L’ATOMO
L’atomo è costituito da un nucleo all’interno del quale sono presenti particelle dette protoni e neutroni. I
protoni sono dotati di massa e carica positiva, e i neutroni hanno massa, ma non hanno carica. Poi abbiamo
delle particelle attorno al nucleo che sono gli elettroni che hanno massa, e carica negativa opposta a quella
dei protoni.
Numero Atomico (𝑍): è il numero di protoni, cioè il parametro
che individua in maniera univoca un elemento, e non può mai
cambiare.
Numero di massa (A): è la somma del numero di protoni e il
numero di neutroni.
Nel suo stato fondamentale l’atomo di uno stesso elemento è
neutro quando ha quindi uguale numero di protoni e di elettroni,
ma il numero di neutroni può variare, cioè può avere un numero
di massa diverso, si dice che per un elemento sono presenti
diversi isotopi.
un isotopo è un elemento con stesso n° atomico e diverso
n° di massa (diverso numero di neutroni).
In chimica si usa come unità di misura l’Angstrom
1 Å = 10−10 𝑚
LE REAZIONI CHIMICHE
Prendiamo come esempio la reazione di sintesi dell’ammoniaca:
𝑁2 + 3 𝐻2 → 2 𝑁𝐻3
𝑁2 è l’azoto molecolare formato da 2 atomi di azoto, in forma gassosa. 𝐻2 è l’idrogeno molecolare formato
da due atomi di idrogeno, in forma gassosa. 𝑁𝐻3 è la formula molecolare dell’ammoniaca. Gli elementi a
sinistra si chiamano reagenti, quelli a destra prodotti.
In una reazione chimica la prima cosa da fare è verificare il principio di conservazione della massa (legge di
Lavoisier), cioè che tra i reagenti e i prodotti si deve avere lo stesso numero di atomi dello stesso elemento.
Se ciò non accade si devono introdurre dei coefficienti stechiometrici, interi e più piccoli possibili, che indicano
i rapporti di reazione tra reagenti e prodotti, e che permettono di bilanciare la reazione chimica.
Legge di Lavoisier:
la massa totale delle sostanze reagenti coinvolte in una trasformazione chimica è uguale alla massa
totale delle sostanze prodotte per effetto di quella trasformazione, cioè nulla si crea nulla si distrugge
ma tutto si trasforma.
Tutte le razioni chimiche avvengono attraverso i rapporti in moli dei reagenti e dei prodotti, e non in grammi.
Ogni reazione tenderà a raggiungere uno stato di equilibrio tra i reagenti e i prodotti, e questo andamento
della reazione è definito da una freccia posizionata tra i reagenti e i prodotti.
In una reazione non sempre abbiamo quantità ben precise di elementi, quindi, spesso accade di trovarsi in
presenza di sostanze in eccesso o limitanti. Un reagente si dice:
- Reagente limitante quando limita la produzione dei prodotti. Cioè una volta terminato quel reagente
la reazione si ferma.
- Reagente in eccesso è un reagente che non partecipa completamente alla reazione. Cioè che una
volta terminata la reazione rimarrà parte di quel reagente nel sistema, che non ha partecipato alla
reazione.
Quando si parla di reazioni chimiche, si parla spesso di resa di reazione. Cioè non sempre la reazione ha una
resa del 100%, possono intervenire diversi fattori, come la non purezza di alcuni reagenti, o nel caso in cui ci
siano reagenti in eccesso, possono avvenire reazioni secondarie, o purificazione. Si avrà quindi:
- Resa teorica: quantità massima di prodotti che si otterrebbe se tutti i reagenti che possono reagire,
si trasformano in prodotti.
- Resa effettiva: quantità di prodotti effettivamente ottenuta, e potrebbero essere minori rispetto a
quelli definiti teoricamente.
𝑟𝑒𝑠𝑎 𝑒𝑓𝑓𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑎
𝑅𝑒𝑠𝑎 𝑑𝑖 𝑟𝑒𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 % = ( ) × 100
𝑟𝑒𝑠𝑎 𝑡𝑒𝑜𝑟𝑖𝑐𝑎
BASI DI TERMODINAMICA
Tutte le leggi della termodinamica sono state formulate a partire da sistemi gassosi, e in tempi ben anteriori
alla scoperta della struttura atomica moderna, perché quando vengono enunciate si riferiscono a un sistema
nel suo complesso.
La termodinamica si occupa di studiare gli aspetti energetici che sono caratteristici di un sistema e gli scambi
di energia che avvengono quando un sistema si trasforma. Ma non prende in considerazione il parametro
tempo, quindi non studia le velocità di reazione.
Un sistema termodinamico è una parte dell’universo oggetto della nostra osservazione. Esso può essere:
- Aperto: in cui avviene scambio di energia e materia con l’ambiente esterno;
- Chiuso: in cui avviene solo scambio di energia;
- Isolato: non avviene alcuno scambio energia e materia.
Tutto il resto, che si trova fuori dal sistema viene chiamato ambiente.
Un sistema termodinamico può avere diversi stati di aggregazione:
- Solido, ha una sua forma e un volume proprio
- Liquido, la forma è quella del recipiente che lo contiene e ha un volume proprio, e le particelle sono
in grado di scorrere tra loro, hanno quindi una maggiore mobilità.
- Gassoso, forma e volume dipendono dal recipiente che lo contiene, e le particelle da cui è composto
si muovono liberamente nel vuoto.
Funzione di stato
Una grandezza si dice funzione di stato, quando la sua variazione (∆), in una trasformazione del sistema, che
va da uno stato iniziale a uno finale, indipendentemente dal percorso che esso compie durante la
trasformazione, dipende esclusivamente dal suo stato iniziale e dal suo stato finale.
Il calore e il lavoro compiuto non sono funzioni di stato.
Equilibrio termodinamico
L’equilibrio termodinamico si ha quando tutte le funzioni di stato sono costanti punto per punto e nel tempo.
Equazione di stato
È un’equazione che lega le funzioni di stato in un sistema (es: equazione di stato dei gas ideali).
Grandezze intensive ed estensive
Le funzioni di stato che definiscono un sistema si distinguono in:
- Grandezze intensive, che non dipendono dalla quantità di sistema che si sta considerando
(temperatura, pressione, ecc.).
- Grandezze estensive, sono quelle grandezze che dipendono dalla porzione di sistema che si sta
considerando (massa, n° di moli, ecc.).
Fase (sistema omogeneo – sistema eterogeneo)
È quella porzione di sistema in cui le proprietà intensive sono costanti punto per punto o se cambiano,
cambiano con continuità.
Ad esempio, la pressione idrostatica all’interno di un liquido in un sistema, che dipende dalla sua densità,
varia al variare della distanza dal pelo libero del liquido, ma lo fa con gradualità, quindi rappresenta
un'unica fase.
Se invece, in un sistema sono presenti sue sostanze differenti, allo stato liquido (es: acqua e olio), ognuno
avrà una pressione idrostatica che varia costantemente, ma nel punto in cui i due liquidi si incontrano ci
sarà un brusco cambio di pressione, quindi il sistema è formato da due fasi.
Se, quindi, un sistema è costituito da una sola fase, è un sistema omogeneo, se invece costituito da più fasi,
sarà un sistema eterogeneo.
Si definisce fase una porzione di sistema termodinamico che presenta stato fisico e composizione fisica
uniformi.
Un sistema omogeneo è sempre monofasico (cioè costituito da una singola fase) mentre un sistema
eterogeneo è in genere polifasico (cioè costituito da più fasi). Un sistema composto da sostanze aeriformi,
presenta sempre una singola fase.
SOLUZIONI
Un sistema a due o più componenti può essere omogeneo o eterogeneo a seconda se proprietà chimico-
fisiche degli elementi che lo compongono.
Una soluzione è una miscela omogenea (monofasica), liquida o solida, di 2 o più sostanze.
𝑆𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒 + 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜
Il solvente è la specie che si trova nello stato fisico della soluzione, e in genere è quello presente in maggiore
quantità, il soluto è quello in minore quantità. Se come solvente si usa l’acqua, si ha una soluzione acquosa.
Le soluzioni possono essere:
- Solide (leghe)
- Liquide
- Gassose (miscele di gas)
Composizione della soluzione.
In una soluzione è importante definirne la composizione, cioè la quantità di soluto o solvente che abbiamo
nella soluzione, chiamata anche concentrazione della soluzione.
- Molarità (𝑀), pari al numero di moli di soluto rispetto 1 litro di soluzione. Si dice che una
concentrazione è 1 molare quando per ogni litro di soluzione ho 1 mole di soluto.
𝑛° 𝑚𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜
𝑀=
1𝑙 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
In certi casi e poco opportuno utilizzare la molarità, perché potrebbe subire dei cambiamenti al variare della
temperatura, in tal caso si può usare la molalità, che si riferisce ai 𝑘𝑔 di solvente e non è dipendente dalla
temperatura.
- Molalità (𝑚), pari al numero di moli di soluto diviso 1Kg di solvente.
𝑛°𝑚𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜
𝑚=
1 𝑘𝑔 𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒
- Frazione molare (𝑥), essa rappresenta il rapporto tra le moli di un componente e la somma delle moli
totali di tutti i componenti.
Ad esempio, se ho una miscela di A e di B, dove 𝐴 è il soluto e 𝐵 e il solvente, ed 𝑛 è il numero di moli
delle parti:
𝑛𝐴 𝑛𝐵
𝑥𝐴 = ; 𝑥𝐵 =
𝑛𝐴 + 𝑛𝐵 𝑛𝐴 + 𝑛𝐵
Di conseguenza:
𝑥𝐴 + 𝑥𝐵 = 1
- % in peso, è definita come la massa di soluto presente in 100 parti in massa di soluzione.
𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜
%𝑝/𝑝 = × 100
𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
- % in volume, è il volume di soluto presente in 100 parti in volume della soluzione.
𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜
%𝑣/𝑣 = × 100
𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒
P.S.: uno dei modi per accelerare la reazione chimica di una soluzione, specialmente in soluzione acquosa, è
aumentare la concentrazione di soluto.
SISTEMA GASSOSO
Le principali grandezze utilizzate quando si parla di sistema gassoso sono volume, pressione e temperatura:
Volume (𝑉)
Definito in metri cubi, dal sistema internazionale (SI), i cui rapporti in litri sono:
1𝑚3 = 1000𝑙
1𝑐𝑚3 = 1𝑚𝑙
Pressione (𝑃)
Definita come il rapporto tra una forza in Newton (𝑁) e l’unità di superficie in metro quadrato (𝑚2 ). Nel
sistema internazionale la pressione si misura in Pascal (𝑃𝑎):
1 𝑃𝑎 = 1𝑁/𝑚2
Poiché 1𝑃𝑎 è un’unità di misura molto piccola, quindi poco pratica da utilizzare, si usa in genere l’atmosfera
(𝑎𝑡𝑚). Essa è la pressione esercitata da una colonna di atmosfera a livello del mare a 0°C e 45° di latitudine.
1 𝑎𝑡𝑚 = 101325 𝑃𝑎 = 𝟕𝟔𝟎 𝒎𝒎𝑯𝒈
1 𝑚𝑚𝐻𝑔 = 𝟏 𝒕𝒐𝒓𝒓
Esperienza di Torricelli: Si ha un tubicino di vetro inizialmente vuoto, con del
mercurio alla sua base, alla pressione atmosferica esterna, il mercurio risale il
tubicino, fermandosi a un’altezza di circa 760mm
Per la legge di Stevino:
𝑃 = 𝑝𝑔ℎ = 13,59 × 103 (𝑘𝑔⁄𝑚3 ) × 9,81(𝑚⁄𝑠 2 ) × 0,760 𝑚 = 101325(𝑘𝑔⁄𝑚𝑠 2 )
= 101.325(𝑘𝑔𝑚⁄𝑚2 𝑠 2 ) = 𝟏 𝒂𝒕𝒎
Dove 𝑝 è la densità del mercurio, 𝑔 è l’accelerazione gravitazionale, ed ℎ sono i mm di mercurio in metri.
Temperatura (𝑇)
Le unità di misura utilizzate per misurare la temperatura
sono:
Scala Celsius (𝑡 (°𝐶)) (scala convenzionale) che tiene come
riferimento a 0°C il punto di fusione, e a 100°C il punto di
ebollizione dell’acqua pura;
Scala Fahrenheit (𝑡 (°𝐹)) (scala convenzionale, per i paesi
anglosassoni) Tiene come riferimento sempre i punti di
fusione e di ebollizione dell’acqua, ma con un intervallo di
180° compreso tra 32°F e 212°F;
Scala Kelvin (𝑇 (𝐾)) (scala assoluta) è una temperatura
termodinamica, dedotta dal ciclo di Carnot, che
corrisponde alla scala Celsius + 273,15K. UNITA’ DI MISURA DEL SISTEMA INTERNAZIONALE (SI)
SISTEMA GASSOSO IDEALE Quantità Unità Simbolo
Proprietà dei gas ideali: Lunghezza metro 𝑚
- Particelle in moto perenne, occupano Massa chilogrammo 𝐾𝑔
l’intero spazio a disposizione; Tempo secondo 𝑠
Temperatura kelvin 𝐾
- Moto casuale;
Quantità di sostanza mole 𝑚𝑜𝑙
- Volume delle particelle trascurabile;
Corrente elettrica ampere 𝐴
- Non ci sono interazioni tra le particelle:
Intensità luminosa candela 𝑐𝑑
o meglio ci sono ma sono trascurabili;
- Urti perfettamente elastici: si ha la conservazione dell’energia.
Le interazioni che in genere avvengono tra due molecole di gas, sono sia attrattive che
repulsive, poiché sono dei dipoli elettrici istantanei, ma con un momento di dipolo
totale pari a zero.
𝜇𝑇 = 0
Un dipolo elettrico è un sistema di due cariche con stessa intensità ma a carica
opposta.
MISCELE DI GAS
Pressione parziale di un gas A (𝑝𝐴 )
La pressione parziale di un componente di una miscela gassosa è
quella che questo eserciterebbe se si trovasse, in assenza degli
altri componenti, ad occupare l’intero volume in cui la miscela è
contenuta, alle stesse condizioni di temperatura.
Legge di Dalton (1808)
𝑃𝑡𝑜𝑡 = 𝑝𝐴 + 𝑝𝐵 + ⋯ + 𝑝𝑁
In cui 𝑝𝑖 sono le pressioni parziali, che vanno scritte sempre in minuscolo. Conoscendo la legge dei gas ideali,
possiamo scrivere, per un singolo elemento:
𝑝𝐴 × 𝑉 = 𝑛𝐴 × 𝑅 𝑇
Posso applicarla anche alla miscela dei due gas A e B
𝑃𝑡𝑜𝑡 × 𝑉 = (𝑛𝐴 + 𝑛𝐵 ) × 𝑅 𝑇
Faccio un rapporto membro a membro delle due operazioni e ottengo:
𝑛𝐴
𝑝𝐴 = × 𝑃𝑡𝑜𝑡
𝑛𝐴 + 𝑛𝐵
𝑛𝐴
Dove 𝑛 +𝑛 è la frazione molare di A, quindi:
𝐴 𝐵
𝑝𝐴 = 𝑥𝐴 𝑃𝑡𝑜𝑡
Facendo lo stesso discorso per B, otteniamo:
𝑝𝐵 = 𝑥𝐵 𝑃𝑡𝑜𝑡
Volume parziale di un gas A (𝑉𝐴 )
Un’operazione simile si può fare anche con i volumi.
Il volume parziale di un componente di una miscela gassosa è quella che questo avrebbe se si trovasse,
in assenza degli altri componenti, alle stesse condizioni di temperatura e pressione della miscela in
cui è contenuta.
Legge di Amagat (1808)
𝑉𝑡𝑜𝑡 = 𝑉𝐴 + 𝑉𝐵 + ⋯ + 𝑉𝑛
Per un singolo elemento vale la formula:
𝑃 𝑉𝐴 = 𝑛𝐴 𝑅 𝑇
Che considerata l’intera miscela di due gas A e B:
𝑃 𝑉𝑡𝑜𝑡 = (𝑛𝐴 + 𝑛𝐵 ) 𝑅 𝑇
Faccio un rapporto membro a membro delle due operazioni e ottengo:
𝑉𝐴 𝑛𝐴
=
𝑉𝐴 + 𝑉𝐵 𝑛𝐴 + 𝑛𝐵
Che moltiplicando tutto x 100, troveremo le percentuali in volume delle parti.
𝑉𝐴 𝑛𝐴
( ) × 100 = ( ) × 100
𝑉𝑡𝑜𝑡 𝑛𝐴+ 𝑛𝐵
%𝑣/𝑣 = %𝑛/𝑛
Da cui ricaviamo direttamente le frazioni molari. Quindi:
𝑉𝐴 = 𝑥𝐴 𝑉
𝑉𝐵 = 𝑥𝐵 𝑉
Questa teoria vale solo in presenza di gas ideali.
Dove 𝑚 è la massa della particella, moltiplicata per la variazione di velocita, sull’intervallo di tempo. Il tempo
viene calcolato dalla velocità:
∆𝑡 = 2𝑙/𝑣𝑥
Sostituiamo:
𝑃 = |𝐹/𝑆| = 2𝑚𝑣𝑥2 /2𝑙3 = 𝑚𝑣𝑥2 /𝑙3 = 𝑚𝑣𝑥2 /𝑉
Dove:
𝑣 2 = 𝑣𝑥2 + 𝑣𝑦2 + 𝑣𝑧2
Osserviamo già che pressione e volume, dipendono da quantità microscopiche, che sono massa e velocità
della particella. Sappiamo calcolare quindi la pressione per una particella, ma se vogliamo calcolare la
pressione di una certa quantità di particelle, ci occorre trovare la velocità quadratica media (𝒗 ̅) che
corrisponde alla radice quadrata della somma delle velocita al quadrato di ogni particella, diviso il numero di
particelle:
𝑣̅ = (𝑣̅ 2 )1/2 = [(𝑣12 + 𝑣22 + ⋯ + 𝑣𝑛2 )/𝑛]1/2
Poiché ci troviamo in moto caotico, e con un numero elevatissimo di particelle, possiamo considerare che le
velocita per ogni direzione siano uguali:
𝑣̅𝑥2 = 𝑣̅𝑦2 = 𝑣̅𝑧2
Quindi:
𝑣̅𝑥2 = 1/3𝑣̅ 2
Mentre la velocità media è:
𝑣𝑚 = (𝑣1 + 𝑣2 + ⋯ + 𝑣𝑛 )/𝑛
Se noi consideriamo quindi una quantità 𝑁 = 𝑛 × 𝑁𝐴 (moli per numero di Avogadro) di particelle possiamo
utilizzare la velocità quadratica media, quindi:
𝑃 = 𝑁(𝑚𝑣̅𝑥2 )/𝑉 = (1/3)𝑁(𝑚𝑣̅ 2 )/𝑉
Quindi
𝑃 𝑉 = 1⁄3 𝑛 𝑁𝐴 (𝑚𝑣̅ 2 )
Energia cinetica media (per una particella):
1
𝜀̅𝑐 = 𝑚𝑣̅ 2
2
Se voglio sapere l’energia cinetica media di una mole di particelle:
1
𝐸̅𝑐 = 𝑁𝐴 𝑚𝑣̅ 2
2
Possiamo quindi riscrivere la legge di Avogadro:
2 2
𝑃 𝑉 = 𝑛 𝑁𝐴 𝜀̅𝑐 → 𝑃 𝑉 = 𝑛 𝐸̅𝑐
3 3
Sapendo che la legge di stato dei gas ideali (𝑃 𝑉 = 𝑛 𝑅 𝑇) è sempre vera, possiamo dire che:
𝐸𝑐 = 3/2 𝑅 𝑇
𝜀𝑐 = 3⁄2(𝑅⁄𝑁𝐴 )𝑇 = 3⁄2 𝐾 𝑇
Quindi l’energia citetica media è strettamente correlata alla tempreatura di un gas. Cioè
Il quadrato della velocità quadratica media dipende linearmente dalla temperatura ed è
inversamente proporzionale al peso molecolare del gas
Otteniamo quindi una costante 𝐾, chiamata costante di Boltzmann, utilizzando la costante universale dei gas
𝑅 = 8,31 (𝐽⁄𝑚𝑜𝑙 𝑘):
𝑅/𝑁𝐴 = 𝐾 = 1,38 × 10−23 𝐽/𝐾
Distribuzione di Maxwell-Boltzmann delle velocità molecolari
Istantaneamente possiamo notare che le particelle di un gas si muovono a velocita differenti, ci sarà quindi
una distribuzione delle velocità, con un andamento di tipo gaussiano, e tendente all’infinito a 0+:
𝑓(𝑣) = 4𝜋(𝑃𝑀/2𝜋𝑅𝑇)3/2 exp (−𝑃𝑀𝑣 2 /2𝜋𝑇)𝑣 2 𝑑𝑣
Che indica la frazione di particelle con quella velocità. Conoscendo la relazione che c’è tra velocita e
temperatura, aumentando la temperatura la curva si muoverà verso velocità più alte, senza variare l’area
sottesa totale che corrisponde alla quantità di particelle.
Quando siamo in presenza di una reazione:
𝑎𝐴 + 𝑏𝐵 = 𝑐𝐶 + 𝑑𝐷
Possiamo notare che all’aumentare della temperatura da 𝑡1 a 𝑡2 la velocita di reazione sarà più alta, poiché
il numero di urti che avvengono tra le particelle sarà maggiore. Ma aumentando eccessivamente la
temperatura, la velocità delle particelle sarà talmente alta, che le interazioni si riducono, e il gas diventa
sempre più ideale.
TERMODINAMICA
La termodinamica e la cinetica permettono di descrivere l’andamento dei fenomeni chimici e fisici, trattando
specificamente con l’energia.
ENERGIA (calore – lavoro) (W)
Il lavoro meccanico è una forma di energia ed è definito:
𝑊 = 𝐹 × 𝑠 × 𝑐𝑜𝑠𝛼
Lavoro meccanico - per variazione di volume
Supponiamo di avere un sistema, con all’interno un gas, dotato di un pistone
su cui viene applicata una forza esterna. Possiamo distinguere due casi:
Compressione 𝑃𝑒 > 𝑃𝑖 il sistema riceve lavoro
Espansione 𝑃𝑒 < 𝑃𝑖 il sistema compie lavoro
Per analogia al lavoro meccanico, il lavoro è uguale al prodotto della forza per lo spostamento:
|𝑊| = |𝐹𝑒 × (𝑟2 − 𝑟1 )|
Possiamo moltiplicare e dividere per la superficie trasversale del cilindro (sistema):
|𝑊| = |(𝐹𝑒 /𝐴) × 𝐴 × (𝑟2 − 𝑟1 )| = |𝑃𝑒 × ∆𝑉|
Dove 𝐹𝑒 /𝐴 è la pressione esterna, ed 𝐴 × (𝑟2 − 𝑟1 ) è il volume della variazione del sistema, non è altro che il
∆𝑉 subito dal sistema.
|𝑊| = |∫ 𝑃𝑒 𝑑𝑣|
Dove 𝑃𝑒 è variabile. Per convenzione possiamo dire che, il lavoro (𝐿):
- 𝑊 < 0 se ricevuto dal sistema
- 𝑊 > 0 se compiuto dal sistema
Proprietà:
- Il lavoro non è funzione di stato, cioè dipende dal
cammino percorso
- Trasformazione reversibile (ideale): successione di
infiniti stati di equilibrio, in cui il lavoro è il più alto
possibile. Essa consiste nell’effettuare la
trasformazione, con intervalli infinitesimali, in modo
da non alterare il sistema, e mantenere sempre uno stato di equilibrio.
- Trasformazione irreversibile (reale)
- Lavoro massimo
|𝑊| = |𝑃𝑒 × ∆𝑉|
Se 𝑃𝑖 > 𝑃𝑒 siamo in fase di espansione, quindi il lavoro sarà 𝑊 > 0. Possiamo quindi riscrivere l’equazione
Senza valori assoluti:
𝑊 = 𝑃𝑒 ∆𝑉
𝑊𝑟𝑒𝑣 = 𝑃𝑖 ∆𝑉, (𝑃𝑒 = 𝑃𝑖 ); 𝑊𝑖𝑟𝑟𝑒𝑣 = 𝑃𝑒 ∆𝑉
Sapendo che 𝑃𝑖 > 𝑃𝑒 :
𝑊𝑟𝑒𝑣 > 𝑊𝑖𝑟𝑟𝑒𝑣
Se 𝑃𝑒 > 𝑃𝑖 siamo in fase di compressione, quindi il lavoro sarà 𝑊 < 0:
|𝑊𝑟𝑒𝑣 | = |𝑃𝑖 ∆𝑉|, (𝑃𝑒 = 𝑃𝑖 ); |𝑊𝑖𝑟𝑟𝑒𝑣 | = |𝑃𝑒 ∆𝑉|
Quindi:
|𝑊𝑟𝑒𝑣 | < |𝑊𝑖𝑟𝑟𝑒𝑣 |
Ma 𝑊 < 0, quindi togliendo il valore assoluto, otterremo sempre che il lavoro reversibile è maggiore di
quello irreversibile.
