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Lavoro, migrazioni e lavoro sono due fenomeni connessi.

Nella opinione pubblica si emigra in mancanza di


opportunità di lavorative, difatti i movimenti migratori degli ultimi decenni sono dominati da ragioni
economiche. IL LAVORO viene inteso come spazio esistenziale e sociologico e al tempo stesso viene
identificato come causa è promossa della emigrazione, aspettativa è risultato dell’immigrazione , che viene
inteso come condizione simbolica per restare è una prospettiva per il ripartire.
Mayo negli anni 20 30 fece un lavoro di ricerca di antropologia applicata di antropologia industriale
focalizzandosi sulle dinamiche lavorative, relazionali e culturali di singole imprese. L'attenzione si
sposta su contesti di relazioni sociali con la fabbrica e i suoi lavoratori, sulle interazioni tra il sistema
capitalistico mondiale e le dinamiche economiche e socio-culturali locali. Nell'ambito dello studio
delle migrazioni si segnalano alcune recenti indagini etnografiche focalizzate sulla sfera del lavoro e
sulla relazione con processi e pratiche transnazionasli. Si segnalano ricerche di analisi del lavoro delle
nuove migrazioni interne in Italia connesse al lavoro informale e alle forme di neorazzismo tra
lavoratori migranti italiani e stranieri. STRUMENTI TEORICI E ANALITICI PER UN'ANTROPOLOGIA DEL
LAVORO MIGRANTE Oggi le forme di mobilità sono molto diversificate: stagionale, forzata, irregolare,
per ricongiungimento familiare e le figure di mmigranti anche lo sono: manodopera non qualificata,
qualificata, minori non accompagnati, r asilo,, rifugiuati. La componente immigrata presente nelle
nostre società è complessa ed eterogenea e le "diversità di genere, età, competenze ecc configurano
le categorie di migranti in base a progetti e potenzialità". Alla pluralizzazione delle forme del lavoro
contemporaneo corrisponde la diversificazione della figura del migrante oggi. I migranti hanno giocato
un ruolo nella globalizzazione dei processi produtttivi "figure cruciali di una serie di dinamiche
economiche" per una richiesta di lavoratori flessibili, nel basso terziario, nella cura e assistenza. La
manodopera immigrata si inserisce in questo mercato del lavoro segnato da precarizzazione.

MIGRANTI E LAVORO SUBORDINATO Il progressivo formarsi di un immagine sociale e mediatica


stereotipata e stigmatizzante del migrante – daglia anni '90 e poi sempre più legittimata dal discorso
pubblico durante il 2000 e oltre!- ha favorito meccanismi di discriminazione e legittimato
comportamenti penalizzanti anche in ambito lavorativo. Si sottolineano effetti della precarizzazione
dei migranti da parte delle politiche migratorie, configurazione che produce politiche securitarie. Il
funzionamento del mercato del lavoro e la condizione di deportabilità dei migranti assicurata in
Europa dal processo intorno a una nuova declinazione di confine in cui la dimensione del lavoro
costituisce un tema sensibile. L'antropologia identifica nella manodopera migrante una crescente
categoria di persone socioeconomicamente, politicamente marginalizzate.
