia — mormorò lei a quella nuova
esperienza. — In un certo senso è snervante.
— E allora perché ti sei messo a parlare con la bocca? — chiese
Flinx.
— È meno efficiente ma più divertente — disse Ciuffo col suo
vocione.
— Molto più divertente — gli fecero eco altre due voci,
all'unisono. Nenia e Azzurrosplendente comparvero, avvicinandosi
al torrente col loro passo cadenzato. Chinatisi su tutte e quattro le
gambe, cominciarono a lappare l'acqua.
— Perché non parlate così alla gente della base?
— La base? Quelle grandi caverne di metallo?
Flinx annuì, e ne ricevette una scrollata di spalle mentale.
— Nessuno ci chiede di parlare molto. Noi vediamo dentro, le
loro menti che gli piace che parliamo così. — E Ciuffo cominciò a
esibirsi in una serie di sbuffi e grugniti.
— Questo li fa felici. Noi vogliamo che tutti siano felici. Perciò
parliamo così.
— Non sono proprio sicuro di capire — confessò Flinx,
sedendosi su una roccia e rabbrividendo. Una forma mostruosa si
materializzò all'altezza della sua spalla, facendo fare a Sylzenzuzex
un salto di mezzo metro.
— Non c'è il minimo dubbio in proposito — tuonò Forsecosí.
Con una zampa stringeva due oggetti spiegazzati e con l'altra un
grande sacco di plastica. Flinx sentì un caldo pensiero che gli
scorreva addosso come un secchio d'acqua bollente, poi Forsecosí
scomparve.
— Ma cos'era... quello? — domandò Sylzenzuzex, ancora a
bocca spalancata.
— Forsecosí — le rispose in tono distratto Flinx, occupato a
esaminare ciò che quello stravagante ujurriano aveva portato. —
Tute termiche: una per te e una per me.
Dopo essersi infilati gli indumenti autoriscaldanti, occuparono
qualche delizioso minuto a scongelarsi prima di cominciare a
ispezionare il contenuto del grosso sacco.
— Cibo — elencò Sylzenzuzex, — due lanciaraggi...
Flinx affondò la mano nelle profondità del sacco, tremando senza
ritegno. — E questa... perfino questa. — Quando tirò fuori la
mano, stringeva fra le dita una minuscola bobina leggermente am
maccata.
— Ma come... come faceva a saperlo? — chiese a Ciuffo. Il
sorriso di Ciuffo davanti al suo sbalordimento era caldo e
affettuoso, e andava molto più in profondità di quello disegnato
suEa sua bocca.
— Forsecosí fa i suoi giochi. Ogni cosa è un gioco, per
Forsecosí. Lui è molto in gamba con i giochi. Meglio di chiunque
altro della famiglia. Sotto molti aspetti, è soltanto un cucciolo troppo
cresciuto.
— Cucciolo — assentì Nenia. — Ma una grande luce.
— Una luce molto grande — convenne Azzurrosplendente,
alzando la testa dal torrente e asciugandosi il muso con grandi
linguate.
— È divertente avere qualcuno con cui parlare, — commentò
Ciuffo. Poi Flinx ebbe l'impressione di un offeso accigliarsi. — Altri
sono venuti ma senza atterrare. Forsecosí li ha visti e dice che han
no fatto strane cose con certi oggetti, strumenti come quelli delle
caverne metalliche. Si sono eccitati molto e poi se ne sono andati.
— La missione esplorativa della Chiesa — commentò Flinx,
senza che ce ne fosse bisogno.
— Non abbiamo capito perché se ne siano andati via —
proseguì Ciuffo, tutto turbato. — Avevamo tanto desiderato che
scendessero e parlassero. Eravamo tristi, e avremmo voluto aiutarli
perché pensavamo che si fossero spaventati per qualcosa. — Ed
ecco di nuovo quella scrollata di spalle mentale. — Anche se, forse,
ci eravamo sbagliati.
— Non credo che vi siate sbagliati, Ciuffo. Qualcosa li aveva
spaventati, non c'è dubbio.
Sylzenzuzex non gli prestava attenzione. Stava fissando Ciuffo, a
mandibole spalancate. Flinx si rivolse a lei e le chiese: — Ora
capisci perché questo pianeta è stato posto sotto editto?
— Sotto editto — ripeté Ciuffo, assaporando il suono delle
parole. — Un ammonimento generale che incorpora delle
razionalizzazioni filosofiche le quali hanno origine...
— Impari in fretta, Ciuffo — balbettò Flinx, deglutendo.
— Oh, sicuro — assentì il gigante con bambinesco entusiasmo.
— È divertente. Facciamo un gioco. Tu pensi una nuova parola o
un nuovo concetto e noi cercheremo d'impararli, va bene?
— Non era certo un gioco, per la missione esplorativa che ha
raccolto i primi dati su questo mondo — esclamò all'improvviso
Sylzenzuzex. Si voltò a fissare Flinx. — Capisco cos'hai tentato di
dirmi. — Guardò di nuovo il gigante. — Non è atterrata perché...
perché aveva paura di voialtri.
— Paura? Perché qualcuno dovrebbe aver paura di noi? —
Ciuffo si batté il petto ampio un paio di metri con una zampa che
avrebbe potuto decapitare un uomo. — Noi viviamo, mangiamo,
dormiamo, facciamo l'amore, scaviamo caverne e giochiamo... e
facciamo scherzi, naturalmente. Nient'altro. Cosa c'è da aver
paura?
— Il tuo potenziale, Ciuffo — cercò di spiegargli Flinx,
lentamente. — E il tuo, Nenia, e il tuo, Azzurrosplendente, e anche
il tuo, Forsecosí, dovunque ti trovi in questo momento.
— Da qualche altra parte — interloquì Nenia, cercando di
aiutarlo.
— Hanno percepito il vostro potenziale e sono corsi via a
precipizio invece di scender giù ad aiutarvi. Poi vi hanno messi sotto
editto, cosicché nessun altro potesse farlo. Speravano che nessuno
sentisse mai più parlare di voi... Di voi che siete dotati di un
potenziale incalcolabile, Ciuffo. Rinnegando la vostra esistenza, la
Chiesa ha pensato di...
— No! — urlò Sylzenzuzex, angosciata. — Non posso
crederlo. La Chiesa non avrebbe...
— Perché no? — sbuffò Flinx. — Tutti possono aver paura del
ragazzo grande e grosso che abita in fondo alla strada.
— Ma è sbagliato, aver paura — osservò afflitto Ciuffo. — È
triste.
— Sì, hai ragione, è sbagliato ed è triste — convenne Flinx. Ma
poiché all'improvviso il suo stomaco pretese tutta la sua attenzione,
tirò fuori dal sacco di plastica un grosso cubo di carne impastata
con formaggio e si sistemò su una roccia sporgente. Staccato su un
lato l'involucro, addentò un enorme boccone. Poi cominciò a fruga
re dentro il sacco, alla ricerca di qualcosa di adatto a Pip.
Sylzenzuzex si unì a lui, ma la sua ricerca del cibo fu distratta: la
sua mente era agitata da un maëlstrom di pensieri confusi, distruttivi,
in violento conflitto fra loro. La conoscenza di ciò che indub
biamente la Chiesa aveva perpetrato stava frantumando convinzioni
radicate in lei fin dalla sua condizione di pupa. Tutte le volte che un
altro dei suoi ideali crollava di schianto, lei provava le più dolorose
trafitture.
Flinx aveva raggiunto una decisione. — Volevate parlare, non è
vero? Giocare con le parole e con i concetti.
— Su, su, giochiamo! — lo incitò Nenia con una voce nasale
carica d'entusiasmo, avvicinandosi a passi pesanti.
— Sì, parliamo — convenne Azzurrosplendente.
Flinx rifletté su ciò che si accingeva a fare, e scoprì con ricono
scenza che tutto ciò lo faceva sentire più soddisfatto di qualunque
altra decisione presa nel corso della sua vita.
— Ci potete scommettere, che parleremo...

CAPITOLO UNDICESIMO

— Ma non qui — intervenne Ciuffo.