𝑊𝑟𝑒𝑣 > 𝑊𝑖𝑟𝑟𝑒𝑣
L’Esperienza di Joule ci dice che il calore e lavoro sono energie in transito, scambiate tra il sistema e l’ambiente
e sono intercambiabili tra loro.
1 𝑐𝑎𝑙 = 4,18 𝐽𝑜𝑢𝑙𝑒 (𝐽)
TERMOCHIMICA
È quella parte di termodinamica legata alle reazioni chimiche, per cui è importante conoscerne il ∆𝐻𝑟𝑒𝑎𝑧 ,
poiché a pressione a costante coincide col calore scambiato, oltre che ci consente di capire se la reazione è
endotermica o esotermica, o spontanea o meno.
In una reazione chimica, a pressione costante, vale la Legge di Hess:
Il ∆𝐻 può essere calcolato come la somma di tutte le reazioni intermedie che avvengono passando
dallo stato iniziale a quello finale.
Esempio:
𝐶(𝑔𝑟𝑎𝑓) + 𝑂2(𝑔) = 𝐶𝑂2(𝑔)
In una reazione chimica il calore scambiato a pressione costante è indipendente dagli stati intermedi
attraverso i quali si evolve il sistema e dipende solo dal suo stato iniziale e quello finale.
Esempio:
𝐻𝐶𝑂𝑂𝐻(𝑙) = 𝐻2 𝑂(𝑙) + 𝐶𝑂(𝑔) ;
Trovare il ∆𝐻°𝑟𝑒𝑎𝑧 (298.15𝐾) =?
1) 𝐻𝐶𝑂𝑂𝐻(𝑙) = 𝐻2(𝑔) + 𝑂2(𝑔) + 𝐶(𝑔𝑟𝑎𝑓)
Essendo (HCOOH) un reagente:
∆𝐻°1 = −∆𝐻°𝑓(𝐻𝐶𝑂𝑂𝐻)
L’energia interna è una funzione di stato quindi la posso calcolare lungo qualsiasi percorso, quindi scelgo il
cammino lungo la trasformazione reversibile, e 𝑑𝑄𝑟𝑒𝑣 = 𝑇𝑑𝑆, e a 𝑃 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 𝑒 𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 otteniamo che 𝑉𝑑𝑃
e 𝑆𝑑𝑇 sono pari a zero. Quindi:
𝑑𝐺 = −𝑑𝑊𝑟𝑒𝑣 + 𝑃𝑑𝑉
Criterio di Equilibrio
Quando 𝑃𝑑𝑉 è uguale alla variazione di lavoro reversibile:
∆𝐺 = ∆𝐻 − 𝑇∆𝑆 = 0
Siamo quindi costantemente all’equilibrio termodinamico. Dove ∆𝐻 è la spinta energetica (più bassa
possibile) e ∆𝑆 spinta entropica (la più alta possibile). L’entalpia dipende dall’energia interna del sistema e
l’entropia, dal punto di vista del significato fisico, è legata dal disordine molecolare. Quindi
Energia libera di Helmholtz
𝐹 = 𝐸 − 𝑇𝑑𝑆𝐹 = −𝑑𝑊𝑟𝑒𝑣
Dove 𝐸 è l’energia totale, 𝑇𝑆 è l’energia vincolata, non utilizzabile perché degradata.
Termodinamica – Criterio di equilibrio
𝑑𝐺 = −𝑑𝑊𝑟𝑒𝑣 + 𝑃𝑑𝑉
∆𝐺 = 𝑃∆𝑉 − 𝑊𝑟𝑒𝑣
𝑃 = 𝑐𝑜𝑠𝑡; 𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡
- 𝑃∆𝑉 = 𝑊𝑟𝑒𝑣 ∆𝐺 = 0 equilibrio termodinamico
- 𝑃∆𝑉 < 𝑊𝑟𝑒𝑣 ∆𝐺 < 0 trasferimento irreversibile, spontanea
- 𝑃∆𝑉 > 𝑊𝑟𝑒𝑣 ∆𝐺 > 0 trasferimento impossibile, spontanea in verso opposto
Se tutte le sostanze sono nei loro stati standard, alla temperatura di 25°𝐶 e alla pressione di 1 𝑎𝑡𝑚, e il ∆𝐺
della reazione viene chiamato variazione di energia libera standard (∆𝐺°).
EQUILIBRI DI FASE
Equilibri di fase - 𝒍𝒊𝒒𝒖𝒊𝒅𝒐 → 𝒗𝒂𝒑𝒐𝒓𝒆
In un liquido le particelle sono dipoli elettrici, permanenti o
istantanei, quindi si attraggono tra loro, poiché sono molto vicine,
ma hanno la capacità di scivolare tra loro. Nella trasformazione da
liquido a vapore, le forze intramolecolari delle particelle in
superficie non sono bilanciate, entra quindi in gioco una certa
tensione superficiale, che permette l’evaporazione del liquido.
Se siamo a temperatura costante:
𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 → 𝐸𝑐𝑖𝑛 = 𝑐𝑜𝑠𝑡
L’energia cinetica non varia.
𝑆𝑂𝐿 ↔ 𝐿𝐼𝑄 ↔ 𝑉𝐴𝑃
→ 𝐸𝑝𝑜𝑡 →
→ 𝐸𝑖𝑛𝑡 →
Nel passaggio da solido a liquido a vapore, le particelle di
liquido evaporando si allontanano, quindi l’energia
potenziale aumenta, perché se le interazioni tra le particelle sono di tipo attrattivo ed allontanandosi
acquistano una maggiore capacità di fare lavoro attrattivo, acquistano quindi energia potenziale. Di
conseguenza l’energia interna del sistema aumenta. Lo stesso accade nel passaggio da liquido a vapore.
Le trasformazioni da liquido a vapore, a 𝑃 = 𝑐𝑜𝑠𝑡, avvengono con assorbimento di calore dall’esterno, quindi
avremo una trasformazione endotermica, quindi anche il ∆𝐻 > 0.
𝑄𝑝 > 0 → 𝑒𝑛𝑑𝑜𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑐𝑎
Nel verso opposto, da vapore a liquido, viene sottratto vapore al sistema, quindi:
𝑄𝑝 < 0 → 𝑒𝑠𝑜𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑐𝑎
Se un sistema è isolato, l’energia interna non può variare:
∆𝐸 = 0 → 𝐸𝑖𝑛𝑡 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 Materiale Calore specifico Calore specifico
L’energia interna è sempre: 𝑱/(𝒈 × °𝑪) 𝒄𝒂𝒍/(𝒈 × °𝑪)
𝐸 = 𝐸𝑝𝑜𝑡 + 𝐸𝑐𝑖𝑛 Acqua 4,18 1,00
quindi nel passaggio da liquido a vapore se l’energia Alluminio 0,900 0,215
potenziale aumenta, di conseguenza, deve diminuire Aria 1,00 0,24
l’energia cinetica. Avremo allora che nella Rame 0,385 0,092
trasformazione da liquido a vapore, che è una Ferro 0,45 0,107
trasformazione endotermica il sistema raffredda, nella trasformazione da vapore a liquido, il sistema riscalda,
quindi l’energia potenziale diminuisce e l’energia cinetica aumenta.
Una distinzione importante è quella tra calore latente e calore sensibile. Quando si parla di passaggi di stato,
nel passaggio da una fase all’altra, il calore scambiato, avviene a temperatura costante, poiché serve
esclusivamente per aumentare l’energia potenziale delle particelle. Il calore sensibile invece, è relativo alla
variazione di temperatura.
𝑄𝑝 = 𝑚 𝑐𝑝 ∆𝑇
Dove 𝑐𝑝 è il calore specifico, cioè la quantità di calore da fornire a 1 grammo di sostanza in un dato stato fisico
per variare la sua temperatura di 1°C
𝑐𝑝 = (1/𝑚)(𝑑𝑄𝑝 ⁄𝑑𝑇)
Piu alto è il calore specifico, più sarà difficile cambiare la temperatura a quel materiale.
Equilibrio termodinamico (𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡). In un sistema chiuso, in cui si ha solo liquido, alla pressione 𝑃 = 0 𝑎𝑡𝑚,
inizialmente le particelle di liquido tendono a passare in fase vapore,
facendo aumentare la pressione del sistema. Ma le particelle gassose nel
loro moto continuo possono venire ricatturate urtando il liquido, ad un certo
punto si instaura quindi un equilibrio dinamico, in cui la velocità di
evaporazione è uguale alla velocità di condensazione.
𝑣𝑒𝑣𝑎𝑝 = 𝑣𝑐𝑜𝑛𝑑
Per misurare questo equilibrio osserviamo la pressione. Al
raggiungimento di una pressione stabile abbiamo raggiunto l’equilibrio.
𝑃 = 𝑃°(𝑇)
Questa pressione si chiama Tensione di vapore del liquido. Questo
parametro dipende dalla natura del liquido e varia al variare della
temperatura. Ogni liquido ha una sua velocità di soglia di evaporazione,
valida ad ogni temperatura, ma all’aumentare di quest’ultima, la
frazione di particelle in grado di passare allo stato vapore aumenta,
quindi la tensione vapore aumenta.
Uno dei principi da cui si può dedurre che all’aumentare della temperatura aumenti anche la pressione è:
Principio di Le Chatelier-Brawn (principio dell’equilibrio mobile)
Se un sistema in equilibrio è sottoposto ad una sollecitazione esterna, viene cioè variato qualche
parametro, come, ad esempio, la pressione o la temperatura, esso reagisce in modo tale da annullare
o rendere minimo l’effetto della sollecitazione.
Cioè, un sistema all’equilibrio, soggetto ad una causa perturbatrice, tenderà ad un nuovo equilibrio nella
direzione tale da minimizzare la causa perturbatrice.
Esempio: Se un sistema all’equilibrio, soggetto a un aumento di temperatura, il sistema cercherà di abbassare
la sua temperatura facendo evaporare liquido.
Esempio: All’aumentare della pressione di un sistema all’equilibrio, il sistema cercherà di compensare alla
mancanza di pressione, facendo evaporare il liquido.
Legge di Clausius-Clapeyron
All’aumentare della temperatura la tensione vapore aumenta
esponenzialmente. Questo andamento è descritto da questa legge:
𝑃°1 ∆𝐻𝑣𝑎𝑝 1 1
𝑙𝑛 =− ( − )
𝑃°2 𝑅 𝑇1 𝑇2
1 1
Dove 𝑇1 < 𝑇2 , quindi (𝑇 − 𝑇 ) > 0. All’aumentare della temperatura il
1 2
∆𝐻𝑣𝑎𝑝 > 0, avremo quindi una trasformazione endotermica. Quindi
𝑃°
𝑙𝑛 𝑃°1 > 0 allora 𝑃1 < 𝑃2 .
2
Questa tabella rappresenta la tensione di vapore dell’acqua alle varie
temperature. In cui a basse temperature la tensione è molto bassa, e Temperatura Pressione di
raggiunge 1 atm alla temperatura di 100°C. (°C) vapore (atm)
L’evaporazione avviene sempre fino a quando la pressione parziale del 15,0 0,01683
vapore uguaglia la tensione di vapore del liquido alla temperatura 17,0 0,01912
considerata (fenomeno di superficie) 19,0 0,02168
L’ebollizione avviene quando la tensione di vapore del liquido eguaglia 21,0 0,02454
la pressione esterna 25,0 0,03126
Equilibrio liquido – vapore 30,0 0,04187
In un sistema chiuso, contenente inizialmente solo liquido: 50,0 0,12170
∆𝐺 = ∆𝐻 − 𝑇∆𝑆
- All’inizio 𝑃 < 𝑃° ∆𝐺 < 0 𝑇∆𝑆 > ∆𝐻 𝑙𝑖𝑞 → 𝑣𝑎𝑝
- All’equilibrio 𝑃 = 𝑃° ∆𝐺 = 0 𝑇∆𝑆 = ∆𝐻 𝑙𝑖𝑞 = 𝑣𝑎𝑝
- Quando 𝑃 > 𝑃° ∆𝐺 > 0 𝑇∆𝑆 < ∆𝐻 𝑙𝑖𝑞 ← 𝑣𝑎𝑝
All’inizio prevale il contributo entropico rispetto a quello entalpico, all’equilibrio, la pressione coincide con la
tensione di vapore. Nel caso in cui potessimo comprimere il sistema, quindi aumentare la pressione del
sistema, la trasformazione andrà nel verso opposto, prevale quindi il termine entalpico.
Esempio: Nel caso specifico dell’acqua. Se: 𝑇 = 373,15 𝐾 e 𝑃𝑐𝑜𝑠𝑡 = 1 𝑎𝑡𝑚 abbiamo che:
∆𝐻° = 9701 𝑐𝑎𝑙/𝑚𝑜𝑙
∆𝑆° = 26 𝑐𝑎𝑙/𝑚𝑜𝑙 𝐾
∆𝐺° = 9701 − 373,15 × 26 = 0 ← 𝑒𝑞. 𝑙𝑖𝑞/𝑣𝑎𝑝
Ciò vuol dire che la pressione di equilibrio è pari a 1 𝑎𝑡𝑚.
𝑃 = 𝑃° = 1 𝑎𝑡𝑚
Se: 𝑇 < 373,15 𝐾 e 𝑃𝑐𝑜𝑠𝑡 = 1 𝑎𝑡𝑚
∆𝐺° = ∆𝐻° − 𝑇∆𝑆°
∆𝐺° > 0 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑙𝑖𝑞 ← 𝑣𝑎𝑝
Ciò significa che la trasformazione da liquido a vapore non è spontanea nel verso considerato, ma nel verso
opposto. Si ha quindi la condensazione del vapore. Per ottenere l’equilibrio occorre una pressione minore.
𝑃𝑒𝑞 < 1 𝑎𝑡𝑚 (∆𝐺 < 0)
Se: 𝑇 > 373,15 𝐾 e 𝑃𝑐𝑜𝑠𝑡 = 1 𝑎𝑡𝑚
∆𝐺° = ∆𝐻° − 𝑇∆𝑆°
∆𝐺° < 0 𝑎𝑙𝑙𝑜𝑟𝑎 𝑙𝑖𝑞 → 𝑣𝑎𝑝
Ciò significa che la trasformazione da liquido a vapore avviene spontaneamente, quindi la pressione di
equilibrio è maggiore di 1 atm.
𝑃𝑒𝑞 > 1 𝑎𝑡𝑚
SISTEMA GASSOSO – Temperatura critica
Esperienza di Andrews
Preso un gas, all’equilibrio in un sistema in cui il volume V
diminuisce a 𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡. È stato osservato che, sotto la
isoterma critica 𝑇𝑐 , al diminuire del volume del sistema, la
pressione aumenta, fino a raggiungere la tensione di vapore
del liquido, allora la pressione rimarrà costante fin che tutto
il vapore non sarà condensato. Continuando a diminuire il
volume, oltre la curva del punto critico, 𝐾, la pressione del
sistema aumenterà notevolmente, poiché troveremo solo
liquido, che è molto meno comprimibile dei gas.
oltre la temperatura critica, non si ha più l’equilibrio liquido vapore, e il gas non può liquefarsi, qualunque sia
la pressione a cui è sottoposto.
Questa temperatura è differente per ogni elemento, e dipende dalle interazioni tra le molecole. Essa ci
permette di dare una distinzione concreta tra gas e vapore.
Un gas è un sistema aeriforme che sta sopra la temperatura critica
Al di sotto della temperatura critica avremo il vapore, il che è in grado di condensare.
Ad esempio, l’acqua è un dipolo permanente, le cui interazioni tra le molecole sono molto forti, quindi la
temperatura critica è molto alta (374°C).
Umidità relativa
IL rapporto tra la pressione parziale del vapore ad una certa temperatura e la tensione di vapore dell’acqua
alla stessa temperatura
𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑎𝑟𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 (𝑇)
𝜇=
𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑣𝑎𝑝𝑜𝑟𝑒(𝑇)
Quando l’umidità e pari al 100% → 𝜇 = 1, significa che la pressione parziale del vapore coincide con la
tensione vapore, quindi l’aria è satura di vapore d’acqua. Nel caso 𝜇 tende a 0 la pressione parziale è molto
più bassa della tenzione vapore, per cui lontani dalla condizione di equilibrio.
𝜇 = 1 equilibrio aria satura (l’acqua tende a condensare)
𝜇 = 0 lontani dalla condizione di eq. Aria secca
- All’aumentare di T: la pressione parziale aumenta linearmente e la tensione di vapore aumenta
esponenzialmente → 𝜇 diminuisce → aria secca
- Al diminuire di T: la pressione parziale diminuisce linearmente e la tensione di vapore diminuisce
esponenzialmente → 𝜇 aumenta → aria umida
EQUILIBRIO CHIMICO
In una reazione chimica, l’andamento della reazione tende
sempre a raggiungere una condizione di equilibrio.
𝑎𝐴 + 𝑏𝐵 = 𝑐𝐶 + 𝑑𝐷
Dove le lettere maiuscole sono i composti, quelle minuscole sono
i coefficienti stechiometrici.
Nel caso in cui in un recipiente ci sia solo A e B, i due elementi
urtandosi reagiranno, formando i prodotti C e D, che durante
questo processo inizieranno a reagire, urtandosi, per dare
nuovamente i reagenti A e B. Ad un tempo si raggiungerà un
certo equilibrio termodinamico, in cui la velocità di reazione diretta eguaglia quella di reazione inversa.
𝑉𝑑𝑖𝑟𝑒𝑡𝑡𝑎 = 𝑉𝑖𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑎
L velocità di una reazione è proporzionale alla concentrazione dei reagenti.
Equilibrio chimico omogeneo in fase gassosa
Sperimentalmente si può capire quando una reazione è all’equilibrio, in un sistema chiuso, osservando la sua
pressione. Ma nel caso in cui non è possibile capire in che verso va la reazione, in un sistema chiuso a
temperatura costante, poiché nel sistema si trovano sia i reagenti che i prodotti, la si può studiare
conoscendo l’entalpia libera di Gibbs.
𝑎𝐴 + 𝑏𝐵 = 𝑐𝐶 + 𝑑𝐷
Ciò che è utile sapere, per capire il verso o l’equilibrio della reazione, è il segno dell’energia libera del sistema.
- ∆𝐺 = 0 all’equilibrio
- ∆𝐺 < 0 nel verso considerato
- ∆𝐺 > 0 nel verso opposto
Essendo definita l’entalpia libera come:
𝐺 = 𝐻 − 𝑇𝑆
𝐻 = 𝐸 + 𝑃𝑉
Sapendo che 𝑑𝐸 = 𝑑𝑄𝑟𝑒𝑣 − 𝑑𝑊𝑟𝑒𝑣 , si ricava che:
𝑑𝐺 = 𝑑𝐻 − 𝑇𝑑𝑆 − 𝑆𝑑𝑇 = 𝑑𝐸 + 𝑃𝑑𝑉 + 𝑉𝑑𝑃 − 𝑇𝑑𝑆 − 𝑆𝑑𝑇 = 𝑉𝑑𝑃
Essendo gas ideali possiamo scriverla come:
𝑅𝑇 𝑙𝑛𝑃2
∆𝐺 = 𝐺2 − 𝐺1 =
𝑃1
Per ciascun prodotto e reagente si deve quindi calcolare l’entalpia libera, ma il valore assoluto si può calcolare
solo se si ha un valore iniziale di riferimento. Quindi per ovviare a ciò si considera che la reazione faccia un
altro percorso, immaginando di portare i reagenti ad una
condizione di pressione parziale unitaria (pressione
standard di 1atm, P°). Successivamente fare avvenire la
reazione iniziale a pressione standard, e in fine far reagire i
prodotti, facendoli tornare alla pressione effettiva. Quindi:
∆𝐺 = ∆𝐺1 + ∆𝐺2 + ∆𝐺3
In cui si ottiene:
𝑃° 𝑃° 𝑝𝐶 𝑝𝐷
∆𝐺 = 𝑎𝑅𝑇 𝑙𝑛 ( ) + 𝑏𝑅𝑇 𝑙𝑛 ( ) + ∆𝐺° + 𝑐𝑅𝑇 𝑙𝑛 ( ) + 𝑑𝑅𝑇 𝑙𝑛 ( )
𝑝𝐴 𝑝𝐵 𝑃° 𝑃°
Dove 𝑃° è la pressione iniziale unitaria, ∆𝐺° = ∆𝐺2 definisce l’entalpia libera a pressione unitaria.
Raccogliendo 𝑅𝑇, e porto all’interno del logaritmo i coefficienti stechiometrici, diventando esponente
dell’argomento. Raccogliendo il tutto si ha:
𝑝𝐶𝑐 × 𝑝𝐷𝑑 1
∆𝐺 = ∆𝐺° + 𝑅𝑇 𝑙𝑛 [ 𝑎 𝑏 × (𝑃°)𝜎 ]
𝑝𝐴 × 𝑝𝐵
Dove 𝛼 = 𝑐 + 𝑑 − 𝑎 − 𝑏, e 𝑃° numericamente vale sempre 1, il che permette di rendere adimensionale
tutto il logaritmo.
𝑑 ln 𝐾𝑝 = (∆𝐻°/𝑅)𝑑𝑇/𝑇 2
𝐾2 ∆𝐻𝑟0 1 1
ln = ×( − )
𝐾1 𝑅 𝑇1 𝑇2
Molto simile alla legge di Clausius-Clapeyron. Essa dice che il logaritmo naturale del rapporto delle due
costanti alla temperatura considerata (𝐾2 /𝐾1), è uguale all’entalpia di reazione (∆𝐻𝑟0) sulla costante
universale dei gas (𝑅) per la differenza degli opposti delle due temperature considerate (𝑇1 , 𝑇2 ). Quindi
all’aumentare della temperatura:
1 1 𝐾
- Se 𝑇1
− 𝑇 > 0 e ∆𝐻𝑟0 > 0 allora ln 𝐾2 > 1
2 1
Quindi se la reazione endotermica, cioè è favorita da alte temperature (∆𝐻 > 0), all’aumentare della
temperatura aumenta la costante di equilibrio (𝐾2 > 𝐾1 ).
1 1 𝐾2
- Se − > 0 e ∆𝐻𝑟0 < 0 allora ln <1
𝑇1 𝑇2 𝐾1
Quindi, se la reazione esotermica, cioè è favorita da basse temperature (∆𝐻 < 0), all’aumentare
della temperatura la costante di equilibrio diminuisce (𝐾2 < 𝐾1 ).
Un altro metodo per capire la variazione della costante di equilibrio al variare della temperatura, conoscendo
l’entalpia di reazione, è l’applicazione del principio di Le Chatelier-Brawn:
Se un sistema in equilibrio è sottoposto ad una sollecitazione esterna, viene cioè variato qualche
parametro, come, ad esempio, la pressione o la temperatura, esso reagisce in modo tale da annullare
o rendere minimo l’effetto della sollecitazione.
Se in una reazione endotermica (da sinistra verso destra la temperatura diminuisce) aumentando la
temperatura il sistema tenderà a minimizzare la causa perturbatrice, procedendo nel verso opposto,
diminuendo la temperatura. Quindi la reazione si sposterà verso destra, 𝐾2 > 𝐾1 , poiché esse sono il
rapporto delle pressioni parziali dei prodotti su quelle dei reagenti.
Nel caso in cui la reazione fosse esotermica, procedendo da sinistra verso destra la temperatura aumenta,
quindi aumentando la temperatura, il sistema cercherà di farla diminuire spontaneamente, quindi la reazione
si sosterà verso sinistra, quindi 𝐾2 < 𝐾1 .
Influenza della pressione sulla composizione di equilibrio
Sappiamo che la costante di equilibrio dipende solo dalla temperatura, poiché il ∆𝐺° è calcolato a pressione
unitaria (𝑃° = 1 𝑎𝑡𝑚), ma se cambiamo la pressione totale, la composizione all’equilibrio può cambiare.
La composizione all’equilibro (𝑝𝐴 , 𝑝𝐵 , 𝑝𝐶 , 𝑝𝐷 ) può dipendere dalla pressione. Secondo il principio di Le
Chatelier-Braun, all’aumentare della pressione il sistema cercherà di abbassarla.
