Sei sulla pagina 1di 277

I GRANDI MAESTRI DELL’ARTE

L’ARTISTA E IL SUO TEMPO


I GRANDI MAESTRI DELL’ARTE
L’ARTISTA E IL SUO TEMPO

A cura di: Marco Campigli, Ippolita di Majo,


Aldo Galli, Giovanna Uzzani

Duchamp e il dadaismo

© 2008 E-ducation.it S.p.A., Firenze


Una società SCALA GROUP, Firenze
Direzione editoriale: Cinzia Caiazzo
Chief Editor: Filippo Melli
Coordinamento redazionale: Giulia Marrucchi
Redazione: Vanessa Gavioli, Emily Grassi, Ilaria Principe
Impaginazione: Flavia Conti, Tiziana Pierri
Ritocco fotografico: Francesca Lunardi, Andrea Pacileo, Federico Pandolfini

Progetto grafico: Marco Pennisi & c.

© 2008 Il Sole 24 ORE S.p.A.


Edizione speciale per Il Sole 24 ORE
Pubblicata su licenza di E-ducation.it S.p.A., Firenze

Il Sole 24 ORE Arte e Cultura


Direttore responsabile: Ferruccio de Bortoli
Il Sole 24 ORE S.p.A., Via Monte Rosa, 91 - 20149 Milano
Registrazione Tribunale di Milano numero 79 del 01-02-1992
Settimanale. N. 2/2008 - Anno XVII

Finito di stampare nel mese di dicembre 2007 presso:


Rotolito Lombarda
Via Roma 115/A
Pioltello (MI)

© 2008 E-ducation.it S.p.A., Firenze


tutti i diritti riservati
www.e-ducation.it
info@e-ducation.it

I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale


o parziale e con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi.

Richiesta arretrati: i numeri arretrati possono essere richiesti


direttamente al proprio edicolante di fiducia al prezzo di copertina.

Progetto grafico copertine: Marco Pennisi & c.


In copertina: Marcel Duchamp, Ritratto di giocatori di scacchi,
particolare, 1911. Filadelfia, Museum of Art
I GRANDI MAESTRI DELL’ARTE
L’ARTISTA E IL SUO TEMPO

Alessandro Del Puppo

Duchamp
e il dadaismo
Francis Picabia, Morton Schamberg, Jean Arp,
Raoul Hausmann, Kurt Schwitters, Hannah Höch,
Man Ray, Max Ernst, Otto Dix, George Grosz

IL SOLE 24 ORE E-DUCATION.IT


L’opera di Marcel Duchamp ha contribuito alla più radicale riformulazione del
concetto d’opera d’arte nel moderno Occidente. Le sue intuizioni hanno consentito
la nascita e l’evoluzione, presente fino ai nostri giorni, delle correnti artistiche che
postulano il superamento della pittura a favore di una pluralità di linguaggi ed
espressioni.
Dopo un ammirevole debutto come pittore di tradizione postimpressionista e un
exploit in seno al nascente cubismo, Duchamp smise di dipingere. Insofferente
delle convenzioni, iniziò a indagare il rapporto potenzialmente creativo che può
istituirsi tra un oggetto comune, il contesto entro cui si colloca e le parole con
cui viene designato. Con il suo gesto, ben al di là della mera provocazione, egli
avviò la più convinta critica all’esperienza puramente ottica e visiva della pittura,
consegnando all’arte del Novecento un formidabile strumento cognitivo. Con
i suoi enigmatici ready made, i film sperimentali, gli elusivi giochi di parole e
gli allestimenti spettacolari, Duchamp contribuì a sradicare secolari convenzioni
rappresentative, spalancando uno spazio infinito alla creatività moderna.
Il movimento dada, sorto durante gli anni del primo conflitto mondiale e
repentinamente esauritosi confluendo nelle avanguardie degli anni Venti, ha
saputo in parallelo interpretare la crisi della storia e della civiltà europea avviando
una sorta di regressione creativa. Mescolando le suggestioni delle arti primitive
con l’estetica della discontinuità propria dei collage e degli assemblaggi d’oggetti
incongrui, l’opera di Francis Picabia, Max Ernst, Kurt Schwitters e di Jean
Arp fece convergere le tensioni espressive della pittura, della scultura, della
parola scritta e recitata entro un’estetica antagonista, beffarda, dai tratti nichilisti
e irrazionali, in piena sfida all’autorità normativa della tradizione e al destino
sconsacrato dell’opera arte come merce. Nella Germania postbellica l’opera di
George Grosz, Otto Dix, Raoul Hausmann e Hannah Höch si armò invece
di tensioni ideologiche divenendo strumento di lotta politica, di satira e di critica
sociale, di persuasione e d’esplicita militanza.
Indice

Dada messo a 5. Marcel Duchamp 11. Marcel Duchamp 17. George Grosz
nudo dai suoi Il passaggio dalla Vergine Scolabottiglie Metropolis
interpreti, anche alla Sposa pagina 148 pagina 174
pagina 8 pagina 122
12. Marcel Duchamp 18. Marcel Duchamp
6. Marcel Duchamp Fontana Tu m’
opere
Sposa pagina 153 pagina 178
1. Marcel Duchamp pagina 126
13. Francis Picabia 19. Francis Picabia
Ritratto del padre
7. Marcel Duchamp Parata d’amore Il fanciullo carburatore
dell’artista
Macinatrice di cioccolato pagina 156 pagina 182
pagina 102
(n. 1)
pagina 128 14. Morton 20. Marcel Duchamp
2. Marcel Duchamp
Schamberg L.H.O.O.Q.
Ritratto di giocatori di
8. Marcel Duchamp Astrazione meccanica pagina 186
scacchi
Tre rammendi tipo pagina 162
pagina 106 21. Hannah Höch
pagina 133
15. Jean Arp Tagliato con il coltello da
3. Marcel Duchamp
9. Marcel Duchamp Collage con quadrati cucina attraverso l’ultima
Nudo che scende le scale
La Sposa messa a nudo ordinati secondo le leggi epoca culturale del ventre
(n. 2)
dai suoi scapoli, anche (Il del caso da birra tedesco
pagina 112
grande vetro) pagina 166 pagina 190
4. Marcel Duchamp pagina 137
16. Marcel Janco 22. Raoul Hausmann
Il Re e la Regina
10. Marcel Duchamp Ritratto di Tzara Il critico d’arte
circondati da nudi veloci
Ruota di bicicletta pagina 171 pagina 197
pagina 118
pagina 146
23. Raoul Hausmann 29. Jean Arp 36. Marcel Duchamp Jean Hans Arp
Testa meccanica (Lo Astuccio di un Da Semisfera rotante (Ottica pagina 277
spirito del nostro tempo) pagina 226 di precisione)
pagina 202 pagina 259 Raoul Hausmann
30. Francis Picabia pagina 278
24. George Grosz L’occhio cacodilato 37. George Grosz
Automi repubblicani pagina 230 Pilastri della società Kurt Schwitters
pagina 206 pagina 262 pagina 279
31. Man Ray
25. Otto Dix Oggetto indistruttibile 38. Jean Arp Hannah Höch
Ricordo d’una casa a pagina 234 Oggetti disposti secondo la pagina 280
specchi a Bruxelles legge del caso (Ombelichi) Man Ray
pagina 212 32. Kurt Schwitters pagina 267
Merzbild 32A. Le ciliegie pagina 280
26. Otto Dix pagina 238 39. Marcel Duchamp Max Ernst
Giocatori di skat. Mutilati Dati: 1) La caduta d’acqua pagina 281
di guerra che giocano a 33. Max Ernst 2) Il gas d’illuminazione
carte Senza titolo (Dada) pagina 270 Otto Dix
pagina 216 pagina 245 pagina 282
34. Max Ernst Biografie
27. Max Ernst George Grosz
Frau Wirthin an der Dadaville pagina 282
Marcel Duchamp
Lahn… pagina 250 pagina 276
pagina 220 35. Kurt Schwitters Bibliografia
Francis Picabia pagina 284
28. Marcel Duchamp Merzbau pagina 276
Vedova da poco pagina 254
pagina 224 Morton Schamberg
pagina 277
Dada messo a nudo dai
suoi interpreti, anche
«Prima non c’era una cosa del genere. L’artista non interessava nessuno,
i giornali non ne parlavano. Si continuava a lavorare perché se ne aveva
voglia. Ora si mette l’artista al posto d’onore, siede alla destra della
padrona di casa. È un essere superiore, dotato di facoltà intangibili.
D’accordo, ma questo mi fa ridere. Avrò pure il diritto di ridere, no?»
Marcel Duchamp
M
arcel Duchamp dell’immagine propria delle ricerche cronofoto- 
è stato, insieme grafiche. Suoi i successi di scandalo ai Salon di
a Pablo Picasso, Parigi e a New York.
l’artista più in- Duchamp avrebbe potuto continuare, nel suo
fluente del XX decorso di pittore ‘moderno’, a produrre ancora
secolo. Il movi- molta pittura. Invece, cessò di farlo. Aveva esau-
mento dada, al rito la propria partecipazione alla parabola della
pari del cubi- pittura moderna passando, in un pugno d’anni,
smo, ha radicalmente innovato la moderna con- dallo stile postimpressionista del debutto (sche-
cezione dell’arte. Ma se la rivoluzione di Picasso de 1-2) a un’originale maniera cubista. Dichiarò
e del cubismo si compì tutta all’interno della pit- laconicamente di aver avuto trentatré idee e di
tura e della scultura, con una rilettura dell’intera averne ricavato trentatré quadri.
tradizione e l’avvio di un grande sommovimento Si proclamò nemico del gusto, inteso come ri-
stilistico, Duchamp e il dada percorsero una stra- petizione di un qualunque stile o linguaggio od
da diversa. A quel bivio, prese il via l’esperienza oggetto. Volle allontanarsi, e per sempre, dal-
dell’arte moderna che è ancora la nostra. la fisicità della pittura, da quella che non senza
A ventitré anni, Duchamp si misurava alla pari sprezzo definì la sua consistenza puramente ot-
con la più aggiornata produzione cubista. Con tica e «retinica»: il compiacimento per il gesto
il Nudo che scende le scale (scheda 3) era stato individuale, l’evolvere pressoché meccanico da
in grado di giungere a una sintesi tra la scom- uno stile all’altro. Concentrò tutte le sue energie
posizione cubista e la segmentazione cinematica nell’elaborazione di una delle opere più esempla-
ri e misteriose del Novecento, dall’enigmatico ti- do un’arte fatta di nulla, o di molto poco: un
tolo La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche gioco di parole, un oggetto studiatamente fuori
(fig. 7 e scheda 9). Quest’opera, nota anche come contesto. Gli bastò scovare un comune scolabot-
Grande vetro, prese origine e si sviluppò attraver- tiglie per presentare un’opera più bella di tanta
so l’esperienza della pittura giungendo a negarla, scultura moderna e al tempo stesso implicita-
grazie anche alla minuziosa tecnica di disegno mente al di fuori d’ogni gusto (come richiamato
meccanico che privava l’immagine di qualunque dal doppio senso del titolo Égouttoir; scheda 11).
gusto soggettivo. Per la decodifica del complesso Pervenne rapidamente, più di chiunque altro, al
dispositivo simbolico, Duchamp allestì inoltre un punto critico delle proprie idee. E di quelle al-
accuratissimo apparato di studi e di note espli- trui. «Ha prodotto poco perché non poteva fare
cative. Tuttavia, ogni realizzazione dell’artista altrimenti», riconobbe con molta intelligenza
appare ancora oggi come un oggetto meraviglio- André Breton.
samente semplice. Duchamp riuscì a rendere memorabili il gesto mi-
Coltivò l’arte dell’esattezza cartesiana e della nimo, l’astensione, il silenzio. Reagì a ogni chias-
concisione: alla vertigine dell’accumulo oppose soso protagonismo e alla perdurante retorica del-
un’ammirevole economia di mezzi, promuoven- l’artefice ‘moderno’ elaborando una strategia di

1. Marcel Duchamp al porto di 11


New York in partenza per Parigi
febbraio 1927

2. Man Ray
Marcel Duchamp come Rrose
Sélavy
1920-21 circa, stampa ai sali
d’argento, cm 21,6x17,3.
Filadelfia, Museum of Art

2
3. Marcel Duchamp
Scolabottiglie (Égouttoir)
1914, fotografia di Man Ray.
New York, The Museum of
Modern Art

12 occultamento di sé, dietro pseudonimi beffardi e Duchamp non è il dada


vistosi alter ego (fig. 2). Lo sanno tutti, e lo si vedrà anche qui: pur conside-
Borghese di famiglia, non volle mai dipendere rando dada «la punta estrema della protesta contro
dalla pittura per campare, né vi guadagnò qual- l’aspetto fisico della pittura», la personalità di Du-
cosa. Il suo non fu un successo convenzionale: champ non era a esso riducibile, né il suo contributo
tenne la prima esposizione personale a Pasade- si deve comprimere nella categoria dei semplici pre-
na all’età di settantacinque anni. Primo artista cursori: in ragione della natura anch’essa proteifor-
‘globale’, fu amato più dagli statunitensi che dai me e anfibia del movimento.
connazionali francesi; più dalla generazione dei «Dada non è un assioma, è uno stato mentale in-
nipoti che dalla propria. dipendente da ogni scuola e da ogni teoria. Non si
Esemplari la limpidezza, la distinzione, il disin- può capire dada, lo si deve sperimentare». Sono le
teresse e la pigrizia. Dichiarò di non aver mai parole di Richard Huelsenbeck, tra i fondatori di un
lavorato più di due ore al giorno, durante tutta movimento che non ebbe fondatori e non fu, soltan-
la vita. Eppure, basta appena uno sguardo alla to, un movimento.
sua biografia per trovarvi inscritta parte notevole Elusiva, prima ancora che inutile: una definizione
dell’arte del Novecento. L’eccezionalità del suo esaustiva di dada è dichiarata impossibile dai suoi
profilo è stata letta come precorritrice di tutte le stessi protagonisti. Bisognerebbe allora per prima
più moderne tendenze artistiche: dal surrealismo cosa stabilire un accordo su come afferrare il dada.
fino all’arte cinetica, dall’happening e dalle perfor- Inteso come movimento storico, partecipe della pa-
mances alla body art, per non dire della pop art e rabola delle cosiddette avanguardie, è faccenda assai
dell’arte cosiddetta concettuale. limitata. Si può infatti assumere il 5 febbraio 1916,
4. Richard Boix
Da-Da (Gruppo Dada di New
York)
1921, penna e inchiostro su
carta, cm 28,6x36,8. New York,
The Museum of Modern Art

5. Arthur G. Dove
Ritratto di Alfred Stieglitz
(Portrait of Alfred Stieglitz)
1924, assemblage: lenti,
specchio, lana d’acciaio, colla,
chiodi su cartone, cm 40,3x30,8.
New York, The Museum of
Modern Art

14 data d’apertura del Cabaret Voltaire a Zurigo, come s’identifica talmente nell’esperienza del Novecento
avvio ‘ufficiale’ del movimento. Più difficile seguire da farne parlare, nel bene e nel male, come del «se-
le tappe della dissoluzione; ma già intorno al 1921 le colo dada».
energie creative sembrano da un lato esaurite, dal-
l’altro sussunte da altri fenomeni, come il nascente Avanguardie a New York
surrealismo in Francia (il manifesto di Breton è del Grazie al successo e allo scandalo del Nudo che
1924) o le avanguardie costruttiviste e astratte. A scende le scale (vedi scheda 3) Duchamp sbarcò
conti fatti, si tratta d’una manciata d’anni e di alcune a New York nel 1915 che era già molto noto.
città. Il movimento nacque pressoché contempora- Qui trovò un gruppo animato da Alfred Stieglitz.
neamente, in maniera autonoma e parallela, in due Instancabile promotore dell’arte d’avanguardia,
paesi estranei alla Grande guerra, Svizzera e Stati Stieglitz (1864-1946) aveva fondato nel 1903 la
Uniti, ed ebbe come principali basi operative, oltre rivista «Camera Work» e aperto la galleria 291,
a Zurigo e New York, Parigi, Berlino, Hannover, che si era dedicata all’arte d’avanguardia europea
Colonia. con importanti mostre su Matisse, Picasso, Bran-
C’è invece chi ha motivatamente inteso dada come cusi. In questa sede si promuoveva l’omonima
un’espressione più vasta, una corrente specifica di rivista «291» e si riuniva la cerchia di Stieglitz,
sensibilità moderna, che radicalizza teorie roman- composta fra gli altri da Marius de Zayas, pittore
tiche e simboliste ponendole a contatto con i più e caricaturista, e Paul de Haviland, ricco indu-
radicali processi di dissacrazione e reificazione del- striale e fotografo. Qui sin dal 1913 aveva trovato
l’opera d’arte. Dada, allora, come concetto estensi- ospitalità il pittore Francis Picabia, giunto negli
vo e pervasivo che, alla pari dell’opera di Duchamp, Stati Uniti a seguito della grande esposizione
6. Francis Picabia
Qui, è qui Stieglitz (Ici, c’est ici
Stieglitz)
copertina di «291», n. 5-6,
New York, 1915, stampa su
carta, da un originale a penna
e inchiostro, cm 38x22,8.
Washington, Smithsonian
National Portrait Gallery

7. Marcel Duchamp
La Sposa messa a nudo dai suoi
scapoli, anche (Il grande vetro)
[La Mariée mise à nu par ses
célibataires, même (Le grand
verre)]
1915-23, olio, piombo, vernice
e polvere entro due pannelli di
vetro, cm 272x176. Filadelfia,
Museum of Art

8. Marcel Duchamp
Apolinère Enameled
1916-17, ready made: matita
e pittura su cartone e latta
d’alluminio distesa,
cm 24,4x33,9. Filadelfia,
Museum of Art

16 dell’Armory Show. Picabia aveva alle spalle una In effetti, il linguaggio meccanomorfo di Picabia
buona reputazione di pittore tardoimpressionista ben si allineava al formalismo assai pragmatico
che aveva abbandonato senza rimpianti per dive- del circolo newyorkese, e poteva trovare un vali-
nire uno dei protagonisti più convinti e radicali do equivalente nello stile nitido e oggettivo del-
dell’avanguardia parigina. Intimo di Apollinaire la straight photography del giovane Paul Strand
e dei cubisti, Picabia era pervenuto a una versio- (1890-1976).
ne cromaticamente sontuosa e assai astratta della Per Picabia New York era la città che incarnava
scomposizione cubista, svolta in tele di grande per eccellenza l’idea di un’arte moderna fondata
formato e dalle intitolazioni ermetiche. Con que- sulla negazione dell’imitazione esterna e servile
ste premesse si presentò negli Stati Uniti, e gra- della natura: «Dipingere la natura così com’è
zie anche all’indubbio clamore pubblicitario che – ammise – non è fare dell’arte, è dimostrare in-
seppe scatenare, non tardò a divenire l’ambascia- gegno meccanico».
tore ufficiale dell’avanguardia. Dinanzi al panorama dei grattacieli moderni Pi-
Picabia fece ritorno a New York allo scoppio del- cabia si sforzò di tradurne lo spirito «nella stessa
la guerra per sostarvi due anni (scheda 13). Egli maniera con cui i grandi compositori lo esprimo-
impose alla rivista «291» il proprio stile meccani- no nella musica»: «Ho cercato di rendere lo stato
co, compendiato nel ‘ritratto’ che fece dello stes- d’animo di coloro che si sono sforzati di costruire
so Stieglitz sotto forma di macchina fotografica la Torre di Babele – il desiderio dell’uomo di sfio-
(fig. 6). Alla sua opera si riferirono i protagoni- rare il cielo, di realizzare l’infinito». Trasferitosi
sti della breve stagione dada newyorkese, come nel 1917 a Barcellona, Picabia proseguì la pro-
Morton Schamberg (scheda 14). pria riflessione fondando una sua rivista, «391»,
8

che già nel titolo indicava la volontà di proseguire Nel 1918 Duchamp tornò per breve tempo alla 19
idealmente l’esperienza americana. pittura: accolse una commissione di Katherine
Intanto, a New York, Duchamp aveva avviato Dreyer e dipinse Tu m’ (scheda 18) per guada-
il complesso cantiere de La sposa messa a nudo gnare il denaro necessario per trasferirsi da New
dai suoi scapoli, anche, l’opera che lo assorbì fino York a Buenos Aires. Qui per alcuni mesi si dedi-
al 1923 (fig. 7 e scheda 9). Al tempo stesso, egli cò esclusivamente al gioco degli scacchi. La logi-
esplorò le possibilità insite nei ready mades, ovve- ca della libertà entro un gioco scandito da regole
ro nell’impiego d’oggetti comuni sottratti al loro definite gli sembrava una metafora assai calzante
contesto funzionale e investiti, grazie all’accorto della sua idea d’arte.
intervento dell’artista, di un enigmatico valore.
Sin dal gioco di parole del titolo, Apolinère Ena- La stagione del Cabaret Voltaire
meled (fig. 8) è uno dei migliori esempi: il testo Durante quegli stessi mesi di guerra si era ritrovato
della réclame di una vernice industriale (il Ripo- a Zurigo, nella Svizzera neutrale, un gruppo inter-
lin) fu modificato diventando un omaggio al poe- nazionale e composito di poeti e artisti. Proveniva-
ta francese, tra i più appassionati difensori del- no dalla Germania Hugo Ball (1866-1927), Emmy
l’avanguardia. Hennings (1885-1948), Richard Huelsenbeck
Con pochi mezzi, Duchamp mise insieme due nu- (1892-1974), Hans Richter (1888-1976) e, dall’Al-
meri di una rivista, «The Blind Man», dove pre- sazia, Hans (Jean) Arp (1887-1966); dalla Romania
senterà con clamore il ‘caso’ di Fontana, l’orina- Tristan Tzara (1896-1963) e Marcel Janco (1895-
toio firmato «R. Mutt» e rifiutato dalla giuria della 1984); dalla Svezia Viking Eggeling (1880-1925).
Society of Indipendent Artists (scheda 12). Accanto a loro un’umanità di agitatori, renitenti e
disertori garantiva un agguerrito tono politico; la letture polifoniche di poemi «simultanei». Un’or-
stessa abitazione di Vladimir Lenin non era lontana chestra di balalaiche affrontava ballate popolari e
dal Cabaret Voltaire, il locale che divenne la prima danze russe. Alle pareti erano appesi i legni incisi
centrale operativa di dada (fig. 9). di Hans Arp e Marcel Janco (schede 15-16), l’uno
Lo spazio prendeva il nome dall’autore del Candi- con una sorta di scrittura automatica protosurrea-
do, richiamando così esplicitamente, per il tramite lista, arabeschi di forme organiche compatte ma
del grande filosofo francese, un ideale di polemica d’ammirevole leggerezza; l’altro con più massivi
contro l’assurdità e le idiozie del proprio tempo. riporti dell’arte primitiva – qualunque cosa si po-
Il cabaret rimase aperto solo sei mesi, sufficienti tesse intendere nella Zurigo del 1916 con questa
però a scatenare una delle più articolate e provo- espressione (figg. 11-12). Memorabile da questo
catorie messinscene dell’avanguardia europea. Sul punto di vista la serata «negra» con canti selvaggi
palcoscenico del locale Emmy Hennings e Mada- e chiassosi accompagnamenti di grancassa. Con
me Leconte cantavano in francese e in danese. la pubblicazione del foglio «Cabaret Voltaire»
Tzara leggeva le sue poesie rumene, ma talvolta e il varo di una collana editoriale, la «Collection
s’associava a Huelsenbeck e Janco per dar vita, Dada», si tentò di organizzare dal maggio 1916
su ispirazione delle analoghe pratiche futuriste, a l’attività frenetica di questi primi mesi.

20 9. «Cabaret Voltaire», n. 1
Zurigo, maggio 1916. Parigi,
Bibliothèque Historique de la
Ville de Paris

10. Greta Knutson-Tzara


Tristan Tzara
1928, inchiostro su carta.
Milano, collezione Schwarz

11. Hans Arp


Ritratto di Tristan Tzara
(Portrait de Tristan Tzara)
1916-17, rilievo in legno,
cm 40x32,5x9,5. Zurigo,
Kunsthaus

12. Marcel Janco


Ritratto di Tzara
(Portrait de Tzara)
1919, cartone, tela, inchiostro
e gouache, cm 55x25. Parigi,
Centre Georges Pompidou,
Musée National d’Art Moderne

9
10
12
Grazie all’apporto di un’estesa rete di collaborato- data sulla liberazione dalla sintassi. Nella recitazio-
ri, da Apollinaire a Picasso, da Kandinsky a Mari- ne simultanea e polifonica, svolta in un linguaggio
netti, ne sortì un diagramma aggiornato sullo spi- transnazionale e paradossale, commisto di tedesco,
rito dell’avanguardia europea. Ma si trattava di un francese, russo si assisteva al primato della fona-
regesto che comprimeva le energie creative nelle zione pura, della parola recitata e agita al di fuori
forme convenzionali della rivista culturale, diluen- d’ogni connotazione di senso comune.
done fatalmente il clamoroso impatto e il potenzia- Ciò che andava in scena era una performance iste-
le corrosivo. Resta inteso che non di programmi o rica e prolungata, dove il drammatico pathos del-
di poetiche si parlava, bensì di fenomeno morale e la tradizione espressionista si amalgamava al più
sociale. sfacciato esibizionismo delle serate futuriste, senza
Agonismo e antagonismo, poesia e recitazione, nascondere, dietro i tratti d’un nichilismo dispe-
musica e danza, umorismo e rumorismo si andava- rato e dell’annullamento d’ogni senso, un’aggres-
no fondendo in una teatralità eccessiva, retta da un siva proposta di redenzione. Era un cupio dissolvi
istrionismo esasperato. Ispirandosi ai precetti già reversibile, che dietro la gesticolazione eccedente
formulati e messi in atto dalle parolibere futuriste istruiva ogni possibile e liberatoria fantasia di com-
di Marinetti, si sperimentò una lettura poetica fon- pensazione. «Ciò che celebriamo – annotava Hugo

24 13. Tristan Tzara


Vingt-Cinq Poèmes,
illustrazioni di Hans Arp
1918. Zurigo, Collection Dada

13
Ball – è al tempo stesso una buffoneria e una messa l’espressività spontanea e sorgiva dell’arte primiti-
di requiem». va a un registro regressivo.
Più che di produzione poetica, si trattava d’un rito La bancarotta delle idee aveva distrutto ogni aspet-
collettivo di esorcismo contro le dissonanze della to d’umanità facendo così emergere patologica-
civiltà e i suoi violenti spasmi distruttivi. I protago- mente i caratteri istintivi ed ereditari. La masche-
nisti del primo dada zurighese credettero più nella ra e il camuffamento costituirono l’immagine più
sincerità degli eventi che nello spirito dell’indivi- completa di questi tratti riaffioranti. Loro azione
duo. Ciò che contava, nella stagione del Cabaret fu l’incessante inganno e il brusco rovesciamento.
Voltaire, era l’unione di tutte le componenti crea- La definizione per essi più efficace si scovò nella
tive, quella totalità di parola e immagine che sola metafora del balbettio infantile: una compiaciuta
permise di opporre la realtà della poesia alla disso- ebefrenia, un’oscillazione bipolare tra solipsismo
luzione del mondo reale, alle solenni pretese di un ed esibita stravaganza.
Geist universale, all’alibi ideologico della kultur.
Nell’azione di Hugo Ball, il performer si faceva Nichilismo e moralità
istrione, sacerdote e sciamano, istituendo un rito Il bisillabo ‘dada’ divenne trademark prima anco-
magico, non privo d’aspetti mistici, che mescolava ra di una sua compiuta formulazione. Le origini

14. Hugo Ball al Cabaret 25


Voltaire di Zurigo nel costume
cubista realizzato da Marcel
Janco, 1916

14
stesse del termine stingono nella leggenda; a lungo che rispondano al mio ritmo, e che tutto sia mio».
furono controverse. Che fosse una parola a caso Per questa ragione, vi fu chi riscontrò in ‘dada’
scovata nel dizionario, come ricorda Huelsenbeck, nient’altro che il valore astratto e il nonsense di una
per trovare uno pseudonimo, ovvero l’allusione mera lallazione infantile. Lo stesso Francis Picabia
scherzosa all’intercalare «da, da» dei rumeni Tzara già in un’intervista del 1913 aveva sostenuto: «Il
e Janco, importa meno della sua straordinaria pla- pubblico è come un bambino che impara a par-
sticità d’uso, che non temette di contraddire e ne- lare. Perché capisca, bisogna spiegargli le parole
gare nemmeno se stessa: chacun a son dada (‘dada’, sillabando». Secondo Huelsenbeck, però, «dada è
cavalluccio di legno): ognuno ha il proprio trastul- una parola esistente in tutte le lingue, non esprime
lo, la propria idea fissa. altro che l’internazionalità del movimento e non ha
Gli stessi protagonisti vollero dimostrare per que- niente a che fare con il balbettio infantile al quale
sto, almeno agli inizi, una sovrana noncuranza. In la volevano far risalire».
una serata a Zurigo nel 1916 Hugo Ball dichiarò: Lo spettro di definizioni copriva dunque per
«Non voglio parole che altri abbiano inventato. esteso il vasto arco semantico generato da una
Tutte le parole sono invenzioni di altri. Voglio così ambigua formulazione: dal naturalistico ca-
roba mia, il mio ritmo, e anche vocali e consonanti leidoscopio multicolore della vita moderna alla

