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Società Responsabilità Limitata (SRL)


La SRL è una delle società più diffuse grazie alla sua adattabilità e utilizzabilità sia in contesti molto
circoscritti come ad esempio le società familiari o società con un numero di soci basso, sia in contesti più
ampi come ad esempio quelle società con una compagine sociale molto ampia.

DALLA START-UP INNOVATIVA ALLA Società Responsabilità limitata PMI (piccola-media imprese)
Da diversi anni si sono verificati una serie di interventi normativi con il fine di incentivare la nascita e
sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali e di favorire la crescita delle attività imprenditoriali già
esistenti.

Le Start-up innovative sono quelle società di capitali non quotate che hanno come oggetto sociale lo
sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi. Queste Start-up
innovative sono state introdotte con il decreto legislativo 179/2012 ovvero dal decreto crescita 2.0.

A queste Start-up innovative costituite in forma di SRL e stato consentito sin da subito l’applicazione di
norme e principi che prima di allora erano riservate alle SPA.
Stiamo parlando della possibilità per le Start-up in forma di SRL di:
 Creare delle categorie di quote fornite di diritti diversi come ad esempio esclusione o
modulazione del diritto di voto;
 Ottenere investimenti attraverso l’offerta al pubblico di quote tramite dei portali online;
 Compiere operazioni sulle proprie quote;
 Emettere strumenti finanziari partecipativi.
Inoltre, per tutte le Start-up innovative, che siano SPA o SRL, è stata data la possibilità di beneficiare di
un esercizio sociale in più per recuperare le perdite al di sotto di 1/3 del capitale prima di dover
necessariamente deliberare le operazioni da eseguire sul capitale stesso.
Successivamente, con il decreto legislativo 3/2015, è stata introdotta la figura della PMI innovativa che,
a differenza delle Start-un innovative, non possono essere società di nuova costituzione. A queste PMI
innovative sono state comunque estese tutte le deroghe al diritto societario elaborate per le Start-up
innovative.

Per essere considerata una PMI innovativa è necessario soddisfare 2 dei seguenti 3 requisiti:
 Almeno il 3% dei costi deve essere destinato alla ricerca, sviluppo e innovazione;
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 Almeno 1/5 dei dipendenti deve possedere un dottorato di ricerca, una laurea ecc… oppure, in
alternativa, ci deve essere 1/3 della forza lavoro con una laurea magistrale;
 Deve essere titolare di un’invenzione industriale.
Da qui in poi si è verificata un’ulteriore evoluzione normativa che ha consentito a tutte le PMI,
indipendentemente dal carattere innovativo, di raccogliere capitali tramite i portali online ed infine, con
il decreto legislativo 50/2017, si è esteso a
Tutte le PMI le deroghe al diritto societario che inizialmente erano previste per le sole Start-up
innovative.
In tutto ciò però ci sono due eccezioni:
- Le PMI in forma di SRL non possono emettere strumenti finanziari partecipativi;
- Tutte le PMI non possono sfruttare l’anno aggiuntivo per risanare le perdite.
È possibile quindi affermare che nel corso del tempo si è verificato un enorme cambiamento per queste
SRL PMI in quanto queste “piccole società” sono state equiparate alle “grandi” SPA su diversi aspetti.
Si tratta quindi di una importante riforma del diritto societario rispetto a quella che è stata elaborata nel
2003. In passato la SRL era considerata con la sorella minore della SPA. Oggi invece la SRL PMI è tornata
ad essere una piccola SPA. Nel codice civile resta quindi regolata una piccola parte delle SRL ovvero quelle
di grandi dimensioni.

SRL PMI piccola-media imprese


Le SRL PMI sono delle SRL in cui le dimensioni non superano la dimensione della piccola-media imprese
ovvero sono della società formate da meno di 250 dipendenti, hanno un fatturato inferiore a 50 milioni
oppure hanno un totale di bilancio inferiore a 43 milioni.
Queste SRL PMI sono la più diffusa forma di SRL in quanto le grandi società sono tutte SPA.
Quindi, per essere delle PMI bisogna avere questi 3 parametri:

 Avere una certificazione;

 La società deve essere costituita come una società non quotata;

 La società deve avere la sede in Italia.


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COSTITUZIONE SRL
La SRL può essere costituita solo ed esclusivamente tramite la costituzione simultanea a differenza della
SPA in cui la costituzione può essere effettuata anche tramite pubblica sottoscrizione.
La SRL può inoltre essere costituita, ai sensi dell’ART. 2463 c.c., tramite contratto o tramite atto
unilaterale.

Per effettuare la costituzione della SRL è necessario effettuare l’atto costitutivo ed effettuare l’iscrizione
nel registro delle imprese.
Inoltre, anche per la costituzione della SRL è necessario soddisfare le regole imposte dall’ART. 2329 c.c.
ovvero:

 Il capitale sociale deve essere sottoscritto per intero;

 Devono essere rispettate le previsioni in materia di conferimenti;

 Ci devono essere autorizzazioni e devono essere soddisfatte le altre condizioni imposte dalle
leggi speciali per effettuare la costituzione della società in relazione al particolare oggetto.
ATTO COSTITUTIVO
Per costituire una SRL è necessario innanzitutto creare l’atto costitutivo in forma di atto pubblico. Ai
sensi dell’ART. 2463 c.c., l’atto costitutivo deve elencare i seguenti requisiti:

 I dati personali di ciascun socio;

 Denominazione dell’ente;

 La sede della società;

 L’oggetto sociale ovvero l’attività svolta;

 Il capitale sottoscritto;

 Il capitale versato (che non deve essere inferiore a 10.000 euro);

 I conferimenti effettuati;

 Il valore dei conferimenti effettuati in natura;

 Le quote di partecipazione;

 Gli amministratori;

 Il revisore legale dei conti;

 Tutte le norme relative al funzionamento;

 Le spese di costituzione.

A differenza della SPA, nella SRL non deve essere iscritta nell’atto costitutivo la durata.
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STATUTO (NON OBBLIGATORIO)


Il legislatore si riferisce solo all’atto costitutivo ma non menziona mai lo statuto. In realtà, anche nelle SRL
può essere redatto lo statuto che contiene l’insieme delle regole organizzative. In presenza dello statuto,
vengono praticamente applicate le stesse norme della SPA e quindi in caso di contrasto tra le clausole
statutarie dell’atto costitutivo e le clausole statutarie dello statuto prevarranno le clausole statutarie
presenti nello statuto.

ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE – PUBBLICITA’ LEGALE


Una volta redatto l’atto costitutivo, questo deve essere controllato dal notaio. Quest’ultimo deve
provvedere entro 20 giorni a depositare tale atto nel registro delle imprese.
Insieme al deposito dell’atto costitutivo dovrà richiedere l’iscrizione della società nel registro delle
imprese. L’iscrizione verrà controllata dal punto di vista sostanziale dal notaio e dal punto di vista formale
dal conservatore del registro. Una volta che viene effettuata l’iscrizione nel registro delle imprese, la
società acquisterà la personalità giuridica.
RESPONSABILITA’ NELLE SRL PLURIPERSONALI
L’ART. 2462 c.c. afferma che le SRL godono di un’ottima autonomia patrimoniale perfetta, infatti, per le
obbligazioni sociali risponderà solo ed esclusivamente la società con il suo patrimonio.

SRL UNIPERSONALE E RESPONSABILITA’ NELLE SRL UNIPERSONALI


Come abbiamo detto, la SRL si può costituire tramite contratto o tramite atto unilaterale. Proprio per
questo motivo, è possibile costituire una SRL unipersonale formata appunto da un unico socio.
La presenza di un unico socio rappresenta un aspetto negativo soprattutto per i terzi ed è per questo
motivo che il legislatore prevede delle disposizioni per tutelare i creditori. Si tratta praticamente degli
stessi principi che vengono attuati per SPA unipersonali.
Quando l’intera partecipazione è posseduta da un unico socio, gli amministratori dovranno depositare,
per effettuare l’iscrizione nel registro delle imprese, una dichiarazione che contiene le generalità
dell’unico socio.
Inoltre, per garantire una certa integrità del capitale sociale, si chiede che l’unico socio debba versare
interamente tutta la somma del capitale sociale sottoscritto. Se invece la società nasce pluripersonale e
successivamente diventa unipersonale, i versamenti ancora dovuti devono essere conferiti dal socio
entro 90 giorni.

In caso di violazione di questi obblighi, il socio risponderà illimitatamente e personalmente delle


obbligazioni sociali a differenza delle SRL pluripersonali.
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PATTI PARASOCIALI
Nella disciplina della SRL non ci sono riferimenti anche per quanto riguarda i patti parasociali ma
comunque nessuno vieta ad alcuni o tutti i soci della SRL di stipulare questi patti parasociali con efficacia
obbligatoria.

SRL SEMPLIFICATE
Negli utili anni sono state introdotte le SRL semplificate che sono una forma di SRL introdotte dal
legislatore per favorire l’imprenditorialità. Queste società possono essere costituite da persone fisiche
di qualsiasi età ma possono essere soci della SRL semplificata solo persone fisiche e non società o altri
enti. Anche in questo caso, così come tutte le SRL, la società può essere formata da un unico socio.
A differenza delle altre società, la SRL semplificata richiede un capitale sociale minimo di 1 euro e un
capitale sociale massimo di 9.999 euro. Il capitale sociale deve essere conferito tutto in denaro all’organo
amministrativo della società al momento della costituzione della stessa.
La costituzione della SRL semplificata può avvenire tramite contratto o tramite atto unilaterale.
L’atto costitutivo deve essere redatto sotto forma di atto pubblico dal notaio e deve essere conforme a
quello che è il modello standard previsto dalla legge e non può essere modificato.
Le SRL semplificate si possono comunque trasformare in SRL ordinarie oppure si possono trasformare in
altre società.
Una parte della dottrina invece afferma che le SRL ordinarie non si possono trasformare in SRL
semplificate in quanto le caratteristiche delle SRLS sono dettate nel momento della costituzione della
società.
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LA STRUTTURA FINANZIARIA DELLA SRL


CAPITALE SOCIALE
Nel momento in cui si costituisce la società, oltre a stipulare l’atto costitutivo e lo statuto, è necessario
sottoscrivere il capitale in base a quelle che sono le quote che i vari soci si impegnano a conferire.
IL CAPITALE MINIMO DI UNA SRL È DI 10.000 EURO.
Dell’intero capitale sottoscritto, al momento della costituzione, i soci dovranno versare nelle casse della
società solo il 25%. Diverso invece è il caso della costituzione per atto unilaterale in quanto in questo
caso è necessario che al momento della costituzione il capitale deve essere versato per intero.
SOLO PER LE SRLS NON VI È L’OBBLIGO INVECE DI VERSARE IL 25% INIZIALE.

I CONFERIMENTI
I conferimenti che vengono effettuati dai vari soci non possono inoltre essere inferiori rispetto al capitale
sottoscritto. Se non viene indicato nulla in particolare sull’atto costitutivo, i conferimenti devono essere
effettuati tutti in denaro. Oltre ai conferimenti in denaro, nelle SRL è possibile conferire tutti quegli
elementi suscettibili di valutazione economica ovvero tutto ciò che può essere utile per lo svolgimento
dell’attività sociale. Ciò vuol dire che i conferimenti nelle SRL possono essere:

 In denaro;

 Beni in natura;

 Crediti;

 Beni materiali come ad esempio brevetti, marchi, invenzioni industriali, diritti d’autore ecc…

1. CONFERIMENTO IN DENARO
Come detto precedentemente, se non viene indicato nulla nell’atto costitutivo, i conferimenti vanno
effettuati in denaro. Del totale, il 25% deve essere versato dai soci agli amministratori nel momento della
costituzione della SRL. Questa rappresenta una differenza tra SPA e SRL in quando nelle SPA il 25% va
versato in banca.
Questo 25% che viene conferito al momento della costituzione, può essere sostituito dalla stipula di una
polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria dello stesso importI.
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2. CONFERIMENTO IN NATURA O CREDITI – RELAZIONE DI STIMA


Nel caso dei conferimenti in natura o crediti, le quote corrispondenti devono essere integralmente
liberate al momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo. C’è praticamente l’obbligo di trasferire
immediatamente il bene alla società.
Nel caso di questi conferimenti in natura o crediti, è necessaria una valutazione del bene che viene
apportato. Questa valutazione viene effettuata tramite una relazione giurata richiesta da un revisore
legale o da una società di revisione che vengono però scelti dal socio e non dal tribunale come avviene
nelle SPA. Questa relazione deve essere allegata all’atto costitutivo della società oppure al verbale
inerente all’aumento del capitale.
La relazione giurata deve contenere:

 La descrizione del bene;

 I criteri che sono stati utilizzati per attribuire tale valore;

 Deve essere indicato che il valore attribuito è sufficiente per coprire la quota del socio.
Un’altra differenza che si ha con la SPA è che in questo caso non è previsto un controllo da parte degli
amministratori.

3. CONFERIMENTI CON OPERE E SERVIZI


Nella SRL sono ammessi anche i conferimenti di opere e servizi a differenza delle SPA che questo non è
possibile. Il socio che conferisce l’opera o il servizio, deve anche presentare una garanzia che può essere
una fideiussione bancaria o una polizza fideiussoria. Questa garanzia serve per la società nel caso in cui
la prestazione promessa non viene eseguita dal socio.

MANCATA ESECUZIONE DEI CONFERIMENTI


Se il socio non effettua il conferimento in base a quanto sottoscritto, gli amministratori diffidano il socio
moroso ad eseguire il conferimento entro 30 giorni.
Una volta che scade il termine di 30 giorni, gli amministratori possono vendere agli altri soci la quota del
socio moroso in proporzione alla loro partecipazione.
Il socio moroso non potrà partecipare nel frattempo alle decisioni dei soci.
Se vengono a mancare delle offerte di acquisto da parte dei soci, se l’atto costitutivo lo permette si può
effettuare la vendita della quota all’incanto ovvero all’asta.
E questa rappresenta un’altra differenza con le SPA in quanto in questo ultimo caso le azioni
corrispondenti possono essere vendute nel mercato.
Se le quote non vengono vendute, gli amministratori escluderanno il socio e il capitale dovrà essere
ridotto in misura corrispondente alla quota del socio escluso.

Le stesse disposizioni si applicano nel caso in cui la polizza assicurativa o la garanzia bancaria sia scaduta
o inefficace, salvo il caso in cui il socio sostituisce queste con il versamento del corrispettivo in denaro.
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MODIFICHE DELL’ATTO COSTITUTIVO


AUMENTO E RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
Dopo la costituzione della società, il capitale sociale nominale potrà essere modificato successivamente
ovvero potrà subire degli aumenti o diminuzione. In riguardo a ciò, il legislatore ha creato una disciplina
per la SRL anche se in gran parte è praticamente identica alla disciplina della modifica del capitale nella
SPA.

AUMENTO DEL CAPITALE SOCIALE


Anche nelle SRL l’aumento del capitale può essere:

 L’aumento del capitale a pagamento si ha quando l’aumento è dovuto a nuovi conferimenti


che vengono effettuati dai soci della società oppure dai terzi.

 L’aumento del capitale gratuito invece si ha quando vengono imputati al capitale sociale le
riserve disponibili e altri fondi disponibili sul patrimonio netto.
L’aumento del capitale deve essere deliberato dall’assemblea dei soci e deve essere approvato da
almeno il 50% del capitale sociale salvo una diversa maggioranza prevista dall’atto costitutivo. La
decisione dell’aumento del capitale deve essere iscritta in un verbale dal notaio per poi essere
depositata presso il registro delle imprese.

Anche in questo caso è previsto un limite ovvero non è possibile aumentare il capitale fino a quando i
conferimenti precedenti dovuti non sono stati eseguiti interamente. Ciò vuol dire che l’assemblea può
anche deliberare l’aumento del capitale prima che vengano effettuati tutti i conferimenti, ma per gli
effetti dell’aumento del capitale bisognerà attendere che vengano effettuati tutti i conferimenti
precedenti.
Nel caso in cui viene violato tale limite, non si ha l’invalidità della deliberà ma scatterà automaticamente
la responsabilità degli amministratori
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RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE


Per quanto riguarda la riduzione del capitale sociale, possiamo distinguerla in riduzione reale e riduzione
nominale del capitale sociale.
La riduzione reale comporta una vera e propria diminuzione del patrimonio sociale così come succede
nella SPA. In questo caso la società può decidere di:
- Rimborsare la parte del capitale sociale ai vari soci;
- Liberare i soci dai versamenti residui.
In questo caso, a differenza della SPA, non è necessario indicare le ragioni per il quale si effettua questa
riduzione del capitale sociale.
La riduzione del capitale sociale deve essere effettuata dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle
imprese della delibera di riduzione. Questo perché nei precedenti 90 giorni i creditori potranno opporsi.
Se non si oppongono allora si potrà procedere con la riduzione. Se invece i creditori si oppongono, il
tribunale dovrà verificare il tutto e se non riscontra problemi può dar luogo alla riduzione del capitale
sociale.
Per quanto riguarda invece la riduzione nominale del capitale sociale, consiste appunto in una
diminuzione del capitale sociale nominale in quanto la perdita sul patrimonio sociale si è già verificata.
Se le perdite superano 1/3 del capitale sociale, gli amministratori dovranno convocare l’assemblea per
esporre un quadro del bilancio. L’assemblea non dovrà però deliberare immediatamente una riduzione
del capitale sociale, ma ha a disposizione un altro esercizio per riportare le perdite ad un valore inferiore
di 1/3 del capitale sociale. Se le perdite non vengono recuperate, l’assemblea dovrà provvedere a
diminuire il capitale sociale nominale.
Se invece le perdite portano ad avere un patrimonio inferiore al capitale sociale, è necessario che gli
amministratori debbano convocare l’assemblea ma quest’ultima non ha a disposizione un esercizio per
risolvere il problema ma dovrà deliberare direttamente una riduzione del capitale sociale nominale e
contestualmente dovrà deliberare un aumento del capitale a pagamento.
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I FINANZIAMENTI DEI SOCI


Il denaro e i beni conferiti dai soci rimangono vincolati in favore della società. infatti, i soci non hanno
alcun diritto, fino allo scioglimento o liquidazione della società, di ottenere la restituzione del valore di
quanto conferito salvo singoli casi. Si tratta quindi del così detto capitale di rischio.
Nella maggior parte dei casi la società nel corso del tempo ha bisogno di ulteriori finanziamenti per poter
svolgere l’attività. Proprio per questo motivo, i finanziamenti da parte dei soci rappresentano uno
strumento molto utilizzato per far arrivare alla società delle nuove risorse finanziarie senza ricorrere
però all’aumento del capitale sociale.
Il legislatore però ha notato che nelle PMI i soci ricorrono troppo spesso a questi finanziamenti anziché
apportare capitale di rischio.
Soci può avvenire solo quando vengono soddisfatti gli altri creditori della società. In caso di fallimento
inoltre, se il rimborso del finanziamento è stato effettuato nell’anno precedenze dovrà essere restituito
alla società. Queste regole valgono solo per i finanziamenti dei soci quando l’indebitamento della
società risulta eccessivo rispetto al patrimonio netto.
Con queste norme praticamente il legislatore vuole evitare che i soci si sottraggano al rischio di d’impresa
apportando semplicemente alla società un finanziamento anziché conferire un maggiore capitale
sociale.
Le nuove regole sono state create appositamente per le SRL anche se alcuni ritengono che le stesse regole
si possono applicare anche per le SPA che rispecchiano le SRL PMI (SPA chiuse).
I finanziamenti da parte dei soci possono avvenire in 2 modi:
- Finanziamento in conto capitale che è un versamento eseguito dai soci in cui la società non è
tenuta a pagare alcun interesse e inoltre il socio che ha effettuato il finanziamento in conto
capitale non ha il diritto di richiedere la restituzione.
- Concedere un prestito alla società comportandosi proprio come un terzo. Si tratta in questo
caso di un vero e proprio credito del socio verso la società che dovrà essere restituito alla
scadenza prevista e può produrre interessi come un vero e proprio mutuo. il socio che effettua
il prestito nei confronti della società deve essere detentore di almeno il 2% del capitale sociale
ed essere socio da almeno 3 mesi.
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LE QUOTE DI PARTECIPAZIONE
La disciplina delle quote di partecipazione rubricata nell’ART. 2468
c.c. afferma che nelle SRL, le partecipazioni dei soci non possono essere rappresentate da azioni. Questa
è la prima differenza tra le SPA e le SRL. Inoltre, tali quote non possono essere offerte al pubblico tramite
prodotti finanziari a differenza delle SRL PMI.

La partecipazione in SRL è considerata dal legislatore in modo unitario in quando, a differenza delle SPA
in cui la partecipazione si misura in numero di azioni, nelle SRL ogni socio è detentore di un’unica quota
di partecipazione che rappresenta una percentuale di partecipazione al capitale sociale.
Diverso è invece il caso delle SRL PMI in cui è possibile frazionare il capitale in parti omogenee e
effettuare appunto l’offerta al pubblico.

I DIRITTI SOCIALI E PARTICOLARI DELLE QUOTE DI PARTECIPAZIONE


I diritti sociali spettano a ciascun socio in proporzione alla quota di partecipazione detenuta. Inoltre,
nelle SRL è consentito che l’atto costitutivo attribuisca a dei singoli soci dei particolari diritti che
riguardano l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili. Stiamo parlando in questo caso
delle così dette golden quota. L’unico limite presente è che questi diritti particolari non possono essere
in contrasto con le norme imperative come ad esempio il divieto del patto leonino così come nelle SPA.
Per quanto riguarda i diritti particolari che riguardano l’amministrazione si ha:
- La facoltà di scelta di alcuni amministratori;
- Il diritto di veto;
- Decisione su determinati atti gestori.
Per quanto riguarda invece i diritti particolari sulla distribuzione degli utili si ha:
- Clausole che riservano ad uno o più soci delle percentuali qualificate;
- Priorità nel prelievo del dividendo ovvero al singolo socio spetta il 10% prima di ogni ulteriore
distribuzione.
Questi diritti particolari che vengono affidati ai singoli soci, possono essere modificati solo con il
consenso di tutti i soci, salva diversa indicazione dell’atto costitutivo. Infatti, i soci possono anche
decidere di effettuare le modifiche e integrazione di questi diritti particolari in base al principio
maggioritario caratterizzante delle società di capitali. Nel caso in cui viene apportata qualche modifica,
al socio è data la possibilità di recedere dalla società.

Successivamente è stata dalla la possibilità allo statuto nelle SRL di attribuire altri diritti particolari al di
fuori dell’amministrazione e dalla ripartizione degli utili. Questi diritti vengono chiamati diritti
particolari atipici. Il legislatore inoltre, ha deciso di assegnare direttamente al socio dei diritti particolari.
Questi diritti particolari quindi vengono assegnati al socio ma non in base alla quota di partecipazione.
Ciò vuol dire che in caso di trasferimento della quota, il diritto particolare non si muoverà con essa ma
si estinguerà.
CIRCOLAZIONE DELLE QUOTE DI PARTECIPAZIONE
Le quote di partecipazione dei soci possono essere trasferite liberamente per atto tra vivi o per
successione a causa di morte
Lo Statuto può però prevedere dei limiti alla circolazione delle quote di partecipazione:
- Può imporre infatti l’intrasferibilità assoluta;
- Può subordinare il trasferimento al preventivo gradimento in un organo sociale, di un socio o di
un terzo.
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Nel caso in cui nello statuto sono presenti questi limiti alla circolazione, al socio è dato il diritto di
recesso.
In questo caso però, l’atto costitutivo può stabilire un termine non superiore a due anni dalla costituzione
della società o dalla sottoscrizione della partecipazione.

L’ART. 2470 c.c. è rubricato efficacia e pubblicità e afferma che il trasferimento delle partecipazioni
produce effetti nel momento in cui viene effettuata l’iscrizione nel libro dei soci. L’iscrizione del
trasferimento nel libro dei soci si ha su richiesta dell’alienante o dell’acquirente tramite l’esibizione del
titolo in cui risulta il trasferimento e l’avvenuto deposito da parte dell’acquirente.
L’atto di trasferimento, con sottoscrizione autenticata, deve essere depositato dal notaio entro 30
giorni presso il registro delle imprese.

Se la quota di partecipazione viene alienata a più persone, il trasferimento verrà effettuato nei confronti
della prima persona che in buona fede ha effettuato l’iscrizione nel registro delle imprese anche se il suo
titolo di acquisto è posteriore rispetto ad altri.

NOVITA’: COME POSSONO CIRCOLARE OGGI LE QUOTE DELLA SRL?

Le quote di partecipazione dei soci nella SRL possono circolare in queste 3 modalità:
 Trasferimento delle quote per mezzo del notaio;
 Trasferimento tramite un intermediario abilitato, un dottore commercialista;
 Per le SRL PMI ai sensi dell’ART. 100 ter del TUF, il trasferimento può avvenire collocando le
quote nel mercato attraverso portali telematici facendo ricorso al pubblico risparmio per
recuperare capitale di rischio.
 In questo caso le quote possono essere sottoscritte per il tramite di un intermediario abilitato
nel quale effettua la sottoscrizione in nome proprio e per conto di coloro che hanno aderito
all’offerta.
L’intermediario dovrà depositare presso il registro delle imprese una certificazione che attesta la sua
titolarità di socio per conto di terzi.
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VINCOLI SULLE QUOTE DI PARTECIPAZIONE


Le partecipazioni della SRL possono essere oggetto di pegno, usufrutto, sequestro e pignoramento
(espropriazione).
Delle regole ben precise ci sono solo ed esclusivamente per quanto riguarda il pignoramento.
Il pignoramento si esegue con una notificazione al debitore e alla società e successivamente deve essere
effettuata l’iscrizione nel registro delle imprese. Gli amministratori poi dovranno procedere con
l’iscrizione nel libro dei soci.

Se la partecipazione non è liberamente trasferibile e il creditore, il debitore e la società non si accordano


sulla vendita della quota stessa, la vendita viene effettuata all’incanto.

Come detto precedentemente, la partecipazione può anche essere oggetto di pegno, usufrutto e
sequestro. In questo caso, si applicano le disposizioni che riguardano i diritti del socio e i diritti frazionati
così come le SPA.

LE OPERAZIONI SULLE PROPRIE QUOTE DI PARTECIPAZIONE

La SRL non può in alcun caso acquistare o accettare in garanzia delle partecipazioni proprie. Non può
quindi effettuare dei prestiti o fornire delle garanzie per l’acquisto o sottoscrizione di proprie quote di
partecipazione. Se vengono violati questi limiti, l’atto è automaticamente nullo.

Questi limiti non vengono però applicati per le SRL PMI quando l’operazione viene compiuta per attuare
dei piani di incentivazione che prevedono l’assegnazione di partecipazione ai dipendenti, collaboratori
o componenti dell’organo amministrativo ecc…
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I TITOLI DI DEBITO (ART. 2483 C.C.)


Nelle SPA viene data la possibilità di emettere dei titoli obbligazionari, ma come ben sappiamo le SRL
non possono far ricorso al pubblico risparmio per raccogliere risorse finanziarie.
La riforma però ha introdotto per le SRL l’emissione di titoli di debito ma solo ed esclusivamente se l’atto
costitutivo lo prevede. L’atto costitutivo deve infatti:
- Decidere l’organo della società incaricato ad effettuare l’emissione di questi titoli di debito;
- Deve indicare i limiti dell’emissione, le modalità di emissione ed infine deve indicare le
maggioranze necessarie per la decisione.

I titoli di debito possono essere sottoscritti solo dagli investitori professionali soggetti a vigilanza
(banche, assicurazioni, società finanziarie). A questi investitori professionali è data la possibilità di far
circolare questi titoli di debito ma in questo caso gli investitori professionali risponderanno della
solvenza della società nei confronti degli acquirenti che non devono essere a loro volta investitori
professionali.
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USCITA DEL SOCIO DALLA SOCIETA’ –


RECESSO ED ESCLUSIONE
RECESSO DEL SOCIO
Le cause legali di recesso sono contenute nell’ART. 2473 c.c. Di tutte le cause indicate dalla legge, l’atto
costitutivo non può assolutamente escluderle.
Per legge quindi, il diritto di recesso spetta al socio che:
- Non ha consentito di modificare il tipo o l’oggetto della società;
- Non ha consentito alla fusione o scissione della società;
- Non ha consentito la revoca dello stato di liquidazione;
- Non ha consentito il trasferimento della sede all’estero;
- Non ha consentito di eliminare le cause di recesso;
- Non ha consentito di escludere il diritto di opzione;
- Non ha consentito operazioni che comportano una modifica sostanziale dell’oggetto sociale;
- Non ha consentito operazioni che comportano una modifica rilevante dei diritti attribuiti ai
soci.
Inoltre, al socio è data la possibilità di recedere quando:
- La società viene costituita a tempo indeterminato. In questo caso il socio può recedere fornendo
un preavviso di almeno 180 giorni;
- Quando l’atto costitutivo prevede dei particolari limiti alla trasferibilità delle partecipazioni.
L’atto costitutivo può ampliare queste clausole aggiungendo:
- Il recesso nel caso in cui vi è il mancato raggiungimento dei risultati aziendali;
- Il recesso per trasferimento del socio all’estero;
- Il recesso ad nutum ovvero la possibilità per il socio, nelle SRL a tempo indeterminato, di recedere
in qualsiasi momento e senza causa.
I soci che ricedono dalla società hanno il diritto ad ottenere il rimborso della propria quota di
partecipazione del patrimonio sociale entro 180 giorni dalla comunicazione del recesso alla società.
Il legislatore, per tutelare il socio, ha previsto che l’ammontare del rimborso deve essere determinato
tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso.
Se ci sono dei disaccordi sulla quantificazione, la determinazione del valore viene effettuata tramite una
relazione giurata da parte di un esperto che viene nominato dal tribunale.
Oltre a questa modalità, il legislatore ha previsto anche che la liquidazione del socio receduto può essere
effettuata anche tramite l’acquisto della sua quota di partecipazione da parte di altri soci in proporzione
alle rispettive quote di partecipazione oppure può essere acquistata da un terzo individuato dai soci
stessi. Se ciò non avviene, il rimborso deve essere effettuato utilizzando le riserve disponibili nel bilancio.
In mancanza delle riserve disponibili si dovrà procedere con una riduzione del capitale sociale.
Se invece non risulta possibile il rimborso della partecipazione al socio receduto, la società viene
sottoposta a liquidazione.
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ESCLUSIONE DEL SOCIO


L’atto costitutivo può anche prevedere delle specifiche ipotesi di esclusione del socio per giusta causa.
L’organo competente a richiedere l’esclusione del socio è l’organo amministrativo oppure il collegio
sindacale. Anche in questo caso il socio ha il diritto ad ottenere il rimborso della quota di partecipazione
nelle stesse identiche modalità in cui il rimborso viene effettuato per il recesso. L’unica modalità che non
può essere attuata è la diminuzione del capitale sociale.
Se non è possibile effettuare il rimborso nei confronti del socio escluso, la società si scioglie.

LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA SRL


La struttura organizzativa della SRL è rubricata dagli articoli 2475 ss c.c.
Il modello legale, ovvero quello che viene adottato se l’atto costitutivo non prevede diversamente, si
basa su un modello organizzativo uguale a quello della SPA ovvero:
- I soci devono decidere le modifiche strutturali dell’ente (atto costitutivo) e a nominare gli
amministratori;
- Ci deve essere un organo amministrativo unipersonale o pluripersonale ovvero con un
consiglio di amministrazione a cui viene affidata la gestione della società;
- Ed infine la presenza di un sindaco a cui viene affidato il compito di controllo amministrativo e
contabile se le dimensioni finanziarie e patrimoniali della società superano una certa soglia.
Queste competenze possono essere anche affidate ad un sindaco e ad un revisore legale.

La coincidenza della struttura organizzativa della SPA e della SRL è solo apparente.
Questo perché nella SPA la struttura organizzativa è divisa in vari organi e ad ogni organo viene affidata
una competenza diversa e ben precisa. Infatti, l’azionista non può assolutamente avere dei poteri gestori
e non può avere dei poteri di controllo diretto. L’azionista semplicemente approva o disapprova le
strategie imprenditoriali adottate dall’organo amministrativo effettuando degli investimenti o
disinvestimenti alla società.
Nella SRL invece la situazione è un po' diversa perché i soci non sono esclusi dalla gestione della società
ma possono essere chiamati dalla minoranza o da uno degli amministratori a prendere appunto delle
decisioni gestori.
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ASSEMBLEA DEI SOCI


LE COMPETENZE DEI SOCI E I PROCEDIMENTI DECISIONALI
Come abbiamo detto in precedenza, la gestione della società non spetta solo ed esclusivamente agli
amministratori della società. Anzi nelle SRL vi è la possibilità che vengano attribuite delle competenze
gestorie non solo alla collettività dei soci ma anche a singoli soci.
L’ART. 2479 c.c. afferma che i soci decidono quelle che devono essere le materie di loro competenza
dall’atto costitutivo.
In tutto ciò però ci sono dei limiti su delle competenze che spettano necessariamente
all’organo amministrativo e sono:
- La redazione del bilancio;
- Progetti di fusione e scissione;
- Le decisioni per l’aumento del capitale.
Tutto ciò che è esterno a queste competenze può essere effettuato anche dai soci.

Le competenze dei soci si dividono in:


- Competenze necessarie che riguardano:
1) Modifiche dell’atto costitutivo;
2) Modifiche dell’oggetto sociale;
3) Modifiche dei diritti dei soci;
4) Approvazione del bilancio;
5) Nomina del sindaco;
6) Nomina del presidente del collegio sindacale;
7) Nomina del revisore legale.
- Competenze normali che riguardano:
1) Nomina degli amministratori;
2) Distribuzione degli utili;
3) Revoca degli amministratori.
- Competenze legali eventuali. L’ART. 2479 c.c. comma 1
afferma che i soci decidono sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti
soci che rappresentano almeno 1/3 del capitale sottopongo alla loro approvazione.
- Competenze esclusive statutarie ovvero l’ART. 2483 c.c. può incaricare ai soci il potere di
emettere i titoli di debito.
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I PROCEDIMENTI DECISIONALI
L’ART. 2479 c.c. comma 3 dà la possibilità all’atto costitutivo di decidere la modalità attraverso il quale i
soci devono prendere le decisioni. Secondo il seguente ART. le decisioni dei soci devono essere prese
tramite una consultazione scritta (metodo non assembleare) oppure tramite una deliberazione
assembleare e quindi attraverso il metodo assembleare. Se non viene indicato nulla nell’atto costitutivo,
le decisioni devono essere prese attraverso il metodo assembleare.
Il modello assembleare rimane il modello principale in quanto è il più adatto per prendere delle decisioni
equilibrate. Proprio per questo motivo, le decisioni più importanti devono essere prese seguendo il
metodo assembleare.
I procedimenti non assembleari invece permettono di prendere delle decisioni con maggiore agilità e
semplificano l’iter di formazione. Ci sono in questo caso diverse tecniche consentite come ad esempio
viene sottoposto ai soci una proposta che viene inviata tramite qualsiasi mezzo (fax, email ecc…) a cui gli
stessi devono dare un voto a favore o contro con lo stesso mezzo.
In alcuni casi, anche se l’atto costitutivo prevede l’utilizzo di questo metodo non assembleare,
quest’ultimo può non essere utilizzato se uno o più amministratori o i soci che rappresentano 1/3 del
capitale sociale richiedono di prendere la decisione adottando il metodo assembleare.

METODO ASSEMBLEARE
Il metodo assembleare è praticamente basato sul modello della SPA ovvero le decisioni vengono prese
seguendo tale procedimento collegiale che consiste in:
- Convocazione;
- Riunione;
- Discussione;
- Votazione;
- Proclamazione dei risultati;
- Verbalizzazione.
L’applicazione della disciplina della SPA però non può essere automatica e generalizzata in quanto è
importante ricordare che le SRL hanno delle caratteristiche particolari che le contraddistinguono dalle
SPA ovvero l’autonomia statutaria e la centralità dei soci nella struttura organizzativa della società.
Proprio per questo motivo, ogni fase del procedimento deliberativo richiede una ricostruzione.
1) DIRITTO DI PARTECIPARE ALL’ASSEMBLEA
Il diritto di partecipare alle assemblee spetta a tutti i soci.
Se prendiamo in considerazione le SRL PMI, queste possono emettere delle categorie di azioni diverse
anche prive del diritto di voto. Proprio per questo motivo nelle SRL PMI possono partecipare alle
assemblee tutti i soci che hanno Un diritto di voto sugli argomenti che devono essere trattati così come
le SPA.
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2) CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA
La convocazione deve essere effettuata nella forma che viene indicata dall’atto costitutivo ad esempio
per telegramma, posta elettronica ecc… e deve essere effettuata dalla persona che viene indicata
nell’atto costitutivo che solitamente è il presidente del c.d.a. oppure l’amministratore unico.
Se nell’atto costitutivo non viene indicato nulla, la convocazione deve essere effettuata tramite una
lettera raccomandata che deve essere spedita almeno 8 giorni prima della riunione dell’assemblea. La
riunione inoltre deve essere svolta presso la sede della società.

3) QUORUM COSTITUTIVO E DELIBERATIVO DELL’ASSEMBLEA


Per far sì che l’assemblea sia regolarmente costituita è necessaria la presenza di tanti soci che
rappresentano almeno la metà del capitale sociale avente diritto di voto, e questo rappresenta il
quorum costitutivo, e un quorum deliberativo pari alla maggioranza assoluta dei presenti. Nel caso in
cui l’oggetto della delibera è la modifica dell’atto costitutivo o dell’oggetto sociale, è necessario un voto
favorevole e quindi un quorum costitutivo pari alla metà del capitale sociale totale della società.
Anche in questo caso, così come le SPA, l’atto costitutivo può decidere di modificare questi quorum legali
ma non è possibile diminuirli o richiedere il consenso unanime dei soci.

Il voto che viene espresso da ciascun socio ha un peso che è proporzionale alla sua
quota di partecipazione.

4) NUMERO DI ASSEMBLEE
Un’altra differenza presente tra le SPA e le SRL è che in questo caso non è presente una duplice
convocazione. Nelle SRL è presente un’unica convocazione e nel caso in cui non viene raggiunto il
quorum costitutivo si dovrà procedere ad effettuare una nuova convocazione.

5) IL PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA
In tutto ciò è il presidente dell’assemblea che dovrà:
- Verificare che l’assemblea si costituisce regolarmente;
- Accertare l’identità e la legittimazione dei presenti;
- Regola lo svolgimento ed accerta i risultati delle votazioni;
- Effettua il verbale finale.

Una volta che il presidente dell’assemblea proclama i risultati le delibere sono efficaci salvo le delibere
per le modifiche dello statuto in quanto in questo caso è necessaria l’iscrizione nel registro delle
imprese.

6) VERBALE DELL’ASSEMBLEA
Anche nelle assemblee della SRL deve essere redatto il verbale che dovrà essere trascritto nel libro dei
soci. nel verbale deve essere indicata l’identità dei partecipanti e il voto che viene espresso da ciascun
partecipante.
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INVALIDITA’ DELLE DECISIONI DEI SOCI


Anche nelle SRL vale il principio maggioritario ciò vuol dire che le decisioni che vengono prese dai
presenti dell’assemblea valgono anche per gli assenti e per chi non ha consentito.
I soci che non hanno consentito, gli amministratori e il collegio sindacale possono impugnare le decisioni
che vengono prese dall’assemblea se tali decisioni non sono conformi alla legge o all’atto costitutivo. Le
delibere possono essere impugnate entro 90 giorni dal giorno in cui è stata effettuata la trascrizione nel
libro dei soci. In questo caso si ha la nullità della delibera.
Quando le delibere sono invalide, il tribunale può dare un periodo di 180 giorni per prendere una nuova
decisione idonea ad eliminare la causa di invalidità. Possono essere impugnate anche le decisioni assunte
con il voto determinante del socio che si trovava in conflitto di interesse con la società.
Le decisioni che hanno un oggetto illecito o impossibile e quelle decisioni che vengono prese senza
informazione, possono essere impugnate da chiunque ne abbia interesse entro 3 anni dalla trascrizione.
Possono essere impugnare, senza un limite di tempo, anche le deliberazioni che modificano l’oggetto
sociale se tale oggetto è impossibile o illecito. In questi casi si ha la nullità della delibera.
Anche per le delibere della SRL si può applicare la nullità e l’annullabilità delle SPA.

AMMINISTRAZIONE SRL
Se l’atto costitutivo non dispone diversamente, la SRL è amministrata da uno o più soci nominati con
decisione degli stessi soci. L’atto costitutivo però può prevedere sia che l’amministrazione venga affidata
a non soci e sia che la loro nomina, in tutto o in parte, non spetti alla decisione dei soci.
In ogni caso, nell’atto costitutivo è necessario indicare i soggetti a cui viene affidata l’amministrazione
della società e all’atto di nomina degli amministratori è necessario iscrivere i loro dati nel registro delle
imprese.
Non ci sono dei limiti sulla durata della carica. L’amministratore infatti cessa la carica per causa morte,
per rinuncia o per revoca. I modi e i limiti della revoca dipendono da chi ha nominato gli amministratori:
- Gli amministratori nominati con decisione dei soci possono essere revocati tramite decisione
dei soci. Se non è presente una giusta causa è necessario un risarcimento del danno nei
confronti dell’amministratore revocato;
- Gli amministratori che vengono nominati direttamente dall’atto costitutivo sono revocabili
solo per giusta causa così come si ha nelle società di persone.

Quando l’amministrazione è affidata a più persone avremo il c.d.a. che può operare congiuntamente o
disgiuntamente. Nel c.d.a., l’atto costitutivo può anche prevedere che le decisioni vengano adottate
attraverso il metodo assembleare o in base al consenso espresso per iscritto.
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DELEGHE DEL POTERE DI RAPPRESENTANZA


Quando all’interno della società è presente un c.d.a., è possibile effettuare delle deleghe gestorie nei
confronti di un comitato esecutivo o nei confronti di uno o più amministratori delegati. Se l’atto
costitutivo non fornisce una disciplina particolare per ciò, vengono considerate le norme della SPA.

DIRITTI E DOVERI DEGLI AMMINISTRATORI


Anche in questo caso la legge non determina le regole sui diritti e doveri degli amministratori in quanto
questi sono direttamente indicati dall’atto costitutivo. Diverso è invece il caso dei conflitti di interesse e
della responsabilità in quanto in questi ultimi due casi la legge fornisce una disciplina.

1. RAPPRESENTANZA DELLA SOCIETA’


Gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società.
Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina,
anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente
agito a danno della società.

2. CONFLITTI DI INTERESSE
I contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società ma si trovano in
conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, possono essere annullati, su domanda della società, se
il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.

Le decisioni che vengono adottate dal c.d.a. con il voto determinante di un amministratore che si trovava
in conflitto di interesse con la società possono essere impugnate entro 90 giorni dagli amministratori e
se ci sono anche dal sindaco o dal revisore.

RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI E CONTROLLO DEI SOCI


Ci sono 3 ipotesi di responsabilità civile degli amministratori e sono:
- Responsabilità verso la società;
- Responsabilità verso i soci danneggiati;
- Responsabilità verso i creditori sociali.
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RESPONSABILITA’ VERSO LA SOCIETA’


Gli amministratori della SRL sono responsabili verso la società se non rispettano i doveri che vengono
imposti dalla legge e dall’atto costitutivo. Se vengono violati questi doveri saranno quindi responsabili
della cattiva gestione e del deterioramento delle risorse economiche della società.

La responsabilità degli amministratori è solidale e ciò vuol dire che riguarda tutti gli amministratori. Non
è solidale invece quando alcuni compiti sono affidati a specifici amministratori oppure quando alcuni
amministratori hanno fatto notare il loro dissenso e non hanno colpe.

La delibera comporta la revoca degli amministratori solo se ci sono delle gravi irregolarità nella gestione
e tale richiesta può essere effettuata da ciascun socio.

Salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’azione di responsabilità contro gli amministratori può
essere oggetto di rinuncia o transazione da parte della società ma è necessario il consenso della
maggioranza dei soci che rappresenta almeno i 2/3 del capitale sociale e non si devono opporre un
numero di soci pari a 1/10 del capitale sociale.

Insieme agli amministratori sono anche responsabili i soci che hanno intenzionalmente deciso o
autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, per i terzi o per i creditori.
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RESPONSABILITA’ VERSO I SOCI DANNEGGIATI


i soci possono richiedere l’azione di responsabilità degli amministratori quando sono stati danneggiati in
modo diretto.
Tutti i soci che non partecipano all’amministrazione hanno il diritto di avere dagli amministratori delle
notizie sugli affari sociali e di consultare i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione.
In questo caso i soci hanno diritto ad un risarcimento del danno.

RESPONSABILITA’ VERSO I CREDITORI SOCIALI


Gli amministratori sono responsabili verso i creditori sociali se non osservano gli obblighi inerenti alla
conservazione dell’integrità del patrimonio e quindi il patrimonio non è sufficiente a soddisfarli.
In questo caso i creditori sociali avranno diritto ad un risarcimento del danno.

CONTROLLO INTERNO SRL


L’atto costitutivo può prevedere la nomina di un organo di controllo o di un revisore ma dovrà anche
determinare le loro competenze e i poteri.
Questa è una differenza che c’è tra le SPA e le SRL in quanto nel primo caso l’organo di controllo e il
revisore legale sono obbligatori.
L’organo di controllo è costituito solitamente da un solo membro salvo che l’atto costitutivo non preveda
diversamente.
La nomina dell’organo di controllo e del revisore legale è obbligatori se la società:
- effettua il bilancio consolidato;
- controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti;
- ha superato per due esercizi consecutivi almeno uno dei seguenti limiti:
1) 4 milioni di attivo;
2) 4 milioni di ricavi;
3) 20 dipendenti.
Questi parametri sono stati raddoppiati dal decreto sbocca cantieri.
In questi casi quindi l’assemblea dei soci deve nominare l’organo di controllo e il revisore legale. Se la
nomina non viene effettuata dall’assemblea allora provvederà il tribunale.
Tale obbligo cessa quando per 3 esercizi consecutivi non viene superato alcun limite.

Anche se viene nominato un organo di controllo monocratico ovvero formato da un unico elemento, si
applicano le norme del collegio sindacale della SPA.

Si applicano anche tutte le disposizioni inerenti al controllo esterno anche se la società non è dotata di
organo di controllo.
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I LIBRI SOCIALI OBBLIGATORI


oltre ai libri e le altre scritture contabili, la società deve tenere anche:
- Il libro dei soci;
- Il libro delle decisioni dei soci;
- Il libro delle decisioni degli amministratori;
- Il libro delle decisioni del collegio sindacale.

BILANCIO E DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI


Il bilancio deve essere redatto seguendo le norme della SPA.
Il bilancio deve essere presentato ai soci entro il termine stabilito dall’atto costitutivo e comunque non
deve essere superiore a 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio salvo i casi in cui è previsto un maggior
termine.
Dal momento in cui i soci approvano il bilancio, entro 30 giorni la copia di quest’ultimo deve essere
depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. I soci che approvano il bilancio devono anche
decidere sulla distribuzione degli utili ai vari soci. possono essere distribuiti solo gli utili che sono stati
conseguiti e che risultano dal bilancio approvato.
Così come nelle SPA, se si verifica una perdita non si potrà effettuare la ripartizione degli utili fino a
quando il capitale sociale non viene reintegrato.
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SAPA
La SAPA ha una disciplina molto simile alle SAS anche se nella SAPA le quote di partecipazione sono
rappresentate da azioni.
In queste società esistono 2 tipi di soci e sono:
 I soci accomandatari che hanno la responsabilità illimitata;
- I soci accomandanti che hanno una responsabilità limitata in base a quella che è la
quota di capitale sottoscritta.

Quindi possiamo dire che nelle SAPA c’è una duplice responsabilità della società e degli accomandatari.
In questo caso però, così come le SAS, i creditori dovranno aggirare prima il patrimonio sociale.

Tutti i soci accomandatari della SAPA sono amministratori della società a tempo indeterminato a
differenza delle SAS che ci può essere anche l’amministrazione da parte di un terzo.

La revoca degli amministratori deve essere deliberata con la maggioranza dell’assemblea ordinaria SPA
e se la revoca viene effettuata senza una giusta causa, all’amministratore revocato spetterà un
risarcimento del danno.
Una volta che l’accomandatario cessa dall’ufficio non risponderà più delle obbligazioni.

Il trasferimento delle azioni da un accomandatario ad un terzo non fa diventare quest’ultimo un


accomandatario in quando la posizione di accomandante o accomandatario non è legata al possesso
delle azioni ma è legata al fatto di avere o meno la carica di amministratore.

I soci accomandatari non hanno alcun diritto di voto per la nomina e la revoca dei sindaci. Anche per
quanto riguarda le modifiche statutarie, queste devono essere approvate con la maggioranza
dell’assemblea straordinaria SPA.
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CONTROLLO E GRUPPI SPA – SRL – SAPA


L’accertamento del controllo è utile per l’individuazione di una disciplina, soprattutto in tema di bilancio
Controllo diretto A-B controllo indiretto A-B-C
Art.2359 società controllate: riguarda il controllo interno: 1 e 2 sono controlli azionari, il 3 è un controllo
contrattuale
1) Le società in cui un’altra società dispone della maggioranza di voti esercitabili nell’assemblea
ordinaria; parla di assemblea ordinaria che è quella dove vengono esercitati i diritti di voto e
che nomina gli amministratori (oltre ai primi che sono nominati nell’atto costitutivo), e riguarda
la maggioranza di diritto (50+1)
2) Le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante
nell’assemblea ordinaria; in questo caso si parla di maggioranza di fatto, cioè va in base ai diritti
di voto
3) Le società che sono sotto un’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli
contrattuali con essa, si parla di controllo contrattuale, e di contratti di gestione della società;
non parla di contratti di dominio che sono una cosa diversa, questi hanno per oggetto il
controllo, no atti gestori, cioè la società si assoggetta ad un controllo altrui, non sono utilizzati
nel nostro ordinamento.
Per 1 e 2 si computano anche i voti si società controllate, fiduciarie e persona interposta, non si
computano i voti spettanti per conto di terzi.
Collegamento: collegate sono le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole; cioè
nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno 1/5 dei voti, o 1/10 nelle società quotate.

Art.2359bis: La società controllata (i soci possono detenere azioni in entrambe le società)non può
acquistare azioni della controllante se non nei limiti degli utili distribuibili e riserve disponibili e l’acquisto
deve essere autorizzato dall’assemblea. Nel caso l’acquisto non può eccedere la quinta parte del capitale
della controllante. La controllata non può esercitare i diritti di voto nell’assemblea della controllante.
Le azioni acquistate in violazione di questo ART. devono essere alienate o annullate.
Inoltre, questi limiti non si applicano se l’acquisto avviene in caso di aumento a titolo gratuito, fusione o
scissione e esecuzione forzata.

Art. 2497sexsies presunzione: la società che controlla un’altra o chi esegue il bilancio consolidato si
presume esercitino attività di direzione e coordinamento e quindi queste formano un gruppo. Non
sempre, è una presunzione. Quindi per formare un gruppo serve controllo o bilancio consolidato ed
esercizio di direzione e coordinamento.
Gruppo: quindi dove vi è una società che esercita attività di direzione e coordinamento e una sottostante
che mantiene la sua autonomia giuridica e patrimoniale.

Art.2497 responsabilità: le società capogruppo e gli enti (non societari) che esercitano attività di
direzione e coordinamento, sono responsabili quando agiscono nell’interesse proprio o altrui in
violazione di principi di corretta gestione, nei confronti dei soci quando l’attività di direzione e coord. ha
comportato una riduzione del valore della partecipazione, e nei confronti dei creditori quando ha
comportato una riduzione dell’integrità del patrimonio.
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Non vi è responsabilità quando il danno è stato eliminato o compensato con altri vantaggi.
Risponde in solido chi ha conseguito il danno e chi ne ha tratto beneficio.
I soci o i creditori possono agire nei confronti della capogruppo, tranne nel caso di eliminazione del danno
o di vantaggi compensativi.
Nel caso di società di direzione e coordinamento soggette a procedure, come la liquidazione giudiziale,
la legittimazione ad esercitare questa azione è del curatore giudiziale o commissario straordinario.
(Liquidazione giudiziale entra in vigore con le modifiche del cod della crisi e dell’insolvenza ad 08/2020)

Art.2497bis obblighi pubblicitari: La società deve indicare la società alla cui attività di direzione e
coordinamento è soggetta, negli atti e con l’iscrizione da parte degli amministratori nel registro delle
imprese. Gli amministratori che non lo fanno sono responsabili di eventuali danni recati a terzi.
Nel registro delle imprese nella sezione speciale, c’è una sezione dove devono essere iscritte le società
che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette. Oltre all’iscrizione
nella sezione ordinaria come normale sistema pubblicitario. (doppia forma pubblicitaria)
La società deve esporre nella nota integrativa un prospetto riepilogativo del bilancio della controllante.
Inoltre gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione le operazioni infragruppo e gli
effetti che questi hanno sulla società.

Art.2497ter: alcune decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, devono
essere motivate, quando da questa influenzate.

Art.2497quater diritto di recesso: cause di recesso dei soci che appartengono ad una società soggetta ad
attività di direzione e coordinamento (cioè le società controllate, figlie). L’art.2437 parla di recesso del
socio che non ha preso parte alle decisioni. Mentre questo parla di tutti i soci, perché le decisioni non
sono state prese dalla controllata, ma dalla controllante, quindi nessuno ha preso parte. Cause:
- La controllante ha deliberato trasformazione che modifica lo scopo sociale, quindi l’oggetto
sociale
- Quando la controllante è responsabile nei confronti dei soci e la responsabilità è stata accertata
con decisione esecutiva, in questi casi il recesso è totale (differenza con 2437 dove il recesso
può essere anche parziale)
- Inizio e fine attività di direzione e coordinamento e non si tratta di società quotate e si ha un
rischio di modifica delle originarie condizioni di investimento, a meno che non venga promossa
un’offerta pubblica di acquisto (cioè il socio invece di disinvestire recedendo, disinveste
alienando le azioni alla società a cui appartiene).
Queste definizioni riguardano spa e srl [vedere recesso srl]
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Art.2497quinquies (uguale per le srl): ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita
attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti, si applica l’art. dei finanziamenti dei soci nella srl
(i finanziamenti dei soci a favore della società sono posteriori al soddisfacimento dei creditori, se
avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di liquidazione giudiziale, devono essere restituiti).

OPA Offerte pubbliche di acquisto


Partecipazioni rilevanti cioè suscettibili di far presumere controllo nella società da parte dell’azionista.
Quando una società acquista partecipazioni rilevanti (titolarità di azioni superiore al 3%, 5% PMI) in una
quotata o viceversa, scattano gli obblighi informativi verso la Consob e al mercato. Questo obblighi
rendono trasparenti gli acquisti.
In caso di inadempimento di questi obblighi: si hanno sanzioni amministrative, inoltre è sospeso il diritto
di voto e se esercitato, la delibera può essere impugnata, dalla consob, oltre che dai soci, se con voto
determinante di questi che avrebbero dovuto comunicare ma non l’hanno fatto.

Acquisizione reciproca di partecipazioni: partecipazione incrociata fra due società in modo che ognuna
risulta socia dell’altra. Il pericolo è che viene alterata la consistenza patrimoniale delle società coinvolte
ed il corretto funzionamento delle rispettive assemblee, soprattutto quando fra le due società intercorre
un rapporto di controllo. Art. 121 TUF introduce alcune significative novità. Da un lato, le soglie sono pari
al 2% in società quotate e pari al 10% per la partecipazione di società quotate in non quotate, e le sanzioni,
rappresentate dalla sospensione del diritto di voto e dall’obbligo di alienazione della partecipazione
reciproca eccedente. Le novità riguardano, la separazione della disciplina delle partecipazioni reciproche
rispetto a quelle rilevanti, l’estensione della disciplina delle partecipazioni reciproche a livello di gruppo,
l’introduzione della possibilità, per le società quotate, di aumentare il limite della partecipazione al 5%
previo accordo autorizzato preventivamente dalle assemblee delle due società coinvolte e, infine,
l’esplicito esonero dall’applicazione della disciplina delle partecipazioni reciproche nel caso in cui venga
lanciata una preventiva offerta pubblica di acquisto.
Nelle società non quotate, l’acquisto reciproco di azioni è possibile, senza limite, quando tra le due società
non intercorre un rapporto di controllo e, nessuna delle due è quotata. Se, invece, la situazione si verifica
fra società controllante e le sue controllate, si applicano i limiti qualitativi e quantitativi previsti dalle
norme suindicate e coincidenti con quelli inerenti l’acquisto di azioni proprie.

Sollecitazione al risparmio:
- Sollecitazione all’investimento: si ha quando c’è un’offerta pubblica di sottoscrizione o
un’offerta pubblica di vendita (ops- opv). Il legislatore definisce questa operazione più rischiosa
poiché viene scambiato denaro contro titoli.
- Sollecitazione al disinvestimento: si ha quando c’è un’offerta pubblica di acquisto o offerta
pubblica di scambio (ops-OPA). Disinvestimento in cambio di denaro o altri titoli.
Entrambe le procedure sono disciplinate dal TUF, che afferma che le disposizioni si applicano a società
italiane con titoli quotati in mercati regolamentati italiani.
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Entrambe le procedure prevedono la redazione di un documento (proposta, sia per OPA che per opv),
che prima di essere pubblicato viene trasmesso alla Consob, la quale esercita un controllo di legittimità,
conformità alla legge, cioè completezza e chiarezza, definisce se attraverso il documento il destinatario
può valutare chiaramente l’operazione o meno, cioè se può investire o disinvestire in maniera
consapevole.
Se la Consob non si esprime entro un certo tempo, nel caso di investimento il procedimento si blocca; nel
caso di disinvestimento si entra nel procedimento del silenzio-assenso, e quindi la procedura continua.