Esempio: 3𝐻2(𝑔) + 𝑁2(𝑔) = 2𝑁𝐻3(𝑔)
2 2
𝑝𝑁𝐻 2
𝑥𝑁𝐻 3
× 𝑝2
𝐾𝑝 = 3 = 3 = 𝑐𝑜𝑠𝑡
𝑝𝐻2 × 𝑝𝑁2 𝑥𝐻2 × 𝑥𝑁2 × 𝑝4
Aumentando la pressione totale, il sistema tenderà verso destra, perché sappiamo che i prodotti hanno una
frazione molare più piccola, quindi per bilanciare il tutto le moli di 𝑁𝐻3 dovranno aumentare, di conseguenza
le moli totali diminuiranno.
Equilibrio chimico eterogeneo
Sono reazioni in cui i composti che partecipano alla reazione non sono nella stessa fase.
- 𝐶𝑎𝐶𝑂3(𝑠) = 𝐶𝑎𝑂(𝑠) + 𝐶𝑂2(𝑔)
In questa reazione sono presenti 3 fasi, di cui due solide e una gassosa. Quando in una reazione si presentano
solidi, per la costante di equilibrio si usa l’attività. Per i solidi l’attività è sempre costante, che moltiplicata o
divisa per la costante di equilibrio, da sempre una costante. Quindi la costante di equilibrio si esprime solo
con le pressioni parziali delle specie gassose.
𝑝𝐶𝑂2 × 𝑎𝐶𝑎𝑂
𝐾𝑝 = = 𝑝𝐶𝑂2
𝑎𝐶𝑎𝐶𝑂3
Queste reazioni presentano invece due sole fasi.
- 𝑁𝐻4 𝑁𝑂3(𝑠) = 𝑁𝐻3(𝑔) + 𝐻𝑁𝑂3(𝑔) 𝐾𝑝 = 𝑝(𝑁𝐻3) × 𝑝(𝐻𝑁𝑂3)
Notiamo che per altre sostanze la pendenza della curva solido-liquido ha pendenza positiva, perché
tendenzialmente passando dallo stato liquido a solido, la sostanza è più compatta. Ciò non accade per
l’acqua, che mantiene una struttura esagonale, dovuta dalle interazioni di dipolo tra le molecole, quindi
solidificando aumenta di volume.
Se prendiamo un qualsiasi punto nelle regioni monofasiche, avremo che la varianza sarà pari a 2, cioè posso
scegliere ad arbitrio, pressione e temperatura senza che cambi il numero delle fasi.
Mentre se prendiamo un qualsiasi punto sulle curve di equilibrio, troveremo che la varianza sarà pari a 1, ciò
vuol dire che posso scegliere di variare una delle due grandezze intensive, ma l’altra sarà univocamente
determinata dalla curva di equilibrio.
La curva di equilibrio liquido-vapore esiste fino ad un punto critico (𝑇 ≈ 374°𝐶), in cui il vapore diventa gas,
a qualsiasi pressione considerata. Per quanto riguarda la curva solido-liquido, a un certo punto a pressioni
molto elevate questa curva assume la tendenza convenzionale (positiva).
Equilibri di fase Liquido-Vapore
Consideriamo un sistema chiuso formato da 2 componenti reali allo stato liquido in
soluzione, ed a temperatura costante. Inizialmente le particelle che riescono a
sfuggire all’attrazione con le altre particelle passeranno in fase vapore, ma subito
dopo l’istante 𝑇 = 0 alcune di queste particelle urteranno il pelo libero del liquido,
tornando allo stato liquido, fino al raggiungimento di un equilibrio dinamico, in cui si
avrà una pressione costante di equilibrio (tensione di vapore della miscela).
Legge di Raoult
Se abbiamo una miscela ideale:
𝑃𝑒𝑞 = 𝑥𝐴 𝑃°𝐴 + 𝑥𝐵 𝑃°𝐵
Dove 𝑃°𝑖 è la tensione di vapore della sostanza pura considerata, e 𝑥𝑖 le frazioni molari rispettive di ogni
sostanza nella fase liquida. Le pressioni parziali per specie saranno:
𝑝 = 𝑥𝐴 𝑃°𝐴
{ 𝐴
𝑝𝐵 = 𝑥𝐵 𝑃°𝐵
Queste due espressioni prendo il nome di legge di Raoult, e vale solo quando siamo in presenza di una
soluzione ideale.
Una soluzione liquida si dice ideale quando le interazioni che ci sono tra le
particelle dei due elementi sono molto simili alle interazioni che ci sono tra
le particelle dello stesso tipo.
Ci possiamo anche trovare nel caso in cui le interazioni tra gli elementi sono
maggiori o minori, rispetto quelle tra particelle dello stesso tipo.
Questa legge puo essere rappresentata in un grafico, dove in ordinata
troviamo la pressione, e sulle ascisse di destra e sinistra stanno gli elementi
puri. La retta 𝑝 = 𝑝°𝐴 + 𝑝°𝐵 corrisponde con la tensione di equilibrio alla
concentrazione delle parti considerata. L’elemento piu volatile è quello
che a parità di temperatura ha una tensione vapore maggiore, o che a
parità di pressione esterna ha una temperatura di ebollizione piu bassa.
La nostra soluzione puo essere scritta come una reazione chimica, ma non
è tale.
𝐴𝑙𝑖𝑞 + 𝐵𝑙𝑖𝑞 = (𝐴 + 𝐵)𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧
La variazione dell’entalpia di miscelazione, si puo scrivere come:
∆𝐻𝑚𝑖𝑥 = 𝐻𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 − 𝐻𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒
Dove 𝐻𝑓𝑖𝑛 si riferisce alla condizione in cui 𝐴 e 𝐵 sono in soluzione, mentre 𝐻𝑖𝑛 si riferisce alla condizione
iniziale in cui i due liquidi sono separati. Quando la soluzione è ideale:
∆𝐻𝑚𝑖𝑥 = 0
Ciò significa che le interazioni sono uguali, quindi dal punto di vista energetico in soluzione non avviene
nessuna variazione di energia interna, per cui è definita soluzione ideale.
punto di azeotropo di massimo, ciò significa che a quella concentrazione entrambi le sostanze della miscela
hanno un'unica e sola temperatura di ebollizione, come si comporterebbe un composto liquido puro. Mentre
in tutte le altre composizioni si troverà un intervallo di inizio e fine bollitura.
Viceversa, quando nel diagramma a temperatura costante si ha un punto di massimo, nel diagramma di stato
a pressione costante si troverà un azeotropo di minimo.
Se cambiando la pressione del sistema, ci troveremo sempre ad avere un unico punto di ebollizione, allora
vuol dire che si è formato un nuovo composto dovuto alla reazione delle due sostanze della miscela.
Equilibri di fase – 2 componenti non completamente miscibili allo stato liquido
Possiamo anche trovarci alla presenza di soluzioni immiscibili,
𝐴𝑙𝑖𝑞 + 𝐵𝑙𝑖𝑞 = (𝐴 + 𝐵)𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧
molto probabilmente l’energia libera di miscelazione è maggiore di zero (∆𝐺𝑚𝑖𝑥 > 0), mentre tutte le volte
che le soluzioni sono miscibili, l’energia libera di miscelazione sarà minore di 0 (∆𝐺𝑚𝑖𝑥 < 0). Noi sappiamo
che:
∆𝐺𝑚𝑖𝑥 = ∆𝐻𝑚𝑖𝑥 − 𝑇∆𝑆𝑚𝑖𝑥
Affinché la miscelazione sia spontanea deve essere:
∆𝐺𝑚𝑖𝑥 < 0
- Se siamo in presenza di una soluzione ideale avremo che:
∆𝐻𝑚𝑖𝑥 = 0
A e B vanno spontaneamente in miscela, quindi:
∆𝐺𝑚𝑖𝑥 < 0
Quindi temperatura per variazione di entalpia sarà minore di zero, quindi:
∆𝑆𝑚𝑖𝑥 > 0
- Se siamo in presenza di una soluzione non ideale, l’entalpia di miscelazione può essere:
∆𝐻𝑚𝑖𝑥 > 0; ∆𝐻𝑚𝑖𝑥 < 0
Se i liquidi sono miscibili, e le componenti si sciolgono spontaneamente, allora:
∆𝐺𝑚𝑖𝑥 < 0
Potremmo dire che l’entropia di miscelazione sarà:
∆𝑆𝑚𝑖𝑥 = (∆𝐻𝑚𝑖𝑥 − ∆𝐺𝑚𝑖𝑥 )/𝑇
Quindi il segno dell’entropia dipende dal ∆𝐻𝑚𝑖𝑥 .
Riepilogando, se ∆𝑆𝑚𝑖𝑥 > 0 e ∆𝐻𝑚𝑖𝑥 < 0 allora ∆𝐺𝑚𝑖𝑥 < 0 e la dissoluzione è spontanea. Se ∆𝑆𝑚𝑖𝑥 > 0 e
∆𝐻𝑚𝑖𝑥 > 0 e ∆𝐻𝑚𝑖𝑥 > 𝑇∆𝑆𝑚𝑖𝑥 allora ∆𝐺𝑚𝑖𝑥 > 0 la dissoluzione non è spontanea.
È possibile per alcuni intervalli di composizione della miscela, ci
sono delle zone in cui le parti della miscela non sono miscibili.
Questa regione è chiamata lacuna di miscibilità, in cui ∆𝐺𝑚𝑖𝑥 > 0.
Ciò significa che all’interno della regione monofasica di miscela
liquida si trova una regione in cui i due liquidi non si miscelano, si
avranno quindi due fasi.
Equilibri di fase – 2 componenti EUTETTICO
Questa lacuna di miscibilità non si può trovare allo stato gassoso,
perché i gas sono sempre perfettamente miscibili, ma si trova
frequentemente anche allo stato solido, cui il diagramma si presenta
in modo differente. Cioè che la lacuna di miscibilità tocca la curva di
solidus.
Questo diagramma di stato solido – liquido in cui avviene una
parziale miscibilità allo stato solido. Si parlerà quindi di temperatura
di fusione, in cui la curva 𝐴’ e 𝐵’ sono le temperature di fusione della
sostanza pura, e la curva A’E B’ è la curva di liquidus, mentre la curva
A’D F B’ è la curva di solidus, mentre sotto la curva D E F è la lacuna
di miscibilità, dove i solidi non sono perfettamente miscibili.
Nella regione 𝛼 il solido che si trova è ricco del componente A, mentre nella regione 𝛽 il solido è ricco del
componente B e il sistema sarà composto da una sola fase.
Nella lacuna di miscibilità 𝛼 + 𝛽 ho due fasi solide, e le composizioni le leggo sempre a temperatura costante,
dove posso avere due composizioni, una ricca dell’elemento A e una ricca dell’elemento B. Stessa cosa
avviene nelle due regioni tra le curve di solidus e liquidus, in cui avrò due fasi, una liquida e una solida, in cui
le composizioni solido e liquido le leggo tramite l’isoterma intersecante le due curve.
La retta isoterma dove inizia la lacuna di miscibilità D F, è chiamata temperatura eutettica, e lungo questa
retta si trovano 3 fasi, una liquida, e due solide. Il punto E è chiamato punto eutettico, ed è formato da 3 fasi.
Se in un qualsiasi punto sulla retta D F vi applichiamo la regola di Gibbs abbiamo che:
𝜈 =2−3+1=0
Le componenti indipendenti sono 2, le fasi sono 3, e poiché la pressione
è costante, si somma solo 1. Ciò significa che non ho gradi di libertà del
sistema, quindi sottraendo calore, e fin che saranno presenti le tre fasi,
la temperatura non può diminuire. Avrò quindi soltanto calore latente,
che fornirà o cederà energia per permettere il cambio di fase.
Possiamo trovarci nel caso in cui, la lacuna di miscibilità occupa l’intera
composizione delle due specie, e si dice diagramma di stato con totale
immiscibilità allo stato solido. Quindi sotto la temperatura eutettica ho
sempre due fasi solide. Le composizioni sopra la temperatura eutettica
si misurano sempre tramite le intersezioni la isoterma considerata con
la curva di liquidus.
Acqua e sale
Il diagramma di stato con totale immiscibilità allo stato solido è
tipico della miscela di Cloruro di sodio (NaCl) in acqua.
Nel caso si riuscisse ad ottenere una composizione vicina a quella
del punto eutettico, si può ottenere una temperatura di
solidificazione della soluzione molto minore rispetto quella
dell’acqua pura.
Oppure mettendo insieme una quantità di acqua liquida, sale e
ghiaccio, con una composizione intorno a quella dell’eutettico, si
può ottenere una temperatura, all’equilibrio minore di 0°C.
Analisi termica
Tagliando il grafico delle concentrazioni nei punti 𝐶1 e 𝐶2 si ottengono dei grafici
rappresentanti le analisi termiche in relazione del tempo, per quella
composizione della soluzione.
Alla concentrazione 𝐶1 sottraendo gradualmente calore si abbassa la
temperatura, e si osserva che a una certa temperatura comincia a separarsi
solido dal liquido, quindi la temperatura diminuisce più lentamente, perché
parte del calore sottratto è calore latente, necessario per la trasformazione del
liquido in solido. Raggiunta la curva di solidus, avrò una sola fase solida, per cui
cambierà nuovamente la pendenza della temperatura che dipenderà dal calore
specifico del solido.
Alla concentrazione 𝐶2 sottraendo calore, la temperatura si abbassa e raggiunta
la curva di liquidus cambia pendenza per via del calore latente, ma raggiunta la
curva di solidus, alla temperatura eutettica, si crea un pianerottolo dove la
temperatura rimane costante per un erto periodo. Poiché siamo nel punto di
varianza pari a zero, esistono entrambe le due fasi, per cui fin che non ha
solidificato tutto il liquido la temperatura non può diminuire.
∆𝑃 = 𝜌𝑔ℎ = 𝜋
Dove ℎ è il dislivello tra i due menischi e 𝜌 rro la densità della soluzione, e 𝑔 è la spinta gravitazionale.
Possiamo osservare che la pressione osmotica ha un’espressione proveniente dalla legge di stato dei gas:
𝜋 = 𝑐𝑅𝑇
Ma la differenza con i gas sta nel fatto che questa legge non dipende dalle interazioni tra le particelle ma
dalla quantità di liquido che si sposta.
Poiche 𝑚𝑐 è massa per velocità della luce, dal punto di vista dimensionale è una
quantità di moto, che chiamiamo con 𝑝, possiamo dire che:
𝑝 = ℎ𝜐⁄𝑐 → 𝑝 = ℎ/𝜆
Cioe la quantità di moto dei fotoni è uguale alla costante di plank sulla lunghezza
d’onda, dipende quindi direttamente da essa.
L’energia totale del fotone sarà uguale all’energia necessaria per raggiungere la
soglia di frequenza piu l’energia cinetica dovuta all’elettrone che viene
espulso.
1
ℎ𝑣 = 𝜀 + 𝑚𝑒 𝑣 2
2
Dove 𝜀 è l’energia di ionizzazione del metallo considerato (ℎ𝑣0 ), più
l’energia cinetica dell’elettrone:
𝐸𝑐𝑖𝑛 = 1⁄2𝑚𝑒 𝑣 2 = ℎ(𝜐 − 𝜐0 )
Dove ℎ è la costante di Plank che notiamo rappresentare la pendenza della retta, 𝜐0 è la frequenza di soglia.
Un altro esperimento che dimostrasse l’esistenza dei fotoni è l’effetto Compton, in cui la variazione della
lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica diffusa da un elettrone. Cioè quando una radiazione
elettromagnetica incontra un elettrone la radiazione diffusa dall’elettrone cambia lunghezza d’onda.
Un altro esperimento importante è quello
degli spettri di emissione/assorbimento degli
atomi.
Gli atomi se vengono eccitati attraverso una
sorgente luminosa emettono una radiazione,
che attraverso un prisma, che divide le
lunghezze d’onda, è possibile registrare le
frequenze in cui l’atomo emette, formando
un caratteristico spettro di emissione,
diverso per ogni atomo.
Queste frequenze sono delle strisce discrete prive di
spessore.
Questo fatto venne interpretato dalla serie di Balmer.
Spettri di emissione/assorbimento dell’atomo di H – Serie
di Balmer
Balmer riuscì empiricamente a definire una relazione per
l’atomo di idrogeno in cui le lunghezze d’onda di emissione si potevano determinare dalla relazione:
1 1 1
= 𝑅 ( 2 − 2)
𝜆 2 𝑛
Dove 𝑛 = 3,4, …, ed R è una costante. Ma non era in grado di spiegarne il motivo.
Modello atomico di Bohr
Bohr trovo la serie di Ballmer sulla base di un modello atomico per l’atomo
che aveva formulato. Ma quando si passava all’atomo di elio, questo
sistema non funzionava più. Per cui formulò un suo modello atomico
basato su 4 postulati:
1. Quantizzazione dell’energia, cioè nell’atomo di idrogeno l’unico
elettrone presente si muove intorno al nucleo occupando degli stati energetici ben precisi detti stati
stazionari (accetta in parte la teoria di Planck);
2. Emissione di energia nel passaggio da uno stato stazionario più alto ad uno più basso, cioè l’elettrone
non emette energia ma lo fa solo nel passaggio da uno stato stazionario più alto a uno più basso;
3. Orbita circolare attorno al nucleo ben precisa;
4. Quantizzazione del momento angolare, cioè il momento angolare dell’elettrone può assumere valori
discreti secondo l’espressione:
𝑚𝑣𝑟 = 𝑛ℎ/2𝜋
Dove 𝑛 = 1,2,3, …
Un elettrone può occupare dei certi stati stazionari, a una determinata energia, ma può emettere o ricevere
energia cambiando stato energetico. Un elettrone ricevendo sufficiente energia per passare allo stato
stazionario successivo, passa dallo stato fondamentale a uno stato successivo, viene quindi eccitato, nel
tempo però tenderà a tornare allo stato inziale, per cui verrà ceduta una certa energia, sotto forma di
radiazione luminosa, pari al dislivello dei due stati stazionari. Questa energia è misurata:
ℎ𝜐 = 𝐸2 − 𝐸1
Dove ℎ è la costante di Plank.
Stabilità dell’elettrone (𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 = 10−28 𝑔)
L’elettrone ruotando attorno al nucleo, è stabile, quindi avrà delle forze uguali
e opposte che sono la forza di attrazione elettrostatica e la forza centrifuga:
𝐹𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑑𝑖 𝐶𝑜𝑢𝑙𝑜𝑚𝑏 = 𝑓𝑜𝑟𝑧𝑎 𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑖𝑓𝑢𝑔𝑎
Numericamente parlando:
𝑍𝑒 2⁄𝑟 2 = 𝑚𝑣 2 /𝑟
Dove 𝑒 è la carica dell’elettrone, 𝑍 il numero atomico dell’elemento
considerato, 𝑟 la distanza dell’elettrone dal nucleo. Sfruttando il quarto postulato (𝑚𝑣𝑟 = 𝑛 ℎ/2𝜋) si ha:
𝑛2 ℎ2
𝑟= 2
4𝜋 𝑚𝑍𝑒 2
Dove è chiamata 𝑎0 la parte costante:
ℎ2
= 𝑐𝑜𝑠𝑡
4𝜋 2 𝑚𝑍𝑒 2
Quindi moltiplicando il numero quantico dell’elemento per 𝑎0 si hanno le distanze di tutti gli orbitali dal
nucleo. Bohr calcolò l’energia totale dell’elettrone che è uguale a:
𝐸 = 𝐸𝑐𝑖𝑛 + 𝐸𝑝𝑜𝑡 = 1⁄2 𝑚𝑣 2 − 𝑍𝑒 2 ⁄𝑟 = 1⁄2 𝑍𝑒 2 ⁄𝑟 − 𝑍𝑒 2 ⁄𝑟 = (− 1⁄2 𝑍𝑒 2 )⁄𝑟 = −2𝜋 2 𝑚𝑍 2 𝑒 4 /(𝑛2 ℎ2 )
Si può considerare l’energia potenziale pari a zero, quando
l’elettrone è a distanza infinita dal nucleo, mentre
avvicinandosi all’elettrone l’energia potenziale diminuirà
negativamente.
Bohr, misurando la cessione di energia dell’elettrone da un
livello superiore a uno inferiore, ricavò la lunghezza d’onda e
di conseguenza la frequenza di tutti gli orbitali sopra il terzo
livello energetico, notando che coincidevano alla serie di
Balmer per l’atomo di idrogeno.
Ma ciò che non va bene dai postulati di Bohr, sono il fatto che
l’elettrone ha orbita circolare e che il momento angolare
dell’elettrone è quantizzato esattamente secondo la sua
espressione. Ciò è dovuto dal fatto che passando ad atomi
plurielettronci, le frequenze di emissione non corrispondono più. Il modello di Bohr fu messo in crisi dal
principio di indeterminazione di Heisenberg.
Esso dice che l’errore commesso nella determinazione della posizione di una particella ∆𝑥 , e l’errore
commesso nella determinazione della quantità di moto di una particella ∆𝑝 , il loro prodotto è sempre
maggiore di:
∆𝑥 ∆𝑝 > ℎ/4𝜋
Ciò significa che esiste un limite di precisione entro quanto noi possiamo determinare contemporaneamente
la posizione e la quantità di moto di una particella, cioè la traiettoria della particella. Ma avendo a che fare
con masse così piccole l’errore è molto più elevato della tolleranza definita. Con questo principio si introduce
il principio di indeterminazione, cioè della probabilità di trovare l’elettrone in una regione dello spazio intorno
al nucleo.
Origine della quantizzazione dell’energia – De Broglie: ipotesi dell’onda stazionaria:
secondo Einstein la luce presenta un duplice comportamento, per cui puo essere
considerata sia come un onda elettromagnetica che come un fascio di fotoni. De
Broglie ipotizzò che anche le particelle materiali potessero comportarsi come
corpuscoli o come onde a seconda delle condizioni sperimentali.
𝑝 = 𝑚 𝑣 = ℎ/𝜆
Dove ℎ⁄𝜆 è la quantità di moto dei fotoni. Secondo De Broglie, avviene l’esatto
opposto, cioè che una particella materiale di massa 𝑚 dotata di quantità di moto 𝑚𝑣, genera un’onda che si
può esprimere come un rapporto tra la costante di Plank e la lunghezza d’onda associata il suo corpo.
Ci sono delle onde chiamate onde stazionarie che sono già
quantizzate, è quindi possibile che la quantizzazione dell’energia
discende dal fatto che quando l’elettrone si muove vi si è associata
un’onda stazionaria, che è un fenomeno di quantizzazione.
Quando un elettrone si muove attorno al nucleo genera un’onda
stazionaria quantizzata, e da essa discende la quantizzazione dell’energia dell’elettrone. E quest’onda deve
chiudersi nello spazio in cui è descritta dall’elettrone. Nel caso di un sistema circolare la quantizzazione delle
oscillazioni è descritta da questa equazione:
2𝜋𝑟 = 𝑛 𝜆
Per cui se 𝑛 = 1 la lunghezza d’onda corrisponde ad una intera lunghezza della circonferenza. Così via per
ogni 𝑛.
Sapendo che 𝜆 = ℎ/𝑝, sostituita all’equazione della quantizzazione delle oscillazioni, ottengo:
2𝜋𝑟 = 𝑛ℎ/𝑚𝑣
Otteniamo la quantizzazione del momento angolare:
𝑚𝑣𝑟 = 𝑛ℎ/2𝜋
Che coincide col quarto postulato di Bohr.
È importante il fatto che questo fenomeno ondulatorio non coincide con la traiettoria dell’elettrone, ma
quando l’elettrone si muove intorno al nucleo genera un fenomeno ondulatorio. Questo fenomeno va
considerato sempre per queste grandezze, perché l’elettrone avendo una massa molto piccola nell’ordine
della costante di Plank, fa sì che si generi una lunghezza d’onda significativa, al contrario per le particelle non
appartenenti al mondo microscopico il comportamento ondulatorio non riveste particolare importanza, e il
loro moto può essere descritto tranquillamente dalle leggi della meccanica classica.
Tuttavia, questo modello non è perfettamente corretto, perché in questo caso l’elettrone si muove sul piano,
quando in realtà l’elettrone si muove nello spazio. Interviene quindi un certo Schrodinger.