26 15. Richard Huelsenbeck


Dada Almanach
1920. Berlino, Eric Leiss Verlag

15
più radicale e nichilistica ammissione d’afasia. rispondente all’uomo della realtà odierna sempre in
Nella prefazione al Dada Almanach del 1920 (fig. movimento» e ancora: «Dada è una condizione di
15) si poteva così leggere: «Dada è qualcosa d’im- vita, meglio, una forma del dinamismo interiore, più
mediato e di ovvio. Il dadaista possiede la libertà di che una tendenza artistica. Dada rappresenta la sola
prendere a prestito qualsiasi maschera; può imper- religione pratica del nostro tempo».
sonare non importa quale “scuola artistica” giacché «Dovrebbe essere dadaista chi comprende, una vol-
non appartiene a nessuna». A questo proposito, ta per tutte, che si ha il diritto di avere delle idee,
osservava ancora Huelsenbeck: «La parola Dada solo quando si applicano nella vita», annotò Huel-
simboleggia la più primitiva forma di relazione con senbeck.
la realtà dell’ambiente; con il dadaismo una nuova Come molti altri protagonisti, Arp era disposto a
realtà sorge in se stessa. La vita appare con un gro- riconoscere nel movimento una millenaria energia
viglio simultaneo di rumori, colori e ritmi spirituali, latente: «Ciò che interessa a noi – scriveva già nel
che viene accolto senza modifiche nell’arte dada, con 1916 – è lo spirito dada e tutti noi eravamo dada
tutti i suoi urli sensazionali e la febbricitante instan- ancora prima dell’esistenza del dada».
cabile psiche e in tutta la sua bruta realtà». Gli fece «Che cos’è dada? – si chiedeva Tzara nel 1917
eco Hausmann: «Dada è la verità, l’unica esperienza – Un’arte? Una filosofia? Una politica? Una po-

16. «Der Dada», n. 2 27


Berlino, 1919. Berlino,
Staatsbibliothek,
Handschriftenabteilung

16
17. Raoul Hausmann
P
1921, collage, cm 31,2x22.
Amburgo, Hamburger
Kunsthalle

lizza antincendio, o una religione ufficiale? Dada correre fra le sue dita la visione del mondo. Dada è 29
è davvero energia? Oppure non è nulla, e quindi, lo spirito danzante sulle morali della terra. Dada è il
è tutto?». grande fenomeno parallelo alle filosofie positiviste
In un testo dal titolo Dada in Europa, che comparve di quest’epoca».
nella rivista berlinese «Der Dada» nel 1920, Raoul «Gli inizi di dada non erano gli inizi di un’arte, ma
Hausmann ricordava: «Inizialmente dada fu una quelli di un disgusto», ammise Tzara nel 1924. Su
professione di fede nel primitivismo incondiziona- queste basi, tuttavia, la conversione del disincanto
to che il pubblico zurighese accolse in parte senza e del nichilismo fini a se stessi diveniva il gesto più
capirne nulla, in parte divertito» (fig. 16). Pochi naturale, segno di una reazione che, al di là delle
anni dopo, Theo van Doesburg volle così riassu- pose autodistruttive, era in grado di formulare e ar-
mere l’intera questione: «Dada vuole essere vissu- gomentare tesi costruttive. Non si dovrebbe insom-
to. Dada pretende che non vi sia alcuna possibilità ma prestare soverchia importanza a quanto scriveva
di comprensione. Dada respinge inesorabilmente nel 1923 Picabia: «Ogni moralità è arbitraria; gli in-
ogni logica associazione di concetti. Si potrebbe dividui con senso morale sono male informati. [...]
definire il dadaismo l’espressione anazionale del- Non esiste una cosa chiamata problema morale; la
l’esperienza collettiva di vita dell’umanità negli ul- moralità, come la modestia, è una delle più grandi
timi dieci anni». stupidaggini».
In termini ancora più espliciti, si opinava ogni visio- Già Hans Richter, tra i protagonisti della stagione
ne del mondo e, con essa, la pretesa di una riduzio- zurighese, aveva osservato nel giugno 1917: «Se
ne oggettiva della realtà attraverso le lenti distorte oggi qualcosa di comune esiste in tutti gli uomini,
della scienza e dell’economia: «Dada ha lasciato questo qualcosa è il dolore che stride, è la nausea,
18. Kurt Schwitters
Copertina da «Die Kathedrale»
(«Die Silbergäule», vol. 41/42)
1920, litografia in nero con
aggiunte in collage, cm 22x14,3.
New York, The Museum of
Modern Art

30 è la vergogna di vivere un tempo come il nostro – e furono alcuni elementi distintivi, comuni a pittura
di parteciparvi – con tanta buona volontà e in tanta e poesia. La fusione di parola recitata, scrittura ed
malafede. [...] L’arte è semplicemente il contributo elaborazione visiva si fondava su tre azioni: la si-
umano che chiede agli uomini di tradurre in realtà, multaneità, ossia la possibilità di una lettura poetica
sulla terra, un’esistenza che non sia immorale. Arti- polifonica, che si legava alle ricerche sperimentali di
sta è l’individuo che vi dà il proprio apporto». Marinetti, Apollinaire, Barzun, Cendrars (da ricor-
«Oggi il mondo non ha per noi nessun significato dare il Poema simultaneo che Huelsenbeck, Janco e
profondo, tranne quello di un’incommensurabile Tzara recitarono in parallelo al Cabaret Voltaire);
assurdità», ammise Hausmann («Der Dada», 1919). il rumorismo, ossia la resa mimetica della realtà
Dinanzi al collasso della Storia il disgusto poteva nel suo indifferenziato sedimento sonoro; infine,
convertirsi in una forma di moralità assoluta: «Dada la logica costitutiva dei nuovi materiali: fosse essa il
è la serietà morale del nostro tempo», concluse Kurt collage, il fotomontaggio, l’assemblage e poi, anche,
Schwitters nel 1923. l’estetica del cinema sperimentale. Dall’amalgama
di questi ingredienti non prese tanto forma uno stile
Aspetti di una poetica compiuto e omogeneo, bensì una vera e propria mi-
Dada poteva non significare nulla, come assicurò scela esplosiva, che fece saltare concezioni estetiche
Tzara: però era fatto di qualcosa. Proviamo allora a secolari.
tratteggiare alcuni aspetti di base. Non esiste, come Il rifiuto della storia restituiva all’artista una
si è visto, uno ‘stile’ e a rigore non si dovrebbe nem- condizione di creatività aurorale. Le energie così
meno parlare di dadaismo, poiché il suffisso ricon- liberate offrivano al linguaggio espressivo tutte le
duce a norma quanto si vuole ineffabile. Tuttavia vi potenzialità implicite nella destrutturazione e nella
frammentazione della logica, della sintassi e delle or- fattore di visualizzazione istantanea, egli concepisce
dinate armonie. i suoi motivi e le sensazioni fisiche in un linguaggio
Una prima conseguenza fu quella, decisiva nell’evo- permanente e universale di forme, trame, colori».
luzione del modernismo, della sostanziale qualità La pratica del fotogramma, ossia dell’impressione
formale del manufatto artistico, fosse esso poesia, diretta sulla carta sensibile di un insieme d’oggetti
pittura, fotografia. sottoposti a un fascio di luce, è una delle intuizioni
Sin dal 1916 Man Ray, un autore tra i più sperimen- che il talento di Man Ray sperimenterà con maggiore
tali del gruppo dada newyorkese, osservava: «La intensità e successo. Effettiva trascrizione fotografica
forza creativa e l’espressività della pittura risiede ma- dell’incontro straniante tra gli oggetti, il fotogramma
terialmente nel colore e nella tessitura del pigmento, condensa la pratica del ready made e la riproduzione
nelle possibilità d’invenzione e organizzazione della fotomeccanica, consentendo anche un intervento di
forma, e nella superficie piana su cui questi elementi tipo pittorico, sotto forma di effetti come le solariz-
sono condotti a disporsi. L’artista è spinto a colle- zazioni e le deformazioni. Si tratta, con ogni eviden-
gare queste qualità assolute con il suo spirito, la sua za, dell’evoluzione dall’anacronismo della cosiddetta
immaginazione, la sua esperienza, senza le strettoie fotografia pittorica, con la sua teoria di mimetismi e
del “soggetto”. Lavorando su un singolo piano come occultamenti dello specifico tecnico del mezzo, alla

19. Man Ray 33


Rayograph (Rayogramma)
1922, stampa ai sali d’argento.
New York, The Museum of
Modern Art

20. Man Ray


Appendiabiti (The Coat-stand)
1920, stampa ai sali d’argento

20
moderna nozione di fotografia nella sua qualità in- appartiene a nessuno: ecco spazzate via, concludeva
trinseca d’indice o traccia, vale a dire d’impressione il poeta, le truffe meschine della sensibilità, della co-
fisica sul supporto. noscenza, dell’intelletto.
Per tale ragione Tristan Tzara, in una pagina di Si comprese per questa via la natura effimera del
grande bellezza, parlerà di «fotografia alla rovescia»: prodotto poetico: la sua accettazione come merce
«Quando tutto quel che si chiama arte fu pieno di sottratta alla delibazione colta, il suo sconsacrato dis-
reumatismi, il fotografo accese le mille candele della solversi nell’eteronomia mercantile e nei più comuni
sua lampada, e la carta sensibile assorbì a poco a poco codici dei meccanismi di scambio.
il nero ritagliato da qualche oggetto d’uso comune. L’opera dei pittori non temette quindi declinazioni
Aveva inventato la forza di un tenero e fresco lam- d’en bas. Si sfruttò l’impatto delle forme rudimentali
po che superava in importanza tutte le costellazio- offerte dall’arte primitiva e si adescarono le risorse
ni destinate ai nostri piaceri visivi. La deformazione dell’arte popolare, mescolandole alla retorica visiva
meccanica, precisa, unica e corretta, è fissata, liscia della réclame. La preoccupante autarchia di tanti
e filtrata come una chioma attraverso un pettine di manifesti e riviste non costituiva un ostacolo, bensì
luce». La bellezza della materia, in quanto semplice il fine stesso di una creatività immediata e senza in-
oggetto ready made, o prodotto fisico-chimico non fingimenti.

34 21. Marcel Duchamp


Ruota di bicicletta (Roue de
bicyclette)
1913 (originale perduto,
terza replica del 1951),
ready made: ruota di metallo
montata su sgabello di legno,
cm 129,5x63,5x41,9. New
York, The Museum of Modern
Art

21
Con un gesto tra i più semplici e i più straordinaria- to’, che constava di un gomitolo di corda stretto tra
mente densi di conseguenze Duchamp indicò, con il due placche d’ottone, dentro il quale, a insaputa del-
ready made, l’ipotesi di una totale reificazione sim- l’autore, il collezionista americano Walter Arensberg
bolica. celò un oggetto ancora oggi incognito: «Non saprò
Il ready made contava soltanto nella misura della scel- mai se è un diamante o una monetina», ammise Du-
ta che era stata effettuata. La sua efficacia derivava champ.
infatti dall’essere il frutto di una sottrazione. Privato Colpisce inoltre, del ready made, la feconda re-
del suo valore d’uso, svincolato dal sistema che lo versibilità. Se una ruota o un orinatoio possono
rende funzionale, l’oggetto guadagnava la possibilità funzionare da opera d’arte, ragionava Duchamp,
di detenere un significato più ampio (schede 10-12). allora è possibile un ready made reciproco: ad
Il rumore di fondo della stima merceologica venne esempio, «servirsi di un Rembrandt come asse da
sostituito, con un atto d’ammirevole leggerezza, dal stiro». Si tratta di un onere che dovrebbe assu-
rumore nascosto di un nuovo, tutt’altro che esplicito, mersi, a rigor di logica, ogni ready made o ogni
significato. Con rumore nascosto è, non a caso, il tito- opera d’artista che abbia dichiarato d’ispirarsi
lo di uno dei più enigmatici dispositivi architettati da al pensiero di Duchamp. Un onere che qualche
Duchamp (fig. 22). Si tratta di un ready made ‘assisti- anno fa è stato fatto proprio da un artista che ha

22. Marcel Duchamp 35


Con rumore nascosto (A bruit
secret)
1916 (replica del 1964),
ready made: rotolo di spago
tra due lastre di ottone,
cm 12,7x15,2x15. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne

22
23. Marcel Duchamp 24. «391», n. 8
La scatola in valigia di o da copertina di Francis Picabia,
Marcel Duchamp o Rrose Sélavy, Zurigo, febbraio 1919. Parigi,
n. 7 dall’edizione di lusso Bibliothèque Littéraire Jacques
[Le Boîte-en-valise de ou par Doucet
Marcel Duchamp ou Rrose Sélavy
n. 7 from the deluxe edition 25. «391», n. 8
(Series A)] Zurigo, febbraio 1919. Parigi,
1941-42, valigia in pelle, Bibliothèque Littéraire Jacques
repliche in miniatura, Doucet
riproduzioni stampate e
originali di opere dell’artista, 26. Francis Picabia
fotografie, cm 41x38x10,5. Portatemi lì (M’amenez-y)
Filadelfia, Museum of Art 1919-20, olio su cartone,
cm 129,2x89,8. New York,
The Museum of Modern Art

36 ‘interpretato’ Fontana di Duchamp restituendola Picabia ad adottare un disegno freddamente tec-


alla sua inequivocabile funzione originaria. Cer- nico e oggettivo.
to, la logica dell’arte come istituzione e sistema è La rimozione del gusto e della manualità, come
pur sempre prevalente, e nel suo divenire assorbe strumenti privilegiati dell’espressione individuale,
e neutralizza anche la sua negazione. È questa la trascinava con sé ogni ipotesi di estetica normati-
non minore delle contraddizioni del ready made va. Scriveva Picabia nel 1920: «Il principio della
e, come ha insegnato Walter Benjamin, dell’inte- parola bellezza non è che una convenzione auto-
ra dialettica dell’avanguardia. Così infatti come matica e visiva. La vita non ha nulla a che fare con
il temerario performer ha subito un processo per ciò che i grammatici chiamano la bellezza». La ri-
vandalismo, noi oggi ammiriamo gli oggetti di cusazione della bellezza non istituiva una specula-
Duchamp dentro le teche dei musei, in tirature re estetica del brutto, bensì un’attitudine d’indif-
multiple e molto spesso postume. ferenza visiva, ben chiarita da Duchamp quando
Il ready made infatti ha implicita in sé una cri- affermava di voler osservare i propri ready mades
tica all’originalità e all’unicità dell’opera d’arte. con la stessa noncuranza con cui si guarda il fuoco
Nessun oggetto è in senso stretto un originale, ardere nel caminetto (scheda 10).
dal momento che Duchamp stesso ha teorizzato, Un ruolo decisivo venne affidato al pubblico.
anticipando l’arte minimalista e concettuale degli Non più interprete, e tantomeno legislatore, l’ar-
anni Sessanta, la disgiunzione tra l’idea e la sua tista guadagnava secondo Duchamp gli attributi
realizzazione. Tale concezione sottende sia alla del medium, che opera sul piano di una coscienza
pratica del ready made, sia alla svalutazione del- solo parziale e intuitiva. «Il risultato dell’artista
la manualità e del gusto, che spinse Duchamp e non coincide mai con le intenzioni dello spettato-
23

re», dichiarerà in vecchiaia Duchamp, ammetten- dall’enunciazione del ready made (ossia, «questo 37
do di aver imparato molte cose sul suo lavoro da è un’opera d’arte») si compie nella sua interez-
quanti ne avevano nel frattempo scritto. za. Come infatti ha osservato Thierry De Duve,
L’artista, insomma, non è mai pienamente cosciente vi devono essere quattro condizioni concomitan-
del dissidio tra la propria intenzione e la realizzazio- ti: un referente («questo»), un enunciatore (ossia
ne che si compie nell’incontro col pubblico. Emer- l’«artista», o meglio ciò che rimane di esso), un
ge quindi, insieme alla condizione d’incoscienza, destinatario (il pubblico) e infine un’istituzione,
quella del caso (scheda 8). Ritorna la metafora de- ovvero un «contesto» entro cui questo incontro
gli scacchi poiché, come poi osserverà John Cage, accade. Avere insegnato che il ruolo dell’artista è
«una nostra opera d’arte non è solo nostra, ma ap- soltanto una delle quattro componenti costituisce
partiene all’avversario che è lì per questo». Ecco, non l’ultimo dei meriti di Duchamp.
l’avversario è il destinatario, colui che l’occasione Come si è appena visto, un ulteriore aspetto di
ha posto davanti all’oggetto ready made (scelto, non fondamentale importanza è la centralità della que-
creato). Lo aveva capito bene Breton quando scri- stione linguistica (schede 20 e 28). Nella prassi di
veva nel 1922: «Ma la personalità della scelta, di cui Duchamp l’esperienza del ready made si fondava
Duchamp è il primo ad aver proclamata l’indipen- sull’incontro problematico tra un oggetto e un’in-
denza, firmando, ad esempio, un oggetto fabbrica- titolazione incongrua. Lo spazio che separava le
to in serie, non è forse la più tirannica di tutte e non parole dalle cose diveniva via via sempre meno
conviene forse metterla alla prova del caso?». normativo e più problematico. In esso s’inscriveva
È da questo incontro, e solo in questa condizione, il lavoro dell’artista, che al limite poteva consistere
che il complesso circuito semiologico innescato anche in una mera enunciazione, come nel caso de-
gli aforismi pubblicati su «Littérature» o dei giochi umanistica circa la centralità dell’individuo creato-
di parole incisi sui Rotorelief (scheda 36). re. L’esperienza traumatica della guerra recò qui i
Non meno valida la propensione di Picabia per suoi frutti più amari. Osservò Hugo Ball: «Chiun-
l’iscrizione ellittica, beffarda o allusiva, nel de- que rinuncia ai propri interessi rinuncia all’io. L’io
siderio di esplorare il significato multiplo delle s’identifica negli interessi. Così, l’ideale individua-
cose. Le ampie citazioni riportate in margine ai listico ed egoista del Rinascimento è cresciuto nel-
dipinti meccanici, perlopiù tratte dalle pagine del la più ampia unione di appetiti meccanici cui ora
dizionario Petit Larousse, determinavano una ‘le- assistiamo, disintegrati e sanguinanti».
genda’ irrazionale, che scalzava con le armi del- La disumanizzazione dell’arte raggiunse qui il suo
l’ironia ogni presunzione di razionalità (scheda apice. Una rifondazione artistica si poteva compiere
19). Non poteva esistere insomma alcuna pro- anche rinunciando alle falsità, per prima cosa ideolo-
prietà transitiva tra oggetto e linguaggio: solo un giche, prodotte in nome del popolo, cioè di se stessi.
rebus esoterico, un’aperta circolazione di ipotesi, I cittadini tedeschi Georg Ehrefried Gross, Helmut
una sentenziosità giocosa e sempre verisimile. Franz Josepf Herzfeld, Hans Arp, divennero così
Uno dei contributi più notevoli dell’esperienza militanti dada mutando i propri nomi in quelli di
dada fu, infine, l’annullamento d’ogni presunzione George Grosz, James Heartfield, Jean Arp.

38

24 25
27. Riunione del gruppo dada
a Parigi
da destra: Georges Ribemont-
Dessaignes, Francis Picabia,
Georges Auric, Alfredo
Casella, Tristan Tzara con
l’iscrizione ‘dada’ sulla fronte,
in «Frankfurter Zeitung»,
11 gennaio 1921. Parigi,
Bibliothèque Littéraire Jacques
Doucet

40 Precursori simile parodistica classificazione sono eloquenti:


Conforme alla natura diversificata, quando non voti massimi per Apollinaire, Duchamp stesso,
contraddittoria, del movimento è l’elenco dei Picasso, ma anche Swift e Nietzsche (non a caso
possibili precursori. In poesia, sono stati indicati, poi presentati da Breton nell’Antologia dello hu-
tra gli altri, i Chants de Maldoror di Isidore Du- mor nero); rigetto totale della tradizione ottocen-
casse e l’Ubu Roi di Alfred Jarry. Basilare la pa- tesca, simbolista e non, nell’intero spettro delle
tafisica di quest’ultimo: la scienza delle soluzioni sue possibili declinazioni, da Delacroix a Wa-
immaginarie è l’unica possibile, forse, in grado di gner, da Hugo a Rodin.
far funzionare le macchine «celibi» di Duchamp Non sorprende il plauso a due idoli della mo-
e Picabia. derna sovversione, che probabilmente furono i
Più difficile rintracciare dei precedenti per più importanti fiancheggiatori della mai sopita
l’espressione dei pittori. La proclamata condi- attitudine delinquenziale del dada. Il primo è
zione di tabula rasa spingeva a una rimozione Charlot: i dadaisti berlinesi saluteranno in Char-
della tradizione classica, romantica e realista, e lie Chaplin «il più grande artista del mondo e
di quanto di esse sopravviveva nella pratica del buon dadaista». Fernand Léger gli recò omaggio
cubismo e del futurismo. Più che schemi visivi, in una sequenza del suo film Le Ballet mécanique
i pittori del dada recuperarono ideologie e mo- (1924) che, pur essendo per molti aspetti lonta-
tivazioni. no dall’ispirazione dada, è pur sempre la gioiosa
La rivista «Littérature» pubblicò un diagramma rivendicazione dello spirito meccanico dei tempi
che riportava, in una scala da -25 a 20, i giudi- moderni.
zi espressi dai dadaisti parigini. I risultati di una L’altro precursore, all’epoca non meno famoso, è
27

Jules Bonnot, capobanda d’un gruppo d’anarchi- italiani. D’altra parte, i suoi legami con Marinetti 41
ci nichilisti, le cui imprevedibili, spesso sanguina- e soci furono precoci e fruttuosi.
rie, sempre assai ‘creative’ insurrezioni suscitaro- Tzara si preoccupò di dare alle stampe manifesti
no, nella Parigi del 1912, il terrore di borghesi e e garantire la pubblicazione di riviste periodiche.
benpensanti, guadagnando a Bonnot l’ammirato Intrattenne un vasto carteggio con intellettuali e
consenso della cospicua comunità degli artisti di artisti europei d’ogni tratto e caratura: Guillau-
Montmartre. me Apollinaire, Max Jacob, Giorgio De Chirico,
Filippo Tommaso Marinetti, Marius de Zayas.
Dada in Europa Collaborò con Francis Picabia, al suo rientro da
Fra 1916 e 1917, quando dada era attivo pres- New York, gettando le basi per il trasferimento
soché solo a Zurigo, emerse il dualismo tra di tutte le attività a Parigi.
Ball e Tzara, destinato a risolversi in favore di L’insistenza nel dare vita a un movimento ca-
quest’ultimo. Con Tzara s’impose infatti una nonico, in grado di organizzare le attività sotto
diversa intenzione: la sua figura era più simile una comune etichetta, spinse Tzara ad avviare,
a quella dell’impresario culturale. Tzara s’indu- una volta chiuso il Cabaret Voltaire, una Gale-
striò a Zurigo come a suo modo stava facendo rie Dada e pubblicare dal luglio 1916 la rivista
negli stessi mesi Jean Cocteau a Parigi, occupan- «Dada». Questo foglio, «Recueil Littéraire et Ar-
do le posizioni lasciate vuote dalla mobilitazione tistique», diventerà lo strumento con cui Tzara
bellica dell’intera avant-garde. ridisegnerà i confini del movimento.
Naturale antitesi di Ball, Tzara mutuò le proprie Già nel primo numero erano evidenti i segni di
strategie dal modello organizzativo dei futuristi un disinvolto annessionismo, alimentato dal ricco
carnet di contatti di Tzara. Notevole, e purtrop- futuriste sul Teatro sintetico, sulla simultaneità
po spesso sottovalutato dalla storiografia stra- in poesia, per non dire delle prose ‘medianiche’ e
niera, fu l’apporto degli autori italiani nei primi metafisiche, è difficilmente eludibile.
due numeri. Vennero pubblicate infatti le prose Con il suo operato, Tzara si preoccupò di rica-
di Alberto Savinio, Nicola Moscardelli, Antonio vare dal dada la riconoscibilità del movimento
Marasco, Gino Cantarelli e le incisioni di Enrico artistico e letterario consolidato. L’identità forte
Prampolini. così acquisita permise di guadagnare un’ampia
L’esistenza di un possibile dada italiano è assai risonanza europea, ponendo le basi per la sua
opinabile, nella misura in cui esso si configurò progressiva assimilazione in seno ad altri linguag-
più come un caso di prosecuzione e variante del gi dell’avanguardia. Quel che si perse, inevitabil-
futurismo marinettiano che come adesione alle mente e per sempre, fu la straordinaria densità
prassi zurighesi. Nelle pagine di un Julius Evola, degli avvii zurighesi, la loro disinteressata spon-
esso si armava di tensioni egoistiche e aristocra- taneità. Da stato d’animo privo di frontiere, reli-
tiche, e di un culto dell’eroismo piuttosto lontani gioni e professioni, nella pratica di molti declinò
dai tratti anarcoidi della centrale zurighese. Ma ad ambizione letteraria, non priva d’una norma-
è pur vero che il debito nei riguardi delle teorie tiva stilistica e di una dogmatica dell’accessibili-

42 28. Enrico Prampolini


Xilografia, senza titolo
in «Dada», n. 1, Zurigo, 1917

29. Julius Evola


Paesaggio interiore, ore 10,30
1919-20, olio su tela, cm 70x54.
Roma, Galleria Nazionale
d’Arte Moderna

28
30

30. Max Ernst


Frontespizio di «Die Schammade»
Colonia, 1920. New York, Public
Library
31

31. Johannes Baargeld 32. Christian Schad 33. Max Ernst


Il re rosso (Le Roi rouge) Amourette Il cappello fa l’uomo
1920, penna e inchiostro su carta 1919, stampa alla gelatina 1920, gouache, matita e scritte a
stenciled, cm 49,2x38,7. New York, d’argento, cm 6,6x9. New York, inchiostro su carta ritagliata, impastata
The Museum of Modern Art The Museum of Modern Art e stampata, cm 35,6x45,7. New Yok,
The Museum of Modern Art
tà, generando per reazione soluzioni sempre più di «Dada», uscito nel dicembre 1918, si presentò
epigoniche, e man mano lontane dalle idealità con numerose novità. Grazie ai vasti contatti di
espresse dal Cabaret Voltaire. Tzara, la rivista si aprì all’intero spettro dell’avan-
Da parte loro, all’indomani della guerra, i prota- guardia, raccogliendo i contributi di Apollinaire,
gonisti del primo dada di Zurigo furono liberi di Picabia, Savinio, Pierre Reverdy, Paul Dermée.
rientrare nei loro paesi d’origine. Vi fu chi, come Le xilografie organiche di Arp si alternavano
Hugo Ball, imboccò presto altre direzioni; tutti ai legni di Hans Richter, Prampolini, Janco, in
gli altri concorsero all’irradiazione europea del una proposta di modernismo agguerrito, formal-
movimento. mente aggiornato alle più recenti tensioni della
Con una serata nell’aprile 1919, cui parteciparo- poesia e della pittura europea. Fu un numero di
no anche Viking Eggeling e Hans Richter, chiuse valore storico, uno dei più importanti e influen-
di fatto l’attività del dada a Zurigo. I protagonisti ti dell’intero Novecento insieme a certi fascicoli
si dispersero tra Parigi, Colonia, Berlino. Serate di «Les Soirées de Paris» e di «Valori Plastici».
e pubblicazioni dada fiorirono in Belgio, Olanda, Venne letto avidamente da André Breton, Philip-
Polonia, Austria, Spagna, Russia. pe Soupault e Louis Aragon, gettando così le basi
Rispetto ai primi due numeri, il terzo fascicolo per la breve entente cordiale del dada parigino.