Nel caso di disinvestimento, l’OPA è lanciata da chi vuole acquistare azioni nella società target
(ovviamente posso anche acquistare singole azioni, quindi rastrellare, non devo per forza fare un Opa, in
entrambi i casi c’è il controllo della Consob). Il documento dell’OPA o ops oltre ad essere comunicato alla
Consob, deve essere comunicato alla società emittente le azioni, società target ; cioè in questo caso un
soggetto (amm…) lancia un OPA sull’acquisto di azioni di un’altra società. Vengono individuati gli oblati,
gli acquirenti, le condizioni di contratto sono stabilite dall’offerente e la proposta (cioè l’offerta) non può
essere revocata.
La società target effettua un controllo di merito e dal risultato di questo controllo si capisce se è un’offerta
amichevole o ostile. Nel caso in cui l’offerta sia ostile la società target ha delle tecniche di difesa. (Difesa
dalle scalate ostili)

Offerte pubbliche obbligatorie (106 TUF)


OPA obbligatoria: offerta pubblica totalitaria successiva: chiunque è venuto a detenere una
partecipazione superiore al 30% (30% PMI, che possono modificarla, tutte le altre 25%) è obbligato a
lanciare un’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni quotate con diritto di voto. Quindi
totalitaria perché ha ad oggetto la restante totalità delle azioni quotate con diritto di voto e successiva
perché l’obbligo si ha dopo l’acquisizione del controllo.
Riprende il discorso del controllo di società quotate dove si preferisce un controllo con una bassa %.
Perché il legislatore presume che con una % sup al 30%, il soggetto stia controllando e che il controllo
sarà stabile, duraturo e difficilmente reversibile, e che quindi non garantisce l’efficienza della gestione.
Se ho un controllo con 90% posso fare quello che voglio perché è difficile che qualcuno acquisti una %
maggiore. Mentre con un controllo del 20% si garantisce la contendibilità dell’efficienza del controllo, che
si riflette anche nelle economie dei singoli soci.
Inoltre la quotazione di azioni di società contendibili è maggiore rispetto a quella delle società non
contendibili, perché qualcuno è disposto a pagare di più per acquisire il controllo.
Con un controllo sup al 30%, il valore delle azioni è ridotto, quindi c’è disparità di trattamento tra i soci
che hanno venduto prima ad un valore maggiore e i soci di minoranza, che in questo modo sono tutelati,
perché si consente a questi di disinvestire ad un prezzo equo agli altri azionisti che hanno venduto la
partecipazione.

[PERCHÉ DIRITTO DI VOTO?] Per partecipazione si intende solo azioni quotate e con diritto di voto(su
qualunque argomento)che possiedono il diritto di nominare organi amministrativi e di controllo, perché
con queste si ha un controllo della società.
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[A QUALE PREZZO DEVE COMPRARE LE AZIONI RESTANTI?] Il prezzo deve essere uguale a quello più alto
che ha pagato per azioni di una determinata categoria. Cioè si fa una distinzione per categoria, e si vede
qual è stato il prezzo più alto pagato , a quel prezzo sarà obbligato ad acquistare le restanti azioni. Se non
ci sono stati acquisti di quella categoria si prende in considerazione il prezzo del passato.
Il regolamento consob ha aggiunto che il prezzo può essere inferiore o superiore in base a determinati
criteri.

Quindi il soggetto che detiene più del 30% di azioni è obbligato a lanciare un opa, a un determinato
prezzo, gli oblati potranno decidere se vendere o meno. In questo modo il legislatore fa uscire dal mercato
le società non contendibili.

Ci sono però fattispecie di esenzione dall’obbligo:


- Nel caso in cui il soggetto sia venuto a detenere quella partecipazione a seguito di una offerta
pubblica volontaria totalitaria e preventiva. Cioè questo soggetto invece di rastrellare lancia
un’opa e quindi tratta alla stessa maniera tutti, non c’è bisogno di tutela, il controllo potrebbe
essere detenuto anche da un altro soggetto;
- Controllo congiunto di tanti soci;
- Il soggetto acquista quella partecipazione per salvare una società in crisi;
- Quando si tratta di trasferimenti di partecipazioni tra società sorelle, quindi controllate da
un’altra società, non interessa chi controlla in ognuna;
- Nel caso di aumento di capitale a pagamento, quando solo un socio esercita il diritto d’opzione;
- Operazioni che comportano il superamento temporaneo di quella soglia;
- Operazioni straordinarie (fusione scissione trasformazione);
- Acquisti a titolo gratuito
- Aggiunto di recente, la società può chiedere alla Consob di essere esonerata dall’obbligo di OPA,
la Consob se trova le motivazioni, può concederlo .

107 TUF ulteriore caso di esenzione dall’obbligo si ha quando il soggetto è venuto a detenere la
partecipazione con un OPA o ops avente ad oggetto almeno il 60% delle azioni; l’offerta è efficace se
approvata dalla maggioranza, escluso l’offerente e il socio di maggioranza.
108 TUF obbligo di acquisto (non è un’OPA, è individuale): L’offerente che è venuto a detenere a
seguito di un’offerta pubblica totalitaria, il 95% delle azioni quotate, è obbligato ad acquistare (non
a lanciare un opa) da chi vuole vendere.
Salvo il comma precedente, chi è venuto a detenere più del 90% di azioni quotate è obbligato ad
acquistare da chi ne fa richiesta; se non ripristina entro 90 gg un flottante (ciò che circola in giro)
non inferiore al 10%. Il corrispettivo è pari all’offerta pubblica totalitaria precedente o determinato
dalla consob.
109 TUF acquisti di concerto: l’art. 106 e 107 si applica anche a coloro che effettuano acquisti di
concerto, cioè chi acquista insieme a favore di uno solo che viene a detenere una % maggiore
(pensano di farla franca ma il legislatore opera con la presunzione).
110 TUF inadempimento degli obblighi (sistema sanzionatorio): Il diritto di voto per tutta la
partecipazione posseduta non può essere esercitato e ha l’obbligo di alienare la parte eccedente
entro 12 mesi. Se viene esercitato la consob impugna la delibera.
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La consob può stabilire che anziché vendere la parte eccedente è preferibile lanciare un opa tardiva, a
prezzi stabiliti dalla consob. Perché l’obbligo di alienazione turba il mercato.
111 TUF diritto di acquisto: chi, attraverso un opa totalitaria preventiva, detiene più del 95% delle
azioni, ha diritto ad acquistare la parte residua, se nel documento di offerta aveva dichiarato di
volersi avvalere di questo diritto. (esproprio di azioni)

PATRIMONI DESTINATI A SPECIFICI AFFARI La società può:


Costituire uno o PIÙ PATRIMONI DESTINATI AD UNO SPECIFICO AFFARE (patrimoni destinati operativi).
Sorgono per effetto di una delibera costitutiva dell’organo amministrativo a maggioranza dei suoi
componenti, salvo diversa disposizione dello statuto; la delibera deve indicare: l’affare, i beni immessi
nel patrimonio separato, il piano economico-finanziario, eventuali apporti di terzi, la possibilità di
emettere strumenti finanziari, nomina di un revisore e regole di rendicontazione; è previsto un limite
quantitativo: il patrimonio separato, destinato operativo, non può eccedere il 10% del patrimonio netto
della società. La delibera è sottoposta ad un controllo di legalità da parte del notaio, che la iscrive nel
registro delle imprese. Entro 60 gg i creditori possono opporsi, se non si oppongono non possono far
valere alcun diritto sul patrimonio separato.
Gli atti compiuti per lo specifico affare devono menzionare il vincolo di destinazione, in mancanza
risponde la società con il patrimonio netto.
I beni e i rapporti sono indicati separatamente nello SP della società e per ciascun patrimonio destinato
gli amministratori redigono un rendiconto separato.
Il patrimonio separato permane finchè dura l’affare. Quando si realizza o se è impossibile gli
amministratori redigono un rendiconto finale. Nel caso non sono soddisfatte le obbligazioni dello
specifico affare, i creditori possono richiedere la liquidazione.

Oppure stipulare CONTRATTI DI FINANZIAMENTO destinato a specifici affari, con terzi disposti a
finanziare. La garanzia e il rimborso del finanziamento avvengono con i proventi conseguiti dall’affare. Su
questi proventi può soddisfarsi solo il finanziatore, no creditori sociali ecc..
Questo oltre l’iscrizione nel registro delle imprese, spetta l’adozione di sistemi d’incasso e di
contabilizzazione per individuare i proventi dell’affare e separarli dal patrimonio sociale
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SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETA’ DI CAPITALI


Con lo scioglimento della società, quest’ultima non cessa di esistere anzi mantiene la sua personalità
giuridica ma entra semplicemente nella fase di liquidazione.
Le cause che comportano lo scioglimento della società possono essere legali o possono essere
convenzionali ovvero statutarie e sono:
- Il decorso del termine è una causa di scioglimento della società. Questa è una causa che si può
verificare o meno perché la durata della società può essere anche indeterminata oppure può
essere prorogata. Per quanto riguarda ciò, nelle SPA viene data al socio la possibilità di recesso
se lo stesso non acconsente la proroga. Nelle SRL questo invece non è possibile;
- Il conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità nel conseguirlo è un’altra causa di
scioglimento della società salvo nel caso in cui la società non deliberi la sua modifica;
- L’impossibilità di funzionamento dell’assemblea o la continua inattività della stessa è un’altra
causa di scioglimento della società e ciò vuol dire che nel caso in cui i soci non riescono a
deliberare su atti essenziali per il funzionamento della società si avrà automaticamente lo
scioglimento;
- La riduzione del capitale sotto al minimo legale comporta lo scioglimento della società ma In
questo caso lo scioglimento della società si ha quando le perdite superano 1/3 del capitale
sociale e questo comporta una riduzione del capitale sociale nominale. Come ben sappiamo, la
riduzione è ammessa solo ed esclusivamente se il capitale non si trova già al minimo legale. In
questo ultimo caso si avrà lo scioglimento della società salvo nel caso in cui la società stessa
non intervenga nei modi che abbiamo visto in precedenza;
- Lo scioglimento della società si può avere anche tramite una deliberazione dell’assemblea in
cui si decide appunto di sciogliere anticipatamente la società rispetto al termine previsto. Nelle
SPA è necessaria una delibera da parte dell’assemblea straordinaria, mentre, nelle SRL è
necessaria una delibera da parte dell’assemblea dei soci.

In passato queste cause di scioglimento operavano automaticamente. Oggi invece, nel caso si verifica
una causa di scioglimento, gli amministratori dovranno procedere al suo accertamento tranne se lo
scioglimento è stato deliberato dall’assemblea dei soci.
Dopo l’accertamento, gli amministratori dovranno depositare la relazione nel registro delle imprese,
mentre, se la richiesta di scioglimento viene effettuata dall’assemblea dovrà essere depositata presso il
registro delle imprese il verbale della delibera.
Gli effetti quindi si verificheranno dal momento in cui viene effettuata l’iscrizione nel registro delle
imprese.
Nel caso in cui gli amministratori non adempiono o ritardano i doveri, saranno automaticamente
responsabili per i danni subiti dalla società, dai terzi o dai creditori.

Se si verifica una causa di scioglimento della società, gli amministratori mantengono comunque il potere
di gestione con il fine di conservare l’integrità del patrimonio e il suo valore. Se non effettuano ciò
saranno responsabili.
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PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE NOMINA E REVOCA DEI LIQUIDATORI


Gli amministratori, al momento dell’accertamento della causa di scioglimento, dovranno convocare
l’assemblea dei soci che dovrà deliberare su tutto ciò che riguarda:
- La nomina dei liquidatori;
- I poteri dei liquidatori;
- Tutti gli atti necessari per la conservazione del valore d’impresa.
Nel caso in cui a tutto ciò non provvede l’assemblea, sarà il tribunale ad avere le seguenti competenze.

I liquidatori possono anche essere revocati dall’assemblea senza una giusta causa ma in questo caso è
previsto un risarcimento del danno nei confronti del liquidatore revocato. Quando invece è presente
una giusta causa, i liquidatori possono anche essere revocati dal tribunale su richiesta dei soci, dei
sindaci o del pubblico ministero (revoca giudiziale).
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PUBBLICITA’ DELLA NOMINA DEI LIQUIDATORI E GLI EFFETTI DELLA PUBBLICITA’


Tutto ciò che viene deliberato dall’assemblea o dal tribunale e quindi la nomina dei liquidatori, i loro
poteri ecc … devono essere tutte iscritte nel registro delle imprese. inoltre, nella sezione in cui viene
indicata la denominazione dell’ente si dovrà inserire “società in liquidazione”.

Una volta che viene effettuata l’iscrizione nel registro delle imprese, gli amministratori cessano la loro
carica e consegnano ai liquidatori:
- I libri sociali;
- Una situazione dei conti della società;
- Un rendiconto sulla gestione.

POTERI DEI LIQUIDATORI E POTERI E DOVERI PARTICOLARI


Salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, i liquidatori hanno il potere di compiere tutti gli atti utili
per effettuare la liquidazione. Questa è una differenza che c’è tra le società di capitali e le società di
persone in cui in questo ultimo caso vi è il divieto di compiere nuove operazioni.

Se i fondi disponibili della società risultano non sufficienti per pagare tutti i debiti, i liquidatori possono
chiedere ai vari soci di effettuare i versamenti ancora dovuti in riferimento ai conferimenti promessi.
Inoltre, non possono ripartire tra i soci gli acconti sui risultati della liquidazione. Questo praticamente
può essere richiesto dai liquidatori se le disponibilità non sono sufficienti a soddisfare i creditori sociali.

I liquidatori in tutto ciò devono compiere gli atti con una certa diligenza e professionalità.

LA RESPONSABILITA’ DEI LIQUIDATORI


La responsabilità dei liquidatori per i danni che derivano dalla loro inosservanza dei loro doveri è
disciplinata in base alle norme relative alla responsabilità degli amministratori. Oltre a questa
disposizione di carattere generale, vanno aggiunti anche i casi di responsabilità nei confronti dei creditori
sociali in caso di illecita ripartizione tra i soci di acconti sul risultato della liquidazione e saranno
responsabili anche nel caso in cui effettuano la cancellazione nel registro delle imprese senza aver
provveduto al pagamento dei creditori sociali.
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GLI ORGANI SOCIALI DURANTE LA FASE DI LIQUIDAZIONE


Durante la fase di liquidazione c’è continuità della struttura organizzativa e ciò vuol dire che per i soci,
l’organo amministrativo e l’organo di controllo si continueranno ad applicare le loro norme anche
durante la fase di liquidazione della società.
Durante la fase di liquidazione quindi si possono tranquillamente continuare ad effettuare fusioni,
scissioni, trasformazioni e operazioni sul capitale.

Anche durante la liquidazione è presente la regola della redazione periodica del bilancio d’esercizio che
dovrà essere effettuata dai liquidatori. Il bilancio successivamente deve essere presentato all’assemblea
per l’approvazione oppure ai soci ai sensi dell’ART. 2479 c.c.
Nella relazione, i liquidatori devono inserire anche lo stato di liquidazione e devono indicare nella nota
integrativa i criteri che sono stati utilizzati per realizzarla.
Nei bilanci successivi dalla loro nomina, i liquidatori dovranno anche indicare tutte le variazioni dei
criteri di valutazione rispetto all’ultimo bilancio effettuato.

REVOCA DELLO STATO DI LIQUIDAZIONE


La società può revocare in qualsiasi momento lo stato di liquidazione ma è necessario che:
- Vengano eliminate le cause di scioglimento;
- Si verifica la presenza del capitale minimo;
La revoca della liquidazione della società deve essere decisa con una delibera dell’assemblea assunta
dalla maggioranza.
La revoca produce i suoi effetti sono 60 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di
revoca, salvo che siano stati pagati i creditori.
I soci non consenzienti hanno la possibilità di recedere.
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CHIUSURA DELLA LIQUIDAZIONE


Una volta che la liquidazione viene effettuata ovvero viene convertito in denaro tutto il patrimonio della
società e vengono pagati i creditori, si procede con la redazione del bilancio finale da parte dei
liquidatori. Questo bilancio finale deve essere sempre approvato dai soci. l’attivo residuo deve essere
successivamente ripartito tra i soci e questo porta alla cancellazione definitiva della società dal registro
delle imprese e al deposito dei libri sociali.

Il bilancio finale, anche se ha la stessa struttura del bilancio d’esercizio, si differenzia da quest’ultimo
perché il bilancio finale ha una rilevanza informativa per i soci. Questo perché il bilancio finale ha la
funzione di rappresentare ai soci il rendiconto finale della gestione svolta dai liquidatori e si determina
l’attivo residuo che dovrà essere ripartito tra i vari soci.

Il bilancio finale è composto dal bilancio finale in senso stretto e dal piano di riparto. Se il patrimonio è
risultato abbondante per pagare tutti i creditori, la parte rimanente verrà distribuita tra i vari soci.

Il bilancio che viene sottoscritto dai liquidatori, insieme alla relazione dei sindaci e del revisore, deve
essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.
Nei successivi 90 giorni, i soci potranno reclamare. Dopo questi 90 giorni, se non viene effettuato alcun
reclamo dai soci, il bilancio si intende approvato e i liquidatori sono liberati di fronte ai soci.
Le somme che non vengono riscosse dai soci entro 90 giorni, sono depositate presso una banca.

Una volta che il bilancio finale dei liquidatori viene approvato, i liquidatori stessi devono richiedere la
cancellazione della società dal registro delle imprese. Una volta che viene effettuata la cancellazione
nel registro delle imprese, i creditori non soddisfatti potranno far valere i loro diritti nei confronti dei soci
nei limiti del riparto oppure nei confronti dei liquidatori se hanno colpa.
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SOCIETA’ DI CAPITALI

CARATTERISTICHE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI: SPA, SRL e SAPA


Tutte le società di capitali hanno le seguenti caratteristiche salvo in alcuni casi la SRL:
- ORGANIZZAZIONE DI TIPO CORPORATIVO ovvero presenza di più organi con competenze
diverse;
- Gli organi deliberano in base al METODO COLLEGIALE;
- Vige il PRINCIPIO CAPITALISTICO in quanto è importante il capitale del socio e non la persona
del socio;
- Vale il PRINCIPIO MAGGIORITARIO ovvero le decisioni vengono prese con maggioranza e tali
decisioni sono vincolanti per tutti i soci.
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SPA
La SPA è uno strumento che permette di raccogliere delle risorse finanziarie che sono destinate ad una
certa attività. Questa raccolta di risorse finanziarie viene effettuata nei confronti degli investitori di
rischio anonimi che sono dei soggetti che non sono interessati a partecipare alla gestione della SPA.
Gli investitori che contribuiscono a questo fondo di rischio, rischiano solo ed esclusivamente per il
capitale da essi investito in quanto hanno una responsabilità limitata dovuta all’autonomia patrimoniale
perfetta.
I singoli soci inoltre possono decidere di effettuare il disinvestimento anticipato ovvero possono decidere
di cedere la loro quota a terzi.
TIPOLOGIE DI SPA
Le SPA si possono dividere in diverse tipologie.
In base ai dati economici le SPA si possono distinguere in:
- SPA medio-grandi;
- SPA piccole.
Oltre a questa distinzione, le SPA si possono distinguere in SPA APERTE e SPA CHIUSE.
- Le SPA aperte hanno una compagine sociale ampia ed aperta alla partecipazione di nuovi soci.
ciò vuol dire che in caso di bisogno di finanziamenti, ci si può rivolgere al mercato dei capitali.
Le SPA aperte si possono dividere a loro volta in:
1. SPA aperte con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante (SPA DIFFUSE);
2. SPA aperte con azioni quotate nei mercati regolamentanti (SPA QUOTATE). Anche le SPA
quotate però hanno azioni diffuse.
- Le SPA chiuse invece hanno una compagine sociale ristretta ed è a base famigliare oppure sono
SPA che hanno una compagine sociale chiusa per l’ingresso di investitori esteri. Ciò vuol dire che,
in caso di bisogno di finanziamenti, non possono rivolgersi al mercato dei capitali come le SPA
aperte.
La dottrina inoltre tende ad accostare queste SPA chiuse alle SRL.

TUTELA DEL RISPARMIO DIFFUSO


Se la SPA è chiusa, per controllarla bisogna essere gestore di numerose azioni. Se la SPA è quotata invece,
si può gestire anche con una piccola percentuale di azioni. Questo perché più il mercato è grande, più
bassa sarà la percentuale necessaria per la gestione.
Quando il capitale è molto diffuso vuol dire che abbiamo tanti azionisti disinteressati e quindi è ancora
più facile raggiungere il controllo. Infatti in questo caso, anche con una piccola quota si riesce a
controllare un grande capitale.
Tutto questo porta alla nascita della tutela del risparmio diffuso che rappresenta la tutela delle
minoranze che in questa società rappresenta la maggioranza.
Il legislatore non vuole che si gestisca con una grande percentuale perché poi bisognerà trovare uno con
altrettante azioni e quindi non vuole che si gestisca con più del 30% di azioni.
Inoltre chi gestisce deve gestire in modo efficiente altrimenti il mercato lo manda a casa e in questo modo
si garantisce l’efficienza della gestione.
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COSTITUZIONE SPA
La costituzione della SPA può avvenire in due modi e sono:
- Costituzione istantanea che è la più immediata e diffusa. Con questa costituzione, i soci fondatori
si incontrano, sottoscrivono il capitale e stipulano l’atto costitutivo dal notaio.
- Costituzione per pubblica sottoscrizione in questo caso le operazioni avvengono in momenti
differenti e nel frattempo si raccolgono sottoscrizioni. Tutto questo avviene con un progetto SPA
da parte dei promotori ma questa costituzione non viene mai utilizzata.

Quindi la costituzione che prendiamo in considerazione è quella istantanea in cui i soci si incontrano e
sottoscrivono il contratto, chiamato atto costitutivo. L’atto costitutivo è un atto che contiene:
- La volontà dei fondatori di dare vita alla società;
- Determina gli elementi essenziali;
- Vincola tutti i soci attuali e futuri;
- È opponibile a tutti.

Inoltre, secondo l’ART. 2329 c.c., per costituire una SPA inoltre è necessario che vengano rispettate 3
condizioni:
1) Che sia sottoscritto per intero il capitale sociale.
2) Che siano rispettate le previsioni stabilite dalla legge in materia di conferimenti.
3) Che ci siano autorizzazioni e altre condizioni previste dalle leggi speciali per la costituzione della
società, in relazione al suo particolare oggetto.

Quindi la costituzione delle SPA avviene tramite l’atto costitutivo, lo statuto e la


pubblicità legale dell’avvenuta costituzione.
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1) ATTO COSTITUTIVO
L’atto costitutivo può essere un contratto quando la società viene costituita da più soggetti oppure può
essere un atto unilaterale quando la società è unipersonale. L’atto costitutivo, ai sensi dell’ART. 2328
c.c. definisce quello che deve essere il contenuto minimo ovvero:
 dati dei soci;
 attività sociale;
 La denominazione;
 La sede;
 L’oggetto;
 Il capitale;
 La durata della società che può essere anche indeterminata;
 Il numero delle azioni;
 Le caratteristiche delle azioni e della loro emissione;
 Il valore attribuito a crediti e conferimenti in natura;
 Le norme di ripartizione degli utili;
 I benefici ai promotori e ai soci fondatori;
 Le spese di costituzione;
 Il sistema di amministrazione adottato;
 La quantità e poteri degli amministratori;
 Il numero di componenti dell’organo di controllo.

2) STATUTO
Come abbiamo detto in precedenza, oltre all’atto costitutivo deve essere redatto uno statuto che
contiene tutte le norme relative al funzionamento della società ovvero:
- Le regole relative all’emissione delle azioni;
- Le regole relative alla circolazione delle azioni:
- E le procedure sul funzionamento degli organi sociali.

Anche se l’atto costitutivo è separato dallo statuto, insieme servono per comporre le regole
dell’organizzazione. Infatti, l’atto costitutivo e lo statuto formano il regolamento della SPA.
In caso di contrasto tra l’atto costitutivo e lo statuto, prevarranno le clausole dello
statuto.

3) PUBBLICITA’ LEGALE
Per completare la costituzione, la società deve essere iscritta nel registro delle imprese.
il notaio che ha ricevuto l’atto costitutivo, deve depositarlo entro 20 giorni presso l’ufficio del registro
delle imprese. Al deposito vanno allegati i documenti.
Se il notaio non procede al deposito, questo può essere effettuato da ciascun socio.
Insieme al deposito dell’atto costitutivo bisogna presentare la richiesta di iscrizione che verrà controllata
dal punto di vista sostanziale dal notaio e dal punto di vista formare dal conservatore del registro.
Una volta che viene fatta l’iscrizione nel registro delle imprese, la SPA acquisterà automaticamente la
personalità giuridica.
In tutto ciò è previsto un divieto ovvero un è possibile emettere azioni prima che venga effettuata
l’iscrizione nel registro delle imprese.
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PATTI PARASOCIALI
Da un lato abbiamo i patti sociali che sono tutti quegli accordi che riguardano tutti i soci, sono iscritti nel
contratto sociale ovvero nell’atto costitutivo e sono iscritti nel registro delle imprese e quindi hanno
un’efficacia reale e sono opponibili a tutti.

Dall’altro lato invece i soci possono decidere di stipulare accordi che non iscritti nell’atto costitutivo, ma
sono appunto esterni e sono chiamati patti parasociali. Questi patti parasociali vengono stipulati
successivamente da tutti o da una parte di soci, detti soci paciscenti, hanno efficacia obbligatoria, cioè
vincolano solo i soci paciscenti non possono essere opposti a terzi.
Questi patti parasociali servono per regolare e definire i comportamenti dei soci in riferimento
all’esercizio di alcuni diritti che derivano dalle azioni possedute al fine di tutelare gli interessi di cui gli
stessi sono portatori.
I soci paciscenti quindi, con questi patti parasociali, si impongono dei vincoli che riguardano l’esercizio
di diritti amministrativi, del voto detti sindacati di voto oppure si impongono limiti alla libera facoltà di
disporre delle azioni detti sindacati di blocco.
La violazione di questi patti parasociali è considerata come un inadempimento contrattuale e quindi ci
sarà un risarcimento danni, ma mai invalidità di delibere o contratti aventi ad oggetto azioni.
I patti parasociali possono avere una durata massima di 5 anni e se dovessero essere stipulati patti
parasociali con una durata maggiore di 5 anni, questi saranno automaticamente validi per 5 anni.
Se invece non è previsto alcun termine, ogni socio può decidere di recedere dal patto parasociale tramite
un preavviso di 180 giorni.

Nelle SPA aperte, i patti parasociali devono essere comunicati alla società e devono essere dichiarati nel
momento dell’apertura di ogni assemblea. C’è inoltre l’obbligo di trascrivere la dichiarazione nel verbale
del deposito del registro delle imprese (che non è un’iscrizione).

In passato, la disciplina dei patti parasociali era rubricata negli articoli 122 e 123 del TUF, mentre oggi la
disciplina è rubricata negli articoli 2341 bis e 2341 ter c.c.
lOMoAR cPSD| 6775235

NULLITA’ DELLA SOCIETA’


Le cause che comportano la nullità della società sono:
- La mancata stipula dell’atto costitutivo in forma di atto pubblico. Questa però rappresenta l’ipotesi
più assurda perché il conservatore del registro se ne sarebbe accorto;
- L’illiceità dell’oggetto sociale;
- La mancanza di elementi essenziali dell’atto costitutivo.
La dichiarazione di nullità non è retroattiva cioè non annulla gli atti già compiuti. A differenza però della
nullità contrattuale, la nullità in questo caso è sanabile e questo vuol dire che è possibile convalidare
una SPA nulla.

Con la nullità della società si ha anche automaticamente l’apertura della liquidazione della società. La
sentenza che dichiara la nullità provvede anche a nominare i liquidatori.

SPA UNIPERSONALE
Nella SPA unipersonale, le azioni appartengono ad un unico soggetto che detiene appunto una
partecipazione totalitaria della società. La SPA può essere unipersonale a partire dalla costituzione
oppure può diventarlo successivamente. In questo caso naturalmente, l’unico azionista è obbligato a
conferire l’intero capitale.
Inoltre, gli amministratori dovranno indicare la presenza di un unico socio nel registro delle imprese
depositando una dichiarazione che contiene appunto le generalità del socio.
Se l’unico socio non adempie agli obblighi di conferimento o all’obbligo di pubblicità, scatterà per lui la
responsabilità illimitata come sanzione per l’inadempimento.
lOMoAR cPSD| 6775235

STRUTTURA FINANZIARIA DELLA SOCIETA’


La struttura finanziaria serve ad identificare le modalità attraverso il quale la società raccoglie i mezzi
propri da utilizzare nell’esercizio dell’attività. Il nostro ordinamento non prevede che sin dall’inizio ci deve
essere una corrispondenza tra il capitale sociale e l’oggetto sociale ed è quindi possibile che il capitale
sociale non basti per svolgere l’attività imprenditoriale.
Per far fronte a ciò si può ricorrere a due mezzi:
- Ricorrere al capitale di credito e quindi finanziamenti da terzi;
- Ricorrere al capitale di rischio ovvero ampliare la struttura finanziaria. Il nostro sistema è
orientano prevalentemente a ricorre al capitale di credito e quindi ai finanziamenti da terzi.