Equazione di Schrodinger
Egli formulò un modello matematico per cui l’elettrone è descritto come un’onda, che definisce la probabilità
di occupazione della regione di spazio attorno al nucleo:
[−ℎ2 /(8𝜋 2 𝑚)](𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑥 2 + 𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑦 2 + 𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑧 2 ) + 𝑈(𝑥, 𝑦, 𝑧)Ψ = 𝜀Ψ
Dove Ψ (psi) è la funzione d’onda, ℎ è la costante di Plank, 𝑚 è la massa dell’elettrone, 𝑈(𝑥, 𝑦, 𝑧) è l’energia
potenziale ed 𝜀 l’energia totale. Particella m, g v, cm/s 𝜆, Å
Dove il primo membro è il prodotto del Elettrone −28
9.1 × 10 1 7.3 × 108
differenziale secondo di Ψ rispetto (𝑥, 𝑦, 𝑧), che Elettrone 9.1 × 10−28 103 7.3 × 105
si associa all’energia cinetica moltiplicata per la Elettrone 9.1 × 10 −28
10 6
7.3 × 102
funzione d’onda, il secondo membro Elettrone 9.1 × 10−28 106 7.3 × 10−1
dell’equazione è l’energia totale dell’elettrone Microsfera 10 −6 1 6.6 × 10−13
moltiplicata per la funzione d’onda e si associa Microsfera 10−6 106 6.6 × 10− 19
all’energia potenziale per la funzione d’onda Ψ. Microsfera 10−3 1 6.6 × 10−16
Microsfera 1 1 6.6 × 10−19
L’importanza di questa funzione d’onda non sta tanto nella funzione stessa, ma nel suo quadrato:
Ψ 2 = 𝑜𝑟𝑏𝑖𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑎𝑡𝑜𝑚𝑖𝑐𝑜
Indica cioè la probabilità di trovare l’elettrone in quella regione di spazio intorno al nucleo.
Si basa sull’idea di Max Born in analogia con la teoria ondulatoria della luce che attribuisce al quadrato
dell’ampiezza di un’onda elettromagnetica il significato di intensità del campo elettromagnetico, cioè il
numero di fotoni che attraversano l’unità di superficie nell’unità di tempo.
NUMERI QUANTICI
Per la risoluzione dell’equazione di Schrodinger è necessario fissare dei parametri, chiamati numeri quantici:
- Numero quantico principale: 𝑛 = 1,2,3, …
- Numero quantico angolare: 𝑙 = 0,1,2,3, … , 𝑛 − 1
- Numero quantico magnetico: 𝑚 = 0, ±1, ±2, ±3 + ⋯ ± 𝑙
Esiste un altro numero quantico, ma che non discende dall’equazione di Schrodinger chiamato:
- Numero quantico di spin: 𝑠 = + 1⁄2 , −1/2
Esso rappresenta una caratteristica Numero Numero quantico Numero quantico Orbitali
dell’elettrone ed indica il verso di quantico del momento magnetico
rotazione dell’elettrone attorno al suo principale angolare
asse. 1 0 0 1s
La soluzione dell’equazione di 2 0 0 2s
Schrodinger consente di trovare i livelli 1 -1, 0, +1 2p
di energia che può assumere 3 0 0 3s
l’elettrone dell’atomo di idrogeno nel 1 -1, 0, +1 3p
2 -2, -1, 0, +1, +2 3d
suo moto attorno al nucleo:
4 0 0 4s
𝐸 = −2𝜋 2 𝑚𝑍 2 𝑒 4 /(𝑛2 ℎ2 )
1 -1, 0, +1 4p
L’espressione dell’energia coincide
2 -2, -1, 0, +1, +2 4d
perfettamente con quella determinata 3 -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3 4f
da Bohr nel suo modello. Qui però 𝑛 è
un parametro che discende dalla risoluzione di un’equazione, nel modello di Bohr era
proveniente da un postulato.
Il momento angolare definisce il moto angolare dell’elettrone, ed è limitato
superiormente da 𝑛, poiché il moto angolare ha associata una
energia angolare derivante dall’energia totale determinata da
𝑛.
𝐿 = [𝑙(𝑙 + 1)]1/2 (ℎ/2𝜋)
L’espressione della quantizzazione del momento angolare
dell’elettrone è simile quella del modello di Bohr (𝑚𝑣𝑟 =
𝑛ℎ/2𝜋), ma l’errore stava nel fatto che esso è quantizzato dal
numero quantico angolare (𝑙) e non dal numero quantico
principale (𝑛).
Il terzo numero quantico detto magnetico è legato agli effetti
magnetici generati da una carica elettrica generata
dall’elettrone nel suo movimento attorno al nucleo. Esso è
quindi limitato superiormente dal numero quantico secondario.
La combinazione di 𝑛, 𝑙, 𝑚 individuano un orbitale, mentre il
numero quantico di spin indica quale dei due elettroni
antiparalleli si trova all’interno di quell’orbitale.
Il numero quantico 𝑛 determina l’energia degli stati stazionari, e cioè vero per tutti gli elementi, ma negli
atomi plurielettronci, l’energia degli elettroni dipende non solo da 𝑛, ma anche dal numero quantico 𝑙, anche
se in maniera meno significativa.
1 𝑍 3/2 −𝜎⁄2
𝑅(2𝑝) = ( ) 𝜎𝑒
2√6 𝑎0
Nel caso di atomi plurielettronci, potremmo trovarci in presenza di elettroni negli orbitali 1𝑠 e 2𝑠 e nel 2𝑝.
In tal caso gli elettroni degli orbitali 𝑠 trascorrono molto più tempo vicino al nucleo, poiché la probabilità di
trovarsi vicino al nucleo è molto più alta rispetto l’elettrone nell’orbitale 2𝑝 la cui probabilità è quasi nulla.
Quindi gli elettroni che stanno negli orbitali 𝑠 risentiranno di una carica nucleare maggiore, quindi la sua
energia potenziale si abbassa, mentre quelli degli orbitali 𝑝 ne risentiranno di meno.
In conclusione, a ciò, due orbitali pieni dello stesso livello non hanno la stessa energia, poiché un l’orbitale di
tipo 𝑠 ha una maggiore capacità penetrativa rispetto gli altri orbitali di tipo 𝑝.
Inoltre, negli atomi plurielettronici, gli atomi negli elettroni di valenza sono schermati dagli elettroni più
interni, chiamati nocciolo interno, diminuendo la carica attrattiva da parte del nucleo.
Per l’orbitale 3𝑠, la parte angolare è sempre una costante, mentre la
parte radiale è formata da una costante moltiplicata per un polinomio
di terzo grado e per un esponenziale, si osserva quindi che la funzione si
annulla per due valori di 𝑟.
1 𝑍 3/2
𝑅(3𝑠) = ( ) (6 − 6𝜎 + 𝜎 2 )𝑒 −𝜎⁄2
9√3 𝑎0
Si può vedere che all’aumentare del numero dell’orbitale aumenta il
numero di nodi radiali.
Nell’orbitale 3𝑝 la funzione radiale ha una costante moltiplicata per
(4 − 𝜎)𝜎𝑒 −𝜎⁄2 , dove la funzione si annulla per 𝜎 = 0 e per 𝜎 = 4,
presenterà quindi un nodo radiale.
1 𝑍 3/2
𝑅(3𝑝) = ( ) (4 − 𝜎)𝜎𝑒 −𝜎⁄2
9√6 𝑎0
Per l’orbitale 3𝑑 avremo, la funzione radiale che parte da zero per
𝜎 = 0, e all’infinito tende a zero, ma con un’area sottesa molto più
distribuita lungo 𝑟 rispetto che per l’orbitale 2𝑝.
1 𝑍 3/2
𝑅(3𝑑) = ( ) 𝜎 2 𝑒 −𝜎⁄2
9√30 𝑎0
Tutte le parti angolari degli orbitali 𝑝, 𝑑 ed 𝑓 sono funzioni complesse che definiscono angolarmente la parte
di spazio entro cui è definito l’orbitale atomico.
3 1/2 3 1/2
𝑋(𝑝𝑥 ) = (4𝜋) 𝑠𝑒𝑛𝜃𝑐𝑜𝑠𝜙 𝑋(𝑝𝑦 ) = (4𝜋) 𝑠𝑒𝑛𝜃𝑠𝑒𝑛𝜙
1
3 2 5 1/2
𝑋(𝑝𝑧 ) = ( ) 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑥(𝑑𝑧2 ) = ( ) (3 𝑐𝑜𝑠 2 𝜃 − 1)
4𝜋 16𝜋
15 1/2
𝑥(𝑑𝑥𝑧 ) = ( ) 𝑠𝑒𝑛𝜃 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑐𝑜𝑠𝜙
4𝜋
15 1/2
𝑥(𝑑𝑦𝑧 ) = ( ) 𝑠𝑒𝑛𝜃 𝑐𝑜𝑠𝜃 𝑠𝑒𝑛𝜙
4𝜋
15 1/2
𝑥(𝑑𝑥 2 −𝑦2 ) = ( ) 𝑠𝑒𝑛2 𝜃 𝑐𝑜𝑠2𝜙
4𝜋
15 1/2
𝑥(𝑑𝑥𝑦 ) = ( ) 𝑠𝑒𝑛2 𝜃 𝑠𝑒𝑛2𝜙
4𝜋
Ma ciò che a noi interessa è la probabilità di distribuzione radiale, cioè la funzione d’onda al quadrato Ψ 2 .
Essa indica cioè la probabilità di trovare l’elettrone in un volumetto a distanza 𝑟 dal nucleo e di spessore 𝛿𝑟,
ed è uguale a:
𝑅 2 4𝜋𝑟 2 𝛿𝑟
Osservando questa funzione si nota che 4𝜋𝑟 è una costante, quindi la funzione dipende da 𝑅 2 ed 𝑟 2 .
2
Na [𝑁𝑒]3𝑠1
Mg [𝑁𝑒] 3𝑠 2
Al [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 1
Si [𝐻𝑒] 2𝑠 2 3𝑝𝑥 1 3𝑝𝑦1
P [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 1 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧 1
S [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧 1
Cl [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦 2 3𝑝𝑧 1
Ar [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦 2 3𝑝𝑧 2
La configurazione elettronica esterna (rosso) di Idrogeno, Litio, Sodio,
ecc. hanno la stessa configurazione elettronica esterna, cioè con un
solo elettrone nell’orbitale di tipo 𝑠, ed hanno la caratteristica di
cedere facilmente un elettrone. Gli elementi con questa stessa
configurazione sono chiamati metalli alcalini.
Tuttavia, l’idrogeno è un elemento a sé, poiché possiede un solo
elettrone ma anche un solo protone, possiede quindi delle
caratteristiche che lo differenziano da tutti gli altri elementi.
Osservando berillio, Magnesio, ecc. (verde), hanno una configurazione elettronica esterna, hanno due
elettroni nell’orbitale di tipo 𝑠. Hanno sempre un elevata capacità di cedere elettroni, ma in minore quantità
rispetto agli alcalini. Gli elementi di questo gruppo sono chiamati alcalino terrosi.
Per Floro, Cloro, ecc. (blu) gli elettroni di valenza sono 7, con 2 elettroni nell’orbitale s e 5 nell’orbitale p. Gli
elementi che appartengono a questo gruppo hanno una configurazione quasi completa, ed hanno una forte
capacità di accettare elettroni, in tal modo da assumere una configurazione elettronica esterna uguale a
quella del gas nobile che li succede. Questi elementi sono chiamati alogeni.
Mentre Elio, Neon, Argo, ecc. (arancio) hanno tutti una configurazione elettronica esterna completa, dotata
quindi di grande stabilità, per cui non sono propensi né ad accettare né a cedere elettroni. Gli elementi di
questo gruppo si chiamano gas nobili. Via via che aumenta il livello energetico dei gas nobili, la loro capacità
di non cedere né accettare elettroni diminuisce.
Dopo l’Argo abbiamo il Potassio, convenzionalmente dopo l’orbitale 3𝑝 si trova il 3𝑑, ma avendo studiato
l’equazione di Schrodinger, possiamo dire che l’orbitale 4𝑠 ha energia minore del 3𝑑, per cui l’orbitale
riempito dall’ultimo elettrone sarà il 4𝑠.
K [𝐴𝑟]4𝑠1
Ca [𝐴𝑟]4𝑠 2
Subito dopo il Calcio si trova lo Scandio, quindi l’elettrone successivo verrà posizionato nell’orbitale nel
prossimo livello energetico disponibile, cioè il 3𝑑.
Sc [𝐴𝑟]4𝑠1 3𝑑1
Lo Zinco (𝑍𝑛) ha una caratteristica particolare, perché la curva di energia dell’orbitale 3d è talmente bassa
da avere energia quasi minore anche dell’orbitale 4s, per cui se ionizzato si trasforma in 𝑍𝑛2+ poiché i primi
elettroni che cede sono quelli dell’orbitale 4𝑠.
Nel sesto e settimo periodo tra gli orbitali di valenza si presenta anche l’orbitale 4𝑓, che si posiziona subito
dopo il Lantanio e l’Attinio. La prima serie si chiama del Lantanidi, la seconda degli Attinidi e presentano
ognuno 14 elementi. Questi orbitali sono molto ravvicinati con gli orbitali 6s e 7s, per cui definire
sperimentalmente l’ordine di riempimento è molto complicato, ma secondo l’equazione di Schrodinger si
riempiono nell’ordine 6𝑠, 4𝑓, 5𝑑, 6𝑝.
Energia degli orbitali per atomi aventi lo stesso numero di elettroni ma diverso numero atomico
Considerando gli elementi:
𝐾, 𝐶𝑎+ , 𝑆𝑐 2+ , 𝑇𝑖 3+
Possiamo osservare che tutti hanno stesso numero di elettroni, ma diverso numero di protoni, per cui hanno
tutti una stessa configurazione elettronica, ma una carica nucleare sempre maggiore.
IL LEGAME CHIMICO
Due o più atomi si legano tra loro per formare molecole per motivi di natura energetica, cioè formandosi il
legame l’energia potenziale diminuisce.
𝐻 + 𝐻 = 𝐻2
Quando scriviamo la reazione sappiamo che all’equilibrio c’è un’uguaglianza tra la spinta entropica e quella
energetica. La spinta entropica tende a mantenere i due atomi separati (aumenta il disordine molecolare),
quindi a spostare a sinistra l’equilibrio, mentre la spinta energetica tende invece ad abbassare l’energia
potenziale del sistema, cioè a far formare la molecola, la reazione si sposterà quindi verso destra.
Per descrivere meglio il comportamento degli elettroni in un legame molecolare si può usare l’equazione di
Schrodinger (teoria degli orbitali molecolari), ma sarebbe risolvibile solo usando delle tecniche di
approssimazione.
Per studiare meglio il legame atomico esiste un'altra teoria, più semplice, chiamata teoria del legame di
valenza.
Meccanica ondulatoria: Modello atomico di Schrodinger
Studiando il legame con l’equazione di Schrodinger
[−ℎ2 /(8𝜋 2 𝑚)](𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑥 2 + 𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑦 2 + 𝛿 2 Ψ⁄𝛿𝑧 2 ) + 𝑈(𝑥, 𝑦, 𝑧)Ψ = 𝜀Ψ
E considero la molecola formata da atomi la cui descrizione segue della configurazione elettronica segue
l’equazione di Schrodinger, essa terrà in considerazione tutti gli elettroni di ogni atomo che forma la
molecola, quindi avverrà una redistribuzione delle configurazioni degli elettroni nella molecola, per cui si
potrà parlare di orbitali molecolari.
TEORIA DELL’ORBITALE MOLECOLARE - come combinazione lineare degli orbitali atomici (LCAO-MO)
Consideriamo un modello molecolare molto semplice, lo ione molecolare 𝐻2+ , in
questo modello si utilizza l’approssimazione di Born-Oppenheimer, in cui l’unico
elettrone è soggetto all’azione dei due nuclei A e B. Poiché a temperatura costante
l’energia cinetica delle particelle è costante, quindi i due nuclei possono essere
considerati fermi e posti a una distanza 𝑅 che coincide alla lunghezza di legame.
Sappiamo inoltre che la massa dell’elettrone è molto più piccola di quella del
protone, quindi a parità di energia cinetica la velocità dell’elettrone è molto
maggiore.
L’elettrone è quindi soggetto al campo elettrostatico dato dai due nuclei. Si può
quindi esprimere l’orbitale molecolare come una combinazione lineare delle
funzioni d’onda relative al moto dell’elettrone attorno a ciascuno dei due nuclei.
Per cui:
Ψ = Ψ𝐴 ± Ψ𝐵
In cui graficamente avviene una
sovrapposizione delle due curve, e al
quadrato si ottiene:
Ψ 2 = Ψ𝐴2 + 2Ψ𝐴 Ψ𝐵 + Ψ𝐵2
Il cui andamento è molto simile a
quello della funzione d’onda.
Avendo quindi una combinazione lineare positiva, la probabilità che si formi il legame è molto alta. Si dice
quindi che l’orbitale molecolare presenta una interferenza costruttiva, in cui gli elettroni in un legame tra due
atomi si accumulano nelle regioni internucleari dove gli orbitali atomici si sovrappongono ed interferiscono
costruttivamente. Affinché il legame si formi ci deve essere una diminuzione dell’energia potenziale, quindi,
come già sappiamo dall’equazione di Bohr:
1 1
𝐸𝑃 = −𝑒 2 ( + )
𝑟𝐴 𝑟𝐵
l’energia potenziale dell’elettrone si abbassa quando 𝑟𝐴 o 𝑟𝐵 tendono a zero, o a metà strada, cioè nella
regione internucleare, per cui contribuisce a far abbassare l’energia potenziale del sistema.
Esistono diversi metodi per studiare questa molecola, una di queste è il modello
di Heitler-London, in cui i 2 atomi di idrogeno posti a distanza infinita e gli
elettroni sono indistinguibili, cioè che possono essere scambiati. Avvicinandosi
avviene quindi lo scambio di elettroni. Prendendo ad esempio l’atomo di 𝐻𝑒, la
funzione d’onda si può scrivere come il prodotto di due funzioni d’onda:
Ψ = Ψ𝐴 (1)Ψ𝐴 (2)
Dove Ψ𝐴 (1) è la funzione d’onda relativa all’elettrone 1 rispetto al nucleo, e
Ψ𝐴 (2) è la funzione d’onda relativa all’elettrone 2 rispetto lo stesso nucleo.
Quindi sapendo ciò possiamo riscrivere la funzione d’onda dell’𝐻2 è uguale a:
Ψ = Ψ𝐴 (1)Ψ𝐵 (2) + Ψ𝐴 (2)Ψ𝐵 (1)
In cui vista la presenza dei due nuclei l’interazione che c’è tra l’elettrone avviene
con entrambi i nuclei, stessa cosa avviene per entrambi gli elettroni. Gli atomi
avvicinandosi formano un unico orbitale molecolare, ad energia più bassa, in cui
orbitano entrambi gli elettroni.
L’energia di legame è l’energia da fornire ad una molecola per rompere il legame che la lega.
Con questo modello l’energia di legame effettiva è maggiore di quella misurata con questa equazione, vuol
dire che manca qualcosa, al calcolo delle energie.
𝐸𝑙𝑒𝑔𝑎𝑚𝑒 𝑡𝑒𝑜𝑟𝑖𝑐𝑎 < 𝐸𝑙𝑒𝑔𝑎𝑚𝑒 𝑠𝑝𝑒𝑟𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒
Esiste un secondo metodo molto più completo, che è il modello dell’estensione dello ione molecolare. Cioè
tratta il legame chimico come una condivisione di una coppia di elettroni, chiamato propriamente legame
covalente. La funzione d’onda è quindi espressa come il prodotto di due funzioni d’onda Ψ(1) e Ψ(2) dove
ognuno è la combinazione lineare delle funzioni d’onda relativa ad 1 elettrone in relazione ai due nuclei.
Ψ(1) = Ψ𝐴 (1) + Ψ𝐵 (1) e Ψ(2) = Ψ𝐴 (2) + Ψ𝐵 (2)
Ψ = [Ψ𝐴 (1)Ψ𝐵 (2) + Ψ𝐴 (2)Ψ𝐵 (1)] + [Ψ𝐴 (1)Ψ𝐴 (2) + Ψ𝐵 (1)Ψ𝐵 (2)]
Nel modello di Heitler-London si trovava solo una parte di questa funzione d’onda, cioè quella che tiene conto
soltanto dello scambio di elettroni (termine covalente). Questo secondo metodo tiene conto sia del legame
covalente, che della probabilità che i due elettroni interagiscano con un solo nucleo piuttosto che con un
altro (termine ionico). Per cui tiene conto sia dello scambio di elettroni, cioè di un legame covalente, che della
possibilità che ci sia un legame ionico, cioè che entrambi gli elettroni risiedano vicino uno solo dei due nuclei.
In generale qualsiasi legame chimico può essere espresso con una funzione d’onda che ha un termine ionico
e uno covalente. Possiamo quindi scrivere:
Ψ = 𝑎Ψ𝑐𝑜𝑣𝑎𝑙𝑒𝑛𝑡𝑒 + 𝑏Ψ𝑖𝑜𝑛𝑖𝑐𝑜
Per ogni legame chimico questi due coefficienti sono compresi tra 0 e 1, quindi quando:
- 𝑎 = 1, 𝑏 = 0 avremo un legame covalente puro;
- 𝑎 = 0, 𝐵 = 1 avremo un legame ionico puro.
Ma questo concetto ha valenza generale perché presa una molecola istantaneamente ci si può trovare nella
condizione in cui entrambe i due elettroni si trovino vicino uno dei due nuclei, per cui la molecola si trova con
una carica negativa da un lato e una positiva dall’altro (dipolo). Un legame può quindi essere ionico o
covalente, ma non lo è mai del tutto, perché può sempre esserci la probabilità che istantaneamente ci si trovi
nella condizione opposta.
Si ha un legame covalente puro quando ci si trova in presenza di legami tra atomi dello stesso tipo, ad
esempio 𝐻2 , 𝑂2 , 𝑒𝑐𝑐. e sono chiamate molecole omeopolari. Mentre si ha un legame ionico quando ci si trova
in presenza di atomi con proprietà periodiche molto diverse tra loro, ad esempio 𝐻𝐹, 𝐻𝑂, 𝐶𝑂, 𝑒𝑐𝑐. formando
molecole eteropolari.
Elettronegatività:
è una proprietà periodica, il cui andamento è uniforme a quello dell’energia di ionizzazione e dell’affinità
elettronica. La sua definizione:
l’elettronegatività è la capacità da parte di un atomo di attrarre verso di sé gli elettroni di legame.
Esistono due metodi di misurazione dell’elettronegatività, quella riportata sulla tavola periodica e quello di
Pauling (𝑋𝐴 ):
|𝑋𝐴 − 2.1| = 0.10√∆
∆= 𝐸(𝐴−𝐻) − 1/2(𝐸(𝐴−𝐴) − 𝐸(𝐻−𝐻) )
Dove ∆ è la differenza tra l’energia di legame tra l’elemento generico 𝐴 e l’atomo di idrogeno e −1/2 della
differenza dell’energia di legame della molecola 𝐴 − 𝐴 meno l’energia di legame della molecola 𝐻2 .
Questa elettronegatività è molto alta per alcuni elementi come l’ossigeno (𝑂) e il fluoro (𝐹), e molto bassa
per gli elementi come Francio (𝐹𝑟) e Cesio (𝐶𝑠).
Esempio:
La molecola di 𝐻𝐹 ha differenza di elettronegatività 3.98 − 2.1 = 1.78. Per cui ci si troverà in un legame
prevalentemente covalente, perché tra i due elementi non c’è una differenza di elettronegatività tale da
giustificare la presenza di un legame ionico puro. Per cui si potrà scrivere:
𝐻 +𝛿 − 𝐹 −𝛿
Questa molecola non è e quindi un dipolo istantaneo, ma un dipolo permanente, in cui il fluoro ha 3 doppietti
elettronici di non legame e un elettrone condiviso con l’idrogeno a formare il legame.
legame 𝝈 e legame 𝝅
Quando si forma un legame tra due elementi, si genera un orbitale molecolare
entro cui orbitano i due elettroni condivisi. Ma secondo il metodo degli orbitali
molecolari, la funzione d’onda descrive il comportamento di tutti gli elettroni
dei due atomi, che siano di legame e non.
Gli orbitali si caratterizzano mediante il valore del momento angolare:
𝐿 = √𝑙(𝑙 + 1) ℎ⁄2𝜋
Con 𝑙 numero quantico secondario. Se lungo la direzione internucleare:
- 𝐿=0 legame 𝜎
- 𝐿 = 𝑘ℎ/2𝜋 legame 𝜋
Legame 𝜎: tra due orbitali 𝑠, o tra orbitali 𝑠 e 𝑝, o tra due orbitali giacenti lungo
l’asse internucleare.
Legame 𝜋: tra due orbitali 𝑝 non giacenti lungo l’asse internucleare, ed
interagiscono tra loro lateralmente e non frontalmente. Il legame che si forma
sarà quindi un legame un po’ più debole rispetto quelli che si formano a legame
𝜎.
Se tra due atomi c’è un legame singolo questo è sicuramente un
legame 𝜎, mentre se si è in presenza di legami multipli, uno è
necessariamente un legame 𝜎 mentre tutti gli altri saranno
legami 𝜋.
Configurazione elettronica delle molecole
Metodo dell’AUFBAU per le molecole seguendo la successione degli orbitali molecolari 𝜎(𝜎 ∗), 𝜋(𝜋 ∗), in cui
i legami asteriscati sono quelli non leganti. Questa teoria non verrà studiata in questo corso, di cui terremo
sempre conto, ma useremo invece la teoria del legame di valenza.