46

32
Diffuse in tutta Europa, queste pagine contribui- A Ginevra, dov’era riparato, il pittore tedesco
rono all’effettiva irradiazione transnazionale del Christian Schad avviò un’attività di grafico e
movimento. disegnatore. Attraverso l’impressione diretta di
A Colonia il pittore Max Ernst e Johannes Baar- oggetti reali collocati sopra la superficie fotosen-
geld diedero vita alla rivista d’orientamento sibile, Schad sperimentò un originale genere di
marxista «Der Ventilator». Sfidando le censure composizioni fotografiche astratte, che chiamò
delle truppe inglesi d’occupazione, iniziò a rac- «schadografie». A Hannover Kurt Schwitters in-
cogliersi un agguerrito gruppo di dadaisti, fra cui traprese la sua particolare declinazione di dada,
lo stesso Arp, rientrato con la compagna Sophie iniziando a realizzare opere battezzate Merz che
da Zurigo. Grazie a due esposizioni che tenne- furono esposte per la prima volta a Berlino nel
ro a Colonia fra 1919 e 1920, e alla mediazione luglio del 1919 (scheda 32). Irriducibili a un’uni-
di Tzara e Picabia, Ernst e Arp fecero conoscere tà organica, tutte queste attività condividevano a
il proprio lavoro a Parigi, sperimentando poi le vario titolo un comune orizzonte ideologico.
prime opere denominate «FaTaGaGa», ovvero Su «Dada 3» Tzara pubblicò in apertura un Ma-
«fabrication tableaux garantis gàzometriques» nifesto Dada 1918 che apparve come la summa
(schede 27 e 29). teorica del movimento. «Scrivo un manifesto e

47

33
34. «Dada», n. 3
Zurigo, dicembre 1917. Parigi,
Bibliothèque Littéraire Jacques
Doucet

48 non voglio dire niente, eppure certe cose le dico, normativa, si palesava come sola possibile mo-
e sono per principio contro i manifesti, come del dernità un irriverente e libero flusso creativo, che
resto sono contro i principi», sosteneva Tzara: orientava poeti e pittori verso la manipolazione del
«Scrivo questo manifesto per provare che si pos- mondo reale: «Il pittore nuovo crea un mondo i
sono fare contemporaneamente azioni contraddit- cui elementi sono i suoi stessi mezzi, un’opera so-
torie». Il paradosso di una teoria che negava vali- bria e precisa, senza soggetto. L’artista nuovo si
dità a se stessa conduceva all’esibita antinormativa ribella: non dipinge più ma crea direttamente con
dell’operare artistico: «Un’opera d’arte non è mai la pietra, il legno, il ferro, lo stagno, macigni, orga-
bella per decreto legge, obiettivamente, all’unani- nismi, locomotive che si possono voltare da tutte le
mità. La critica quindi è inutile, non può esistere parti secondo il vento limpido della sensazione del
che soggettivamente, ciascuno la sua, e senza alcun movimento».
carattere d’universalità». Il valore dell’opera non risiedeva nella potenzialità
Lo scetticismo nei confronti della critica d’arte si descrittiva, bensì in quella distruttiva: «Qualunque
traduceva nei tratti di un disincantato individua- opera pittorica o plastica è inutile; che almeno sia
lismo: «Non voglio convincere nessuno, non ho il un mostro capace di spaventare gli spiriti servili,
diritto di trascinare gli altri nella mia corrente, non e non la decorazione sdolcinata dei refettori de-
costringo nessuno a seguirmi e ciascuno si fa l’arte gli animali travestiti da uomini, illustrazioni della
che gli pare. Noi non ci basiamo su nessuna teoria. squallida favola dell’umanità». Se è il caso di in-
Ne abbiamo abbastanza delle accademie cubiste e sistere ancora su questo testo capitale, è per l’am-
futuriste». piezza delle sue implicazioni, dal momento che
Ecco il punto: al di là dei dogmi di ogni estetica esso sembra contenere in nuce ogni tratto costitu-
35. Hans Richter
Studio per Praeludium
matita, cm 32,5x22,5.
Berlino, Staatliche Museen,
Kupferstichkabinett

36. Kurt Schwitters


Disegno A 2: Hansi (Zeichnung
A 2: Hansi)
1918, collage di carta colorata e
da imballaggio, cm 18,1x14,6.
New York, The Museum of
Modern Art

37. Jean (Hans) Arp


Disegno automatico
1917-18 (segnato 1916),
inchiostro e matita su carta,
cm 42,6x54. New York, The
Museum of Modern Art

tivo dell’irradiazione dada anche per il suo decorso Ordine ed eversione 51


pittorico. È chiaro ad esempio che quando Tzara In Tzara si osserva il recupero delle tradizioni e
sosteneva che «un quadro è l’arte di far incontra- degli stili preclassici o anticlassici: «Noi vogliamo
re due linee, parallele per constatazione geome- continuare la tradizione dell’arte negra, egiziana,
trica, su una tela, davanti ai nostri occhi, secondo bizantina, gotica e distruggere in noi la sensibilità
la realtà di un mondo basato su altre condizioni atavica, ereditata dall’abominevole epoca che seguì
e possibilità», quel che ne risultava era un’ipotesi il Quattrocento». Si tratta con ogni evidenza di una
di arte assoluta, «nella purezza di un caos cosmico declinazione, ormai forse l’unica possibile, di quel
e ordinato». L’esperienza diveniva il prodotto del primitivismo che aveva guidato la generazione dei
caso combinato con le facoltà individuali. In questi cubisti all’emozionante impatto con i manufatti afri-
termini non è poi così difficile seguire la parabola cani. Qui l’opzione è più sanguigna e radicale, arma-
di artisti solo apparentemente diversi tra loro come ta di ragioni esistenziali prima ancora che formali.
Arp e Schwitters, Richter e Man Ray. Nelle sue Note sulla poesia negra Tzara scriveva infat-
Due, infine, le polarità indicate da Tzara: la spon- ti: «Arrotondare le immagini e sistemarle in forme,
taneità dadaista, da intendersi come radicale sog- in costruzioni, secondo il peso, il valore, la materia o
gettività, noncurante del destinatario («l’arte è una allineare, sullo stesso piano, i valori, le densità mate-
cosa privata, l’artista la fa per se stesso; un’opera riali e durevoli, per decisione autonoma e fermezza
accessibile è un prodotto giornalistico»); e il «di- incrollabile della sensibilità, comprensione adegua-
sgusto» dadaista, che dall’assioma di partenza per ta alla materia che si trasforma, ben vicino alle vene,
cui la «logica è sempre falsa» produceva dei corol- a stretto contatto, soffrendo, per la gioia presente,
lari. Vediamone alcuni. definitiva».
L’opera d’arte, intesa come organismo complesso di un realismo radicale ed estremo: «La rappresen-
e coordinato, implicava una dialettica tra ordine tazione dadaista richiede una penetrazione seria
ed eversione: «Quella che chiamo “cosmica” è la e reale nell’idea dell’oggetto», scriveva nel 1920
qualità essenziale dell’opera d’arte. Perché implica il tedesco Carl Doehmann in «Dada Almanach»,
l’ordine, condizione necessaria alla vita di qualun- aggiungendo: «Il dadaismo rende fedelmente l’im-
que organismo. Elementi multipli, diversi e lontani, magine della realtà, che per quanto spesso schema-
sono più o meno intensamente concentrati nell’ope- tizzata con intenti didascalici, non è mai deformata
ra; l’artista li raccoglie, li sceglie, li ordina, ne fa una nell’impostazione». Gli fece eco Huelsenbeck, nel
costruzione oppure una composizione. L’ordine è primo manifesto dada tedesco diffuso sulle stesse
la rappresentazione di un’unità governata dalle fa- pagine: «La parola dada simboleggia il rapporto più
coltà universali, dalla sobrietà, dalla purezza della elementare con la realtà circostante, con il dadai-
precisione». Parole che si riferivano qui alla poesia smo una nuova realtà afferma i suoi diritti. La vita
di Pierre Reverdy, ma che costituiscono il miglior si presenta sotto l’aspetto di un groviglio simulta-
commento all’opera di Jean Arp o Kurt Schwitters. neo di suoni, di colori e di ritmi spirituali, che l’arte
Rigettando ogni mimesi naturalistica, l’esperienza dadaista accoglie imperturbabile, insieme con tutti
del mondo si contraeva nelle parole e nelle forme i gridi sensazionali e la febbre della sua temeraria

53

37
54

38
38. Theo van Doesburg e
Kurt Schwitters
Piccola serata Dada (Kleine
Dada Soirée)
1922, litografia, cm 30,2x30,2.
New York, The Museum of
Modern Art

39. Alfred Stieglitz


La fontana di Richard Mutt
(Fountain by Richard Mutt)
particolare, 1917, stampa ai sali
d’argento. Filadelfia, Museum
of Art

40. Kurt Schwitters


Mz 39. Figura russa (Mz 39.
Russisches Bild)
1920, collage di carte ritagliate
e colorate, mina di piombo e
cartone su carta con cornice in
cartone, cm 32,4x24,1. New
York, The Museum of Modern
Art

anima quotidiana e in tutta la sua brutale realtà». tanti del dada parigino, Georges Ribemont-Dessai- 55
Priva di schermature stilistiche, ogni possibile de- gnes, ammetteva: «Dada è tanto più contento che si
scrizione si esauriva nella parola solipsistica, che rida di lui d’impulso. Poiché l’arte e gli artisti sono
Aragon compendiò nella formula «tutto ciò che delle invenzioni serissime soprattutto quando ciò
non sono io è incomprensibile. Tutto ciò che sono emerge dal comico, si viene al comico per ridere.
io è incomprensibile». Solo una pulsione primaria Qui niente di tutto questo. Noi non prendiamo
era in grado di offrire una forma immediata del- niente sul serio. Si ride dunque, ma per farsi beffe
l’esperienza. L’immediatezza della sonorità primiti- di noi». L’umorismo non come genere codificato in
va si saldava con la spontaneità gergale e l’infantile un rapporto capzioso con il pubblico, bensì come
fonazione astratta, giungendo alla programmatica scetticismo amaro, lucida autoironia. Non più vate,
rimozione d’ogni razionalità espressiva: «L’oscuri- l’artista si fa jongleur. Impossibile non pensare, qui,
tà delle nostre parole è costante. L’indovinello del alla grandezza di un testo come il Manifesto del
senso deve restare tra le mani dei bambini. Leggere Controdolore di Aldo Palazzeschi e al precedente
un libro per sapere denota una certa semplicità», teorico del Teatro di Varietà di Marinetti, entrambi
scriverà André Breton, con una clausola che sareb- pubblicati su «Lacerba» nel 1914.
be bene ricordare all’atto di sfogliare le «istruzioni Theo van Doesburg fu teorico, al pari di Piet Mon-
per l’uso» vergate da Duchamp per la decifrazione drian, del neoplasticismo in pittura, certamente la
del Grande vetro. meno ‘ironica’ delle poetiche contemporanee. At-
Due almeno gli aspetti complementari di questa at- tento osservatore del dada, partecipe all’edizione
titudine. Il primo riguarda le declinazioni nel regi- della rivista di Schwitters «Merz», era lui stesso di-
stro ludico e parodistico. Un autore tra i più impor- sposto ad ammettere questo principio: «I dadaisti
39

56 sono i primi che da una sovrabbondanza di forza ca tra la resa al processo di degrado organico degli
vitale e di ottimismo hanno prodotto in maniera oggetti, letteralmente espulsi dalla società moderna
non caricaturale la risata nell’arte». che ne ha fatto uso, e una possibile sopravvivenza
Scetticismo e autoironia, poste nell’alveo di una entro la logica formale del quadro.
compiaciuta e fanciullesca illogicità, non tardaro- Il secondo aspetto che discende dalla polarità tra
no ad assumere coloriture scatologiche. Lo si co- oscurità e ironia è la strenua rimozione d’ogni pos-
glie bene nel Manifesto del Signor Antipirina, dove sibile critica d’arte. «Qualsiasi commento all’opera
Tzara scrive: «Dada resta nel quadro europeo delle di Picabia – annotava Breton nel 1922 – farebbe
debolezze, è pur sempre merda, ma d’ora in poi l’effetto di una sovrastampa e non potrebbe essere
noi vogliamo cacare in colori diversi per decorare considerato che come un atto d’incomprensione».
il giardino zoologico dell’arte con tutte le bandie- Il valore di un’opera era del tutto indipendente dal-
re dei consolati». Il senso di rinascita infantile e le spiegazioni razionali dell’autore. La critica non
antiautoritario riconduceva la libera e spontanea era più descrizione, bensì riproposizione in poesia
soggettività individuale al recupero di forze prima- o in prosa del dispositivo creativo. Le pagine in cui
rie e derisorie. Alcune espressioni del dada, come Francis Picabia, Man Ray, Jean Arp argomenta-
la fontana-pisciatoio di Duchamp (scheda 12) e le rono le proprie opere non sono da leggersi come
performances oscene di Arthur Cravan si possono decodifica entro un linguaggio critico oggettivo. Il
leggere anche come elementi di un vero e proprio loro tentativo, piuttosto, era quello di far rivivere
universo scatologico. La stessa aggregazione, ap- sulla pagina, nella libera composizione sintattica, le
parentemente informe e coatta, dei quadri Merz di modalità compositive orchestrate con la manipola-
Schwitters (scheda 32) era il frutto di una dialetti- zione di forme e colori, in maniera non meno stra-
41. Man Ray
Regalo (Cadeau)
1921 (replica del 1958 circa),
ferro da stiro dipinto con una
fila di tredici chiodi incollati,
cm 15,3x9x11,4. New York,
The Museum of Modern Art

niante e sorprendente. Il discorso che ne conseguì, blasfemia, monomaniaco, grande appassionato di 59


fosse esso recensione o presentazione o descrizione collage, fu animatore del primissimo dada berlinese
d’opera d’arte, fu sempre più apertamente poetico, insieme a Hausmann, un sodalizio culminato nel-
e sempre meno canonicamente critico. l’allestimento di Grandezza e declino della Germania
È attraverso questo intreccio tra parola poetica e alla Fiera Dada del 1920.
autoriflessione critica, fra scrittura e disegno che La rivista «Der Dada» (fig. 16), diretta inizialmente
prese forma, nelle pagine della pletora infinita del- da Hausmann, poi con la collaborazione di Grosz e
le riviste dada diffuse un po’ in tutta Europa – ma Heartfield, non divenne solo l’organo del movimen-
anche nelle Americhe e in Asia – la vera, grande e to berlinese, tribuna delle rivendicazioni ideologi-
incommensurabile opera d’arte ‘totale’ del dada. che, ma anche una mirabile rassegna delle poten-
zialità creative del collage, del fotomontaggio e della
Dada a Berlino tipografia sperimentale, che andò ad alimentare i
Nel gennaio 1917 Richard Huelsenbeck ritornò percorsi della grafica europea negli anni a venire.
in Germania. Con la fondazione insieme a Raoul Il dada berlinese fu inoltre caratterizzato da una più
Hausmann di un Club dada Huelsenbeck diede esplicita e aggressiva anima politica, associata all’at-
avvio alla stagione del dada berlinese. In città era tività del bolscevismo tedesco. Tuttavia, nel primo
già attivo Johannes Baader, personaggio mitico, per manifesto berlinese, presentato nel febbraio 1918,
molto tempo rimasto oscuro e sottratto all’oblio sol- gli aspetti artistici erano ancora in primo piano. Il
tanto da pochi anni. Fu personalità megalomane e dada venne identificato nell’impiego dei nuovi mez-
bipolare, lettore di Nietzsche, ispirandosi al quale zi del collage e del fotomontaggio, e nella polemi-
si era autoproclamato «Oberdada»; processato per ca con le derive individualistiche della tradizione
42

42. George Grosz 1919, olio, mina di piombo, carte 43. Raoul Hausmann
Ricordati dello zio Augusto, e cinque bottoni incollati su ABCD
l’inventore infelice. Vittima della tela, cm 49x39,5. Parigi, Centre 1923-24, collage di carte e fotografie
società (Remember uncle August, Georges Pompidou, Musée e inchiostro su carta, cm 40,4x28,2.
the unhappy inventor. Ein Opfer der National d’Art Moderne Parigi, Centre Georges Pompidou,
Gesellschaft) Musée National d’Art Moderne
44. Johannes Baader
Collage A
1919, collage di fotografie
e ritagli di giornale su
carta montata su cartone,
cm 35x46,5. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne

62 espressionista. Ogni fuga interiore, ogni tentazione quadrarono le vicende di Hannah Höch, George
di rifugio nell’arte pura e nell’astrazione, ogni ten- Grosz, Otto Dix, Raoul Hausmann (schede 21-26).
denza speculativa e metafisica vennero nettamente Irriducibili a singola unità stilistica, i profili di questi
ricusate. Ora, dada non significa più nulla: dada ave- autori non mancarono tuttavia, pur nella dispersiva
va un nemico, ed era un nemico di classe. «Gli artisti ricchezza delle diverse tecniche espressive, di una
migliori – osservò Huelsenbeck – i più forti e i più precisa condivisione di poetica.
insoliti, sono quelli che in ogni momento, strappano La metropoli s’offrì come luogo per eccellenza delle
e ricostituiscono dal caos delle cataratte della vita, i contraddizioni del moderno: un teatro dove agiva
brandelli del loro corpo, quelli che, con le mani e il un’umanità derelitta e disperata. Qui figure ibride
cuore sanguinanti, afferrano con accanimento l’in- d’automi-mutilati di guerra, metà umani e metà
telletto della loro epoca». macchine, s’incrociavano con borghesi arricchiti,
Molti dei dadaisti tedeschi assecondarono questa vi- pescicani, obesi generali in disarmo, laide meretrici.
sione antagonista iscrivendosi al costituendo partito Più che una moderna ragione urbanistica, i profili
comunista tedesco. Nel primo numero della rivista netti e squadrati delle architetture contemporanee
«Der Dada» comparve un manifesto dove in aper- sembravano voler denunciare la disumana aliena-
tura si proclamava «l’associazione internazionale zione della metropoli. Essa venne assimilata a quel-
rivoluzionaria dei creatori e intellettuali del mondo le apparenze stranianti e metafisiche che l’accurata
intero sulla base del comunismo radicale» e, inoltre, e nitida resa pittorica rendeva ancora più evidenti
«l’immediata costruzione di un centro artistico di e incisive (schede 17 e 24). «L’uomo non è più un
Stato e l’abolizione del concetto di proprietà nella individuo da esaminare in termini di sottigliezza
nuova arte». Tale fu il tratto militante entro cui s’in- psicologica – spiegò Grosz – bensì un concetto
44
45. George Grosz 48. Inaugurazione della Prima
Wir treten zum Beten von Gott Fiera internazionale Dada nella
den Gerechten! Galleria Burchard a Berlino
illustrazione da Das Gesicht da sinistra: Raoul Hausmann,
der herrschenden Klasse: 57 Otto Burchard, Johannes
politische Zeichnungen, 1921, Baader, Wieland e Margarete
Berlino, Malik Verlag Herzfelde, George Grosz, John
Heartfield. Seduti: Hannah
46. George Grosz Höch e Otto Schmalhausen
Il detenuto: il meccanico John
Heartfield dopo il tentativo di
Franz Jung di farlo alzare in piedi
1920, acquerello, inchiostro,
collage, cm 41,9x30, 5. New
York, The Museum of Modern
Art

47. Prima Fiera internazionale


Dada (Erste Internationale
Dada-Messe)
manifesto, Berlino, 1920

45

64 meccanico e collettivo. Il destino individuale non tà tecnica espressa con l’uso virtuoso del collage.
interessa più». L’oggettività e la chiarezza di un di- Il rumore della grande città s’affiancò alla poesia
segno d’ingegnere erano preferibili a ogni trucco nel suo grado zero di onomatopea: era un radica-
del mestiere pittorico. le mimetismo che amalgamava lo slogan politico
Il nitore della pittura di Dix e Grosz, d’oggettività e l’enunciazione volitiva. «Dada siegt» – «Dada
e precisione fotografiche, costituì l’antidoto più ef- trionfa» – divenne la firma collettiva d’ogni opera-
ficace contro ogni residuo di patetica e individua- zione. Non ci si fermò infatti alla singola consisten-
listica soggettività di stampo espressionista, instra- za dell’opera. La vera produzione artistica stava al-
dandosi verso una satira ferocemente antiborghese trove, nel valore aggiunto delle riviste dada, dove
e di strenuo antimilitarismo (schede 24-26). l’agglutinazione d’immagine e parole prese forza
A pari grado, la drammaturgia della scena moderna d’impatto nella coscienza, interamente politica, di
venne innovata dal fotomontaggio di Hausmann un destinatario collettivo.
e Höch (schede 21-22). La discontinuità caotica Dopo aver progettato Dadaco, una prima antologia
e rapsodica dei loro fogli soppiantava ogni pos- insieme a Tzara, fallita nel 1919 a causa della rivali-
sibile linearità narrativa. I valori contrapposti del tà nel frattempo emersa, Huelsenbeck compilò nel
mondo borghese e della sovversione dada erano 1920 Dada Almanach (fig. 15), che rifletteva l’indo-
condensati in un registro di resa grafica straordi- le internazionale del movimento, con i contributi
nariamente efficace, che coniugava l’apodittica del di Arp, Tzara, Picabia, Soupault. Nella primavera
messaggio politico con la ridondanza ottica della del 1920 una tournée di serate dada organizzate da
réclame. Il valore ideologico del materialismo sto- Hausmann e Huelsenbeck toccò Dresda, Ambur-
rico era parificato al valore formale della materiali- go, Lipsia e Praga provocando scontri e incidenti.
L’agitazione culturale ebbe il suo culmine nella liano e delle avanguardie sovietiche, essi infatti mi-
Prima Fiera Internazionale Dada, che ebbe luogo ravano a una nuova sintesi tra l’arte d’avanguardia
nel giugno 1920 presso la galleria di Otto Bur- e la tecnologia, senza rinunciare a una spettacolare
chard a Berlino (fig. 48). Il testo di presentazione messinscena. Nelle stanze della fiera alcune tra le
della Dada Messe fu redatto dal fratello di Heart- più indicative opere del movimento, come Tagliato
field, lo scrittore Wieland Herzfelde, il quale l’an- con il coltello da cucina di Hannah Höch, Tatlin a
no seguente pubblicò per le edizioni Malik-Verlag casa sua e Testa meccanica di Hausmann (fig. 49 e
il pamphlet Gesellschaft, Künstler und Kommu- schede 21-23) furono affiancate da chiassose affi-
nismus (Società, artista e comunismo), un’analisi ches, sperimentazioni tipografiche, mentre il ma-
marxista del rapporto tra arte e società. nichino di un militare era appeso direttamente al
L’intento parodistico della Fiera era evidente sin soffitto. L’esperienza della pittura, al contrario di
dalla scelta di annunciarla come evento commer- quanto faceva Duchamp, non era tuttavia negata,
ciale, anziché come una convenzionale esposizio- quanto piuttosto rimessa in discussione alla luce
ne. L’allestimento infatti mirava a testimoniare le dei nuovi apporti delle sperimentazioni grafiche e
differenti pratiche artistiche dei dadaisti berlinesi. visuali: «Dada – dichiarò Huelsenbeck – persegue
Dietro le molteplici suggestioni del futurismo ita- l’uso dei nuovi mezzi in pittura».

66

47
Mentre una pleiade di riviste s’incaricava di elabo- La declinazione del dada berlinese comprese certo
rare e diffondere la versione ideologicamente più un’innovazione legata a specifiche tecniche espres-
agguerrita del dadaismo, è pur vero che in seno sive. La funzione prioritaria di queste ricerche non
al dada tedesco maturò, grazie agli apporti della fu tuttavia quella di un astratto ordine formale. Esse
pittura di Ernst, Arp e Schwitters, e della grafica vennero bensì concepite nella logica dei destinata-
di Höch, Hausmann e Heartfield, una vera e salda ri. Parimenti essenziale fu la rivendicazione di un
elaborazione di linguaggi visivi. diverso ruolo sociale dell’artista. «Dada non è il
D’altra parte, l’esplicito orientamento ideologico pretesto per le ambizioni di pochi uomini di lette-
richiedeva un codice visivo il più possibile chiaro re», chiarì infatti Huelsenbeck: dada era uno stato
e oggettivo, calato nella realtà del tempo, forma- d’animo, che come gli orientamenti politici d’ogni
lizzato nei modi di una più efficace resa empatica persona si poteva riconoscere da un semplice scam-
del messaggio: vale a dire, del suo chiaro e imme- bio di battute. In certe circostanze, aggiunse l’auto-
diato impatto politico nei confronti di un destina- re, essere un dadaista poteva significare essere un
tario che s’identificava con le masse cittadine, più uomo d’affari o un politico invece che un artista.
che con il pubblico di conoscitori o collezionisti Calati entro un simile engagement, gli artisti restaro-
borghesi. no propriamente tali solo in maniera occasionale.

67

48
49. Raoul Hausmann
Tatlin a casa sua (Tatlin Lebt zu
Hause)
1920, fotomontaggio, stampe
ai sali d’argento su cartone,
cm 41x28. Stoccolma, Moderna
Museet

È questa la ragione che spinse Grosz, Dix, Höch, tività d’ordine espressionista ancora permanenti 69
Hausmann e molti altri protagonisti del dada ber- nel Novembergruppe. Essi aprirono così una dissi-
linese a sottoscrivere, nel giugno 1921, una lettera denza che, su posizioni d’estrema sinistra, procla-
aperta al Novembergruppe. Era questo un soda- mava esaurita ogni traccia di formalismo estetiz-
lizio che aveva presentato già alla fine del 1918 zante. I dadaisti vollero rivendicare un’arte «non
una piattaforma di rivendicazioni in nome di una oggettiva» (cioè astratta), che fosse funzionale ai
rigenerazione morale della Germania. Gli autori bisogni delle classi popolari emergenti. Dietro
erano però rimasti vincolati a una generica volontà simili posizioni non era difficile cogliere l’evolu-
interclassista e a un’alleanza tra le giovani energie zione, in senso massimalista, di quell’alleanza tra
creative, senza ricusare la tradizione tedesca del- riformismo e funzionalismo promossa dal 1919
l’espressionismo, quella che già Hausmann aveva con il Bauhaus di Walter Gropius. In un testo
definito «crisi mondiale della falsità romantica» del 1921 Grosz profetizzò che la pittura, lavoro
(«Der Dada», giugno 1919). Anche Huelsenbeck manuale come ogni altro, avrebbe trovato il suo
aveva denunciato la «candidatura dalla rispettabi- spazio nelle botteghe e nei laboratori, in una pra-
lità del riconoscimento borghese» e le «formalità tica di puro artigianato, anziché restare confinata
astratto-patetiche» dell’espressionismo, rivendi- nei sacri templi dell’arte borghese. Una sintesi tra
cando dada come il primo movimento che non rivoluzione politica e rivoluzione culturale sem-
guardava più alla vita dall’angolazione dell’esteti- brava, nella Germania di quegli anni, un obiettivo
smo. ancora possibile. Ma, come si vede, l’ammirevole
La mossa dei dadaisti metteva impietosamente al- volontà e l’utopia di questi autori non impedirono
l’indice ogni residuo d’individualismo e di sogget- ingenuità e contraddizioni. Questi nodi saranno
50. John Heartfield
Milioni stanno dietro di me!
(Millionen Stehen Hinter Mir!)
copertina per «AIZ» («Arbeiter
Illustrierte Zeitung»), 16
ottobre 1932, litografia.
Collezione privata

70 sciolti nel corso degli anni successivi e non sempre Dada a Parigi
in maniera indolore. Dopo l’entusiasmante incontro con «Dada 3», al-
Da parte sua, John Heartfield incarnò la più fiera l’inizio del 1919 Breton, Aragon e Soupault fonda-
opposizione alle pratiche ancora estetizzanti del- rono la rivista «Littérature». Il primo numero uscì
l’avanguardia. I suoi fotomontaggi presto perdet- in marzo, contestualmente al rientro di Francis Pi-
tero l’ambiguità semantica e la discontinuità com- cabia, che presentò non senza controversie ai Salon
positiva degli esordi, avviandosi verso un’omoge- parigini le sue opere ‘meccanomorfe’ come Parade
neità narrativa in grado di associare al messaggio amoureuse e L’Enfant carburateur (schede 13 e 19).
visivo la chiarezza didascalica dello slogan politico «Dada 4-5», uscito a giugno come Antologie Dada, e
rivolto al destinatario collettivo. l’ottavo fascicolo di «391» (fig. 25) documentavano
Heartfield divenne il primo grafico dell’«Arbeiter lo stretto dialogo avviato nel gennaio 1919 a Zurigo
Illustrierte Zeitung» («AIZ»), l’organo del partito tra Tzara e Picabia, primo passo verso la saldatura
comunista che grazie ai suoi interventi divenne un dei due fronti. Tutti gli autori infatti erano presenti:
formidabile strumento di propaganda culturale Arp, Eggeling, Hausmann, Huelsenbeck, Richter,
per le masse. Le sue tavole divennero tra gli incu- Kandinsky, Klee, e la triade di «Littérature».
naboli della comunicazione politica del Novecento A luglio rientrò da New York anche Marcel Du-
(fig. 50). champ, che diede subito il suo contributo con due
Dinanzi a questi sviluppi, Huelsenbeck volle tirare ready mades, L.H.O.O.Q. (scheda 20) e il flacone
sbrigativamente le proprie conclusioni: «Dada è di 50 cc de Paris (fig. 52) che fu portato negli Sta-
un affare germano-bolscevico». Ma a Parigi, natu- ti Uniti per ‘documentare’ la rinnovata atmosfera
ralmente, non era così. d’avanguardia.
50
In novembre Picabia fece uscire il primo nume- nunciò i programmi, non privi di toni millantatori
ro parigino della sua rivista «319», che seguendo e strali antiborghesi. A fianco di un disegno di Pi-
l’esistenza irrequieta ed erratica dell’autore tra cabia si poteva leggere, ed è solo un esempio: «Voi
New York, Barcellona e Zurigo aveva raccolto e non comprendete ciò che noi facciamo. Ebbene
organizzato i fermenti più vivi delle avanguardie. cari amici, noi lo comprendiamo ancora meno».
Con l’arrivo infine di Tristan Tzara da Zurigo, In questa fase, l’identità visiva fu affidata alla mano
nel gennaio del 1920, prese avvio la più intensa fase di Picabia, che tracciò con ammirevole leggerezza
del dada parigino. Mutuando la strategia del Ca- l’impervia oscurità delle sue simboliche composi-
baret Voltaire, quello che seguì nei mesi successivi zioni meccaniche.
fu un estenuante tour de force di serate di letture La presenza di Duchamp era senz’altro più sfuma-
poetiche, incontri e manifestazioni. ta, ma di non minore importanza. Suoi alcuni tra i
La pubblicazione di periodici più o meno effimeri più rappresentativi ready mades, come Perché non
si affiancò a serate che proponevano un program- starnutire, una gabbietta per uccelli, riempita di
ma di recite, esecuzioni musicali, proclami ‘teorici’ «zollette di zucchero» in marmo, dove l’apparente
e presentazioni di quadri e sculture. Un «Bulletin levità dell’oggetto veniva contraddetta dal suo peso
dada», formalmente il sesto fascicolo della serie, an- reale. Sue le intromissioni sub specie Rrose Sélavy

51. Francis Picabia 73


Movimento Dada
(Mouvement Dada)
1919, penna e inchiostro su
carta, cm 51,1x36,2. New York,
The Museum of Modern Art

52. Marcel Duchamp


Scultura (50 cc di Parigi)
1919, vetro, h. cm 13,3.
Filadelfia, Museum of Art

53. Marcel Duchamp


Perché non starnutire, Rrose
Sélavy? (Why Not Sneeze, Rrose
Sélavy?)
1921, gabbia per uccelli in
metallo dipinta, cubetti di
marmo, piatto di porcellana,
termometro, osso di seppia,
cm 12,4x22,2x16,2. Filadelfia,
Museum of Art

54. Marcel Duchamp


Monte Carlo Bond (n. 12)
1924, collage di foto ai sali
d’argento su stampa litografica
con testo, cm 31,2x19,3.
New York, The Museum of
Modern Art

52
o operazioni come Monte Carlo Bond, l’emissione sca di Picabia con lo spazio prospettico vertiginoso
di trenta buoni nel tentativo, fallito, di sbancare la e allucinato del De Chirico metafisico producendo
roulette (figg. 53 e 54). così opere senz’altro meno tipiche, rispetto a Pi-
La centralità della coppia Picabia-Duchamp sem- cabia, ma giudicate più malleabili in associazione
brava rispecchiare la diarchia cubista Picasso- alla parola scritta (schede 33-34): e, sia detto, più
Braque: ma Duchamp liquidò tali paralleli come rassicuranti per il mai sopito senso di primato delle
casi beffardi di «pederastia artistica». gens de lettres parigine.
Una prima alternativa a queste operazioni, che de- Dinanzi all’inesausto movimentismo di Tzara, che
notarono senz’altro il codice più incisivo del dada non poteva disgiungere produzione poetica e atto
parigino, fu offerta dall’opera di Max Ernst, pre- gratuito e irruento, iniziarono a emergere le prime
sentata da Breton presso la galleria Au Sans Pareil, discordanze. A essere messo in discussione non era
sede delle omonime edizioni, nel maggio 1921. Ri- tanto l’assalto al sistema culturale, quanto la stra-
spetto all’incontrollabile ego di Picabia e alle ope- tegia complessiva d’intervento. Tzara, rumeno tra-
razioni elusive di Duchamp, i letterati parigini si piantato a Parigi, e con lui Picabia, d’origine spa-
trovarono senz’altro più a loro agio con Ernst. Il gnola, potevano e volevano rifiutare, con somma
pittore era in grado di mediare la meccanica grotte- noncuranza, ogni aspetto della tradizione letteraria