— No, no, non qui — gli fece eco Azzurrosptendente. —
Andiamo nella caverna. — Insieme a Nenia, voltò le spalle a Flinx e
si avviò con passo deciso fra gli alberi. Ciuffo si accodò,
ancheggiando e invitando ad ampi gesti Flinx e Sylzenzuzex a
seguirli.
— L a caverna? — chiese Flinx, ansante, mentre insieme a
Sylzenzuzex arrancava per non farsi distanziare. — Dividete tutti la
stessa caverna?
Ciuffo parve stupito. — Tutti dividono la stessa caverna.
— Allora fate parte della stessa famiglia? — ansimò
Sylzenzuzex.
— Tutti la stessa famiglia. — L'enorme creatura impellicciata si
mostrò chiaramente perplessa per quelle domande.
A Flinx venne in mente che Ciuffo poteva intendere qualcosa di
diverso da un rapporto diretto fra consanguinei. Se una parola dai
molteplici significati poteva creare confusione in un umano, figurarsi
per un alieno che conosceva a stento la lingua.
— Noi siamo tutti della stessa famiglia, Ciuffo? — chiese, scan
dendo le parole. Le foltissime ciglia di Ciuffo si ripiegarono
pensose.
— Non è ancora sicuro — replicò infine il loro semplice
salvatore. — Ve lo faremo sapere.
Dopo un'altra ora di rapida e faticosissima arrampicata sopra
rocce e fossati, Flinx scoprì che cominciava a mancargli il fiato. Ma
era assai peggio per la sua compagna, che alla fine si accasciò
esausta, invocando una sosta, in mezzo a una macchia di
vegetazione fiorita.
— Mi dispiace — disse, con un filo di voce. — Non ce la faccio
a tenere il passo, sono troppo stanca e ho freddo.
— Resta lì — le intimò Flinx. — Ciuffo, aspettaci! — Davanti a
loro i tre ujurriani si fermarono, voltandosi a guardare.
Flinx s'inginocchiò ed esaminò delicatamente la manopiede rotta.
Benché Sylzenzuzex non vi esercitasse nessuna pressione, la
giuntura non dava indizio di volersi rimarginare.
— Dovremmo legare con una stecca quella frattura, per mante
nerla assolutamente immobile — mormorò Flinx. La giovane thranx
annuì.
— Potrai farlo alla caverna — gli consigliò Ciuffo, che era
tornato indietro.
— Mi dispiace, Ciuffo — gli spiegò Flinx, — ma lei non può più
proseguire se prima non sistemiamo questa frattura. — Rifletté per
qualche istante e suggerì: — Voi tre proseguite, lasciando una pista
chiaramente visibile di rami spezzati: noi vi raggiungeremo poi.
— Follia — commentò l'indigeno. Si avvicinò ancora di più, e la
sua gigantesca mole eclissò il magro giovanotto. Flinx notò che Pip
non si era mosso. Se la sua fida bestiola non esprimeva preoccupa
zione, allora voleva dire che non aveva percepito nessuna minaccia
dietro quegli occhi intensamente luminosi, sempre più vicini.
Ciuffo studiò la tremante Sylzenzuzex, e chiese incuriosito: —
Cosa vorresti fare, amico Flinx?
— Se ti sembra davvero una follia che noi seguiamo a distanza la
vostra pista — disse Flinx, rivolgendosi agli ujurriani con estrema
cautela, pronto ad azzittirsi al più piccolo indizio di collera offesa,
— potresti lasciare che vi cavalchiamo.
Azzurrosplendente si grattò sotto il mento con una zampa poste
riore. — Cos'è «cavalcare»? — chiese, incuriosito.
— Significa trasportar loro invece delle gemme! — sbuffò una
voce profonda, con una sfumatura di disprezzo per la lentezza di
comprendonio mostrata da Azzurrosplendente. Flinx si girò di
scatto, appena in tempo per vedere il gigantesco profilo
fosforescente di Forsecosí svanire in qualche altra dimensione.
— Adesso capisco — gorgogliò soddisfatto Ciuffo. — Ma...
come facciamo?
— Sta' fermo lì — gli intimò Flinx, chiedendosi, mentre si avvici
nava a quella morbida e compatta parete lanosa, se dopotutto la
sua era stata una buona idea. La grossa testa ursina si girò a
guardarlo.
— Ora stenditi giù, sullo stomaco.
Ciuffo si lasciò prontamente cadere al suolo con un morbido
bum! Flinx sollevò un piede e l'appoggiò con cautela contro il suo
fianco sinistro, poi alzò le braccia e afferrò due manciate di ruvidi
peli. Tirò con forza. Non udì proteste: allora tirò di nuovo, questa
volta con forza sufficiente a sollevarsi sull'ampia schiena.
— Benissimo. E ora puoi rimetterti di nuovo su quattro zampe
— disse alla sua giocosa cavalcatura.
Ciuffo si sollevò con la delicatezza di un congegno perfettamente
lubrificato. La sua mente sorrideva. — Capisco. Questa è un'idea
molto migliore.
— Una nuova cosa divertente — ammise Nenia. Lei e Azzurro-
splendente si avvicinarono adagio a Sylzenzuzex e passarono due
minuti buoni a discutere su chi doveva avere il privilegio di fare per
primo quella nuova esperienza. L'ebbe vinta Nenia. Si portò
vicinissima alla giovane thranx, che continuava a fissarla sbigottita, e
si distese accanto a lei.
Sylzenzuzex studiò con apprensione quel tronco muscoloso, e
lanciò un'occhiata a Flinx. Questo annuì energicamente in segno
d'incoraggiamento: la giovane thranx si arrampicò con estrema
cautela su Nenia, infilò le mani nella pelliccia e vi si aggrappò con
forza.
Ora sia Flinx che la sua compagna d'avventure si resero conto di
quanta pazienza gli ujurriani avessero usato prima, procedendo con
estrema lentezza per consentire ai loro due miserandi amici di tener
si al passo. Ciuffo e Nenia non sembravano neppure notare il peso
che gravava sulle loro schiene e partirono a un frenetico galoppo at
traverso la foresta, al punto che a Flinx e a Sylzenzuzex sembrò
quasi di volare.
Ebbero soltanto un'altra disavventura quando Ciuffo si rizzò sen
za preavviso sulle gambe posteriori, precipitandosi in avanti a un
passo che nessun orso terrestre avrebbe potuto anche lontanamente
uguagliare. Flinx, a prezzo di un tremendo sforzo, riuscì a non farsi
sbalzar via. Sylzenzuzex, fornita di sette arti con cui tenersi aggrap
pata, riuscì a mantenersi in posizione assai più facilmente quando
Nenia si alzò anche lei sulle due gambe posteriori per uguagliare la
fulminea velocità di Ciuffo.
Impossibile dire per quanto tempo o per quale distanza avessero
corso quando, superata la prima e una seconda valle, discesero
ancora più in basso in una terza. Dall'inizio della corsa vera e
propria fino alla fine, nessuna delle mastodontiche cavalcature aveva
rallentato il passo, anche se adesso sbuffavano lievemente.
La terza valle era solcata dal torrente che avevano costeggiato
durante la loro lunga galoppata. Lì il corso d'acqua si allargava a
formare un altro lago, anche se di dimensioni più ridotte in confronto
al lungo specchio d'acqua che fiancheggiava l'installazione mineraria,
ora chissà quanto lontana alle loro spalle. Lì, fra i quasi-sempreverdi
cresceva una diversa varietà di alberi, con ampie foglie giallo-brune.
Flinx scorse qua e là delle bacche, non troppo numerose; altri alberi
esibivano grappoli di noci dal guscio ovale, alcune grosse come noci
di cocco.
— Voi... mangiate quei frutti? — chiese Flinx, indicandoli.
— Sì — rispose Ciuffo.
— E mangiate anche carne?
— Soltanto quando è tempo di neve — gli spiegò la sua
cavalcatura, senza scomporsi, — quando la baiga e le maginac
non fioriscono. La carne non è divertimento, è tanto lavoro. Scappa
via.
Ora si stavano dirigendo verso il ripido fianco di una collina. La
luce della luna l'avvolgeva di una morbida luminosità: Flinx vide che
era roccia nuda, granito grigio punteggiato qua e là da nere macchie
tondeggianti. Il terreno era privo di depositi ghiaiosi. Ujurriani delle
più diverse dimensioni correvano e saltavano tra la sponda e gli in
gressi delle caverne. Fra loro, i primi cuccioli che Flinx e Sylzenzu
zex avessero visto facevano le capriole.
— Se non si mangia carne per variare — continuò a spiegare
Ciuffo, — si comincia a sentirsi male.
— Perché non vi piace mangiare carne? — chiese Sylzenzuzex.
Flinx pregò dentro di sé che lei non imponesse ai loro impressio
nabili ospiti qualche astratta disquisizione filosofica.
Ciuffo riprese a spiegare, come se stesse parlando a due
bambini: — Perfino la vita del najac o del brutto coivet a sei
zampe è un frammento di sole. Quando noi li soffochiamo, il calore
li lascia.
— A noi non piace rendere oscure le cose luminose — aggiunse
Azzurrosplendente. — Preferiremmo molto di più rendere luminose
le cose oscure. Ma — concluse, in tono dolente, — non sappiamo
come si fa.
Rallentarono la fulminea corsa finché questa si trasformò in un
tranquillo camminare, e infine si arrestarono davanti alla prima delle
caverne. Flinx osservò che il terreno di fronte all'ingresso era rivesti-
to da macigni ben squadrati, e che le fessure fra l'uno e l'altro erano
accuratamente chiuse con sassi e schegge di roccia in mancanza di
ferrocemento. Fece segno a Ciuffo di stendersi per terra e scivolò
giù lungo l'ampia schiena impellicciata.
Si lanciò un'occhiata alle spalle e vide l'abbacinante riflesso della
luna sulle acque del lago, come un'argentea striscia di metallo liqui
do lievemente increspata da onde e da piccoli vortici. Poi guardò
davanti a sé dentro la caverna, ma non distinse altro che una pro
fonda oscurità.
— Hai detto che tutti dividono la stessa caverna, Ciuffo, ma io
vedo altre aperture sul fianco della montagna.
— È sempre la stessa caverna — gli spiegò Ciuffo.
— Vuoi dire che sono tutte collegate insieme, dentro la monta
gna?
— Sì, s'incontrano tutte. — Un caldo sorriso mentale l'avvolse.
— Fa tutto parte del gioco.
— Il gioco? — gli fece eco Sylzenzuzex, gelata benché la tuta
termica fosse regolata al massimo. Ciuffo non rispose, e allora lei
chiese ad alta voce: — Credete che possiamo accendere un fuoco?
— Ma certo — disse Nenia, allegramente. — Cos'è «accendere
un fuoco»? È come scavare una caverna?
Con pazienza, Flinx spiegò quanto era necessario, pensando con
sollievo che avrebbe dovuto farlo una volta sola.
— Andremo noi, a raccogliere legna morta — proposero Nenia
e Azzurrosplendente quando lui ebbe terminato la spiegazione.
— Cos'è questo gioco che fate con le vostre caverne, Ciuffo?
— chiese Flinx quando gli altri due se ne furono andati.
Ciuffo ignorò la domanda, e invece li sollecitò a entrare nella ca
verna, dove li salutò in silenzio un altro enorme nativo.
— Questa è Lisciamorbida, la mia compagna — spiegò subito,
in risposta alla domanda che Flinx aveva formato nella sua mente.
— Hai chiesto del gioco, amico-Flinx?... I genitori dei nostri genitori
dei nostri genitori molte molte volte morti si erano preoccupati del
freddo che un giorno (pensavano) sarebbe rimasto per sempre, e
hanno avuto timore che troppe luci tra le famiglie sarebbero scom
parse.
— Questa, infatti, io non la chiamerei ondata di calore — com
mentò Sylzenzuzex.
— Il freddo viene quando il sole è soffocato dalle montagne —
continuò Ciuffo. — I nostri molte volte genitori si erano accorti che
ogni anno faceva più freddo. Ogni anno il sole diventava più piccolo
dell'anno precedente.
Flinx annuì. — Il vostro pianeta ha un'orbita ellittica, Ciuffo, ma
non è un'orbita regolare. Secondo le statistiche che ho visto, da un
secolo all'altro ruota sempre più lontano dal vostro sole, anche se
non so immaginare come se ne siano accorti i tuoi antenati.
— Quanti nuovi concetti — mormorò Ciuffo, accigliandosi. —
Ad ogni modo, i nostri genitori molte volte morti avevano deciso
come rimediare. Avrebbero dovuto spostarsi più vicino al sole in un
certo modo.
— Cioè avrebbero modificato l'orbita di Ulru-Ujurr rendendola
più stabile — disse Flinx, con voce roca. — Ma come facevano a
sapere il modo?
— Devi chiederlo agli antenati — rispose Ciuffo, stringendosi le
spalle. — Molto difficile da fare.
— Oh, senz'altro — convenne subito Sylzenzuzex.
— C'era anche un altro modo, tuttavia — aggiunse Ciuffo. —
Gli scavatori, lassù...
— La gente della miniera?
— Sì. Rendono calde le loro caverne. Gli abbiamo chiesto come
possiamo fare, noi, per avere lo stesso caldo.
— E cos'hanno suggerito? — chiese Flinx.
Ciuffo parve confuso. — Ci hanno detto di scavare una grossa
buca al suolo, di entrarvi, e di coprirci completamente con la terra.
Noi abbiamo provato e abbiamo scoperto che sì, fa caldo. Ma non
ci si può muovere, e si finisce con l'annoiarsi. Inoltre, niente luce.
Non abbiamo capito perché ci abbiano detto di farlo in quel modo.
Loro non lo fanno, per sé. Perché dirci di fare questo, amico-Flinx?
— Oh, è un tipico esempio dell'umorismo come l'intendono gli
AAnn — rispose Flinx, furioso dentro di sé.
— AAnn? — chiese Ciuffo. Nenia e Azzurrosplendente
comparvero in lontananza, tutti e due sepolti sotto enormi bracciate
di rami secchi.
— Alcune delle persone alla miniera — spiegò Flinx. — Quelle
con... la mente fredda.
— Ah, la mente fredda — fece eco Ciuffo, dimostrando di aver
capito. — Noi non abbiamo capito come potessero, loro così
freddi, dirci il modo di diventare caldi. Ma abbiamo provato lo
stesso.
Flinx non riuscì più a guardare in faccia quegli amabili nativi. —
E... quanti degli sperimentatori sono morti?
— Sperimentatori?
— Sì, quelli che hanno provato a seppellirsi.
— Oh, amico-Flinx, tu ti preoccupi in maniera sbagliata.
Nessuno è morto — lo rassicurò Ciuffo, percependo l'agitazione e
l'angoscia nella mente dell'umano. — Vedi, noi abbiamo seppellito
Forsecosì...
— Ecco la legna — disse Nenia, giunta accanto a loro.
— Può bastare? — chiese Azzurrosplendente.
— Credo che questa basti senz'altro per una settimana —
esclamò Flinx. Sylzenzuzex cominciò subito a raccogliere i pezzi più
piccoli formando agilmente una piramide: le sue veremani
modellarono rapidamente una vera e propria scultura astratta.
Flinx si lasciò andare con la schiena contro la parete della caver
na, per stare più comodo, e subito sentì il gelo della pietra attraver
so la tuta termica. — Come pensavano, i vostri genitori molte volte
morti, di poter regolare... di avvicinarsi al sole?
— Facendo il gioco — ripeté Ciuffo. — Il gioco, e scavare le
caverne, sono una cosa sola.
— Scavare le caverne dovrebbe portare il vostro mondo più
vicino al sole? — mormorò Flinx, per nulla sicuro di aver udito
bene.
Ma Ciuffo annuì recisamente. — Fa parte di un gioco a schema.
— Schema? Che tipo di schema?
— Difficile da spiegare — fece, incerto, Ciuffo.
Flinx esitò; poi, a un improvviso pensiero, chiese: — Ciuffo, da
quanto tempo la tua gente sta facendo il gioco di scavare questi...
questi schemi di caverne?
— Quanto tempo?
— Quanti dei vostri giorni?
— Giorni? — Ciuffo decise che era giunto il momento di consul
tarsi con gli altri. Chiamò Azzurrosplendente, e insieme a lui arrivò
Nenia. Lisciamorbida si unì al gruppo, e per un attimo anche
Forsecosì comparve, per aggiungere il suo commento.