La teoria VB non è molto precisa perché non interpreta tutte le molecole. Ad esempio, l’ossigeno, la cui
configurazione elettronica:
𝑂 [𝐻𝑒] 2𝑠 2 2𝑝𝑥 2 2𝑝𝑦1 2𝑝𝑧1
Che secondo la teoria di Lewis può formare solo legami doppi. Ma l’𝑂2 è una molecola paramagnetica, cioè
che nella molecola sono presenti elettroni non accoppiati, caratteristica non giustificata dalla teoria VB che
considererebbe tutti gli elettroni accoppiati.
Classificazione dei tipi di legame
Si ha un legame covalente puro quando la
nube elettronica della molecola è simmetrica.
Il legame covalente polare si ha quando si
presenta uno spostamento della nube
elettronica verso l’elemento più
elettronegativo, formando così un dipolo
permanente.
Il legame ionico si ha quando avviene una netta separazione tra le due cariche e si ha una connessione
puramente elettrostatica e adirezionale.
Teoria del legame di valenza - Legame ionico
Ciclo di Bohr-Haber
Prendiamo come esempio il Cloruro di sodio:
𝑁𝑎(𝑆) + 1⁄2 𝐶𝐿2(𝐺) = 𝑁𝑎𝐶𝑙(𝑆)
Il cui processo di unione è molto complesso. Trovandosi inizialmente con sodio allo stato solido e dal cloro
allo stato gassoso, a temperatura ordinaria, si ottiene cloruro di sodio allo stato solido. La cui entalpia di
formazione:
∆𝐻𝑓 = −411 𝑘𝐽/𝑚𝑜𝑙
Questo processo di formazione di questo
composto prevede un ciclo di Bohr-Haber, in cui in
ordinata si ha l’energia.
Ci si trova inizialmente in presenza di 𝑁𝑎(𝑆) +
1⁄2 𝐶𝐿2(𝐺) , è necessario quindi sublimare il sodio,
fornendo una certa energia ∆𝐻1 > 0, devo poi
dissociare il cloro, fornendo una certa energia di
dissociazione ∆𝐻2 > 0, necessaria per ottenere un
atomo dei due elementi allo stato gassoso. Devo
quindi ionizzare il sodio, fornendo energia di
ionizzazione ∆𝐻3 > 0, per ottenere:
+
𝑁𝑎(𝑔) + 𝑒 − + 𝐶𝑙(𝑔)
Devo quindi far sì che il cloro accetti un elettrone,
sottraendogli affinità elettronica, ∆𝐻4 < 0
(processo esotermico), giungendo ad un livello
energetico che presenta:
𝑁𝑎+ + 𝐶𝑙 −
Devo adesso far sì che si formi il reticolo cristallino,
quindi l’energia potenziale deve necessariamente
diminuire drasticamente. Questa energia è
chiamata energia reticolare 𝐸0 (𝑁𝑎𝐶𝑙) < 0, energia
libera nella formazione del reticolo cristallino a
partire dagli ioni isolati.
GEOMETRIA MOLECOLARE
Facendo un’analisi spettroscopica di una struttura molecolare, essa è
caratterizzata da 3 parametri:
- lunghezza di legame (Å)
- Energia di legame (Kcal/mol)
- Angolo di legame
La geometria molecolare è determinata dalla disposizione nello spazio
delle coppie di elettroni di valenza (di legame o non legame) attorno
ad ogni atomo tale da minimizzare la repulsione elettrone-elettrone
(Valence shell electron pair repulsion - VSERP), al fine di raggiungere
una condizione di minima energia nella molecola.
Geometria lineare in cui i due orbitali della molecola centrale che formano il legame
sono orientati a 180°. È una molecola simmetrica, quindi il momento di dipolo totale è
𝜇𝑡 = 0.
- 𝐻𝑔𝐶𝑙2 (cloruro di mercurio)
- 𝐵𝑒𝐶𝑙2 (cloruro di berillio)
- 𝑀𝑔𝐶𝑙2 (cloruro di magnesio)
Geometria trigonale piana in cui i tre orbitali della molecola centrale che formano il legame
sono tutti sullo stesso piano e orientati a 120°. È una molecola simmetrica, quindi il momento
di dipolo totale è 𝜇𝑡 = 0.
- 𝐵𝐶𝑙3 (tricloruro di boro)
- 𝐵𝐹3 (tri fluoruro di boro)
- 𝐵(𝐶𝐻)3 (tri metil di boro)
- 𝐵(𝑂𝐻)3 (tri idrossido di boro)
Geometria tetraedrica piramidale in cui gli orbitali della molecola centrale che formano il
legame sono orientati a 109,5°, a formare un tetraedro. È una molecola simmetrica, quindi il
momento di dipolo totale è 𝜇𝑡 = 0.
- 𝐶𝐻4 (Metano)
- 𝑁𝐻3 (ammoniaca)
- 𝐻2 𝑂 (acqua)
Geometria bipiramidale trigonale che lega tre atomi tutti sullo stesso piano orientati ognuno a
120° l’uno dall’altro, più due atomi legati perpendicolarmente al piano. È sempre una molecola
simmetrica, con momento di dipolo totale 𝜇𝑡 = 0.
- 𝑃𝐶𝑙5 (pentacloruro di fosforo)
- 𝑆𝐹4 (tetrafluoruro di zolfo)
- 𝐶𝑙𝐹3 (tri fluoruro di cloro)
Geometria bipiramidale quadrangolare
I cui atomi sono tutti legati alla molecola centrale ortogonalmente, orientati quindi a 90° l’uno
dall’altro. È una molecola simmetrica, con momento di dipolo totale 𝜇𝑡 = 0.
- 𝑆𝐹6 (esafluoruro di zolfo)
nuovi orbitali semi riempiti, posti entrambi su uno stesso livello energetico. Energeticamente il mercurio
spende un po’ di energia per spostare quell’elettrone al fine di abbassare la sua energia legandosi col cloro.
𝐻𝑔[𝑋𝑒] 4𝑓 14 5𝑑10 6𝑠𝑝1 6𝑠𝑝1
Avviene quindi una ricombinazione degli orbitali atomici esterni e una redistribuzione degli elettroni di
valenza.
Ibridizzazione 𝒔𝒑𝟐
Consideriamo la molecola di 𝐵𝐶𝑙3 (tri-cloruro di Boro), con geometria trigonale piana. La configurazione
elettronica esterna degli elementi:
𝐵 [𝐻𝑒]2𝑠 2 2𝑝𝑥 1
𝐶𝑙 [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦 2 3𝑝𝑧1
Il Boro così strutturato può formare un unico legame, ma sappiamo che esistono anche altri due orbitali 2𝑝
vuoti, posso quindi ipotizzare che un elettrone del 2𝑠 passi su un orbitale 2𝑝 vuoto, formando tre orbitali
semi riempiti, identici. Questi tre orbitali tutti con stessa energia sono orbitali ibridizzati 𝑠𝑝2 .
𝐵 [𝐻𝑒]2𝑠𝑝2 2𝑠𝑝2 2𝑠𝑝2
I cui orbitali respingendosi l’uno dall’altro formano una struttura planare trigonale, con angoli di 120° l’uno
dall’altro.
Ibridizzazione 𝒔𝒑𝟑
Consideriamo la molecola di 𝐶𝐻4 (Metano), con struttura tetraedrica piramidale. La configurazione
elettronica degli elementi:
𝐶 [𝐻𝑒] 2𝑠 2 2𝑝𝑥1 2𝑝𝑧1
𝐻 1𝑠1
Il carbonio ha quattro elettroni di valenza, e in teoria potrebbe formare solo due legami con i due elettroni
spaiati negli orbitali 2𝑝, ma in realta ne forma quattro, perché un elettrone del 2𝑠 passa nell’orbitale 2𝑝𝑧
vuoto, per cui si ottengono 4 elettroni spaiati. Ma questi quattro orbitali sono tutti e quattro uguali, a stessa
energia ed equidistanti l’uno dall’altro di 109,5°. Quindi questi orbitali si sono ibridizzati 𝑠𝑝3 :
𝐶 [𝐻𝑒] 𝑠𝑝3 𝑠𝑝3 𝑠𝑝3 𝑠𝑝3
Ibridizzazione 𝒔𝒑𝟑 𝒅
Consideriamo la molecola 𝑃𝐶𝑙5 (pentacloruro di fosforo) a struttura bipiramidale trigonale. La configurazione
elettronica degli elementi:
𝑃 [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 1 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧1
𝐶𝑙 [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦 2 3𝑝𝑧1
Il fosforo ha i tre orbitali 3𝑝 tutti semi riempiti, per cui possono formare 3 legami. Trovandosi nel terzo livello
energetico si dispone anche degli orbitali 3𝑑, per cui un elettrone dell’orbitale 3𝑠 passa in un orbitale 3𝑑, in
cui tutti gli orbitali sono identici e isoenergetici. Quindi tutti gli orbitali degli elettroni di valenza sono stati
ibridizzati 𝑠𝑝3 𝑑.
𝑃 [𝑁𝑒] 𝑠𝑝3 𝑑 𝑠𝑝3 𝑑 𝑠𝑝3 𝑑 𝑠𝑝3 𝑑 𝑠𝑝3 𝑑
La struttura dei legami assume questa geometria, perché è la condizione di minima energia.
Ibridizzazione 𝒔𝒑𝟑 𝒅𝟐
Consideriamo la molecola 𝑆𝐹6 (esafluoruro di zolfo) a geometria bipiramidale quadrangolare o ottaedrica. La
configurazione elettronica degli elementi:
𝑆 [𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧1
𝐹 [𝐻𝑒] 2𝑠 2 2𝑝𝑥 2 2𝑝𝑦 2 2𝑝𝑧1
Lo zolfo potrebbe formare solo due legami, ma in questo caso ne forma sei, perché entrano in gioco anche
gli orbitali 3𝑑, per cui un elettrone del 3𝑠 e l’elettrone del 3𝑝𝑥 passano negli orbitali 3𝑑, si formano quindi
sei orbitali semi riempiti, equidistanti e isoenergetici. Questi orbitali quindi si ibridizzano tra di loro formando
sei orbitali ibridizzati 𝑠𝑝3 𝑑2 ciascuno contenete un elettrone e formante un legame col fluoro.
𝑆 [𝑁𝑒] 𝑠𝑝3 𝑑2 𝑠𝑝3 𝑑2 𝑠𝑝3 𝑑2 𝑠𝑝3 𝑑2 𝑠𝑝3 𝑑2 𝑠𝑝3 𝑑2
LEGAME DATIVO
Il legame dativo è un legame covalente, in cui il
doppietto elettronico è donato solo da uno dei due
atomi, mentre l’altro atomo mette solo a
disposizione un orbitale vuoto a bassa energia.
Prendiamo in esame la molecola di 𝑁𝐻3 , la cui configurazione elettronica dell’azoto:
𝑁 [𝐻𝑒] 2𝑠 2 2𝑝𝑥 1 2𝑝𝑦1 2𝑝𝑧1
3
Che viene ibridizzato 𝑠𝑝 , e uno di questi orbitali ha un doppietto elettronico non condiviso.
In presenza di 𝐻 + , l’azoto utilizza questo doppietto elettronico sovrapponendolo con l’orbitale 1𝑠 vuoto
dell’idrogeno. Si viene a formare quindi una molecola di 𝑁𝐻4+ , ed è carica positivamente perché l’azoto ha
donato un elettrone allo ione idrogeno. È quindi uno ione molecolare, chiamato ione ammonio. Questa
molecola è una piramide tetraedrica perfetta, quindi simmetrica, perché una volta avvenuto il legame dativo,
esso diventa come ogni altro legame covalente, per cui tutti gli atomi di idrogeno diventano uguali.
LEGAME A IDROGENO
Un caso particolare di legame dativo è dato dalla
molecola dell’acqua, ed è chiamato legame ad
idrogeno. Sappiamo già che la molecola di acqua è
fortemente polarizzata, negativamente dalla parte
dell’ossigeno e positivamente dalla parte
dell’idrogeno. Se una molecola di acqua deve
interagire con altre molecole di acqua, questa lo farà
orientando la parte negativa verso quelle positive
delle altre molecole e viceversa. L’interazione che avviene tra
queste molecole è di tipo elettrostatico, perché stiamo parlando
di dipoli elettrici, ma in realtà il legame è molto più stabile,
perché essendo l’ossigeno molto elettronegativo, gli elettroni
staranno molto più vicini all’ossigeno che all’idrogeno. Di
conseguenza l’orbitale 1𝑠 dell’idrogeno è quasi vuoto, quindi
uno dei doppietti non di legame dell’ossigeno entra in
condivisione con l’idrogeno. Avviene quindi un’interazione quasi
covalente, direzionale, che avviene con la sovrapposizione dei
due orbitali 1𝑠 vuoto dell’idrogeno e l’𝑠𝑝3 pieno dell’ossigeno.
Questo legame è chiamato ponte ad idrogeno, e viene
rappresentato con una linea tratteggiata.
Sappiamo già che alla solidificazione dell’acqua, la sua densità
diminuisce, ciò è dovuto dal fatto che tra le molecole si formano degli spazi vuoti esagonali, dovuti dalla
stabilizzazione delle molecole tramite questi legami a idrogeno.
Questo fenomeno non si presenta allo stato liquido perché aumenta l’energia cinetica delle molecole, quindi
questi legami, più deboli dei legami intramolecolari, si rompono permettendo le molecole di compattarsi
maggiormente.
Queste interazioni intermolecolari determinano anche la temperatura critica di una sostanza, dove per
ottenere lo stato gassoso l’energia cinetica deve vincere queste interazioni tra le molecole.
Ad esempio, l’ammoniaca, in cui l’orbitale 1s dell’idrogeno non è così vuoto come per l’acqua, si vengono
sempre a creare sempre delle interazioni tra le molecole, ma si tratta di legami a idrogeno meno significativi.
LEGAMI MULTIPLI
Prendendo in esame 3 molecole, etano, etilene e acetilene,
osserviamo che in tutte e tre le molecole ci sono legami 𝐶 − 𝐶. Da
indagini spettroscopiche si osserva che questo legame ha diverse
lunghezze, cioè all’aumentare degli idrogeni della molecola la
distanza del legame 𝐶 − 𝐶 aumenta ma l’energia di legame
diminuisce.
Nella molecola di etano, il carbonio è ibridizzato 𝑠𝑝3 e tutti i suoi elettroni sono
impegnati in un legame, tre elettroni legati con gli idrogeni e uno col carbonio,
quindi non rimane alcun doppietto isolato.
Nella molecola di etilene, tre degli elettroni del carbonio sono impiegati in un legame
𝜎, due con gli idrogeni e uno col carbonio, quindi è ibridizzato 𝑠𝑝2 . Ma rimane
inutilizzato un elettrone, che passato in un orbitale 2𝑝, forma un legame 𝜋 col
carbonio. Ciò spiega la diminuzione della distanza di legame C-C e l’aumento di
energia.
In fine nella molecola di acetilene (o etino) il carbonio è ibridizzato 𝑠𝑝, poiché un
elettrone del 2𝑠 viene promosso nell’orbitale 2𝑝𝑧, è due elettroni andranno a
formare legami 𝜎, uno C-C e uno H-C, mentre gli altri due elettroni andranno a formare 2 legami 𝜋, tra i due
atomi di carbonio formando così un triplo legame. Si avrà quindi una maggiore energia di legame, e una
distanza di legame più corta.
Quando si ha un legame triplo, gli orbitali interagiscono tra loro, come se intorno all’asse internucleare ci
fosse un'unica nube elettronica, avviene cioè un fenomeno di delocalizzazione elettronica. Cioè gli elettroni
che inizialmente si trovano in un ben preciso orbitale, si troveranno a orbitare in una regione molto più
estesa, che è quella regione di spazio in cui gravitano le tre nubi elettroniche di legame. Questa
delocalizzazione stabilizza molto più la molecola.
Si può quindi dedurre che un elemento può formare tanti legami quanti orbitali semi riempiti può generare.
Casi particolari
Il Biossido di carbonio è formato da un carbonio centrale che lega due atomi di ossigeno,
il carbonio ha 4 elettroni di valenza per cui può formare 4 legami, due di questi sono
legami 𝜎, mentre gli altri 2 formano legami 𝜋, è una molecola lineare, per cui l’angolo tra i legami è di 180° e
l’ibridizzazione è di tipo 𝑠𝑝. Mentre l’ossigeno ha 6 elettroni di valenza di cui due impegnati nel legame
doppio, gli altri quattro formano due doppietti elettronici. Per questa molecola esistono delle altre possibili
strutture meno probabili.
L’azoto forma tre legami tra i due atomi, la cui configurazione elettronica esterna è di 5
elettroni nel secondo livello, e può formare al massimo 3 legami. Presenterà anche un
doppietto elettronico, disposto in modo da minimizzare l’energia della molecola, cioè a 180° dal legame
intramolecolare. I due atomi di azoto sono ibridizzati 𝑠𝑝, i cui orbitali formano uno il doppietto elettronico,
l’altro il legame 𝜎 con l’altro atomo di azoto, e i due orbitali non ibridizzati formano due legami 𝜋.
Il monossido di carbonio è particolare perché il carbonio può formare 4 legami, mentre
l’ossigeno può formarne solo due, solo in casi particolari tre o quattro. La formula di
struttura di CO presenta un triplo legame, ciò è dovuto dal fatto che l’ossigeno, attraverso uno dei suoi due
doppietti, forma un legame dativo, nei confronti dell’atomo di carbonio, perché ha l’orbitale 2𝑝𝑧
completamente vuoto. Quindi l’ossigeno perde un elettrone, e gli elettroni restanti formano un doppietto
elettronico e due formano due legami col carbonio. L’angolo tra doppietto e legame è di 180° quindi
ibridizzato 𝑠𝑝. Mentre il carbonio, si troverà con un elettrone in più ottenuto dal legame dativo, mentre due
formano un doppietto elettronico e altri due formano il legame con l’ossigeno. Anche il carbonio ha angolo
tra il doppietto e il legame di 180, per cui è ibridizzato 𝑠𝑝. In cui l’orbitale ibridizzato con l’elettrone singolo
forma un orbitale 𝜎, e l’elettrone dell’orbitale 2𝑝 e il legame dativo formano legami 𝜋.
Avviene quindi una separazione di carica, l’ossigeno avrà una carica positiva (+𝛿), e il carbonio una carica
negativa (−𝛿).
Si potrebbe inizialmente pensare che la formula di struttura presenti un doppio legame, dovuto dal fatto che
l’ossigeno è più elettronegativo, in realtà il carbonio non spende energia per promuovere l’elettrone nel 2pz,
orbitale che viene messo a disposizione dell’ossigeno per creare un legame dativo. Questo processo in un
certo modo favorisce l’abbassamento dell’energia della molecola.
Formule di risonanza
Il benzene è una molecola ad anello, esagonale regolare.
Sappiamo già che il carbonio ha 4 elettroni di valenza, e
solitamente forma quattro legami. Per cui un elettrone
passa dall’orbitale 2𝑠 all’orbitale 2𝑝𝑧. Ciascun atomo di
carbonio è legato ad un atomo di idrogeno e ai due atomi di carbonio circostanti, per cui è ibridizzato 𝑠𝑝2 . Il
quarto elettrone formerà un doppio legame con uno degli atomi di carbonio adiacenti. Ogni angolo di legame,
sarà quindi di circa 120° e la molecola è interamente planare.
Facendo un’analisi sperimentale si nota una incongruenza. Cioè i legami 𝜋 che danno il doppio legame agli
atomi di carbonio sono solo 3, per cui tre dei legami 𝐶 − 𝐶 devono essere più corti degli altri, ma si osserva
che tutte le lunghezze di legame e le energie di legame 𝐶 − 𝐶 sono identiche. Ciò significa che i legami doppi
che si presentano tra 𝐶 − 𝐶, in un istante sono in una posizione e nell’istante dopo nell’altra, e si dice che il
benzene ha due strutture di risonanza, e si rappresentano con la doppia freccia.
Gli orbitali 2𝑝𝑧 sono tutti ortogonali al piano della molecola, e formano tra di loro una delocalizzazione
elettronica, cioè si viene a formare un'unica nube elettronica in cui gli elettroni orbitano liberamente. Queste
strutture ad anello sono chiamate strutture aromatiche.
Il benzene è una molecola molto stabile, ma può formare degli addotti, tramite un legame quasi dativo, cioè
lega a sé altre molecole tramite i doppietti elettronici delocalizzati.
Altri casi di legami multipli si trovano nelle molecole:
- Biossido di carbonio (𝐶𝑂2 )
- Azoto (𝑁2 )
- Monossido di carbonio (𝐶𝑂)
LEGAMI DIPOLARI
Sono dei legami adirezionali perché sono interazioni elettrostatiche, dovute dal fatto che ogni carica elettrica
genera attorno a sé un campo elettrostatico, ed avendo attorno a sé dei dipoli permanenti o istantanei questi
si orientano verso questi campi elettrostatici con carica opposta. Inoltre, questi campi elettrostatici
influenzano le molecole apolari, causando una redistribuzione delle cariche all’interno della molecola.
Interazione ione – dipolo (40 − 600 𝐾𝐽/𝑚𝑜𝑙 )
Se abbiamo un sale (𝑁𝑎𝐶𝑙), in acqua si dissocia, formando degli ioni, questi ioni
positivi o negativi, generano attorno a sé un campo elettrostatico, e i dipoli
dell’acqua, che sono dipoli permanenti si orienteranno, con la carica positiva rivolta
verso l’anione (𝐶𝑙 − ), e con la carica negativa rivolta verso il catione (𝑁𝑎+ ). Questo è
chiamato fenomeno di solvatazione dello ione, ed avviene quando uno ione è
interamente circondato di cariche di segno opposto, inoltre questo fenomeno stabilizza lo ione perché fa sì
che la carica dello ione si distribuisce su uno spazio più ampio.
Questa interazione ione-dipolo, ed è una interazione significativa, non come un legame ionico, ma più di ogni
altra interazione elettrostatica.
Interazione dipolo permanente – dipolo permanente (forze di Van der Waals) (1 − 10 𝐾𝐽/𝑚𝑜𝑙)
Sono interazioni deboli tra dipoli permanenti (𝐻2 𝑂, 𝑁𝐻3 , 𝐶𝑂, 𝐻𝑁𝑂3 , 𝐻𝐶𝑙), e
interagiscono attraverso interazioni elettrostatiche orientandosi tra poli di cariche
opposte.
Interazione ione – dipolo indotto (40 KJ/mol)
Sono interazioni poco significative in cui gli ioni immessi in soluzione di solventi
apolari, le molecole di solvente all’interno del campo elettrostatico dello ione, pur
essendo un dipolo istantaneo, si orienta esponendo la parte più negativa in prossimità dello ione positivo o
viceversa.
Interazione dipolo istantaneo – dipolo istantaneo (Forze di London) (1 KJ/mol)
Sono interazioni molto deboli ma molto importanti, che si generano quando si
hanno due molecole molto vicine e completamente apolari, perché essendo dipoli
istantanei, le molecole vicine generano un’interazione elettrostatica istantanea, l’una condizionando la carica
della molecola vicina.
Queste forze sono responsabili della liquefazione di molecole apolari, come 𝐻2 , che a pressione molto alta,
quindi le molecole sono molto vicine tra loro entrano in gioco queste forze di London che permettono
l’interazione tra le molecole, quindi iniziano a prevalere le forze attrattive tra le molecole, che permette il
passaggio di stato dell’idrogeno allo stato liquido.
STATO SOLIDO
I solidi sono distinti in diverse categorie:
- Solidi cristallini ionici, come quelli dei Sali;
- Solidi cristallini molecolari, come quelle molecole che sono dipoli molto forti, che
permettono l’istaurarsi di ponti a idrogeno e quindi la stabilizzazione allo stato
solido (𝐻2 𝑂);
- Solidi macromolecolari, formati da atomi della stessa sostanza legati tra di loro a
formare una macromolecola (Carbonio).
Il carbonio, nei suoi stati allotropici, è un elemento in grado di esistere in diverse strutture
macromolecolari, per cui presentano anche caratteristiche differenti:
- Diamante, il carbonio è legato in struttura tetraedrica, per cui il carbonio è
ibridizzato 𝑠𝑝3 , ciò conferisce una certa rigidezza al diamante, poiché ogni
carbonio è legato ad altri 4 atomi di carbonio covalentemente.
- Grafite, in cui il carbonio è legato in struttura trigonale planare, per cui si vanno
a formare dei fogli a struttura esagonale, il carbonio è quindi ibridizzato 𝑠𝑝2 .