74

53
o artistica francese. Il gruppo di «Littérature» era Contro l’opportunismo delle istituzioni letterarie e
assai più cauto. Il parricidio andava compiuto con artistiche che ambivano ad assimilare dada nel no-
accuratezza e secondo una precisa ritualità. All’av- vero di una pratica di canonica modernità, Picabia
venturismo anarcoide di Tzara essi preferirono una rivendicava il proprio disinteresse, libertario e iro-
tattica cauta, non priva d’ambiguità e reticenze. nico, come essenza stessa della creazione artistica:
Il primo a trarne le conseguenze fu Francis Pica- «Non ho mai scritto per me, non ho mai dipinto
bia, che in un articolo sul periodico «Comoedia» per me, non ho mai fatto nulla per me; i miei libri
annunciò nel maggio 1921 la sua separazione da sono delle avventure, i miei quadri anche». La pre-
dada: «Lo spirito Dada è esistito veramente solo sentazione de L’Œil Cacodylate (fig. 56 e scheda
dal 1913 al 1918, epoca durante la quale non cessò 30) al Salon d’Automne del 1921 ratificava questa
di evolversi, di trasformarsi; a partire da quel mo- decisione con un beffardo dipinto-proclama.
mento è diventato tanto poco interessante quanto Le accuse incrociate di arrivismo, mondanità, set-
la produzione della Scuola di Belle Arti o le elu- tarismo si colorirono in certi casi di toni sciovinisti
cubrazioni offerte dalla Nouvelle Revue Française. e nazionalisti, spie di mai sopite conflittualità; e
[...] Bisogna essere nomadi, attraversare le idee tuttavia, ciò non impedì nel biennio successivo una
come si traversano paesi e città». capillare penetrazione del dada. È peraltro vero

76

55
che l’intera gamma d’operazioni e strategie si po- siderato da noi che come l’immagine grossolana
teva riassumere nell’antitesi tra i ‘terroristi’, come d’uno stato d’animo che non ha per nulla contri-
Tzara e Picabia, accomunati dall’individualismo buito a creare». Breton iniziava così a smarcarsi dal
nichilista e ondivago, e i ‘retori’ come Breton, di- movimento, per giungere all’eloquente proclama
sposti a salvare gli equilibri del mondo letterario e Lasciate tutto («Littérature», aprile 1922): «Dare la
artistico e a ricondurre la sovversione entro le re- propria vita per un’idea, dada o quella che svilup-
gole del gioco. Questo fu il senso di eventi come il po in questo momento, non potrebbe esser prova
Salon dada del 1921, e ancor più della farraginosa che d’una grande miseria intellettuale».
proposta di Breton d’avviare un «Congresso per la Ma intanto erano state avviate le grandi manovre
determinazione delle direttive e la difesa dello spi- per tradurre idealità e motivi del dada nell’alveo
rito moderno», per dare ordine al flusso incontrol- di un nuovo movimento, che avesse l’imprimatur
labile dello spontaneismo di Tzara. Ne sortì una della società letteraria parigina. Lo stesso Breton
violenta rottura tra i due, che segnò in polemica si era fatto ricevere da Freud nell’ottobre del 1921,
buona parte del 1922. mentre Tzara lavorava a fianco di Arp e di Ernst.
In un articolo programmaticamente intitolato Dopo Scrivere, come fece Soupault nel 1922, che «dada
Dada, Breton scrisse: «Dada non è mai stato con- non è morto per la buona ragione che non può mo-

55. Exposition Dada Max Ernst 77


manifesto-catalogo, Parigi, Au
Sans Pareil, 1921

56. Francis Picabia


L’occhio cacodilato (L’Œil
Cacodylate)
1921, olio su tela e collage,
cm 148,6x117,4. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne

57. Soirée du Cœur à Barbe


manifesto-programma del
Théatre Michel, 6-7 luglio
1923. Berlino, Standort
Staatsbibliothek, Preußischer
Kulturbesitz

58. Francis Picabia


Illustrazione per ‘Cahiers d’un
mammifère’ di E. Satie
«391», n. 17. Parigi, 1924

56
57
rire, o, se preferite, che non è mai esistito» voleva lezione veniva rivendicata da opposte e irriducibili
dire celebrare nel dada un concetto ineffabile, e fazioni letterarie.
per questa via pervenire a un’appropriazione del- Un ultimo sussulto si registrò con la Soirée du Cœur
le migliori energie e intuizioni del movimento. Per à Barbe del marzo 1923, accompagnata da una
tutto il 1922 «Littérature» recitò il requiem a dada, plaquette dove lasciava il segno anche Rrose Sélavy
arrogandosi il diritto di parlar da Parigi a nome di («Il faut dire: La crasse du tympan, et non la sacre
tutti. du printemps»; fig. 57). La serata comprese la pre-
Benjamin Péret affermò: «Non si prova oggi più sentazione di un poema di Tzara e uno spettacolo
sorpresa a leggere una poesia dada che una poesia di danza con i costumi di Sonia Delaunay e le sce-
simbolista o cubista. Molti aspettano che esca “la ne di Theo van Doesburg. Ma fu anche l’occasione
poesia dadaista in venti lezioni”». A onor del vero, per proiettare i due film Le Retour à la raison di
a Tzara ne erano bastate molte meno per mettere in Man Ray e Rhytmus 21 di Hans Richter.
ridicolo i precetti letterari d’ogni specie. Nel nome del film ‘assoluto’ si compiva la parabola
Le polemiche che s’intrecciarono per tutto il 1922 del dada parigino. L’anno seguente al teatro degli
sulle gazzette parigine furono il sigillo definitivo al- Champs-Elysées venne presentato Relâche, due atti
l’esperienza avviata nell’ormai lontano 1916, e la cui su testi e scene di Picabia con musica di Erik Satie.

79

58
59. George Grosz
Prima del tramonto
1922, incisione acquerellata,
dalla serie Ecce Homo, n. 15.
Berlino, Staatliche Museen,
Kunstbibliothek

60. George Grosz


Il crepuscolo
1922, incisione acquerellata,
dalla serie Ecce Homo, n. 16.
Berlino, Staatliche Museen,
Kunstbibliothek

61. Otto Dix


Pranzo nelle trincee
(Mahlzeit in der Sappe),
dalla cartella Der Krieg
(La guerra), n. 13, 1924,
acquatinta, cm 35,3x47,5.
Berlino, Staatliche Museen,
Kupferstichkabinett

80 Nell’intervallo fu proiettato Entr’acte di René Clair, l’altro era la risposta ugualmente drammatica degli
sceneggiato da Picabia: «Un intermezzo al Cinema, intellettuali dinanzi a una società che aveva revocato
un intervallo alle suggestioni, un intervallo all’idea loro il mandato.
di mercantilismo». In una sequenza divenuta famo- Interpretato con Freud, l’antidogmatismo dada di-
sa, si possono vedere Man Ray e Marcel Duchamp viene a Parigi il bacino di coltura del surrealismo.
giocare a scacchi sopra il tetto di un edificio. Studiato attraverso Marx, esso diede avvio a un fun-
zionalismo radicale e a un tentativo di palingenesi
Anarchia e impegno sociale.
Nel 1923 Picabia pubblicò su «Littérature» un testo Dopo la rottura tra Breton e Tzara nel 1922 agli arti-
assai importante per capire le ragioni specifiche del sti restò un margine ristretto.
dada parigino, l’inesausta ironia delle sue invenzioni, Vi fu chi trovò del tutto naturale partecipare all’ela-
la teatralità sardonica: «Ciò che mi piace è inventa- borazione della poetica surrealista. Max Ernst prestò
re, immaginare, fare di me stesso un uomo nuovo in sin dall’inizio alla causa il proprio talento visionario
ogni momento, e subito dimenticarlo, dimenticare e l’indubbia proteiforme ricchezza della sua pittura.
tutto. Io sono un clown. E comunque, io non ab- Gli undici collage che aveva pubblicato in Répéti-
bandono la speranza che nulla è già finito, io sono tions di Paul Éluard nel 1922 furono di capitale
qui, e con me parecchi amici che hanno amore della importanza. Non più illustrazione di un testo, essi
vita, una vita che non conosciamo e che ci interessa funzionavano come equivalenti simbolici, dispositivi
proprio per questa ragione». visivi che concordavano pienamente con l’elabora-
I dadaisti berlinesi ambivano a ridurre l’artista a un zione della parola poetica. Una parte non secondaria
funzionario, i parigini a un clown. In un caso e nel- del vocabolario visivo del dada confluì in tal modo
nella formazione del surrealismo, che con definitiva teorizzare lo sviluppo dell’ottofonetica, ossia la fu-
concisione Tzara definì «le dadaïsme sans le rire». sione di testi lirici e di tipografia espressiva, verso la
Su un piano radicalmente opposto agirono i tedeschi. sincronia formale tra registrazione sonora e immagi-
Nel 1924 Grosz e Heartfield furono condannati per ne astratta. Per altri autori, come Viking Eggeling,
oscenità a seguito della pubblicazione della cartella prematuramente scomparso nel 1925, la sperimenta-
Ecce Homo. Otto Dix pubblicò Der Krieg (La guer- zione cinematografica divenne il naturale esito della
ra), una serie di cinquanta incisioni in occasione del coscienza artistica rinnovata dalle nuove tecnologie.
decennale del conflitto. La satira sociale e la militan- Il film Symphonie diagonale di Eggeling costituì, al
za politica mantennero Grosz e Dix estranei a quel pari delle pellicole di Richter, Duchamp, Man Ray
rinnovamento della tradizione figurativa che il critico e Clair, il contributo più importante al cinema delle
Franz Roh battezzò nel 1925 come «realismo magi- avanguardie storiche e uno dei primi film astratti in
co». Nella sua convenienza piccolo-borghese, tale sti- assoluto.
le era ben altra cosa rispetto ai referti corrosivi d’ope- Sotto il titolo di Der absolute Film, Entr’acte di Picabia
re come Pilastri della società (scheda 37). e Symphonie Diagonale di Eggeling furono presentati
Raoul Hausmann prese a dedicarsi al teatro speri- a Berlino nel 1925, in uno spettacolo di cinema speri-
mentale e ai primordi del film sonoro, giungendo a mentale organizzato dal Novembergruppe.

83

61
62. Viking Eggeling
Studio per Symphonie diagonale
1919, mina di piombo su carta,
cm 26x20. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne
Per artisti come Arp o Schwitters, a loro modo fe-
deli a una concezione dell’immagine assoluta, vale
a dire anche astratta, si poneva un dissidio tra il
massimalismo delle avanguardie costruttiviste, ora-
mai avviate a discutere le forme di una produzione
artistica collettiva, e le varie forme d’evasione più
o meno decorativa di tanto blando razionalismo.
A questo proposito Hans Richter intervenne in nome
degli artisti costruttivisti di Svizzera, Scandinavia, Ro-
mania e Germania al Congresso dell’Internazionale
degli artisti progressisti, che si tenne a Düsseldorf nel
maggio 1922, rivendicando la necessità di una ricer-
ca artistica collettiva e di una forma di produzione
che rinunciasse a «immortalare l’esperienza spirituale
privata».
Pochi mesi dopo si tenne a Weimar, la città del
Bauhaus, il Congresso internazionale dei costruttivi-
sti e dei dadaisti. Vi si ritrovarono autori come Tzara,
Arp e Schwitters e i protagonisti delle nuove tenden- 85
ze della scuola sovietica, come El Lissitzky e Lázló
Moholy-Nagy. Nella condivisione di una forte carica
anticapitalista, essi tuttavia rappresentavano, rispetti-
vamente, le posizioni difficilmente conciliabili dello
smascheramento sarcastico e provocatorio della so-
cietà borghese e della creazione di una nuova realtà
sociale, non solo artistica, a partire dalla formulazio-
ne di leggi oggettive. Si trattava di una sintesi troppo
vasta e ambiziosa, che non poteva produrre, al di là
della spinta utopistica e degli ideali universali delle
due componenti, un’effettiva agenda comune. Oltre
questa impasse, restava la comune proclamazione a
mettere l’arte al servizio della società con intenzioni
d’impegno politico.
Alla conclusione del congresso Schwitters, Arp, Tza-
ra e van Doesburg intrapresero una breve tournée
europea che si concluse a Hannover.
Grosz si recò in Russia, dove incontrò Vladimir Ta-
tlin e fu ricevuto da Lenin e Trotzky. Restò disilluso e
abbandonò il partito comunista tedesco.
86

63. Viking Eggeling


Studio per Orizzontale-verticale,
orchestra, III
1920, mina di piombo e matita
grassa su carta, cm 33,5x68,5.
Parigi, Centre Georges
Pompidou, Musée National
d’Art Moderne
87
64. Kurt Schwitters
Merz
1927, composizione tipografica.
New York, The Museum of
Modern Art

88 Duchamp tornò a New York e lavorò sottotraccia, dada: «Merz significa tolleranza per quanto riguarda
con lo pseudonimo di Rrose Sélavy. tutte le cose secondarie, come materiale e motivo; per
Nel 1923 Schwitters iniziò a pubblicare la rivista contro esigenza di una realizzazione formale coerente
«Merz», che uscì fino al 1932, e a elaborare il proget- al fine dell’espressione».
to Merzbau (scheda 35). Scriverà l’autore: «La paro- Lo stesso Schwitters, insieme a van Doesburg, Arp
la Merz significa nella sua essenza l’assemblamento e Tzara, sottoscrisse inoltre un Manifesto dell’arte
di tutti i materiali possibili e immaginabili per scopi proletaria, pubblicato su «Merz» nel 1923. Era un
artistici, e in senso tecnico l’uguale valorizzazione di chiaro tentativo di reagire alla stretta ideologica im-
principio dei singoli materiali. La pittura Merz mira posta nella Russia sovietica, a difesa quindi di un’arte
all’espressione immediata abbreviando il cammino che non fosse al servizio di una classe sociale, ben-
che separa l’intuizione dall’atto di visualizzazione del- sì espressione di «un’opera d’arte totale»: «L’arte
l’opera d’arte». Indomito sperimentatore, Schwitters come noi la vogliamo non è proletaria, né borghese,
s’impegnò nella poesia fonetica astratta, che culminò perché esprime forze in grado, da sole, di influen-
nella composizione di Ursonate: «La poesia Merz è zare tutta la cultura, senza lasciarsi influenzare dai
astratta. Analogamente alla pittura Merz usa come rapporti sociali».
componenti frasi fatte di giornali, manifesti, catalo- Dinanzi al rinnovato nesso funzionale tra arte e
ghi, discorsi, con o senza modifiche. Questi brani non società, era logico che l’anarchia lasciasse spazio
hanno bisogno di adattarsi a un senso, perché il senso a una rigorosa programmazione. L’esito del dada
non c’è più. Determinate voi stessi cosa è poesia e cosa sta anche nella formulazione, solo apparentemen-
è cornice». Schwitters volle sempre contrapporre la te paradossale, che Hans Richter tracciò in un
densità dell’opera Merz alla privazione di senso del testo del 1923: «L’esigenza fondamentale della
64
65

65. El Lissitzky, Jean Arp


Kunstismus 1914-1924
copertina, Zurigo, Eugen Rentsch,
1925. New York, The Museum of
Modern Art
66

66. Aleksandr Rodchenko


L’Art Decoratif et Industriel de l’U.R.S.S.
copertina, Moskow, Comité de la
Section de l’U.R.S.S. à l’exposition
internationale des arts décoratifs, 1925.
New York, The Museum of Modern Art
67. Marcel Duchamp
Cuneo di castità (Coin de
chasteté)
1954, gesso in due parti,
parzialmente dipinto,
cm 6,9x10x6,1. New York,
The Museum of Modern Art

92 figurazione elementare è economia. Puro rappor- Dada ora e sempre


to di forza e di materiale. Ciò presuppone mezzi Duchamp aveva smesso di dipingere nel 1913. Dal
elementari, loro completo controllo, ordine ele- 1920 si era dedicato a una sorvegliatissima produ-
mentare, regolarità». zione di ready mades, con qualche incursione nel
La parabola del dada dall’iniziale forza ultraro- cinema, con lo pseudonimo di Rrose Sélavy. Fu poi
mantica e distruttiva a mozione ideologicamente consulente per la Sociétè Anonyme di Katherine
costruttiva, nell’espressione delle avanguardie Dreyer, una fondazione di New York dedita alla
razionaliste e costruttiviste degli anni Venti, non promozione e alla documentazione dell’avanguar-
potrebbe qui essere dichiarata meglio. La si po- dia europea. Nel 1921 curò insieme a Man Ray il
trà seguire nella grafica di gusto modernista di El numero unico «New York Dada». Si dedicò inten-
Lissitzky, di Rodchenko, dello stesso Heartfield. samente al gioco degli scacchi e nel 1926 presentò
Nel 1925 Arp partecipò alla prima esposizione il Grande vetro all’International Exhibition of Mo-
del gruppo surrealista presso la Galerie Pierre a dern Art di New York.
Parigi, ma già l’anno successivo si associò, insie- La serena oscurità della sua esistenza fu interrotta
me a Schwitters, al gruppo Cercle et Carré. Tale negli anni Quaranta da un fascicolo della rivista sur-
sodalizio promuoveva un’astrazione geometrica e realista «View» a lui dedicato. Per la prima mono-
stilizzata che divenne una vera lingua franca per grafia si dovette attendere il 1959.
le avanguardie pittoriche europee (e poi anche Picabia riemerse nel dopoguerra grazie a una se-
americane) fra gli anni Trenta e Quaranta. Arp ne rie di pitture strabilianti, perlopiù tratte da foto
fu indiscusso maestro, per la resa elegante delle di riviste erotiche, di un verismo talmente esibito
sue pitture e sculture organiche (scheda 38). e cromaticamente volgare da configurarsi come
93
68
68. Marcel Duchamp
Si prega di toccare (Prière de
toucher)
1947, gommapiuma e velluto
montati sulla copertina del
catalogo Le Surrealisme en
1947, cm 41,8x34,7x7,1. Parigi,
Centre Georges Pompidou,
Musée National d’Art Moderne

opere postmoderne ante litteram, anticipando un ristiche: servono da mezzo reclamistico e vengo- 95
certo «ritorno alla figurazione». Nello stesso tem- no ripetute tante volte da lasciare un’impressione
po produsse pitture ‘astratte’ in una mescolanza indelebile. La religione per mezzo della croce, il
deliberata e psicotica, irriducibile a ogni ipotesi dentifricio Odol con la forma del flacone curvo,
evolutiva, comunque assai istruttiva per un’intera Nietzsche con i suoi folti baffi, Oscar Wilde per la
generazione di pittori dell’Informale europeo. sua omosessualità, Tolstoi con il caffetano e i san-
La pratica delle neoavanguardie degli anni Cin- dali!». Esiste forse un miglior regesto, mutatis mu-
quanta e Sessanta dovette a Duchamp l’intuizio- tandis, dell’attitudine pop alla disinvolta mesco-
ne di un’operosità diretta al mondo degli oggetti lanza tra alto e basso, alla retorica dell’accumulo e
reali, idea senza la quale non vi sarebbero stati né della serialità, all’idolatria feticistica per i prodotti
il new dada di Jasper Johns e di Robert Rauschen- commerciali e relativa iconografia di consumo?
berg, né il nouveau réalisme (presentato dal critico Tuttavia, nel corso degli anni Sessanta, il distacco
Pierre Réstany con lo slogan «40 degré au dessus contemplativo di Duchamp e la sua lettura silen-
de dada») né la pop art. ziosamente ironica degli oggetti industriali pro-
È noto il giudizio di Duchamp su Warhol: «È in- dotti dalla modernità potevano apparire anacro-
teressante non che abbia dipinto un barattolo di nistici, come cercò di denunciare nel 1964 l’artista
Zuppa Campbell’s, ma che ne abbia dipinti così tedesco Joseph Beuys, in una performance che si
tanti». Ma è bene ricordare anche quanto pote- concluse con la minacciosa e assai intempestiva
va scrivere Theo van Doesburg già nel 1923: «Per iscrizione «Il silenzio di Duchamp è sovrastima-
il dadaista, l’umanità è spinta da istinti feticisti a to».
lasciarsi accecare da determinate insegne caratte- In realtà il silenzio di Duchamp s’interruppe un
anno dopo la sua morte, nel 1969. L’installazione, bile. Replica esatta di un modello della prospettiva
che l’autore stesso volle postuma, di Dati nel mu- rinascimentale, essa diviene parodia della figura
seo di Filadelfia costituì una delle sue proposizio- metaforica della finestra aperta sulla natura con
ni più radicali (scheda 39). Noto scolasticamente cui Leon Battista Alberti teorizzò la prospettiva.
per essere l’autore di opere concettuali, Duchamp L’esperienza visiva si offre però nella sua com-
consegnò un’opera che, nello smaccato naturali- pletezza solo a una persona per volta. Mentre lo
smo della sua impressionante cura artigianale, non spettatore osserva la raffigurazione erotica attra-
lasciava nulla all’immaginazione. verso il buco nella porta, come in una sorta di peep
Collocata nello spazio del museo, ovvero nel luogo show, ha la coscienza d’essere lui stesso esposto
che l’estetica moderna aveva storicamente cano- allo sguardo degli altri.
nizzato alla fruizione condivisa di quanto è chia- Facendo coincidere il centro del cono di visione
mato arte, Dati sovvertiva l’ideologia dell’ambien- con il sesso femminile, Dati spinge a un’immede-
te espositivo come esperienza pubblica, grazie alla simazione pressoché fisica. Questa esperienza non
sua natura perversa di opera nascosta. trascende il corpo dell’osservatore, nella misura
La porta dietro cui è collocata l’opera è infatti della sua capacità di percepire – come figura a sua
l’unica forma visibile e al tempo stesso condivisi- volta oggetto di sguardi – la vergogna.

96 69. Veduta di una sala della


mostra ‘Dada, Surrealism, and
Their Heritage’
1968. New York, The Museum
of Modern Art

70. Marcel Duchamp


Dati: 1) la caduta d’acqua 2)
il gas d’illuminazione [Étant
donnés: 1) la chute d’eau 2) le
gaz d’éclairage]
1946-68, installazione,
cm 242,6x177,8. Filadelfia,
Museum of Art

71. Marcel Duchamp


Con la lingua nella mia guancia
(With my tongue in my cheek)
1959, gesso, matita e carta
montata su legno, cm 25x150.
Parigi, Centre Georges
Pompidou, Musée National
d’Art Moderne

72. Marcel Duchamp


Autoritratto di profilo
1960, carta ritagliata. Collezione
privata

69
70
99

72

L’osservazione dell’opera impedisce quel distacco Duchamp decise di svelare l’inerzia delle nostre
contemplativo dall’oggetto e quella condivisione abitudini visive. Dimostrò la presunzione nel vo-
dello sguardo su cui si fonda tradizionalmente il lersi considerare spettatori distaccati e analitici nei
giudizio estetico. confronti dell’arte. Lo spettatore è sempre, anche,
Il dispositivo finale prodotto da Duchamp istitui- autore e produttore di senso. Assume così valore
sce la più radicale e feconda critica alla percezio- universale e irreversibile quella che è senz’altro la
ne ‘retinica’ e all’ideologia visiva sottesa a ciò che sentenza definitiva di Duchamp: «Mi comporto
chiamiamo opera d’arte. Come suo ultimo atto, da artista anche se non lo sono».
Opere
C
1. Marcel Duchamp ompiuti gli studi liceali a
Ritratto del padre dell’artista Rouen, Marcel Duchamp
raggiunse nel 1904 il fratello
(Portrait père) Jacques a Parigi. Qui s’iscris-
se all’Académie Julian, una
1910
olio su tela, cm 92 x 73 scuola d’arte privata dove,
Filadelfia, Museum of Art per stessa ammissione del
pittore, non imparò altro che a disprezzare l’inse-
gnamento accademico. Tuttavia, il primo soggiorno
parigino consentì al giovane pittore un accorto con-
fronto con la tradizione del postimpressionismo, nel
cui stile eseguì le sue primissime opere. Il biennio
1909-1910 fu invece caratterizzato dalla scoperta e
dallo studio della pittura di Cézanne, di cui questo
ritratto è caso esemplare.
Il padre Eugène, notaio a Rouen, era un borghese
facoltoso che ebbe il merito di non ostacolare la vo-
cazione artistica comune ai fratelli Duchamp: oltre
102 a Marcel, Gaston, che diverrà pittore con il nome
di Jacques Villon, Raymond Duchamp-Villon, scul-
tore, morto durante la Grande guerra; e le sorelle
Suzanne, che sposerà il pittore Jean Crotti, Yvonne
e Madeleine. Come ricorderà Duchamp, il padre
aveva riservato ai fratelli una piccola rendita che
consentì loro di intraprendere con libertà la carriera
artistica.
Questo dipinto lega la novità stilistica indotta da Cé-
zanne, la cui fortuna era cresciuta a partire da una
grande mostra retrospettiva del 1907, a un gesto di
amore filiale e di riconoscenza. A questo aspetto
sembra far riferimento anche il titolo, non a caso
deliberatamente contratto nella dicitura «ritratto
padre», quasi a voler sottolineare al tempo stesso il
valore archetipale del dipinto, che sta all’origine del
lavoro maturo di Duchamp, e il ruolo centrale eser-
citato dalla liberalità paterna.
Formalmente, il dipinto si accosta alle più note solu-
zioni cézanniane nell’aderenza a un tratto pittorico
costruttivo, cadenzato da placche diagonali e per il
massiccio ricorso alle ombre colorate. La posa del Washington, National Gallery of Art) a quello, inte-
padre, seduto informalmente su un’ampia poltro- ressante anche per l’assonanza della figura metafo-
na, riecheggia gli assai noti testi di Cézanne, dal rica del mentore e mecenate, di Ambroise Vollard
primordiale Ritratto del padre Louis-Auguste (1866, (1899, Parigi, Musée du Petit Palais).