Infine Ciuffo tornò a rivolgersi a Flinx, ed enunciò fiduciosamente
un numero. Un numero enorme, davvero eccessivo.
— Siete davvero sicuri del vostro modo di fare i calcoli? —
chiese lentamente Flinx, dopo aver riflettuto.
Ciuffo fece un gesto affermativo. — Il numero è giusto. Il sistema
di contare l'abbiamo imparato alla miniera.
Sylzenzuzex fissò perplessa Flinx, mentre questo tornava ad ap
poggiarsi con la schiena alla parete della caverna e fissava la volta
scura e gelida sopra di loro. La giovane thranx indugiò prima di ac
cendere il fuoco. — Quanto? — fece.
Ci fu una lunga pausa, dopodiché parve che lui fosse tornato in
dietro da qualche luogo remoto. — Secondo quanto dice Ciuffo,
stanno facendo questo gioco di scavare gallerie tutte collegate insie
me da un po' meno di quattordicimila anni terrestri. Questa intera
porzione del continente dev'essere un autentico favo di gallerie. E
non c'è neppure il modo di sapere quanto scendano in profondità.
— Cos'è «favo»? — chiese Nenia.
— Cos'è «continente»? — chiese Azzurrosplendente.
— Fino a dove arriva «profondità»? — volle sapere Ciuffo.
Flinx rispose con un'altra domanda: — E quanto tempo sarà an
cora necessario, prima che questo schema sia completato?
L'ujurriano tacque per qualche istante, mentre la sua mente lavo
rava a pieno ritmo. — Non troppo tempo. Ancora dodicimila dei
tuoi anni.
— Qualche centinaio in più o in meno — mormorò cupamente
Flinx, deglutendo.
Ma Ciuffo lo guardò con aria di rimprovero. — No: dodicimila
anni esatti. — Due grandi occhi pieni di candore fissarono quelli di
Flinx.
— E cos'accadrà quando lo schema sarà stato completato,
quando il gioco sarà finito?
— Due cose — ricominciò a spiegare Ciuffo, con aria
compiaciuta. — Ci sposteremo in qualche modo più vicini al caldo,
e cominceremo a cercare un nuovo gioco.
— Capisco — mormorò lui, rimuginando fra sé. — E
Rudenuaman pensava che costoro fossero primitivi perché
passavano tutto il loro tempo a scavare gallerie.
Sylzenzuzex se ne stava ancora lì immobile, senza accendere il
fuoco. Il suo volto era una maschera d'incertezza. — Ma com'è
possibile che scavando qualche caverna cambi l'orbita del pianeta?
— Qualche caverna? Non lo so, Syl — disse lui, sempre
bisbigliando. — Dubito che qualcuno lo sappia. Forse lo schema,
una volta completato, produce nella crosta planetaria una
dislocazione di masse che al momento giusto, attraverso un evento
catastrofico, provoca nel continuum spaziotemporale una tensione
che... Se ne sapessi di più sulla matematica delle catastrofi, e se
potessimo usare il più grosso dei computer della Chiesa, potrei
verificare.
«O forse niente di tutto questo, e le gallerie servono semplice
mente a captare calore dal nucleo del pianeta... O invece si tratta di
una combinazione dei due effetti... Ci servirebbe un'intera squadra
di brillanti matematici e fisici, per ottenere una risposta».
Sylzenzuzex fissò Ciuffo e gli chiese, in tono tra il vago e il diffi
dente: — Puoi spiegarci cosa dovrebbe accadere, e in che modo?
Il grosso e pelosissimo individuo le rivolse un'occhiata afflitta
(impresa facile, per quegli occhi dall'anima molteplice). — È triste
ammetterlo, ma non abbiamo i termini per farlo.
Nella caverna ci fu silenzio fino a quando la catasta di legna cre
pitò accendendosi. Numerose piccole fiamme comparvero nel
medesimo istante, e nel giro di pochi attimi il fuoco divampò
gloriosamente. Sylzenzuzex reagì con un lungo e basso sibilo di
gratitudine, e si sistemò il più possibile vicino alla fiamma.
— È caldo! — mormorò Nenia, stupita. Azzurrosplendente
avvicinò una zampa al falò e subito la ritrasse.
— Molto caldo — confermò.
— Possiamo insegnarvi... oh, diavolo, ve l'abbiamo già insegna
to... ad accendere tutti i fuochi che volete, fuochi come questo. Non
dico che dobbiate abbandonare il vostro gioco; ma se la cosa
v'interessa, Sylzenzuzex e io possiamo farvi vedere il modo di
assicurarvi il vostro calore durante l'afelio, molto prima dei vostri
dodicimila anni.
— È più facile... così — ammise Ciuffo, indicando il fuoco.
— Ed è divertente — aggiunse Nenia.
— Senti, Ciuffo — esclamò Flinx, — perché tu e la tua gente la
vorate così a lungo e così sodo per le menti fredde e l'altra gente
della miniera?
— Per le bacche e le noci che ci portano da luoghi lontani —
disse Lisciamorbida, da una nicchia scavata nella parete della
caverna.
— Sì, da luoghi lontani — confermò Azzurrosplendente.
— Ma perché non andate voi, in quei luoghi, a prendervele da
soli?
— Troppo lontano — spiegò Ciuffo. — E troppo difficile, dice
Forsecosí.
Flinx staccò la schiena dalla parete, piegandosi in avanti, e parlò
con voce forte e decisa: — Non capisci, Ciuffo? Sto cercando di
dimostrarvi che quella gente della miniera vi sta sfruttando. Vi fa
lavorare il più duramente possibile, con immensi guadagni per sé, e
in cambio vi ripaga con noci e bacche, quel poco che basta per
spingervi a continuare questo lavoro.
— Cos'è «guadagni»? — chiese Nenia.
— Cos'è «ripagano»? — chiese Azzurrosplendente.
Flinx fece per rispondere, poi si rese conto che non ne aveva il
tempo. Non avrebbe certo potuto perdere ore, per non dire giorna
te, a spiegare a fondo l'economia moderna, il rapporto fra il lavoro
e il valore aggiunto, e un centinaio di altri concetti che sarebbe stato
necessario sviscerare nei particolari prima di poter chiarire a quelle
creature il significato di quei due semplici termini.
Tornando nuovamente ad appoggiarsi alla parete, guardò oltre
l'imboccatura della caverna, aldilà del guizzare del fuoco. Uno
spolverio di stelle dall'insolita disposizione si era levato sopra l'orlo
delle montagne, incurvandosi nella volta celeste fino a sfiorare i
bordi del lago. Per ore rimase immerso in profondi pensieri, mentre
i suoi ospiti si riposavano in un cortese silenzio aspettando che lui
parlasse di nuovo. Percepivano la sua intima preoccupazione e lo
sforzo per affrontare fin troppi problemi insieme, e si tennero
rispettosamente fuori dai suoi pensieri.
Flinx si mosse soltanto una volta, per aiutare Sylzenzuzex a mi
gliorare la steccatura della giuntura rotta, adoperando un pezzo di
legno più robusto. Poi tornò al suo posto e ai suoi pensieri. Dopo
un po' quelle stelle furono sostituite da altre, e a loro volta anche
queste sprofondarono sotto l'orizzonte.
Lui se ne stava ancora lì, seduto a pensare, quando udì un suono
come quello prodotto da una porta di magazzino montata su vecchi
cardini cigolanti. Ciuffo sbadigliò una seconda volta e rotolò su se
stesso spalancando verso di lui gli occhi grandi come piatti.
Dopo un po' il sole cominciò a entrare a fiotti nella caverna, e
Flinx non aveva ancora detto buongiorno. Tutti lo stavano guardan
do incuriositi. Perfino Sylzenzuzex manteneva un rispettoso silenzio,
percependo che qualcosa d'importante si stava formando sotto quei
capelli arruffati.
Fu Ciuffo a interrompere quell'interminabile quiete. — La scorsa
notte, amico-Flinx, la tua mente irradiava un rumore costante, come
di molta acqua che cade. Oggi è come il suolo dov'è caduta
quell'acqua, che poi si è ghiacciata: una distesa bianca e pulita.
Sylzenzuzex era seduta sulle anche. Con le veremani e la
manopiede sana si stava ripulendo l'addome, gli ovopositori, i
grandi occhi compositi e le antenne.
— Ciuffo — disse Flinx con calma, come se fossero passati
soltanto pochi istanti dall'ultima volta che aveva parlato, come se la
lunga notte fosse stata soltanto una pausa momentanea, — a te e
alla tua gente piacerebbe cominciare un nuovo gioco?
— Cominciare un nuovo gioco — ripeté Ciuffo, solennemente.
— È una grande cosa, amico-Flinx.
— Lo è — replicò Flinx. — Si chiama civiltà.
Sylzenzuzex smise di colpo di lisciarsi le antenne e rizzò di scatto
la testa verso Flinx; e subito obbiettò, anche se questa volta la sua
voce non esprimeva un'incrollabile certezza nelle proprie idee: —
Flinx, non puoi. Ora sai perché la Chiesa ha posto sotto editto que
sto mondo. Indipendentemente da ciò che noi sentiamo per Ciuffo e
Nenia e gli altri, non possiamo contravvenire a una decisione del
Consiglio.
— Chi l'ha detto? — ribatté Flinx. — Inoltre non sappiamo se
l'editto è stato dichiarato dal Consiglio. Alcuni burocrati piazzati nei
punti giusti potrebbero aver preso la loro piccola e meschina
decisione, attribuendosi il diritto divino di relegare per sempre gli
ujurriani nell'ignoranza. Mi dispiace, Syl, ma pur essendo pronto ad
ammettere che la Chiesa ha indubbiamente al suo attivo alcune
ottime cose, si tratta pur sempre di un'organizzazione composta di
esseri humanx. E come tutti gli esseri humanx, la loro fedeltà va
prima verso se stessi e soltanto dopo verso tutti gli altri. La Chiesa,
se anche fosse dimostrato che sotto ogni aspetto ciò sarebbe per il
bene del Commonwealth, sarebbe disposta a sciogliersi? Ne
dubito.
— Mentre tu, Philip Lynx, ti preoccupi prima di tutto per chiun
que altro, e soltanto dopo per te stesso — ribatté lei.
Flinx si accigliò, e prese a camminare avanti e indietro sul pavi
mento della caverna che si andava riscaldando. — Onestamente
non lo so, Syl. Non so neppure chi sono io, e ancora meno cosa
sono. — Il tono della sua voce si rafforzò. — Ma so che in questa
gente vedo un'innocenza e una gentilezza che non ho mai incontrato
su nessun mondo humanx. — Si arrestò, lo sguardo fisso sugli
abbaglianti riflessi che il sole del mattino suscitava sul lago.
— Sarò anche un ragazzo sciocco — riprese, — un idealista dal
cervello ristretto, chiamalo come ti pare: ma credo di sapere ciò che
voglio essere, adesso. Se mi accetteranno, cioè. Per la prima volta
nella mia vita so quello che voglio essere.
— E cosa vuoi essere? — gli chiese lei.
— Un insegnante. — Flinx si rivolse ai suoi pazienti amici
ujurriani: — Voglio insegnare a te, Ciuffo, e a te Nenia, e a te,
Azzurrosplendente, e a Lisciamorbida, e anche a Forsecosí,
dovunque sia.
— Sono qui — grugnì una voce da fuori. Forsecosí giaceva sulla
bassa vegetazione simile a erica davanti all'ingresso della caverna,
rotolandosi e stiracchiandosi con gran piacere.
— Voglio insegnare a tutti questo nuovo gioco.
— Una cosa grossa — ripeté lentamente Ciuffo. — Non sta
soltanto a noi, deciderlo.
— Anche gli altri devono essere informati — convenne
Azzurrosplendente.
Ci volle un po' di tempo prima che tutti fossero informati. Esat
tamente ci vollero undici giorni, quattro ore, una decina di minuti e
qualche secondo. Poi si dovette aspettare altri undici giorni, quattro
ore e alcuni minuti perché qualcuno rispondesse.
Ma ogni individuo impiegò pochissimo tempo a rispondere.
Il ventitreesimo giorno dopo che la domanda era stata posta,
Forsecosí comparve fuori dalla caverna. Flinx e Sylzenzuzex erano
seduti accanto alla sponda del lago insieme a Ciuffo, a Nenia e ad
Azzurrosplendente. Non si accorsero del nuovo arrivato. In quel
momento Flinx stringeva in mano l'estremità di un tralcio sottile e ro-
busto, con schegge d'osso incurvate all'altra estremità. Mentre gli
altri del gruppo guardavano, lui stava insegnando a Ciuffo a
pescare. Ciuffo, con un'aria deliziata, stava giusto tirando su la
quarta preda della giornata, un qualcosa di argenteo arrotolato su se
stesso che sembrava un incrocio fra un pesce palla e una trota.
I nuotatori, spiegarono gli ujurriani, avevano luci più piccole dei
najac e delle altre prede terrestri. Perciò pescare era meno
malvagio che cacciare.
— Anche questo fa parte del nuovo gioco? — chiese Nenia, che
già al primo tentativo era riuscita a fabbricarsi con un tralcio e delle
schegge d'osso una lenza in tutto identica a quella di Flinx.
— Sì — ammise Flinx.
— È bello — osservò Azzurrosplendente.
— Spero che tutti siano d'accordo con voi.
Sylzenzuzex assaporò un'altra manciata di bacche. Il contenuto
zuccherino era soddisfacente, e la freschezza del prodotto appena
colto dava un sapore vivificante alla sua dieta,
Offeso nel vedere che nessuno gli prestava attenzione, Forsecosí
scomparve dall'imboccatura della caverna e ricomparve accanto a
lei. La giovane thranx, sbigottita, quasi cadde giù dal liscio macigno
sul quale stava rannicchiata.
— Tutti hanno risposto — le annunciò Forsecosí. — Quasi tutti
hanno detto di sì. Giocheremo al nuovo gioco, adesso.
— Quattordicimila anni di scavi buttati via — commentò Sylzen
zuzex, rimettendosi in piedi e sfregandosi l'addome. — Flinx, spero
che tu sappia davvero ciò che stai facendo.
— Non preoccuparti — sbuffò Forsecosí nella sua direzione. —
Per adesso giocheremo al nuovo gioco soltanto qui. Negli altri
posti, sul dietro del mondo, continueremo col vecchio gioco. Se il
nuovo gioco non sarà divertente... — (indugiò un attimo) —
torneremo tutti al vecchio gioco. — Folgorò Flinx con un'occhiata.
— Per sempre — concluse.
Flinx si mosse a disagio quando l'enigmatico ujurriano svanì. Po
che settimane prima si sentiva sicuro di se stesso, infiammato da uno
zelo messianico che non aveva mai provato prima... Ma adesso i
primi dubbi corrosivi cominciavano a tormentargli la coscienza.
Cercò di non far caso alle occhiate che i suoi giganteschi e pelosi
compagni gli rivolgevano: quelle creature simili a grandi orsi erano
bene equipaggiate per fissare la gente in modo inquietante.
— Bene — fu tutto quello che Ciuffo ebbe da commentare. —
E adesso, Flinx, come comincia il nuovo gioco?
Flinx indicò le lenze che tutti loro si erano egregiamente confe
zionati. — Già il fuoco è stato un inizio. E anche queste lenze sono
un inizio. Ora voglio che tutti quelli di voi che lavorano per la gente
della miniera vengano qui e imparino anche loro con noi: ma voglio
che vengano durante la notte, così le menti fredde non s'insospetti
ranno. Se ciò dovesse accadere... — (ebbe un attimo di esitazione)
— sarebbe un male per il nostro gioco.
— Ma quando dormiremo? — volle sapere Nenia.
— Non parlerò troppo a lungo — rispose Flinx in tono
fiducioso. — Ma è necessario che vengano. — E proseguì, ma
adesso con molta minore fiducia: — Forse riusciremo a eseguire
tutta la prima parte del gioco senza che nessuno sia privato del suo
calore e della sua luce. Nessuno dei nostri... e dei loro.
— Bene — concluse Ciuffo, — lo diremo agli altri alla miniera.
Syl si avvicinò a Flinx mentre i giganti pelosi si disperdevano. —
Insegneremo loro i principi fondamentali di una civiltà e insieme
aiuteremo noi stessi — disse lui. — Così, quando non ci sarà più
gente alla miniera, loro potranno procurarsi da sé tutte le noci e le
bacche che vorranno...