Gli elementi principali della struttura finanziaria della SPA sono:


- Il capitale sociale,
- Emissione di strumenti finanziari;
- Emissione di obbligazioni;
- Raccolta di finanziamenti destinati e creazione di patrimoni destinati.
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CAPITALE SOCIALE
Il capitale sociale è l’insieme dei mezzi che vengono forniti dai soci e corrispondono ad un insieme di beni
e risorse destinati alla società per un importo pari all’oggetto sociale.
La clausola statutaria del capitale che viene indicato nello statuto, oltre a registrare l’avvenuto
conferimento del capitale in un determinato momento, impone anche il vincolo per la società di
mantenere l’importo dello stesso capitale. Infatti, se il capitale deve essere modificato, occorre effettuare
una modifica anche nello statuto.
A differenza delle società di persone, nelle società di capitali la scelta del capitale non è libera in quanto
non può essere inferiore a 50.000 euro.
Inoltre è presente il vincolo di non distribuzione ovvero c’è il divieto di ripartire gli utili in caso di perdita
del capitale sociale fino a quando quest’ultimo non viene ridotto o reintegrato. Anche la restituzione di
conferimenti e la riduzione del capitale non solo liberi ma sono soggetti a giudizio dei creditori e del
tribunale.
La legge prevede, tra le condizioni per la costituzione della società (ART. 2329 c.c.), che venga
sottoscritto l’intero capitale sociale.
Per quanto riguarda ciò è necessario fare una distinzione tra il capitale sottoscritto, ovvero il capitale che
i soci si sono assunti l’obbligo di versare, e il capitale versato, ovvero una parte del capitale sottoscritto
già versato nelle casse della società.
I soci possono versare il capitale dovuto in momenti diversi e non subito. In questo caso è necessario che
i soci versino il 25% del capitale sociale nel momento della costituzione della società.
La distinzione tra capitale sottoscritto non versato e il capitale sottoscritto versato porta a definire il
capitale sociale nominale che è pari al valore di tutti i conferimenti ovvero l’intero capitale sottoscritto
nell’atto costitutivo.
Contemporaneamente a ciò, si viene a creare anche il patrimonio sociale che è l’insieme dei rapporti
giuridici attivi e passivi che riguardano la società.
Inizialmente il patrimonio sociale è costituito semplicemente dall’insieme dei conferimenti eseguiti o
promossi dai soci e quindi coincide con il capitale sociale nominale.
Quindi in conclusione possiamo dire che nel momento della costituzione della società, il capitale sociale
nominale e il patrimonio sociale coincidono tra di loro. L’unica differenza che può esserci sono le spese
di costituzione che si rilevano nel patrimonio sociale.
Successivamente, con gli accantonamenti degli utili, il patrimonio sociale diventa maggiore rispetto al
capitale sociale nominale.
Il patrimonio sociale diventa invece inferiore al capitale sociale nominale quando ci sono delle perdite.
La differenza che si viene a creare è ammissibile fino ad una certa soglia, ma se viene superata tale soglia
bisognerà intervenire per riportarli a pari. In questo caso bisogna però agire sul capitale sociale attraverso
una riduzione (ma sono se non è già al minimo) oppure attraverso un aumento.

Il capitale ha la funzione di informare i terzi ed è per questo motivo che ci deve essere parità tra quello
che do ovvero il capitale e quello che faccio ovvero il patrimonio.
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CONFERIMENTI IN DENARO
Se non viene stabilito nulla nell’atto costitutivo, il conferimento deve essere fatto in denaro. Questa
però è una regola derogabile perché è possibile effettuare conferimenti diversi dal denaro. Questo però
può avvenire con il consenso dei soci e può essere espresso al momento della costituzione o in sede di
aumento del capitale. Come abbiamo già detto in precedenza, un quarto del conferimento in denaro
ovvero il 25%, deve essere versato dai soci nel momento della sottoscrizione dell’atto costitutivo. Questo
25% deve essere depositato in una banca fino al momento dell’iscrizione della società nel registro delle
imprese. Se la società non si iscrive entro 90 giorni, i soci possono riprendere il 25% versato.
Se l’iscrizione viene effettuata, spetta successivamente agli amministratori richiedere ai soci i successivi
versamenti che saranno versati nelle casse sociali. Prima dell’iscrizione nel registro delle imprese, i soci
sono debitori della società e quest’ultima invece è creditrice dei soci.
Se il socio non adempie i conferimenti dopo 15 giorni dalla pubblicazione della diffida sulla Gazzetta
Ufficiale, gli amministratori dovranno offrire le azioni prima agli altri soci e poi potranno metterle nel
mercato. Se non ci sono compratori, il socio è dichiarato decaduto e la società tratterrà le somme che il
socio ha già versato.

CONFERIMENTI DIVERSI DAL DENARO


I conferimenti possono essere effettuati tutti in denaro, tutti in natura o misti.
I conferimenti in natura o crediti devono essere ceduti interamente e le azioni corrispondenti a questi
conferimenti devono essere integralmente liberale per evitare futuri problemi esterni.
È possibile effettuare il conferimento in proprietà e in godimento ma è necessario che la società ne abbia
la disponibilità reale.
Non possono essere conferite invece le opere o i servizi. Nella SRL invece questo si può ma è necessario
che venga stipulata una polizza assicurativa in favore della società.

VALORE DEI BENI IN NATURA O DEI CREDITI (ART. 2343 C.C. E 2343 TER C.C.)
Il conferimento dei beni in natura o dei crediti può essere effettuato con due
procedimenti diversi e sono:
- Il procedimento con relazione di stima;
- Il procedimento senza relazione di stima.
1) Per quanto riguarda il procedimento con relazione di stima, chi vuole conferire un bene in
natura deve fare ricorso all’autorità giudiziaria e chiede la nomina di un perito (che è un
pubblico ufficiale) che redige una relazione giurata di stima che contiene:
- Descrizione del bene;
- Valore del bene e i criteri che sono stati utilizzati per attribuire il valore al bene.
Il perito deve anche dichiarare che il valore che ha attribuito al bene è sufficiente per coprire il valore
nominale delle azioni che spettano a quel socio e deve dichiarare la presenza di un eventuale
sovrapprezzo.
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Le azioni dei beni conferiti in natura sono conservate fino a quando non viene effettuato il controllo da
parte degli amministratori e se dopo il controllo l’esito è positivo le azioni vengono consegnate.
Il legislatore inoltre dà la possibilità agli amministratori di effettuare, entro 6 mesi dalla costituzione, un
controllo della relazione di stima. Se gli amministratori si accorgono che il valore del bene conferito è
inferiore di oltre 1/5 del valore attribuito dal perito, scatta l’obbligo di ridurre il capitale e annullare la
parte corrispondente di azioni salvo il caso in cui l’azionista decida di conferire in denaro la parte
mancante. Se l’azionista non conferisce la parte restante, può anche decidere di recedere dalla società e
in questo caso ha diritto alla restituzione del conferimento in tutto o in parte.
2) Per quanto riguarda invece il procedimento senza relazione di stima, non è necessaria la perizia
del perito quando:
- Il conferimento riguarda valori mobiliari o strumenti finanziari dei mercati regolamentati il cui
valore è stato già attribuito nei 6 mesi precedenti al conferimento;
- Il bene è già stato valutato perché faceva parte del bilancio di una società sottoposta a revisione
legale ed è relativo all’esercizio precedente al conferimento;
- Oppure quando la valutazione è stata effettuata da un esperto indipendente dotato però di
un’alta professionalità (esempio: eredità) nei 6 mesi precedenti al conferimento.
Anche in questo caso, gli amministratori possono effettuare il controllo entro 30 giorni. Se ci sono dei
problemi, gli amministratori possono richiedere che venga effettuato il procedimento con relazione di
stima. Se non ci sono problemi, gli amministratori provvederanno a depositare nel registro delle imprese
una dichiarazione con lo stesso contenuto della relazione giurata.

ACQUISTI PERICOLOSI
La società può acquistare beni o crediti dai saci fondatori, dai promotori, dai soci e dagli amministratori
nei primi due anni dall’iscrizione nel registro delle imprese, solamente tramite un’autorizzazione
dell’assemblea ordinaria. L’alienante deve effettuare una relazione giurata di stima. Il verbale
dell’assemblea deve essere successivamente iscritto nel registro delle imprese.
Questo viene effettuato per evitare l’annacquamento del capitale sociale.
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MODIFICHE DELLO STATUTO


MODIFICHE DELL’ATTO COSTITUTIVO
Tutte le modifiche che vengono apportate al regolamento SPA, e quindi all’atto costitutivo e allo statuto,
vengono definite come modifiche dello statuto ai sensi
dell’ART. 2436 c.c.
Per modificare il regolamento SPA è necessaria una delibera da parte dell’assemblea straordinaria che
opera per maggioranza, mentre, per la riduzione del capitale per perdite, è necessaria la delibera
dell’assemblea ordinaria e del consiglio di sorveglianza.
La delibera di modifica deve essere iscritta nel registro delle imprese dal notaio che deve anche
effettuare un controllo sul rispetto delle norme. Se la verifica da parte del notaio ha un esito positivo, si
procede con l’iscrizione nel registro delle imprese e solo con tale iscrizione la delibera produce i suoi
effetti ovvero quelli della pubblicità notizia.
Se invece la verifica da parte del notaio ha esito negativo, il notaio deve immediatamente comunicare
ciò agli amministratori. Questi ultimi possono:
- Convocare l’assemblea entro 30 giorni e prendere provvedimenti;
- Insistere attraverso un ricorso al tribunale;
- Oppure possono decidere di non fare nulla. In questo caso, entro 30 giorni la delibera risulta
inefficace.
MODIFICA DEL CAPITALE – AUMENTO E RIDUZIONE
Quando parliamo di modifiche del capitale si intende l’aumento o la diminuzione
dello stesso. L’aumento del capitale può essere gratuito o a pagamento.

AUMENTO DEL CAPITALE


- AUMENTO DEL CAPITALE GRATUITO (ART. 2442 C.C.): l’aumento del capitale avviene
gratuitamente quando non vengono effettuati conferimenti ma vengono semplicemente imputati
al capitale i fondi propri e le riserve disponibili del patrimonio.
In questo caso quindi, l’aumento del capitale non comporta un conseguente aumento del patrimonio
sociale.

La decisione di effettuare l’aumento del capitale gratuito viene presa dall’assemblea straordinaria.
Quando viene aumentato il capitale gratuitamente, la società può operare in due modi diversi:
 Emette nuove azioni che hanno le stesse caratteristiche di quelle già in circolazione e le affida
gratuitamente ai vari azionisti in proporzione alle azioni che già detengono;
 In alternativa, la società può decidere di aumentare il valore nominale delle azioni già in
circolazione.
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[QUALI RISERVE POSSIAMO UTILIZZARE? – COME AVVIENE LA DELIBERA? – COSA CAMBIA NELLE
ECONOMIE DEI SOCI?]
Le riserve che possono essere imputate al capitale sono:
 Riserva legale: dagli utili netti annui deve essere sottratta una somma pari al 1/20 per costituire
una riserva legale, fino a quando quest’ultima non raggiunge 1/5 del capitale sociale.
 Riserva statutaria: è una riserva obbligatoria che viene prevista dallo statuto. Infatti, lo statuto deve
indicare le condizioni, i vincoli e le modalità di formazione ti tale riserva.

 Riserva facoltativa: la riserva facoltativa può essere richiesta dall’assemblea ordinaria.


Possono essere imputate al capitale tutte queste riserve ma solo ed esclusivamente se tali riserve
eccedono l’importo previsto dalla legge.
Le altre riserve sono:
1) Riserva sovrapprezzo azioni: è una riserva indisponibile fino a quando la riserva legale non
ha raggiunto l’importo obbligatorio. La riserva sovrapprezzo azioni è formata dalla
differenza tra il prezzo dell’emissione di azioni sopra la pari (sopra VN) ed il valore nominale
delle azioni stesse. Questa riserva si viene a creare quando l’aumento del capitale avviene
a pagamento.
2) Saldi attivi di rivalutazione monetaria: si ha quando la società acquista un immobile ad un
certo valore storico e tale valore aumenta nel tempo. L’eventuale aumento sarà imputato
a questo saldo.
AUMENTO DEL CAPITALE A PAGAMENTO (REALE):
L’aumento di capitale a pagamento, la società vuole fare entrare nuovi soci all’interno della società
stessa in modo tale da ottenere un aumento del capitale ma anche del patrimonio sociale.
Questo aumento del capitale a pagamento viene deliberato dall’assemblea straordinaria ma in questo
caso la legge pone un primo limite ovvero non può essere effettuato l’aumento del capitale se non sono
state liberate prima tutte le azioni precedenti. Un secondo limite impone che l’aumento del capitale non
può eseguirsi se non è stato interamente sottoscritto. In questo caso però, i soci possono stabilire
diversamente ovvero ci può essere il caso in cui si delibera l’aumento del capitale pari a 150 ma viene
sottoscritto un valore pari a 100. Ciò vuol dire che l’aumento del capitale può essere inferiore a ciò che
viene deliberato.
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DIRITTO DI OPZIONE (ART. 2441 C.C.)


Il diritto di opzione scatta automaticamente nel momento in cui viene effettuato l’aumento del capitale
a pagamento. Il diritto di opzione viene effettuato sia con le azioni sia con le obbligazioni convertibili
nei confronti degli azionisti e nei confronti degli obbligazionisti in quanto sono considerati come
potenziali azionisti.

Il diritto di opzione non va però confuso con il diritto di prelazione ovvero il diritto che viene dato nei
confronti dei soci nel favorire loro rispetto ai terzi.
L’offerta deve essere pubblicata presso il registro delle imprese e sul sito internet della società ad opera
degli amministratori. Per esercitare il diritto di opzione è previsto un termine di 15 giorni.
Se le società sono quotate nei mercati regolamentati, le azioni inoptate (non riscattate dai soci con
diritto di opzione) possono essere vendute nel mercato.

LIMITI ED ESCLUSIONI DEL DIRITTO DI OPZIONE

Il diritto di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che, secondo la delibera di aumento del
capitale, devono essere liberate attraverso conferimenti in natura. Nelle società quotate nei mercati
regolamentati lo statuto può anche decidere di escludere il diritto di opzione nei limiti del 10% del
capitale sociale preesistente. Quindi in conclusione, il diritto di opzione può essere escluso o limitato
dalle delibere di aumento del capitale.
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ESTINZIONE DELLA AZIONI – RIDUZIONE DEL CAPITALE


RIDUZIONE REALE DEL CAPITALE (ART. 2445 C.C.): quando la società detiene un capitale sociale
superiore rispetto a quello che serve, può decidere di ridurlo.
La decisione, in questo caso, spetta all’assemblea straordinaria e i rispettivi soci devono decidere con
maggioranza.
Gli amministratori hanno due possibilità in questo caso e sono:
1) Rimborso parziale del capitale versato;
2) Liberare i soci dai versamenti residui.
In entrambi i casi comunque ci sarà una diminuzione del VN delle azioni.
Si può effettuare questa riduzione del capitale nei limiti del capitale minimo e nei limiti del prestito
obbligazionario.
La riduzione di capitale si può anche avere in caso di acquisto di azioni proprie se vengono violate le
norme.
L’avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria deve indicare le ragioni e le modalità di riduzione.
La delibera può essere eseguita solo dopo 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’avviso
se nessun creditore di oppone. Se invece qualche creditore si oppone a ciò, la società si potrà rivolgere al
tribunale e se l’opposizione è infondata potrà procedere con la riduzione.

RIDUZIONE NOMINALE DEL CAPITALE (PER PERDITE) (ART. 2446 E 2447 C.C.): come ben sappiamo il
capitale sociale ha una funzione informativa per i terzi e deve essere quasi sempre uguale al patrimonio
sociale.
Può succedere però che il patrimonio netto della società può scendere, per effetto delle perdite, al di
sotto del capitale sociale nominale. Si tratta in questo caso di una riduzione nominale dato che non
comporta una riduzione del patrimonio sociale in quanto quest’ultima si è già verificata a causa delle
perdite subite dalla società.
La società non è obbligata però a ridurre il capitale sociale fino a quando la perdita dello stesso non sia
superiore ad 1/3. Ad esempio, se il capitale sociale nominale è pari a 300, finché il patrimonio netto non
scende sotto i 200 per effetto delle perdite, la riduzione è facoltativa per la società.
La società può comunque decidere di ridurre il capitale per perdite in modo tale da poter distribuire gli
utili conseguiti successivamente. Se non viene effettuata la riduzione del capitale, la società non potrà
distribuire gli utili fin quando le perdite non vengono recuperate.
Se la perdita supera 1/3 e il patrimonio è inferiore al capitale minimo, si dovrà deliberare una riduzione
e un contestuale aumento a pagamento del capitale, oppure si dovrà ridurre il capitale e trasformare
la società in un’altra società con un capitale minimo inferiore. In mancanza la società si scioglie.
Le due riduzioni comportano la riduzione del valore nominale delle azioni oppure la loro estinzione in
misura proporzionale alla riduzione. Naturalmente i soci verranno trattati nello stesso modo
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AZIONI
L’ART. 2346 c.c. afferma che l’assegnazione delle azioni ai soci serve a quantificare la partecipazione dei
diversi soci al capitale sociale. O meglio, le azioni vengono distribuite nei confronti dei soci in proporzione
al conferimento, salvo che non venga stabilito diversamente.
In base al numero e al tipo di azioni si individua la quantità e il contenuto dei diritti che vengono attribuiti
ai soci. Infatti, dal momento in cui si posseggono azioni, automaticamente si acquistano dei diritti
partecipativi.
Le azioni quindi sono delle porzioni unitarie del rapporto che l’azionista alla società. Queste porzioni
unitarie prendono il nome di unità minime indifferenziate.
Inoltre come abbiamo già detto in precedenza, nelle SPA, a differenza delle società di persone, non si
rileva la persona del socio ma si rileva il valore monetario che viene apportato da ogni singolo socio.
Questo prende il nome di principio di spersonalizzazione della partecipazione.
VALORE NOMINALE DELLE AZIONI
Per valore nominale delle azioni si intende la porzione di capitale che corrisponde alla singola azione.
Il valore nominale delle azioni può essere:
- Espresso;
- Inespresso.
Il valore nominale VN si calcola dividendo il capitale sociale CS per il numero di azioni emesse (VN=CS/N°
azioni emesse). Con il valore nominale si possono individuare i diritti che spettano a ciascun socio.
Una cosa molto importante è che il valore nominale delle azioni deve essere uguale per tutte le azioni.
Il valore nominale però non coincide con il valore reale. Il valore reale delle azioni dipende dal valore
della SPA in un determinato momento storico e si calcola dividendo il patrimonio netto della società per
il numero di azioni emesse (VR=PN/N° azioni emesse).
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VALORE NOMINALE DELLE AZIONI


Per valore nominale delle azioni si intende la porzione di capitale che corrisponde alla singola azione.
Il valore nominale delle azioni può essere:
- Espresso;
- Inespresso.
Il valore nominale VN si calcola dividendo il capitale sociale CS per il numero di azioni emesse (VN=CS/N°
azioni emesse). Con il valore nominale si possono individuare i diritti che spettano a ciascun socio.
Una cosa molto importante è che il valore nominale delle azioni deve essere uguale per tutte le azioni.
Il valore nominale però non coincide con il valore reale. Il valore reale delle azioni dipende dal valore
della SPA in un determinato momento storico e si calcola dividendo il patrimonio netto della società per
il numero di azioni emesse (VR=PN/N° azioni emesse).
Quindi, in conclusione, nello statuto deve essere indicato il capitale sottoscritto, il numero di azioni
emesse e il valore nominale di ogni azione.
Il valore nominale delle azioni, così come il capitale sociale nominale, rimane invariato nel tempo e può
essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto costitutivo.
Nelle azioni senza valore nominale invece lo statuto e i titoli azionari devono indicare solo il capitale
sottoscritto ed il numero di azioni emesse. Anche in questo caso il valore nominale si trova frazionando
il capitale sociale per il numero delle azioni ma ciò non viene indicato.
In questo caso quindi, la partecipazione al capitale sociale del singolo azionista sarà espressa in
percentuale in base al numero di azioni emesse e non in cifra monetaria.
Nel caso in cui il valore nominale delle azioni è inespresso, i diritti che spettano al singolo socio
dipendono dal valore che si ha dividendo il numero di azioni possedute dal socio per il numero di azioni
emesse (N° azioni socio/N° azioni emesse).
Per tutte le azioni, che siano con valore nominale espresso o inespresso, vale la regola che in nessun
caso il valore complessivo dei conferimenti può essere inferiore al totale del capitale sociale. Ciò vuol
dire che non possono essere emesse le azioni per una somma inferiore al loro valore nominale. Con
questo si vuole evitare che il capitale conferito dai soci sia inferiore a quello che viene dichiarato.
Le azioni però possono essere emesse per una somma superiore al valore nominale e questo prende il
nome di emissione con sovrapprezzo. L’emissione di azioni con sovrapprezzo è obbligatoria quando
viene escluso o limitato il diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione ed il valore
reale delle azioni è superiore al valore nominale.
Abbiamo quindi definito il valore reale e il valore nominale delle azioni. Il valore di mercato invece indica il
valore delle azioni in quel determinato giorno.
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LA PARTECIPAZIONE AZIONARIA
Ogni azione quindi costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce, al socio che detiene le azioni,
un insieme di diritti e poteri di natura amministrativa e di natura patrimoniale.
Inoltre, come abbiamo già detto in precedenza, le azioni conferiscono ai loro possessori gli stessi diritti.
Si tratta però di un’eguaglianza relativa e non assoluta ed è inoltre un’eguaglianza oggettiva e non
soggettiva.
L’uguaglianza è relativa perché la società può creare categorie diverse di azioni con diritti diversi. Si parla
invece di uguaglianza oggettiva perché i diritti che attribuiscono le azioni sono uguali.
Se prendiamo in considerazione il diritto di voto, il diritto agli utili, la quota di liquidazione e il diritto di
opzione, possiamo notare come ci sia una netta diseguaglianza soggettiva tra i vari azionisti. Proprio da
ciò è possibile notare come sia diverso il potere che ha il titolare di un’azione e un voto rispetto al titolare
di 1000 azioni e 1000 voti. Come abbiamo detto però, si tratta di una diseguaglianza soggettiva che nelle
SPA è perfettamente legittima e rappresenta, in via generale, il principio più importante delle società di
capitali.
Quando entrano in gioco interessi pubblici di particolare rilievo, si deroga a quello che è il principio
capitalistico e viene riconosciuto allo Stato o ad altri enti pubblici un potere societario che non dipende
dalla partecipazione azionaria o dalle azioni detenute. Stiamo parlando del potere di veto che viene
inserito negli statuti di società che operano in settori strategici (difesa, trasporti ecc…) che in passato
erano controllate dallo Stato. Questo avviene per evitare che la recente privatizzazione di queste società
possa dar luogo a decisioni che sono in contrasto con gli obiettivi nazionali di politica economica e
finanziaria.
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LE CATEGORIE SPECIALI DI AZIONI


Rappresentano una categoria speciale di azioni tutte quelle azioni che forniscono diritti diversi rispetto
a quelli tipici. Quindi di conseguenza avremo le azioni speciali che sono contrapposte alle azioni
ordinarie.
Quando c’è la presenza di diverse categorie di azionisti, se la delibera dell’assemblea pregiudica i diritti
di una delle categorie, è previsto che la delibera deve essere approvata anche dall’assemblea speciale
della categoria interessata.
Si possono creare ad esempio delle categorie di azioni che attribuiscono ai possessori un privilegio
patrimoniale ovvero il diritto ad avere un utile maggiorato o maggiormente garantito rispetto ad altri
azionisti. Oppure ci sono delle altre azioni che attribuiscono al titolare il diritto di subire l’imputazione
sulle perdite della società solo dopo aver colpito le partecipazioni degli altri soci. Questo prende il nome
di incidenza delle perdite.
Altre azioni particolari sono le azioni correlate ovvero quelle azioni che sono fornite di diritti patrimoniali
che dipendono dai risultati dell’attività sociale in un determinato settore. Questa categoria interessa gli
investitori di particolari settori e a questi non possono essere pagati i dividendi se non nei limiti degli utili
che risultano dal bilancio.
Gli unici limiti che sono inderogabili sono il divieto del patto leonino ovvero non è possibile escludere i
soci dalla partecipazione agli utili o perdite, e il rispetto dell’equilibrio tra rischio e potere.

LE AZIONI DI RISPARMIO (metà del capitale sociale)


Tra le azioni speciali ci sono anche le azioni di risparmio. Con queste azioni si incentiva l’investimento in
azioni in quanto offrono ai risparmiatori dei titoli che corrispondono meglio ai loro interessi.
Le azioni di risparmio possono essere emesse solo da società in cui le azioni ordinarie sono quotate in
mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’unione Europea.
Queste azioni di risparmio però non possono superare la metà del capitale sociale.

Le azioni di risparmio sono inoltre del tutto prive del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e
straordinarie. Queste azioni però devono essere necessariamente dotate di privilegi di natura
patrimoniale.
È l’atto costitutivo che determina il contenuto del privilegio, le condizioni, i limiti, le modalità e i termini
per l’esercizio di queste azioni, e questo consente di modellare i contenuti patrimoniali in base alle
esigenze di mercato.
Inoltre, a differenza delle altre azioni, possono essere emesse al portatore.
La disciplina delle azioni di risparmio è completata dalla creazione di un’organizzazione di gruppo che
serve per tutelare gli interessi comuni. L’organizzazione è formata da un’assemblea speciale e dal
rappresentante comune. L’assemblea delibera su tutti gli oggetti di interesse comune. Il rappresentante
comune è nominato dall’assemblea e provvede ad eseguire tutto ciò che viene deliberato
dall’assemblea e tutela gli interessi degli azionisti di risparmio nei confronti della società. Il
rappresentante comune può assistere alle assemblee della società e può impugnare le deliberazioni.
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LE AZIONI A FAVORE DEI PRESTATORI DI LAVORO


Lo statuto può prevedere delle azioni in favore dei prestatori di lavoro ai sensi
dell’ART. 2349 c.c.
Quando la società produce dell’utile questo dovrebbe essere teoricamente distribuito tra i vari soci. In
questo caso però la società decide di ripartire questi utili tra tutti o alcuni prestatori di lavoro in modo
tale da farli legare alla società e operare in modo più efficiente.
La cosa più semplice da fare sarebbe dare questi utili direttamente in busta paga ai prestatori di lavoro
ma questo non li legherebbe di più.
Proprio per questo motivo, l’assemblea straordinaria delibera una trasformazione di questi utili in azioni
con conseguente consegna gratuita di queste azioni ai prestatori di lavoro. Questi quindi non devono
effettuare alcun versamento nei confronti della società ma avranno comunque diritto ad una
distribuzione degli utili successiva.

AZIONI E STRUMENTI FINANZIARI PARTECIPATIVI


Oltre alle azioni è necessario distinguere gli strumenti finanziari partecipativi. A differenza delle azioni,
gli strumenti finanziari partecipativi non fanno parte del capitale sociale. Ciò vuol dire che gli strumenti
finanziari partecipativi non attribuiscono la qualità di azionista ma possono essere riconosciuti a questi i
diritti delle azioni.
Si prevede che gli strumenti finanziari partecipativi possono fornire solo diritti patrimoniali e diritti
amministrativi e quindi non possono fornire alcun diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti.
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LA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI


I titoli azionari sono dei documenti che rappresentano le quote di partecipazione
nella SPA e possono essere trasferiti secondo le regole dei titoli di credito.
Nelle società quotate nei mercati regolamentati, le azioni non possono essere rappresentate da titoli.
Per semplificare e rendere più sicuro il mercato delle azioni quotate infatti, è stato sostituito il sistema
di circolazione basato sul trasferimento materiale del documento ed è stato sostituito con un sistema di
circolazione che si basa su semplici registrazioni contabili con soppressione materiale dei titoli.

I VINCOLI SULLE AZIONI


Le azioni possono essere oggetto di usufrutto o di pegno e possono inoltre formare oggetto di misure
cautelari ed esecutive. Se le azioni sono date in pegno o usufrutto, il diritto di voto spetta al creditore
pignoratizio o all’usufruttuario. Questi dovranno comunque esercitare tale diritto in modo da non ledere
l’interesse del socio.
In caso di sequestro delle azioni invece, il diritto di voto viene esercitato dal custode. Tutti gli altri diritti
amministrativi invece spettato disgiuntamente sia al socio sia al creditore pignoratizio o
all’usufruttuario.

Per quanto riguarda invece il diritto di opzione, questo spetta al socio e l’attuale disciplina afferma che
solo al socio sono attribuite le nuove azioni sottoscritte. Il socio deve però provvedere, almeno 3 giorni
prima della scadenza, di versare le somme necessarie per l’esercizio del diritto di opzione.

In caso di aumento gratuito del capitale sociale, il pegno, l’usufrutto o il sequestro si estenderanno
anche nei confronti delle azioni di nuova emissione.

Per quanto riguarda le azioni non liberate (ovvero quelle azioni in cui non è stato effettuato l’intero
conferimento), in caso di pegno, è il socio che deve comunque provvedere al versamento della restante
parte del conferimento. Se il socio non effettua il conferimento, il creditore pignoratizio può far vendere
le azioni tramite una banca o un altro intermediario finanziario specializzato. In questo caso viene
trasferito il pegno sul ricavato ottenuto dalla vendita delle azioni.
In caso di usufrutto invece, è l’usufruttuario che deve provvedere al versamento della parte di
conferimento mancante delle azioni non liberate, ma comunque l’usufruttuario ha il diritto alla
restituzione delle somme al termine dell’usufrutto.