104

Paul Cézanne
Ritratto di Ambroise Vollard
(Portrait of Ambroise Vollard)
1899, olio su tela, cm 100x81.
Parigi, Musée du Petit Palais
2. Marcel Duchamp
Ritratto di giocatori di scacchi
(Portrait de joueurs d’échecs)
1911
olio su tela, cm 108 x 101
Filadelfia, Museum of Art

N
106 ella produzione pittori- le (Yvonne et Madeleine déchiquetées, 1911) e la
ca di Duchamp il ritrat- progressiva resa fluttuante e aperta dello spazio
to è senz’altro il genere (Sonate, 1911) Duchamp giunse a una seconda
dominante e, tra i sog- versione del soggetto, elaborata dapprima in un
getti da ritratto, la fami- bozzetto d’insieme, poi nell’eccellente dipinto Ri-
glia è particolarmente tratto di giocatori di scacchi.
presente. Qui la moltiplicazione e la sovrapposizione dei
Dopo il ritratto del padre (scheda 1), Duchamp profili dimostrano, con le tonalità grigie dell’insie-
raffigurò nel 1910 una prima scena dove i fratelli me, un più deciso accostamento ai modi cubisti. La
Raymond Duchamp-Villon (1876-1918) e Jacques pastosità dei colori sembra essere deposta a favore
Villon (1875-1963) sono assorbiti nel gioco degli di stesure più lievi e sovrapposte, con effetti di tra-
scacchi nel giardino di casa, a Puteaux, un sobbor- sparenza e sovrapposizione dei piani, attraverso i
go di Parigi, dinanzi alle mogli intente a sorbire il quali si possono leggere i dettagli realistici dei pez-
tè (vedi p. 109). Si tratta di una prima soluzione zi sulla scacchiera, che fluttuano liberamente nello
ancora piuttosto convenzionale, che associa a pro- spazio multiprospettico della tela.
babili assonanze cézanniane (l’iconografia delle Oltre che un documento sul progressivo orientarsi
figure sedute intorno a un tavolo riecheggia i Gio- dell’autore dalle iniziali modalità cézanniane a una
catori di carte) una gamma cromatica assai ampia e più complessa e raffinata resa della spazialità in
piacevole, non lontana da certe scene matissiane. senso cubista, le tre opere costituiscono la prima
In un secondo momento, recuperando la scom- testimonianza dell’attenzione che Duchamp riser-
posizione latamente cubista dei volti delle sorel- verà agli scacchi, gioco in cui divenne maestro.
Paul Cézanne
I giocatori di carte (Les Joueurs de
cartes)
1890-92, olio su tavola, cm 47,5x57.
Parigi, Musée d’Orsay
Marcel Duchamp
Partita a scacchi
1910, olio su tela, cm 114x146,5.
Filadelfia, Museum of Art
Marcel Duchamp Nella pagina a fronte:
Giocatori di scacchi Marcel Duchamp
1911, olio su tela, cm 50x61. Parigi, Sonata (Sonate)
Centre Georges Pompidou, Musée 1911, olio su tela, cm 145x113.
National d’Art Moderne Filadelfia, Museum of Art
3. Marcel Duchamp
Nudo che scende le scale (n. 2)
[Nu descendant un escalier
(n. 2)]
1912
olio su tela, cm 146 x 89
Filadelfia, Museum of Art

L
a conoscenza della pittura cu- che il suo scopo era «la rappresentazione statica 113
bista e lo studio di alcuni dei del movimento – una composizione statica di indi-
suoi principi costituitivi spin- cazioni statiche delle varie posizioni assunte da una
sero Duchamp ad avviare, nel forma in movimento – senza cercare di creare con
corso del 1911, una ricerca la pittura degli effetti cinematici».
intorno alla traduzione pitto- Rinunciando a ogni apparenza naturalistica, Du-
rica del movimento, ricerca champ condensò il movimento di una figura nuda
che diede luogo a tre importanti opere: le due ver- in una serie di profili scanditi che venivano som-
sioni del Nudo che scende le scale e Giovane triste mandosi l’uno nell’altro in una sequenza d’innesti
in treno. Duchamp associò le risultanze stilistiche e aggregazioni, sulla base delle convenzionali tona-
dei suoi primi dipinti in stile cubista del 1911 allo lità della pittura cubista.
schema grafico di segmentazione del movimento Infrangendo l’elementare regola che imponeva
diffuso dalle ricerche cronofotografiche di Étien- statica la rappresentazione del nudo, Duchamp
ne-Jules Marey e di Edward Muybridge. Giunse contaminava al tempo stesso l’asciutto rigore delle
così, per via autonoma, a una soluzione che è sta- cifrate nature morte o delle austere figure cubiste,
ta per certi versi paragonata alla resa cinematica attribuendo al nudo le fattezze sconcertanti di una
dell’immagine presentata, in particolar modo da forma inorganica e meccanizzata. Più che il nudo
Giacomo Balla, in occasione della mostra futurista dichiarato dal titolo, il dipinto svela un automa
parigina del 1912. mosso da un dispositivo indecifrabile e incongruo.
Duchamp, pur riconoscendo qualche tratto comu- L’immagine che ne risulta distrugge ironicamen-
ne, ricusò sempre questo confronto, dichiarando te, in un solo colpo, il mito del nudo femminile,
Marcel Duchamp
Nudo che scende le scale
(n. 1) [Nu descendant un
escalier (n. 1)]
1911, olio su cartone,
cm 96,7x60,5. Filadelfia,
Museum of Art
Giacomo Balla
Bambina che corre sul
balcone
1912, olio su tela,
cm 125x125. Milano,
Galleria d’Arte Moderna

Nella pagina a fronte:


Marcel Duchamp
Giovane triste in treno
(Jeune homme triste dans
un train)
1911, olio su tela, cm
100x73. Venezia, collezione
Peggy Guggenheim

116

la presunzione di suggerire il movimento con una preconcetti intorno a quella ‘modernità’ pittorica
pittura dinamica, nonché l’attestazione dello stile giudicata più esibita e sfacciata. Nondimeno, ven-
cubista in una sintassi prevedibile. ne prontamente venduta contribuendo alla preco-
L’opera ebbe gestazione breve e suscitò intense ce fama statunitense dell’autore.
polemiche e reazioni. Fu dapprima inviata al Salon Capolavoro della fase iniziale di Duchamp, l’opera
des Indépendants dove venne rifiutata in quanto condensa e porta a esaurimento, al tempo stesso, il
intesa come parodia del cubismo; fu quindi pro- formidabile processo di studio e analisi della pittu-
posta nella mostra dei cubisti ‘dissidenti’ della ra che il giovane autore aveva intrapreso nel corso
Section d’Or. Inviato all’Armory Show di New di tre anni. Misurandosi parimenti con la lezione di
York nel 1913, il dipinto guadagnò un clamoroso Cézanne e dei fauves, e alla luce delle novità intro-
successo in termini di scandalo, divenendo in bre- dotte dal cubismo, dal futurismo e dalle sperimen-
ve, grazie anche alle traduzioni caricaturali e alle tazioni fotodinamiche, Duchamp spinge qui alle
parafrasi beffarde (come ad esempio «Esplosione estreme conseguenze i limiti della pittura ‘retinica’
in un deposito di tegole»), una vera epitome dei e di una concezione puramente ottica dell’arte.
4. Marcel Duchamp
Il Re e la Regina circondati da
nudi veloci (Le Roi et la Reine
entourés de nus vites)
1912
olio su tela, cm 114,6 x 128,9
Filadelfia, Museum of Art

D
118 opo il Nudo che scen- alle figure statiche e di pregnanza scultorea del
de le scale (scheda 3) Re in alto a destra, e della Regina sulla sinistra,
Duchamp indugiò in restituite in un sistema di linee senza ricorrere a
alcuni dipinti che svi- descrizioni formali. Le due figure sono circonda-
luppano la stessa idea te da ‘correnti’ di un brillante colore metallico.
di partenza, e che pari- Se la cinematica del Nudo che scende le scale è
menti vennero esposti stabilita da una serie di scansioni che traduco-
al Salon della Section d’Or. no la silhouette della figura in movimento in un
Il titolo di questo dipinto, di cui è nota anche una sistema di linee, qui Duchamp compie un passo
versione ad acquerello, richiama ancora una volta ulteriore. Eliminate le forme umane e le indica-
il gioco degli scacchi, come nei dipinti realizzati zioni anatomiche più o meno riconoscibili, il pit-
l’anno precedente (scheda 2); qui però i giocato- tore guadagna la coscienza di poter utilizzare nel
ri di scacchi (ovvero i due fratelli di Duchamp) dipinto una serie di contrassegni visibili che pro-
sono sostituiti dai pezzi del gioco, il Re e la Re- gressivamente si distaccano da ogni riferimento
gina. Lo studio dell’immagine in movimento, a alla realtà esterna, e nondimeno concorrono a
differenza del Nudo che scende le scale, viene qui definire lo spazio pittorico. I volumi diventano
condensato dai cosiddetti ‘nudi veloci’ che a giu- linee, le linee insieme di punti; la rappresenta-
dizio dell’autore dovevano costituire lo «slancio zione naturalistica si contrae in una trascrizione
immaginativo» in grado di affiancare alla rappre- simbolica che converte gli oggetti percepibili del
sentazione statica degli scacchi il tema del mo- mondo esterno in idee.
vimento. Il dipinto è infatti organizzato intorno Duchamp qui non era guidato da intenti di astra-
Marcel Duchamp
Il Re e la Regina circondati da
nudi veloci (Le Roi et la Reine
entourés de nus vites)
1912, grafite su carta,
cm 27,3x39. Filadelfia, Museum
of Art

120

zione; ciò che orientava il suo lavoro, in questa Proprio questa fu la ricerca verso cui s’avviò Du-
fase, era l’ossessiva possibilità d’emancipazione champ.
da ogni residuo d’esperienza fisica della pittu- La polarità tra figura maschile e femminile, inol-
ra. La radicale riduzione delle forme pittoriche tre, anticipa l’intera organizzazione binaria de
nelle opere seguenti il Nudo che scende le scale La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche (Il
dimostra che Duchamp andava verso il passaggio grande vetro) (fig. 7 e scheda 9), la cui prima ela-
decisivo: «Nessuno pensava che ci potesse esse- borazione venne avviata al compimento di questa
re qualcosa al di là dell’atto fisico della pittura». serie.
5. Marcel Duchamp
Il passaggio dalla Vergine alla
Sposa (Le Passage de la Vierge
à la Mariée)
1912
olio su tela, cm 59,4 x 54
New York, The Museum of Modern Art

N
el corso dell’estate del dente. Duchamp riteneva che un simile criterio si 123
1912 due avvenimenti potesse applicare non solo ai titoli dei quadri, ma
concorsero ad avviare alle forme stesse della pittura. Lo stratagemma
Duchamp, ormai con- consentiva di sottrarsi all’imbrigliamento nei vari
vinto dell’inutilità di stili e nelle diverse risorse formali della pittura.
proseguire una carrie- Grazie all’abrogazione del principio di realtà, di
ra pittorica all’insegna causalità e di senso comune Duchamp era così in
di un’accademica successione dei differenti stili grado di rinnovare radicalmente la sua ricerca.
moderni, verso il mutamento decisivo della pro- Il secondo avvenimento cadde fra luglio e agosto,
pria attività. quando Duchamp soggiornò a Monaco di Bavie-
Il primo avvenimento fu l’aver assistito, in com- ra. Qui, nel culmine di una fase di straordinaria
pagnia di Apollinaire e Picabia, alla rappresenta- intensità creativa, egli realizzò un disegno dove,
zione teatrale di Impression d’Afrique di Raymond al centro del foglio, una figura femminile era af-
Russel. Da Russel Duchamp riprese lo stratagem- fiancata ad altre due, sotto il titolo di La Mariée
ma di creazione poetica fondata sull’omofonia, mis à nu par ses célibataires. La figura di questa
ovvero sulla capacità di generare nuovi significati Sposa (Mariée) venne ripresa in altri due fogli,
attraverso la ricombinazione del linguaggio sul- entrambi intitolati Vierge, che preludono alla tela
la base di assonanze sonore. La distorsione delle in esame. Sin dalla denominazione, Le Passage de
parole poteva generare dei rebus, dei giochi lin- la Vierge à la Mariée, essa condensa un passaggio
guistici in cui il significato non era più mediato che è sia di carattere biografico che di poetica.
dalla ragione bensì dall’accostamento sorpren- In sostanza, si può riassumere il problema di Du-
Marcel Duchamp 1912, grafite su carta,
Prima ricerca per ‘La Sposa cm 24x32,1. Parigi, Centre
messa a nudo dai suoi celibi’ Georges Pompidou, Musée
(Première recherche pour National d’Art Moderne
‘La Mariée mise à nu par ses
célibataires’)

124

champ in questi termini: se con il Nudo che scende cessione dinamica delle forme organiche, che
le scale (scheda 3) egli aveva provato a dare for- procedono da sinistra verso destra con una sin-
ma al movimento, come era possibile realizzare la tassi ancora (e splendidamente!) debitrice de-
nozione di tempo-spazio non tanto secondo una gli schemi cubisti; tuttavia, il passaggio intro-
trascrizione cronofotografica, bensì come entità dotto nel titolo (dalla Vergine alla Sposa) non
formale a sé stante? Questo dipinto va allora let- si può compendiare in un movimento fisico.
to in stretta contiguità tra il precedente del Nudo Il dilemma cui Duchamp stava cercando di dare
e il passo successivo, che è La Mariée mis à nu par soluzione, elaborando qui la strategia di un’ope-
ses célibataires, même (opera nota anche come il ra complessa come il Grande vetro, era il seguen-
Grande vetro; fig. 7 e scheda 9). te: in quale modo rappresentare gli esseri umani
La raffigurazione del passaggio (cioè il movi- come se fossero macchine, e le emozioni umane
mento spaziale, fisico) ricompare nella suc- come forze fisiche.
6. Marcel Duchamp
Sposa (Mariée)
1912
olio su tela, cm 89,5 x 55,6
Filadelfia, Museum of Art

C
126 ompiuto Il passaggio dalla realistica di una sposa, bensì della mia concezio-
Vergine alla Sposa (scheda ne d’una sposa espressa attraverso la giustapposi-
5), Duchamp prese a lavo- zione di elementi meccanici e di forme viscerali».
rare sulla figura della Sposa. Il dipinto si deve leggere quindi come un’associazio-
Se nel precedente dipinto ne tra le forme organiche della Sposa, riconoscibili
l’attenzione era rivolta an- nella testa a insetto, nel vitino stretto, nelle articola-
cora alla nozione per così zioni grottesche del corpo, e quelle inorganiche dei
dire fisica e cinetica del passaggio tra due stati, tubi, dei serbatoi e dei cilindri che designano i diffe-
qui il mutamento trova una sua identità, una vera renti dispositivi meccanici che traducono le pulsioni
«forma unica» in grado di condensare il tema del emotive della Sposa in azioni potenziali, e che saran-
movimento in forme e volumi dove è già pienamen- no poi sviluppati nel Grande vetro. Nei suoi taccui-
te riconoscibile la figura del Grande vetro (fig. 7 e ni Duchamp consegnò minutissime e assai impervie
scheda 9). Inoltre, Duchamp afferma di voler elimi- annotazioni intorno a questa inquietante macchina
nare ogni residuo di stilizzazione cubista e di rap- del desiderio, in cui la pittura diviene un inventa-
presentazione cinetica, nell’intento di raggiungere rio degli elementi della «fioritura del desiderio».
una forma espressiva del tutto disgiunta da ogni Il quadro, che diede avvio alla metà superiore del
tratto di realismo, grazie anche all’adozione di una Grande vetro, fu in possesso di Francis Picabia che,
tecnica pittorica meticolosa e dettagliata, voluta- con ogni evidenza, riprese l’associazione tra corpo
mente priva delle esibite sprezzature e della com- umano e traduzione meccanica del principio di
piaciuta disinvoltura del mestiere pittorico: «Non desiderio nei dipinti del 1918-1919, come Parade
si trattava – ricorderà poi – di una interpretazione amoureuse (scheda 13).
7. Marcel Duchamp
Macinatrice di cioccolato (n. 1)
[Broyeuse de chocolat (n. 1)]
1913
olio su tela, cm 62 x 65
Filadelfia, Museum of Art

S
128 e la Sposa (scheda 6) è il primo partire da un’ampia prospettiva generale.
dipinto di Duchamp di questi Per questo dettaglio Duchamp trasse spunto da
anni che non raffiguri il movi- una macinatrice per cioccolato che aveva visto
mento, pur illustrandone per nella vetrina di una pasticceria a Rouen. La tra-
certi versi la conseguenza, la duzione dell’oggetto attraverso una restituzione
Macinatrice di cioccolato è la meticolosa e impersonale costituiva per l’autore
rappresentazione statica di un un passaggio essenziale per emanciparsi dallo sti-
oggetto in cui il movimento è implicito. le cubista. Il quadro è una classica esercitazione
In precedenza Duchamp aveva dipinto, per la di prospettiva che mantiene lo studio delle om-
cucina del fratello Raymond, una vecchia maci- bre portate sopra un bel supporto in stile Luigi
natrice di cioccolato, descrivendone i meccani- XV e una volontà di restituzione architettonica
smi di macinazione e la manovella sotto differen- dei volumi. Nella seconda versione del dipinto
ti punti di vista, senza dimenticare il dettaglio Duchamp sperimenterà per la prima volta la so-
realistico del caffè macinato al di sotto degli in- stituzione del disegno a mano con una tecnica
granaggi. ancora più impersonale e oggettiva: le linee dei
Questo dipinto invece nasce come studio di det- tre rulli vennero infatti realizzate con filo da cu-
taglio all’interno del più vasto progetto del Gran- cito. «Quel che mi interessava non era tanto il
de vetro (scheda 9), cui Duchamp s’impegnò dal lato meccanico dello strumento quanto lo studio
1913 producendo non solo una mole di studi e di una nuova tecnica. Mi era impossibile abban-
note scritte, ma anche singole versioni dipinte donarmi alla pittura schizzata a casaccio con col-
dei principali elementi costitutivi dell’opera, a pi di pennello sulla tela. Volevo ritornare a un
Marcel Duchamp
Macinatrice di cioccolato (n. 2)
[Broyeuse de chocolat (n. 2)]
1914, olio su tela, cm 65,4x54,3.
Filadelfia, Museum of Art

130

disegno assolutamente secco, alla composizione tutti gli altri elementi che la circondano. La ma-
di un’arte assolutamente secca, e quale migliore cinatrice assolve inoltre a un preciso significato
esempio di questa nuova arte del disegno mecca- simbolico: generando il movimento, essa costi-
nico? Cominciai ad apprezzare il valore dell’esat- tuisce il momento iniziale dell’Apparato celibe,
tezza, della precisione, l’importanza del caso». così come la Sposa lo è di quello superiore. Il mo-
La macinatrice venne riportata nel centro esat- vimento delle macine, associate al verbo francese
to della metà inferiore del Grande vetro; da essa broyeur allude infine alla circolarità ripetitiva e
Duchamp ricavò la prospettiva generale della chiusa, in una parola masturbatoria, del movi-
composizione inferiore e calcolò le dimensioni di mento dei Celibi.
8. Marcel Duchamp
Tre rammendi tipo
(3 stoppages étalon)
1913 - 1914
assemblage: tre fili di vetro incollati su tela montata su vetro
e tre regoli di legno in una scatola, cm 28,2 x 129,2 x 22,7
New York, The Museum of Modern Art

N
egli appunti relativi al- 133
l’elaborazione del Gran-
de vetro (fig. 7 e scheda
9), Duchamp dedica un
capitolo alla nozione di
casualità nel processo
di creazione artistica.
L’idea di base, secondo una definizione che verrà
poi ripresa da Breton nel Dictionnaire abrégé du
surréalisme, è quella di realizzare «del caso inscato-
lato», ovvero creare una forma conclusa e «tipica»
di un processo casuale. Se un filo orizzontale, ragio-
nava Duchamp, d’un metro di lunghezza cadeva da
un metro d’altezza su un piano orizzontale, si defor-
mava a suo piacere generando una nuova figura del-
l’unità di lunghezza. Senza perdere la propria iden-
tità di metro, la forma risultante poteva gettare un
dubbio sulla nozione acquisita secondo cui la retta è
il percorso più breve da un punto all’altro.
Tale esperimento fu compiuto nel 1913 ed ebbe
come scopo di stabilire e determinare tre diverse
Marcel Duchamp
Reticolo di rammendi tipo
(Réseaux de stoppages)
1914, olio su tela,
cm 148,9x197,7. New York,
The Museum of Modern Art

unità di lunghezza, tutte ugualmente valide, ot-


tenute casualmente. Il filo da cucire venne fatto
cadere; le forme così ottenute furono riprese nelle
sagome di tre righelli di legno, custoditi in una
scatola come un vero e proprio set di strumenti,
che servirono per tracciare le linee sulla carta e
134 determinare alcuni elementi del Grande vetro. I
fili vennero poi fissati su una tela con gocce di co-
lore, dando vita al dipinto Reticolo di rammendi.
Ricostruzione approssimata di un’unità di lun-
ghezza, i Rammendi tipo costituivano per Du-
champ «le mètre diminué»: uno standard sogget-
tivo e definitivamente aleatorio. Riecheggiando la
nozione di relatività della misurazione scientifica
attraverso il tempo e lo spazio, era così possibile
per l’autore ottenere un quadro che fosse, per pri-
ma cosa, una «casualità felice o infelice».
L’intera operazione s’inscriveva nel processo di
scavalcamento della realtà fisica della pittura e
della logica della sua consistenza puramente ot-
tica e realistica. Le misure dei Rammendi tipo fu-
rono poi impiegate per tracciare i Tubi capillari
che nel Grande vetro mettono in comunicazione
gli Stampi maschili con i Setacci. Le unità di lun-
ghezza «capricciosa» potevano così contraddire il
principio della logica prospettica che governava
l’intera metà inferiore dell’opera.
9. Marcel Duchamp
La Sposa messa a nudo dai suoi
scapoli, anche (Il grande vetro)
[La Mariée mise à nu par ses
célibataires, même (Le grand
verre)]
1915 - 1923
olio, piombo, vernice e polvere entro due pannelli di vetro,
cm 272 x 176
Filadelfia, Museum of Art

U
na delle opere più cele- la sommatoria di iconografie meccanomorfiche, 137
bri, enigmatiche e anco- esperimenti tecnici, giochi di parole e operazioni
ra oggi assai controverse aleatorie di straordinaria sottigliezza, che ne giu-
dell’intero Novecento è stificano il mancato compimento nella porzione
costituita da un vetro destra.
doppio stretto in una Il Vetro è distinto in due zone: in alto la Sposa,
cornice d’acciaio. Le «una sorta di apoteosi della verginità», riprende
forme che osserviamo sono dipinte con biacca, il tema del disvelamento di una donna biomec-
minio, cadmio, ossidi di piombo, contornate da canica da parte di una coppia di personaggi ma-
linee realizzate con filo di piombo, e sigillate dai schili (schede 5-6). Al di sotto, separata da una
due vetri. È una tecnica accuratissima e quanto- barra trasversale che funge da orizzonte, c’è la
mai oggettiva, nitida e trasparente, «per svaluta- «base architettonica» degli Scapoli, al cui centro
re l’idea della mano», garantire una tenuta piatta troneggia la Macinatrice (vedi scheda 7). Le due
e brillante dei colori e infine lasciare lo sfondo polarità sono organizzate in sistemi visivi auto-
dell’opera affidato al caso, ovvero all’ambiente in nomi e distinti. La parte superiore è dipinta a
cui essa si fosse trovata, ‘messa a nudo’ da ogni trompe l’œil; la Sposa appare come una forma
visitatore. Duchamp vi lavorò a partire dal 1915, organica tridimensionale. Nella metà inferiore
a New York, secondo un accurato piano d’idee e vi è una sistematica applicazione della costruzio-
motivi studiati meticolosamente nei tre anni pre- ne prospettica; inoltre il colore non ha qui una
cedenti (schede 5-8). L’intera opera è strutturata funzione rappresentativa: i pigmenti non sono
su un ritmo architettonico ternario, e costituisce una pellicola di pittura che copre un oggetto, ma
Marcel Duchamp
Slitta contenente un mulino ad
acqua, in metalli vicini (Glissière
contenant un moulin à eau, en
métaux voisins)
1913-15, olio, piombo e filo di
piombo su vetro, cm 153x83,5.
Filadelfia, Museum of Art

138 costituiscono realmente la struttura metallica di Mulino ad acqua, il Gas si solidifica in ‘aghi’ che
porzioni quali il Carrello che vediamo in basso a salgono attraverso i setacci conici al disopra della
sinistra. Macinatrice, che a sua volta regge le sovrastanti
L’intero dispositivo consiste nella traduzione Forbici, il cui compito è tradurre il movimento
grafica, in forme metaforiche meccaniche, del rotatorio in movimento alternato.
principio di desiderio che scaturisce dalla pul- La personificazione della Sposa, in alto a sini-
sione espressa dagli Scapoli convertendone le stra, riprende le sembianze organiche del dipinto
energie sessuali verso la parte superiore, il regno omonimo (vedi scheda 6). La «fioritura cinema-
metaforico della Sposa. tica» della Sposa assume le forme di un’efflore-
In estrema sintesi, le principali articolazioni di scenza gassosa, che si sviluppa orizzontalmente
questa «macchina celibe» (ossia, per riprendere con sontuose tonalità grigie e rosacee. All’interno
una nota definizione di Michel Carrouges, di un di questa nube appaiono tre aperture irregolari,
dispositivo dove la logica del movimento mec- o Pistoni di corrente d’aria, che comunicano con
canico è contraddittoria e priva di funzionalità nove forellini aperti nella superficie del vetro, gli
tecniche apparenti) sono le seguenti. Gli Scapoli, Spari.
raffigurati dalle nove Uniformi in basso a destra, Questa è la zona in cui le due metà del Vetro, e
forniscono un Gas d’illuminazione che scorre at- con esse la polarità Sposa-Celibi, giungono ideal-
traverso i Vasi capillari realizzati impiegando tre mente al loro incontro. Convertito dai Setacci, il
volte ciascuno i Rammendi tipo (vedi scheda 8). Gas forma un grande spruzzo, una «dispersione
Mentre la Slitta metallica al loro fianco scivola liquida elementare» che compendia l’orgasmo
sui pattini, mossi da una Cascata per mezzo del dei Celibi congiungendosi verso gli Spari, nella
May Ray
Allevamento di polvere (Dust
Breeding)
1920 (stampa del 1967 circa,
stampa a gelatina d’argento,
cm 23,9x30,4. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne)

140 zona della Sposa. In basso a sinistra, tre diagram-


mi ottici per gli esami della vista rappresentano,
con un gioco di parole, i témoins oculistes, ossia
i testimoni oculari dell’intero meccanismo, già
oggetto di uno studio separato nel dipinto Es-
sere guardati (dall’altra parte del vetro). L’opera
venne lasciata «definitivamente incompiuta» nel
1923, dopo che Man Ray aveva tratto un’imma-
gine fantasmatica della polvere nel frattempo
depositatasi sul vetro (e con la fissazione della
quale vennero realizzati i Setacci). Un maldestro
trasporto dopo la prima esposizione del 1926 ne
mandò in frantumi una porzione. Duchamp la si-
stemò sommariamente, dichiarandosi soddisfat-
to dell’effetto casuale prodotto dalle incrinature.
Nel 1934 raccolse gli appunti di lavoro e li fece
stampare in facsimile, allestendo un cofanetto
dallo stesso titolo (detto anche La Boîte verte).
Ai 93 fogli volanti è attribuito, come in un testo
d’infinite permutazioni, il compito di alimentare
il gioco interpretativo che, complice l’incompiu-
tezza dell’opera, la sottigliezza dell’intero pro- dell’apparato celibe) alla quarta dimensione, in
getto, la sua inseparabile componente linguistica analogia con quanto scritto nel 1911 da Gaston
e letteraria, ha costituito una delle maggiori sfide de Pawlowski in Un viaggio al paese della quarta
interpretative dell’arte moderna. dimensione.
Per Breton si tratta di una «interpretazione cinica Duchamp ammise tuttavia come fonte primaria
e macchinista del fenomeno amoroso»; Octavio i procedimenti compositivi di Raymond Russel:
Paz ha definito l’opera come «figurazione di una l’importanza del calembour è dichiarata sin dal ti-
realtà possibile ma che, per il fatto di appartenere tolo che cela l’identità dell’autore (MARiée, CE-
a una dimensione diversa dalla nostra, è essen- Libataires) e nelle infinite allitterazioni e giochi
zialmente invisibile. […] Quello che vediamo è di parole che l’impervio lessico duchampiano ci
un momento di un processo, quando la Sposa prospetta. Altre interpretazioni non vennero ac-
giunge alla sua ‘fioritura’, conseguenza del suo creditate, oppure furono accolte dall’autore av-
denudamento, e preludio del suo orgasmo». Se- vertendo che esse «non furono mai coscienti nel
condo Jean Clair si può leggere il Vetro dal basso mio lavoro di elaborazione, perché il mio incon-
verso l’altro, come il passaggio dalla terza dimen- scio è muto come tutti gli inconsci; […] questa
sione (tradotta nella bidimensionalità prospettica elaborazione verteva più sulla necessità cosciente

143

Marcel Duchamp settembre 1934, scatola Nella pagina a fronte: 1915-23, olio, piombo, vernice
La Sposa messa a nudo dai suoi contenente varie collotipie Marcel Duchamp e polvere entro due pannelli di
scapoli, anche (Il grande vetro) su carta, cm 33x28,3x2,5. La Sposa messa a nudo dai suoi vetro, cm 272x176.
[La Mariée mise à nu par ses New York, The Metropolitan scapoli, anche (Il grande vetro) Filadelfia, Museum of Art
célibataires, même (Le grand Museum of Art [La Mariée mise à nu par ses
verre)] célibataires, même (Le grand
verre)]
Marcel Duchamp Marcel Duchamp 1918, olio, foglia d’argento,
Nove stampi maschili (Neuf Essere guardati (dall’altra parte filo di piombo, una lente
Moules Mâlic) del vetro) con un solo occhio, d’ingrandimento su vetro con
1914-15, acciaio e vernice, da vicino, per quasi un’ora [À base dipinta, cm 51x41,2x3,7.
cm 66x101,2. Parigi, Centre regarder (l’autre côté du verre) New York, The Museum of
Georges Pompidou, Musée d’un œil de près, pendant Modern Art
National d’Art Moderne presque une heure]

144

di introdurre l’“ilarità” o almeno lo humour in te, vero emblema dell’arte intesa come incessante
un soggetto così “serio”». Dinanzi allora alle te- e sempre incompiuta riflessione intorno alla no-
mibili esegesi che, nel corso di quasi un secolo, si zione stessa di arte. Come ha osservato Richard
sono addensate intorno a quest’opera comples- Hamilton, autore di una fondamentale lettura
sa e misteriosa, decifrandone di volta in volta le dell’opera e di una replica filologica, «la Sposa
componenti biografiche, psicanalitiche, esoteri- fluttua denudata eppure inviolata nella sua gab-
che, numerologiche, matematico-scientifiche, di bia di vetro, mentre sotto di lei i Celibi macinano
geometria non euclidea, semiologiche, alchemi- il loro cioccolato; allo stesso modo Duchamp è
che e quant’altro ancora, il Grande vetro si erge remoto e solo nella sua grande arte che egli con-
come supremo dispositivo ironico, demistifican- siderava priva di arte».
10. Marcel Duchamp
Ruota di bicicletta
(Roue de bicyclette)
1913 (originale perduto, terza replica del 1951)
ready made: ruota di metallo montata su sgabello di legno,
cm 129,5 x 63,5 x 41,9
New York, The Museum of Modern Art

L
146 a pratica del ready made è pittura. La Ruota di bicicletta sarà poi individuata
contestuale all’avvio del Gran- come primo ready made e l’unico in assoluto che
de vetro (fig. 7 e scheda 9). A prevedesse il movimento. È certo vero che, a voler-
differenza di questo, tuttavia, la leggere come scultura, siamo dinanzi a una delle
le intenzioni di Duchamp per prime opere «cinetiche», e che in assoluto la Ruota
Ruota di bicicletta (fig. 21) di bicicletta appare oggi esteticamente assai più bella
sono state espresse con ammi- di tanta scultura ‘moderna’ a essa coeva. Tuttavia,
revole concisione. Non si tratta di un’opera d’arte: il notevole understatement di Duchamp in merito a
l’oggetto viene prima dell’idea e il suo unico scopo, quest’oggetto è stato rispettato solo in parte, e non
per così dire, è terapeutico e contemplativo. ha sopito la ricerca di sovrasensi e la presunzione
Duchamp era desideroso di possedere, nel silenzio dell’esistenza di allusioni più cifrate. È inevitabile
del suo studio, un oggetto da osservare in movi- l’osservazione che la funzionalità originaria dei due
mento: non un’opera d’arte intenzionale, bensì un oggetti sia negata in virtù della loro congiunzione
semplice dispositivo da ammirare nell’indifferenza, (sullo sgabello non ci si può sedere, poiché vi è in-
«come si guarda il fuoco di un caminetto». Così nestata la forcella; e così la ruota non traduce in atto
ebbe l’idea di fissare su uno sgabello da cucina una il proprio movimento). Resta invece indimostrabile,
ruota di bicicletta. La piena coscienza delle poten- e francamente stravagante, l’ipotesi di un significa-
zialità del ready made giunse solo qualche anno più to alchemico nell’associazione tra il fuoco (quello
tardi, quando a New York Duchamp ebbe modo dell’athanor, agente attivo della trasmutazione) e la
di riflettere sulle conseguenze della moderna in- ruota dell’alchimista che rappresenta il processo au-
dustrializzazione e quindi sui limiti intrinseci della tosufficiente e circolare della distillazione.
147
A
11. Marcel Duchamp lla base del ready made vi
Scolabottiglie è un’operazione artistica
fondata sul reperimento,
(Porte-bouteilles; Égouttoir) più o meno casuale, di un
oggetto già esistente, di
1914 (replica del 1961)
ready made, portabottiglie in metallo, cm 57 x 36,5 fabbricazione industriale,
Filadelfia, Museum of Art che viene sottratto da am-
bito e destinazione originari. Questo oggetto ac-
quista una connotazione artistica proprio in virtù
del suo allontanamento dalla classe degli oggetti
comuni. Esso viene investito di un valore che non
risiede in alcun aspetto formale, bensì nello scarto
intellettuale generato dall’incontro straniante fra
l’oggetto indifferenziato, privo di trasformazione
estetica, e la denominazione volutamente enigma-
tica: sia come letterale intitolazione, sia, come in
questo caso, d’implicita designazione come ogget-
to d’arte.
148 La scelta dei ready mades, chiarì Duchamp, non fu
mai orientata da un’intenzione di ordine estetico.
La valutazione era invece fondata su una posizio-
ne d’indifferenza visiva, di «anestesia completa»,
d’assenza totale di quei criteri di buono o cattivo
gusto che stringevano il giudizio, e con esso la no-
zione stessa di opera d’arte, entro le gabbie di un
ideale normativo.
«Quello che mi spingeva a scegliere un oggetto era
un senso di indifferenza nei suoi confronti, e non
era affatto facile, perché qualunque cosa, se la si
guarda abbastanza a lungo, diventa bella. Quando
feci lo Scolabottiglie non era particolarmente inte-
ressante né per la forma né per altro […] Dicono
che sia bello, ma io non l’ho scelto per la sua bel-
lezza. […] Un pittore dipinge e imprime il suo gu-
sto in ciò che dipinge… Nel caso dei ready mades si
trattava di liberarsi di tale intento o sentimento e di
eliminare del tutto l’esistenza del gusto».
Primo ready made privo di trasformazioni,
l’«oggetto» Scolabottiglie venne acquistato al
Marcel Duchamp
Quattro ready mades
1964, litografia, cm 32x23,2.
Gerusalemme, The Israel
Museum