CAPITOLO DODICESIMO

— Spero — disse, con una punta di esitazione, Teleen auz


Rudenuaman, — che il barone concluda presto la sua caccia. Molti
materiali essenziali cominciano a scarseggiare nei depositi, e alcuni
mancano del tutto. E soprattutto siamo a corto di materia prima per
i nostri sintetizzatori di cibo.
— Non c'è nessun motivo di preoccuparsi per il barone — le
assicurò Meevo FFGW da sotto l'imperturbabile maschera umana.
Sì, non c'era davvero nessuna ragione di preoccuparsi, ripeté
Rudenuaman tra sé; e si voltò a guardar fuori dalle finestre, i cui
spessi pannelli rosa erano stati sostituiti da poco. Nella montagna
sovrastante, i minatori continuavano a lavorare con la consueta
efficienza.
Il barone aveva già compiuto in passato numerosi viaggi attraver-
so il territorio del Commonwealth. Tuttavia lei continuava a provare
una punta di preoccupazione ogni volta che una delle sue navi tra
sportava uno di quei rettili travestiti. Sapeva che avrebbe dovuto fa
ticare parecchio, imbrogliando le carte con una serie di spiegazioni
confuse e ribadendo comunque la sua completa buona fede, per
uscirne fuori senza danno se una pattuglia del Commonwealth
avesse intercettato una delle sue navi e scoperto un AAnn a bordo.
Comunque non dubitava che in qualche modo lei ne sarebbe
sempre uscita fuori, pur perdendo dei collaboratori preziosi. Se poi
fosse capitato al barone, lei avrebbe perso un insostituibile socio.
Non tutti i membri dell'aristocrazia degli AAnn, infatti, capivano le
motivazioni umane o avevano un senso degli affari paragonabile a
quello di Riidi WW.
Dal citofono s'innalzò all'improvviso un ronzio. Meevo si alzò e
andò a rispondere alla chiamata. A sua volta Rudenuaman distolse
lo sguardo da quel panorama di foreste e di montagne, e vide
sbigottita la maschera umanoide di Meevo deformarsi
grottescamente più volte, rivelando che il volto da rettile nascosto lì
sotto era stato colto da una serie d'invincibili contorsioni.
— Cosa... cos'è successo? — La voce dell'AAnn, già sonora,
assunse tonalità quasi assordanti.
Teleen si sporse verso di lui. — Cosa sta accadendo, Meevo?
L'ingegnere AAnn depose lentamente il ricevitore. — Era
Chargis, dalla miniera. L'umano e la thranx fuggiti sono ritornati vivi.
Chargis riferisce che con loro ci sono molti indigeni e che gli indigeni
al lavoro nella miniera si sono uniti a loro. È scoppiata una rivolta:
una rivolta armata!
— No, no... — Le sembrò di sprofondare all'improvviso,
mentre le parole di Meevo penetravano in lei. — Gli indigeni in
armi... È impossibile. — La sua voce crebbe fino a un urlo quando
riprese il controllo di se stessa. — Impossibile! Non conoscono la
differenza fra un martello pneumatico e un lanciaraggi! E perché
dovrebbero ribellarsi? Cosa vogliono, più noci e più bacche? Ma è
pura follia! — Il suo volto si contrasse all'improvviso,
pericolosamente. — No, aspetta. Hai detto che l'umano e la thranx
sono tornati con loro?
— Così insiste a dire Chargis.
— Ma anche questo è impossibile. Dovrebbero essere morti già
da settimane a causa del freddo. Devono essere riusciti a
comunicare in qualche modo con gli indigeni.
— Direi che questa è un'espressione del tutto inadeguata — di
chiarò l'ingegnere. — Mi è stato detto che gli indigeni non possede
vano nessuna lingua, nessun mezzo per comunicare concetti astratti
fra loro... e ancor meno con gli estranei.
— Abbiamo trascurato qualcosa, Meevo.
— Come nye, dico che è senz'altro così — convenne
l'ingegnere. — Ma alla fine tutto ciò non avrà importanza. Una cosa
è insegnare a un selvaggio a sparare con un'arma, e un'altra
spiegargli le tattiche di guerra.
— Ma dove hanno preso le armi? — chiese Teleen, tornando a
fissare il fianco della montagna. Quelle lontane strutture non
mostravano nessun segno del conflitto che si era scatenato
all'interno.
— Chargis ha detto che hanno sopraffatto la guardia e hanno
fatto irruzione nell'armeria della miniera — spiegò Meevo. — C'era
soltanto una guardia, perché qui non c'era nessuno che potesse aver
intenzione di rubare armi. Chargis ha detto che gli indigeni erano
assai turbolenti e indisciplinati quando hanno fatto irruzione, e che
l'umano e la thranx facevano fatica a controllarli. — Sorrise con
cattiveria. — Potrebbero aver scatenato qualcosa che non riescono
a controllare. Chargis ha detto... — Esitò.
— Continua — lo sollecitò Teleen, decisa a sentire tutto. —
Cos'altro ha detto, Chargis?
— Ha detto che gli indigeni davano l'impressione di considerare
tutto questo alla stregua di... sì, di un gioco.
— Un gioco — ripeté lei, lentamente. — Continuino pure a pen
sarla così, anche mentre muoiono. Mettiti in contatto con tutto il
personale della base — ordinò. — Digli di abbandonare tutte le in
stallazioni e di ritirarsi negli edifici del settore amministrativo. Ab
biamo lanciaraggi e cannoni laser grandi abbastanza da abbattere
una navetta militare in volo. Resteremo qui controllando le
comunicazioni, la produzione del cibo e la centrale d'energia, fino al
ritorno del barone.
«Quando ne avremo inceneriti un po' — continuò distrattamente,
quasi stesse parlando di sradicare le erbacce — il gioco potrebbe
perdere molto interesse per quegli indigeni. Se così non fosse, ci
penseranno le navette a farlo finire in fretta. — Si voltò a guardare
Meevo. — Inoltre, di' a Chargis di formare due gruppi di tiratori
scelti. Possono usare i due grossi veicoli da superficie per tenere i
nostri amichevoli operai imbottigliati là dentro. Facciano attenzione
quando sparano, però. Non voglio che venga danneggiato qualcosa
all'interno delle installazioni della miniera, a meno che sia
assolutamente necessario. Quelle attrezzature sono assai costose. A
parte ciò, possono esercitarsi al tiro al bersaglio su qualunque
indigeno che compare loro davanti».
E infine concluse, con un borbottio: — Ma assolutamente non
devono uccidere il giovane umano o la thranx. Quelli li voglio
entrambi intatti e in buona salute. — Scosse la testa disgustata,
mentre l'ingegnere si allontanava per trasmettere i suoi ordini. —
Maledetto guaio. Dovremo importare e addestrare tutta una nuova
squadra di lavoratori manuali...