I LIMITI ALLA CIRCOLAZIONE DELLE AZIONI LIMITI LEGALI


La trasferibilità delle azioni viene limitata in alcuni casi:
- Le azioni liberate in cui sono stati effettuati conferimenti diversi dal denaro, non
possono essere alienate prima che venga effettuato il controllo della valutazione.
- Le azioni con prestazioni accessorie non possono essere trasferite senza il consenso da
parte del consiglio di amministrazione.
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LIMITI DA PATTI PARASOCIALI


I soci o alcuni soci possono decidere di effettuare questi patti parasociali e limitare la circolazione delle
azioni. Un esempio può essere il sindacato di blocco con cui si evita l’ingresso di terze persone non gradite
nella società.

I patti parasociali che limitano la circolazione delle azioni non possono essere opposti ai terzi così come
tutti i patti parasociali.

LIMITI STATUTARI
I limiti statutari possono essere imposti attraverso 3 clausole ovvero:
- La clausola di prelazione;
- La clausola di gradimento;
- La clausola di riscatto;
- Oppure può decidere di limitare completamente la circolazione delle azioni per un
periodo non superiore a 5 anni.

La clausola di prelazione consiste nell’offrire prima ai soci le azioni e anche di preferire loro rispetto ai
terzi a parità di condizione.
La clausola di godimento consiste nel subordinare il trasferimento delle azioni al gradimento di un organo
sociale. Questa clausola si divide in:
- La clausola di mero gradimento subordina il trasferimento alla volontà insindacabile di
un organo sociale.
- La clausola di gradimento non mero invece, il trasferimento può avvenire in base a dei
presupposti forniti da una clausola statutaria.
- La clausola di riscatto invece consente alla società o ai soci di riscattare le azioni del
socio quando si verificano determinate condizioni.
In tutto ciò, l’assemblea straordinaria può decidere di eliminare o introdurre questi limiti. L’introduzione
di questi limiti dà la possibilità al socio di recedere.
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LE OPERAZIONI DELLA SOCIETA’ SULLE PROPRIE AZIONI


Per quanto riguarda le operazioni che la società può effettuare con le proprie azioni, la disciplina regola
3 situazioni:
- Sottoscrizione delle azioni;
- Acquisto delle azioni;
- Altre operazioni come garanzie e prestiti.
La sottoscrizione di proprie azioni è vietata in quanto questa operazione porterebbe ad un aumento del
capitale sociale nominale senza un aumento del capitale reale dato che la società diventerebbe creditrice
di sé stessa.
L’acquisto delle azioni proprie, se non vengono rispettate alcune condizioni, comporterebbe ad una
riduzione del capitale reale e il capitale sociale nominale rimarrebbe inalterato. Questo diventerebbe un
problema per i creditori sociali in quanto vedranno il patrimonio della società formato solo da carte prive
di valore. Per effettuare l’acquisto delle azioni proprie allora è necessario rispettare queste condizioni:

• Le somme che vengono utilizzate per acquistare le azioni, non possono superare il totale degli utili
distribuiti e delle riserve disponibili che risultano dall’ultimo bilancio approvato;

• Le azioni da acquistare devono essere interamente liberate;

• L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria e la delibera deve fissare tutto ciò che
riguarda:
1) Le modalità di acquisto;
2) L’ammontare massimo delle azioni da acquistare;
3) La durata in cui l’autorizzazione vale e non può superare 18 mesi.

• Solo nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il valore nominale delle azioni
acquistate, non può eccedere la quinta parte del capitale sociale.
In caso di acquisto di azioni con violazione di almeno una condizione, comporta la vendita delle azioni
entro 1 anno dal loro acquisto. Se non vengono vendute, si dovrà procedere all’annullamento e di
conseguenza ad una riduzione del capitale sociale.
In tutto ciò ci sono però dei casi speciali che riguardano l’acquisto delle azioni proprie. O meglio, in questi
casi particolari non vengono considerate le limitazioni dettate precedentemente. Non si può applicare
nessuna limitazione quando l’acquisto avviene nel momento in cui l’assemblea delibera una riduzione
del capitale sociale.
Oltre a queste operazioni, la società può concedere delle garanzie o prestiti per l’acquisto delle azioni
proprie o per la sottoscrizione di azioni proprie. Per questa operazione ci vuole l’autorizzazione
dell’assemblea straordinaria.
La società però non può accettare in garanzia delle proprie azioni.
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LE PARTECIPAZIONI RECIPROCHE
Per quanto riguarda le partecipazioni reciproche, è necessario fare una distinzione ovvero bisogna vedere
se tra le due società c’è un rapporto di controllo o no.
Se tra le due società c’è un rapporto di controllo, l’acquisto di azioni reciproche comporterebbe la così
detta moltiplicazione illusoria di ricchezza in quanto si avrà un aumento del capitale sociale nominale
senza però avere un aumento del capitale reale.
Proprio per questo motivo, la disciplina vieta l’aumento del capitale sociale tramite sottoscrizione
reciproca di azioni.
La disciplina afferma che l’acquisto reciproco di azioni può avvenire liberamente se tra le due società non
c’è un rapporto di controllo altrimenti, se c’è un rapporto di controllo, si dovranno rispettare le condizioni
che vengono considerate per l’acquisto delle azioni proprie.
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OBBLIGAZIONI
Attraverso l’emissione di obbligazioni, la SPA riesce ad effettuare una raccolta di risorse finanziarie a
debito, con l’impegno di restituire la somma ricevuta più eventuali interessi. La società ricorre ai prestiti
obbligazionari quando ha bisogno di liquidità.

Le obbligazioni sono però molto diverse rispetto alle azioni in tema di rischio. Questo perché con le azioni,
i possessori avranno diritto ad una quota che è incerta in quanto dipende dagli utili e dal residuo in sede
di liquidazione. Con le obbligazioni invece, i possessori avranno diritto ad una somma più gli interessi. Ciò
che guadagnerà il possessore di un’obbligazione sarà sicuramente inferiore al possessore di un’azione
ma sicuramente sarà più sicura rispetto all’azione. Più nel dettaglio, l’azionista ha diritto al rimborso del
capitale e degli utili e ciò vuol dire che rischia per entrambi. L’obbligazionista invece, ha diritto al rimborso
del capitale e del rendimento ma rischia solo ed esclusivamente sul rendimento (anche se nella realtà, se
la società va male, rischia anche il capitale).

Anche le obbligazioni sono titoli di credito così come le azioni, in quanto incorporano i diritti di credito
dell’obbligazionista alla restituzione delle somme versate e al pagamento degli interessi.

Ci sono varie tipologie di obbligazioni e sono:


- Le obbligazioni con struttura semplice in cui al termine viene restituita la somma versata e il
pagamento degli interessi;
- Le obbligazioni indicizzate in cui la somma degli interessi dipende da parametri di diverso
genere come ad esempio la borsa, le valute …
- Le obbligazioni a premio in cui è previsto il pagamento di una somma aggiuntiva rispetto a
quello che è il pagamento dell’obbligazione semplice;
- Le obbligazioni partecipative in cui i tempi e l’entità del pagamento variano in base
all’andamento economico della società;
- Le obbligazioni postergate in cui il rimborso del prestito è condizionato alla preventiva
soddisfazione dei diritti di altri creditori della società;
- Le obbligazioni convertibili in azioni in cui appunto vengono scambiate le obbligazioni con le
azioni in base ad un determinato procedimento.
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EMISSIONE DELLE OBBLIGAZIONI


L’emissione delle obbligazioni deve avvenire seguendo un determinato procedimento. Viene effettuata
la delibera di creazione da parte degli amministratori in cui decidono tutto ciò che riguarda la creazione,
il contenuto e la successiva materiale emissione delle obbligazioni. Tutte queste decisioni devono
risultare da un verbale che viene redatto dal notaio e viene depositato e iscritto presso il registro delle
imprese.
L’emissione dei titoli si ha successivamente, con la sottoscrizione degli investitori.

I titoli obbligazionari emessi possono essere nominativi o al portatore.

È previsto anche che venga creato il libro delle obbligazioni in cui devono essere indicate le obbligazioni
emesse e l’ammontare delle obbligazioni estinte. Per quanto riguarda i titoli obbligazionari nominativi,
è necessario che venga indicato nel libro delle obbligazioni, oltre alle generalità dei titolari, anche i
trasferimenti e i vincoli che riguardano i titoli.

LIMITI LEGATI ALL’EMISSIONE DELLE OBBLIGAZIONI


Prendendo in considerazione la regola generale, gli amministratori possono decidere liberamente quella
che è la composizione del debito finanziario della società.
Questo però trova un limite proprio in materia obbligazionaria in quanto la società può emettere
obbligazioni per una somma non superiore al doppio del capitale sociale, della riserva legale e altre
riserve disponibili che risultano dall’ultimo bilancio.
Con questa regola, il legislatore evita che le società prendano delle iniziative rischiose scaricando il peso
finanziario su degli investitori che non hanno potere di controllo.

Questo limite però non viene applicato nei seguenti casi:


 Quando le obbligazioni che eccedono la soglia massima sono destinate alla sottoscrizione da
parte degli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale.
 Quando le obbligazioni che eccedono la soglia massima sono destinate ad essere quotate nei
mercati regolamentati;
 Quando le obbligazioni che eccedono la soglia forniscono il diritto di sottoscrivere azioni come
ad esempio le obbligazioni convertibili in azioni;
 Quando le obbligazioni che eccedono la soglia sono garantite da ipoteca di primo grado su
immobili della società.
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LE REGOLE DI ORGANIZZAZIONE DEGLI OBBLIGAZIONISTI


La legge prevedere l’esistenza di due organi all’interno della società e sono:
- L’assemblea degli obbligazionisti;
- Il rappresentante comune.
Per quanto riguarda l’assemblea degli obbligazionisti, è l’organo che prende tutte le decisioni che
riguardano i prestiti obbligazionari e la posizione dei sottoscrittori in relazione al loro interesse comune.
L’assemblea degli obbligazionisti ha le seguenti competenze:
- La nomina e la revoca del rappresentante comune;
- Le modificazioni delle condizioni del prestito;
- La proposta di concordato;
- La costituzione di un fondo per le spese necessarie alla tutela dei comuni interessi e sul
rendiconto;
- Sugli altri oggetti di interesse comune degli obbligazionisti.
Per quanto riguarda il punto 2, ovvero le modifiche delle condizioni di prestito, è necessario che ci sia
l’approvazione della maggioranza degli obbligazionisti.
Per quanto riguarda invece il rappresentante comune degli obbligazionisti non deve essere
necessariamente scelto tra gli stessi obbligazionisti. Si tratta di un organo fondamentale che viene
nominato con un decreto da parte del tribunale e su richiesta degli obbligazionisti o amministratori della
società.
il rappresentante comune ha la funzione esecutiva ovvero deve eseguire le delibere degli obbligazionisti
e tutelare gli interessi comuni. Il rappresentante comune può anche assistere all’assemblea dei soci in
modo tale da poter indicare agli obbligazionisti quelli che sono tutti i fatti societari in vista di decisioni di
intervento o disinvestimento.
Infine il rappresentante comune ha il diritto di esaminare il libro delle obbligazioni e il libro dei soci e
ottenere degli estratti
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LE OBBLIGAZIONI CONVERTIBILI IN AZIONI


L’unico tipo di obbligazioni in cui la legge ha fornito una disciplina al dettaglio e sulle obbligazioni
convertibili in azioni presente nell’ART. 2420 bis c.c.
Questo strumento prevede che il rapporto originario, di tipo obbligazionario, si converta in rapporto
sociale e quindi dal capitale di debito si passa al capitale di rischio.
Si ottiene così da un lato l’interesse della società in quanto riesce ad ottenere delle liquidità nel momento
in cui viene emesso originalmente il titolo. Dall’altro lato invece si offre all’investitore la possibilità di
richiedere il rimborso dell’obbligazione oppure di effettuare un investimento più redditizio.
L’emissione di queste obbligazioni particolari si ha con una delibera da parte dell’assemblea
straordinaria.
Questo perché, insieme alla decisione di emettere queste obbligazioni, la società deve anche effettuare
una delibera per l’aumento del capitale sociale per un ammontare corrispondente alle azioni da
attribuire in conversione.
La legge inoltre determina in modo dettagliato la procedura di conversione e in particolar modo prevede
che le azioni devono essere emesse dagli amministratori a scadenza semestrale e ciò vuol dire che nel
primo mese di ciascun semestre gli amministratori provvedono all'emissione delle azioni spettanti agli
obbligazionisti che hanno chiesto la conversione nel semestre precedente.
Entro il mese successivo gli amministratori devono depositare per l'iscrizione nel registro delle imprese
un'attestazione dell'aumento del capitale sociale in misura corrispondente al valore nominale delle
azioni emesse.
Inoltre, le obbligazioni convertite devono essere offerte in opzione agli azionisti.
Altre norme invece vanno a tutelare gli obbligazionisti in quanto sono degli azionisti potenziali. Infatti,
nel caso in cui la società decida di effettuare un ulteriore aumento del capitale sociale, il diritto d’opzione
spetta anche ai titolari delle obbligazioni convertibili.

STRUMENTI FINANZIARI DIVERSI DA AZIONI E OBBLIGAZIONI


Oltre alle azioni e alle obbligazioni che sono degli strumenti finanziari tipici, viene data la possibilità alla
società di far uso di altri strumenti finanziari atipici.
Come ben sappiamo infatti, per quanto riguarda la partecipazione sociale, la società può emettere non
solo le azioni ma anche degli strumenti finanziari partecipativi.
Per quanto riguarda l’investimento finanziario nel credito della società, viene data la possibilità di
emettere non solo obbligazioni ma anche degli strumenti finanziari ibridi.
I possessori di questi strumenti finanziari ibridi rischieranno non solo sul capitale versato ma anche sul
rendimento ma naturalmente avranno diritto ad un guadagno maggiore.
Così come gli strumenti finanziari partecipativi, anche in questo caso possono essere apportate delle
opere o dei servizi perché ciò che viene dato dal possessore di questi strumenti non è imputabile al
capitale sociale.
Ai possessori di questi strumenti finanziari viene riconosciuto il diritto agli utili, diritto di voto su
determinate materie, diritto di recesso in determinate condizioni, diritto di ispezione dei libri sociali. Non
possono avere il diritto di voto nelle assemblee degli azionisti.
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STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA SPA


La struttura organizzativa della SPA è formata da 3 componenti:
- ASSEMBLEA DEI SOCI che prende le decisioni sull’organizzazione;
- ORGANO AMMINISTRATIVO che gestisce la società;
- COLLEGIO SINDACALE che controlla la gestione degli amministratori;
- REVISORE LEGALE DEI SOCI che controlla la regolarità dei bilanci e dei libri sociale e può non
essere presente se tale incarico viene affidato ai sindaci come succede nelle SPA chiuse.

Questi sono gli organi presenti nel SISTEMA DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO TRADIZIONALE. Oltre a
questo sistema ci sono:
- SISTEMA DI CONTROLLO E AMMINISTRAZIONE DUALISTICO;
- SISTEMA DI CONTROLLO E AMMINISTRAZIONE MONISTICO.

ASSEMBLEA (art.2363 c.c. e seguenti)


L’assemblea dei soci è l’organo rappresentativo dei soci e presenta delle limitazioni nel sistema dualistico.
L’assemblea è un organo che delibera tramite metodo collegiale e prende le decisioni con maggioranza
sulla base di quorum imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.

LE COMPETENZE DELL’ASSEMBLEA
Prima della riforma del 2003 c’erano diversi problemi per quanto riguarda la ripartizione delle
competenze dell’assemblea e dell’organo amministrativo. Oggi invece non è assolutamente possibile
attribuire all’assemblea delle competenze gestorie che spettano agli amministratori.
Per quanto riguarda l’assemblea, è molto importante fare una distinzione tra:
- Assemblea ordinaria rubricata nell’ART. 2364 c.c.;
- Assemblea straordinaria rubricata nell’ART. 2365 c.c.
Questa distinzione dello stesso organo avviene in base alle materie che vengono trattate.

Le competenze dell’assemblea ordinaria sono:


- Approvazione del bilancio;
- Nomina e revoca degli amministratori;
- Distribuzione degli utili;
- Delibera sulla responsabilità contro gli altri organi;
Ci sono delle altre competenze fornite dalla legge ma quest’ultima non indica in modo esplicito se sono
di competenza dell’assemblea ordinaria o straordinaria.
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L’assemblea ordinaria non può inoltre svolgere delle competenze diverse rispetto a quelle che sono
disposte dalla legge. Un’ultima competenza che eventualmente spetta all’assemblea ordinaria, e quella
di fornire autorizzazioni che sono eventualmente richieste per il compimento di atti degli
amministratori.
Come abbiamo già detto, la gestione dell’impresa sociale spetta solo ed esclusivamente agli
amministratori senza l’intervento dell’assemblea. Per certe operazioni però, gli amministratori devono
ottenere la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea ordinaria. Una volta che viene data
l’autorizzazione da parte dell’assemblea, gli amministratori potranno decidere se effettuare o meno
l’operazione.
Se viene a mancare l’autorizzazione da parte dell’assemblea, se gli amministratori compiono comunque
gli atti saranno responsabili per tutti i danni conseguiti e viene determinata una giusta causa di revoca.

Le competenze dell’assemblea straordinaria invece sono:


- Nomina dei liquidatori;
- Modifiche dell’atto costitutivo;
- Delibera sulla non emissione delle azioni;
- Approva la concessione di prestiti e garanzie per la sottoscrizione o acquisto di azioni proprie;
- Delibera l’emissione di obbligazioni convertibili.

Ci sono delle competenze dell’assemblea straordinaria che possono essere delegate agli amministratori
ovvero quelle competenze legate comunque alla gestione della società:
- Modifiche dell’atto costitutivo dovute per trasferimento della società nel territorio nazionale;
- Emissione di obbligazioni convertibili ecc…

PROCEDIMENTO ASSEMBLEARE
Come abbiamo detto precedentemente, l’assemblea è un organo collegiale e quindi le decisioni vengono
prese seguendo il procedimento collegiale ovvero:
- Convocazione dell’organo;
- Riunione;
- Discussione;
- Votazione e relativa deliberazione;
- Proclamazione;
- Verbalizzazione.
Queste regole legali possono essere integrate o derogate da clausole statutarie. Se manca la
convocazione o la verbalizzazione si ha la nullità della delibera altrimenti si ha l’annullamento.
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CONVOCAZIONE DELL’ASSEMBLEA
L’assemblea viene convocata dagli amministratori o dai soci. In alcuni casi però la convocazione è
obbligatoria ovvero:
- Quando ci sono delle perdite superiori ad 1/3 del capitale sociale;
- Causa di scioglimento della società.
- Per l’approvazione di bilancio almeno una volta all’anno.
- Se viene richiesta dalla minoranza dei soci (numero di soci pari a 1/10 del capitale sociale).
Quando la convocazione è obbligatoria, gli amministratori possono rifiutare la convocazione solo se la
richiesta è illegittima.

Solitamente quindi la convocazione viene effettuata dall’organo amministrativo. Questa regola però è
derogabile in quanto è possibile affidare tale potere al presidente del CDA.
Altri soggetti che hanno il potere di convocazione ma solo nelle ipotesi previste dalla legge sono:
- Il sindaco;
- Il tribunale;
- L’amministratore giudiziario;
- I liquidatori.
L’avviso di convocazione, deve contenere una serie di indicazioni e sono:
- La data;
- L’ora;
- Il luogo;
- Ordine del giorno.
Le modalità in cui viene emanato l’atto di convocazione però dipende dalle caratteristiche della società.
Nelle SPA chiuse, sono previsti dei modi diversi e dei tempi ridotti in modo tale da garantire la prova
dell’avvenuto ricevimento dell’avviso almeno 8 giorni prima della convocazione.
Nelle SPA non quotate invece, l’avviso viene pubblicato sulla Gazzetta ufficiale almeno 15 giorni prima
del giorno fissato per l’assemblea.
Nelle SPA quotate, l’assemblea è convocata 30 giorni prima con un avviso che viene pubblicato sul sito
internet della società oppure attraverso altre modalità che vengono previste dalla Consob.
L’assemblea si deve svolgere nel comune in cui la società ha la propria sede, salo che non venga previsto
diversamente dallo statuto.
Per quanto riguarda l’ordine del giorno, serve per informare ai soci quelle che sono le materie da
trattare.
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Tutte le delibere, assunte da un’assemblea che non ha rispettato tutte quelle norme, sono annullabili.
In ogni caso però l’assemblea è valida quando tutti i soci con il diritto di voto sono presenti alla riunione
o sono informati. Questo prende il nome di assemblea totalitaria.
Le delibere sono valide se si è raggiunto:
- Un QUORUM COSTITUTIVO ovvero un numero di soci per poter effettuare la delibera. Il quorum
costitutivo si calcola in base ai soci con diritto di voto, con diritto di voto occasionale e con diritto
di voto plurimo.
- Un QUORUM DELIBERATIVO ovvero il numero di soci in maggioranza necessario per approvare
la delibera. Il quorum deliberativo può essere calcolato in base al capitale sociale presente in
assemblea oppure in base al capitale sociale totale. Quando viene calcolato in base al capitale
sociale presente in assemblea, non vengono considerate le azioni prive di diritto di voto, mentre
nel secondo caso, i non votanti sono considerati come voti contrari.
I quorum costitutivi e deliberativi sono fissati dalla legge in base:
- Alla società;
- Alla convocazione;
- Alla materia.
PRIMA CONVOCAZIONE SOCIETA’ CHIUSE: Per quanto riguarda la prima convocazione, nelle società
chiuse, per l’assemblea ordinaria il quorum costitutivo deve essere uguale alla metà del capitale sociale,
mentre il quorum deliberativo deve essere pari alla maggioranza assoluta dei diritti di voto presente in
assemblea. Per quanto riguarda invece l’assemblea straordinaria, il quorum costitutivo e deliberativo
deve essere pari alla maggioranza assoluta presente in assemblea. Questi quorum legali che riguardano
la prima convocazione, possono essere aumentati dallo statuto. Non è possibile però inserire delle
clausole statutarie che impongono l’unanimità oppure delle maggioranze molto elevate che vanno ad
attribuire un diritto di veto ad ogni socio.
Oltre alla clausola di unanimità e di elevata maggioranza, è illecita anche la clausola di diminuzione del
quorum.
SECONDA CONVOCAZIONE SOCIETA’ CHIUSE:
La seconda convocazione viene effettuata quando nella prima non viene raggiunto il quorum costitutivo.
In questo caso, per facilitare la delibera, vengono richiesti dei quorum minori rispetto alla prima
convocazione.
Per l’assemblea ordinaria non viene richiesto un quorum costitutivo e viene richiesto un quorum
deliberativo pari alla maggioranza assoluta dei soci presenti in assemblea. Per l’assemblea straordinaria
invece viene richiesto un quorum costitutivo pari a 1/3 dei del capitale sociale e un quorum deliberativo
pari a 2/3 del capitale sociale presente in assemblea.

TERZA E SUCCESSIVE CONVOCAZIONI SOCIETA’ CHIUSE: Per quanto riguarda la


Terza convocazione o le successive convocazioni, i quorum richiesti sono quelli della seconda
convocazione.
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CONVOCAZIONE UNICA SOCIETA’ APERTE:


Nelle SPA aperte invece si effettua un’unica convocazione. Per l’assemblea ordinaria viene richiesto un
quorum costitutivo e deliberativo pari alla seconda convocazione delle SPA chiuse, mentre per
l’assemblea straordinaria viene richiesto un quorum costitutivo pari a 1/5 del capitale sociale e un
quorum deliberativo pari a 2/3 del capitale presente in assemblea.

LEGITTIMAZIONE DEI SOCI


I soci legittimati a partecipare alle assemblee sono tutti coloro che hanno diritto di voto.
La legittimazione viene controllata dal presidente dell’assemblea se le azioni sono rappresentate da titoli,
mentre se le azioni sono dematerializzate, la legittimazione viene controllata da un intermediario
abilitato. La legittimazione viene effettuata controllando la corrispondenza nel libro dei soci.
Possono partecipare alle assemblee anche:
- Amministratori;
- Sindaci.
RAPPRESENTANZA IN ASSEMBLEA
A vari azionisti è data la possibilità di partecipare all’assemblea personalmente oppure tramite un
rappresentante. Lo statuto però può escludere questa possibilità oppure può limitarla in diversi modi
come ad esempio imponendo, per ragioni di riservatezza, che il delegato debba essere necessariamente
il socio.
Questa rappresentanza varia a seconda che la società è chiusa, con azioni diffuse o quotate.
Alcune regole sono di carattere generale infatti.
 la delega deve essere fatta per iscritto e i relativi documenti devono essere conservati dalla
società.
 La delega in bianco, ovvero quella priva del nome del delegato, è nulla.
 La procura è sempre revocabile.
Nelle società con azioni diffuse e quotate la delega è valida solo per le singole assemblee ma può essere
valida per tutte le convocazioni.
Nelle società chiuse invece, la delega per più assemblee è ammessa.

Ci sono inoltre delle regole che valgono solo per le società chiuse e per quelle con azioni diffuse e non
per le società con azioni quotate. Ad esempio, il numero massimo di delegati rappresentabili da parte
di un singolo delegato è di 20 per quanto riguarda le società chiuse, mentre è di 50, 100 o 200 per le
società con azioni diffuse a seconda dell’entità del capitale.

Solo nelle società quotate invece è presente un divieto di delega a favore dei membri degli organi di
amministrazione e degli organi di controllo della società o di dipendenti della stessa società.
Nelle società quotate è previsto il rappresentante che viene designato dalla società a cui ciascun socio
potrà conferire una delega fornendo delle istruzioni di voto che il rappresentante dovrà attenersi.
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PRESIDENTE DELL’ASSEMBLEA
In tutto ciò è presente il presidente dell’assemblea che ha le seguenti competenze:
- Controlla la regolare costituzione dell’organo;
- Accerta la legittimazione dei presenti;
- Dirige i lavori (e quindi lo svolgimento della discussione, formula le proposte di deliberazione,
decide le modalità di votazione e di controllo ecc…)
- Effettua lo scrutinio;
- Effettua la proclamazione dei risultati;
- Effettua la verbalizzazione.

Il presidente, durante l’assemblea, viene affiancato da un segretario che appunto lo assiste e collabora
con lui per la verbalizzazione. Infatti, il segretario dovrà apportare la sua firma sulla verbalizzazione. Può
svolgere il ruolo di segretario anche il notaio.
Il presidente, durante l’assemblea, dovrà attenersi a quello che è l’ordine del giorno.
Se vengono a mancare le condizioni per poter svolgere l’assemblea, il presidente può decidere di
scioglierla.
Viene inoltre attribuito il diritto di rinvio dell’assemblea a tutti coloro che raggiungono la quota di 1/3
del capitale sociale e dichiarano di non essere sufficientemente informati. L’assemblea però non può
essere rinviata per un periodo di tempo superiore a 5 giorni.
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VERBALIZZAZIONE
Ciò che viene deliberato dall’assemblea infine deve essere inserito in un verbale. Il verbale che viene
effettuato in sede di assemblea ordinaria, deve essere redatto e sottoscritto dal presidente e dal
segretario.
Il verbale che viene effettuato in sede di assemblea straordinaria invece, deve essere redatto dal notaio
e deve essere sottoscritto dal presidente. In questo caso, il notaio esercita una funzione di controllo.
Il contenuto del verbale deve indicare:
- L’identità dei rappresentanti;
- Il capitale presente;
- Le modalità in cui viene fatta la votazione;
- I risultati della votazione;
- Le dichiarazioni che riguardano l’ordine del giorno.
Non c’è un termine entro il quale deve essere redatto il verbale, ma semplicemente deve essere redatto
in tempo dopo l’assemblea per poter effettuare il deposito e la pubblicazione.
ABUSO DI MAGGIORANZA
Quando una delibera viene assunta dalla maggioranza ma non per danneggiare la società ma per
danneggiare i soci di minoranza, questo prende il nome di abuso di maggioranza. Un esempio può essere
il caso in cui viene deliberato un aumento di capitale solo ed esclusivamente per ridurre la partecipazione
dei soci che non hanno la disponibilità finanziaria.
In questo caso è previsto anche un risarcimento da parte dell’azionista in favore del socio danneggiato o
dei soci danneggiati.