Il quarto elettrone va a formare un doppio legame 𝜋, che trovandosi in una
struttura esagonale porterà ad una delocalizzazione degli orbitali 2𝑝𝑧 (come
il benzene), questa caratteristica permette ai diversi fogli di grafite di
interagire tra loro, con interazioni molto deboli, per cui la grafite si scalfisce
molto facilmente.
- Fullerene (𝐶60), che presenta una struttura sferica, formata da esagoni e
pentagoni, dove ogni carbonio è ibridizzato 𝑠𝑝2 . Per allungamento di questa
macromolecola si ottengono dei nanotubi in carbonio, cavi, con le pareti formate da
esagoni, con ibridizzazione del carbonio 𝑠𝑝2 .
Questa macromolecola può avere diversi usi, sia
come rinforzo all’interno di matrici polimeriche,
in campo elettrico, ecc.
LEGAME METALLICO
I solidi metallici sono buona
parte degli elementi della
tavola periodica, in cui è
sempre rappresentata una
linea spezzata che divide i
metalli dai non metalli.
L’idrogeno è sempre un
elemento con caratteristiche
proprie, quindi, non fa parte di
questa selezione, anche se in
determinate condizioni di
temperatura e pressione può
essere considerato come un
metallo.
Gli elementi che stanno
sinistra della linea spezzata
sono metalli, quelli che stanno a destra sono non metalli, mentre quelli che stanno in prossimità della linea
spezzata sono detti semimetalli. Il carattere metallico è più accentuato più si va verso il basso e verso sinistra.
In alcuni casi per aumentare la conducibilità dei semiconduttori si opera il drogaggio negativo dei
semiconduttori, che consiste nel sostituire alcuni atomi del semiconduttore con atomi di un altro elemento,
ad esempio silicio e fosforo (stesso periodo, ma un elettrone in più rispetto al silicio), ciò permette di avere
una banda di valenza in più ad energia più alta rispetto a quella del silicio, per cui gli elettroni che passeranno
nella banda di conduzione saranno quelli del fosforo e solo successivamente quelli del silicio.
Un altro metodo è il drogaggio positivo,
che consiste nell’introdurre atomi con
meno elettroni del semiconduttore, ad
esempio silicio e boro, dove il boro ha
meno elettroni di valenza del silicio, si
viene a creare quindi una lacuna
elettronica, cioè stiamo introducendo una
banda di conduzione a bassa energia, quindi l’elettrone nella banda di
valenza del silicio utilizzerà come banda di conduzione quella del boro, poiché il band gap è molto minore.
Con questa teoria, la definizione non è limitata all’acqua, ma si può applicare anche per solventi non acquosi,
l’esistenza di un acido è legata a quella di una base e viceversa, in fine un acido può produrre una sua base
coniugata 𝐴− , e una base può produrre un suo acido coniugato 𝐵𝐻 + . Tanto più forte è l’acido tanto più
debole è la sua base coniugata.
Questo trasferimento protonico può avvenire in ambo le direzioni, infatti anche per questo tipo di reazioni
può essere considerata una costante di equilibrio, il cui valore numerico definisce la forza delle due coppie
coniugate, cioè quanto l’equilibrio è spostato verso destra o verso sinistra.
Le sostanze come l’acqua, che in base alla sostanza con cui reagiscono si comportano da acido o da base, si
dice che hanno un comportamento anfotero.
Un'altra teoria fu formulata da Lewis, che pone alla base del comportamento acido base il trasferimento
elettronico.
Si definisce acido di Lewis una sostanza capace di accettare almeno uno ione pair (doppietto
elettronico), mentre una base di Lewis è una sostanza capace di donare almeno uno ione pair.
𝐻 + + 𝐻2 𝑂 → 𝐻3 𝑂+
In cui l’acido deve avere un orbitale vuoto, mentre la base deve avere un doppietto elettronico disponibile
ibridizzato, per cui il tipo di legame che si forma tra un acido e una base di Lewis è un legame dativo.
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 → 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻3 𝑂+
Dove 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 è l’acido acetico e 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂−
è lo ione acetato. Si creano quindi due coppie
coniugate acido-base. Applicando la teoria di
Lewis quello che accetta il doppietto
elettronico, non è tutta la molecola, ma
soltanto lo ione idrogeno 𝐻 + , che viene detto acido primario, mentre l’acido acetico viene detto acido
secondario.
Lo ione 𝐻 + ceduto dall’acido acetico è sempre e solo quello legato all’ossigeno, perché, essendo l’ossigeno
molto elettronegativo, l’idrogeno è molto più carico positivamente, di conseguenza il suo orbitale è quasi
completamente vuoto, quindi può essere ceduto all’acqua, a cui si lega con un legame dativo.
Non necessariamente un acido è quindi quello che cede uno ione 𝐻 + , ad esempio il tricloruro di alluminio
(𝐴𝑙𝐶𝑙3 ) ha proprietà acide, poiché l’alluminio è ibridizzato 𝑠𝑝2 , mantiene l’orbitale 3𝑝𝑧 vuoto, che può essere
utilizzato per accogliere un doppietto elettronico.
Considerando l’idrossido di sodio, la cui reazione in soluzione acquosa:
𝑁𝑎𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 → 𝑁𝑎+ + 𝑂𝐻 − + 𝐻2 𝑂
L’acqua non svolge alcun ruolo nella reazione se non come ambiente per favorire la dissociazione, ha quindi
un ruolo di catalizzatore, perché la dissociazione dell’idrossido di sodio è totale.
Questo sale è considerato come una base per Arrenius, perché è in grado di cedere uno ione 𝑂𝐻 − , ma è
anche una base secondaria secondo Lewis, perché solo lo ione 𝑂𝐻 − è in grado di cedere un doppietto
elettronico ad un acido, che è quindi la base primaria.
Considerando la reazione dell’ammoniaca in soluzione acquosa:
𝑁𝐻3 + 𝐻2 𝑂 → 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 −
+
In cui lo ione ammonio (𝑁𝐻4 ) è considerato una base secondo B&L perché accetta uno ione 𝐻 + , ed anche
secondo Lewis, mentre l’acqua è considerata un acido secondo B&L, ma un acido secondario secondo Lewis
perché a ricevere il doppietto elettronico non è tutta la molecola di ammoniaca ma solo lo ione 𝐻 + .
Costante di equilibrio acido-base
Quando abbiamo a che fare con degli acidi e vogliamo sapere quale è più acido dell’altro, bisogna tenere in
considerazione la costante di equilibrio, cioè più alta è la costante di equilibrio, più la reazione è spostata
verso destra, quindi più è forte la tendenza di quell’acido a cedere lo ione 𝐻 + .
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 → 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻3 𝑂+
In cui la costante di equilibrio verrà espressa come 𝐾𝑐 , cioè la costante di equilibrio secondo le concentrazioni
molari:
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ][𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑒𝑞 =
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻][𝐻2 𝑂]
In condizioni normali (𝑡𝑒𝑚𝑝 = 25°𝐶).
Sapendo che l’acqua è il solvente, presente quindi in grande quantità, possiamo dire che la costante di
equilibrio moltiplicata per la concentrazione dell’acqua da sempre una costante. Questa costante è chiamata
costante di dissociazione acida 𝐾𝑎 .
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ][𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑎 = 𝐾𝑒𝑞 [𝐻2 𝑂] =
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻]
Quindi per determinare quale acido è più forte di un altro devo valutare la costante di dissociazione alla
temperatura considerata (tabellata a 𝑡 = 298,15𝐾).
In presenza di acidi forti non ha senso parlare di costante di equilibrio, perché avviene una reazione completa,
cioè la concentrazione molare del reagente acido si azzera per cui la costante tende all’infinito, quindi la
reazione è spostata tutta verso destra. Per poter misurare l’acidità di questi acidi forti bisogna farli reagire
non con acqua ma con acidi più deboli in modo che possa instaurarsi un equilibrio.
𝐻𝐶𝑙 + 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 → 𝐶𝑙 − + 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻2+
Un altro termine che spesso si utilizza nel calcolo dell’acidità è il 𝑝𝐾𝑎 , esso è un operatore matematico che
sta per:
𝑝𝐾𝑎 = − log 𝐾𝑎
utile successivamente per definire il 𝑝𝐻.
In presenza di una base in soluzione acquosa:
𝑁𝐻3 + 𝐻2 𝑂 = 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 −
In cui la costante di equilibrio:
[𝑁𝐻4+ ][𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑒𝑞 =
[𝑁𝐻3 ][𝐻2 𝑂]
Dove la concentrazione dell’acqua è costante, che moltiplicata per la costante di equilibrio da sempre una
costante, chiamata costante di dissociazione basica.
[𝑁𝐻4+ ][𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑏 = 𝐾𝑒𝑞 [𝐻2 𝑂] =
[𝑁𝐻3 ]
Autoionizzazione dell’acqua
Anche in acqua pura esiste un equilibrio tra le molecole di acqua e i suoi ioni, chiamato anche equilibrio di
autoprotolisi.
𝐻2 𝑂 + 𝐻2 𝑂 = 𝐻3 𝑂+ + 𝑂𝐻 −
Cioè le molecole di acqua comportandosi sia da acido che da base hanno la facoltà di cedere o accettare ioni
𝐻 + . La costante di equilibrio si scrive quindi:
[𝐻3 𝑂+ ][𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑒𝑞 =
[𝐻2 𝑂]2
Dove l’acqua è sempre una costante, posso sempre moltiplicarla per la costante di equilibrio ottenendo
sempre una costante:
𝐾𝑤 = 𝐾𝑒𝑞 [𝐻2 𝑂]2 = [𝐻3 𝑂+ ][𝑂𝐻 − ] = 10−14
E si chiama prodotto ionico dell’acqua. Cioè il prodotto delle sue concentrazioni molari dei suoi ioni, alla
temperatura di 25°C. Questo processo di autoprotolisi è endotermico (∆𝐻 > 0) quindi all’aumentare della
temperatura il prodotto ionico dell’acqua aumenta.
Il rapporto in moli tra i due ioni è 1:1, quindi anche le concentrazioni hanno lo stesso rapporto, quindi in
acqua pura la concentrazione di 𝑂𝐻 − , che è uguale alla concentrazione di 𝐻3 𝑂+, è uguale a 10−7. Quindi se
alla soluzione acquosa aggiungo un acido, sto aggiungendo ioni 𝐻3 𝑂+, aumenta quindi la sua concentrazione,
ma il prodotto ionico dell’acqua rimane quello iniziale perché la temperatura non cambia, quindi la
concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+ > 10−7 𝑀. Se alla soluzione acquosa aggiungo una base, sto aggiungendo ioni
𝑂𝐻 − , aumenta quindi la sua concentrazione, ma il prodotto ionico dell’acqua rimane quello iniziale, quindi
la concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+ < 10−7 𝑀.
A questo punto, si può definire il 𝑝𝐻:
𝑝𝐻 = − log[𝐻 + ]
- per l’acqua pura si ha 𝑝𝐻 = 7,
- in una soluzione acida 𝑝𝐻 < 7 e 𝑝𝑂𝐻 > 7
- in una soluzione basica 𝑝𝐻 > 7 e 𝑝𝑂𝐻 < 7
Analogamente si definisce il 𝑝𝑂𝐻:
𝑝𝑂𝐻 = − log[𝑂𝐻 − ]
𝑝𝐻 = 14 − 𝑝𝑂𝐻
Quando mettiamo in acqua un acido o una base forte,
notiamo che queste si dissocia totalmente, formando
rispettivamente ioni 𝐻3 𝑂+ o ioni 𝑂𝐻 − . Mentre se
mettiamo in acqua un acido o una base debole, si
dissociano solo in parte, e rimangono in acqua delle
molecole non dissociate, perché si raggiunge uno stato di
equilibrio oltre la quale la dissociazione si ferma.
Una relazione importante si ha tra le costanti di equilibrio
di un acido e la sua base coniugata, in cui:
𝐾𝑤 = 𝐾𝑎 × 𝐾𝑏
Dove riprendendo la costante di equilibrio basica
dell’ammoniaca, e moltiplicando e dividendo per [𝐻3 𝑂+ ]:
[𝑁𝐻4+ ][𝑂𝐻 − ][𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑏 =
[𝑁𝐻3 ][𝐻3 𝑂+ ]
Si ottiene che la parte arancione corrisponde a 𝐾𝑤 , mentre
la parte in verde corrisponde a 1/𝐾𝑎 .
Struttura e proprietà di acidi e basi
Uno dei metodi per capire quando una sostanza che presenta il gruppo 𝑂𝐻 è un acido o una base, è
osservando il gruppo 𝑋 a cui è legato il gruppo ossidrile:
𝑁𝑎𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 = 𝑁𝑎+ + 𝑂𝐻 − + 𝐻2 𝑂
Dove l’acqua si può escludere dalla reazione perché fa da “spettatore”. Poiché è una base molto forte la
reazione avviene totalmente quindi 𝑁𝑎𝑂𝐻 reagisce completamente, quindi:
𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝑁𝑎+ + 𝑂𝐻 −
−1
Iniziale 10
finale - 10−1 10−1
Ci scriviamo l’equilibrio di autoprotolisi dell’acqua:
𝐻2 𝑂 + 𝐻2 𝑂 = 𝐻3 𝑂+ + 𝑂𝐻 −
Quindi la concentrazione di 𝑂𝐻 − :
[𝑂𝐻 − ]𝑡𝑜𝑡 = [𝑂𝐻 − ]𝑁𝑎𝑂𝐻 + [𝑂𝐻 − ]𝑤
Sappiamo già che [𝑂𝐻 − ]𝑤 = 10−7 𝑀 se ci trovassimo in acqua pura, ma trovandoci in presenza di una base
molto forte questa quantità aumenta, quindi per il principio di Le Chatelier Braun, l’equilibrio di autoprotolisi
si sposta verso sinistra. Sappiamo già che la concentrazione di 𝑂𝐻 − proveniente dalla base è molto maggiore
di quella proveniente dall’acqua (10−7), quindi quella proveniente dall’acqua si può trascurare.
Il 𝑝𝑂𝐻 quindi si calcola solo in funzione della concentrazione iniziale dell’acido (𝐶𝑏 ).
𝑝𝑂𝐻 = − log 𝐶𝑏 = − log 10−1 = 1
𝑝𝐻 = 14 − 𝑝𝑂𝐻 = 14 − 1 = 13
Si parla per cui di una soluzione fortemente basica.
Conoscendo la concentrazione di 𝑂𝐻 − in soluzione, possiamo trovarci quella proveniente dall’acqua:
𝐾𝑤 10−14
[𝐻3 𝑂+ ] = = = 10−13 𝑀
[𝑂𝐻 − ] 10−1
Che è uguale alla concentrazione molare di 𝑂𝐻 − proveniente dall’acqua.
2 𝐻2 𝑂 = 𝑂𝐻 − + 𝐻3 𝑂+
Iniziale
finale 10−13 10−13
Acidi forti - Soluzioni diluite
Per soluzioni diluite si intende quando la concentrazione inziale di soluto va da 10−5 𝑀 a 10−7 𝑀.
Prendiamo in esame l’acido cloridrico (𝐻𝐶𝑙), con concentrazione 𝐶𝑎 = 10−6 𝑀. Per conoscerne il 𝑝𝐻
dobbiamo sempre calcolare la concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+ nella sua soluzione in acqua.
Scriviamo la reazione acido-base in acqua e l’equilibrio di autoprotolisi dell’acqua:
𝐻𝐶𝑙 + 𝐻2 𝑂 = 𝐶𝑙 − + 𝐻3 𝑂+
2 𝐻2 𝑂 = 𝐻3 𝑂+ + 𝑂𝐻 −
Essendo un acido molto forte 𝐻𝐶𝑙 reagisce completamente, quindi:
𝐻𝐶𝑙 + 𝐻2 𝑂 = 𝐶𝑙 − + 𝐻3 𝑂+
Iniziale 10−6
finale 10−6 10−6
Dobbiamo calcolare il 𝑝𝐻, ci serve sempre sapere la concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+:
[𝐻3 𝑂+ ]𝑡𝑜𝑡 = [𝐻3 𝑂+ ]𝐻𝐶𝑙 + [𝐻3 𝑂+ ]𝑤
Sappiamo già che [𝐻3 𝑂+ ]𝑤 = 10−7 𝑀, mentre la concentrazione di 𝐻3 𝑂+ proveniente dall’acido coincide
con la concentrazione dell’acido cioè [𝐻3 𝑂+ ]𝐻𝐶𝑙 = 10−6 𝑀, quindi confrontabili. Per la legge di Le Chatelier
Braun, lo spostamento verso sinistra dell’equilibrio dell’autoprotolisi avviene sempre, ma è proporzionale
alla quantità di acido messo in acqua, quindi poco spostato verso sinistra, quindi [𝐻3 𝑂+ ]𝑤 < 10−7 𝑀.
Per determinare le concentrazioni devo quindi utilizzare un sistema a due equazioni e due incognite
𝐾𝑤 = [𝐻3 𝑂+ ][𝑂𝐻 − ]
{
[𝐻3 𝑂+ ] = [𝑂𝐻 − ] + [𝐶𝑙 − ]
Di cui nella prima equazione conosco il 𝐾𝑤 , e le concentrazioni indicate sono quelle totali. Mentre la seconda
equazione, chiamata equazione di elettroneutralità della soluzione, e dice che la concentrazione delle cariche
positive presenti in soluzione deve essere uguale alla concentrazione delle cariche negative presenti in
soluzione. Da cui conosciamo 𝐶𝑙 − , che coincide con la concentrazione molare dell’acido (𝐶𝑎 ). Risolvendo:
𝐾𝑤
[𝑂𝐻 − ] =
𝐾𝑤 [𝑂𝐻 − ] =
[𝐻3 𝑂 + ] [𝐻3 𝑂 + ]
{ { 𝐾𝑤
[𝐻3 𝑂+ ] = [𝑂𝐻 − ] [𝐶𝑙 − ]
+ [𝐻3 𝑂+ ] = 𝐶
[𝐻3 𝑂 + ] 𝑎
Dove, dividendo ambo i membri per 𝐻3 𝑂+ , ottengo un’equazione di secondo grado:
𝐾𝑤
[𝑂𝐻 − ] =
{ [𝐻3 𝑂+ ]
[𝐻3 𝑂+ ]2 − 𝐶𝑎 [𝐻3 𝑂+ ] − 𝐾𝑤 = 0
da cui si ricavano due soluzioni per[𝐻3 𝑂+ ], una positiva ed una negativa, ma va considerata solo quella che
dà senso fisico al sistema. Quindi [𝐻3 𝑂+ ]𝑡𝑜𝑡 = 1,001 × 10−6
Si può quindi ricavare anche 𝑂𝐻 − dalla prima equazione.
Basi forti – soluzioni diluite
Prendiamo sempre in esame l’idrossido di sodio (𝑁𝑎𝑂𝐻), con concentrazione 𝐶𝑏 = 10−6 𝑀. Per conoscerne
il 𝑝𝐻 dobbiamo calcolare il 𝑝𝑂𝐻 tramite la concentrazione di ioni 𝑂𝐻 − nella sua soluzione in acqua.
𝑝𝐻 = 14 − 𝑝𝑂𝐻
Scriviamo la reazione acido-base in acqua e l’equilibrio di autoprotolisi dell’acqua:
𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝑁𝑎+ + 𝑂𝐻 −
2 𝐻2 𝑂 = 𝐻3 𝑂+ + 𝑂𝐻 −
Dove l’acqua si può escludere dalla reazione perché fa da “spettatore”. Poiché è una base molto forte la
reazione avviene totalmente quindi 𝑁𝑎𝑂𝐻 reagisce completamente, quindi ci scriviamo le concentrazioni
della base:
𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝑁𝑎+ + 𝑂𝐻 −
Iniziale 10−6
finale - 10−6 10−6
Quindi la concentrazione di 𝑂𝐻 − :
[𝑂𝐻 − ]𝑡𝑜𝑡 = [𝑂𝐻 − ]𝑁𝑎𝑂𝐻 + [𝑂𝐻 − ]𝑤
Conoscendo già la concentrazione di 𝑂𝐻 − della base, possiamo dire che, secondo la legge di Le Chatelier
Braun, avviene sempre lo spostamento verso sinistra dell’equilibrio dell’autoprotolisi, sarà quindi spostato
verso sinistra.
[𝑂𝐻 − ]𝑤 > 10−7 𝑀
Per determinare le concentrazioni devo sempre utilizzare un sistema a due equazioni e due incognite
𝐾𝑤 = [𝐻3 𝑂+ ][𝑂𝐻 − ]
{
[𝐻3 𝑂+ ] + [𝑁𝑎+ ] = [𝑂𝐻 − ]
Di cui nella prima equazione conosco il 𝐾𝑤 , e le concentrazioni indicate sono quelle totali. Mentre la seconda
equazione di elettroneutralità della soluzione, da cui conosciamo 𝑁𝑎+ = 𝐶𝑏 , che coincide con la
concentrazione molare dell’acido (𝐶𝑎 ). Risolvendo:
𝐾𝑤 𝐾𝑤
[𝑂𝐻 − ] = [𝑂𝐻 − ] =
[𝐻3 𝑂 + ] [𝐻3 𝑂 + ]
{ 𝐾𝑤 { 𝐾
[𝐻3 𝑂+ ] + [𝑁𝑎+ ] = [𝐻3 𝑂+ ] + 𝐶𝑏 = [𝐻 𝑂𝑤+]
[𝐻3 𝑂 + ] 3
Dove, dividendo ambo i membri per 𝐻3 𝑂+ , ottengo un’equazione di secondo grado:
𝐾𝑤
[𝑂𝐻 − ] =
{ [𝐻3 𝑂+ ]
[𝐻3 𝑂+ ]2 + 𝐶𝑏 [𝐻3 𝑂+ ] − 𝐾𝑤 = 0
da cui si ricavano due soluzioni per[𝐻3 𝑂+ ], ma va considerata solo quella che dà senso fisico al sistema. Da
cui si ricava il 𝑝𝐻:
𝑝𝐻 = − log 𝐶𝑏
−
Per verifica, si può ricavare anche 𝑂𝐻 dalla prima equazione.
Osservando la reazione acido-base, pur sapendo che la base in soluzione non reagisce tutta, sappiamo che
per ogni mole di base che reagisce si forma la stessa quantità in moli di 𝑁𝐻4+ e 𝑂𝐻 − , poiché stiamo
trascurando l’𝑂𝐻 − proveniente dall’acqua, possiamo scrivere:
[𝑂𝐻 − ]2
𝐾𝑏 =
[𝑁𝐻3 ]
Per quanto riguarda la concentrazione di 𝑁𝐻3 all’equilibrio, sappiamo che 𝐶𝑏 è la concentrazione iniziale, ma
la base reagisce solo in parte. All’equilibrio la quantità di 𝑁𝐻3 reagita sarà pari alla quantità di ioni 𝑂𝐻 − che
si formano. Quindi all’equilibrio rimane [𝑁𝐻3 ] = 𝐶𝑏 − [𝑂𝐻 − ]. Possiamo allora scrivere:
[𝑂𝐻 − ]2
𝐾𝑏 =
𝐶𝑏 − [𝑂𝐻 − ]
Si ricorda che il numero di moli è uguale alla concentrazione molare (𝑀) per il volume della soluzione.
𝑚𝑜𝑙 = 𝑣𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 × 𝑀
Per trovare quindi la concentrazione di 𝑂𝐻 − bisogna risolvere l’equazione di secondo grado:
[𝑂𝐻 − ]2 + 𝐾𝑏 [𝑂𝐻 − ] − 𝐶𝑏 𝐾𝑏 = 0
Quindi:
𝑝𝑂𝐻 = − log[𝑂𝐻 − ] → 𝑝𝐻 = 14 − 𝑝𝑂𝐻
Questa equazione si può ulteriormente semplificare, cioè quando la base è molto debole e molto concentrata
si può trascurare anche [𝑂𝐻 − ] rispetto a 𝐶𝑏 . Per poter effettuare la semplificazione:
𝐶𝑏 = 102 𝐾𝑏
In tal caso:
[𝑂𝐻 − ]2 = 𝐶𝑏 𝐾𝑏 → [𝑂𝐻 − ] = √𝐶𝑏 𝐾𝑏
I casi di base o acido deboli diluiti non verranno trattati.
Sali
Ricordiamo che mettendo un composto ionico in soluzione acquosa, questo si dissocia in due ioni, uno con
carica positiva e uno con carica negativa. Mentre se si mette in soluzione acquosa un acido con una base in
quantità equimolari, si ottiene è un sale.
Prendiamo in considerazione il sale 𝑁𝑎𝐶𝑙:
𝐻𝐶𝑙 + 𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝑁𝑎𝐶𝑙 + 𝐻2 𝑂
Se questi due soluti sono un acido e una base forti, e sono messi in soluzione nella stessa quantità molare,
alla fine non resterà né acido né base, e si ottiene il sale e acqua. Questa si dine reazione di salificazione o di
neutralizzazione acido-base.