All'inizio tutto era andato liscio e secondo i piani, pensò Flinx,


furioso. Poi lui aveva dovuto assistere impotente mentre mesi di pia-
ni e d'istruzioni accurate venivano buttati al vento, sommersi dall'in
controllabile piacere che gli ujurriani avevano provato nell'irrompere
nell'armeria per impadronirsi di tutti quei giocattoli che disintegrava
no le cose. Neppure Ciuffo era riuscito a calmarli.
— Si stanno divertendo, Flinx — gli spiegò Sylzenzuzex,
cercando di placarlo. — Puoi forse biasimarli? Questo gioco è
molto più eccitante di qualunque altro che abbiano giocato prima.
— Mi chiedo se la penseranno ancora così quando alcune delle
loro luci verranno spente — borbottò Flinx, rabbioso. —
Penseranno ancora che il mio gioco è divertente quando avranno
visto alcuni dei loro amici giacere al suolo con le interiora bruciate
dai lanciaraggi di Rudenuaman? — Si allontanò, incapace di
continuare ancora a parlare, soffocato dalla rabbia verso se stesso e
gli ujurriani.
— Volevo prendere possesso della miniera in silenzio, di
sorpresa, senza uccidere nessuno — bofonchiò ancora. — Con
tutto il baccano che hanno fatto irrompendo nell'armeria, sono certo
che la gente qui intorno ha sentito e si è precipitata a dare l'allarme.
Se è furba, e indubbiamente lo è, adesso Rudenuaman avrà
schierato le sue forze nei punti-chiave, sul chi vive notte e giorno, e
starà aspettando che siamo noi ad andare da lei, per farci a pezzi.
Percepì la presenza di Ciuffo, lì vicino, e si voltò a fissare quei
grandi occhi. — Temo che adesso i tuoi debbano uccidere.
La gigantesca creatura pelosa lo fissò a sua volta, imperturbabile.
— Sì, amico-Flinx. È un gioco serio quello che adesso stiamo
giocando, questa civiltà.
— Sì — mormorò Flinx. — Lo è sempre stato. Io speravo di
poter evitare i vecchi errori, ma...
La sua voce si spense e lui si sedette sul pavimento, fissando im
musonito tra le ginocchia la superficie metallica. Un piccolo muso
coriaceo si sfregò contro il suo volto: Pip. Ciò che non si aspettava
fu la delicata pressione sotto la nuca, là dove si sarebbe trovato il
suo secondo torace se lui fosse stato un thranx.
Girò la testa e alzò lo sguardo, e vide degli occhi sfaccettati che
fissavano i suoi.
— Adesso devi per forza fare il meglio che puoi — mormorò
sommessamente Sylzenzuzex. La veramano continuò ad
accarezzargli delicatamente la schiena. — Tu hai dato inizio a
questa cosa. E se non darai tutto te stesso per portarla a
compimento, ci penserà quella diabolica femmina là sotto.
Queste parole lo fecero sentire un po' meglio... ma soltanto un
po'.
Un fragoroso crac!, come il lacerarsi di lastre metalliche, risuonò
nell'aria. Flinx balzò in piedi precipitandosi di corsa verso l'origine
del fracasso, che quasi subito si ripeté. Un pannello trasparente si
stendeva lungo tutta la fiancata del corridoio, e loro furono in grado
di guardar fuori lungo il pendio che scendeva oltre il grande edificio.
Per un'ampiezza di una ventina di metri il terreno era privo di vege
tazione, che era stata sradicata tutt'intorno al complesso per motivi
di sicurezza.
Dove la vegetazione riprendeva a crescere distinsero i due grossi
veicoli da superficie, gli stessi che erano venuti loro incontro quando
erano arrivati sul pianeta, un gran numero di settimane prima. Tutti e
due i veicoli ostentavano un cannone-laser sulla parte frontale. Tre
chiazze nerastre dal profilo ovoidale si erano disegnate sul tratto di
terreno scoperto: i segni di altrettante vampate distruttive che
avevano carbonizzato qualche arbusto superstite e vetrificato le
rocce silicee.
Da qualche punto imprecisato, all'imboccatura di uno dei pozzi
della miniera, balenò la scia azzurrastra di una pistola lanciaraggi,
che colpì la parte anteriore di uno dei due veicoli. Ma lo schermo
della macchina assorbì e disperse senza difficoltà la ridotta scarica
di energia.
Inaspettatamente i due veicoli fecero dietrofront e tornarono ra
pidamente verso l'installazione principale. Il loro ronzio penetrò, sia
pure soffocato, nel corridoio dal quale Flinx e gli altri guardavano in
silenzio, mentre le due macchine, sospese su uno spesso cuscino
d'aria ad alcune decine di centimetri dal suolo, curvarono e si arre
starono appena fuori portata dai lanciaraggi:
Un attimo più tardi, la ben nota mole di Azzurrosplendente sbucò
fuori di corsa da una curva del corridoio e si precipitò, agitandosi
tutta, verso il giovane umano e i suoi compagni. Si arrestò davanti a
loro e annunciò, tra ansimi e sussulti simili a quelli di una macchina a
vapore: — Hanno ucciso A, Bi e Ci. — E sgranò ancora di più gli
enormi occhi.
— Ma com'è accaduto? — chiese Flinx, costringendosi alla
calma. — Ho detto a tutti che non avrebbero sparato dentro le
installazioni. Non rischieranno mai di danneggiare le loro
attrezzature, perché non credono ancora che noi rappresentiamo
per loro una seria minaccia.
Fu Ciuffo a fornire la spiegazione, poiché gli erano bastati pochi
attimi di rapida e silenziosa conversazione con Azzurrosplendente:
— A, Bi e Ci sono usciti fuori dalle caverne di acciaio.
— Ma perché? — chiese Flinx, quasi mettendosi a piangere.
— Pensavano di aver creato una nuova idea — gli spiegò lenta
mente Ciuffo. Flinx lo fissò senza capire, e il gigante peloso conti
nuò: — Durante questi molti giorni trascorsi tu ci avevi detto e ripe
tuto che questo gioco che chiami civiltà avrebbe dovuto essere gio
cato secondo il senso comune, la logica, la ragione. Azzurrosplen
dente mi dice che A, Bi e Ci avevano deciso tra loro che, se era
così, le menti fredde (e anche gli altri) avrebbero capito che la logi
ca e la ragione imponevano loro di collaborare con noi, perché noi
gli abbiamo portato via la miniera.
«Sono usciti tutti e tre senz'armi per parlare di logica e ragione
alla gente dentro quelle macchine. Ma quelli — (e qui la voce di
Ciuffo espresse tutta la sua corrucciata meraviglia per ciò che era
accaduto) — non hanno neppure ascoltato A, Bi e Ci. Li hanno
uccisi senza neppure ascoltarli. Com'è possibile? — La grossa testa
si curvò perplessa verso Flinx. — Le menti fredde e gli altri come
te, laggiù, non sono forse anche loro civilizzati? Eppure hanno fatto
questo senza neppure parlare. Sono queste, la logica e la ragione di
cui ci hai detto tante volte?».
Flinx e Sylzenzuzex non avevano ancora visto arrabbiata una di
quelle grandi e gioviali creature simili a orsi; ma Ciuffo sembrava sul
punto di esserlo, anche se la sua non era vera rabbia. Era sbigotti
mento, frustrazione.
Flinx cercò di spiegargli: — C'è anche gente che non gioca leal
mente, Ciuffo. Gente che bara.
— Cos'è «barare»? — chiese Ciuffo.
Flinx si sforzò di chiarirgli il concetto di «giocare barando».
— Capisco — dichiarò Ciuffo, con sussiego, quando Flinx ebbe
finito. — Questo è un concetto incredibile. Non avrei mai creduto
che fosse possibile. Bisogna dirlo agli altri. Spiega molto del gioco.
Si voltò, con Azzurrosplendente, e si allontanò rapido, lasciando
Flinx e Sylzenzuzex soli nel corridoio.
— Quanto tempo credi che ci vorrà — chiese la giovane thranx,
guardando fuori dall'ampia finestra verso gli edifici circostanti, —
prima che s'impazientiscano a starsene là fermi e decidano di attac
carci in forze?
— Probabilmente fino all'arrivo delle navette. Se non avremo ri
solto la cosa prima di allora... No, dobbiamo averla risolta prima
del ritorno del barone. Noi qui disponiamo soltanto di lanciaraggi a
mano, mentre loro dispongono di almeno due cannoni-laser Gimbal
terra-aria, montati accanto alla pista di atterraggio, oltre a quelli più
piccoli in dotazione ai veicoli di superficie. E forse ne hanno anche
altri di cui non sappiamo. Noi non possiamo combattere quel tipo di
armamento. Spero che Ciuffo e Azzurrosplendente riescano a far
entrare questa verità dentro i crani pelosi delle loro famiglie. —
Flinx aguzzò gli occhi, scrutando l'impassibile panorama all'esterno.
— Sono sicuro che i due cannoni più grossi sono puntati contro di
noi già in questo preciso momento. Se tentassimo una ritirata in
massa ci incenerirebbero tutti, allo stesso modo di A, Bi e Ci. Do
vremo...
Un urlo si levò, agghiacciante, nelle lontananze di qualche corri
doio interno, salendo fino ai più acuti vertici del terrore e spegnen
dosi all'improvviso. Era innegabilmente umano.
Il secondo urlo non era umano: proveniva da un AAnn. Poi giun
sero altre urla frammischiate, di entrambi i tipi.
Pip prese a svolazzare nervosamente intorno alla testa di Flinx, il
quale all'improvviso si trovò avvolto da un gelido sudore.
— Cosa sta succedendo, adesso? — mormorò fra sé mentre
insieme a Sylzenzuzex si dirigeva a rapidi passi verso il punto da cui
continuavano a provenire, a intervalli irregolari, altre urla angosciate
subito spente.
Ne udirono non meno di una ventina prima d'imbattersi in Az
zurrosplendente e Nenia. — Cos'è accaduto? — chiese
freneticamente Flinx. — Cos'erano, quelle urla?
— Luci... — cominciò Nenia.
— ... che si spengono — completò Azzurrosplendente.
Flinx li fissò, tremando. C'era del sangue sulla bocca di Nenia,
atteggiata nel cordiale sorriso di tutti i giorni. Il muso di entrambi ne
era abbondantemente macchiato. C'erano stati, qua e là, dei piccoli
gruppi di operai e di guardie che non erano riusciti a scappare
quando la miniera era stata invasa.
— Avete ucciso i prigionieri — riuscì a stento a balbettare Flinx.
— Oh, sì — ammise Nenia, con una raccapricciante allegria. —
Per un po' non siamo stati sicuri su quello che dovevamo fare; ma
Ciuffo ci ha spiegato tutto, a noi e alla famiglia. Le menti fredde e
l'altra gente là sotto — (fece un gesto in direzione della base
principale) — barano. Ora crediamo di sapere cosa vuol dire
barare. Significa non giocare secondo le regole: giusto?
— Sì, ma queste non sono le mie regole — disse Flinx, stordito,
con voce appena udibile. — Non sono le mie...
— Ma vanno bene per noi — ribatté Azzurrosplendente. — Noi
comprendiamo queste regole, non le tue. Le tue non sono buone
regole, amico-Flinx. Le menti fredde hanno creato nuove regole,
che vanno benissimo anche per noi. Noi giochiamo bene nel modo
delle menti fredde.
Gli ujurriani si allontanarono dondolando lungo il corridoio.
Flinx cadde sulle ginocchia, afflosciandosi contro una parete. —
Un gioco, tutto è un gioco per loro, sempre. — Alzò vivacemente
gli occhi a fissare Sylzenzuzex. — Porca miseria — disse,
rabbrividendo, — non volevo che le cose andassero in questo
modo.
— Sei a cavallo del grizel — commentò Sylzenzuzex, senza ani
mosità. — L'hai risvegliato, e ora devi cavalcarlo.
— Tu non capisci — mormorò lui, sconsolato. — Volevo che a
Ciuffo, a Nenia, ad Azzurrosplendente, venissero risparmiati tutti i
nostri errori. Volevo che diventassero creature davvero grandi,
com'era nella loro possibilità, e non... — terminò scoraggiato, — ...
una versione più scaltra di noi e niente più.
Sylzenzuzex gli si fece più vicina. — Tu tieni ancora il grizel per
la coda. Non sei stato ancora del tutto disarcionato. Non sei stato
tu a insegnar loro a uccidere: ricorda, cacciavano già la carne.
— Soltanto le poche volte che la necessità li spingeva — replicò
Flinx. Il suo nervosismo si placò alquanto. — Ma sì, questo
potrebbe essere uno di quei rari momenti in cui sono costretti a
farlo. Sì, la stagione invernale della caccia, per sopravvivere. Le
regole sono state stravolte, ma esistono ancora. Devono soltanto
essere definite meglio.
— Giusto, Flinx. Devi insegnar loro quando è bene uccidere e
quando non è bene.
Lui la fissò, perplesso e vagamente a disagio; ma se c'era
qualcosa di sottinteso nelle sue parole, non riuscì a percepirlo. — È
la sola cosa che ero ben deciso a non fare, mai, sia pure per
interposta persona.
— Ma questo significa che in qualche modo il problema ti si è
posto nella mente. Cosa ti ha fatto pensare che un giorno avresti
potuto trovarti in questa situazione?
— Qualcosa... che è accaduto non molto tempo fa — rispose
lui, enigmatico. — Ora, comunque, ciò mi viene imposto in ogni
caso. Eccomi obbligato dagli eventi ad assumere questa posizione
che avevo giurato di non accettare mai.
— Non so di cosa stai vaneggiando — dichiarò Sylzenzuzex, —
ma o cavalchi il grizel o lui ti calpesterà.
E lanciò un'occhiata significativa verso l'angolo dietro il quale
Nenia e Azzurrosplendente erano scomparsi.
— In realtà mi sto chiedendo chi cavalcherà cosa.
La risposta giunse alcuni giorni più tardi. Come lui aveva previ
sto, non c'era stato nessun attacco da sotto, anche se i due veicoli
armati di cannoni-laser ostentavano la loro costante presenza di
fronte alle installazioni minerarie, pronti a disintegrare chiunque
avesse osato mostrare anche soltanto il naso.
Ciuffo venne a svegliare Flinx e Sylzenzuzex nel piccolo ufficio
che avevano scelto per dormire. — Abbiamo organizzato la
retrotrappola — annunciò loro allegramente. — Adesso
cattureremo quei due veicoli di superficie.
— Retrotrappola... Aspetta: cosa...? — Flinx lottò per svegliarsi
del tutto, sfregandosi energicamente gli occhi ancora pieni di sonno.
Gli parve vagamente di ricordare che Ciuffo o Lisciamorbida, o
qualcun altro, gli avesse parlato di una retrotrappola, tempo prima,
ma non riusciva a far combaciare i vari frammenti.
— Non potete fermare uno di quei veicoli con una... — comin
ciò a protestare; ma già Ciuffo, impaziente, lo sollecitava a seguirlo.
— Adesso affrettati, amico-Flinx — insisté, porgendo orecchio
a qualcosa fuori portata dall'udito normale. — È già cominciato.
Li scortò fino all'ufficio del direttore dello stabilimento, sovrasta
to da un'ampia cupola che consentiva una perfetta visione del pano
rama a sud.
— Ecco — disse.
Flinx vide tre massicce figure ricoperte di pelliccia che correvano
completamente allo scoperto sul terreno brullo, risalendo il pendio
verso il punto dove si apriva, lontano e molto più in alto, il pozzo
principale della miniera. Ancora molto indietro, Flinx distinse le sa
gome dei due veicoli di superficie che li stavano inseguendo.
— Cosa stanno facendo, là fuori? — urlò, schiacciandosi contro
la spessa parete trasparente di polyplexlega. Poi si girò di scatto a
fissare Ciuffo, con sguardo desolato e impotente. — Ti avevo detto
che nessuno doveva uscire dagli edifici.
Ciuffo non si mostrò minimamente turbato. — Fa parte del nuo
vo gioco. Guarda.
Incapace di far altro, Flinx riportò l'attenzione sull'imminente
massacro.
Correndo a tremenda velocità, i tre giganti impellicciati sfioraro
no l'edificio proprio sotto il punto in cui si trovava Flinx. Per quanto
rapidi fossero, non potevano correre più veloci dei veicoli. Prima