QUINDI IN CONCLUSIONE:

- L’INESISTENZA DELLA DELIBERA SI HA QUANDO MANCANO I REQUISITI ESSENZIALI E MINIMI;


- L’INEFFICACIA DELLA DELIBERA SI HA IN CASO DI VIZIO DERIVANTE DALLA MANCANZA DI
LEGITTIMAZIONE;
- PER QUANDO RIGUARDA L’INVALIDITA’ INVECE PUO’ CAUSARE L’ANNULLABILITA’ O NULLITA’.
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L’INVALIDITA’ DELLE DELIBERAZIONI ASSEMBLEARI


Le delibere assembleari possono essere nulle o annullabili.
ANNULLABILITA’ (ART. 2377 c.c.):
- VIZI DEL CONTENUTO;
- VIZI NEL PROCEDIMENTO;
- PARTECIPAZIONE DI SOCI NON LEGITTIMATI in questo caso è necessario provare, con la prova
di resistenza, che la loro partecipazione è stata determinante per il raggiungimento della
maggioranza;
- VOTO INVALIDO anche in questo caso è necessario provare, con la prova di resistenza, che la
loro partecipazione è stata determinante per il raggiungimento della maggioranza;
- INCOMPLETEZZA O INESATTEZZA DEL VERBALE;
- PRESENZA DELLA SOTTOSCRIZIONE DEL PRESIDENTE MA NON DEL SEGRETARIO;
L’annullamento della delibera può essere richiesta dai soci assenti, dissenzienti o astenuti, che
raggiungono il 5% del capitale sociale, al tribunale entro 90 giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese.
Se non viene raggiunto avranno diritto al risarcimento del danno.
Possono richiedere l’annullamento anche gli amministratori o i sindaci.
L’annullamento non viene effettuato se la società effettua una nuova delibera o il vizio viene sanato.
NULLITA’ (ART. 2379 c.c.):
La nullità della delibera si ha quando:
- L’oggetto è illecito;
- Mancanza della convocazione;
- Mancanza del verbale;
- La delibera è stata sottoscritta dal segretario (non notaio) e non dal presidente. Sono
legittimati a richiedere l’azione di nullità chiunque ne abbia interesse e sono impugnabili entro
3 anni
Le deliberazioni nulle possono essere impugnate entro 3 anni dall’iscrizione, mentre per le delibere di
modifica dell’oggetto sociale con attività illecite o impossibili l’azione per la nullità è imprescrittibili.
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AMMINISTRAZIONE
GLI AMMINISTRATORI
Nel sistema di amministrazione e di controllo tradizionale, gli amministratori svolgono il ruolo di
gestione della società in quanto compiono delle azioni dirette all’attuazione dell’oggetto sociale.
Questa è una regola assolutamente inderogabile. Solo in alcuni casi, la legge può prevedere dei limiti.
Sono nulle invece tutte quelle clausole statutarie che attribuiscono ad altri organi le funzioni dell’organo
amministrativo.
NOMINA DEGLI AMMINISTRATORI
È l’assemblea ordinaria che ha il compito di nominare i componenti dell’organo gestorio. Questo
organo, nel modello tradizionale, può avere una composizione:
- Monocratica ovvero con la presenza di un unico amministratore;
- Pluripersonale ovvero con la presenza di un consiglio di amministrazione.
Nelle società quotate la composizione dell’organo amministrativo è sempre pluripersonale.
È lo statuto inoltre che indica la composizione numerica dell’organo gestorio. Se non viene indicato nello
statuto spetta all’assemblea indicare la composizione numerica. La nomina da parte dell’assemblea è
una regola inderogabile ma comunque ci potrebbero essere delle deleghe da parte dello statuto di
nomine separate:
- Lo statuto può assegnare il potere ai portatori di strumenti finanziari partecipativi di nominare
un amministratore indipendente;
- Lo statuto può prevedere la nomina di un numero di amministratori proporzionale al capitale
da parte degli enti pubblici che sono titolari di partecipazioni in SPA e che non fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio.
Gli statuti possono stabilire delle norme particolari che garantiscono la rappresentanza delle minoranze
con tecniche diverse. La tecnica più diffusa è il voto di lista che consente la nomina di rappresentanti di
minoranza. Con questa tecnica, data la presenza di più liste di candidati, si individuano gli amministratori
da eleggere non solo dalla lista che viene maggiormente votata, ma in parte anche dalla seconda lista con
più voti ricevuti.
Nelle società quotate, è stabilito che almeno un componente del consiglio di amministrazione deve
essere espresso da una lista di minoranza.

I REQUISITI PER LA NOMINA. L’AMMINISTRATORE INDIPENDENTE


Come amministratori della SPA posso essere nominati dei soci oppure possono essere nominati dei terzi
non soci. per quanto riguarda ciò, lo statuto può comunque imporre che vengano nominati
amministratori solo i soci.
I soci comunque hanno dei limiti per quanto riguarda la nomina degli amministratori. Vengono infatti
indicate delle cause legali ovvero cause di ineleggibilità e di decadenza della carica, come ad esempio
l’incapacità legale, il fallimento e le condanne penali che comportano praticamente l’esclusione dagli
uffici pubblici e privati.
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La nomina di un soggetto ineleggibile è quindi assolutamente nulla. se invece l’ineleggibilità sopravviene


successivamente, l’amministratore decadrà automaticamente dall’ufficio.
Questo modello legale inoltre non prevedere la presenza di requisiti di professionalità e onorabilità per
gli amministratori delle SPA, salvo per le SPA quotate o alcune società con statuto speciale come ad
esempio le società bancarie o le società assicurative. Lo statuto però può introdurre delle norme
particolari e richiedere tali requisiti per la nomina degli amministratori.

DIVIETO DI CONCORRENZA (ART. 2390 C.C.)


L’ART. 2390 c.c. afferma che gli amministratori non possono essere soci illimitatamente responsabili di
altre società, non possono svolgere attività concorrenti e non possono essere amministratori o direttori
generali di altre società.
ACCETTAZIONE DELLA CARICA
La carica di amministratore non si acquisisce automaticamente ma è necessaria l’accettazione
dell’amministratore. L’amministratore dovrà poi essere indicato entro 30 giorni nel registro delle
imprese.
L’amministratore di fatto invece è il caso in cui la carica di amministratore viene affidata tacitamente e
non attraverso la nomina e accettazione. Comunque avrà gli stessi diritti e obblighi dell’amministratore
della società e deve anche controllare che l’amministratore della società non attui un comportamento
illegittimo.

DURATA DELLA CARICA


La carica di amministratore dura massimo 3 anni anche se si possono verificare delle cause di cessazione
preventivamente e sono:
- La scadenza del termine che produce effetti fino a quando non viene ricostituito l’organo
dall’assemblea ordinaria;
- La rinuncia della carica di amministratore in cui non viene richiesta la forma scritta e non viene
richiesta una giustificazione. La rinuncia inoltre ha effetto immediato e quindi non necessita di
accettazione. Inoltre una volta che viene comunicata non può più essere revocata. Questo
effetto immediato però viene derogato quando la rinuncia comporta dei problemi all’organo
amministrativo come ad esempio il venir meno della maggioranza. In questo caso, la rinuncia
produce effetti solo al momento della sostituzione dell’organo e quindi quando la maggioranza
è ricostituita.
- La revoca che può essere richiesta senza giusta causa con successivo risarcimento del danno
oppure con giusta causa senza risarcimento.

SOSTITUZIONE DEGLI AMMINISTRATORI CESSATI


Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvederanno a
sostituirli. Infatti, solo se rimane la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, il potere
di cooptazione dei membri del consiglio di amministrazione rimarrà agli amministratori rimasti in
carica, con approvazione però del collegio sindacale.
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L’amministratore cooptato, rimarrà in carica fino all’assemblea successiva alla sua nomina. L’assemblea
però potrà decidere di confermarlo.
Se invece viene a mancare la maggioranza degli amministratori eletti dall’assemblea, gli amministratori
rimasti dovranno convocare l’assemblea che provvederà a sostituire gli amministratori mancanti.
Se vengono a mancare tutti gli amministratori (ad esempio in caso di morte dell’amministratore unico),
il collegio sindacale dovrà convocare l’assemblea che dovrà esercitare in quel momento i poteri di
amministrazione ordinaria.
Lo statuto può prevedere che in caso di cessazione di uno o più amministratori, cesserà tutto il consiglio
di amministrazione. A questo punto sarà sempre il collegio sindacale a dover convocare l’assemblea.

DELIBERE DEL CDA


Se è presente un CDA, gli amministratori dovranno deliberare in base al metodo collegiale, dovranno
prendere le decisioni con la maggioranza sulla base di quorum costitutivi e deliberativi. Il quorum
costitutivo che viene richiesto per le delibere del CDA è pari alla maggioranza degli amministratori in
carica. Il quorum deliberativo invece è pari alla maggioranza assoluta dei presenti.
In tutti ciò è presente il presidente del CDA che viene nominato dall’assemblea ordinaria o dagli
amministratori stessi e ha le stesse competenze del presidente dell’assemblea.

IMPUGNAZIONE DELLE DELIBERE CONSILIARI


Le delibere del CDA possono essere solo annullabili e mai nulle automaticamente. Le delibere possono
essere impugnate dagli amministratori assenti, dissenzienti e astenuti entro 90 giorni dall’iscrizione nel
registro delle imprese.

L’AMMINISTRAZIONE DELEGATA (ART. 2381 C.C.)


Le funzioni che svolge l’organo amministrativo possono essere delegate ai vari componenti del c.d.a.
oppure possono essere delegate ad un collegio ristretto chiamato comitato esecutivo.
La delega deve essere autorizzata dallo statuto oppure da una delibera dell’assemblea ordinaria che
viene chiamata delibera consiliare. In questa delibera consiliare bisognerà indicare il contenuto ed i
limiti della delega.
Non è possibile effettuare una delega generica, ma è possibile effettuare una delega generale in cui viene
affidata l’intera gestione salvo alcune competenze che rimangono al c.d.a. come ad esempio la redazione
del bilancio, l’emissione delle obbligazioni convertibili ecc…

Gli organi delegati hanno però delle competenze che vengono attribuite automaticamente dalla legge.
queste competenze sono:
- Curano l’assetto organizzativo;
- Curano l’assetto amministrativo;
- Curano l’assetto contabile, ovvero controllano che il tutto sia adeguato alla natura e alle
dimensioni dell’impresa.
- L’organo delegato può anche deliberare sui piani strategici industriali e finanziari della società.

Il c.d.a. dovrà vigilare il tutto e può intervenire in caso di bisogno sulle materie che vengono delegate
all’organo delegato.
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PARTI CORRELATE
Le società quotate e le società diffuse hanno l’obbligo di informare il mercato quando effettuano delle
operazioni con le parti correlate ovvero quei soggetti che appartengono al controllo e del collegamento
societario, ai dirigenti con responsabilità strategiche ecc…

COMPENSI DEGLI AMMINISTRATORI


Se i compensi degli amministratori non sono già determinati dall’atto costitutivo, verranno determinati
nelle seguenti modalità:
- I compensi degli amministratori vengono stabiliti dall’assemblea ordinaria;
- I compensi del comitato esecutivo vengono stabiliti direttamente dall’assemblea oppure in
mancanza verranno stabiliti dal c.d.a. all’atto della nomina;
- I compensi degli amministratori delegati e del presidente degli amministratori sono stabiliti
dal c.d.a. all’atto della nomina del presidente oppure nel momento della delega nei confronti
dell’amministratore delegato. Il tutto tramite un preventivo parere da parte del collegio
sindacale.
Lo statuto attraverso una clausola statutaria impone un compenso massimo da dare agli amministratori.
Se le remunerazioni sono eccessive, queste sono considerate illegittime.
Nelle società non quotate i vari compensi devono essere indicati nella nota integrativa con trasparenza.
Nelle società quotate è necessario che il c.d.a. deve approvare una relazione sulla remunerazione, che
contiene le indicazioni sia delle politiche di remunerazione del successivo esercizio, sia dei compensi
percepiti da ciascun componente nel precedente esercizio. Successivamente, l’assemblea verrà
convocata per fornire il suo parere sulle politiche di remunerazione che verranno successivamente
pubblicate sul sito internet della società.
Il compenso può essere denaro oppure può essere una partecipazione agli utili o un diritto di opzione.
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RAPPRESENTANZA (ART. 2384 C.C.)


La rappresentanza si divide in:
- RAPPRESENTANZA ISTITUZIONALE;
- RAPPRESENTANZA VOLONTARIA.
La rappresentanza istituzionale è chiamata anche rappresentanza statutaria o legale. È una
rappresentanza obbligatoria che spetta:
- Agli amministratori;
- Al presidente del CDA;
- All’amministratore delegato.
Inoltre, lo statuto o l’assemblea ordinaria dovrà indicare se la rappresentanza è congiunta o disgiunta.
I limiti al potere di rappresentanza non possono essere opposti ai terzi.
La rappresentanza volontaria si ha quando un rappresentante istituzionale effettua una procura speciale
per singoli affari.

LE AZIONI DI RESPONSABILITA’ CONTRO GLI AMMINISTRATORI


Ci sono 3 ipotesi di responsabilità civile degli amministratori e sono:
1) Responsabilità civile verso la società;
2) Responsabilità civile verso i creditori sociali;
3) Responsabilità civile verso i singoli soggetti ovvero i soci o terzi estranei.

RESPONSABILITA’ VERSO LA SOCIETA’ (ART. 2392 C.C.)


Gli amministratori sono responsabili verso la società in caso di inadempimento di obblighi che vengono
imposti dalla legge o dall’atto costitutivo.
Se vengono violati questi doveri, gli amministratori saranno responsabili per cattiva gestione della
società e per il deterioramento delle risorse economiche. In particolare, gli amministratori saranno
responsabili sia del danno emergente che del lucro cessante del patrimonio sociale e del conto
economico.
In generale, la colpa dell’amministratore deve essere provata da chi promuove l’azione di responsabilità
mentre, in caso di violazione di specifici obblighi stabiliti dalla legge o dallo statuto, la prova è più facile
in quanto chi promuove l’azione deve semplicemente provare l’inadempimento degli obblighi e non
anche la colpevolezza del o degli amministratori.
La responsabilità degli amministratori è solidale. Ciò significa che tutti sono responsabili della cattiva
gestione nei confronti della società. la responsabilità non è solidale quando le violazioni riguardano
compiti che vengono attribuiti specificamente ad amministratori determinati che vengono indicati nello
Statuto della SPA. L’amministratore può evitare la responsabilità solidale quando:

• Fa notare il dissenso degli altri amministratori;

• Informa immediatamente il presidente del collegio sindacale del suo dissenso;

• Quando è privo di colpa


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L’azione di responsabilità può essere richiesta da:


- ASSEMBLEA ORDINARIA;
- COLLEGIO SINDACALE con approvazione della delibera da parte dei 2/3 dei componenti del
collegio;
- MINORANZA QUALIFICATA ovvero da 1/5 del capitale sociale nelle SPA chiuse e 1/40 del
capitale sociale nelle SPA aperte.
Dall’azione di responsabilità si ha la revoca dell’amministratore solo se la delibera viene approvata da 1/5
del capitale sociale.
L’assemblea ordinaria può anche deliberare la rinunzia o transazione della responsabilità. Tale delibera
può essere annullata dall’esercizio del diritto di veto dalla minoranza.

RESPONSABILITA’ VERSO I CREDITORI SOCIALI


Gli amministratori sono responsabili anche contro i creditori sociali nel caso in cui non hanno rispettato
l’obbligo di conservazione e integrità del capitale sociale e questo risulta essere insufficiente per
soddisfare i creditori. L’azione di responsabilità si prescrive in 5 anni dal danno.

AZIONE INDIVIDUALE DEL SOCIO E DEL TERZO


Anche il singolo socio può richiedere l’azione di responsabilità dell’amministratore quando vengono lesi
in modo diretto dagli atti di gestione. Anche in questo caso l’azione si prescrive in 5 anni dal momento
della conoscenza del danno da parte del socio.

DIRETTORI GENERALI (ART. 2396 C.C.)


Nelle imprese medio-grandi è prevista la presenza di un direttore generale che ha dei compiti di alta
gestione e ha invece dei compiti più limitati nella gestione quotidiana.
Se il direttore generale è nominato dall’assemblea o dallo statuto vuol dire che anche lui sarà
assoggettato alla responsabilità civile degli amministratori, salvo per le azioni esercitate in base al
rapporto di lavoro con la società.
Se il direttore generale non è eletto dall’assemblea allora sarà assoggettato alla responsabilità del diritto
comune.
Il direttore generale può rifiutarsi di eseguire determinate delibere quando queste riguardano la sua
responsabilità.
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CONTROLLO INTERNO SPA: COLLEGIO SINDACALE (ART. 2397 SE SEGUENTI C.C.)


La costituzione dell’organo di controllo è obbligatoria in quanto senza di esso non si può costituire la
società.

NOMINA=NOMINA AMMINISTRATORI
I componenti dell’organo di controllo sono nominati per la prima volta nell’atto costitutivo e
successivamente sono nominati dall’assemblea ordinaria con delibere approvate con maggioranza.
Alcuni componenti sono nominati dagli enti pubblici in proporzione al capitale sociale e un componente
invece è nominato dai portatori di strumenti finanziari partecipativi. Gli statuti inoltre, possono
prevedere la nomina di sindaci di minoranza.

La composizione numerica dell’organo di controllo varia tra i 3 o 5 membri effettivi e 2 supplementari.


I componenti di tale organo, possono essere soci della società o possono essere terzi non soci.

Anche in questo caso, come per gli amministratori, la carica non si assume automaticamente, ma è
necessaria l’accettazione da parte dei componenti che può essere anche in questo caso tacita. Per quanto
riguarda la carica dei componenti dell’organo di controllo supplementari, l’accettazione deve essere
effettuata in modo espresso.
L’accettazione deve essere iscritta nel registro delle imprese.
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REQUISITI PER LA NOMINA


I sindaci, per la nomina, devono avere dei requisiti di natura patrimoniale, dei requisiti di professionalità
e onorabilità e uno di loro supplementare deve essere un revisore legale. Nelle società in cui il collegio
sindacale ha la funzione di controllo contabile, tutti i sindaci devono essere revisori.
Il presidente del collegio sindacale deve essere nominato dall’assemblea ordinaria.

DURATA DELLA CARICA DEI SINDACI


La carica dei sindaci dura per 3 ANNI salvo che non si verifica una causa di cessazione preventivamente.

CESSAZIONE DELLA CARICA DEI SINDACI. CAUSE DI INELEGGIBILITA’ E DECADENZA


Le cause di cessazione della carica dei sindaci sono:
- Scadenza del termine: produce gli effetti al momento della ricostituzione dell’organo di
controllo da parte dell’assemblea ordinaria.
- Rinuncia: la rinuncia è sempre ammessa e deve essere comunicata al PRESIDENTE DEL
COLLEGIO SINDACALE. Produce effetti immediati salvo che il supplente non ha i requisiti
uguali al sindaco che ha richiesto la rinuncia.
- Revoca: si può chiedere solo se c’è una giusta causa dall’assemblea ordinaria su
autorizzazione del tribunale.
- Decadenza: la decadenza della carica si ha quando mancano i requisiti di professionalità e
indipendenza oppure quando il sindaco si assenta senza giusta causa per due riunioni
consecutive del collegio sindacale.
- Decesso.
Quindi, se manca il sindaco questo viene sostituito dal supplente solo se ha le stesse caratteristiche
altrimenti si deve convocare l’assemblea.
Il PRESIDENTE invece viene sostituito dal sindaco più anziano.

FUNZIONI DEL COLLEGIO SINDACALE (ART. 2403 C.C.)


I SINDACI e quindi il COLLEGIO SINDACALE hanno il compito di verificare se:
- Vengono rispettati i REQUISITI DETTATI DALLA LEGGE E DALL’ATTO COSTITUTIVO;
- Se vengono rispettati i REQUISITI DI CORRETTEZZA SULLA GESTIONE DEGLI AMMINISTRATORI.
In passato i sindaci svolgevano anche una funzione di controllo contabile ma ora questo compito viene
affidato ad un revisore legale interno che viene nominato dall’assemblea ordinaria. Nelle SPA CHIUSE il
compito di revisione contabile viene affidato ai sindaci ed è per questo motivo che i sindaci devono avere
i requisiti di revisore legale.
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DELIBERE DEI SINDACI


I sindaci deliberano in base al metodo collegiale con un quorum costitutivo pari alla maggioranza dei
sindaci in carica e un quorum deliberativo pari alla maggioranza assoluta dei presenti.

POTERI DEI SINDACI


I sindaci hanno i seguenti poteri:
- Possono compiere atti di controllo e di ispezione;
- Possono chiedere informazioni agli amministratori;
- Possono confrontarsi con i sindaci delle società controllate;
- Possono convocare l’assemblea in caso di omissione o ritardo degli amministratori;
- Possono convocare l’assemblea per fatti censurabili;
- Possono denunciare al tribunale per violazioni o irregolarità degli amministratori;
- Possono impugnare le delibere.

LA RESPONSABILITA’ DEI SINDACI


I sindaci possono essere responsabili con gli amministratori se gli errori sugli atti di gestione si sono
verificati per il mancato intervento dei sindaci stessi.
Sono responsabili inoltre personalmente per violazione di segreti o false attestazioni.
Anche la responsabilità dei sindaci si prescrive in 5 anni così come gli amministratori.

REVISORE LEGALE DEI CONTI


La funzioni del revisore sono:
- Controllare la contabilità sociale e le scritture contabili;
- Fornire un giudizio sul bilancio di esercizio e consolidato.

Il revisore legale viene NOMINATO dall’assemblea ordinaria e dura per 3 anni. Per gli enti di interesse
pubblico invece la carica dura 7 o 9 anni. Questo salvo che non si verifica una causa di cessazione
preventiva che può essere ad esempio la REVOCA. La REVOCA può essere richiesta solo se c’è una giusta
causa dall’assemblea ordinaria. La REVOCA D’UFFICO spetta al ministero dell’economia, mentre la revoca
negli enti pubblici spetta alla CONSOB.
Anche il revisore legale, per la nomina, deve avere i requisiti di indipendenza e professionalità.

Il CORRISPETTIVO viene definito direttamente alla nomina dall’assemblea ordinaria.


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SISTEMA DUALISTICO
Per utilizzare il SISTEMA DUALISTICO è necessario indicare ciò nell’atto costitutivo. Il SISTEMA
DUALISTICO è di derivazione tedesca e prevede la presenza di 2 organi:
- CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA che è uguale al COLLEGIO SINDACALE più competenze
dell’assemblea ordinaria;
- CONSIGLIO DI GESTIONE che corrisponde all’organo amministrativo.

CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA
Il consiglio di sorveglianza viene nominato dall’assemblea ordinaria o dall’atto costitutivo e deve essere
formato da almeno 3 componenti che possono essere soci o non soci. i soci sono nominati dall’assemblea
ordinaria mentre i terzi dall’atto costitutivo.
La CARICA DURA per 3 anni salvo che non si verifica una causa di cessazione preventiva come la REVOCA.
La revoca può essere richiesta dall’assemblea ordinaria anche senza giusta causa ma solo se la delibera
di revoca viene approvata da 1/5 del capitale sociale dell’assemblea.
Il COMPENSO invece viene deciso direttamente dall’assemblea ordinaria o dallo statuto.
Il consiglio di sorveglianza ha gli stessi poteri dei sindaci in quanto è uguale all’organo di controllo e
detiene altri poteri che spettano all’assemblea ordinaria negli altri modelli ovvero:
- Nomina e revoca dell’organo di gestione;
- Approvazione del bilancio;
- Delibera sulla responsabilità degli altri organi.

DELIBERA DEL CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA


Il consiglio di sorveglianza si riunisce ogni 3 mesi e viene richiesto un quorum costitutivo pari alla
maggioranza dei componenti e un quorum deliberativo pari alla maggioranza dei presenti.
IL PRESIDENTE del consiglio di sorveglianza viene nominato dall’assemblea ordinaria.

ASSEMBLEA ORDINARIA
L’assemblea ordinaria ha le seguenti competenze:
- Nominare e revocare i consiglieri di sorveglianza;
- Determinare il compenso dei consiglieri;
- Deliberare sulla responsabilità dei consiglieri;
- Deliberare sulla distribuzione degli utili;
- Nomina il revisore legale;
- Non approva il bilancio.

.
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CONSIGLIO DI GESTIONE
Il CONSIGLIO DI GESTIONE rappresenta invece l’organo amministrativo che non può essere mai
unipersonale ma sempre pluripersonale composto da 2 componenti
I COMPONENTI sono NOMINATI all’inizio dall’atto costitutivo e successivamente dall’organo di
sorveglianza.
La CARICA dura per 3 anni salvo che non si verifica una causa di cessazione preventiva come la REVOCA.
La revoca può essere richiesta senza giusta causa ma con un risarcimento del danno in favore.
Il COMPENSO viene definito dal consiglio di sorveglianza o dall’assemblea ordinaria. Così come il CDA,
anche nel consiglio di gestione è possibile effettuare delle DELEGHE

RESPONSABILITA’ DEL CONSIGLIO DI GESTIONE


Essendo degli amministratori, anche in questo caso può scattare la responsabilità e può essere richiesta:
 Dall’assemblea ordinaria;
 Dalla minoranza;
 Dal consiglio di sorveglianza. In questo caso, se il consiglio di sorveglianza delibera l’azione di
responsabilità con una maggioranza pari almeno ai 2/3 dei componenti, gli amministratori
oggetto della delibera cessano l’incarico per revoca automatica e in consiglio di sorveglianza
provvederà automaticamente alla sostituzione.

SISTEMA MONISTICO
Il sistema monistico si caratterizza invece per la presenza dell’organo di controllo all’interno dell’organo
di gestione che anche in questo caso non può essere monocratico ma pluripersonale.
Possiamo quindi affermare che nel sistema monistico ci sono i seguenti organi:
- Un c.d.a. che effettua la gestione della società;
- Un comitato per il controllo sulla gestione che viene scelto all’interno del c.d.a.;

COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE


La NOMINA viene effettuata direttamente dal CDA o dall’assemblea ordinaria. Il NUMERO DEI
COMPONENTI in questo caso invece viene definito direttamente dal CDA che deve essere almeno 3 per
le società che fanno ricorso al capitale di rischio e almeno 2 in tutte le altre società.

LA CONVOCAZIONE avviene ogni 3 mesi.

La revoca viene richiesta direttamente dal CDA se è presente una giusta causa. È importante però
specificare che la revoca non comporta la REVOCA anche della carica di amministratore.
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CONTROLLI ESTERNI
Accanto al controllo interno del collegio sindacale ed al controllo contabile affidato ad un revisore
esterno, l’ordinamento prevede un articolato sistema di controllo esterno per le SPA.
Questo sistema di controllo esterno però non è uguale per tutte le SPA. Infatti, è comune per tutte le
SPA solo il controllo esterno sulla gestione esercitato dall’autorità giudiziaria.
Per le SOCIETA’ CON AZIONI QUOTATE il controllo esterno viene effettuato dalla CONSOB che è l’organo
di controllo del mercato mobiliare.
In tutto ciò è il TRIBUNALE che deve accertare la presenza delle irregolarità denunciate e deve provvedere
ad eliminare gli effetti causati. Il tribunale può anche archiviare la procedura se le gravi irregolarità sono
infondate oppure può nominare un ispettore.
Solo dopo la relazione dell’ispettore il tribunale può prendere provvedimenti. Se la società sostituisce gli
amministratori o i sindaci la procedura si sospenderà automaticamente.
Le gravi irregolarità possono essere denunciate da:
- SOCI pari al 10% del capitale sociale oppure 5% del capitale sociale nelle società che fanno
ricorso al capitale di rischio;
- COLLEGIO SINDACALE, CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA O COMITATO SULLA GESTIONE;
- PUBBLICO MINISTERO per le società che fanno ricorso al capitale di rischio;
- CONSOB nelle società quotate;
- DAL COMMISSARIO LIQUIDATORE se la società si trova in liquidazione;
- COMMISSARIO GIUDIZIALE se la società si trova in amministrazione straordinaria.
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IL BILANCIO
DOCUMENTAZIONE DELL’ATTIVITA’ SOCIALE
Tutto ciò che viene svolto dalla società deve essere documentato. La funzione informativa di queste
attività non viene data dai documenti interni della società ma dal BILANCIO che deve essere appunto
iscritto nel registro delle imprese.
I DUCUMENTI INTERNI DELLA SOCIETA’ SONO:
- I libri e le scritture contabili;
- I libri sociali che devono contenere l’attività che svolgono gli organi e le informazioni che
riguardano gli investimenti e i finanziamenti come ad esempio il LIBRO DEI SOCI, IL LIBRO DELLE
OBBLIGAZIONI ecc…

BILANCIO DI ESERCIZIO
il BILANCIO DI ESERCIZIO deve contenere tutta la situazione patrimoniale e finanziaria della società e
anche il risultato economico.
Deve essere REDATTO alla chiusura di ogni esercizio dall’organo amministrativo e deve essere approvato
dall’assemblea ordinaria almeno una volta all’anno, salvo casi particolari in cui può essere approvato
anche nell’esercizio successivo. Prima che viene approvato dall’assemblea ordinaria, deve essere
effettuata una RELAZIONE che riguarda la gestione degli amministratori e deve contenere un’analisi della
situazione della società, dell’andamento e del risultato economico. Questa relazione serve appunto per
vedere come si è arrivati a quell’utile o perdite.
Questa RELAZIONE deve essere data agli amministratori, ai sindaci e al revisore legale dei conti 30 giorni
prima dall’approvazione.

Una volta che il bilancio viene approvato dall’assemblea, quest’ultimo insieme alla relazione dei sindaci,
la relazione degli amministratori devono essere iscritti nel registro delle imprese entro 30 giorni dal
giorno dell’approvazione. È possibile effettuare il DEPOSITO TARDIVO ma questo causa la responsabilità
degli amministratori.

Le delibere di bilancio possono essere IMPUGNATE e possono essere nulle o annullabili quando l’oggetto
è illecito, non è conforme o non è chiaro. L’impugnazione può essere effettuata entro il bilancio
successivo.