Marcel Duchamp
In anticipo sul braccio rotto
(In advance of the broken arm)
1915 (replica del 1964), legno e
ferro, cm 132x35. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne

150

Bazar dell’Hotel de Ville nel 1914; al pari di dell’oggetto, erano destinati a eroderne la comune
Ruota di bicicletta (fig. 21 e scheda 10), non ven- percezione aprendo a nuove ipotesi interpretative.
ne considerato come un’opera d’arte e, con la In aggiunta, la firma «D’après Marcel Duchamp»
partenza di Duchamp per New York nel 1915, dimostrava che l’opera, non realizzata dalle sue
fu abbandonato in atelier. mani, era il frutto di un’operazione intellettuale che
Nell’autunno di quell’anno Duchamp sviluppò associava le qualità predeterminate di un oggetto
il concetto di ready made. Fece allora acquistare industriale a una descrizione incongrua. Avveduto-
presso un ferramenta una pala da neve, sopra la si delle piene potenzialità di una simile operazione,
quale inscrisse «In advance of the broken arm» (In nel gennaio 1916 Duchamp scriverà alla sorella Su-
anticipo sul braccio rotto), il primo dei tanti calem- zanne riferendosi per la prima volta a Scolabottiglie
bours che, in luogo di una denominazione logica come a una «sculpture already made».
12. Marcel Duchamp
Fontana (Fountain)
1917 (replica del 1950)
ready made: orinatoio in ceramica bianca e pittura a olio,
h. cm 62,5
Filadelfia, Museum of Art

C
omunemente considerata giuria né ricompense» e così guadagnare lo statuto 153
non solo tra le opere più d’artista.
emblematiche di Duchamp, Dal catalogo di un magazzino d’oggetti sanitari Du-
ma anche una delle più in- champ scelse un comune orinatoio di porcellana; lo
fluenti opere del Novecen- presentò ruotato di novanta gradi, appoggiandolo
to, Fontana ha beneficiato sulla sua base a muro, e gli attribuì il titolo di Fon-
in realtà di una fortuna lar- tana. L’‘opera’ così ottenuta venne firmata con lo
gamente postuma. In origine, infatti, l’opera non pseudonimo di «R. Mutt», una parodia del nome
venne esposta; solo un ristretto numero di perso- del venditore (la società J. L. Mott Iron Works), che
ne ebbe occasione di vederla; la censura che subì alludeva anche a Mutt e Jeff, due personaggi di un
non provocò alcuno scandalo eclatante. noto fumetto dell’epoca.
Il caso ebbe origine quando Duchamp decise di Il comitato direttivo si divise sul giudizio da dare
partecipare alla prima esposizione della Società all’opera, essendovi chi difese le qualità formali e la
Americana degli Artisti indipendenti, che si aprì a bellezza astratta del manufatto, e chi invece lo giu-
New York nell’aprile 1917. Memore del rifiuto op- dicò una volgare messinscena. L’opera non venne
posto dai giurati del Salon des Indépendants al suo ammessa, contraddicendo così i principi stessi del-
Nudo che scende le scale (scheda 3), reo di infran- l’esposizione. Denunciando questa infrazione Du-
gere i dogmi del cubismo, Duchamp volle mettere champ e il suo mecenate Walter Arensberg si dimi-
alla prova la liberalità del gruppo newyorkese, che sero polemicamente dalla Società, con un gesto di
prometteva a chiunque, per la cifra di sei dollari, di solidarietà verso il fantomatico R. Mutt.
potersi iscrivere, esporre le proprie opere «senza Il destino toccato all’opera resta ignoto: non si sa se
Il caso di Richard Mutt
«The Blind Man», n. 2, New
York, maggio 1917. Filadelfia,
Museum of Art

154 l’originale sia stato venduto o distrutto. Di esso ri-


mane una testimonianza nella fotografia che Alfred
Stieglitz realizzò all’epoca della sua temporanea pre-
senza nei locali della galleria (si può intravedere in-
fatti a sinistra il cartellino d’ingresso), fotografia che
comparve su «The Blind Man», una rivistina dada
dove la polemica fu presentata con il titolo di The
Richard Mutt case (fig. 39).
Lo scioglimento del nome celava, ancora una volta,
un gioco di parole: «Richard» era da sottintendersi
come «Rich Art»: un’opera tutt’altro che banalmen-
te provocatoria, bensì densa di senso nella sua qua-
lità di operazione ‘concettuale’. La chiave si trova in
un testo, che contiene la migliore definizione della
pratica del ready made fornita da Duchamp stesso:
«Che il signor Mutt abbia realizzato con le sue mani
o meno la fontana non ha importanza. Egli l’ha scel-
ta. Ha preso un oggetto della vita quotidiana, collo-
candolo in maniera tale che il suo significato scom-
pare grazie al nuovo titolo e al punto di vista – ha
creato un nuovo pensiero per questo oggetto».
I
13. Francis Picabia ntorno al 1912-1913 Francis Picabia si
Parata d’amore accostò in modo singolare a una forma
schematica di cubismo ‘orfico’, croma-
(Parade amoureuse) ticamente sontuoso e sottinteso di allu-
sioni cifrate. Ciò gli permise di realiz-
1917
olio su tela, cm 96,5 x 74 zare alcuni tra i più belli e convincenti
Collezione privata esempi di pittura coeva (Danze alla sor-
gente, 1912).
Il duplice soggiorno a New York, nel 1913 in oc-
casione dell’Armory Show e nel 1915 in fuga dalla
guerra, costituirono una vera rivelazione. La fre-
nesia della metropoli moderna, la vasta e chiassosa
ostentazione di risorse tecnologiche, il pragmatismo
visionario promosso dal circolo newyorkese del fo-
tografo Alfred Stieglitz attraverso la galleria «291»
catalizzarono l’attenzione del pittore. Ebbe così
avvio la fase macchinista, ovvero la messa a punto
di un sistema di analogie visive in grado di tradur-
156 re i meccanismi in forme pittoriche. Si tratta di una
relazione ambivalente: se i dispositivi meccanici
possono assumere fattezze antropomorfe, pure la
fisiologia e la psicologia umana sembrano potersi ri-
condurre a un sistema dinamico di flussi, ingranag-
gi, movimenti.
«L’uomo ha fatto la macchina a propria immagi-
ne – affermerà Picabia in un’intervista dell’epoca
– Essa ha delle membra in azione, dei polmoni che
respirano, un cuore che batte, un sistema nervoso,
insomma dell’elettricità. Il fonografo è l’immagine
della sua voce; la macchina fotografica quella del
suo occhio […] Dopo aver fatto la macchina a pro-
pria immagine, l’ideale umano è divenuto meccano-
morfo».
Parade amoureuse dichiara sin dal titolo l’intenzione
del pittore. All’interno di una lattiginosa e deforma-
ta scatola prospettica spiccano alcuni meccanismi
dipinti a colori vivaci: sono cilindri, pistoni, pulegge,
bilance, assi di trasmissione. Questi elementi sono
articolati fra loro in maniera tanto elegante quanto
Francis Picabia
Danze alla sorgente (Danses à la
source)
1912, olio su tela, cm 251,8x248,9.
New York, The Museum of
Modern Art
Francis Picabia Nelle pagine seguenti: Francis Picabia
Matrimonio comico (Mariage Francis Picabia De Zayas! De Zayas! Sono giunto
comique) Marie sulle rive del Pont-Euxin (De Zayas!
giugno-luglio 1914 circa, olio su in «391», n. 3, Zurigo, marzo De Zayas! Je suis venu sur les
tela, cm 196,5x200. New Yok, 1917 rivages du Pont-Euxin)
Museum of Modern Art in «291», n. 5-6, New York, luglio-
agosto 1915. Parigi, Musée d’Orsay
160

incongrua: più che l’esatta efficacia e la funzionalità trofico, dei suoni percussivi. Una volta ammessi i ri-
del prodotto industriale, sembrano designare una ferimenti erotici resi espliciti dal titolo, l’osservatore
macchina inutile e assurda. Essa offre l’illusione di è spinto a riconoscere, in una così grottesca mec-
produrre, se azionata, un movimento irrazionale in canica, l’ostentazione visiva e sonora (la «parata»),
grado di generare, come in una sorta di carillon iper- delle forme metaforiche e delle funzioni organiche.
14. Morton Schamberg
Astrazione meccanica
(Mechanical Abstraction)
1916
olio su tela, cm 76,5 x 51,4
Filadelfia, Museum of Art

D
162 opo aver compiuto gli Il vero mutamento stilistico, come si avverte in
studi accademici a Fila- questo dipinto, avvenne con la conoscenza delle
delfia, Morton Scham- opere meccanomorfe esposte da Francis Picabia
berg si recò in Europa alla Modern Gallery di New York nel 1916. Lo
insieme al pittore Char- stile oramai maturo di Picabia, la congiunzione
les Sheeler, con il quale straniante tra forme meccaniche, precisione fo-
condivideva la passione tografica, elaborazione pittorica e scrittura co-
per la fotografia. A Parigi, l’opera di Cézanne, stituirono per Schamberg un decisivo punto di
Picasso e Matisse gli consentì di evolvere dal ge- svolta.
nerico postimpressionismo della sua prima for- Mechanical Abstraction offre, in uno stile neutro
mazione. Al pari dei più informati giovani artisti e oggettivo prossimo alla straight photography di
americani dell’epoca, le sue opere risentivano di Paul Strand, l’immagine di un dispositivo mecca-
un’eclettica intonazione modernista, tra accen- nico che nel suo nitore spicca dal fondo lattigino-
sioni cromatiche di gusto fauve e un moderato so del supporto. Questo elemento viene ostenta-
cubismo risolto in un’impostazione geometrica to sulla superficie del quadro più come se fosse
dell’immagine. un’intangibile icona da venerare che come una
Dopo il passaggio alla cruciale esposizione del- descrizione realistica e dettagliata di uno specifi-
l’Armory Show, il lavoro di Schamberg si avviò co meccanismo.
verso una fattura più nitida e una resa essenziale Con un gesto tra i più inaspettati e sorprendenti,
di forme e di volumi, rimanendo tuttavia fedele ai Schamberg compì la propria abiura del pacato
temi convenzionali del paesaggio e della figura. modernismo sin lì seguito realizzando intorno
Morton Schamberg
God
1917 circa, tubo metallico e
supporto di legno, h. cm 31,4.
Filadelfia, Museum of Art

165

al 1917 – la data precisa è alquanto controversa della baronessa Elsa von Freytag-Loringhoven
– un’opera intitolata God. È un tubo idraulico (una delle più bizzarre e debordanti protagoniste
ripiegato e montato sopra un supporto di legno. del Greenwich Village degli anni Venti) sembra
L’ambiguità dell’oggetto comune decontestua- costituire l’equivalente dei ready mades ducham-
lizzato e offerto nella sua presenza fallica si lega piani come Fontana (scheda 12). Meteora del da-
all’intitolazione volutamente provocatoria, in un daismo americano, Morton Schamberg non fece
esito di deliberata blasfemia. Quest’opera, che di in tempo a dare pieno sviluppo a queste intenzio-
recente è stata attribuita alla stravagante fantasia ni: morì a soli trentasette anni, nel 1918.
15. Jean Arp
Collage con quadrati ordinati
secondo le leggi del caso
(Collage with Squares
Arranged According to the
Laws of Chance)
1916 - 1917
collage di carte colorate su carta, cm 48,5 x 34,6
New York, The Museum of Modern Art

S
166 in dalle prime attività in seno al di una combinazione aleatoria. La norma stilistica
Cabaret Voltaire l’opera dell’alsa- è sostituita dal caso. L’opera non è un progetto co-
ziano Hans (Jean) Arp comprende sciente, ma un incontro immediato e senza alcun pre-
almeno tre distinti livelli di pro- giudizio tra i materiali e l’indole dell’autore. Il terzo
cedimento che riassumono alcu- elemento è specifico della poetica di Arp, e fornisce
ni tratti specifici della sensibilità un’originale chiave di lettura. Conseguente alla ri-
dada. Il primo è la pratica dell’as- mozione di ogni carattere scientifico o deduttivo del
semblage: evoluzione della pratica del collage, che in dipinto è infatti il recupero di una nozione di spon-
ambito cubista si era perlopiù concentrata nella spe- taneità e immediatezza dell’operare artistico. La di-
rimentazione del papier collé, verso esiti di più ampia mensione intellettuale e razionale del cubismo si può
e libera configurazione delle forme. In tal modo sono quindi oltrepassare recuperando le forme astratte e
scavalcate le rigide frontiere tra pittura e scultura, indifferenziate prodotte dalla natura. Così, l’opera di
generando delle opere che infrangono ogni rigoro- Arp si avvia precocemente verso l’impiego di forme
sa normativa di genere e ogni distinzione formale. Il organiche, che vengono utilizzate sia per le soluzioni
secondo elemento, strettamente correlato, è dato dal- ibride dei collage e dei rilievi, sia, in un secondo tem-
l’intenzione, dichiarata sin dal titolo, di avviare una po, nella scultura a tutto tondo. Le carte strappate
creazione che non fosse governata dalla logica, più non hanno più la freddezza di certi teoremi visivi cu-
o meno rigorosa, della tradizionale rappresentazione bisti né i «quadrati» appaiono rigorosamente come
figurativa. In luogo del confronto, per quanto aper- tali. Certo, queste forme sono ordinate secondo una
to e sovversivo, come nel caso del cubismo, con un casualità sempre guidata da una felice eleganza pitto-
modello esterno, le opere di Arp sono invece il frutto rica, con esiti di sofisticata rarefazione.
Anthologie Dada Nella pagina a fronte: the Laws of Chance)
copertina di Jean Arp, in «Dada», Jean Arp 1917, collage di carte colorate su
n. 4-5, Zurigo, maggio 1919 Collage con quadrati ordinati carta, cm 33,2x25,9.
secondo le leggi del caso (Collage New York, The Museum of
with Squares Arranged According to Modern Art
A
16. Marcel Janco ventun anni (era nato in
Ritratto di Tzara Romania nel 1895) Marcel
Janco era a Zurigo, dove si
(Portrait de Tzara) affaccendava a realizzare
gli abiti, i decori e le scene
1919
cartone, tela, inchiostro e gouache, cm 55 x 25 per i balletti del Cabaret
Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art Voltaire.
Moderne
Detentore di un gusto eclettico, che contaminava
le forme ingenue dell’arte popolare con l’espres-
sione incisiva e sommaria dell’arte africana, Janco
fu figura proteiforme di pittore, incisore, poeta,
performer, architetto. Sue alcune fra le più grot-
tesche maschere delle messinscene dada, che co-
niugavano uno stile ironicamente meccanico e un
giocoso spirito caricaturale.
Vera incarnazione del disinibito stile del dada
zurighese, irriducibile a un’unità organica e a di-
stinzioni di generi, Janco produsse per la rivista
«Dada», organo per così dire ufficiale del movi- 171
mento, una vasta campionatura delle sue creazio-
ni. Sono rilievi in legno che riecheggiano forme
cubiste, più serrate composizioni in un austero
stile astratto, rilievi polimaterici di sfrenata fan-
tasia e, si suppone (poiché le riproduzioni erano
in bianco e nero, e tutte le opere nel frattempo
disperse), di vivace policromia. Da non dimenti-
care le pregevolissime copertine e i manifesti delle
serate, che preannunciano le più evolute soluzioni
della grafica modernista di scuola costruttivista e
razionalista.
La maschera di Tzara è l’emblema beffardo del-
l’intensa stagione del Cabaret Voltaire. Janco
strinse con il poeta un sodalizio creativo che durò
fino al 1919, e che venne scandito da opere come
la plaquette La Première Aventure céleste de M.
Antipyrine, dove il componimento poetico di Tza-
ra e i legni incisi e colorati di Janco si rispecchiano
in un equilibrio pressoché perfetto tra innovazio-
ne linguistica ed eleganza delle forme naturali,
Nella pagina a fronte:
Marcel Janco
Manifesto-réclame di una serata
dada, Parigi, 23 luglio 1919

Marcel Janco
Relief A7
«Dada», n. 1, 1917

173

orchestrate con maestria. Janco fere rientro in Ro- to nel 1940, Janco fondò in Israele Ein Hod, un
mania nel 1919, avviando con la rivista «Contim- villaggio artistico che riprendeva lo spirito utopi-
poranul» una personale revisione dell’esperienza stico e collettivistico dei suoi esordi in favore di
dada, verso esiti d’astrazione geometrica. Emigra- una rinnovata unione tra artisti e società.
17. George Grosz
Metropolis
1917
olio su cartone, cm 68 x 47,6
New York, The Museum of Modern Art

N
174 el 1917 Georg Ehren- zione cupa e rossastra da città assediata, una vera
fried Gross, dopo aver commedia umana. Una popolazione di borghesi
adottato il nome di furbi e meschini, ‘squali’ di guerra compiaciuti e
George Grosz per pro- privi di scrupoli, protettori e prostitute discinte
testare contro il naziona- percorrono lo spazio claustrofobico e labirintico
lismo tedesco, pubblicò di una metropoli disumanizzata.
presso le edizioni Malik Sul piano stilistico, le straordinarie qualità del trat-
di Berlino, curate da Wieland Herzfelde (fratello to grafico di Grosz sono testimoniate dalla capillare
di Josef, che analogamente renderà il proprio co- introspezione psicologica condotta sui personaggi;
gnome Heartfield), due cartelle di litografie dedi- i colori saturi derivano dall’esperienza espressioni-
cate a temi di critica sociale. sta; l’impianto complessivo della scena riprende i
Lo spessore specificamente politico dell’esperien- celebri dipinti apocalittici di Ludwig Meidner. Lo
za dada a Berlino è confermato dall’iscrizione dei spazio fluido e compenetrato degli edifici e delle
tre artisti al Partito comunista tedesco in occasio- insegne sembra risentire della spazialità cubista.
ne del suo primo congresso, nel gennaio 1919, e Le architetture catafratte dei moderni e raziona-
dall’adesione al Novembergruppe, un sodalizio di li fabbricati non disegnano uno spazio vivibile,
artisti di ispirazione massimalista e rivoluzionaria. bensì un teatro allucinato e immorale. Dipinti e
Il corso della pittura di Grosz in questi anni è sem- acquerelli del periodo raffigurano la città come
plicemente inseparabile dalla componente di criti- un inferno, luogo d’ogni eccesso e perversione. La
ca politica e sociale. sola vera umanità, sembra voler suggerire George
In Metropolis Grosz allestisce, entro un’ambienta- Grosz, è quella in absentia, che è stata mobilitata
su un fronte di guerra non meno assurdo e sangui- logo Georg Simmel nei mutamenti psicologici pro-
noso. curati alla mentalità dei suoi abitanti, sollecita un
Così, l’esperienza della metropoli moderna, che grande atto d’accusa, una spietata mozione politica
solo pochi anni prima era stata studiata dal socio- contro la società borghese e le sue contraddizioni.

176

Ludwig Meidner
Potsdamer Platz
1913, inchiostro su carta.
Francoforte, Jüdisches Museum
177
D
18. Marcel Duchamp opo aver dichiarato nel
Tu m’ 1914 l’impraticabilità
della pittura e averla ab-
1918 bandonata, Duchamp vi
olio su tela, spazzola da bottiglia, tre spille di sicurezza, ritornò un’unica volta,
cm 69,8 x 303
New Haven, Yale University Art Gallery quando nel 1918 accol-
se una ricca commissio-
ne di Katherine Dreyer.
La Dreyer, facoltosa collezionista e mecenate ame-
ricana, aveva offerto mille dollari per un dipinto
destinato a decorare un ampio spazio rettango-
lare al di sopra della biblioteca del suo apparta-
mento in Central Park. La necessità di denaro
per un progettato viaggio in Argentina convinse
Duchamp ad accettare la proposta, celando con
ogni probabilità dietro il titolo enigmatico la sua
insofferenza per questo necessario e imprevisto
‘ritorno alla pittura’: Tu m’ si può utilmente leg-
gere come un moto di dichiarata antipatia verso il della composizione con un bullone. Qui spicca
quadro e la committente («Tu m’emmerde», «tu una spazzola per bottiglie (forse un richiamo allo
mi scocci»). Scolabottiglie) che fuoriesce perpendicolarmente
Il dipinto stesso è una sorta di ricapitolazione di alla superficie del quadro, rivolgendosi minaccio-
opere realizzate in precedenza: Duchamp disegnò sa all’occhio dello spettatore. A fianco, un vistoso
a matita le ombre proiettate di due ready mades, strappo realizzato a trompe l’œil è tenuto insieme
la Ruota di bicicletta (vedi fig. 21 e scheda 10) a si- da tre spille da balia infilate nella tela. Il tutto è
nistra, e il Portacappelli a destra, mentre fra di essi segnalato da una mano iperrealistica che punta
si distende orizzontalmente al centro la sagoma di il dito. A sinistra, infine, eleganti linee ondulate
un cavaturaccioli, forse un ready made progettato riecheggiano i Rammendi tipo, mentre una se-
e mai compiuto. rie di segmenti diagonali policromi fa da asse a
In basso a destra sono tracciate le unità di misura numerosi cerchi. Non meno delle altre opere di
dei tre Rammendi tipo (vedi scheda 8), una so- Duchamp, Tu m’ rappresenta una sfida interpre-
vrapposta all’altra. Al di sopra corre una fuga di tativa, a partire dalla delega all’esecuzione di parti
innumerevoli losanghe colorate, disposte secon- dell’opera: la mano che segnala è infatti opera di
do una prospettiva classica, con ogni probabilità un pittore d’insegne, mentre le losanghe colorate
un’allusione alla disposizione dei libri sugli scaf- furono dipinte da Yvonne Chastel, già moglie del
fali. L’ultima di queste losanghe è fissata al centro pittore dadaista Jean Crotti.
Marcel Duchamp
Portacappelli (Porte-chapeaux)
1917 (replica del 1964), ready
made: portacappelli in legno,
cm 23,5x14. Parigi, Centre
Georges Pompidou, Musée
National d’Art Moderne
R
19. Francis Picabia ientrato a Parigi nel 1919
Il fanciullo carburatore dopo le peregrinazioni tra
Stati Uniti, Spagna e Svizze-
(L’Enfant carburateur) ra durante l’intero conflitto,
Picabia divenne in breve
1919
olio e collage su tavola, cm 126,3 x 101,3 tempo il protagonista asso-
New York, Solomon R. Guggenheim Museum luto dell’intensa stagione
del dada parigino cui fornì, al di là della speri-
mentazione letterario-teatrale e della pratica del
ready made, la prima vera identità promossa con i
mezzi della pittura.
Fra i risultati più alti dello stile cosiddetto mac-
chinista di Picabia, L’Enfant carburateur dichiara
nel titolo la modalità di associazione simbolica tra
un elemento dell’automobile e l’individuo.
Preparando la miscela di combustibile e aria da
immettere nella camera di scoppio, il carburato-
re è l’elemento principale del sistema d’alimen-
182 tazione di un motore. Picabia era un grande ap-
passionato di automobili, che collezionò senza
risparmio, compiacendosi di farsi ritrarre al vo-
lante. L’associazione tra il cuore del motore e il
fanciullo diviene quindi metafora di un principio
costitutivo, di una potenzialità sorgiva. L’opera-
zione si può leggere anche come segno della stu-
pefazione e del piacere infantile dinanzi al mondo
delle macchine.
La composizione, infatti, è straordinariamente
bella e calibrata nella sua semplicità: si regge sullo
studiato equilibrio di sagome nere, dorate e ar-
gentee ritagliate con nettezza, dipinte in maniera
secca e oggettiva con vernice metallizzata, come
fosse il diagramma di un meccanismo impresso
sul fondo, lasciato volutamente grezzo, del sup-
porto di compensato.
La raffigurazione dei dispositivi meccanici è inte-
grata da una ricca serie d’iscrizioni: oltre al titolo
stampigliato come un’epigrafe in alto a sinistra,
possiamo leggere «Sphère de la migraine» (Sfe-
Francis Picabia
Pompa del combustibile
1922, inchiostro e gouache su
carta, cm 76,2x56,2. New York,
The Museum of Modern Art

185

ra dell’emicrania) intorno al disco nero al centro ne ironica alle stravaganti ed eteroclite modalità
del quadro; «Détruir le futur» (Distruggere il d’assemblaggio delle varie componenti.
futuro) appena al di sotto, «Méthode crocodile» Il dipinto venne presentato al Salon d’Autom-
(Metodo coccodrillo) al di sopra dell’ammortiz- ne del 1919, la prima rassegna dell’arte francese
zatore in basso, «Dissolution de prolongation» dopo la guerra, insieme a Serpentins, un dipinto
(Dissoluzione del prolungamento) e altre ancora. che raffigura, analogamente, una turbina. In qua-
Il loro significato risiede, in piena continuità con lità di membro del comitato organizzatore, Pica-
gli esercizi verbali di Duchamp, nell’ambigua re- bia non poteva veder rifiutate le sue opere; tutta-
lazione tra simili didascalie e gli indecifrabili mec- via esse suscitarono furiose polemiche, e vennero
canismi, generando sia un’assonanza tra fisiologia penalizzate collocandole nella penombra di una
umana e dinamica della macchina, sia un’allusio- scalinata.
20. Marcel Duchamp
L.H.O.O.Q.
1919
ready made: cromolitografia, inchiostro, grafite,
cm 19,7 x 12,4
Collezione privata

D
186 opo aver elaborato il tervenne ritoccando l’effigie con baffi e pizzetto.
concetto di ready made L’opera è completata da un’iscrizione apparente-
e averlo sperimentato mente oscura, L.H.O.O.Q. Pronunciata in francese
in una serie d’oggetti la sigla converte la propria inappellabilità epigrafica
realizzati durante il sog- in un salace gioco di parole, «elle a chaud au cul»,
giorno a New York, nel che non è solo un modo ulteriore per sconsacrare
1919 Marcel Duchamp l’aura mitica del capolavoro leonardesco, ma costi-
fece ritorno a Parigi. Il suo ritorno contribuì a tuisce la risposta beffarda ai tanti tentativi di risol-
saldare l’originale esperienza del dadaismo ame- vere il misterioso sorriso del celeberrimo ritratto.
ricano con i primi fermenti del dada parigino Inoltre, nell’operare un’inversione dei generi sessua-
promosso da Francis Picabia (vedi scheda 19), cui li Duchamp traeva conforto dalla tesi formulata da
Duchamp prese parte con opere come la cosid- Freud sin dal 1910 in Un ricordo d’infanzia di Leo-
detta Gioconda coi baffi, che divenne subito l’epi- nardo da Vinci, inversione che lo stesso Duchamp
tome della sensibilità dissacrante e provocatoria provvederà a sostanziare ideando un suo alter ego
del movimento. femminile, Rrose Sélavy.
L’opera, come ricorderà l’autore, risulta dalla com- Come sempre in Duchamp, è nella scelta dell’ogget-
binazione della pratica del ready made con l’este- to che si compie la più densa elaborazione concet-
tica iconoclasta del dada. L’immagine originale è tuale: la Gioconda infatti è consegnata a un simile
una cromolitografia dozzinale della Monna Lisa ludibrio attraverso una replica fra le più dozzinali
– di quelle che ancora oggi si possono acquistare – non ad esempio una nitida riproduzione fotografi-
presso i bouquinistes – sopra la quale Duchamp in- ca – sottintendendo in tal modo non solo una critica
Robert Rauschenberg
Disegno di De Kooning
cancellato (Erased De Kooning
Drawing)
1953, tracce di inchiostro e
grafite su carta, cm 64,14x55,25.
San Francisco, Museum of
Modern Art