NOGRAFIA DEL LAVORO MIGRANTE E DIMENSIONE TRANSNAZIONALE Integrazione lavorativva nella
condizione dis straniero subisce processi di razializzazione. I percorsi sono plasmati da scelte del
singolo migrante frutto di una dialettica tra diversi luoghi reali e immaginati e di una visione
transnazionale. Fare etnografia dei e nei luoghi ndi lavoro. Una presenza prolungata permette di
osservare i comportamenti, le conversazioni spontanee, le collaborazioni e la raccolta della voce dei
protagonisti a caldo, dal e nel luogo del lavoro.. documentare il fluire di azioni e parole quotidiane,
cogliere il non detto, "ciò che accade senza dirlo, oltre le parole". 2 analisi lavoro migrante svolto in
Italia:-lavoro operaio senegalesi in fabbrica provincia di Bergamo , tesi dottorato Ceschi-cantiere edile
provincia di Bologna , Domenico Perrotta fabbrica luogo simbolo di un assetto sociale basato sulla
divisione di classe ha perso progressivamente la sua centralità. Le relazioni operaie e i conflitti di
classe non producono più appartenenze sociali inclusive ma sono sostituite da processi di
identificazione di tipo culturale, religioso, etnico. Sia io che Perrotta descriviamo la parziale autonomia
del luogo di lavoro fatta di identit, modalità, relazioni, codici di comp, senza mai mperdere di vista i
processi e le vicende esterne ed i loro effetti sul campo etnografico. Io e Perrotta diversi
posizionamenti sul campo. Nel mio caso era un caso etnografico dichiarato e pubblico, Perrotta svolge
un'osservazione cooperata mimetizzandosi tra i lavoratori e condividendo con loro tutte le fasi e le
incombenze del lavoro. Perrotta sociologo, io antropologo. CONCLUSIONI I lavoratori migranti sono
attori storicamente situati che organizzano la loro soggettività e la loro agency, alternando scenari di
costruzione e ingabbiamento a invenzione di una soggettività lavorativa. Il lavoro risulta permeabile
alla cultura, al genere, alle interazioni simboliche e di potere, all'incontro tra codici ed attitudini dei
lavoratori, in breve alla dinamica del mondo sociale circostante. Mi auguro che l'antropologia possa
offreire agli studi sociali sul lavoro quella sensibilità propria della disciplina, una visione
pluridimensionale e multi-situata.

Capitolo 12 SCUOLA Il rapporto tra scuola e migrazioni è stato oggetto di ampio dibattito in seno
alle discipline antropologiche, in particolare nell’ambito degli studi di antropologia dell’educazione.
12.1 Le lenti dell’antropologia educativa Il rapporto
scuola/migrazioni è entrato tra gli interessi dell’antropologia educativa fin dagli esordi circa a metà
degli anni 50 nel Novecento negli Stati Uniti. È stato nel corso degli anni ’80 tuttavia, che l’analisi
delle migrazioni nel contesto scolastico ha cominciato ad assumere forma più compiuta.
L’antropologia ha cominciato così a interrogarsi in maniera sistemica sulle ragioni determinanti
l’insuccesso scolastico degli alunni definiti in minoranza. 12.2 La grande tradizione
La peculiarità maggiore delle ricerche condotte in Nord America sulla scolarizzazione dei giovani di
origine immigrata risiede nell’enfasi posta sulle differenze etnico razziali. L’importanza attribuita alle
differenze etnico razziali deriva dal ruolo dei movimenti di rivendicazione identitaria negli anni ’70,
quando i gruppi di minoranza cominciarono a reclamare il diritto all’autodeterminazione, fondando
tale richiesta proprio sul riconoscimento della propria identità etnica. È stato in quel preciso frangente
storico che concetti come quello di “multiculturalismo”, “società multiculturale” hanno cominciato a
circolare nel linguaggio e nelle politiche scolastiche. Il rendimento declinato in termini di
successo/insuccesso, e lo scontro culturale tra alunni di minoranza e cultura della maggioranza a
scuola sono le problematiche più indagate nella tradizione americana. 12.2.1 Il mondo della scuola e i
mondi culturali delle minoranze Per spiegare le situazioni di clash tra
minoranze e maggioranza nel contesto scolastico bisogna esplorare in profondità la distanza che esiste