Il bilancio si articola in più documenti contabili e sono:


- Lo stato patrimoniale che è composto da:
1) Attivo: ovvero IMMOBILIZZAZIONI che sono i BENI DUREVOLI DELLA SOCIETA’, ATTIVO
CIRCOLANTE ovvero le rimanenze dei crediti.
2) Passivo: ovvero DEBITI DELLA SOCIETA’, I FONDI PER I RISCHI E GLI ONERI E IL PATRIMONIO
NETTO dato dal capitale sociale + riserve + utili. L’utile può essere di bilancio ovvero la parte
di utile che non viene imputata alle riserve, oppure può essere portato a nuovo ovvero
quando riguarda l’esercizio precedente oppure può essere di esercizio ovvero riguarda
l’esercizio attuale.
- Il conto economico ovvero i COSTI e i RICAVI della società, altri PROVENTI e ONERI, e le IMPOSTE
e serve appunto per indicare il RISULTATO ECONOMICO.
- Il rendiconto finanziario che determina il DENARO PPRESENTE IN CASSA, I SALDI DEI CONTI
CORRENTI E I DEPOSITI BANCARI;
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- La nota integrativa che fornisce informazioni sul CONTO ECONOMICO E STATO PATRIMONIALE.

PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO


Esistono 3 categorie di principi per la redazione del bilancio e sono:
- I principi fondamentali;
- I principi generali;
- I principi contabili nazionali.

PRINCIPI FONDAMENTALI
i principi fondamentali sono il principio di veridicità, chiarezza e correttezza. Per quanto riguarda il
PRINCIPIO DI VERIDICITA’ vuol dire che tutto ciò che viene indicato nel bilancio deve essere indicato in
base al suo valore reale. Per quanto riguarda il PRINCIPIO DI CHIAREZZA significa che il bilancio deve
essere ORDINATO, TRASPARENTE e DETTAGLIATO. Per quanto riguarda il PRINCIPIO DI CORRETTEZZA vuol
dire che deve appunto essere adottato il PRINCIPIO DI VERIDICITA’ e CHIAREZZA.

PRINCIPI GENERALI
I principi generali sono:
- Il PRINCIPIO DI PRUDENZA ovvero non si possono distribuire gli utili non conseguiti;
- IL PRINCIPIO DI CONTINUITA’ ovvero gli elementi del patrimonio devono essere valutati nella
prospettiva della continuazione aziendale;
- IL PRINCIPIO DELLA PREVALENZA ovvero nel bilancio va iscritta la sostanza dell’operazione non ciò
che viene indicato nel contratto;
- IL PRINCIPIO DI SEPARATEZZA ovvero gli elementi da iscrivere nel bilancio devono essere valutati
separatamente;
- IL PRINCIPIO DELLA COSTANZA ovvero i criteri di valutazione devono rimanere invariati salvo casi
eccezionali motivati dalla nota integrativa.

PRINCIPI CONTABILI NAZIONALI


Tutto ciò che viene regolato dal codice civile in tema di bilancio in alcuni casi necessitano di integrazioni
o interpretazioni. Questo compito viene affidato all’OIC ovvero l’organismo italiano di contabilità
attraverso regole complementari. Questi principi che vengono emanati dall’OIC indicano come devono
essere CONTABILIZZATI i fatti di gestione e dove deve essere effettuata la VALUTAZIONE DI BILANCIO.

PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI


Alcune società, nella redazione del bilancio di esercizio, non adottano le norme del codice civile e ciò che
viene detto dai principi contabili nazionali, ma applicano le regole contenute nei principi contabili
internazionali chiamati IAS/IFRS.
L’obbligo di applicare gli IAS/IFRS riguarda varie società ed in particolare quelle quotate in borsa.
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LA CRISI D’IMPRESA
Le ragioni e i presupposti di un diritto speciale

Come tutti i fatti umani, anche l’attività di impresa ha un inizio e una fine e delle fasi di crescita e di
declino. L’attività di impresa può essere esercitata da un ente impersonale la cui esistenza resta
indifferente alle vicende personale delle persone fisiche che vi hanno partecipato, o può proseguire
avvalendosi dello stesso complesso aziendale, in capo ad un successivo acquirente dell’azienda stessa.
Può anche accadere, inoltre, che l’attività di impresa cessi proprio in relazione alle vicende biologiche o
alla volontà di chi la esercita; è questo il caso di morte dell’imprenditore se nessuno rileva e prosegue
l’impresa cessata; o quando questo decide di smettere liberamente la sua attività, come il caso in cui la
società che ne è titolare deliberi di sciogliersi, liquidando il suo patrimonio e cessando ogni attività.
Queste sono vicende che non destano particolare allarme e non richiedono uno specifico intervento del
legislatore, se non per regolare alcuni passaggi (e cos’ la disciplina del trasferimento dell’azienda, o dello
scioglimento delle società, o della cancellazione del registro delle imprese, ecc.)
Vi sono però dei casi in cui l’attività di impresa è costretta a cessare per ragioni intrinseche al suo
andamento, in quanto venga meno, o non sia raggiunta, quella sua capacità (c.d.”equilibrio di impresa”)
di recuperare i costi di produzione con i ricavi che secondo l’art 2082 indica l’economicità che è uno dei
requisiti che costituiscono l’impresa e che ne orienta e ne giustifica l’esercizio. In questi casi, nonostante
lo svolgimento dell’attività sia stato programmato secondo un metodo economico, capita che in realtà
un’impresa, anziché produrre ricchezza, disperde valore, costando più di quel che produce.
Tale squilibrio finanziario può risalire a cause industriali o finanziarie. In ogni caso, se questo accade, una
tale attività d’impresa finalizzata mediante un ampio ricorso al credito, genera perdite che non riescono
ad essere coperte con i ricavi ottenuti: ed allora i debiti che non potranno essere pagati, tale situazione
viene descritta dall’art. 5 del decreto 267/1942 (c.d. legge fallimentare) come insolvenza; oppure, se si
riescono ancora a pagare i debiti, occorrerà constatare che è in corso una fase di declino, o crisi, che lascia
immaginare come imminente uno stato di insolvenza.
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L’impresa dissestata, allora, o è costretta ad interrompersi, con il problema di come regolare i debiti
insoluti con un valore insufficiente che è quello del patrimonio residuo del debitore; o facendo leva su
tale valore, si potrà tentare una soluzione per risanarsi e rilanciarsi. Tale soluzione può anche consistere
nella separazione dell’impresa stessa dall’imprenditore indebitato e nella sua prosecuzione da parte di
un nuovo titolare che rileva l’azienda.
Le ragioni della disciplina fallimentare alle sue origini
Quando lo stato di insolvenza coinvolge un’impresa commerciale, allora si fa riferimento, per la sua
regolazione, al diritto fallimentare.
Si tratta di regole diverse ed autonome dal diritto comune e le ragioni di tale specialità risultano
dall’esigenza di una disciplina ad hoc per regolare l’insolvenza dell’imprenditore commerciale che trae
origine soprattutto dalla particolare complessità di tale insolvenza, infatti risulta ampia ed articolata la
regolazione dei rapporti obbligatori che ne derivano.
Si rende perciò opportuna una procedura unitaria che consente un’attuazione coattiva e simultanea di
tutti i debiti insoluti. E’ opportuna non solo perché è più efficiente ed economica rispetto all’alternativa
di una pluralità di azioni individuali, ma anche più equa poiché opera a favore di tutti, sotto la protezione
di un’autorità che assicuri un trattamento paritario dei creditori.
In questa prospettiva la procedura esecutiva diventa collettiva ed universale, in quanto riguarda tutti i
debiti dell’imprenditore e coinvolge il suo intero patrimonio.
In questo caso si apre un concorso sul patrimonio del fallito da parte di tutti i creditori, un concorso tale
per cui tutti i creditori meritano di essere soddisfatti in eguale proporzione, secondo il principio della c.d.
par condicio creditorum (o proporzionalità), salvi i casi in cui un creditore riesca ad avvalersi di
determinate ragioni di preferenza (ad esempio un pegno o un privilegio); e fermo restando comunque
che, se più creditori si trovassero a vantare una pari preferenza ( ad esempio i lavoratori che godano di
un privilegio di pari grado) , si tornerà ad operare secondo il principio della par condicio.
Questo è un criterio a cui diventa indispensabile ricorrere dal momento che il patrimonio
dell’imprenditore insolvente risulta quasi sempre insufficiente a soddisfare per intero i creditori, che
finiscono per essere le vere vittime dell’insolvenza del debitore, poiché sono proprio loro a sopportare le
perdite dell’impresa. Si stima che in Italia i creditori “normali” (cioè quelli che non godono di cause di
preferenza , detti anche chirografari), ricevono solitamente, all’esito della procedura fallimentare, meno
del venti per cento di quanto a loro spetterebbe. In questo senso, sembra più aderente alla realtà
sostenere che il principio della par condicio, determina piuttosto una ripartizione paritetica delle perdite.
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Tra le ragioni che separano il diritto fallimentare da quello comune, vi è anche la considerazione che
l’insolvenza che esso regola, oltre ad essere più complessa di quella di chi non svolge un’attività di
impresa, è anche di maggior allarme sociale, in quanto è capace di provocare, in una sorta di effetto
domino, ulteriori dissesti imprenditoriali, trascinando nell’insolvenza anche le controparti commerciali
(fornitori, finanziatori) che, avendo fatto credito all’imprenditore poi divenuto insolvente, non riescono
più a recuperare quanto prestato col rischio di veder danneggiata anche la loro reputazione e la loro
affidabilità nel sistema imprenditoriale.
L’attuale destinatario della disciplina fallimentare è l’imprenditore commerciale non piccolo.
Però non si può escludere che essa potrebbe applicarsi anche allo stato di insolvenza riferibile ad altre
figure di debitore (c.d. debitori civili) ossia quelli che esercitano un’attività professionale finalizzata alla
produzione di beni e servizi anche se non qualificabile come “impresa commerciale non piccola”; questo
è il caso degli imprenditori agricoli, dei piccoli imprenditori, dei lavoratori autonomi e dei professionisti
intellettuali.
Ovviamente questo non deve trascurare il fatto che tra le condizioni di applicabilità dell’attuale disciplina
fallimentare operi come presupposto soggettivo la qualifica di imprenditore commerciale non piccolo
del debitore insolvente.
Eppure vi è un’apposita disciplina dell’insolvenza del debitore civile diretta a regolare, appunto, qualsiasi
debitore.
Questa esigenza è stata avvertita per il fatto che anche il c.d. debitore civile ricorre al credito secondo le
modalità che possono generare fatti non diversi da quelli che richiedono l’applicazione del diritto
fallimentare.
Così, anche nel nostro ordinamento, affianco alla legge fallimentare, è comparsa una particolare
procedura volta alla “composizione del sovraindebitamento” o alla “liquidazione del patrimonio” di
coloro che non sono assoggettati alle procedure concorsuali prevista dalla legge fallimentare.
Oggi, l’imprenditore agricolo è ammesso ad avvalersi, oltre che della disciplina appena ricordata, di una
particolare procedura giudiziaria prevista dalla legge fallimentare, volta al riconoscimento giudiziario
degli accordi di ristrutturazione dei debiti, l fine di favorire una soluzione della crisi concertata con i crediti
più importanti.
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LA LEGGE FALLIMENTARE E IL SISTEMA CONCORSUALE


La c.d. legge fallimentare non prevede soltanto la disciplina del fallimento, ma anche altre due procedure
concorsuali: il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa.
Ma il nostro ordinamento contempla anche un’altra importante procedura concorsuale denominata
amministrazione straordinaria delle grandi imprese in caso di insolvenza.
Vi sono, quindi, una pluralità di procedure che, pur essendo al pari del fallimento, risultano ad esso
alternative. La spiegazione del perché siano previste più procedure per regolare un fenomeno che può
considerarsi unico, può ritrovarsi in tre chiavi di lettura.
Le soluzioni negoziate della crisi di impresa
Una prima chiave di lettura va individuata in un accordo tra debitore e creditori. Tali soluzioni negoziate
della crisi d’impresa – che possono essere intraprese prima ancora che l’impresa giunga in stato di
fallimento, ma che possono comunque avere senso quando si è giunti ad uno stato di insolvenza vera e
propria – possono offrire il vantaggio di conseguire risultati più proficui di un fallimento.
Una accordo può infatti consentire al debitore di sfuggire agli effetti più indesiderati del fallimento (sia in
termini di sanzioni personali che di spossessamento del suo patrimonio), ma può consentire anche ai
creditori di ottenere, grazie all’impegno dell’imprenditore, una soddisfazione che, seppur non integrale,
è comunque maggiore rispetto a quella che potrebbero ricavare dall’esito di un fallimento.
Naturalmente, a fronte della soddisfazione che gli viene promessa, i creditori accettano di rinunciare a
parte delle loro pretese. In tal modo si aiuterà l’imprenditore a risollevarsi dalla crisi, o comunque a
disporre del necessario margine di manovra per potere adempiere alla propria promessa: anche a costo
di dover liquidare tutto quel che possiede ma almeno con la prospettiva di liberarsi da ogni residuo debito
rimasto insoddisfatto.
Queste soluzioni, avendo natura consensuale, si riferiscono ad una prospettiva puramente privatistica, in
cui ogni singolo creditore decide liberamente per sé, non producendosi alcun tipo di concorsualità.
Dove però si viene a formare il diritto concorsuale, è stato nel momento in cui tali accordi sono stati
assunti dalla legge quale possibile oggetto di una procedura giudiziaria capace di conferirgli, a certe
condizioni, una portata e degli effetti che, da soli non avrebbero mai potuto raggiungere (c.d. effetti
legali). Così la possibilità che le condizioni previste nell’accordo raggiunto dal debitore con i titolari della
maggioranza dei crediti si estendano e si impongano anche quelle degli altri creditori che non vi hanno
aderito.
In questo modo, grazie all’incentivo degli ulteriori effetti legali di natura protettiva, le soluzioni della crisi
d’impresa possono essere effettivamente realizzate anche a dispetto del dissenso di una minoranza di
creditori. Fra gli effetti legali protettivi operano (oltre alla sottrazione del fallito alle afflizioni personali),
anche la sottrazione ad iniziative cautelari ed esecutive, e la conservazione della disponibilità del proprio
patrimonio e dell’amministrazione della propria impresa.
A questi percorsi appartiene la procedura del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione.
Inoltre si considerano anche le soluzioni concordatarie praticabili all’interno delle procedure di
liquidazione coatta amministrativa e di amministrazione straordinaria, oltre che all’interno della stessa
procedura fallimentare (c.d. concordato fallimentare). Che può in tal modo vedere il suo consueto
percorso liquidatorio, deviare verso un differente percorso tracciato dall’iniziativa privata. Deve
prendersi atto che all’interno del nostro sistema concorsuale convive un’anima privatistica che lascia
ampio spazio all’autonomia privata tanto che nei tempi più recenti si è parlato di privatizzazione delle
procedure concorsuali.
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La salvaguardia dei complessi produttivi


La seconda chiave, invece, deriva dal fatto che sempre più, nel diritto concorsuale moderno, alla
tradizionale vocazione liquidatoria tipica del fallimento, si è affiancata una nuova sensibilità legislativa
orientata a comporre l’insolvenza prodottasi o addirittura a prevenire un’insolvenza non ancora
prodottasi, salvaguardando il complesso produttivo dell’impresa in crisi.

In questo modo si può consentire all’imprenditore di restare alla guida della sua impresa o di cederla a
terzi ma con il vantaggio di uscirne in modo più utile ed onorevole.
Il risanamento o la cessione dell’azienda, può consentire, infatti, un risultato più soddisfacente delle
smembramento dello stesso e della successiva liquidazione dei singoli cespiti che lo compongono. Questa
maggiore utilità sarà apprezzabile non solo dal punto di vista del debitore, ma anche per i creditori, che
con la prosecuzione dell’impresa risanata potranno beneficiare di nuovi flussi finanziari capaci di ripagarli
meglio di quanto si sarebbe potuto sperare per effetto della liquidazione.
In questa prospettiva di salvataggio del complesso produttivo delle grandi imprese e del mantenimento
dei relativi livelli occupazionali, trova giustificazione la procedura di amministrazione straordinaria delle
grandi imprese in stato di insolvenza.
Anche il concordato preventivo, però, si presta al risanamento di un’impresa insolvente o alla
prevenzione dell’insolvenza di un’impresa in crisi.
Le c.d. procedure “amministrative”
Una terza chiave,( per quando riguarda la struttura del nostro ordinamento concorsuale)infine, considera
la componente amministrativa che, per alcune procedure, si affianca a quella giudiziaria, anche
mettendola da parte.
Il fallimento e il concordato preventivo si sono sempre svolte sotto il presidio e la vigilanza dell’autorità
giudiziaria, che è l’unica autorità pubblica coinvolta. Ovviamente vi sono anche momenti in cui anche il
giudice è chiamato dalla legge ad operare valutazioni e ad assumere decisioni discrezionali che risultano
essere perlopiù di natura amministrativa (come la scelta di proseguire o meno l’impresa fallita subito
dopo la dichiarazione di fallimento). Questo però non toglie che l’autorità giudiziaria operi all’interno di
tali procedure soprattutto nell’esercizio della propria funzione giurisdizionale senza la discrezionalità
della pubblica amministrazione. Nel nostro ordinamento operano invece altre due procedure oltre al
fallimento e al concordato preventivo: la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, procedure che sono accomunate dal fatto di
risultare gestite da un apparato al cui interno il ruolo principale è affidato all’autorità amministrativa, pur
non restando del tutto escluso l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Il fallimento e il concordato preventivo, infatti, dovrebbero essere le procedure concorsuali principali
all’interno di un sistema del genere. Tuttavia, nel nostro ordinamento concorsuale, la maggior parte delle
imprese più importanti – per tipo di attività svolta e fatturato – risultano in caso di crisi, assoggettate alle
procedure amministrate.
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Il fallimento
Il c.d. presupposto soggettivo (rinvio)
Secondo quanto chiarito dall’art. 1, l. fall., le procedure concorsuali si applicano all’imprenditore che
esercita un’attività commerciale, le cui dimensioni dell’azienda consentono di qualificarlo come non
piccolo e che sia privato, esclusi cioè gli enti pubblici.
Tali requisiti sono definiti come presupposti soggettivi del fallimento e la loro sussistenza è una
condizione necessaria perché possa aprirsi una procedura fallimentare, ma non sufficiente.
Perché possa definirsi fallimento, la legge richiede la sussistenza anche di un’altra condizione, e cioè lo
stato di insolvenza (presupposto oggettivo) . Infatti, secondo l’art. 5 l’imprenditore che si trova in stato
di insolvenza è dichiarato fallito.

Il c.d. presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza


Lo stato di insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il
debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. (art 5.comma 2).
Da questa norma emergono due profili del presupposto oggettivo del fallimento: quello intrinseco, legato
alla condizione di obbiettiva impotenza finanziaria e quello estrinseco legato a fattori esteriori che la
manifestano.
Innanzitutto deve rilevarsi che l’incapacità ad adempiere alle proprie obbligazioni rappresenta una
situazione pregiudizievole non solo per i creditori, ma per tutti coloro che vantino un credito nei confronti
dell’imprenditore. Inoltre è anche allarmante per l’intero mercato e cioè per chi, pur senza esserlo
ancora, potrebbe divenire creditore dell’imprenditore già insolvente.
A tutela di questi e della par condicio creditorum occorre che la gestione dell’impresa e l’amministrazione
del patrimonio del debitore vengano sottratte all’imprenditore addebitato (c.d. spossessamento),
recuperando solo quanto fuoriuscito da tale patrimonio nel fallimento.
L’incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni viene riconosciuta dalla legge come
rilevante nella sua obiettività, cioè a prescindere dalle eventuali responsabilità del debitore o dalle cause
che hanno determinato il dissesto. Non importa neanche il numero dei creditori e il numero di
obbligazioni che gravano sull’imprenditore o il loro ammontare o il fatto che siano già scadute oppure
no.
Nell’individuare la fattispecie di fallimento occorre tenere in considerazione anche un’altra norma ossia
l’art. 15, co. 9, secondo il quale “non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti
scaduti e non pagati risultanti dagli atti di istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a
trentamila euro”.
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La condizione prevista dalla legge che fa riferimento all’incapacità ad adempiere regolarmente alle
proprie obbligazioni consente anche di comprendere il rapporto tra insolvenza e inadempimento.
Al proposito, viene innanzitutto in questione il requisito della regolarità dal quale deriva che potrebbe
esservi un’incapacità ad adempiere “regolarmente” anche quando non sussisti ancora alcun
inadempimento. La regolarità dei pagamenti riguarda infatti non solo l’integralità e la puntualità dei
singoli adempimenti, ma anche le modalità attraverso cui li si effettua o ci si procura il denaro necessario.
Non risulterebbe capace di adempiere regolarmente, allora, non solo chi, per la generale scarsezza dei
mezzi, non riuscisse a saldare per l’intero i propri debiti ma anche chi, pur adempiendo per l’intero e alla
scadenza, adempisse con mezzi anomali (come la datio in solutium ad esempio un’automobile o di gioelli
personali), ovvero procurandosi denaro in modo anomalo, ad esempio svendendo dei beni a prezzi
rovinosi o alienando cespiti aziendali che potrebbero compromettere la continuità dell’impresa .
naturalmente ognuno di questi elementi non costituirà prova certa ma solo un indizio da valutarsi nel
caso concreto, dell’incapacità di adempiere regolarmente. Sarà del tutto regolare, l’adempimento
effettuato procurandosi denaro mediante linee di credito concesse da un intermediario finanziario, se
ottenuto a condizioni normali, dal momento che il ricorso al credito, soprattutto bancario, rappresenta
un normale mezzo di finanziamento attraverso il quale l’impresa provvede a gestire i suoi flussi finanziari.
Inoltre, anche se la situazione di insolvenza si rileva nella sua attualità (e quindi solo se è temuta come
imminente), è pur vero che l’irregolarità degli adempimenti già rileva l’insolvenza proprio perché lascia
prevedere che a breve il debitore non potrà più adempiere, neanche irregolarmente. Questo costituisce
un pericolo attuale per i creditori dell’impresa.
Inoltre il concetto di capacità esprime una mera potenzialità e quindi esprime anche la condizione di chi
sia in grado di adempiere perché ha i mezzi per farlo, a prescindere dal fatto che poi, in concreto, si
astenga dal farlo. Potrebbe esservi così la capacità ad adempiere regolarmente pur in presenza di uno o
più inadempimenti. Questi potrebbero dipendere da ragioni diverse dall’incapacità finanziaria del
debitore, ad esempio quando quest’ultimo si rifiuta ad adempiere perché contesta la pretesa del
creditore.
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Per quanto riguarda il profilo estrinseco dell’insolvenza, l’art. 5 prevede che l’incapacità ad adempiere
regolarmente alle proprie obbligazioni deve manifestarsi con inadempimenti o con altri fatti esteriori.
Degli inadempimenti possiamo dire che possono manifestarsi in diversi modi come ad esempio: mediante
una sentenza di condanna a pagare, o un pretesto, o un decreto ingiuntivo, o un sequestro conservativo,
ecc. tuttavia sarebbe però errato affrettarsi ad affermare l’insolvenza sulla base di una situazione di mero
“sbilancio” patrimoniale, poiché una situazione pur di grave sovra indebitamento non pregiudica di per
sé la regolarità degli adempimenti, almeno sin quando l’impresa possa contare sul credito (soprattutto
bancario) o su garanzie altrui (spesso prestate dai soci); tanto più, poi se tali elementi risultino rafforzati
da un’aspettativa di alti flussi di reddito futuro. Per converso, un’eventuale eccedenza dell’attivo sul
passivo, soprattutto se il primo sia dato soprattutto da voci di bilancio espressive di risorse non realizzabili
(spese di impianto o pubblicità) o non facilmente liquidabili (immobilizzazioni) potrebbe non bastare a
scongiurare una crisi di liquidità. In definitiva ciò che conterà in sede di istruttoria prefallimentare sarà
l’accertamento di concreti fatti rivelatori di un’insolvenza.

IL FALLIMENTO DELL’IMPRENDITORE CESSATO O DEFUNTO


Gli ART. 10 e 11, prevedono il fallimento “dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa” e
“dell’imprenditore defunto” (cioè dell’imprenditore persona fisica morto prima della dichiarazione di
fallimento). Tralasciando qui la questione relativa al momento nel quale ritenere cessata un’impresa, il
problema sollevato d tali norme deriva dal fatto che esse consentono di dichiarare il fallimento
dell’impresa anche dopo il momento della sua cessazione o della morte dell’imprenditore, se l’insolvenza
si sia manifestata entro lo’anno da quel momento. Ciò all’evidenza per non privare i creditori, sol perché
l’impresa è da (poco) cessata, dalla tutela fornita dalla disciplina fallimentare rispetto ad un’insolvenza
che è pur sempre relativa a debiti sorti mentre l’impresa era in esercizio: il termine massimo di un anno,
essendo posto dalla legge per ragioni di certezza dei rapporti giuridici. Non si può però parlare di
“fallimento senza impresa” o di “fallimento senza imprenditore”. È infatti pur sempre a un’impresa (
quale effettivamente ha operato) e a un imprenditore( quale effettivamente è esistito) che il fallimento
si riferisce. La sola particolarità consiste nel fatto che gli effetti della procedura potranno proiettarsi e
farsi valere (anche) nei confronti di soggetti diversi, da individuarsi in base ai loro rapporti giuridici con
quello che fu l’effettivo titolare dell’impresa dichiarato fallito.
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L’APERTURA DELLA PROCEDURA


Il fallimento è dichiarato da un tribunale civile per iniziativa privata o pubblica. E’ privata l’iniziativa di
uno o più creditori. A questo fine il creditore (o creditori) faranno ricorso al tribunale, dovranno quindi
provare l’esistenza di un credito e dovrà poi allegare la sussistenza dei presupposti del fallimento,
eventualmente offrendo dei mezzi di prova come supporto.
Può anche essere lo stesso debitore, sempre con ricorso, a chiedere di essere dichiarato fallito
(c.d.autofallimento).
L’iniziativa pubblica, invece, è affidata alla richiesta, sempre rivolta al tribunale competente, di un
pubblico ministero al quale risulti l’insolvenza di un’impresa fallibile.
Tuttavia la notizia dell’insolvenza potrebbe prevenire al P.M. anche dalla segnalazione di un giudice civile
che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento (ad esempio: durante un procedimento esecutivo non
andato a buon fine).
Tribunale competente sarà quello del luogo dove si trova la sede principale dell’impresa (art 9), cioè
quella legale o, se diversa, quella effettiva, dove effettivamente si concentra la direzione dell’impresa e
dove dunque è conveniente che si insedi il curatore fallimentare.
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento è volto “all’accertamento dei presupposti” che la
legittimano (c.d. istruttoria prefallimentare) e si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale e
con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio. Esso si concluderà tendenzialmente con una
sentenza dichiarativa di fallimento, ovvero con un decreto di rigetto.
La sentenza dichiarativa di fallimento, necessariamente motivata, ha natura di accertamento costitutivo
dello stato di fallimento, derivandone tutti gli effetti connessi all’apertura della procedura fallimentare.
Tali effetti si producono nei confronti delle parti dopo che essa sia stata notificata o comunicata ad esse,
e nei confronti dei terzi dopo la sua iscrizione nel registro delle imprese.
La sentenza, inoltre, conterrà ulteriori provvedimenti di natura ordinatoria per la prosecuzione della
procedura stessa: si nominano alcuni organi della procedura (il giudice delegato e il curatore), si ordina
al fallito il deposito della documentazione relativa alla sua situazione economica e finanziaria e si
stabiliscono i termini entro i quali dovrà tenersi l’adunanza per l’esame dello stato passivo (e cioè il
complesso delle pretese che saranno avanzate da chi affermi di vantare crediti o diritti su cose in possesso
del fallito).
Contro la sentenza potrà essere proposto reclamo dinanzi alla Corte di Appello dal debitore o da ogni
altro interessato; il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata, a parte la possibilità che
il Tribunale, su istanza di parte e se ricorrono gravi motivi, sospenda in tutto o in parte, o
temporaneamente, la liquidazione dell’attivo.
Il procedimento per la dichiarazione di fallimento potrebbe anche concludersi con un decreto di rigetto,
fondato sull’accertata insussistenza dei presupposti del fallimento, o della soglia minima dei trentamila
euro di debiti scaduti o della stessa qualità di creditore di chi avesse proposto ricorso. Tale decreto potrà
costituire oggetto, entro 30 giorni dalla sua comunicazione, di reclamo dinanzi alla Corte di Appello.
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Gli organi del fallimento


IL TRIBUNALE
E’ innanzitutto il tribunale che apre il procedimento dichiarando il fallimento e resta poi investito
dell’intera procedura (art. 24). Il tribunale non solo nomina altri due organi ossia il giudice delegato e il
curatore, ma può anche, sorvegliando lo svolgersi della procedura, revocarli o sostituirli per giusta causa.
Per svolgere tale sorveglianza, il tribunale oltre ad avere un rapporto diretto con il giudice delegato, può
anche sentire gli altri organi fallimentari e lo stesso fallito.
Il tribunale, inoltre, ha il potere di decidere tutte le controversie relative alla procedura che non siano
di competenza del giudice delegato: quelle “interne” ad essa (ad es. i reclami contro i provvedimenti del
giudice delegato o la revoca del curatore), ma anche quelle “esterne” ossia tutte le azioni che ne
derivano, qualunque ne sia il valore, comprese quelle immobiliari.
Le cause che derivano dal fallimento sono tutte quelle che in assenza della procedura fallimentare
potrebbero essere di competenza di altri giudici ma che, per il fatto di derivare dal fallimento,
determinano una competenza inderogabile al tribunale fallimentare. Queste riguardano tutte quelle
cause che, anche se si riferiscono a rapporti preesistenti al fallimento, non avrebbero avuto ragione di
esistere in assenza del fallimento, come l’azione revocatoria fallimentare, o le controversie in cui si
discute se la procedura fallimentare ha prodotto lo scioglimento o no di un certo contratto. Non sono
cause di fallimento, invece, quelle che il fallito avrebbe potuto proporre per suo conto, anche a
prescindere dal fallimento e cioè l’azione per ottenere il pagamento di una fornitura effettuata o il
risarcimento per un illecito subito.
lOMoAR cPSD| 6775235