189

canzonatoria al modello squisito dell’estetismo di La provocazione di Duchamp è quindi solo appa-


fine Ottocento (si pensi alle pagine di Walter Pater, rente: la sua adesione al dissacrante spirito dada si
di Bernard Berenson, di D’Annunzio), ma anche esercita nelle forme mai banali della riflessione in-
a quella moderna industria della divulgazione che torno allo statuto dell’opera d’arte, alla sua consi-
aveva ormai svalutato la venerata icona facendone stenza come ‘originale’ e al suo destino in seno alla
una merce di pronto consumo. Dietro questo ac- moderna civiltà industriale.
canimento vi erano anche motivazioni di stretta at- Da questo punto di vista, il gesto con cui il giovane
tualità: le celebrazioni per i quattrocento anni della Robert Rauschenberg ‘cancellò’ nel 1953 un dise-
morte di Leonardo avevano comportato una produ- gno di Wilhelm De Kooning appena acquistato – a
zione massiccia di cartoline, réclames pubblicitarie, quella data ormai considerato un maestro della pit-
caricature, oltre a un cospicuo numero di studi eru- tura moderna americana – venne letto in contiguità
diti e al sussiegoso testo di Paul Valéry, Introduction con lo spirito di L.H.O.O.Q., e ratificato dallo stesso
à la méthode de Léonard da Vinci. Duchamp.
Q
21. Hannah Höch uesto grande e impres-
Tagliato con il coltello da sionante collage è si-
curamente l’opera più
cucina dada attraverso l’ultima importante di Hannah
epoca culturale del ventre da Höch, unica donna a
birra tedesco partecipare al dada ber-
linese.
(Schnitt mit dem L’opera rappresenta un vero e proprio spaccato
Kuchenmesser Dada della vita politica, sociale ed economica della Ger-
durch die letzte weimarer mania prima e dopo la guerra, attraverso una miria-
de di motivi ricavati per la maggior parte dal quoti-
Bierbauchkulturepoche diano «Berliner Illustrierte Zeitung» a comporre un
Deutschlands) vertiginoso affresco.
La figura di maggiore spicco è quella di Albert Ein-
1919 stein, il cui volto in alto a sinistra è contornato da
collage, cm 114 x 89,8
Berlino, Staatliche Museen, Neue Nationalgalerie elementi meccanici e slogan dada, fra cui «Dada
siegt», ossia «Dada trionfa». Lo scienziato assiste
alla dinamica turbolenta della metropoli berlinese,
190 dove le forze conservatrici e della reazione sono mi-
nacciate dalla crescente marea rivoluzionaria che
sale dal basso.
In alto a destra sono raccolti gli emblemi del pote-
re sotto la locuzione «antidadaistische Bewegung»
(«movimento antidada»): il volto di Guglielmo II,
del principe ereditario, dei generali dell’esercito.
Nella metà inferiore del collage si può leggere a de-
stra, intorno allo stemma, «die Grosse Welt Dada»
(«il grande mondo dada»), alcune figure di precur-
sori, come lo scrittore Theodore Daubler, e pro-
tagonisti del dada berlinese, come George Grosz,
Johannes Baader, Raoul Hausmann – all’epoca
compagno della Höch – e l’autrice stessa, il cui vol-
to fa capolino tra i caratteri dell’iscrizione «dadai-
sten».
A sinistra, i collage fotografici delle masse in scio-
pero testimoniano l’adesione agli ideali della rivolu-
zione socialista, che riecheggiano nei volti di Marx
e Lenin.
Questo messaggio politico è associato a quello, cen-
Hannah Höch
La bella ragazza (Das schöne
Mädchen)
1920, collage. Collezione privata

Nella pagina a fronte:


Paul Citroen
Metropolis
1923, collage. Collezione privata

192

trale nell’intero sistema visivo di Hannah Höch, la pratica del collage condotta con gli strumenti del
della liberazione della donna. Non è un caso quin- lavoro casalingo – il «coltello da cucina» – contrap-
di che al centro della composizione, quasi fulcro posta al topos del corpo borghesemente appesantito
delle contrapposte forze sociali e politiche, emerga (come già nei dipinti di Grosz e Dix; schede 25 e
la figura di Niddy Impekoven, danzatrice e attrice 37). La sensibilità di Hannah Höch, qui espressa
berlinese (1904-2002). La danza moderna è intesa nello stile tipicamente dadaista del tumulto rivolu-
come strumento di sovversione antiborghese e di zionario, riflette così un particolare coinvolgimento
liberazione del corpo femminile, e si lega al ricono- nelle lotte d’emancipazione. Nonostante le riserve
scimento di quel ruolo politico attivo che, con l’at- espresse da Grosz e Heartfield, quest’opera venne
tribuzione del diritto di voto alle donne nel 1919, presentata all’esposizione dadaista berlinese del
pareva avviato. 1920, suscitando grande attenzione da parte della
Il titolo stesso dell’opera richiama, non senza ironia, critica.
22. Raoul Hausmann
Il critico d’arte
(Der Kunstkritiker)
1919 - 1920
litografia e collage fotografico su carta, cm 31,8 x 25,4
Londra, Tate Modern

U
no dei fondamentali prin- professionale e alla pretesa mediazione culturale 197
cipi del dadaismo è la di un oggetto artistico attraverso una specifica co-
creatività diretta e imme- difica nel linguaggio della critica.
diata, che erompe come Qui il volto del critico d’arte è prestato da George
energia sfrenata, in un Grosz, ma ciò che si desidera rappresentare è una
incontro immediato con figura anonima. La sovrapposizione degli occhi e
la ricchezza e la dispersi- della bocca sembra alludere alle forze esterne che
vità del modo reale. Seguendo questo postulato, la spingono il critico a emettere i propri giudizi; tali
critica d’arte e ogni estetica normativa divenivano forze, estranee alla più genuina creazione, sono
pleonastiche, quando non dannose. Nel Manifesto simboleggiate dalla banconota incuneata nel collo
Dada 1918 Tristan Tzara scriveva, infatti: «Un’ope- del critico, e dal bollo ironicamente pressato da
ra d’arte non è mai bella per decreto legge, obietti- una scarpa sulla fronte del personaggio. Lo sfon-
vamente, all’unanimità. La critica quindi è inutile, do del collage è dato da un manifesto litografico;
non può esistere che soggettivamente, ciascuno la esso fa parte di quei «poemi fonetici» che nelle
sua, e senza alcun carattere di universalità». intenzioni di Hausmann andavano affissi per le
Questa opera di Raoul Hausmann ha quindi una strade di Berlino.
valenza ancipite. Si può leggere come testimonian- Hausmann ricorderà la genesi del moderno foto-
za della più alta fase del collage dadaista, in uno montaggio rievocando l’impatto delle litografie
straordinario equilibrio tra fotomontaggio, elabo- popolari di soggetto militare, che venivano perso-
razione grafica e tipografia. Ma si può leggere an- nalizzate dai soldati inserendovi il proprio ritratto
che come attacco alla figura metaforica del critico fotografico. Tuttavia, gli scopi di Hausmann era-
Raoul Hausmann
«Der Dada», n. 2
Berlino, 1919. Berlino,
Staatsbibliothek,
Handschriftenabteilung
Hannah Höch
Giornalisti (Journalisten)
1925, olio su tela. Berlino,
Berlinische Galerie

201

no ben più complessi: la discontinuità del mon-


taggio grafico e l’impiego del collage erano intesi
come possibile traduzione statica del linguaggio
cinematografico, come egli stesso procurò di di-
mostrare sin dal suo primo fotomontaggio a noi
noto, non a caso intitolato Synthetisches Cino der
Malerei (Cinema sintetico della pittura). «Con la
scoperta del fotomontaggio – annotava l’autore
– avevo acquisito un’attitudine ultra-realistica,
che permetteva di lavorare in una prospettiva po-
lifocale sovrapponendo oggetti e superfici».
Grazie alle copertine realizzate per la rivista «Der
Dada», Hausmann contribuì a rinnovare radi-
calmente la moderna grafica, attraverso l’asso-
ciazione virtuosa di forme ritagliate, lettering e
disegno.
23. Raoul Hausmann
Testa meccanica. Lo spirito del
nostro tempo
(Der Geist unserer Zeit.
Mechanischer Kopf)
1919
assemblage, cm 32,5 x 21 x 20
Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art
Moderne

L
202 e opere «meccanomorfe» di nio, etichette di cartone, una porzione di metro da
Picabia e Duchamp alludeva- sarto, un meccanismo d’orologio, una parte di tele-
no alle forme ibride dell’uomo scopio, una pipa.
e della macchina in un senso Alcuni di questi elementi si legano all’esperienza
reversibile: all’uomo contem- quotidiana; ma la maggior parte degli oggetti presu-
poraneo, subordinato ai rigo- me un’attività di misurazione del tempo, dello spa-
rosi processi produttivi alla zio, della produzione, ormai non meno quotidiana
stregua di una macchina, si contrapponeva la mac- e prevedibile di tutto il resto. Lo spirito del tempo,
china moderna, che sembrava possedere consisten- sembra così suggerire Hausmann, è quello della so-
za emotiva e psicologia proprie (schede 5 e 13). stanziale disumanizzazione indotta dalle moderne
Nei dipinti di Grosz e Dix tale associazione prende procedure industriali: l’avvio di un regime produt-
le forme d’una inesorabile alienazione urbana, con- tivo regolato con scientifica esattezza, l’adozione di
giunta all’ostentazione della più tragica e moderna un tempo standard uniforme, e più in generale la
metamorfosi – quella dell’individuo in mutilato di riduzione dell’esperienza quotidiana e dell’esistenza
guerra, vero collage umano d’infermità della carne e umana nella sua totalità a parametri rigorosamente
protesi meccaniche (scheda 26). quantitativi.
Lo spirito del nostro tempo sembra sottendere La Testa meccanica sembra così voler contestare,
un’uguale critica agli effetti paradossali della mec- in termini più espliciti rispetto ad opere come Te-
canizzazione industriale. Una testa di manichino in sta Dada di Sophie Taeuber-Arp, sia i mezzi della
legno si presenta incastonata di elementi concreti: scienza, sia l’arte borghese e accademica, ugualmen-
un portafogli in pelle, una tazza retrattile in allumi- te codificata in norme e governata da regole nella
presunzione di realizzare una bellezza ideale, ma della letteratura scientifico-utopistica dell’Ottocento
sostanzialmente incapace di misurarsi con la dimen- (a partire da Eva futura di Villiers de L’Isle-Adam,
sione caotica e conflittuale della contemporaneità. considerato uno dei precursori del surrealismo)
In questi termini, l’opera di Hausmann si avvicina ma anche con quelle del cinema visionario di Fritz
alla sociologia critica di quanti, da Georg Simmel a Lang, come naturalmente l’automa costruito dallo
Siegfried Kracauer, avevano identificato nella pre- scienziato-alchimista Rotwang in Metropolis (1926).
valenza del principio quantitativo il fondamento Tempi moderni di Chaplin uscirà solo nel 1936: ma
perverso della modernità. Non è un caso che l’asso- i fondamenti di una critica all’ideologia taylorista
nanza più forte quest’opera la stabilisca con le figure sembrano qui già pienamente tracciati.

204

Raoul Hausmann Nella pagina a fronte:


Conrad Felixmüller come testa Sophie Taeuber-Arp
meccanica (Conrad Felixmüller als Testa Dada
mechanischer Kopf) 1920, legno dipinto e vetro,
1920-21, mina di piombo su carta, h. cm 23,5. New York, The
cm 37x34,6. Berlino, Staatliche Museum of Modern Art
Museen, Kupferstichkabinett
N
24. George Grosz ell’autunno del 1920
Automi repubblicani Grosz inizia a firmare le
sue tele con un timbro
(Republikanische Automaten) che reca l’iscrizione,
in luogo del più con-
1920
acquerello su carta, cm 60 x 47,3 venzionale «pinxit»,
New York, The Museum of Modern Art «George Grosz 1920
construiert» segnalando così il desiderio di avvia-
re una ricerca fondata sulla costruzione di forme
solide ed elementari, rigettando ogni facile esibi-
zione di mestiere pittorico. L’autore chiarirà, in
un testo del 1921, le proprie intenzioni nei termini
di una visione realistica del mondo e di una voca-
zione all’immagine chiara e ben comprensibile da
tutti. Per ottenere questo Grosz riduce notevol-
mente i colori, facendo emergere la trama di un
disegno esatto e nitido, che delinea con oggetti-
vità e precisione i profili e i volumi d’ogni forma.
206 Il disegno d’impronta tecnica, semplice e preciso,
determina i valori di costruzione, funzionalismo e
solidità, al pari della restituzione fotografica.
Inoltre, come si può osservare in Automi repubbli-
cani, tale oggettività si ricollega, oltre che all’ispi-
razione per l’esattezza fotografica nella determi-
nazione dello spazio prospettico, all’attenzione
per la pittura metafisica di Giorgio De Chirico
e Carlo Carrà, diffusa in Germania dalla rivista
«Valori Plastici» (che a sua volta informava con
puntualità sulle coeve ricerche dell’avanguardia
europea). Grosz stesso dichiarò il suo debito per-
sonale verso l’opera di Carrà distinguendo però
con chiarezza i propri intenti rivoluzionari con-
tro i tratti borghesi del pittore italiano.
Un terzo elemento entra però nella valutazione di
questo foglio, che avvia il breve periodo ‘mecca-
nico’ dell’autore. Oltre all’impiego della figura-
manichino, ridotta a un’innaturale stilizzazione,
compare in primo piano un meccanismo ‘inuti-
le’, nel pieno spirito degli ingranaggi di Picabia
George Grosz
Matusalemme
1922, acquerello, vernice metallica,
penna e inchiostro su carta,
cm 52,6x41,1. New York, The
Museum of Modern Art
George Grosz
Abile per il servizio militare
1916-17, penna e inchiostro su
carta, cm 50,8x36,5. New York,
The Museum of Modern Art

Nella pagina a fronte:


George Grosz
Giornata grigia
1921, olio su tela, cm 115x80.
Berlino, Staatliche Museen,
Nationalgalerie

210

(scheda 19). Vi è un’allusione, anch’essa di ca- un’astratta dimensione metafisica. Esso assume
rattere politico e sociale, alla figura del reduce di bensì le forme, letteralmente disumane, dei tanti
guerra. Il nazionalismo ‘idiota’ di questi automi reduci che, al rientro nella società civile, trasci-
si rispecchia non solo negli attributi del tricolore navano le loro tragiche appendici meccaniche,
e della croce di guerra, ma anche nei dettagli si- divenendo così i testimoni della formulazione
nistri delle mutilazioni. più moderna e spietata della tecnica, quella della
Il manichino di Grosz non rappresenta dunque guerra.
C
25. Otto Dix ome pochi altri pittori della
Ricordo d’una casa a specchi a sua generazione Otto Dix
ha così entusiasticamente
Bruxelles aderito agli ideali interven-
(Erinnerung an die Spiegelsäle tisti e vissuto intensamente
von Brüssel) l’esperienza di guerra in
qualità d’artigliere. Dalla
1920 carneficina della Somme al fronte di Russia ripor-
olio e vetro su foglia d’argento su tela, cm 124 x 80,4 tò numerose ferite, scampando alla morte. Per i
Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art
Moderne suoi meriti di combattente, guadagnò la Croce di
Ferro; ma la realtà della guerra gli procurò una
feroce e irrimediabile disillusione. Elaborò il pro-
prio trauma eseguendo una cospicua serie di di-
segni e incisioni, contribuendo con dipinti di rara
intensità e tragica bellezza alla restituzione visiva
del dramma europeo. Dal 1925 divenne uno dei
protagonisti della cosiddetta Nuova Oggettività,
una corrente di realismo asciutto e preciso, alla
212 quale consegnò referti sempre più sconsolanti
della società contemporanea; e divenne ben pre-
sto, nella Germania del Reich, un autore ‘dege-
nerato’.
Le ragioni della sua adesione ai principi del dadai-
smo non furono tanto d’ordine stilistico, quanto
ideologico. Al pari di Grosz, Dix contribuì, con
una serie di dipinti dei primi anni Venti, a una
delle più impietose e radicali critiche alla società
tedesca, uscita devastata dal conflitto.
Il tema di Ricordo d’una casa a specchi a Bruxel-
les è di carattere autobiografico, e risale al perio-
do trascorso nelle trincee del fronte occidentale.
L’intenzione di denuncia è più amara che astiosa:
all’interno di un bordello militare, un ufficiale ru-
bizzo si è gettato sopra una poltrona, reggendo
sulle ginocchia una meretrice dalle carni sfatte e
cadenti e dall’aria non meno istupidita. La scena
è riflessa a sinistra e in alto, e si interseca con altre
figurine impegnate in un amplesso sbrigativo.
Una bottiglia di champagne e una rosa, sopra un
Nella pagina a fronte: Otto Dix
Otto Dix Le Fiandre (Flanders)
Prager Straße 1934-36, olio su tela,
1920, olio su tela, cm 100x80. cm 200x250. Berlino, Staatliche
Stoccarda, Galerie der Stadt Museen, Nationalgalerie

215

tavolino di ferro, appaiono come gli unici detta- della mercificazione dei corpi.
gli sottratti alla volgarità della scena: ma la loro Questo dipinto venne realizzato nel 1920, anno in
presenza è quantomeno ironica, e viene subito cui l’autore venne invitato da Grosz e Heartfield
superata dalla crassa ostentazione della scarpa alla grande esposizione internazionale berlinese.
chiodata. L’opera di Dix contribuiva così all’esperienza
Le pregevoli risonanze stilistiche del dipinto, dada non solo per l’acuta e intransigente analisi
come le dominanti argentee dei toni e le sfaccet- sociale, ma anche per l’utilizzo delle risorse tradi-
tature dei volumi, passano in secondo piano di- zionali, e fino ad allora sostanzialmente disattese,
nanzi all’impietosa satira delle bassezze umane e della pittura e del disegno.
26. Otto Dix
Giocatori di skat. Mutilati di
guerra che giocano a carte
(Die Skatspieler. Kartenspielende
Kriegskruppel)
1920
olio su tela, cm 110 x 87
Berlino, Staatliche Museen, Neue Nationalgalerie

A
216 l pari di Grosz, la satira colare poggiato sul tavolino gli restituisce le sen-
sociale di Dix negli anni sazioni perdute del mondo esterno attraverso un
immediatamente successi- lungo tubo metallico. Il giocatore al centro ha le
vi la guerra si concentra su gambe inserite sopra due protesi; privo di braccia
temi di un antimilitarismo e d’orecchi, serra con la mandibola meccanica la
grottesco e blasfemo. I carta che sta per giocare, mentre una larga sutu-
quattro dipinti inviati alla ra sul cranio lascia scoperta una scena di sesso,
grande fiera dada berlinese del 1920, fra i quali a rappresentare un pensiero recondito. Il terzo
questo Giocatori di carte, sono dedicati alla figura giocatore è un altro povero mutilato, che ostenta
dei reduci di guerra. la croce di guerra, mentre il naso gli è stato strap-
All’interno di un caffè berlinese illuminato da una pato via da una granata; anch’egli ha una protesi
lampada a gas, tre reduci sono impegnati in una meccanica (che reca come marca la firma dell’au-
partita a carte. Orrendamente mutilati, i volti de- tore: «Prothese-Marke ‘Dix’») al posto delle ga-
formati dalle ferite delle schegge, i loro corpi sono nasce.
un aggregato informe e grottesco d’irriconoscibili Nel riprendere la tradizionale iconografia dei gio-
forme organiche e protesi metalliche, che si con- catori di carte intorno a un tavolo, ma alludendo
fondono ironicamente con le gambe del tavolino anche a una sorta di trinità cristiana decaduta,
e delle sedie. Dix comunica la sua intenzione di pietà e com-
La figura a sinistra, priva d’un braccio e con una passione per questi antieroi, vera personificazio-
scheletrica mano di ferro, regge le carte con il ne dell’epilogo apocalittico della guerra.
piede, come un clown infernale, mentre un auri- Storpiati dalle ferite, menomati nel fisico, inne-
Otto Dix
Invalidi di guerra
(Kriegskruppel)
1920, punta secca,
cm 25,9x39,4. New York, The
Museum of Modern Art

219

stati di protesi metalliche, questi personaggi si


presentano come ibridi mostruosi, metà uomini
e metà automi. Non è un paradosso che, nata in
reazione all’assurdità della guerra, dada abbia
provato anche a rappresentarne le conseguenze.
Il culto nazionale degli eroi, essenziale nel dopo-
guerra per la riformulazione istituzionale di una
memoria condivisa, si svaluta nella scettica parata
di un’umanità orrendamente segnata. I volti de-
formi dei reduci, diffusi dalla pubblicistica paci-
fista, divengono così l’emblema traumatico della
tragedia europea.
27. Max Ernst
Frau Wirthin an der Lahn…
1920
collage, inchiostro e gouache, cm 25 x 31,5
Stoccarda, Staatsgalerie, Graphische Sammlung

L
220 a pittura di Max Ernst, uno
degli artisti del Novecento
più ricchi di inventiva, è co-
munemente considerata, in
virtù della sua mescolanza
di memorie d’infanzia, me-
tafore freudiane e mitogra-
fie private, come uno dei più originali contributi
all’estetica del surrealismo. Nondimeno, egli è
stato insieme a Hans Arp uno dei protagonisti
della stagione dada a Colonia, che prese avvio
nel 1919 dopo che lo stesso Ernst aveva parte-
cipato a un’esposizione presso la galleria Dada
di Zurigo.
L’intensa sperimentazione tecnica e delle forme
ibride del collage e del fotomontaggio ne deter-
minarono il ruolo centrale per l’estetica del movi-
mento. Ernst infatti non volle mai ricusare l’atti-
vità della pittura, che aveva iniziato da autodidat-
ta, dopo la laurea in filosofia nel 1909, seguendo
i modi di un convenzionale espressionismo. Nel
Max Ernst
Progetto di manifesto
1921, collage, gouache
e inchiostro su cartone,
cm 64x49. Torino, Galleria
Civica d’Arte Moderna e
Contemporanea

223

raccogliere infatti le suggestioni del collage, delle distinguono bene da quelli di Hannah Höch e
costruzioni polimateriche, dell’assemblage e dello Raoul Hausmann (schede 21-22), in virtù della
stile meccanico, desiderava sì rinnovare le strate- loro consistenza maggiormente pittorica, di un’al-
gie creative, ma nell’intento di farle così conflui- lusività meno diretta, e per l’assenza di espliciti
re nella pratica della pittura. Lungi dal negare le riferimenti politici e sociali.
potenzialità del dipinto, egli riuscì a rinnovarne Frau Wirthin an der Lahn appare così nella sua
i modi, scovando il vocabolario più efficace per totalità ‘organica’ come un dispositivo dove le
tradurre una vivida fantasia straniante e accosta- suggestioni delle forme meccaniche di Picabia
menti incongrui. Resta così fondamentale il suo (ruote dentate, catene) si inseriscono in una
ruolo di traduttore della più sfrenata sperimenta- composizione architettonica di equilibrate scan-
zione dada nelle risorse specifiche della pittura, sioni, che non rinuncia al piacere della bella ma-
della quale si fece per così dire garante, offrendo teria pittorica. Meno secca ed esibita di dipinti
in tal modo al nascente surrealismo un inesausto come Parade amoureuse di Picabia (scheda 13),
stile pittorico. quest’opera testimonia l’adesione originale a uno
Questa è la ragione per cui i collage di Ernst si dei più importanti temi dadaisti.
28. Marcel Duchamp
Vedova da poco (Fresh Widow)
1920
ready made: finestra in miniatura con otto placche di cuoio,
cm 77,5 x 44,8
New York, The Museum of Modern Art

A
ffascinato da un aspetto Duchamp era uno degli elementi più importanti
tipico del commercio mo- del ready made: l’iscrizione. «Questa frase – preci-
224 derno come il marchio di serà l’autore – al posto di descrivere l’oggetto come
fabbrica, nell’autunno del avrebbe fatto un titolo, era destinata a spingere lo spi-
1920 Duchamp creò un suo rito dello spettatore verso altre regioni, più verbali».
alter ego femminile, Rrose L’influenza della scrittura di Raymond Russell e delle
Sélavy. Dietro questo nome, stravaganti teorie linguistiche di Jean Pierre Brisset,
come al solito, si celava un gioco di parole («Eros, più volte apertamente dichiarata da Duchamp, si
c’est la vie») e un’allusione: la doppia R iniziale, per esercita in pieno nel ricorso al gioco verbale fondato
ammissione dell’autore, era in scherzosa assonanza sull’accostamento incongruo e straniante degli ele-
con la denominazione dei Lloyd. Duchamp impiegò menti fonici.
questo beffardo copyright per siglare una lunga serie Un altro aspetto del ready made, secondo Duchamp,
di opere, la prima delle quali fu questo ready made. è che non possiede alcun valore di unicità. La replica
Si tratta della riproduzione in scala ridotta di una di un ready made infatti trasmette lo stesso messag-
porta-finestra fatta costruire da un falegname. Sulla gio. Ciò che conta è l’idea insita nel prelievo dell’og-
base corre una doppia iscrizione in inglese e francese getto, non il suo status di opera ‘originale’. Lo stesso
che gioca sull’assonanza fra la definizione dell’og- Duchamp infatti negli ultimi anni della sua vita auto-
getto (French window) e la locuzione Fresh widow. rizzò una tiratura limitata di repliche dei vari ready
Apparentemente priva di significato («Vedova da mades prodotti. È assai significativa la consonanza di
poco»), questa titolazione è interpretabile in base a questa scelta con le coeve teorie dell’arte concettuale,
un dettaglio dell’opera: i vetri delle finestre, infatti, che postulavano, proprio sulla base della riconsidera-
sono oscurati da ritagli di cuoio nero. zione storica del lavoro di Duchamp, la disgiunzione
L’opera esemplifica bene il ruolo di quello che per dell’idea artistica dalla sua esecuzione materiale.
A
29. Jean Arp rp realizza i suoi primi ri-
Astuccio di un Da lievi già quando, nel 1916
a Zurigo, partecipa alla
(Trousse d’un Da) stagione del Cabaret Vol-
taire. Alcune di queste
1920 - 1921
assemblage: frammenti di legno inchiodati su tavola e pittura, prime opere costituiscono
cm 38,7 x 27 x 4,5 dei veri ritratti dei prota-
Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art
Moderne gonisti del locale, come Tristan Tzara e Hugo
Ball. Pur aderendo in pieno ai dettami antiacca-
demici del dada, Arp ne rigetta i tratti più espli-
citamente nichilisti, avviandosi a una personale
ricerca plastica nel linguaggio dell’astrazione.
Emancipandosi dalla simmetria e dalle rigide
geometrie d’impianto cubista, Arp giunge a dare
forma ad assemblaggi con forme irregolari e si-
nuose, che evocano il mondo naturale in aggrega-
ti non privi di una loro eleganza, intitolati Forme
terrestri.
226 All’inizio degli anni Venti Arp produce due la-
vori assai simili, Trousse d’un Da e Trousse des
naufragés. I due rilievi sono realizzati con fram-
menti di legno raccolti su una spiaggia, inchio-
dati su una tavola e ricoperti di una vivace poli-
cromia. La consistenza scabra e grezza del legno
richiama un carattere volutamente primitivo dei
manufatti, il cui impatto visivo era reso ancora
più intenso dalla colorazione eccessiva. Ricorde-
rà poi l’autore: «Desideravo agire come i popoli
Oceanici, che non si preoccupano affatto della
durata materiale delle loro maschere, utilizzando
per esse materie deperibili come le conchiglie, il
sangue, le piume».
Questa personale rivisitazione del primitivismo
prediligeva dunque, in luogo delle maschere afri-
cane amate dai cubisti, le vivaci forme organiche
e la colorazione esuberante dei manufatti ocea-
nici.
Il risultato è una serie di opere al confine tra
pittura, scultura e collage. Le forme organiche
Jean Arp Nella pagina a fronte:
Rilievo dada (Dada-Relief) Jean (Hans) Arp
1917, cm 24,5x28x6. Tre incisioni su legno
Berlino, Staatliche Museen, in «Dada», n. 3, Zurigo,
Nationalgalerie dicembre 1918

229

e indifferenziate sembrano denunciare l’usura composizioni poetiche quanto nelle incisioni su


del tempo e l’intervento degli elementi naturali, legno pubblicate sulle riviste dal movimento.
testimoniando così una creazione desiderosa di L’intero ciclo di rilievi, che si arricchirà di ope-
esprimere un legame intimo con le forze miste- re allusive a una metamorfosi tra oggetti e forme
riose e insondabili della natura. Si tratta di un organiche, venne presentata soltanto nel 1927, in
aspetto che caratterizza l’intera produzione di occasione della prima esposizione personale di
Arp in questo periodo, e che si ritrova tanto nelle Arp alla Galerie Surréaliste a Parigi.
30. Francis Picabia
L’occhio cacodilato (L’Œil
Cacodylate)
1921
olio su tela e collage, cm 148,6 x 117,4
Parigi, Centre Georges Pompidou, Musée National d’Art
Moderne