tra questi due mondi: gli impliciti culturali che strutturano l’ambiente istituzionale della scuola, ossia
l’insieme dei valori, delle normi di comportamento che informano il mondo scolastico; e gli assetti
culturali che governano i mondi spesso incommensurabilmente diversi da cui gli studenti di
minoranza provengono, ovvero la loro cultura familiare, le aspettative che questa ripone sull’istruzione
e gli stili educativi (compiti, saperi) prevalenti nella comunità di appartenenza. La distanza tra questi
mondi viene considerata causa dei problemi che essi riscontrano a scuola. La ricerca antropologica
nelle scuole è animata da un forte impegno sociale: riconfigurare le pratiche didattiche e gli stili
comunicativi che governano le istituzioni scolastiche è l’unico modo per renderli più sintonici alle
culture e alle aspettative dei gruppi di minoranza, riducendo così la discontinuità culturale all’origine
del loro insuccesso. 12.2.2. Per scelta o per forza?La novità maggiore che il modello ecologico culturale
di John Ogbu ha introdotto nello studio del rendimento scolastico degli alunni immigrati è la
distinzione tra minoranze volontarie, involontarie e autonome. Ciò che, secondo Ogbu, distingue
maggiormente gli immigranti dagli altri raggruppamenti sono i fattori di intenzionalità che hanno
originato il loro status di minoranza. Mentre afroamericani, nativi americani o portoricani negli Stati
Uniti si trovano a subire una condizione di disuguaglianza sociale e discriminazione economica per
via di una storia di inclusione forzata nella società (schiavitù), i gruppi immigrati in genere hanno
optato per la migrazione considerandola una via di accesso a condizione di vita migliori da quelle
vissute nel paese di origine. Detto in altri termini, mentre i primi sono minoranze “per forza”,
involontarie, le seconde lo sono “per scelta”, volontarie . Queste ultime per tanto, sono disposte a
pagare un prezzo per integrarsi a pieno nella società di approdo. Ciò che avviene a scuola è quindi
influenzato da come il gruppo di minoranza percepisce l’istruzione e vi risponde, non tanto dalle
differenze etnico-razziali. Molti genitori immigrati insegnano ai figli la strategia che Margaret Gibson
definisce di “adattamento senza assimilazione”: i giovani sono volenterosi e cercano di seguire il
gioco di classe stando alle regole, si sforzano di comprendere il modo in cui funzionale la scuola e di
raggiungere le abilità necessarie ad una buona riuscita, senza entrare in contraddizione e rinunciare
alla cultura di appartenenza. 12.2.3 Scovare il successo nell’insuccessoLe critiche al modello di Ogbu,
per il suo determinismo non sono mancate. La stessa Gibson afferma che per quanto i giovani Punjabi
da lei studiati ottengano in genere buoni risultati, ricorrendo a strategie adattive, altri alunni di
origine immigrata, specialmente quelli arrivati più di recente, devono cimentarsi con una forte
discontinuità tra cultura familiare e cultura scolastica, con un curricolo nuovo e con la necessità di
sopravvivere finanziariamente, tra l’altro in un contesto non sempre accogliente nei loro confronti. Ciò
può spingerli a vedere la scuola come una minaccia per la propria identità e di conseguenza, a
sviluppare risposte simili a quelle delle minoranze involontarie, facendo resistenza all’istruzione e
cercando deliberatamente di creare scompiglio in classe. D’altro canto anche l’identità, gli atteggiamenti
e le aspettative di uno studenti di minoranza involontaria possono essere costantemente rinegoziati in
risposta alle politiche e alle relazioni sociali che caratterizzano il contesto locale e l’ambiente
specifico della scuola, contribuendo a produrre esiti di successo, nonostante le condizioni socio-
economiche siano sfavorevoli. 12.2.4 Modulazioni e resistenze
Per superare tali limiti alcuni antropologi americani hanno fatto ricorso al concetto di “resistenza”. Il
fallimento delle minoranza secondo Erickson è prodotto sia da ciò che le scuole fanno perché certi
studenti vadano male, sia da quello che gli studenti stessi fanno per resistere alla riuscita scolastica.
