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Queste indagini fanno un salto tra gli ultimi giorni di ottobre 2001
e i primi giorni di novembre. Riferisce a Repubblica una fonte del
Sismi: "In quei giorni, un diplomatico di un Paese africano,
rappresentato con un'ambasciata a Roma, entra in contatto con il
Sismi. E offre un carteggio che lui ritiene preziosissimo per il
nostro lavoro". Nel carteggio ci sono cifrari; una corrispondenza
relativa a un contratto di spedizione di uranio da trasferire in Iraq
con nave via Lomè (Togo) da Cotonou in Benin (dove vengono
stoccate tutte le 2.900 tonnellate di uranio puro estratte nel 2000
dalle miniere nigerine di Arlit e Akouta) e, soprattutto, documenti
diplomatici:
- un telex datato 1 febbraio 1999 dell'ambasciatore nigerino di
Roma Chekou al ministro degli esteri di Niamey;
- una lettera datata 30 luglio 1999 dal ministero degli affari esteri
all'ambasciata di Roma;
- una lettera indirizzata al presidente della Repubblica del Niger,
datata 27 luglio 2000;
- un "protocollo d'intesa" tra i governi nigerino e iracheno
"relativo alla fornitura d'uranio siglata il 5 e 6 luglio 2000 a
Niamey". Il protocollo ha un allegato di due pagine dal titolo
"Accord".
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Due fatti, tuttavia, sono certi. Che "tutto è cominciato dal furto"
in via Baiamonti. Che, il 21 dicembre 2002, dopo neppure due
settimane dall'avvicendamento nell'ambasciata di Roma, il
governo di Niamey dirama una durissima nota sui sospetti di
essere al centro di un traffico di uranio con l'Iraq. "Le accuse
americane sono diffamazione. Non abbiamo mai pensato di
vendere uranio all'Iraq. Non c'è mai stato alcun contratto".
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Siamo ora tra la fine del 2001 e i primi giorni del 2002. Sono due
mesi decisivi. Il Sismi conosce il dossier e l'MI6 ne è in possesso:
"Gli inglesi lo hanno acquisito senza alcuna valutazione - spiega
l'uomo di Forte Braschi - ma la fonte è stata indicata come
"attendibile". Nessuno si deve meravigliare di quel che accade
con quel dossier. Rientra nella rituale collaborazione d'intelligence
tra Paesi alleati. È naturale che quel materiale rende più intensi
sia la collaborazione che lo scambio informativo con gli inglesi. Ci
sono diversi incontri, al livello più qualificato, quasi
esclusivamente a Londra. Nonostante questo clima positivo, noi
non sappiamo se siano stati gli inglesi a passare quella roba alla
Cia. È assai probabile. Secondo la consuetudine, gli inglesi non
sono tenuti a dirci a chi danno le informazioni condivise con noi".
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