Ma il sale in acqua si dissocia completamente, quindi neutralizzati l’acido e la base questi si troveranno in
acqua già dissociati e solvatati:
𝑁𝑎𝐶𝑙 = 𝑁𝑎+ + 𝐶𝑙 −
Adesso per capire il comportamento acido-base della soluzione salina, analizziamo il comportamento degli
ioni dissociati del sale:
Nel caso del 𝐶𝑙 − , sappiamo già che è una base coniugata dell’ 𝐻𝐶𝑙 che è un acido forte. Ma se l’acido è molto
forte, di conseguenza la sua base coniugata è molto debole, quindi ammesso che la reazione inziale avvenga,
questa tornerebbe subito indietro, perché l’acido reagirebbe immediatamente con l’acqua per formare
𝐻3 𝑂+.
𝐶𝑙 − + 𝐻2 𝑂 ← 𝐻𝐶𝑙 + 𝑂𝐻 −
Quindi questa reazione non avviene e il 𝐶𝑙 − è uno ione spettatore.
Nel caso di 𝑁𝑎+ , che è un acido di Lewis, in acqua dovrebbe reagire formando la sua base coniugata 𝑁𝑎𝑂𝐻,
ma 𝑁𝑎𝑂𝐻 è una base molto forte, quindi ammesso che la reazione avvenga tornerebbe subito indietro.
𝑁𝑎+ + 𝐻2 𝑂 ← 𝑁𝑎𝑂𝐻 + 𝐻3 𝑂+
Quindi anche questa reazione non avviene, e 𝑁𝑎+ è uno ione spettatore.
Possiamo quindi dire che il 𝑝𝐻 della reazione rimane 𝑝𝐻 = 7. Quindi ogni qual volta che in soluzione acquosa
si trova un sale proveniente da un acido forte e una base forte, il 𝑝𝐻 sarà neutro.
Altri casi simili:
Dove 𝑁𝐻4+ è l’acido coniugato della base 𝑁𝐻3 , e 𝐶𝑙𝑂− è la base coniugata dell’acido 𝐻𝐶𝐿𝑂. È chiaro che il
𝑝𝐻 di questa soluzione dipende dalle costanti di dissociazione di questo acido e questa base, quindi dalla
forza, acida o basica, di questi due composti.
Sapendo che le costanti di dissociazione:
- 𝑁𝐻3 → 𝐾𝑏 = 1,8 × 10−5 quindi:
𝐾𝑤 10−14
𝑁𝐻4+ → 𝐾𝑎 = = = 5,5 × 10−10
𝐾𝑏 1,8 × 10−5
- 𝐻𝐶𝑙𝑂 → 𝐾𝑎 = 3 × 10−8
𝐾𝑤 10−14 1
𝐶𝑙𝑂− → 𝐾𝑏 = = −8
= × 10−6
𝐾𝑎 3 × 10 3
La costante di dissociazione della base è più forte della costante di dissociazione dell’acido, per cui la base è
più forte dell’acido, quindi il pH della soluzione è sicuramente basica.
SOLUZIONI TAMPONE
È una soluzione che riesce a tamponare l’effetto di un acido forte o di una base forte in soluzione acquosa,
cioè riesce a mantenere il 𝑝𝐻 di una soluzione, pressoché costante nonostante l’aggiunta di piccole quantità
di acido forte o base forte. Anche se in una soluzione tampone aggiungessimo altro solvente, il 𝑝𝐻 non
cambia.
Soluzione tampone - per un acido debole
Una soluzione tampone è fatta dalla contemporanea presenza di un acido debole e un suo sale. Ad esempio:
- Acido debole: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 𝐶𝑎 𝐾𝑎 = 1,8 × 10−5
- Sale: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝑁𝑎 𝐶𝑠
Con 𝐶𝑎 ≈ 𝐶𝑠 . Ci scriviamo la dissociazione del sale e la reazione di dissociazione acida in soluzione acquosa:
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝑁𝑎 → 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝑁𝑎+
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 = 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻3 𝑂+
La dissociazione del sale è totale, i cui prodotti hanno concentrazione 𝐶𝑠 , mentre quella dell’acido si ferma
all’equilibrio poiché è un acido debole. Lo ione 𝑁𝑎+ una volta reagito, rimane solvatato in acqua, quindi può
essere considerato come spettatore, mentre lo ione 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− proveniente dal sale è una base debole (𝐾𝑏 =
5,5 × 10−10 ), che in acqua reagisce secondo la reazione:
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻2 𝑂 = 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝑂𝐻 −
Questa reazione, insieme alla reazione di dissociazione acida, avvengono contemporaneamente.
Scrivendo la costante di dissociazione 𝐾𝑎 :
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ][𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑎 =
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻]
Per trovare il 𝑝𝐻, devo conoscere la concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+. Per la concentrazione di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂−
all’equilibrio, so che inizialmente è pari a 𝐶𝑠 , ma reagisce nella reazione basica quindi in parte si consuma,
ma in parte si riforma per via della reazione acida, avviene quindi una compensazione.
Questi due equilibri quindi si influenzano perché 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− viene prodotto nella reazione acida, ma in parte
si consuma nell’altra reazione dove fa da reagente (si consuma solo in parte perché ha una costante di
dissociazione più debole rispetto quella dell’acido), per cui l’equilibrio della reazione si sposta leggermente
verso sinistra. Ma osservando il secondo equilibrio, di conseguenza, anch’esso viene influenzato dalla
presenza del primo equilibrio, infatti la presenza di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 nella reazione acida, secondo il principio di Le
Chatelier Braun, influenza la reazione basica aumentandone i prodotti, quindi l’equilibrio si sposterà verso
sinistra:
𝐶𝐻 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 = 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻3 𝑂+
{ 3
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻2 𝑂 ← 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝑂𝐻 −
Quindi la concentrazione di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− rimane pressocché uguale a quella iniziale, e ciò è dovuto da 3 validi
motivi: è una base debole, si recupera [𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ] dal primo equilibrio e il primo equilibrio influenza il
secondo spostando verso sinistra la reazione. Quindi nella costante di dissociazione acida, posso considerare
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ] = 𝐶𝑠 .
𝐶𝑠 [𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑎 =
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻]
Mentre la concentrazione di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 all’equilibrio, partendo da una concentrazione 𝐶𝑎 , sappiamo che è
un acido debole, per cui reagisce solo in parte, in parte si recupera dal secondo equilibrio e in fine la presenza
del secondo equilibrio influenza il primo spostando verso sinistra la reazione. Quindi la concentrazione
dell’acido all’equilibrio può essere considerata [𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻] = 𝐶𝑎 , quindi:
𝐶𝑠 [𝐻3 𝑂+ ]
𝐾𝑎 =
𝐶𝑎
Ci ricaviamo 𝐻3 𝑂+:
𝐶𝑎
[𝐻3 𝑂+ ] = 𝐾𝑎 ×
𝐶𝑠
Determiniamo il pH:
𝐶𝑎
−log[𝐻3 𝑂+ ] = − log 𝐾𝑎 − log
𝐶𝑠
Dove − log 𝐾𝑎 = 𝑝𝐾𝑎 e −log[𝐻3 𝑂+ ] = 𝑝𝐻, quindi:
𝐶𝑎 𝐶𝑎
𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎 − log = 5 − log 1,8 − log
𝐶𝑠 𝐶𝑠
In cui le due concentrazioni sono uguali, quindi − log 1 = 0, possiamo quindi dire che:
𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎
Quando voglio creare una soluzione tampone con un pH costante, in un intorno ben preciso, devo trovare
una soluzione tampone formata da un acido debole e un suo sale la cui costante di dissociazione dell’acido
debole sia un intorno di quello cercato
Soluzione tampone – per una base debole
- Base debole: 𝑁𝐻3 𝐶𝑏 𝐾𝑏 = 1,8 × 10−5
- Sale: 𝑁𝐻4 𝐶𝑙 𝐶𝑠
Con 𝐶𝑏 ≈ 𝐶𝑠 . Ci scriviamo la dissociazione del sale e i due equilibri di dissociazione:
𝑁𝐻4 𝐶𝑙 → 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 −
𝑁𝐻 + 𝐻2 𝑂 = 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 −
{ +3
𝑁𝐻4 + 𝐻2 𝑂 = 𝑁𝐻3 + 𝐻3 𝑂+
Queste due reazioni avvengono contemporaneamente. Scrivendo la costante di dissociazione 𝐾𝑏 :
[𝑁𝐻4+ ][𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑏 =
[𝑁𝐻3 ]
Per trovare il 𝑝𝑂𝐻, devo conoscere la concentrazione di ioni 𝑂𝐻 − . Questi due equilibri si influenzano perché
𝑁𝐻4+ viene prodotto nella reazione acida, ma in parte si consuma nell’altra reazione dove fa da reagente (si
consuma solo in parte perché ha una costante di dissociazione più debole rispetto quella dell’acido), per cui
l’equilibrio della reazione si sposta leggermente verso sinistra. Ma osservando il secondo equilibrio, di
conseguenza, anch’esso viene influenzato dalla presenza del primo equilibrio, infatti la presenza di 𝑁𝐻3 nella
reazione basica, secondo il principio di Le Chatelier Braun, influenza la reazione acida aumentandone i
prodotti, quindi l’equilibrio si sposterà verso sinistra:
𝑁𝐻 + 𝐻2 𝑂 = 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 −
{ +3
𝑁𝐻4 + 𝐻2 𝑂 ← 𝑁𝐻3 + 𝐻3 𝑂+
La concentrazione di 𝑁𝐻4+ rimane pressocché uguale a quella iniziale, quindi nella costante di dissociazione
acida, posso considerare [𝑁𝐻4+ ] = 𝐶𝑠 .
𝐶𝑠 [𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑏 =
[𝑁𝐻3 ]
La concentrazione di 𝑁𝐻3 all’equilibrio, partendo da una concentrazione 𝐶𝑏 , rimane anch’essa pressoché
costante, quindi la concentrazione della base all’equilibrio può essere considerata [𝑁𝐻3 ] = 𝐶𝑏 , quindi:
𝐶𝑠 [𝑂𝐻 − ]
𝐾𝑏 =
𝐶𝑏
Ci ricaviamo 𝑂𝐻 − :
𝐶𝑏
[𝑂𝐻 − ] = 𝐾𝑏 ×
𝐶𝑠
Determiniamo il 𝑝𝑂𝐻:
𝐶𝑏
−log[𝑂𝐻 − ] = − log 𝐾𝑏 − log
𝐶𝑠
Dove − log 𝐾𝑏 = 𝑝𝐾𝑏 e −log[𝑂𝐻 − ] = 𝑝𝑂𝐻, quindi:
𝐶𝑏 𝐶𝑏
𝑝𝑂𝐻 = 𝑝𝐾𝑏 − log = 5 − log 1,8 − log
𝐶𝑠 𝐶𝑠
In cui le due concentrazioni sono uguali, quindi − log 1 = 0, possiamo quindi dire che:
𝑝𝑂𝐻 = 𝑝𝐾𝑏
Allo stesso modo, quando voglio creare una soluzione tampone con un 𝑝𝐻 costante, in un intorno ben
preciso, devo trovare una soluzione tampone formata da una base debole e un suo sale la cui costante di
dissociazione della base debole sia un intorno di quello cercato.
Acido forte in soluzione tampone
Supponiamo, in un litro di soluzione tampone, di voler aggiungere un acido forte come 𝐻𝐶𝑙: con una
concentrazione di 𝐶𝑎 = 10−3 𝑀, in assenza di una soluzione tampone il 𝑝𝐻, sarebbe:
𝐻𝐶𝑙 + 𝐻2 𝑂 → 𝐶𝑙 − + 𝐻3 𝑂+
+
La reazione è completa, si trascura 𝐻3 𝑂 proveniente dall’acqua, quindi il 𝑝𝐻 = 3.
Se metto la stessa concentrazione di 𝐻𝐶𝑙 in una soluzione tampone come:
- Acido debole: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 𝐶𝑎 𝐾𝑎 = 1,8 × 10−5
- Sale: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝑁𝑎 𝐶𝑠
−
L’acido reagisce subito con 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂 secondo la reazione:
𝐻𝐶𝑙 + 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− → 𝐶𝑙 − + 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻
𝐻𝐶𝑙 è un reagente limitante, in più è un acido forte, quindi reagisce tutto, e si consuma un po’ di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− :
0,001
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− ] = 𝐶𝑠 −
1𝑙
Mentre di 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 se ne forma un po’, quindi:
0,001
[𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻] = 𝐶𝑎 +
1𝑙
Quindi:
𝐶𝑎 + 0,001
𝑝𝐻 = (5 − log 1,8) − log
𝐶𝑠 − 0,001
Poiché 𝐶𝑠 e 𝐶𝑎 sono simili, questa variazione è molto piccola, inoltre i valori sotto logaritmo sono molto
smorzati, quindi il 𝑝𝐻 cambia molto poco.
Altre soluzioni tampone sono:
- 𝑁𝑎𝐻𝐶𝑂3 − 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3
Che sono due Sali, dove il primo si dissocia in 𝑁𝑎+ 𝑒 𝐻𝐶𝑂3− , dove 𝐻𝐶𝑂3− è ancora un acido, mentre
𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 si dissocia in 2𝑁𝑎+ e 𝐶𝑂32− , dove 𝐶𝑂32− è la base coniugata di 𝐻𝐶𝑂3− , abbiamo quindi in
soluzione un acido debole e un suo sale.
- 𝑁𝑎𝐻2 𝑃𝑂4 − 𝑁𝑎2 𝐻𝑃𝑂4
Sono sempre due Sali che si dissociano, il primo 𝑁𝑎 + 𝑒 𝐻2 𝑃𝑂4−, dove 𝐻2 𝑃𝑂4− deriva da 𝐻3 𝑃𝑂4 (acido
fosforico) che è un acido triprotico, mentre il secondo sale si dissocia in 2𝑁𝑎+ e 𝐻𝑃𝑂42− , si
stabiliscono quindi due equilibri dove si ha un acido debole e la sua base coniugata.
Soluzione tampone da acido debole e base forte
Supponiamo di avere due soluzioni acquose:
- 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 (acido acetico) 10−1 𝑀 𝑣 = 100𝑚𝑙
−1
- 𝑁𝑎𝑂𝐻 (idrossido di sodio) 10 𝑀 𝑣 = 50𝑚𝑙
Unisco queste due soluzioni dal volume di 150 𝑚𝑙 e voglio calcolarne il 𝑝𝐻:
Calcoliamo le moli:
𝑚𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 = 10−1 × 10−1 = 10−2
𝑚𝑁𝑎𝑂𝐻 = 10−1 × 5 × 10−2 = 5 × 10−3
Quando l’acido reagisce con la base, secondo la reazione:
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝑁𝑎 + 𝐻2 𝑂
Poiché la base è molto forte, anche se l’acido è debole, la reazione avviene in maniera quantitativa, quindi
reagisce tutto il reagente limitante, formando un sale, ma ci sarà un reagente residuo:
𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝑁𝑎𝑂𝐻 = 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝑁𝑎 + 𝐻2 𝑂
−2 −3
Iniziale 10 5 × 10 -
−2 −3
finale 10 × 5 × 10 - 5 × 10−3
Avrò quindi un sale, prodotto della reazione, e un residuo di acido debole, quindi una soluzione tampone.
Quindi per calcolare il 𝑝𝐻 devo applicare la formula della soluzione tampone.
𝐶𝑎 10−2 − 5 × 10−3
𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎 − log = (5 − log 1,8) − log
𝐶𝑠 5 × 10−3
Acidi poliprotici
Esistono anche gli acidi in grado di cedere più di un protone e basi in grado di accettare da un acido più di un
protone, questi acidi vengono detti poliprotici, ma non verranno studiati.
STRUTTURE MOLECOLARI
Il biossido di zolfo, sappiamo che lo zolfo ha configurazione elettronica esterna:
𝑆[𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧1
Deve formare un legame con solo 2 atomi di ossigeno, ma l’ossigeno può formare anche
un doppio legame perché ha un elettrone spaiato in più, quindi si aggiunge un altro legame per ogni ossigeno,
resta così un doppietto elettronico allo zolfo e due all’ossigeno. Lo zolfo, quindi, promuove l’elettrone del
3𝑝𝑥 nell’orbitale 3𝑑, in cui si ibridizza 𝑠𝑝2 , dove i due elettroni ibridizzati formano i due legami 𝜎, mentre gli
orbitali 3𝑝𝑧 e 3𝑑 che formano i legami 𝜋.
𝑆[𝑁𝑒] 3𝑠𝑝22 3𝑠𝑝12 3𝑠𝑝12 3𝑝𝑧1 3𝑑1
La struttura della molecola sarà quindi trigonale planare.
Il triossido di zolfo, lo zolfo questa volta deve formare 3 legami con l’ossigeno.
𝑆[𝑁𝑒] 3𝑠 2 3𝑝𝑥 2 3𝑝𝑦1 3𝑝𝑧1
L’ossigeno può formare un doppio legame, quindi si aggiunge un altro legame per ogni
ossigeno, allo zolfo non resta quindi alcun elettrone e all’ossigeno rimangono i suoi due
doppietti elettronici. Lo zolfo, quindi, promuove l’elettrone del 3𝑠 e 3𝑝𝑥 negli orbitali
3𝑑, in cui si ibridizza 𝑠𝑝2 , dove i tre elettroni ibridizzati formano i tre legami 𝜎, mentre
l’orbitale 3𝑝𝑧 e i due 3𝑑 formano i legami 𝜋.
𝑆[𝑁𝑒] 3𝑠𝑝22 3𝑠𝑝12 3𝑠𝑝12 3𝑝𝑧1 3𝑑1
La struttura molecolare è sempre trigonale planare. Ma questa non è la struttura
più probabile perché lo zolfo non promuove i due elettroni nell’orbitale 3𝑑, perché
poco favorevole ma forma con due dei tre ossigeni due legami dativi, con i due
doppietti provenienti dai legami ibridizzati. Questa struttura ha tre forme di
risonanza, quindi più stabile.
L’acido carbonico (𝐻2 𝐶𝑂3) è un acido diprotico, cioè ha due elettroni legati
all’ossigeno. Il carbonio forma 3 legami con l’ossigeno, per cui è ibridizzato
𝑠𝑝2 , l’elettrone rimanente forma un legame 𝜋 con l’ossigeno che non lega
alcun idrogeno. La molecola centrale ha quindi struttura tetraedrica planare.
Le molecole 𝑁𝑎𝐻𝐶𝑂3 (bicarbonato di sodio) e 𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 (carbonato disodico),
sono dei Sali provenienti dall’acido carbonico, messo in soluzione con una
determinata base, e in soluzione acquosa si scompongono:
𝑁𝑎𝐻𝐶𝑂3 = 𝑁𝑎+ + 𝐻𝐶𝑂3−
𝑁𝑎2 𝐶𝑂3 = 2𝑁𝑎+ + 𝐶𝑂32−
Lo ione 𝐶𝑂3− ha una molecola simile a quella di 𝑆𝑂3 ma con carica negativamente, ed ha tre forme di
risonanza.
L’acido formico (𝐶𝐻𝑂𝑂𝐻) è molto simile all’acido acetico, ma qui il carbonio è
legato a un solo idrogeno. Il carbonio è ibridizzato 𝑠𝑝2 mentre l’ossigeno è
ibridizzato 𝑠𝑝3 . L’acido formico è un acido un po’ più forte dell’acido acetico, per
cui l’𝐻 + legato all’ossigeno è più facile da cedere.
ELETTROCHIMICA
È necessario introdurre un concetto importante per poter parlare di elettrochimica:
EQUILIBRI DI SOLUBILITA’
Sono molto simili agli equilibri chimici, ma si calcolano in sistemi eterogenei, ed avviene in soluzione.
La solubilità (𝑠) è misurata in 𝑚𝑜𝑙/𝑙, ed è la concentrazione massima che una specie può avere in soluzione.
Cioè oltre quella soglia il soluto immesso in soluzione precipita sul fondo senza dissolversi. In tal caso la
soluzione si dirà satura.
Esempio:
Osserviamo il cloruro di argento (𝐴𝑔𝐶𝑙).
+ −
𝐴𝑔𝐶𝑙(𝑠) = 𝐴𝑔(𝑎𝑞) + 𝐶𝑙(𝑎𝑞)
Questo sale ha una bassa solubilità, inoltre è un sale per cui in acqua si dissocia immediatamente. Per cui
raggiunta la soglia di solubilità si formerà un corpo di fondo solido, mentre la parte che si è dissolta sarà
all’equilibrio.
Esisterà quindi un equilibrio eterogeneo tra il corpo di fondo e gli ioni dissociati in acqua che si sono dissolti.
Si definisce prodotto di solubilità il rapporto tra i due ioni disciolti:
[𝐴𝑔+ ][𝐶𝑙 − ]
𝐾𝑒𝑞 =
𝑎𝐴𝑔𝐶𝑙
Dove 𝑎 è l’attività del solido non dissociato, e che essendo una costante anch’essa viene inglobata nella
costante di equilibrio, che da un’altra costante, chiamata prodotto di solubilità (tabellato a 25°C).
𝐾𝑝𝑠 = [𝐴𝑔+ ][𝐶𝑙 − ]
Dove all’esponente vanno sempre i coefficienti stechiometrici della reazione. Questo equilibrio dipende solo
dalla temperatura, quindi a temperatura costante questo prodotto non può cambiare.
Conoscendo 𝐾𝑝𝑠 , poiché il rapporto in moli dei due ioni dissociati e 1: 1, la quantità di sostanza dissociata è
uguale alla solubilità del sale.
𝐾𝑝𝑠 = 𝑠 × 𝑠
Quindi:
𝑠 = √𝐾𝑝𝑠
Se aggiungessimo all’interno della soluzione cloruro di Sodio (𝑁𝑎𝐶𝑙), che è un sale molto solubile, esso si
dissocia secondo la reazione:
𝑁𝑎𝐶𝑙 = 𝑁𝑎+ + 𝐶𝑙 −
E lo fa totalmente, quindi non resta sale non dissolto. La quantità di ioni 𝐶𝑙 − che si è dissociata in soluzione
fa si che l’equilibrio del cloruro di argento si sposti verso sinistra. Per determinare la nuova solubilità di 𝐴𝑔𝐶𝑙,
che non è cambiata perché dipende solo dalla temperatura, ma cambieranno le due concentrazioni, in modo
tale che il loro prodotto è sempre uguale alla costante. Dove 𝐾𝑝𝑠 :
𝐾𝑝𝑠 = 𝑠1 (𝑠𝑁𝑎𝐶𝑙 + 𝑠1 )
Dove 𝑠1 è la solubilità più la parte di ioni fornita da 𝑁𝑎𝐶𝑙.
ELETTROCHIMICA
Reazioni di ossido-riduzione
L’elettrochimica ha molto in comune con gli equilibri acido base.
Negli equilibri acido base un acido, second Bronsted e Lowry, è in
grado di cedere ioni 𝐻 + a una sostanza chiamata base che è in grado
di accettarli. In elettrochimica, avvengono delle reazioni REDOX, di
ossido-riduzione, ma in questo caso anziché scambiarsi protoni, si
scambiano elettroni. Ci sarà quindi una specie che cede elettroni e
una che li accetta. La specie che cede elettroni si ossida (riducente),
mente la specie che accetta elettroni si riduce (ossidante).
Come per gli equilibri acido base, dove esistono due coppie di acido e base coniugate, anche qui c’è la
creazione di due coppie.
Esempi:
- Atomo – ione 𝑍𝑛 + 𝐶𝑢2+ → 𝑍𝑛2+ + 𝐶𝑢
- Molecola – ione 2𝐹𝑒 2+ + 𝐶𝑙2 → 2𝐹𝑒 3+ + 2𝐶𝑙1−
- Atomo – molecola 𝑍𝑛 + 𝐶𝑙2 → 𝑍𝑛2+ + 𝐶𝑙 −
- Molecola – molecola 𝐶𝑂 + 𝐹𝑒𝑂 → 𝐶𝑂2 + 𝐹𝑒
In ognuna di questa tipologia di reazione avviene uno scambio di due elettroni. Si sono quindi create 2 coppie
di ossido-riduzione.
Nell’ultima reazione lo scambio di elettroni è più complesso. Per capire ciò bisogna introdurre il concetto di
numero di ossidazione (n.o.) di un elemento. Per gli ioni il n.o. corrisponde alla sua carica netta, ma spesso
gli elementi si trovano all’interno di composti, e il loro numero di ossidazione si calcola in modo esatto tramite
l’equazione di Schrodinger, ma poco pratico, per cui si usa la definizione:
Quando un elemento è all’interno di un composto, il suo numero di ossidazione si calcola attribuendo
all’elemento più elettronegativo i doppietti elettronici di legame.