una e poi una seconda raffica schizzarono dalle bocche dei cannoni-
laser. Una colpì il terreno appena alle spalle di quello dei tre giganti
che era rimasto più indietro, facendolo schizzare in avanti con rin
novata energia. L'altra colpì il terreno fra i due che correvano più
avanti, trasformandolo in un ribollire di rocce fuse.
Flinx vide che i tre corridori non sarebbero mai riusciti a raggiun
gere un qualunque riparo. All'improvviso i due veicoli sembrarono
raddoppiare di velocità. Quando avessero sparato di nuovo,
sarebbero stati così vicini ai fuggitivi che non avrebbero potuto
mancare il colpo.
Flinx ebbe la vivida immagine mentale di altri tre sconfortanti
mucchietti di cenere: quanto sarebbe rimasto entro pochi istanti di
quei tre giocosi giganti pieni di vita... Ah, perché aveva voluto in
terferire nella loro innocente esistenza, trasformandoli nei più ingenui
fra i combattenti?
Ma in quel preciso istante il suolo parve disintegrarsi e svanire
sotto i due veicoli inseguitori.
Ci furono uno schianto violento e il lacerante gemito di protesta
dei motori in folle quando i due veicoli, incapaci di adeguarsi
all'inaspettato sprofondamento del terreno, s'infilarono in un'enorme
buca comparsa all'improvviso, scavalcandola con un balzo e
andando a schiantarsi contro il fondo, sul lato opposto, dove
restarono conficcati.
Flinx e Sylzenzuzex fissarono a bocca aperta l'enorme squarcio
che si era inaspettatamente aperto nel terreno.
— Retrotrappola — citò Ciuffo, in tono soddisfatto. — Mi sono
ricordato di quanto ci hai detto sul funzionamento di quelle macchi
ne, amico-Flinx.
Umani e AAnn malconci — le mascherature chirurgiche di questi
ultimi adesso tutte di traverso — stavano lottando per riprendere il
controllo di sé, dentro le carcasse delle due macchine.
Una torma di colossi pelosi stava sgorgando dagli edifici della
miniera verso la grande buca. Flinx riuscì a distinguere i tre sottili
argini di terra battuta, alti e robusti, che attraversavano la cavità:
avevano formato i sentieri sicuri e abilmente dissimulati che i tre
corridori-civetta avevano percorso superando indenni la trappola.
Argini comunque troppo stretti per fornire un adeguato sostegno ai
massicci veicoli di superficie, quella superficie ingannevolmente
compatta che era stata spazzata via dai getti d'aria dei veicoli
appena vi erano capitati sopra. Centinaia di sottili spuntoni di legno
sporgevano ora verso l'interno dai bordi della buca: fino a qualche
istante prima avevano sostenuto la fitta copertura di ramoscelli,
foglie e terriccio che aveva formato il tetto della grande cavità
dando l'impressione di terreno compatto.
Nuove urla echeggiarono e l'azzurrastro balenare dei lanciaraggi
illuminò vividamente la buca quando i giganti pelosi vi si rovesciaro
no dentro. Flinx vide un colosso adolescente del peso di almeno
trecento chili agguantare un AAnn che si divincolava disperatamente
e strappargli via la testa come il tappo di una bottiglia. Nauseato,
distolse lo sguardo da quella carneficina.
— Perché l'amico-Flinx è turbato? — volle sapere Ciuffo. —
Adesso giochiamo secondo le loro regole. È leale, non è vero?
— Cavalca il grizel — l'ammonì Sylzenzuzex in alto thranx.
Standogli bene in. groppa e non aggrappato alla coda,
risuonò un'eco dentro di lui. Si costrinse a tornare indietro e a
guardare la fine della breve lotta.
Appena fu chiaro alla gente di Rudenuaman, più in basso, ciò
che era accaduto, un raggio rosso, dello spessore di un corpo uma
no, schizzò verso l'alto da una piccola torre situata all'estremità più
lontana della base. Il raggio rosso ruotò attraverso la foresta, reci
dendo gli alberi come una falce gigantesca e lasciando dietro di sé
una scia di ceppi fumanti, finché colpì il fianco della montagna a
sinistra della grande buca. Una vampa di luce intensissima fu seguita
da una sorda esplosione.
— Fa' rientrare tutti, subito! — urlò Flinx a Ciuffo. Ma non fu
necessario lanciare ordini. Conclusa la loro opera, i colossi pelosi
stavano già uscendo dalla buca e correvano giocosamente su
quattro zampe, schivando agilmente gli ostacoli, dentro la miniera.
La sommità della torre ruotò ancora, e a Flinx parve, con un bri
vido, che ora fosse puntata direttamente contro di lui. Ma gli parve
anche di scorgere un confuso movimento di persone, e sembrò che
infine prevalessero le teste più calme. Il complesso minerario con
tutte le sue costose attrezzature era ancora un bersaglio proibito per
qualunque arma distruttiva. Rudenuaman non aveva ancora suffi
cienti motivi per crivellare il fianco della montagna e trasformare
l'intero complesso estrattivo e di lavorazione in una copia cento
volte più grande del cratere che ancora ribolliva fumante dove il
massiccio laser della torretta aveva colpito con tutta la sua potenza.
Per quanto Rudenuaman potesse crucciarsi per la perdita dei due
veicoli di superficie e dei rispettivi equipaggi, non era ancora
sconvolta a tal punto.
Così, nessun nuovo raggio vendicatore sciabolò l'aria e distrusse
quell'edificio. I rozzi e semplici indigeni avrebbero potuto
assaporare la loro inutile vittoria.
Non c'era dubbio, pensò ironicamente Flinx, che in quel momen
to Rudenuaman stava certamente attribuendo a lui quella brillante
azione, ben lungi dall'immaginare che quelle enormi e ottuse bestie
da soma avevano concepito e portato a termine quel piano tutte da
sole.
— Mi chiedo — disse a Sylzenzuzex, mentre consumavano un
pasto a base di noci, bacche e cibo confezionato trovato in un
deposito, — se valga la pena di continuare, qui. In realtà io non ho
mai avuto il controllo della situazione. Forse... forse sarebbe meglio
tornare di corsa alle caverne. Posso ancora... possiamo ancora...
insegnare, e ci rimane ancora molto da vivere.
— Tu l'hai, il controllo — replicò Sylzenzuzex battendo con una
veramano sul tavolo, in un bizzarro ticchettio. — Gli ujurriani non ti
hanno affatto messo da parte. Ma fa' pure. Di' a tutti — (e fece un
ampio gesto con la veramano) — che devono ritornare alle caverne
e riprendere il gioco di prima. Diglielo. Ma non per questo
scorderanno quello che hanno imparato. Non lo dimenticheranno
mai.
— O'Morion soltanto sa quanto hanno imparato da questa
miniera — borbottò Flinx, masticando rabbiosamente.
— Torneranno a scavare quel loro schema di caverne, ma
conserveranno questa conoscenza — proseguì Sylzenzuzex. — Le
regole del gioco stabilite dai macellai di Rudenuaman rimarranno
sempre nelle loro teste. Se dovessero mostrare una certa iniziativa
dopo che noi saremo partiti... — Fece l'equivalente thranx di una
scrollata di spalle. — Non darti colpa per quello che è successo.
Gli ujurriani non sono angeli. — Una sibilante risata thranx l'azzitti
per qualche istante. — Non puoi fargli allo stesso tempo da dio e
da diavolo. Non sei stato tu a insegnar loro a uccidere. Adesso puoi
soltanto stare attento a non insegnargli a goderne.
«Lamentarti e avvilirti per i tuoi errori non servirà né a te né a
loro. Ti sei cacciato le veregambe nell'orifizio masticatorio. Puoi ti
rarle fuori oppure soffocarti, ma non puoi ignorarle». E mandò giù
un'intera manciata di grosse bacche rosso-arancio.
— Non ci piace, uccidere — tuonò una voce. Entrambi
sobbalzarono. Gli ujurriani si muovevano con una silenziosità
sorprendente in creature così massicce. Ciuffo era comparso sulle
quattro zampe, riempiendo completamente il vano della porta.
— Perché non vi piace? — domandò Sylzenzuzex. — Perché
non dovremmo preoccuparcene?
— Non è divertimento — spiegò concisamente Ciuffo,
respingendo l'idea come qualcosa di troppo assurdo perché valesse
anche soltanto la pena di discuterne. — Uccidiamo la carne quando
è necessario. A meno che — (e quegli occhi grandi come fari
risplendettero in direzioàe del ragazzo dai capelli rossi) — Flinx
dica altrimenti.
Flinx scosse lentamente la testa. — No, mai.
— Pensavo appunto che avresti detto così. È tempo di finire
questa parte del gioco. — Ciuffo fece un gesto con una zampa. —
Venite anche voi?
— Non so cos'abbiate progettato, questa volta... ma veniamo
anche noi.
— Divertimento! — tuonò il gigante ujurriano, pregustando qual-
cosa che avrebbe divertito tutti eccettuata forse la parte avversaria.
— Voglio che nessuno degli edifici qui sia danneggiato, se è
possibile evitarlo — disse Flinx al colosso peloso, mentre questo li
guidava lungo corridoi e rampe di scale. — Sono pieni di sapere:
regole di giochi. Manuali di meccanica, e certamente una completa
biblioteca geologica. Se dovessimo restare insabbiati su questo
pianeta per tutto il resto della nostra vita, Ciuffo, avrò bisogno di
ogni briciola di quel sapere per insegnarti le cose nel modo migliore.
— D'accordo — grugnì Ciuffo. — Fa parte del gioco, non
danneggiare l'interno degli edifici. Lo diremo alla famiglia. Non
preoccuparti.
— Non preoccuparti — gli fece eco ironicamente Flinx,
pensando alla gente armata fino ai denti che si preparava ad
affrontarli alla base della montagna. Pensando anche ai cannoni-
laser, capaci perfino di colpire bersagli nello spazio circostante il
pianeta, montati sui loro snodi nella piccola torre.
Ciuffo li condusse sempre più in basso, attraverso numerosi piani
del complesso, fino ai magazzini che occupavano un'intera distesa di
sotterranei. Superarono un gran numero di corridoi e di stanze affol-
lati dai giocosi ujurriani che sonnecchiavano in paziente attesa.
Giunsero infine a destinazione: Nenia li stava aspettando, insieme ad
Azzurrosplendente e a Lisciamorbida e a qualcosa di guizzante, ap
pena intravisto, che avrebbe potuto essere Forsecosí oppure un'illu
sione creata dalla debole illuminazione sopra le loro teste.
Invece di trovarsi costretti ad arrestarsi davanti a una solida bar
riera di ferrocemento, videro spalancarsi davanti a loro tre enormi
gallerie che si perdevano in una totale oscurità. La luce della stanza
in cui si trovavano penetrava a stento in quei tre immensi condotti
lievemente inclinati verso il basso, ma a Flinx parve d'individuare più
oltre delle ramificazioni che si dipartivano dalle gallerie principali.
— Sorpreso, no? — chiese Ciuffo, in tono speranzoso.
— Sì — fu tutto quello che lo sconcertato Flinx riuscì a rispon
dere.
— Ogni galleria arriva sotto molte caverne metalliche, in luoghi
tranquilli dove non ci sono menti fredde — aggiunse Ciuffo.
— Siete in grado di dire quali sono i punti non sorvegliati? —
mormorò con stupore Sylzenzuzex.
— Possiamo percepirlo — spiegò Nenia. — È facile.
— È una buona idea, amico-Flinx, non è vero? — disse Ciuffo,
tutto preoccupato. — È una parte del gioco oppure proviamo
qualcos'altro?
— No, è proprio una parte del gioco — finì con l'ammettere
Flinx. Si voltò a guardare l'interminabile distesa di quegli animali
impellicciati dai grandi occhi, dietro di lui. — Ora ascoltatemi atten
tamente.
Un intenso fremito attraversò tutti quei corpi ammassati.
— Quelli che faranno irruzione nella centrale energetica
dovranno spegnere tutto. Spingete ogni più piccolo interruttore o
manovella fino allo...
— Sappiamo cosa vuol dire spegnere — l'interruppe fiducioso
Azzurrosplendente.
— Probabilmente dovrei lasciarvi fare da soli: ve la siete cavata
benissimo senza il mio aiuto — borbottò Flinx. — Comunque, que
sto è importante: facendo così oscurerete tutto salvo la torre che
contiene i due grossi cannoni. Quelli disporranno senz'altro di una
fonte indipendente d'energia, così come l'hangar delle navette sotto
la pista di atterraggio. Quelli di voi che entreranno nella torre dei
cannoni dovranno...
— Mi dispiace, amico-Flinx — l'interruppe Ciuffo, tutto afflitto.
— Non possiamo.
— Perché no?
— Il pavimento della torre non è così — gli spiegò il colosso pe
loso, gli occhi che luccicavano riflettendo le luci del soffitto. Indicò il
ferrocemento sfondato tutt'intorno a loro. — È di metallo massiccio.
Non possiamo attraversarlo scavando.
Il morale di Flinx precipitò. — Allora dovremo sospendere
questo attacco finché saremo riusciti a escogitare qualcosa per
eliminare quella torre. Con quei cannoni possono distruggerci tutti,
anche se per farlo dovranno fondere l'intera installazione. Se
Rudenuaman dovesse rifugiarsi nella torre, potete star sicuri che non
esiterà a dare l'ordine. Ridotta a quel punto, non avrà più niente da
perdere.
— Non intendevo preoccuparti, amico-Flinx — volle confortarlo
Ciuffo.
— Niente di cui preoccuparti — aggiunse Nenia.
— Abbiamo qualcos'altro, per prenderci cura della torre — gli
spiegò Ciuffo.
— Ma voi... — Flinx s'interruppe, poi proseguì più lentamente:
— No, se dite di averlo, allora dovete averlo.
— E quei tre che si sono fatti uccidere? — mormorò
Sylzenzuzex.
— Anche loro credevano di avere qualcosa. Questa volta sono
in gioco molte più vite.
Flinx scosse la testa. — A, Bi e Ci giocavano secondo regole di-
verse, Syl. È tempo che affidiamo la nostra vita a costoro. Hanno
rischiato la loro fin troppe volte, basandosi su quello che noi gli
dicevamo. Ma adesso...
Si rivolse a Ciuffo. — C'è una cosa che devo fare a tutti i costi,
anche se poi questo tentativo dovesse fallire e noi finissimo tutti
ammazzati. Voglio uscir fuori dal pavimento della grande casa di
abitazione, Ciuffo. Là dentro c'è una cosa che ho bisogno di usare.
— Dentro qui — gli disse Ciuffo, indicando la galleria più a sini
stra. — Sei pronto?
Flinx annuì. Il gigantesco ujurriano si voltò e urlò le istruzioni
mentali, che concluse con un comando imperioso.
In risposta ci fu un rombo sommesso e minaccioso, un rumore
da far rizzare i capelli, quando decine, centinaia di enormi forme si
mossero in lunghe file che giungevano fino ai più remoti recessi della
miniera.
Poi s'incamminarono giù per le gallerie. Flinx e Sylzenzuzex si
tennero vicini a Ciuffo, ognuno con una mano stretta alla sua pellic
cia. La vista notturna di Sylzenzuzex era molto migliore di quella di
Flinx, ma la galleria era troppo buia anche per i suoi sensi acuti.
Se le attività sotterranee degli ujurriani erano state scoperte,
rifletté Flinx, forse nessuno di loro sarebbe mai più riemerso alla
luce del sole. Sarebbe stato facile intrappolarli e ucciderli là sotto
col minimo sforzo.
— Una domanda — disse Sylzenzuzex.
La mente di Flinx era altrove, quando rispose: — Quale?
— Come hanno fatto a scavare queste gallerie? Qui il sottosuolo
è tutta roccia, e le gallerie sembrano molto estese.
— Scavano gallerie da quattordicimila anni, Syl. — Flinx scoprì
che si stava muovendo con fiducia sempre maggiore poiché niente
compariva sopra di loro per seminare la morte. — Immagino che
siano diventati molto bravi...