Parlare di successo ha lo stesso significato riflessivo: il successo è qualcosa che le scuole così come gli
studenti “agiscono”, mettono in opera, producono. Anche Peter McLaren spiega come nelle comunità
immigrare si riscontrino spesso gli stessi comportamenti oppositivi che Ogbu considera tipici delle
minoranze involontarie. McLaren ritiene che le forme di resistenza a cui gli studenti ricorrono in
classe siano risposte endogene alla “cultura di potere” della propria scuola, che impone uno stato di
dolore e sofferenza, tra l’altro creando un nesso perverso tra l’identità di “buon cattolico” e quella di
lavoratore affidabile in un sistema a capitalismo avanzato. 12.3 Le piccole tradizioni
Esista una tendenza in Europa a catalogare la ricerca sul rapporto scuola/migrazioni in funzione della
durata dei flussi, affidandosi alla suddivisione tra paesi storicamente meta di migrazione, e quindi
con una lunga esperienza nel gestire l’istruzione dei figli immigrati, e paesi di nuovo afflusso
migratorio, che prima esportavano manodopera all’estero e oggi si trovano, ad accogliere un numero
crescente di lavoratori immigrati. Fino agli anni ’70 del 900 stati come la Francia, ignoravano si essere
un paese di approdo. Lo dimostra il fatto che per tutti gli anni ’60 il tema dell’immigrazione è stato
assente dalle ricerche sul sistema scolastico: “i figli degli immigrati erano inclusi nella più ampia
classe operaia”. E’ stato con il diffondersi della crisi economica e con la svolta legislativa del
decennio successivo che si è consapevolezza circa i problemi degli studenti di origine immigrata. È
dal quel momento che in Francia è nata una nuova terminologia identificativodiscriminatoria, che
utilizza espressioni come “figli di immigrati” o “immigrati di seconda generazione”. Lo stesso succede
in Gran Bretagna dove il modello assimilativo di politica educativa degli “studenti di minoranza etnica”
ha cominciato a declinare solo nel corso degli anni ’70 ed è solo negli anni 80 che viene sancito un
orientamento di tipo interculturale. Anche nel caso della Germania è solamente negli anni ’90 che la
“semantica migratoria emergne in maniera prorompente nella giustificazione e nella rappresentazione
del fallimento scolastico”, influendo sulla diffusione di un programma pedagogico interculturale. In
Spagna e in Italia gli ostacoli legati al processo di naturalizzazione e all’ottenimento della cittadinanza
da parte dei migranti rendono il dibattito più acceso, se si analizzano la qualità delle relazioni
scolastiche oppure se ci si interroga sulle reali occasioni di mobilità sociale e di equità educativa
offerta dalla scuola a questi giovani. In Portogallo invece l’immigrazione è stata un fenomeno
storicamente rilevante già dagli anni ’70, per via degli arrivi delle ex colonie.
La discontinuità esistente tra le diverse tradizioni in Europa è senz’altro determinata dai contesti
istituzionali, che si differenziano dal punto di vista delle politiche scolastiche e della normativa
regolante i flussi. Ci sono contesti come quello tedesco che prediligono il sistema dell’omogeneità
nella formazione delle classi e altri, come il nostro, in cui prevale invece quello dell’eterogeneità;
contesti dove si è fatta lunga esperienza di percorsi di educazione separata per le minoranze
(Francia), e contesti al contrario il cui l’integrazione avviene per tutti negli stessi binari scolastici,
come l’Italia. 12.4.2 I migranti incontrano le scuole
Francesca Galloni usa l’approccio sulla discontinuità culturale e lOgbu per spiegare i comportamenti
degli alunni punjiabi a scuola. La tesi proposta da Gibson, di una strategia di adattamento senza
assimilazione, non trova riscontro nel caso italiano. I ragazzi studiati da Gibson riuscivano a fare
coesistere la condizione di figli rispettosi con un identità di bravi alunni. Galloni mostra, invece, come
la strategia adattiva venga usata dai giovani indiani a Cremona per rispondere non tanto alle
aspettative che l’istituzione scolastica ripone su di loro, quanto alle attese del gruppo die pari. Gli
studenti punjabi ne cremonese “cercano veramente un buon inserimento a scuola, ma nel mondo dei
coetani”, per socializzarsi meglio quindi più che per raggiungere un’istruzione adeguata. Conquistare
le abilità necessarie per l’accettazione da parte dei pari, però non significa mettere in dubbio la
propria identità familiare o rifiutarla. Abbiamo visto come i migranti siano sollecitati a mettere in atto
un processo di ristrutturazione identitaria quando si relazionano allo spazio scolastico. Lo stesso vale per
le scuole anch’esse sono chiamate a ristrutturarsi nella loro identità istituzionale, politica, educativa,
nel confronto quotidiano con i modondi della migrazione.’etno-ecologia dell’educazione di

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