Esempio:
La molecola d’acqua (𝐻2 𝑂), sappiamo essere un dipolo permanente, in cui l’ossigeno è l’elemento più
elettronegativo, per cui gli si attribuisce il doppietto elettronico, per cui l’idrogeno perde formalmente il suo
elettrone cedendolo all’ossigeno. Quindi gli idrogeni avranno una carica formale +1, mentre l’ossigeno una
carica formale −2.
Nella molecola di perossido di idrogeno (𝐻2 𝑂2) gli idrogeni, essendo meno
elettronegativi, hanno sempre carica formale +1, mentre gli ossigeni acquisiscono
un elettrone dall’idrogeno ma gli elettroni del doppietto di legame rimangono ai relativi atomi, perché non
c’è differenza di elettronegatività, quindi l’ossigeno ha n.o. −1.
L’ossigeno ha quasi sempre n.o. −2, l’unico caso in cui ha carica +2 è quando si lega con il fluoro.
Definito questo concetto, possiamo dire che in una reazione di ossido-riduzione esiste sempre un elemento
che riduce il suo stato di ossidazione e un elemento che aumenta il suo stato di ossidazione, in cui quello che
riduce il suo n.o. si dice che si riduce, mentre quello che aumenta si dice che si ossida.
Una reazione redox deve sempre essere bilanciata, sia nelle masse, che nelle cariche.
Se mettiamo una barretta di zinco
metallico all’interno di una soluzione
acquosa di solfato di rame (𝐶𝑢𝑆𝑂4), che
è un sale e proviene dall’acido solforico
(𝐻2 𝑆𝑂4 ), ed essendo un sale, in
soluzione si dissocia nei suoi ioni
𝐶𝑢𝑆𝑂4 → 𝐶𝑢2+ + 𝑆𝑂42−
In cui spontaneamente, accade che lo
zinco presente sulla superficie della
barretta passa in soluzione sotto forma
di 𝑍𝑛2+, quindi si ionizza
spontaneamente lasciando nella
barretta i due elettroni. Mentre gli ioni
𝐶𝑢2+ che si trovano in soluzione
acquosa acquistano dalla barretta
metallica gli elettroni lasciati dallo zinco,
diventando così rame metallico. Quindi
sulla barretta di zinco avviene una
reazione di ossido-riduzione:
2+ 2+
𝑍𝑛(𝑠) + 𝐶𝑢(𝑎𝑞) → 𝑍𝑛(𝑎𝑞) + 𝐶𝑢(𝑠)
Dove lo zinco si ossida e il rame si riduce, passando a rame metallico. Per cui troveremo la formazione di
atomi di rame metallico sulla superficie della barretta di zinco.
Se si riuscisse a convogliare queste cariche negative all’interno di un circuito elettrico, riusciamo a produrre
corrente e quindi energia elettrica. Si realizza quindi un sistema chiamato pila:
Pila di Daniel
La pila è un sistema che permette di convertire l’energia chimica di una reazione di ossido-riduzione in
energia elettrica.
Una pila modello è la pila Daniel, formata da due recipienti all’interno del quale sono contenute due soluzioni
acquose, contenenti sali composti da ioni della stessa specie dell’elettrodo. Ad esempio, da un lato si mette
solfato di rame ( 𝐶𝑢𝑆𝑂4 ) in concentrazione 𝐶 = 1𝑀, dall’altro solfato di zinco (𝑍𝑛𝑆𝑂4 ) in concentrazione 𝐶 =
1𝑀. All’interno di queste soluzioni vanno due barrette metalliche che si chiamano elettrodi, a sinistra una
barretta di rame puro, mentre a destra una barretta metallica di zinco puro, collegate attraverso un
conduttore di prima specie, che forma il circuito esterno, con un interruttore e una resistenza. Le soluzioni
insieme al proprio elettrodo costituiscono il semielemeto di rame e il semielemento di zinco.
Ultimo elemento per completare la pila Daniel è il ponte salino, che consiste in un tubicino, generalmente in
vetro che collega le due soluzioni, con all’interno un sale (𝐾𝐶𝑙, o 𝐶𝑙𝑂3 ) in una soluzione gelatinosa, in modo
tale che non fuoriesca immediatamente, necessario per chiudere il circuito, e dare continuità alla funzionalità
della pila.
Quando il circuito è aperto, non avviene trasferimento di elettroni, ma sulla superficie dell’elettrodo di rame
avviene un certo equilibrio tra il rame
metallico e i suoi ioni.
𝐶𝑢 = 𝐶𝑢2+ + 2𝑒 −
Come possiamo osservare questa
reazione è bilanciata sia nelle masse che
nelle cariche. In soluzione ci sono gli ioni
𝐶𝑢2+, mentre gli ioni 𝑆𝑂42− non
partecipano alla reazione. Per cui
continuamente il rame della bacchetta
metallica si ossida e il rame della
soluzione acquosa continuamente si
riduce sulla superficie dell’elettrodo.
Analogamente sull’elettrodo di destra avviene la stessa cosa, in soluzione si anno gli ioni 𝑍𝑛2+, e glio ioni
𝑆𝑂42− Che non partecipano alla reazione. Anche qui quindi si instaura un equilibrio tra gli ioni di zinco e lo
zinco metallico presente sulla barretta:
𝑍𝑛 = 𝑍𝑛2+ + 2𝑒 −
Anche questa reazione è bilanciata sia nelle masse che nelle cariche.
Quando il circuito viene chiuso, spontaneamente l’equilibrio dello zinco si sposta verso destra, quindi si
ossida, mentre l’equilibrio del rame si sposta verso sinistra, quindi si riduce.
𝐶𝑢 ← 𝐶𝑢2+ + 2𝑒 −
𝑍𝑛 → 𝑍𝑛2+ + 2𝑒 −
Quindi lo zinco passa in soluzione sotto forma di 𝑍𝑛2+, rilasciando 2 𝑚𝑜𝑙 di elettroni per ogni mole di zinco
che si ossida, e questi elettroni rimasti sulla superficie dell’elettrodo, poiché il circuito è chiuso, vanno a finire
sull’elettrodo di rame, in cui il 𝐶𝑢2+ in soluzione acquista questi elettroni e si riduce sotto forma di rame
metallico sulla superficie dell’elettrodo di rame. Quindi l’elettrodo di zinco si va sgretolando, mentre
l’elettrodo di rame si inspessisce.
L’elettrodo di zinco, in cui avviene l’ossidazione, nella pila si carica negativamente, perché vi vengono lasciati
elettroni, e viene chiamato anodo, mentre l’elettrodo di rame, in cui avviene la riduzione, nella pila si carica
positivamente perché questi elettroni vengono acquisiti dal 𝐶𝑢2+, e viene chiamato catodo.
Se mettiamo uno strumento di misurazione chiamato Voltmetro, che misura le differenze di potenziale,
posizionato in parallelo nel circuito aperto, si può misurare la forza elettromotrice, cioè la differenza di
potenziale dei due elettrodi.
La reazione di ossido-riduzione totale, a circuito chiuso è:
𝐶𝑢2+ + 2𝑒 − + 𝑍𝑢 = 𝐶𝑢 + 𝑍𝑛2+ + 2𝑒 −
In cui la reazione del rame va scritta in senso opposto, perché l’andamento della reazione è invertito. I due
elettroni si possono tagliare, quindi:
𝐶𝑢2+ + 𝑍𝑢 = 𝐶𝑢 + 𝑍𝑛2+
Questa reazione avviene separatamente nei due semi elementi, ma rappresenta il processo globale della pila
a circuito chiuso.
Il ponte salino, ha un ruolo importante nella pila, perché se non ci fosse il ponte salino, una volta chiuso il
circuito, quando lo zinco si ossida si crea una differenza di concentrazioni, che inizialmente non c’era perché
la reazione stava all’equilibrio, si crea quindi un controcampo elettrico, che blocca l’ulteriore dissoluzione
dello zinco in soluzione.
La presenza del ponte salino, con all’interno un sale come 𝐾𝐶𝑙, poiché è un sale quindi in soluzione si trova
dissociato in 𝐾 + e 𝐶𝑙 − , questi ioni si muovono all’interno del ponte salino andando a ristabilire l’equilibrio
delle cariche nelle due soluzioni. In particolare, gli ioni 𝐶𝑙 − vanno verso il semi-elemento di zinco, bilanciando
l’eccesso di cariche positive dello 𝑍𝑛2+, mentre gli ioni 𝐾 + vanno verso il semi-elemento di rame andando a
compensare la diminuzione di cariche 𝐶𝑢2+. Quindi questo ponte salino permette di mantenere l’equilibrio
all’interno delle soluzioni dei due semi-elementi, mantenendo l’elettroneutralità della reazione.
Allo stesso modo anche gli ioni 𝑆𝑂42− nella soluzione di destra possono attraversare il ponte salino andando
nella soluzione di destra, come lo 𝑍𝑛2+ può attraversare il ponte salino andando nella soluzione di sinistra.
Termodinamicamente, poiché questa reazione avviene spontaneamente possiamo affermare che il ∆𝐺 < 0,
per calcolare il ∆𝐺:
𝑑𝐺 = 𝑑𝐻 − 𝑇𝑑𝑆 − 𝑆𝑑𝑇 = 𝑑𝐸 + 𝑃𝑑𝑉 + 𝑉𝑑𝑃 − 𝑇𝑑𝑆 − 𝑆𝑑𝑇 = (𝑑𝑄 − 𝑃𝑑𝑉 − 𝑑𝑊𝑒𝑙 ) + 𝑃𝑑𝑉 − 𝑇𝑑𝑆
In questo caso il lavoro di cui dobbiamo tenere conto non è solo lavoro per variazione di volume, ma anche
lavoro elettrico, quindi quando scriviamo 𝑑𝑊, dobbiamo tenere conto anche del lavoro elettrico 𝑑𝑊𝑒𝑙 .
𝑑𝑄 = 𝑑𝑄𝑟𝑒𝑣 𝑑𝐺 = −𝑑𝑊𝑒𝑙
Se siamo a 𝑇 e 𝑃 costanti possiamo eleminare gli elementi con variazione di pressione e temperatura, rimane
quindi:
𝑑𝐺 = 𝑑𝑄 − 𝑑𝑊𝑒𝑙 − 𝑇𝑑𝑆
Supponiamo che il circuito della nostra pila sia aperto, ci sono due equilibri separati nelle due soluzioni.
Questa è in realtà una situazione di reversibilità, in cui costantemente si è all’equilibrio termodinamico.,
quindi il 𝑑𝑄𝑟𝑒𝑣 si può semplificare con 𝑇𝑑𝑆, quindi:
𝑑𝐺 = −𝑑𝑊𝑒𝑙
Dall’elettrochimica si sa che il lavoro elettrico è:
𝑊𝑒𝑙 = 𝑞 × ∆𝜀
Dove ∆𝜀 è la differenza di potenziale ai capi dei due elettrodi, la stessa che viene misurata dal voltmetro
collegato ai capi dei due elettrodi. Possiamo quindi scrivere:
𝑑𝐺 = −𝑞𝑑𝜀
Oppure:
∆𝐺 = −𝑞∆𝜀
La carica totale è uguale alla carica dovuta a una mole di elettroni per il numero di moli di elettroni:
𝑞 = 𝑛𝑒 × 𝐹
Dove 𝐹 è il faraday, cioe la carica di una mole di elettroni, ed 𝑛𝑒 il numero di moli di elettroni. In un circuito
aperto la forza elettromotrice della pila è quindi:
∆𝐺
∆𝜀 = −
𝑛𝑒 𝐹
Questa forza elettromotrice coincide con la differenza di potenziale massima, misurabile a circuito aperto.
Una volta chiuso il circuito la corrente circola e una volta riaperto il circuito si misura che la forza
elettromotrice si è abbassata, perché in un certo modo la pila si è consumata, per cui la forza elettromotrice
è sempre intesa a circuito aperto.
Per quanto riguarda il ∆𝐺, che si riferisce alla reazione di ossidoriduzione, va scritto:
∆𝐺 = ∆𝐺° + 𝑅𝑇 ln 𝑄
Dove 𝑞 è il quoziente di reazione, dove esplicitandolo otteniamo:
[𝑍𝑛2+ ] × 1
∆𝐺 = ∆𝐺° + 𝑅𝑇 ln
[𝐶𝑢2+ ] × 1
Dove il termine 1 è l’attività dei due elementi puri. Sostituendo questa espressione al ∆𝐺:
−∆𝐺° 𝑅𝑇 [𝑍𝑛2+ ]
∆𝜀 = − ln
𝑛𝑒 𝐹 𝑛𝑒 𝐹 [𝐶𝑢2+ ]
−∆𝐺° 𝑅𝑇
Il termine può essere definito come forza elettromotrice standard (∆𝜀°), mentre il termine − è una
𝑛𝐹 𝐹
costante, perché formato da costanti e se siamo alla temperatura di 298,15𝐾 e della costante per il passaggio
dai logaritmi naturali a quelli decimali, questa costante è pari a:
𝑅𝑇
= 0,059
𝐹
Per cui la forza elettromotrice della pila può essere scritta secondo l’espressione, chiamata legge di Nerst:
0,059 [𝑍𝑛2+ ]
∆𝜀 = ∆𝜀° − log
𝑛𝑒 [𝐶𝑢2+ ]
In base alla pila precedente considerata una mole di zinco, sappiamo che il numero di moli di elettroni è pari
a 2. Quindi abbiamo tutti i valori necessari per poter calcolare la forza elettromotrice della pila prima
considerata.
La forza elettromotrice standard, si ha quando inizialmente, le due concentrazioni dei semi-elementi sono 1
molari ([𝑍𝑛2+ ] = [𝐶𝑢2+ ] = 1) e gli elettrodi sono dei metalli puri. Misurando con un voltmetro la forza
elettromotrice, all’inizio 𝑙𝑜𝑔 = 0, si ha quindi:
∆𝜀 = ∆𝜀°
Che per la pila Daniel corrisponde a ∆𝜀 = 1,1 𝑣𝑜𝑙𝑡. Una volta chiuso il circuito e riaperto il valore delle
concentrazioni è cambiato, quindi la forza elettromotrice sarà minore di quella iniziale.
Se le concentrazioni non sono unitarie, cioè hanno concentrazioni diverse, non siamo in condizioni standard
per cui il ∆𝜀 avrà un valore diverso, perché deve tenere conto delle due concentrazioni.
Per cui all’inizio, a circuito aperto, e viene misurata la ∆𝜀°, la pila non è in condizione di equilibrio ma lo sono
solo i due semi-elementi separatamente, quindi il sistema non è all’equilibrio ma è nel suo momento di
massima forza elettromotrice. Una volta chiuso il circuito il passaggio di elettroni fa diminuire la forza
elettromotrice. Quindi una volta riaperto il circuito questa forza elettromotrice non è più al suo massimo ma
è più bassa, fino a quando la pila si scarica in cui la forza elettromotrice è pari a zero, e si conseguenza anche
il ∆𝐺 = 0 e ci troveremo quindi all’equilibrio.
La costante di equilibrio di questa reazione è:
𝐾𝑝 = 𝑒 −∆𝐺°/𝑅𝑇
Ma il ∆𝐺° è uguale a:
∆𝐺° = −𝑛𝑒 𝐹∆𝜀
Quindi:
𝐾𝑝 = 𝑒 𝑛𝐹∆𝜀°/𝑅𝑇
Che sono tutte constanti conosciute. Questa costante risulterà molto alta quindi questa reazione è
termodinamicamente favorita, quindi fortemente spostata verso i prodotti.
Semi-elemento standard a idrogeno
Se si volesse conoscere il potenziale di un semi-
elemento, l’unico metodo possibile è confrontare
questo semi-elemento con un altro semi-
elemento, determinando quindi la differenza di
potenziale.
Per questo scopo è necessario usare come
riferimento un semi-elemento convenzionale, a
cui si attribuisce un valore del tutto
convenzionale, chiamato semi-elemento
standard ad idrogeno (SHE).
Questo semi-elemento è composto da una
soluzione acquosa, il cui elettrodo è fatto di
Platino, un metallo inerte molto nobile, che in
genere non partecipa alle reazioni di ossido-
riduzione, la cui piastrina utilizzata è molto sottile e rugosa, in modo da aumentare la superficie che deve
reagire con la soluzione.
Questo semi-elemento è chiamato ad idrogeno, perché l’idrogeno viene introdotto dall’esterno in un
tubicino di vetro, senza fondo, all’interno del quale si trova la piastrina di platino, alla pressione di 1𝑎𝑡𝑚, in
modo tale che l’idrogeno rimanga vicino alla piastrina metallica.
In soluzione acquosa si trova un soluto che permette una concentrazione di ioni 𝐻3 𝑂+ è in concentrazione 1
molare, quindi il pH sarà molto acido 𝑝𝐻 = 0.
La reazione di equilibrio che avviene in prossimità
dell’elettrodo è la reazione di riduzione dell’idrogeno:
𝐻3 𝑂+ + 𝑒 − = 1⁄2 𝐻2 + 𝐻2 𝑂
Dove l’idrogeno passa da +1 nello ione 𝐻3 𝑂+ nei reagenti, a 0
nella molecola di idrogeno tra i prodotti.
Questo elettrodo viene detto semi-elemento di riferimento
perché gli viene assegnato un potenziale di riferimento pari a
0 𝑣𝑜𝑙𝑡, ma è un’assegnazione del tutto arbitraria. In questo
modo se volessi misurare il potenziale di un altro semi-
elemento, ad esempio il rame, è sufficiente accoppiarlo a
questo semi-elemento di riferimento e misurare la differenza
di potenziale con un voltmetro.
∆𝜀°𝐴𝑔+/𝐴𝑔 = +0,80 𝑣
∆𝜀°𝐶𝑢2+/𝐶𝑢 = +0,34 𝑣
Poiché la pila è standard, il ∆𝜀 è uguale alla differenza ei de potenziali standard. Ma sorge il dubbio su quale
dei due va sottratto e qual va sommato. Noi sappiamo che:
−∆𝐺°
∆𝜀 =
𝑛𝑒 𝐹
Poiché la reazione è spontanea, il ∆𝐺 < 0, cioè col segno meno davanti, il ∆𝜀 deve sempre essere positivo.
Possiamo quindi scrivere che:
∆𝜀 = ∆𝜀°𝐴𝑔+/𝐴𝑔 − ∆𝜀°𝐶𝑢2+ = 0,8 − 0,34 = 0,47 𝑣
𝐶𝑢
Esempio:
Se ci trovassimo in una pila non in condizioni standard, le cui
concentrazioni non sono unitarie, si deve calcolare il potenziale
secondo la legge di Nerst:
0,059
∆𝜀 = ∆𝜀° − log 𝑄
𝑛𝑒
Ma per fare ciò è necessario scrivere la reazione di ossido-
riduzione, quindi dargli un verso e capire quale elemento si ossida
e quale si riduce.
In condizioni standard è facile capire quale semi-elemento si ossida e quale si riduce, ma se le concentrazioni
non sono unitarie devo tenere conto delle concentrazioni, quindi scrivo il potenziale di ogni singolo elemento
tenendo conto della reazione di riduzione che li caratterizza.
𝐴𝑔+ + 𝑒 − = 𝐴𝑔
0,059 1
∆𝜀𝐴𝑔+/𝐴𝑔 = ∆𝜀°𝐴𝑔+/𝐴𝑔 − log =
1 [𝐴𝑔+ ]
Dove il potenziale del semi-elemento di argento è uguale al potenziale standard meno la costante sul numero
di moli, che in questo caso è pari a 1, per logaritmo del quoziente di reazione, dove a numeratore va scritta
l’attività dell’argento che essendo puro è pari a 1, mentre a denominatore la concentrazione dello ione
argento.
0,059 1
= 0,80 − log −2 = 0,682 𝑣
1 10
Stessa cosa va fatta per il rame:
𝐶𝑢2+ + 2𝑒 − = 𝐶𝑢
0,059 1
∆𝜀𝐶𝑢2+/𝐶𝑢 = ∆𝜀°𝐶𝑢2+/𝐶𝑢 − log =
1 [𝐶𝑢2+ ]
Dove il potenziale del semi-elemento di rame è uguale al potenziale standard meno la costante sul numero
di moli, che in questo caso è pari a 2, per logaritmo del quoziente di reazione, dove a numeratore va scritta
l’attività del rame che essendo puro è pari a 1, mentre a denominatore la concentrazione dello ione rame.
0,059 1
= 0,34 − log −1 = 0,281
1 10
Per cui possiamo dire che l’argento rimane catodo mentre il rame rimane anodo. Da qui può essere calcolata
la differenza di potenziale:
∆𝜀 = ∆𝜀𝐴𝑔+ /𝐴𝑔 − ∆𝜀𝐶𝑢2+⁄𝐶𝑢 = 0,682 − 0,281 = 0,401 𝑣
Esempio:
Possiamo trovarci in situazioni in cui si conoscono i potenziali dei due semi-elementi, in condizioni non
standard, ma si vuole calcolare il potenziale di tutta la pila. Poiché è necessario sapere quale è l’anodo e qual
è il catodo si può supporre quale dei due semi-elementi e l’anodo e quale il catodo più probabili e fare una
ipotesi di lavoro.
Si stabilisce quindi che l’elemento col potenziale più alto funga da catodo, quindi che l’argento si riduce, e
come anodo il rame, che si ossida.
𝐴𝑔+ + 𝑒 − = 𝐴𝑔
{
𝐶𝑢 = 𝐶𝑢2+ + 2𝑒 −
Che danno la reazione:
2𝐴𝑔+ + 𝐶𝑢 = 2𝐴𝑔 + 𝐶𝑢2+
Dove il quoziente di reazione è:
1 × [𝐶𝑢2+ ] [𝐶𝑢2+ ]
𝑄= =
[𝐴𝑔+ ] × 1 [𝐴𝑔+ ]2
Per cui riscrivendo la legge di Nerst:
0,059 [𝐶𝑢2+ ] 0,059 10−1
∆𝜀 = (∆𝜀° 𝐴𝑔+ ⁄𝐴𝑔 − ∆𝜀°𝐶𝑢2+ ⁄𝐶𝑢 )− log = (0,8 − 0,34) − log
𝑛𝑒 [𝐴𝑔+ ]2 2 (10−2 )2
Se la forza elettromotrice risultante da questa equazione è positiva l’ipotesi che era stata fatta
precedentemente è corretta.
Nel caso in cui il risultato del calcolo della forza elettromotrice è minore di zero allora il rame sarà il catodo e
l’argento l’anodo, quindi le reazioni dei semi-elementi vanno scritte nel senso opposto e rifatti tutti i calcoli.
Pile a concentrazione
Le pile viste fin ora sono dette pile chimiche, la cui forza
spingente è la differenza di potenziale standard di
riduzione, ma esistono anche pile formate da semi-
elementi uguali, queste pile vengono chiamate pile a
concentrazione.
Prendiamo l’esempio di una pila con semi-elementi di
argento in soluzione di nitrato di argento, ma con
concentrazione delle soluzioni differenti.
Anche questa pila genera una forza elettromotrice, ma la
forza spingente non è determinata dalla differenza di
potenziale, ma dalle concentrazioni delle due soluzioni.
In questi casi l’equilibrio si raggiunge quando le due concentrazioni diventano uguali, per cui laddove c’è una
concentrazione maggiore questa tenderà a diminuire, per cui in quel semi-elemento sarà il catodo e vi
avverrà la riduzione, mentre nell’altro elemento dove la concentrazione è minore questa tenderà ad
aumentare, per cui quel semi-elemento sarà l’anodo e vi avverrà l’ossidazione.
Applico quindi sempre la legge di Nerst:
0,059
∆𝜀 = ∆𝜀° − log 𝑄
𝑛𝑒
Dove ∆𝜀° è uguale a zero perché i due potenziali sono identici, ma il quoziente di reazione dipende dalle
reazioni:
𝐴𝑔+ + 𝑒 − = 𝐴𝑔
𝐴𝑔 = 𝐴𝑔+ + 𝑒 −
Ma essendo la stessa, praticamente si annulla, anche se si presenta una differenza di concentrazione. Si può
quindi scrivere il potenziale di ciascun semi-elemento:
0,059 1
∆𝜀𝐴𝑔+/𝐴𝑔 = ∆𝜀°𝐴𝑔+/𝐴𝑔 − log
𝑛𝑒 [𝐴𝑔+ ]
Sia per la reazione di riduzione che per quella di ossidazione e si fa quindi la differenza tra i due potenziali.
Può anche essere scritta in modo semplificato:
0,059 𝐶2
∆𝜀 = log
𝑛𝑒 𝐶1
Dove 𝐶2 è la concentrazione maggiore e 𝐶1 la concentrazione minore.