Teleen auz Rudenuaman ansimava disperatamente, quasi soffo


cando, mentre attraversava zoppicando il pavimento. Il frastuono di
accaniti combattimenti risuonava fuori e sotto di lei.
Un'enorme forma bruna comparve in fondo alla scala che lei
aveva appena salito. Voltandosi, lei sparò col lanciaraggi. La forma
scomparve, ma lei non fu in grado di dire se l'aveva colpita oppure
no.
Si stava riposando nel suo alloggio quando l'attacco era stato
sferrato, non dalla miniera ma addirittura da sotto i suoi piedi. Cen
tinaia di mostri infuriati erano sgorgati tutti insieme dalle fondamenta
di ogni edificio, tranne la torre dei cannoni. Lei aveva avuto appena
il tempo di dare l'ordine che quelle potenti armi ruotassero, facendo
piovere i distruttivi raggi laser su tutti gli edifici fuorché quello dove
lei si trovava... e la torre e i cannoni erano stati distrutti.
Uno strano raggio, non più spesso del suo pollice ma follemente
ricco di energia, aveva scavalcato lo spazio fra la lontana miniera e
la base della torre. Dove aveva colpito, ora c'era soltanto una pro
fonda cicatrice che solcava il suolo. La disintegrazione era stata così
rapida che lei non aveva visto né udito nessuna esplosione.
Un istante prima la torre era lì, tre piani possentemente corazzati
che ospitavano i grossi cannoni, e un istante dopo lei aveva udito un
intenso sibilo, come quando dell'acqua viene versata sulle braci ar
denti. Si era girata di scatto, e la torre era scomparsa.
Ora non aveva più nessun posto dove fuggire, non le era rimasto
nulla per poter iniziare delle trattative. La sua gente veniva dovun
que soverchiata — umani, thranx, AAnn, tutti allo stesso modo —
da quell'incontenibile valanga bruna.
Lei aveva cercato di raggiungere l'hangar sotterraneo delle
navette con la speranza di potervi restare nascosta fino al ritorno del
barone, ma i piani inferiori dell'edificio in cui ora si trovava erano
invasi anche loro dalle orde dei colossi dai grandi occhi da lemure,
come pure il terreno tutt'intorno.
Non aveva senso! C'erano stati tuttalpiú una cinquantina di quegli
esseri dai torpidi movimenti che stazionavano nelle immediate vi
cinanze della miniera, e alcune accurate esplorazioni ne avevano
rivelato un centinaio che vivevano più lontano, in caverne.
E adesso invece erano migliaia, di tutte le dimensioni, e travolge
vano le installazioni e anche i suoi pensieri. Gli schianti dei mobili e
delle finestre di vetrolega che andavano in frantumi echeggiavano
dovunque sotto di lei. Non c'era modo di uscire. Lei poteva
soltanto ritirarsi sempre più in alto.
Zoppicando raggiunse un'altra rampa di scale e cominciò a
salirla, diretta alle sue stanze, all'ultimo piano. Le sorti della battaglia
erano state irremissibilmente segnate dall'istante in cui la torre e i
cannoni erano stati eliminati. Meevo l'aveva confermato,
annunciandole che la centrale energetica era stata catturata. Erano
state le ultime parole che lei aveva udito dall'ingegnere-capo.
Subito dopo, ogni erogazione d'energia era cessata: perciò si
erano bloccati la centrale delle comunicazioni e gli ascensori. Era
tremendamente faticoso, per lei, salire tutte quelle scale con la
gamba malata. Le sue vesti erano lacerate, il trucco sapiente che le
mascherava le cicatrici del volto si era in buona parte disfatto. Ma
lei avrebbe affrontato la morte nel suo alloggio, senza lasciarsi
prendere dal panico fino alla fine, affrontando il nemico a faccia
aperta, mostrando di che tempra era fatta Rudenuaman.
Giunta in cima alla rampa, rallentò il passo fin quasi a fermarsi.
Le sue stanze erano all'altra estremità del corridoio, ma una luce
brillava oltre la porta più vicina alla scala. Muovendosi cautamente,
si appoggiò alla porta dalla serratura scardinata, allargò lo spiraglio
e guardò dentro.
La luce era quella che poteva irradiare la spia luminosa di un ap
parecchio in funzione. C'erano molti apparecchi muniti di batterie
d'emergenza, alla base: ma cosa poteva fare qualcuno, lì e adesso,
mentre avrebbe dovuto trovarsi ai piani inferiori con un lanciaraggi
spianato?
Impugnando strettamente il proprio lanciaraggi, lei entrò in punta
di piedi nella stanza.
Da tempo in quella stanza non abitava più nessuno. La luce pro
veniva dall'angolo più lontano: era generata da un visore portatile.
Una sottile figura vi era curva sopra, dimentica di ogni altra cosa.
Lei attese, e dopo un po' la figura si risollevò con un sospiro,
protendendo una mano per spegnere il visore. Collera e sconforto si
alternarono nei pensieri di lei, per essere sostituiti alla fine da una
gelida e tranquilla rassegnazione.
— Avrei dovuto indovinarlo — mormorò.
La figura trasalì per la sorpresa e si girò di scatto.
— Perché non sei morto, come decentemente dovresti essere?
Flinx esitò; poi rispose, senza la più piccola ombra di sospiro: —
Non ero destinato a essere parte del gioco.
— Mi stai prendendo in giro, perfino adesso. Avrei dovuto ucci
derti nello stesso momento in cui ho fatto scannare Challis. Ma no
— concluse lei in tono amaro, — invece dovevo tenerti d'attorno
per divertirmi.
— Sei sicura che sia soltanto questa la ragione? — chiese lui,
con tanta dolcezza che per un attimo lei non seppe cosa dire.
— Stai continuando con i tuoi giochi di parole? — esclamò
infine. Sollevò il lanciaraggi. — Mi dispiace soltanto di non avere il
tempo di ucciderti lentamente. Non mi hai lasciato questo piacere.
— Scrollò stancamente le spalle. — È il prezzo che si paga per gli
errori, come direbbe mia zia. I vermi divorino il suo spirito! Sono
curiosa, tuttavia: come sei riuscito ad addomesticare e addestrare
quelle creature?
Flinx le rivolse uno sguardo pieno di pietà. — Non capisci
ancora nulla, vero?
— Capisco soltanto — rispose lei, stringendo il dito sul grilletto
del lanciaraggi, — che sto facendo questo molti mesi troppo tardi.
— Aspetta! — urlò lui, con voce implorante. — Se mi darai un
min...
Il dito fremette convulso. Nell'identico istante qualcuno irrorò di
fuoco liquido gli occhi di Teleen. Lei urlò; il raggio sparato dall'arma
passò qualche centimetro a destra di Flinx e distrusse il visore lì
vicino.
— Non sfregarti! — Gridando, Flinx aggirò di corsa la sedia
sulla quale si era trovato fino a un istante prima. Ma era troppo
tardi. Al primo contatto, lei aveva lasciato cadere il lanciaraggi e
aveva cominciato a sfregarsi istintivamente gli occhi, a causa del
tremendo dolore. Era piombata a terra e si stava rotolando su se
stessa.
Quando lui, superata d'un balzo la distanza che li divideva, la
raggiunse, era priva di sensi e rigida. Trenta secondi più tardi era
morta.
— Questo perché non ti sei mai presa la briga di ascoltare gli
altri — mormorò Flinx, inginocchiandosi intorpidito accanto al
tragico corpo piegato in due. Facendo guizzare nervosamente la
lingua dentro e fuori, Pip si appollaiò delicatamente sulla sua spalla.
Fremeva ancora di collera.
— Hai vissuto la tua vita troppo in fretta. E anche la mia, in ve
rità, è sempre stata troppo...
Qualcosa si mosse sulla soglia. Sollevando lo sguardo, Flinx vide
Sylzenzuzex tutta affannata, che faceva riposare la manopiede ferita
sostenuta dalle stecche. Una veramano stringeva con fermezza un
lanciaraggi dall'impugnatura thranx.
— Vedo che l'hai trovata — constatò Sylzenzuzex. Il respiro le
usciva in lunghi sibili dalle spicole del torace superiore. —
Lisciamorbida mi dice che le ultime sacche di resistenza sono state
spazzate via quasi del tutto. — I suoi occhi composti lo fissarono,
interrogativi, quando lui chinò di nuovo lo sguardo sul corpo che gli
giaceva ai piedi.
— Non sono stato io, a trovarla: lei ha trovato me. Ma prima
che riuscissi a farmi ascoltare, Pip è intervenuto. Suppongo che sia
stato ineluttabile: certo lei mi avrebbe ucciso. — Inaspettatamente
Flinx tornò ad alzare gli occhi e sorrise.
— Dovresti vederti, Syl. Sembri regredita ai giorni selvaggi di
Hivehom. Un autentico guerriero che abbia appena concluso con
successo un'incursione contro le nidiate del favo vicino. Una
meravigliosa pubblicità per la compassionevole comprensione della
Chiesa.
Lei non reagì a quelle espressioni sarcastiche. C'era qualcosa,
nella sua voce... — Non è da te, Flinx. — Continuò a scrutarlo
mentre lui tornava a girarsi per contemplare il cadavere, cercando di
richiamare alla memoria tutto ciò che sapeva sulle emozioni umane.
Le sembrava che l'interesse che lui stava dimostrando per quella
donna, la quale per vile denaro aveva lavorato volontariamente a
fianco a fianco con i nemici giurati del genere humanx, fosse
eccessivo.
Sylzenzuzex non era all'altezza di suo zio quando si trattava di
deduzioni intuitive, ma non era neppure stupida. Dichiarò infine: —
Tu sai molto più di quanto hai detto, su questa femmina umana.
— Devo averla conosciuta prima di adesso — dichiarò Flinx,
con uno strano tono di voce, — anche se non la ricordo affatto. E
non è sorprendente, visto l'intervallo di tempo citato dal nastro. —
Indicò con un gesto quasi distratto le altre stanze dell'appartamento.
— Questo era l'alloggio di Challis. — La sua mano tornò ad
abbassarsi per indicare il corpo esanime ai suoi piedi, e per un
attimo i suoi occhi s'incupirono e parvero profondi quanto quelli di
Nenia. — E questa era mia sorella.

Soltanto il pomeriggio seguente, quando gli ujurriani ebbero finito


di seppellire convenientemente i numerosi cadaveri, Sylzenzuzex
insisté per ascoltare ciò che Flinx aveva scoperto nel nastro
registrato.
— Ero un orfano, Syl, allevato su Falena da una donna umana
chiamata mamma Mastino. Ora l'informazione che ho trovato qui
dice che sono nato da una «lynx» professionista il cui nome di fami
glia era Rud, ad Allahabad sulla Terra. Inoltre i dati affermano che
io ero il secondogenito, anche senza offrire troppi particolari. Tutto
questo si trovava sul nastro che Challis ha rubato, il nastro che non
avevo ascoltato fino a ieri sera.
«Anche mia madre aveva una sorella maggiore. Il marito di mia
madre, che secondo il nastro non era mio padre, aveva dato a
quella sorella maggiore un posto nella propria ditta commerciale.
Poi è morto, in circostanze tuttora inspiegabili, e allora la sorella di
mia madre ha preso le redini della ditta ed è riuscita a farne un
considerevole impero finanziario.
«Sembra che mia madre e sua sorella non fossero le migliori
amiche. Alcuni dei particolari di quella che in definitiva è stata la
prigionia di mia madre sono...». Flinx dovette fermarsi un attimo a
tirare il fiato.
— È facile spiegarsi come una mente putrida come quella di
Challis si sentisse attirata da cose di questo genere. Mia madre non
è sopravvissuta molto al marito. Sono seguiti un certo numero
d'incidenti inspiegabili. Nessuno poteva esserne certo, ma qualcuno
ha avanzato l'ipotesi che potessero attribuirsi in qualche modo al
nipote maschio. Perciò io... sono stato liquidato. Una vendita
piccola e trascurabile, in un complesso commerciale così vasto —
concluse rabbiosamente.
«La sorella maggiore di mia madre, Rashalleila, si è divertita a
tenersi d'attorno la nipote, ancora una ragazzina. Lei aveva assunto
come nome di famiglia quello della grande azienda da lei diretta,
Nuaman. La nipote, mia sorella, si chiamava Teleen. È divenuta
l'immagine vivente di sua zia. Le ha portato via l'azienda e ha fuso
insieme i nomi di famiglia di sua madre e di sua zia, traducendo il
tutto in simbolingua. Teleen di Rud e Nuaman... Teleen auz
Rudenuaman.
«Quanto a me... sono stato dimenticato da tutti, e anche se gli
investigatori di Challis mi avevano individuato grazie agli "strani po
teri" della mia mente, Challis non si è mai preoccupato di collegarli
con gli inspiegabili incidenti provocati dal fratello di Teleen scom
parso tanti anni prima».
Continuarono a camminare in silenzio, costeggiando la lunga cre
patura nel terreno dove si era innalzata la torre dei cannoni. Ciuffo,
Nenia, Azzurrosplendente e Lisciamorbida li seguivano. Giunsero
accanto a una piccola costruzione vicino alla pista di atterraggio.
Uno degli ujurriani aveva scoperto che da lì si scendeva in un ampio
hangar per navette. L'hangar era fornito di un'attrezzatura completa
in grado di compiere qualunque riparazione alle navette e perfino di
costruirne una completa, com'era logicamente indispensabile su un
mondo isolato come quello. C'erano anche un grande laboratorio e
una biblioteca completa su tutti gli aspetti riguardanti il funziona
mento e la manutenzione delle navi KK del Commonwealth. Quella,
pensò Flinx, sarebbe stata senz'altro la sede della prima università
ujurriana che lui intendeva fondare.
— Ieri sera non ho avuto il tempo di chiedertelo, Ciuffo — co
minciò quando infine si lasciarono alle spalle la lunga cicatrice com
busta. — Come ci siete riusciti?
— È stato divertente — rispose vivacemente il grosso essere
simile a un orso. — È stata soprattutto un'idea di Nenia, e anche di
una giovane chiamata Maschera. Mentre gli altri scavavano gallerie,
loro due hanno letto molti libri della miniera. E poi hanno eseguito
alcuni cambiamenti allo scavatore di caverne delle menti fredde.
— Il martello idraulico — mormorò Sylzenzuzex. — Devono
aver modificato il martello idraulico.
— Cambia qui, aggiungi là — spiegò Nenia. — È stato
divertente.
— Mi chiedo se modificato sia la parola adatta per la
trasformazione di un utensile innocuo in un tipo di arma
completamente nuovo — osservò Flinx. Sollevò lo sguardo verso il
cielo. — Forse lasceremo che Nenia e Maschera e i loro amici
giochino con la biblioteca e il laboratorio là sotto. Ma prima ci sono
delle altre modifiche che bisogna eseguire in fretta...