I
nsofferente del progressivo conteni- Metzinger, oltre a scrittori, poeti, galleristi, per-
mento della spontaneità dada entro sonalità del milieu mondano che neppure appar-
le briglie di un’organizzazione gerar- tenevano al movimento dada. Marcel Duchamp
230 chica di gruppo, Picabia abbandonò consegnò l’iscrizione «Pi q’habille Rrose Sélavy»
il movimento nel 1921, contestual- che si può intendere come un omaggio ai rapporti
mente alla realizzazione di questo di scambio e amicizia con Picabia (letteralmen-
dipinto. te, «Pi che vestì Rrose Sélavy»): il dipinto infatti
Costretto per oltre un mese a letto a causa di un sembra condividere parecchi temi cari allo stesso
herpes all’occhio, dovette curarsi con una soluzio- Duchamp.
ne di sale d’arsenico, detto appunto cacodilato, La sostituzione delle immagini pittoriche con le
sufficientemente tossico da dover essere dosato firme costituisce infatti una critica al culto della
con accuratezza, quanto maleodorante. Il nome personalità creatrice dell’autore, negandone l’abi-
del medicamento associato a un’interpretazione lità manuale e la stessa esistenza come artefice indi-
metaforica dell’occhio ferito suggerì alla fantasia viduale. Inoltre, l’ostentazione delle firme si deve
di Picabia questo dipinto. Impedito a dipingere, leggere anche come allusione al loro potere mer-
si limitò ad abbozzare un grande occhio aperto. cantile quale certificazione del valore di scambio
Lasciò quindi la tela vergine a disposizione dei dell’opera. Lo stesso Picabia interverrà dipingen-
suoi innumerevoli ospiti, che furono invitati a do in alto una vistosa placca a trompe l’œil, che
porre un’iscrizione e a firmare. Il risultato è un riporta il titolo, e ponendo il suo nome in caratteri
impervio tour de force di sigle, firme, bon mots capitali e ombreggiati in basso a sinistra.
e giochi di parole realizzati dalla variegata platea Il quadro è un insieme d’iscrizioni, non un eserci-
dell’avant-garde parigina: spiccano le presenze zio di forme: il suo valore sembra dipendere dalla
di Tristan Tzara, di Francis Poulenc, dei pittori somma dei nomi, più o meno celebri, che vi sono
Jean Crotti, Georges Ribemont-Dessaignes, Jean inscritti.
M
31. Man Ray an Ray è stato uno
Oggetto indistruttibile dei protagonisti
della breve ma in-
(Indestructible Object) tensa stagione dada
a New York. A
1923 (replica del 1964)
metronomo in legno e fotografia, cm 21,5 x 11 x 11,5 stretto contatto con
New York, The Museum of Modern Art Marcel Duchamp e
Francis Picabia, sviluppò una proteiforme atti-
vità di pittore, fotografo, cineasta, frutto di uno
spirito inventivo animato da un’invidiabile peri-
zia artigianale e da un inesausto humour.
L’incontro con Duchamp comportò una dram-
matica revisione dei convenzionali precetti pit-
torici ‘moderni’ fino a quel momento rispettati.
Un dipinto come The Rope Dancer accompanies
Herself with her Shadows, riprodotta nelle pa-
gine seguenti, è infatti inseparabile dalle sugge-
stioni ricavate dall’autore del Grande vetro. Man
234 Ray è ugualmente attratto dalla pratica del ready
made e dell’assemblaggio di oggetti comuni. Se
però Duchamp opera sulla distanza tra l’ogget-
to reale, perlopiù indifferenziato, e lo scarto se-
mantico indotto dall’accostamento incongruo o
dall’intitolazione enigmatica, Man Ray sembra
privilegiare un’altra via. I suoi oggetti appaio-
no come assemblaggi eleganti e raffinati, che
giocano ironicamente a superare le frontiere tra
scultura, manifattura artigianale e pittura, sor-
prendendo l’osservatore con enigmi ironici. Tali
sono, ad esempio, opere come L’enigma di Isido-
re Ducasse (opera che riprende un famoso bon
mot dello scrittore, impacchettando con tessuto
e spago una macchina da cucire), oppure Regalo
(1921, fig. 41), un semplice ferro da stiro reso
inutilizzabile da una serie di chiodi sul piatto.
Oggetto indistruttibile è realizzato montando so-
pra il bilanciere di un comune metronomo una fo-
tografia dell’occhio di Lee Miller, all’epoca com-
pagna di Man Ray a Parigi, donna di leggendaria
Man Ray
La funambola si accompagna con
le sue ombre (The Rope Dancer
accompanies Herself with her
Shadows)
1916, olio su tela, cm 132,1x186,4.
New York, The Museum of
Modern Art

236

avvenenza (poserà anche come modella per «Vo-


gue»), in seguito acclamata fotografa.
La semplicità della costruzione non aiuta tutta-
via a individuare una chiave di lettura per l’ope-
ra: di certo l’associazione fra uno strumento di
misurazione del tempo e l’immagine dell’occhio
femminile sembra poter giustificare un’allusione
alla donna amata. Inoltre, il movimento dell’asti-
cella ripristina il dinamismo dell’espressione vi-
vente contro la fissità dello sguardo fotografico,
richiamando al tempo stesso le opere cinetiche
di Duchamp (scheda 36).
32. Kurt Schwitters
Merzbild 32A. Le ciliegie
(Merzbild 32A. Das Kirschbild)
1921
collage di tessuto, legno, metallo, gouache, olio, carta tagliata
e incollata, inchiostro su cartone, cm 91,8 x 70,5
New York, The Museum of Modern Art

P
238 er quest’opera Schwitters si è oggetti e le forme pittoriche entro una disposizio-
avvalso, oltre che dei conven- ne a griglia, animato da intenzioni legate ai principi
zionali tempera, grafite e in- tradizionali della pittura: «Prendo qualunque mate-
chiostro, di materiali perlopiù riale, se il quadro lo richiede. Bilanciando fra loro
di recupero come carte colo- materiali diversi ho un vantaggio rispetto alla pittu-
rate, ritagli di stampa, tessu- ra soltanto a olio, perché oltre a misurare colore con
to, legno, metallo e corteccia colore, linea con linea, forma con forma, peso anche
raccolti a partire dal 1918 e progressivamente im- materiale con materiale».
piegati nell’elaborazione dei cosiddetti Merzbild. Al centro del quadro spicca l’immagine di un grap-
Schwitters ricavò questo termine da un frammento polo di ciliegie affiancate dalla denominazione in
della dicitura «Kommerzbank», posta come suffisso francese e in tedesco, ricavata quindi con ogni pro-
a designare la sua intera produzione. Lo scopo di babilità da un dizionario bilingue illustrato. Intor-
aperta critica nei confronti dell’esito mercificante no a questo nucleo centrale si dispongono, in una
dell’arte moderna era però associato a un termine studiata dissipazione, i vari frammenti. L’effetto
che ambiva, nella sua polisemia, a designare l’attivi- complessivo è quello di una composizione straordi-
tà proteiforme di pittore, scultore, tipografo, archi- nariamente animata, dove i singoli elementi creano,
tetto e compositore. grazie agli interventi chiaroscurali e all’accorta di-
In un primo momento Schwitters studiò configura- sposizione sul piano, un’illusione di profondità. La
zioni circolari, ellittiche e diagonali, quasi a deter- valutazione di ogni singolo elemento nelle sue spe-
minare una personale cosmogonia astratta (come in cifiche qualità pittoriche (forma e colore) nonché
Rotazione, 1919). Presto però prese a organizzare gli di tessitura e densità di materiale, giunge così a un
Kurt Schwitters
Rotazione (Das Kreisen)
1919, costruzione a rilievo di
legno, metallo, corda, cartone,
lana, filo metallico, pelle e
olio su tela, cm 122,7x88,7.
New York, The Museum of
Modern Art

242

ammirevole equilibrio. «La pittura Merz – scriveva i singoli elementi di questo assemblage non parteci-
infatti Schwitters nel 1919 – non si serve soltanto del pano di alcun significato simbolico. Essi non mani-
colore e della tela, del pennello, della tavolozza ma festano altro che la propria consistenza materiale, e
di tutti i materiali percepibili dall’occhio e di tutti vengono intesi dall’autore come elementi squisita-
gli attrezzi necessari. L’artista crea scegliendo, di- mente pittorici per uno studio compositivo, senten-
stribuendo e svincolando i materiali dalla forma». dosi Schwitters del tutto estraneo al carattere icono-
A differenza dei lavori di Grosz, Hausmann e Höch, clasta e nichilista di altri autori dada.
33. Max Ernst
Senza titolo (Dada)
[Ohne Titel (Dada)]
1922 - 1923
olio su tela, cm 43,2 x 31,5
Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza

È
un dipinto ambiguo e di ar- tela cita esplicitamente Il cervello del bambino, un 245
dua decifrazione, che l’inti- dipinto del 1914 che Paul Éluard aveva acquistato
tolazione generica non aiu- a Roma direttamente dall’autore. La notorietà di
ta a sciogliere pienamente. quest’opera a Parigi contribuì a sostanziare il lin-
Tuttavia, per la ricchezza guaggio metafisico di De Chirico come precursore
delle risorse pittoriche di- del nascente surrealismo.
spiegate, l’opera è un eccel- La stessa costruzione prospettica del quadro – due
lente esempio del reimpiego in pittura delle mo- pareti che stringono verso lo sfondo oscuro di una
dalità compositive del collage. porta, probabilmente, e un pavimento che sembra
Affascinato dalla lettura dell’Interpretazione dei so- fatto di nuvole nere – riecheggia le vertiginose stan-
gni di Freud, Ernst è senz’altro l’autore dada più ze metafisiche. L’accostamento eccentrico di oggetti
sensibile ai temi dell’introspezione e al problema minuti e l’ambiguità tra le forme metalliche del lam-
della restituzione visiva dell’esperienza onirica. Da padario e quelle organiche fluttuanti nello spazio so-
questo punto di vista, una delle fonti più ammirate speso accentuano la sensazione di straniamento, cui
da Ernst è senz’altro la pittura di Giorgio De Chiri- contribuisce il deliberato gigantismo di un enorme
co. Il personaggio qui ritratto di spalle a mezzo bu- disco a cerchi concentrici, per i quali sembra possi-
sto richiama infatti le figure metafisiche dei dipinti bile ipotizzare una ripresa dei dischi ottici di Marcel
dechirichiani dell’anteguerra, nella loro ambivalen- Duchamp (scheda 36). Lo spettatore è così portato
za di statue-individui. Il ricorso di Ernst ai motivi a identificarsi con la figura di spalle, perpetuando il
di De Chirico è evidente anche in altre opere, come senso di mistero e l’interrogazione ansiosa dinanzi a
si evince dal coevo Rivoluzione di notte. Questa un così incongruo e inaspettato incontro.
Max Ernst
Pietà. Rivoluzione di notte (Pietà.
La Revolution la nuit)
1923, olio su tela, cm 116,2x88,9.
Londra, Tate Modern
Giorgio De Chirico
Il cervello del bambino
1914, olio su tela, cm 80x63.
Stoccolma, Moderna Museet
34. Max Ernst
Dadaville
1924 circa
gesso dipinto e sughero su tela, cm 68 x 56 x 6,3
Londra, Tate Modern

E
rnst strinse i primi contatti Il secondo tema d’interesse sta nel soggetto. Quello
250 con il circolo dada parigino della città fu uno dei motivi di maggiore fortuna nel-
in occasione di una mostra l’immaginario dada: contribuivano a esso le sugge-
personale nel 1921 che ebbe stioni di un’esibita modernità industriale, come do-
la presentazione di André cumentato dal circolo newyorkese di Stieglitz. Per i
Breton. Quello stesso anno dadaisti berlinesi, la metropoli era l’immagine stessa
Paul Éluard si recò a Colonia, della conflittualità sociale, lo spazio simbolico entro
dove acquistò alcuni suoi dipinti e scelse undici col- cui la ribellione delle masse politicizzate aggredisce
lage come illustrazioni per il suo poema Répétitions. la moderna borghesia capitalista nell’intento di sov-
Nel 1922 Ernst raggiunse Éluard e la moglie Gala a vertirne l’ordine reazionario (scheda 17).
Parigi, affiancando alla collaborazione artistica un La cittadella dadaista di Ernst sembra sollecitare
effettivo ménage a trois. un’altra immagine. Le strisce di sughero, serrate in
L’opera risale quindi al periodo in cui l’esperienza un ordine verticale, paiono infatti suggerire le forme
del dada parigino si travasa nel nascente surrea- ardite di uno skyline moderno ma soffocante, mi-
lismo, il cui primo manifesto comparve a firma di naccioso e disumanizzato.
Breton proprio nel 1924. Tuttavia, la consistenza organica di simili grattacie-
Questa veduta fantastica di una città dada sottende li sembra far subentrare anche un’altra immagine,
almeno due motivi. Il primo è di carattere stilisti- quella del bosco fitto e incantato, sopra il quale, in
co, ed è dichiarato nel ricorso a materiali inconsueti un cielo rannuvolato, volano figurine indecifrabili.
come il sughero grezzo inchiodato sul supporto: una Un simile riferimento, che richiama il coevo dipinto
soluzione che dimostra, nella sua semplicità d’ecce- La foresta, denota uno scenario più onirico e fiabe-
zionale impatto, la ricca vena sperimentale di Ernst. sco che reale, ma non meno inquietante.
Max Ernst
La foresta
1923, olio su tela, cm 73x50,3.
Filadelfia, Museum of Art
253
35. Kurt Schwitters
Merzbau
1921 - 1948
installazione, cm 393 x 580 x 460 circa
Hannover, Sprengel Museum, Kurt Schwitters Archive

U
254 na grande opera d’ar- non di rado radicali, degli orientamenti stilistici di
te totale, un’ambiziosa Schwitters: una condizione così straordinariamente
Gesamkunstwerk, l’uni- fluttuante ed elusiva da costituire, al pari dell’opus
ca possibile nel secolo magnum incompiuto di Duchamp e del Monumento
dada; l’opera della vita, alla Terza Internazionale di Vladimir Tatlin, uno dei
per combinazione iniziata grandi fantasmi nell’arte del Novecento.
nell’anno in cui Duchamp L’opera fu iniziata nell’atelier di Schwitters a Han-
lasciò definitivamente incompiuto il Grande vetro. nover nel 1923. Intorno a una scultura denominata
Tutto questo è stato il Merzbau. Un manufatto in- Colonna della miseria erotica iniziarono ad accumu-
quietante e misterioso in egual misura. Distrutta da larsi oggetti di vario ordine: ritagli di giornale, foto-
un bombardamento nel 1943 e da un incendio nel grafie, manifesti. Erano materiali in forma frammen-
1951, ogni volta ricominciata da capo, in tre diverse taria, da intendersi come spoglie o reliquie, deiezioni
nazioni, l’ultima versione dell’opera venne lasciata sottratte al flusso quotidiano delle merci e aggregate
incompiuta alla morte dell’autore nel 1948. all’organismo primitivo. Questo totem man mano
Le fotografie ci consegnano i differenti stadi d’ela- crebbe, s’inarcò e si estese. Venne così inserito in
borazione di un’opera incompiuta per principio: un una struttura architettonica dapprima rudimentale,
tracciato architettonico, che mette insieme pittura, poi organizzata in pareti di legno rivestite. La strut-
scultura e assemblaggio d’oggetti eterocliti, insepa- tura contribuiva a generare un effetto di confusione
rabile dalla biografia dell’autore; ‘libro degli amici’, spaziale, poiché si presentava come un oggetto al-
opera d’arte collettiva destinata a una crescita di- l’interno dell’atelier, che a sua volta racchiudeva un
sorganica e incontrollata, sottoposta ai mutamenti, ambiente percorribile.
Kurt Schwitters dinanzi
alla replica del Merzbau di
Hannover

Nella pagina a fronte:


Kurt Schwitters
Merzbild 25A
1920, olio e collage su tela,
cm 104,4x79. Düsseldorf,
Kunstmuseum

256

Lo spazio si sviluppava in ‘grotte’ dove erano col- L’unica possibile intenzionalità dell’operare artistico
locati e murati gli oggetti che richiamavano idee era determinata dal flusso vitale di una quotidianità
astratte (vi è una grotta dell’amore, la grotta Goethe, che si esprimeva per scarti, frammenti, incontri più
un angolo per Lutero), e la prosaicità della cronaca o meno casuali. Ma se il principio costitutivo dell’as-
quotidiana (con il carbone della Ruhr a rappresenta- semblaggio ammette la casualità del reperimento,
re la crisi delle regioni transfrontaliere e i ritratti di pure esiste un’intenzionalità costruttiva, che spinge
Hitler e Mussolini). Non mancavano spazi dedicati la creazione verso una forma architettonica via via
agli amici che concorsero all’impresa. Vi sono grotte più perfezionata. La colonna, e con essa lo spazio
dedicate ad Arp, a Hannah Höch, a El Lissitzky e a architettonico, perde progressivamente l’aspetto di
Mies van der Rohe. Le singole nicchie di questa par- accumulo caotico e viene organizzata in forme piane,
ticolare wunderkammer furono ingerite e assimilate che risentono della purificata sintassi costruttivista.
dalla costruzione, che venne sempre più estenden- Per ammissione stessa dell’autore, questa resa archi-
dosi, incorporando in sé i singoli episodi, cannibaliz- tettonica si avvicinava allo spirito sociale e ideologico
zando lo spazio dell’atelier. Nel suo ultimo stadio il delle grandi costruzioni gotiche. Ancora oggi, quan-
lavoro aveva ormai raggiunto e divorato otto stanze. to rimane dell’esperienza del Merzbau si offre negli
Alla nichilistica dichiarazione della perdita di ogni spazi dello Sprengel Museum di Hannover come una
senso compiuto, Schwitters preferì reagire con la ver- cattedrale individuale e sconsacrata, l’unica possibile
tigine dell’accumulo e di una letterale introspezione. nel secolo della modernità.
36. Marcel Duchamp
Semisfera rotante (Ottica di
precisione)
[Rotative demi-sphère
(Optiques de précision)]
1925
apparecchio ottico a motore, cm 148,6 x 64,2
New York, The Museum of Modern Art

I
l tema dell’immagine in movimento un disco di rame a sua volta collegato per mezzo di 259
aveva affascinato Duchamp sin dal una cinghia di trasmissione a un motorino elettrico.
Nudo che scende le scale (scheda 3), ed Sul supporto di rame Duchamp aveva previsto di far
era stato poi studiato nei vari dipinti incidere un’iscrizione, in modo da associare al gioco
che diedero il via al progetto del Gran- visivo della spirale in movimento un gioco di parole.
de vetro (fig. 7 e scheda 9). Poi, ritenne logica conseguenza provare a sostituire
Intorno al 1920 Duchamp iniziò a spe- la macchina in movimento con il movimento cinema-
rimentare, insieme a Man Ray, dei dispositivi ottici tografico. Volle così filmare le rotazioni della Semi-
e cinetici nell’intento di esplorare le configurazioni sfera rotante in una pellicola che però andò distrutta
visive generate da forme elementari poste in un moto durante la fase di sviluppo. Tuttavia, Duchamp non
meccanico. Lo stesso alter ego di Duchamp, Rrose smise di tradurre in film le sperimentazioni cineti-
Sélavy, si era appena dichiarata «esperte en optiques che. Con l’aiuto di Man Ray girò nel 1926 Anémic
de précision». cinèma, un film di sette minuti in cui si assiste alla
Il primo lavoro di questo tipo prevedeva una serie rotazione di dieci dischi ottici con motivi simili alla
di lame in vetro allineate lungo un asse; sottoposti Semisfera rotante alternati a nove sentenze, disposte
a rotazione meccanica, i cinque segmenti di cerchio a spirale sopra altrettanti dischi in movimento, che
riportati sulle placche producevano l’effetto di una consegnano alcuni giochi di parole squisitamente
spirale in movimento, generando una profondità duchampiani, come «Inceste ou passion de famille
illusoria. Il principio venne ripreso in questa Semi- à coups trop tirés», «Esquivons les ecchymoses des
sfera rotante, costituita da un globo di vetro, dipinto esquimaux aux mots exquis», «Avez-vous mis la
con un motivo spiraliforme eccentrico, montato su moelle de l’épée dans le poêle de l’aimée?».
Marcel Duchamp
Rotorelief n. 1 - Corolles
1935, diametro cm 20. Leeds,
Museums and Galleries
Marcel Duchamp
Rotorelief n. 11 - Corolles
1935, diametro cm 20. Leeds,
Museums and Galleries
E
37. George Grosz sauritasi la stagione dada
Pilastri della società berlinese, Grosz partecipò
con intensità alle attività
(Stuetzen der Gesellschaft) del Partito comunista. Nel
1924 divenne presiden-
1926
olio su tela, cm 200 x 108 te dell’unione degli artisti
Berlino, Staatliche Museen, Neue Nationalgalerie comunisti della Germania,
e intensificò la sua attività satirica pubblicando
con regolarità sul settimanale «Der Knuppel».
Quello stesso anno Grosz tenne la sua terza mo-
stra personale presso la galleria berlinese di Al-
fred Flechtheim, che lo mise sotto contratto pre-
sentandolo con regolarità nel suo elegante spazio
espositivo.
Flechtheim era stato il primo ad aprire il mer-
cato tedesco ai costosi dipinti dei moderni mae-
stri francesi: con lui Grosz fece il suo definitivo
ingresso nel mercato artistico di prestigio. Per
262 questa ragione, il pittore fu costretto a operare
una difficile conciliazione tra gli scopi, tra loro
opposti, della feroce critica sociale e del soddi-
sfacimento delle richieste del mercato. Decise
quindi, richiamandosi esplicitamente al prece-
dente di Gustave Courbet, di separare del tut-
to la produzione commerciale dalla sua vena
più genuina. A Flechtheim avrebbe consegnato
paesaggi convenzionali e prontamente vendibili.
Con il ricavato si sarebbe dedicato al prediletto
tema della satira sociale, in tele di grande forma-
to. Nacquero così opere come Eclissi di sole e
Pilastri della società.
In questo dipinto le figure del potere sono sim-
boleggiate, a partire dall’alto, da un ufficiale con
spada insanguinata e rivoltella; un giudice colto
in un gesto di sguaiata eloquenza; un esponente
del partito socialdemocratico, con la bandierina
e il cranio aperto a catino, ricolmo di sterco fu-
mante; un giornalista corrotto, con la sua maz-
zetta di quotidiani, un’improbabile palma e un
George Grosz
Eclissi di sole (Sonnenfinsternis)
1926, olio su tela, cm 206x182.
Huntington, Heckscher
Museum of Art

264

pitale rovesciato in testa. In primo piano spicca mescolanza di oggetti innestati nei corpi, quanto
la figura di un ufficiale a riposo, ora nazista, che nell’impiego di giornali e plaquettes, costituisce
regge un boccale di birra e una spada, mentre una reminiscenza della pratica del collage e del
i suoi propositi bellicosi (o forse le memorie di fotomontaggio, che fu centrale nella fase più
guerra?) fuoriescono dal cranio sotto forma di intensa del dada berlinese (cfr. fig. 45). È bene
un cavaliere al galoppo. Alla sommità, alcuni però osservare che qui Grosz opera deliberata-
sgherri in divisa sembrano rivolgere la loro at- mente con le risorse della pittura, entro cui viene
tenzione a un edificio in fiamme, rivolgendovi un assorbito lo stilismo del collage.
ghigno compiaciuto. Il grande dipinto mira infatti a innestare la cri-
Lo spietato sarcasmo che soggiace alla compo- tica sociale nell’alveo della tradizione pittorica.
sizione è evidente nell’insieme delle fisionomie Esso si presenta infatti come una dissacrante ta-
grottesche e deformi, dalla sconcia obesità, dagli vola d’altare, sia per il formato che per l’orga-
attributi infamanti. Il loro dispiegamento sull’in- nizzazione triadica delle figure in primo piano,
tera superficie della tela, tanto nella disinvolta sovrastate dall’autorità religiosa.
265
266
38. Jean Arp
Oggetti disposti secondo la
legge del caso (Ombelichi)
[Objets placés d’après la loi du
hasard (Nombrils)]
1930
rilievo in legno dipinto, cm 26,3 x 28,3 x 5,4
New York, The Museum of Modern Art

O
ltre che per la persona- con le tecniche e nei materiali meno convenzionali, 267
le declinazione ‘organi- come il tessuto e il collage, grazie all’aiuto della mo-
ca’ e metamorfica del glie Sophie Taueber, con la quale realizzerà opere
dadaismo, del cui lin- a quattro mani, assecondando in tal modo l’ideale
guaggio figurativo co- dadaista della spersonalizzazione dell’atto creativo
stituirà una delle prin- e di una ricerca artistica collegiale. Reagendo sia
cipali linee di sviluppo, all’introspezione di un cubismo via via più decora-
l’opera di Arp è centrale anche nella delicatissima tivo, sia agli eccessi di un’estetica macchinista che
fase in cui, dopo il 1921, la compattezza ideologica prende le forme (come nel caso de L’Esprit Nou-
e la sfrenata sperimentazione s’infrangono dinanzi veau) di una stilizzata e fredda astrazione, l’opera
al riemergere di più compiute ragioni stilistiche, di dei coniugi Arp è straordinariamente vivida e pul-
nuove opzioni di gusto, quando non rivendicazioni sante, e non rinuncia alle risorse di un’abile dimen-
dei linguaggi nazionali. sione artigianale.
Già nel 1918 Arp aiutò Kurt Schwitters a delineare Il loro intento divenne così quello di attraversare
il progetto Merz (schede 32 e 35), per la cui omoni- per intero il linguaggio astratto nelle infinite va-
ma rivista Arp realizzò nel 1923 una magnifica serie rianti prodotte dalle tecniche della pittura, della
di litografie, che traducono in una stesura piana e scultura, del ricamo e del tessuto, del disegno e
graficamente semplificata, di grande impatto visi- dell’incisione, e della loro convergenza nell’estetica
vo, il linguaggio organico e metamorfico messo a onnicomprensiva dell’assemblage.
punto nei rilievi. Testimoniate dalla ricca partecipazione alle attività
In parallelo Arp svolse un’intensa attività creativa del gruppo dada di Colonia prima (dove gli Arp
lavorano insieme a Max Ernst e Johannes Baader) Per tali ragioni, le opere più tarde di Arp, come
e di Parigi poi, queste soluzioni acquisirono noto- questo rilievo del 1930, sono fondamentali per la
rietà europea grazie alla diffusione della ricchissima tenuta dell’arte astratta quando, nel corso degli anni
pubblicistica dada. Per tale via, il linguaggio astrat- Venti e Trenta, verrà dichiarata superata dalle cor-
to di Arp venne riconosciuto dai nascenti gruppi renti surrealiste o dal cubismo erroneamente inteso
della più moderna e agguerrita astrazione europea, come arte astratta. In quello stesso 1930 infatti Arp
come l’olandese De Stijl. fu tra i fondatori del gruppo Cercle et Carré, un so-
Theo van Doesburg, che fu tra i fondatori del movi- dalizio tanto effimero (durò solo per un anno e per
mento, riconobbe che già in un’opera di Arp come i tre numeri dell’omonima rivista) quanto fonda-
la raccolta Die wolkenpumpe «si cristallizza la vi- mentale nel traguardare le ricerche ormai storiche
sione dadaista del mondo (e cioè il mondo come di Kandinsky, Mondrian, Léger, dello stesso Arp,
totalità disordinata e contrastante di azioni estre- verso un’astrazione geometrica e un costruttivismo
mamente incoerenti e straordinariamente opposte internazionale la cui centralità verrà riconosciuta
e contrarie) nella parola poeticamente pura». solo nel secondo dopoguerra.

268

Jean Arp
Configurazione con due punti
pericolosi (Configuration avec
deux points dangereux)
1930 circa, legno, cm 69,8x85,1.
Filadelfia, Museum of Art
Jean Arp
Foglie e ombelichi (Feuilles et
nombrils)
1929, olio e corda su tela,
cm 35x27,3. New York, The
Museum of Modern Art
39. Marcel Duchamp
Dati: 1) la caduta d’acqua 2)
il gas d’illuminazione [Étant
donnés: 1) la chute d’eau 2) le
gaz d’éclairage]
1946 - 1968
installazione, cm 242,6 x 177,8
Filadelfia, Museum of Art

Q
270 uest’opera si presen- nuale d’istruzioni che illustra il procedimento di
ta come la summa assemblaggio degli elementi; l’autore proibì però
dell’intero lavoro di la diffusione del testo, come delle foto dell’inter-
Duchamp rivelandosi no, per almeno quindici anni.
come la versione na- Dati… consiste in una vecchia porta di legno
turalistica della Sposa con due fori, chiusa nel retro da un velluto nero
messa a nudo dai suoi che reca i ‘Buchi del voyeur’. Dietro la porta vi
scapoli, anche (fig. 7 e scheda 9). Il titolo infatti è una struttura in mattoni con un’ampia breccia:
fa riferimento alle due fondamentali componenti «Su questa base di mattoni – annotava Duchamp
della Caduta d’acqua e del Gas d’Illuminazione – solido fondamento, la macchina celibe, grassa,
che governano l’intera simbologia del Grande lubrica». Al di là dei mattoni, adagiata sopra un
vetro. Anche quest’opera ebbe una lunga e tra- cumulo di rami, una sagoma femminile ricavata
vagliata elaborazione. Iniziata segretamente nel da un’armatura metallica ricoperta di pelle. Sul
1946 nello studio che Duchamp aveva a New fondo si erige un paesaggio realisticamente di-
York, fu completata nel 1966 e venne svelata al pinto su vetro con una cascata d’acqua che scin-
pubblico dopo la morte dell’autore, nel 1969, tilla grazie a un dispositivo elettrico.
quando tutti credevano che Duchamp avesse L’osservatore, ma sarebbe più opportuno chia-
smesso di creare da oltre vent’anni. La struttu- marlo il voyeur, si avvicina alla porta facendo
ra, assai complessa, venne installata in maniera agire l’apparato luminoso ed elettrico; come in
permanente presso il museo di Filadelfia. Du- un peep show si avvicina a uno dei buchi e adoc-
champ volle accompagnare l’opera con un Ma- chia l’interno. Qui il suo sguardo incontra una
Marcel Duchamp
Studio per ‘Dati: 1) la caduta
d’acqua 2) il gas d’illuminazione’
tecnica mista. Collezione privata

Nella pagina a fronte:


Marcel Duchamp
Studio per ‘Dati: 1) la caduta
d’acqua 2) il gas d’illuminazione’
1948-49, gesso e pittura a olio,
cm 50x31. Stoccolma, Moderna
Museet

273

donna matura, nuda, distesa a gambe aperte, che dalla presenza invereconda e carnale, che forni-
ostenta il proprio sesso mentre con la mano si- sce lei stessa la sorgente d’illuminazione. L’espe-
nistra regge un becco Auer, una lampada a gas rienza ultima di Duchamp salda così in maniera
emblema di una scienza anacronistica, leggibile coerente il suo principio e il suo compimento:
anche come simulacro sfoderato del fallo. Inutil- l’emancipazione dalla pittura come arte ‘retinica’
mente l’osservatore cerca lo sguardo della donna: giunge a identificare l’esperienza dell’osserva-
la figura reclinata nasconde la testa al di là della zione come puro feticismo. Lo spettatore, con-
breccia nel muro, lo sguardo può solo smarrirsi sapevole di osservare e di essere a sua volta visto
nello sfondo del paesaggio o concentrarsi sulla dagli altri visitatori del museo, ha coscienza che
pornografia accecante del corpo femminile. l’esperienza percettiva è in tal modo inseparabile
L’evanescente Sposa messa a nudo dai suoi scapoli dal senso pressoché corporeo della vergogna di
del Grande vetro è divenuta qui una prostituta essere lui stesso oggetto di osservazione.

Potrebbero piacerti anche