IL GIUDICE DELEGATO
Il giudice delegato assume le decisioni attraverso cui svolge il suo ruolo centrale per la procedura
attraverso un decreto. Egli non dirige la procedura ma vigila e controlla la sua regolarità (art. 25).
La vigilanza del giudice delegato presuppone un’adeguata informazione: quella che gli provenga dal
curatore o quella sollecitata, convocando il curatore stesso o il comitato dei creditori. Ciò è visibile nel
condizionare lo svolgimento della procedura e l’operato del curatore in particolar modo: nominando e
potendo revocare, il comitato dei creditori che nei confronti del curatore ha oggi ampi poteri
autorizzatori; autorizzando egli stesso alcune importanti scelte gestorie del curatore come quella a
continuare l’esercizio dell’impresa o di affittare l’azienda ) o la sua costituzione in giudizio; e soprattutto
decidendo i reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori. Oltre a tale potere
decisorio, costituisce espressione del potere giurisdizionale del giudice delegato anche la funzione di
accertare i crediti e gli altri diritti vantati dai terzi insinuati al passivo.
IL CURATORE
Il curatore è nominato dal tribunale tra soggetti muniti di particolari requisiti di professionalità,
esperienza ed indipendenza, ed è l’organo, investito della qualità di pubblico ufficiale, che
operativamente si fa carico di attuare la finalità della procedura.
Egli ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura
(art.31). Egli pertanto è legittimato a compiere atti negoziali con terzi (ad es. contratti di affitto
dell’azienda, o vendendo beni dell’asse fallimentare) e a stare in giudizio per conto della procedura.
Nell’esercitare questo potere il curatore è sostanzialmente autonomo, infatti i suoi atti possono costituire
oggetto di reclamo solo dal punto di vista dell’eventuale violazione di legge.
La sua legittimazione risulta condizionata da autorizzazioni: sono autorizzazioni del giudice delegato
(come quella a continuare l’esercizio dell’impresa o ad affittare l’azienda) o di quelle del comitato dei
creditori per gli atti di straordinaria amministrazione, cioè tutti quegli atti che, per la loro rischiosità o il
loro impatto, sono capaci di condizionare gli esiti della procedura. Inoltre, delle transazioni e degli atti
eccedenti i cinquantamila euro, dovrà darsi notizia al giudice delegato.
Se poi si tratta di atti che attuano l’azione liquidatoria pianificata ex ante in un programma di liquidazione,
questo dovrà essere approvato dai creditori e comunicato al giudice delegato, che autorizzerà il
compimento degli atti ad esso conformi.
Poco dopo l’inizio della sua attività, il curatore dovrà presentare al giudice delegato una relazione
particolareggiata sulle cause e sulle circostanze del fallimento e sulla condotta e le eventuali
responsabilità, anche penali, del fallito; dopodiché ogni sei mesi deve presentare un rapporto
riepilogativo delle attività svolte.
Infine, all’esito del suo mandato, renderà il conto della gestione con il quale potrà liberarsi della
responsabilità. Se invece, dopo il rendiconto o durante la procedura gli venisse contestato di non aver
adempiuto ai suoi doveri con la diligenza professionale, allora potrà essere revocato e subire un’azione
di responsabilità.
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IL COMITATO DEI CREDITORI


I poteri di gestione del curatore vengono compartecipati dal comitato dei creditori.
Questo, infatti, è chiamato a condividere le iniziative del curatore, spesso autorizzandole o limitandosi
ad esprimere un mero parere non vincolante.
La condivisione delle scelte che possono rivelarsi anche strategiche, rende opportuno che il comitato dei
creditori venga composto da creditori scelti dal giudice delegato, dopo aver consultato il curatore e i
creditori, in modo da rappresentare in maniera equilibrata quantità e qualità dei crediti ed avuto riguardo
alla possibilità di soddisfarli.
Per orientare meglio le proprie scelte, il comitato ha ampi poteri ispettivi (su tutta la documentazione
della procedura) ed informativi (chiedendo notizie al curatore e al fallito), decidendo poi, anche
informalmente e con voto espresso a distanza a maggioranza dei votanti. Va notato, che trattandosi di
un organo composto da privati, ai quali normalmente spetta un mero rimborso di spese, e per di più
soggetti ad obblighi di diligenza e alla conseguente responsabilità, è la legge stessa a prendere in
considerazione che un tale organo possa non costituirsi neppure o comunque non ben funzionare, con
allora un potere di sostituzione del giudice delegato. (57)
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Gli effetti del fallimento


PER IL DEBITORE: LO SPOSSESSAMENTO
Lo spossessamento è la sentenza che dichiara il fallimento e che priva il fallito di amministrare e disporre
dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione del fallimento (art. 42): per beni si intende ogni situazione
giuridica attiva, anche processuale, di cui il fallito è titolare.
Da questo momento (dichiarazione della sentenza ed iscrizione nel registro delle imprese) e per tutta la
durata della procedura, tali poteri spetteranno al curatore, per destinare il patrimonio del fallito alla
soddisfazione dei creditori, dando così attuazione al principio della responsabilità patrimoniale che
comporta che il debitore risponda non solo con i suoi beni presenti, ma anche con quelli futuri, poiché
saranno compresi anche i beni che pervengono al fallito durante la procedura (ad es. un’eredità o il
denaro guadagnato per mezzo di attività lavorativa o anche una vincita al gioco.
Non sono, invece, da considerarsi compresi nel patrimonio fallimentare e in particolare, se il fallito sia
una persona fisica, quelli necessari per il mantenimento proprio e del a famiglia, o diritto di natura
strettamente personale.
Lo spossessamento si caratterizza per la relatività della sua efficacia. Esso, infatti, opera solo a beneficio
dei creditori concorsuali e non riguarda necessariamente tutti i beni del fallito. Soprattutto, per
quanto riguarda i beni appresi dalla massa, incide solo sulla legittimazione del fallito ad amministrare i
beni o a disporne, ma non sulla titolarità dei relativi diritti che rimane immutata almeno fino a quando
essi non escano dal patrimonio per essere stati ceduti a terzi. Se però all’esito della procedura, tale
cessione non avviene, il fallito non solo sarebbe ancora titolare dei diritti sui beni residui, ma
recupererebbe anche la piena legittimazione a disporne. Lo spossessamento è un effetto temporaneo,
che dura finché resta aperta la procedura.
L’inefficacia degli atti del fallito e dei pagamenti eseguiti o ricevuti. Gli effetti del fallimento sul piano
personale.
Perdere la legittimazione a disporre di beni appresi alla procedura significa solo che, finché essa dura,
nessuna iniziativa del fallito può distogliere quei beni dalla finalità di soddisfare i creditori, rispetto ai
quali, ogni iniziativa del fallito resterà del tutto inefficace. Si parla, appunto, di inefficacia relativa. Infatti,
siccome il fallito, per effetto dello spossessamento non perde né la titolarità dei suoi beni, né la capacità
di agire, ogni atto da lui compiuto durante la procedura sarebbe valido e produrrebbe i suoi effetti nei
confronti dei terzi, ed eccezione dei creditori concorsuali, rispetto ai quali quell’atto non modifica la
consistenza del patrimonio fallimentare destinato ad essere liquidato a loro soddisfazione (ad es. se il
fallito, con regolare atto di vendita iscritto nei registri immobiliari, alienasse un bene immobile compreso
nel patrimonio fallimentare, ciò sarebbe totalmente inefficace per la procedura e il curatore potrebbe
vendere quell’immobile e destinare il ricavato ai creditori concorsuali. Ciò, però, non impedirebbe che il
terzo che abbia acquistato dal fallito, invocando la validità dell’atto compiuto, potrebbe, fuori dalla
procedura, agire contro l’alienante per l’evizione subita, diversamente se il bene non fosse stato ceduto
a nessuno per effetto della procedura, una volte che questa fosse chiusa, l’atto di vendita, potrebbe
spiegare appieno i suoi effetti.
lOMoAR cPSD| 6775235

Quindi il significato della regola che costituisce il corollario dello spossessamento è che tutti gli atti
compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
Questa regola si estende anche ai pagamenti eseguiti e ricevuti dal fallito, così se il fallito utilizzasse
attività occultate alla procedura per pagare alcuni creditori concorsuali non solo compirebbe un reato
(c.d. bancarotta preferenziale) ma metterebbe colui che avesse ricevuto il pagamento nella condizione
di dover riversare alla procedura quanto ottenuto.
Se invece un debitore del fallito effettuasse un pagamento direttamente a quest’ultimo, ciò non lo
libererebbe dal debito, ma lo costringerebbe a pagare nuovamente alla procedura, salvo che non sia lo
stesso fallito a rimettere il pagamento ottenuto nelle mani del curatore.
Analogo principio è poi quello che sancisce l’inefficacia relativa delle “formalità necessarie per rendere
opponibili atti ai terzi” eventualmente compiute sui beni compresi nel patrimonio del fallimento dopo la
sua dichiarazione.
Si tratta di quelle formalità (esempio la trascrizione di un contratto, o un’ipoteca o di una domanda
giudiziale avente ad oggetto un bene immobile compreso nell’asse fallimentare) che secondo la disciplina
che regola circolazione di taluni beni (immobili, mobili registrati, crediti, ecc.) sono dirette a risolvere il
conflitto fra diversi aventi diritto, aggiudicando il bene, o il relativo valore, a chi per primo abbia
adempiuto le formalità medesime.
Dunque, se queste vengono compite dopo la dichiarazione di fallimento, esse saranno inopponibili alla
procedura, che potrà efficacemente disporre, liquidandoli, dei beni ai quali le formalità si riferiscono.

Sul piano processuale, come è spossessato dal suo patrimonio, allo stesso modo viene spossessato di
tutte le controversie relative a rapporti patrimoniali che lo riguardano.
Egli non potrà partecipare al processo ma verrà sostituito dal curatore che assume la veste di sostituto
processuale in rappresentanza del fallito.
Gli effetti della dichiarazione di fallimento per il fallito oltre che patrimoniali, possono essere anche
personali, che possono essere individuati in due diritti garantiti dalla costituzione: la segretezza epistolare
(scritti che contengono informazioni di carattere confidenziale e personale, inerenti all’intimità della vita
privata) e la libertà di circolazione.
lOMoAR cPSD| 6775235

PER I CREDITORI PRINCIPI GENERALI


Se presupposto del fallimento è l’incapacità dell’impresa ad adempiere alle proprie obbligazioni la sua
finalità è quella di soddisfare coloro verso i quali cui tali obbligazioni dovrebbero essere adempiute.
Costoro- dunque i titolari di crediti sorti prima del fallimento – sono detti creditori concorsuali, in quanto
l’apertura della procedura farà sì che l’accertamento e la soddisfazione delle rispettive pretese dovrà
avvenire collettivamente, anche al fine di rispettare la regola della par condicio e quindi
concorsualmente.
Dall’apertura del fallimento, pertanto, tali creditori non potranno più agire individualmente: né in via
cautelare; né per il pieno accertamento, in sede di cognizione, delle proprie ragioni da far valere verso la
procedura; né per la soddisfazione coattiva, in sede esecutiva, dei crediti così accertati.
Se ciò fosse consentito, infatti, ne deriverebbe che, chi per primo si fosse attivato aggredendo il
patrimonio del debitore, vedrebbe soddisfatto interamente il suo credito anche nel caso in cui il
patrimonio del debitore non bastasse poi a soddisfare più gli altri creditori.
Però si è osservato che il diritto fallimentare ha cercato di porvi rimedio affermando il principio della
proporzionalità, assicurando così una regolazione concorsuale di tutti i crediti (universalità soggettiva) su
tutto il patrimonio del debitore (universalità oggettiva) all’interno della procedura.
Tuttavia, il principio della par condicio, nel fallimento, opera solo fra creditori di pari rango e deve
convivere con il contrastante principio di preferenza, che consiste che fra i creditori concorsuali
potrebbero esservene alcuni muniti di legittime cause di prelazione (privilegio, pegno, ipoteca).
Questi sono perciò anche detti “privilegiati” poiché meriteranno di essere soddisfatti con precedenza
rispetto agli altri creditori, detti invece “chirografari”. Vi sono tanti casi in cui il principio di preferenza
prevale su quello di proporzionalità. Tra i chirografari, inoltre, possono esservi anche altri creditori, detti
subordinati o postergati, che potranno essere soddisfatti soltanto dopo tutti gli altri chirografari.
È soltanto fra i creditori di paro rango (soprattutto i chirografari, ma anche fra creditori che godano di
eguale causa di prelazione), pertanto, che la regola della par condictio ha modo di trovare piena
attuazione, garantendo una soddisfazione di tutti in egual misura; o, per meglio dire, una ripartizione
paritetica del disesto.
Inoltre, anche se la finalità principale del fallimento è quella di soddisfare tutti i creditori concorsuali, vi
sono anche altri due tipi di pretese di cui essa dovrà tener conto: si tratta, innanzitutto, delle pretese
aventi ad oggetto diritti, reali o personali, su beni i quali si escludono dalla massa attiva destinata alla
regolazione concorsuale dei crediti.
Chi vanta di tali pretese, quindi, chiederà che questi beni vengano separati dalla massa attiva per essergli
attribuiti in quanto è l’unico avente diritto, che viene così soddisfatto integralmente e non
concorsualmente (ad es. il proprietario di un bene individuato che giace, magari per una riparazione, nel
magazzino dell’impresa fallita, potrà rivendicare tale bene facendo valere, ancor prima del credito alla
restituzione, la titolarità di un diritto reale su cosa, che gli spetta per intero senza essere destinata alla
liquidazione concorsuale).
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Benché, poi, i crediti sorti dopo il fallimento restano del tutto estranei alla procedura, possono esservene
altri dei quali invece la massa dovrà farsi carico per legge o per scelta degli organi concorsuali (ad es. si
pensi a quanto occorra per pagare il compenso del curatore; o alle obbligazioni assunte dalla curatela per
proseguire l’esercizio dell’impresa; o per far fonte all’acquisto di beni sopravvenuti, come un eredità
accettata).
In questi casi, non si tratta di debiti concorsuali ma di debiti della massa, cioè di debiti che gli organi della
procedura hanno dovuto/voluto assumere e che dovranno quindi essere pagati per intero e prima degli
altri crediti, ossia in prededuzione e quindi non concorsualmente.
Anche per questi crediti e per le altre pretese su beni di cui si chiede la separazione dalla massa, è previsto
che il relativo accertamento e la loro regolazione avvenga all’interno della procedura e secondo le regole
da essa imposte.
Tali principi, trovano espressione in due regole fondamentali poste dagli art. 51 e 52.
i. Il primo prevede il c.d. blocco delle azioni esecutive e cautelari (individuali): cioè
dal giorno della dichiarazione di fallimento nessun azione individuale esecutiva o
cautelare, anche per i crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o
proseguita nei confronti del fallimento. Ogni iniziativa di tale genere dovrà infatti
essere coltivata dagli organi fallimentari, secondo le regole della procedura e nei
modi e con i tempi che essi reputino più utili ad assicurare le finalità della procedura
medesima.
ii. Inoltre, ogni credito e ogni altro diritto reale o personale, dovrà essere accertato
secondo le norme stabilite, cioè ogni pretesa avanzata nei confronti della procedura
dovrà essere verificata secondo le norme tipiche della procedura fallimentare, in
tema di accertamento del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi.

La soddisfazione dei crediti concorsuali e la “cristallizzazione” del patrimonio fallimentare.


Essendo obiettivo principale della procedura quello di ripartire in misura proporzionale l’impatto del
dissesto dell’impresa sui creditori anteriori al fallimento (creditori concorsuali), è proprio alla regolazione
di tali posizioni che la legge presta la maggiore attenzione nel disciplinare gli “effetti del fallimento per i
creditori”. Solo in funzione delle domande dei creditori concorsuali, infatti si giustifica la procedura
fallimentare. Domande che poi, una volta verificate, andranno a formare la c.d. massa passiva (cioè dei
debiti fallimentari), facendo divenire i creditori concorsuali dei versi e propri creditori concorrenti sulla
c.d. massa attiva, cioè nella ripartizione dell’attivo fallimentare.
Per realizzare questa finalità è necessario che la massa attiva e la massa passiva siano omogenee e
stabilmente definite.
L’omogeneità sarà assicurata dal rendere entrambe le masse misurabili in denaro. La massa attiva sarà a
tal fine “liquidata” (appunto trasformata in denaro), mentre la massa passiva, cioè l’ammontare dei
crediti concorsuali, presupporrà che anche essi, se già non lo siano, vengano convertiti in crediti
pecuniari.
La stabilizzazione, invece, verrà assicurata da un lato impedendo che dalla massa attiva possono essere
integrati valori al di fuori delle regole della procedura e dell’iniziativa dei suoi organi (impedendo azioni
esecutive individuali), e dall’altro attribuendo un valore nominale fermo ai crediti concorsuali, cioè senza
che il trascorrere del tempo, e quindi il maturare degli interessi, possa variarne la consistenza. In questo
caso si parla anche di cristallizzazione del patrimonio fallimentare.
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Tali esigenze sono disciplinate dagli art. 59 e 55.


Il primo si occupa dei crediti non pecuniari e cioè che hanno ad oggetto una prestazione diversa dal
denaro (ad es. un terzo che attendeva la fornitura di merce) o anche in una prestazione in denaro ma
determinata con riferimento ad altri valori (ad es. una fattura da regolarsi in dollari). Tali crediti, detti di
valore, se non sono ancora scaduti, concorreranno secondo il loro valore alla data della dichiarazione del
fallimento; mentre, se scaduti, concorreranno secondo il valore che la prestazione avrebbe avuto alla
data di scadenza. Inoltre, dove si tratti di crediti pecuniari non ancora scaduti, essi si considerano scaduti
agli effetti del concorso (art 55 co2). Il che è del resto conforme al principio generale dell’art 1186 c.c.
secondo il quale l’insolvenza del debitore determina la decadenza dal termine stabilito a suo favore.

Quando si tratta, invece, di crediti pecuniari, le esigenze di stabilizzazione troveranno risposta soprattutto
impedendo che su di essi possano essere conteggiati interessi ulteriori rispetto a quelli già maturati alla
data del fallimento. Essi così verranno ammessi per il loro valore attuale e dal quel momento in poi il
corso degli interessi sarà sospeso agli effetti del concorso, cioè che tali ulteriori interessi non potranno
essere fatti valere nella procedura. Un’eccezione è tuttavia prevista dall’art 54 per i soli crediti
privilegiati.

Analoghe esigenze di cristallizzazione della massa passiva sono poi quelle che consentono l’ammissione,
al pari di ogni altro credito, dei crediti condizionali verso il fallito, cioè quelli non ancora esigibili ma
sottoposti ad una condizione sospensiva.
Tali crediti sono calcolati insieme a tutti gli altri ai fini del riparto della massa attiva.
In ultimo, va ricordata un’importante eccezione al principio della par condicio, e cioè quella che consente
ai creditore di compensare i propri crediti con i debiti eventualmente assunti verso il fallito, anche se non
scaduti.
L’eccezione sta nel fatto che, mentre gli altri creditori concorsuali vengono soddisfatti solo in parte
all’esito del fallimento, chi può liberarsi di un debito compensandolo con un proprio credito, consegue
un risultato equivalente all’integrale soddisfazione del credito.
Sugli atti pregiudizievoli ai creditori
Fra le conseguenze che la legge ricollega all’apertura della procedura fallimentare vi è la possibilità di
neutralizzare gli effetti di alcuni atti giuridici che, prima del fallimento, ma quando l’insolvenza si era già
verificata, hanno inciso negativamente sulla garanzia patrimoniale che si offre ai creditori concorsuali nel
momento in cui si apre la procedura. Quindi bisogna reintegrare tale garanzia riportandola alla maggiore
consistenza che aveva nel periodo precedente al fallimento.
In qualche modo come se il regime di inefficacia per i creditori che colpisce gli atti compiuti dal debitore
dopo il fallimento, retroagisse ad un periodo precedente alla dichiarazione di fallimento, quando però i
presupposti di una tale dichiarazione già sussistevano. Fermo restando – sia bene chiaro- che la disciplina
dello spossessamento del fallito, riguarda i soli atti successivi alla dichiarazione di fallimento; mentre la
disciplina ora in questione si applica ai soli atti precedenti; sicchè, al di là di una certa comunanza di ratio,
resta una netta distinzione operativa fra le due.
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Anche nel caso di atti posti in essere prima del fallimento, occorre affermare la loro inefficacia rispetto ai
creditori, quindi non la loro invalidità inter partes, ma la possibilità di recuperare quanto fuoriuscito dal
patrimonio del debitore per effetto di quegli atti, per poi sottoporlo all’esecuzione fallimentare o alla c.d.
revocatoria incidentale, cioè di disconoscere, nell’ambito del fallimento, ogni pretesa sorta in capo a terzi
per effetto di tali atti (ad es: l’assunzione di un’obbligazione da parte del debitore del fallito)
Un meccanismo di reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore è già contemplato dal nostro
ordinamento sotto il nome di azione revocatoria ordinaria. Questo è uno strumento che consente ad un
creditore di far dichiarare inefficaci nei suoi confronti gli atti con i quali il debitore ha recato pregiudizio
alle ragioni di quel creditore, in modo che questo, ottenuta la dichiarazione di inefficacia dal giudice,
possa agire esecutivamente sul bene oggetto dell’atto impugnato, come se questo non fosse mai stato
sottratto alla sua garanzia patrimoniale. L’esercizio di tale azione è prevista dalla stessa legge fallimentare
rimettendola al a sola iniziativa del curatore e a beneficio di tutti i creditori concorsuali. I presupposti di
tale azione, l’onere probatorio e l’ambito degli atti revocabili, comportano però dei limiti alla possibilità
di reintegrazione della garanzia patrimoniale che la legge ha voluto attenuare con riferimento al caso in
cui il debitore è un imprenditore fallito, prevedendo un regime ad hoc più favorevole.
Gli atti inefficaci di diritto (vedere libro pag 216)
Vi sono innanzitutto degli atti compiuti dall’imprenditore prima del suo fallimento la cui inefficacia
rispetto ai creditori opera di diritto. Ciò vuol dire che il curatore potrebbe richiedere direttamente al terzo
la restituzione di quanto abbia costituito oggetto di disposizione da parte dell’imprenditore prima del
fallimento. Non sarà allora necessaria, in principio, alcuna azione giudiziale; solo se il terzo contesterà la
pretesa del curatore, il tribunale fallimentare interverrà con una sentenza avente natura dichiarativa.
Sono inefficaci di diritto, gli atti a titolo gratuito compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla
dichiarazione di fallimento (art. 64).
Questi sono: gli atti traslativi (come la donazione), gli atti di destinazione (come un fondo patrimoniale)
o gli atti di rinunzia ad un diritto o di remissione del debito.
Allo stesso regime sono sottoposti i pagamenti anticipati, sempre se compiuti nei due anni anteriori al
fallimento (art. 65). Si tratta di pagamenti non di tutti i crediti non ancora scaduti, ma di crediti la cui
scadenza sarebbe venuta a verificarsi nel giorno della dichiarazione del fallimento o nei successivi, e ciò
perché se per il pagamento si fosse attesa la naturale scadenza, al momento dell’apertura del fallimento
tali crediti sarebbero stati sottoposti alla regolazione concorsuale come tutti gli altri.
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LA REVOCATORIA FALLIMENTARE
L’art. 67 si occupa dell’azione revocatoria fallimentare, è uno strumento volto ad ottenere a certe
condizioni la dichiarazione di inefficacia degli atti a titolo oneroso, dei pagamenti e delle garanzie poste
in essere in un momento in cui l’imprenditore, non ancora fallito, già si trovava in uno stato di insolvenza
noto alla controparte, ma non era ancora stato dichiarato fallito.
GARANZIE POS• UNO STATO D

Si assiste per gli atti e alle condizioni previste dalla legge, a una retrodatazione dell’effetto prodotto dalla
dichiarazione di insolvenza ad un momento precedente a quello in cui si è verificata l’insolvenza,
collocabile in un periodo sospetto.
Non basta che l’atto sia avvenuto in un periodo sospetto (presupposto oggettivo), ma il terzo doveva
conoscere o si presume che conoscesse un tale stato di insolvenza (presupposto soggettivo) cosiddetta
scientia decoctionis.

Tuttavia non è espressamente stabilito se un ulteriore presupposto oggettivo debba sussistere, cioè un
pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori. Presupposto che è richiamato per la revoca ordinaria, quale
danno consistente nel rendere insufficiente la residua garanzia disponibile a favore del singolo creditore
precedente: tanto è vero che per la revocatoria ordinaria non risultano revocabili i pagamenti di
debitiscaduti, per la semplice ragione che essi non risultano impoverire il patrimonio del debitore, invece
nel caso della revocatoria fallimentare c’è da dire che risultano revocabili anche i pagamenti di debiti
scaduti o concessi di diritti di prelazione o di garanzie; tutti atti che pur non comportando una
diminuzione di valore del patrimonio del disponente, comportano un trattamento attuale o futuro,
preferenziale per chi ne benefici e quindi una lesione della par condictio.
Gli atti revocabili sono distinti dalla legge in normali (sarà il curatore a dover provare la scientia
Gli atti revocabili sono distinti dalla legge in normali o anormali.
Normali (sarà il curatore a dover provare, insieme a altri presupposti richiesti dalla legge, la scientia
decotionis del terzo) o anormali ( la conoscenza dello stato di insolvenza sarà invece presunta in capo al
terzo, e sarà questi a dover fornire l’eventuale prova contraria per sottrarsi agli effetti della revocatoria,
dimostrando che ignorava un tale stato)
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• Sono considerati anormali, e quindi revocabili salvo che l’altra parte provi che non Sono considerati
anormali e quindi revocabili salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato di insolvenza del
debitore, i seguenti
a1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione difallimento, se le prestazioni
eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano do oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o
altri termini, l’atto è anomalo, ed allora provoca una presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza
da parte del terzo, in quanto il sinallagma appare fortemente sproporzionato, nella misura di oltre un
quarto;

a2) gli atti estintivi (cioè i pagamenti) di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o
con latri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.
Alla base di una tale previsione sta la considerazione che se un debito che avrebbe dovuto essere eseguito
in danaro venga invece adempiuto ad es. attraverso una datio in solutum (gioielli, merci in magazzino,
ecc.), ciò è sintomatico di una crisi di liquidità del debitore che fonda a sua volta una presunzione di
insolvenza;

a3) le garanzie (pegni, ipoteche volontarie, ecc.) e costituite nell’anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento per propri debiti preesistenti e non scaduti. L’anomalia sintomatica dell’insolvenza, in questo
caso, sta nel fatto che normalmente, se un debito ancora non è scaduto, il creditore dovrebbe aspettare;
mentre se si fa rilasciare una garanzia non pattuita originariamente, è presumibile che lo faccia perché
teme la sopravvenuta incapacità del debitore di pagare alla scadenza;

a4) disciplina analoga – ma comprensiva anche delle ipoteche giudiziali (non pero di quelle legali) – vale
anche per le garanzie concesse per debiti scaduti. In tal caso però il periodo sospetto è abbreviato a sei
mesi rispetto al caso precedente, perché il rilascio della garanzia pare meno anormale: un’anomalia
potendosi comunque ravvisare in ciò, che normalmente, dopo la scadenza di un debito, il debitore
dovrebbe senz’altro pagare, mentre la concessione di una garanzia evidenzia il suo bisogno di ottenere
una dilazione, quindi una difficoltà, o l’incapacità, di adempiere alla scadenza.

• Sono invece considerati normali – ed allora una revoca sarà possibile soltanto in quanto la curatela provi
la scientia decotionis in capo all’altra parte nel momento in cui l’atto fu compiuto, in ogni caso non
precedente di oltre sei mesi – i seguenti atti:
b1) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili (cioè scaduti)
b2) gli atti a titolo oneroso (come sopra definiti), per i quali non ricorrano indici di anomalia;
b3) quelli costitutivi di un diritto di prelazione (pegno, ipoteca) per debiti, anche di terzi, contestualmente
creati.
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MORTE DEL SOCIO


ART. 2284 SALVO CONTRARIA DISPOSIZIONE DEL CONTRATTO SOCIALE IN CASO DI MORTE DI UNO DEI
SOCI GLI ALTRI DEVONO LIQUIDARE LA QUOTA AGLI EREDI. A MENO CHE PREFERISCONO SEMPRE I
SOCI SUPERSTITI SCIOGLIERE LA SOCIETÀ, OVVERO CONTINUARLA CON GLI EREDI E QUESTI
ACCONSENTONO.
Dunque è anche se la legge non lo dice la prima cosa che possiamo notare e che la morte del socio è
causa di scioglimento del rapporto sociale. Per cui è l'obbligo che prevede la legge è quello di liquidare
la quota agli eredi.

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