Il grosso mercantile uscì dalla propulsione KK subito all'interno


dell'orbita del secondo satellite di Ulru-Ujurr, dopo una serie di bal
zi compiuti con i suoi possenti motori. Si stabilizzò su un'orbita più
bassa, restando in verticale sull'unica installazione di quel vasto
mondo bruno-azzurro.
— Eccellenza, non c'è risposta — riferì l'AAnn travestito
addetto al comunicatore.
— Prova di nuovo — gli ordinò una voce profonda.
L'operatore lo fece, ma alla fine sollevò lo sguardo con aria d'im-
potenza. — Non c'è risposta su nessuna delle frequenze in codice.
Ma c'è qualcos'altro... qualcosa di molto strano.
— Spiegati — gl'intimò il barone, la mente confusa.
— Ci sono indicazioni di trasmissioni subatmosferiche di ogni ge-
nere, ma nessuna su una frequenza di quelle che possiamo intercet
tare. E nessuna è diretta a noi, malgrado le mie ripetute chiamate.
Un uomo di nome Josephson, un dirigente di grado assai alto
della società Rudenuaman, si avvicinò al barone. — Cos'accade, là
sotto? Questo non è certo da madama Rudenuaman.
— Non è da molte cose — osservò il barone, cautamente.
Rivolse l'attenzione a un altro gruppo di operatori. — Com'è la
nuvolosità sopra la base?
— Cielo limpido e poco vento, signore — si affrettò a riferire il
meteorologo atmosferico. — Un tipico giorno d'autunno ujurriano.
Il barone sibilò sommesso: — Signor Josephson, venga con me
per favore.
— Dove stiamo andando? — volle sapere il dirigente, confuso,
mentre già seguiva il barone lungo il corridoio che conduceva all'e
stremità del ponte di comando.
— Ecco. — Il barone attivò un interruttore, e la porta si aprì
scorrendo sulle guide. — Ho bisogno della massima definizione —
disse al tecnico di servizio.
— Immediatamente, eccellenza — replicò il rettile travestito, af
frettandosi a eseguire i necessari aggiustamenti allo schermo che in
quadrava la superficie del pianeta. Sedutosi accanto al tecnico, il
barone formò personalmente sulla tastiera le coordinate richieste.
Poi restò immobile per parecchi minuti, gli occhi fissi al visore.
Dopo qualche tempo si scostò, facendo cenno a Josephson di
prendere il suo posto. L'umano lo fece, regolando leggermente la
messa a fuoco per i suoi occhi. Ebbe un violento sussulto fisico e
verbale.
— Cosa vede? — chiese il barone.
— La base è scomparsa, e al suo posto c'è qualcosa di
completamente diverso.
— Allora non sono pazzo — commentò il barone. — Cosa
vede?
— Be', la pista di atterraggio c'è ancora, ma qualcosa di simile a
una piccola città si stende dalla sponda del lago fin sulla montagna.
Conoscendo la zona, direi che parecchie di quelle strutture, anche
se ancora incomplete, sono alte un centinaio di metri. — La voce di
Josephson si spense per lo sbalordimento.
— E questo cosa le suggerisce? — chiese il barone.
Josephson sollevò lo sguardo dallo schermo, scuotendo
lentamente la testa.
— Suggerisce — sibilò a bocca stretta il barone, — che quelle
strutture potrebbero estendersi nelle profondità della montagna. Chi
le abbia costruite, e quanto profondamente, non potremo mai
saperlo, a meno che scendiamo a vederlo noi stessi.
— Non lo consiglierei — tuonò una voce.
Josephson cacciò un urlo e cadde giù dal sedile, appiattendosi
sulla tastiera. Il tecnico e il barone si girarono di scatto, portando
simultaneamente la mano all'arma appesa al fianco.
Un'apparizione si ergeva solida al centro della stanza. Era alta al
meno tre metri, e si teneva ritta sulle gambe posteriori. Il suo peso
faceva quasi sprofondare il pavimento. Giganteschi occhi gialli li fis
sarono sinistramente.
— Non lo consiglierei — ripeté l'apparizione. — Andate a farvi
friggere.
Il lanciaraggi del barone scattò in avanti... ma all'improvviso non
ci fu più nulla cui sparare.
— Un'allucinazione — balbettò Josephson, scosso, quando la
voce gli ritornò.
Il barone non disse nulla e raggiunse il punto dove fino a un
attimo prima si trovava quella creatura. Si piegò in un modo che non
sarebbe stato possibile a nessun essere umano, cercando qualcosa
sul pavimento. — Un'allucinazione molto irsuta — commentò,
raccogliendo numerosi peli ruvidi. La sua mente vorticava furiosa.
— Lei sa che non sono mai stato fuori dall'edificio principale —
disse Josephson. — Cos'era?
— Un ujurriano primitivo — gli spiegò il barone,
soprappensiero, sfregandosi i finti capelli con le dita coperte dalla
falsa pelle.
— Di cosa... parlava?
Il disgusto suonò fin troppo evidente nella voce del barone. —
Ci sono momenti in cui mi chiedo come abbiate fatto, voi umani, a
realizzare anche la metà di ciò che...
— Oh, senta — replicò Josephson, rabbioso, — non c'è
proprio bisogno di diventare offensivo.
— No — ammise il barone. Dopotutto si trovava ancora
all'interno del territorio del Commonwealth. — Non c'è bisogno di
essere offensivi. Mi scuso, signor Josephson. — Si voltarono e
uscirono dalla stanza lasciando da solo il tecnico, con gli occhi
ancora sgranati per lo stupore.
— Dove andremo, adesso?
— Faremo ciò che ha detto quella creatura.
— Un momento. — Josephson folgorò con un'occhiata
l'aristocratico AAnn, che non batté ciglio. — Se madama si trova
nei guai, là sotto...
— Ssssssssttt... Usi il cervello, sangue-caldo — sbuffò il barone.
— Laggiù, dove c'era una piccola base, adesso c'è una città che sta
crescendo in fretta. Dove s'irradiava un unico segnale
d'intercettazione, ora c'è una moltitudine d'incomprensibili
comunicazioni locali. Da uno sparuto gruppo di cavernicoli ci arriva
un teleportato che ci consiglia seccamente di non atterrare. Che ci
consiglia seccamente (con una delle vostre espressioni gergali,
potrei aggiungere) di menare le tolle da qualche altra parte.
«Mi sembra ragionevole, considerate tutte queste indubbie
prove, che ci adeguiamo in fretta. Io sono un realista, signor
Josephson: non agisco lasciandomi trasportare dalle emozioni. È per
questo che sarò sempre io quello che dà gli ordini e lei quello che li
riceve». Accelerò il passo, superando Josephson e lasciandolo lì nel
corridoio, a bocca aperta.
Appena il barone l'ordinò, il mercantile si allontanò alla massima
velocità dallo spazio circostante a Ujurr. Riposandosi nella sua son
tuosa cabina, il barone rifletté su quanto doveva essere successo
durante la sua assenza. Qualcosa di considerevole importanza,
certo, con imprevedibili implicazioni per il futuro.
Di una cosa, comunque, era sicuro: madama Rudenuaman e l'im
presa alla quale avevano collaborato non esistevano più. Ma il
perché di questo poteva avere parecchie spiegazioni diverse.
Che i nativi fossero qualcosa di più di selvaggi ignoranti, adesso
sembrava accertato: ma quanto di più, non poteva dirlo. Un unico
genio fra loro poteva essere stato semplicemente addestrato a
ripetere quello che dopotutto era un messaggio estremamente
breve. E un nuovo congegno particolare poteva aver proiettato il
messaggio a bordo del mercantile.
La città in piena fioritura là sotto poteva essere opera della Chie
sa o del Commonwealth, di un concorrente in affari o di qualche
intruso alieno. Quella sezione del braccio galattico era ancora per la
maggior parte inesplorata: chiunque avrebbe potuto insediarsi in un
mondo isolato, poco o nulla visitato, come Ulru-Ujurr.
Quell'impresa, pensò ancora il barone, gli aveva dato comunque
un buon profitto, e lui era ancora in possesso di un certo numero di
piccole gemme che avrebbe potuto smerciare gradualmente col
passare degli anni. La sua posizione alla corte dell'imperatore si era
notevolmente e saldamente elevata, anche se adesso il piano messo
a punto dagli psicotecnici imperiali, d'impiantare rappresentazioni a
impulso suicida dentro i gioielli di Janus per poi venderli a importanti
personalità umane e thranx, doveva essere abbandonato.
Davvero un peccato, poiché quel piano aveva avuto molto
successo. Tuttavia avrebbe potuto andare anche peggio. Qualunque
cosa avesse spazzato via l'installazione mineraria e madama
Rudenuaman, avrebbe potuto liquidare anche lui se non fosse
partito all'inseguimento di quella bambina umana.
Davvero un peccato che quell'infernale bambina avesse
incrociato per puro caso quella nave di pattuglia umana,
costringendolo ad abbandonare ogni speranza di eliminarla. Quanto
sapeva, quella maledetta creaturina, di ciò che si stava facendo lì?
Comunque, ora non aveva più importanza: raccontasse pure i fatti di
Ulru-Ujurr a chiunque fosse abbastanza credulo da ascoltarla.
Adesso quel mondo non lo riguardava più.
In futuro, dopo l'inevitabile trionfo dell'Impero, lui avrebbe po
tuto tornare con una flotta imperiale invece di doversene girare così
ignobilmente travestito in compagnia di mammiferi e d'insetti. E
avrebbe ristabilito il controllo (no, la sovranità) su quel mondo enig
matico, tenendo per sé tutta la gloria e tutti i profitti che ne sareb
bero derivati. Per sé e per la casata dei WW.
Se sarà così..., rifletté; poi, più deciso: ma certo, che sarà così!
Non udì la voce che echeggiò in risposta dalle profondità di
chissà dove. Una voce che ribatté: ... non sarà così!

Il giorno spuntò caldo e luminoso. Sylzenzuzex scoprì di potersi


aggirare rivestita d'indumenti assai più leggeri.
Aveva sviluppato un forte legame di simpatia con quella timida
adolescente, Maschera, la quale si era rivelata una splendida guida
alla storia e ai rapporti inaspettatamente complessi fra gli ujurriani.
Così Sylzenzuzex, nel suo studio, stava letteralmente facendo indi
gestione degli argomenti a lei più cari.
Forse un giorno ciò che stava imparando le avrebbe consentito
di scrivere una monografia o addirittura un intero trattato, un'opera
importante che avrebbe spinto la Chiesa a riaccoglierla tra le sue fi
le. Anche se il fatto di aver scoperto che la Chiesa era la diretta
responsabile della quarantena imposta agli ujurriani continuava a
riempirla di dubbi sulla validità dei criteri e dei dogmi in cui lei aveva
creduto per tanto tempo, rendendola assai incerta sulla propria
effettiva volontà di insistere per esservi nuovamente accolta.
Uscì dal suo alloggio con l'intenzione di recarsi da Flinx per rac
contargli le rivelazioni del giorno prima. Ma sembrava che lui non
fosse da nessuna parte, lì intorno, e neppure si trovava al centro
d'insegnamento superiore che aveva organizzato nei sotterranei ac
canto alla pista d'atterraggio, e in nessuna delle officine che adesso
circondavano la vecchia miniera. Infine uno dei grossi individui pelo-
si l'indirizzò verso l'estremità opposta della valle, lungo la strada che
lei e Flinx avevano percorso un giorno per sottrarsi alle grinfie di
Rudenuaman. Lì, dopo l'impegnativa scalata di un costone roccioso,
lo trovò infine seduto a gambe incrociate su una sporgenza, intento
a un muto colloquio con un insetto locale non più grande del suo
dito. Una piccola e vistosa creatura smaltata di verde e ocra, con le
ali picchiettate di giallo.
Pip caprioleggiava tra i cespugli vicini, importunando un sinuoso
mammifero grande la metà di lui.
Da quel punto si poteva contemplare la vallata in tutta la sua
lunghezza, col lago azzurro stretto fra i picchi coronati di neve, e la
nuova città in continuo progresso lungo la sponda meridionale.
Quando finalmente Flinx si voltò verso di lei, la sua espressione
era così addolorata che lei ne rimase sconvolta.
— Che succede? Perché mi guardi in quel modo? — gli chiese.
— In che modo ti guardo?
Sylzenzuzex scrollò la testa a forma di cuore. Poi, visto che lui
non parlava, fece un gesto verso la valle e il lago.
— Non so per quale motivo tu debba essere deluso. Sembra
che i tuoi protetti abbiano accettato con immenso entusiasmo il tuo
gioco della civiltà. Si tratta forse della nave abbordata da
Forsecosí? Qualunque cosa lui abbia detto a quella gente,
dev'essere stata assai efficace. Non sono più tornati, e nessun'altra
nave è comparsa in tutti i mesi passati da quel giorno.
Flinx, per tutta risposta, le indicò la sponda settentrionale del la
go, dove un'immensa struttura metallica stava prendendo forma. Era
lunga quanto il lago stesso.
— C'entra forse l'astronave?
— No: c'entra il motivo che le sta alla base. Syl, ho conseguito
soltanto metà di ciò che mi ero proposto di fare. So che mia madre
è morta, ma non so ancora chi era mio padre né cosa gli è
successo. — Alzò gli occhi a fissare Sylzenzuzex: occhi duri, decisi.
— E voglio saperlo, Syl. Forse è morto anche lui da molto tempo,
oppure è vivo ed è un animale umano addirittura peggiore di mia
sorella. Ma io voglio saperlo. E lo saprò! — concluse, con
improvvisa veemenza.
— E tutto questo cosa c'entra con la nave?
Lui si dischiuse in un pallido sorriso. — Perché pensi che gli
ujurriani mi stiano costruendo una nave?
— Non lo so. Per divertimento, per esplorare... perché?
— È il loro regalo per me. La piccola sorpresa di Nenia. Sa che
voglio trovare mio padre, perciò fanno del loro meglio per aiutarmi
a cercarlo. Li ho avvertiti che non potevano costruire una nave a
propulsione KK qui sulla superficie del pianeta, che era
indispensabile uscire dal campo gravitazionale del pianeta. Sai
cos'ha risposto Nenia? «Sistemiamo tutto noi: troppo fastidio farlo
nell'altra maniera».
«Nenia ha scovato un'ujurriana (la più magra che ho mai visto) la
quale pensa soltanto in termini matematici. È così strana (Nenia mi
ha detto che il suo nome significa "Integratrice") che riesce quasi a
capire Forsecosí. Nenia le ha presentato il problema. E due
settimane fa Integratrice ha risolto il modo di far atterrare senza
danni un'astronave a propulsione KK in un pozzo gravitazionale. Gli
scienziati del Commonwealth stanno cercando da più di duecento
anni di risolvere questo problema. — Flinx sospirò, poi riprese: —
Tutto per aiutarmi a ritrovare mio padre, Syl... Cos'accadrà se gli
ujurriani non troveranno di loro gusto il resto del cosmo, la nostra
civiltà? Cos'accadrà se decidessero di mettercisi a "giocare"?
Cos'abbiamo scatenato?».
Lei si sedette sulle veregambe e sulle manipiede e rifletté. Passa
rono lunghi minuti. Il piccolo insetto incrostato di gemme volò via.
— Se non altro — disse infine lei, guardando l'astronave che
veniva costruita, — è un modo per ritornare a casa. Tu ti preoccupi
troppo. Non credo che la nostra civiltà interesserà molto a queste
creature. Sei t u che le interessi. Non ricordi cos'ha detto
Forsecosì? Se questo nuovo gioco li annoierà, ritorneranno a quello
vecchio.
Flinx sembrò riflettere su questi concetti, e lentamente si ri
schiarò. All'improvviso si alzò in piedi, spazzolandosi via la polvere
dalle gambe. — Suppongo che tu abbia ragione, Syl. Davvero, non
c'è motivo che io mi preoccupi più di tanto. Una volta che avranno
completato la nave, sarà il momento di ritornare a casa. Sento un
gran bisogno delle parole aspre e dei rimproveri di mamma
Mastino, e di dimenticare per un po' questi miei problemi. — Alzò
gli occhi e la fissò con uno strano sguardo. — Mi aiuterai?
Sylzenzuzex girò la testa e fissò con i suoi grandi occhi sfaccettati
Pip: giusto in quel momento il minidrago ripiegò le ali e si tuffò nella
tana, all'inseguimento del mammifero in fuga. Da sotto giunsero
rumori di zuffa.
— Promette di essere interessante... Da un punto di vista pura
mente scientifico, beninteso — mormorò lei.
— Beninteso — le fece eco Flinx, mantenendo impassibile il vol
to.
Una sottile testa di rettile spuntò fuori dalla tana e una lingua
appuntita guizzò rapida nella loro direzione. Pip li fissò, soddisfatto
con la sua espressione sogghignante.

FINE

Potrebbero piacerti anche