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Rocco Sacconaghi

Implicazioni metafisiche ed epistemologiche


del manoscritto husserliano sul
copernicanesimo

Introduzione

Vi è una sola umanità e una sola Terra […]: essa è l’arca che sola rende
possibile il senso di ogni movimento, e di ogni quiete quale modalità
di un movimento. Ma la sua quiete non è appunto una modalità di
un movimento. Ora però tutto questo sembrerà stravagante o perfino
folle, in contrasto con ogni conoscenza scientifica della realtà e della
possibilità reale […]. Ma anche se si vorrà ravvisare nei nostri tentativi
la più incredibile hybris filosofica, noi non recediamo dalla conse-
quenzialità del nostro chiarimento delle necessità di ogni donazione
di senso sia per l’ente che per il mondo […]. L’Ego vive e precede ogni
ente reale e possibile, ente inteso in ogni senso, sia reale che irreale1.

Il manoscritto D17 del 1934, conosciuto come Umsturz der ko-


pernikanischen Lehre in der gewöhnlichen weltanschaulichen
Interpretation (Rovesciamento della dottrina copernicana
nell’interpretazione della corrente visione del mondo)2, è

1. e. husserl, Umsturz der kopernikanischen Lehre in der gewöhnlichen wel-


tanschaulichen Interpretation. Die Ur-Arche Erde bewegt sich nicht. Grundlegen-
de Untersuchungen zum phänomenologischen Ursprung der Körperlichkeit, der
Räumlichkeit der Natur im ersten naturwissenschaftlichen Sinne, in m. farber
(ed.), Philosophical Essays in Memory of Edmund Husserl, Harvard University
Press, Cambridge 1940, pp. 324-325; trad. it. di G.D. Neri, Rovesciamento della
dottrina copernicana nella corrente visione del mondo. L’Arca originaria Terra non si
muove. Ricerche fondamentali circa l’origine fenomenologica della corporeità, della
spazialità, della natura nel senso primario delle scienze naturali, in «Aut Aut» 245
(1991), pp. 17-18.
2. Il manoscritto reca la data 7-9 maggio 1934, ed è registrato con la sigla D17.
La trascrizione dell’originale stenografico è stata compiuta da Ludwig Landgrebe
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uno tra i più suggestivi e densi inediti lasciatici in eredità


da Husserl. Esso ospita un’analisi fenomenologica della spa-
zialità originaria del soggetto che conduce all’affermazione
dell’insopprimibilità dell’esperienza della Terra come nostro
suolo originario e quindi alla critica della sua parificazione
agli altri pianeti. Su questa base, Husserl propone una cri-
tica fenomenologica – e non una confutazione – della pro-
spettiva cosmologica inaugurata da Copernico. Il sottotitolo
del manoscritto, Die Ur-Arche Erde bewegt sich nicht (L’arca
originaria Terra non si muove), esprime bene l’audacia della
riflessione husserliana, la quale, sviluppandosi nel solco della
“rivoluzione copernicana” attuata da Kant, giunge a propor-
re un rovesciamento (non semplicemente metaforico, ma
nemmeno puramente scientifico) del copernicanesimo vero
e proprio e sembra quasi lambire – non solo sul piano espres-
sivo – il confine che separa la filosofia dalla poesia e dalla
mitologia. Emerge così in modo dirompente l’originalità – e
per certi versi l’ambiguità – della posizione in cui si trova la
fenomenologia husserliana rispetto alla tradizione filosofico-
scientifica moderna, che ha nel copernicanesimo uno dei
propri eventi fondanti dalla notevole carica simbolica. Que-
sto manoscritto, lungi dal contestare o rovesciare i cardini
del pensiero husserliano3, ne offre un’espressione tanto co-

alla fine degli anni Trenta. Da qui in avanti ci riferiremo a questo testo con l’ab-
breviazione Umsturz. Su questo manoscritto husserliano, cfr. g.d. neri, Terra e
Cielo in un manoscritto husserliano del 1934, in «Aut Aut» 245 (1991), pp. 19-44; k.
held, Sky and Earth as Invariants of the Natural Life-world, in C.-F. Cheung, E.W.
Orth (eds.), Phenomenology of Interculturality and Life-world, Alber, Freiburg 1998,
pp. 21-41; p. kerszberg, The Phenomenological Analysis of the Earth’s Motion, in
«Philosophy and Phenomenological Research» 2 (1987), pp. 177-208; j. himanka,
Husserl’s Argumentation for the Pre-Copernican View of the Earth, in «Review of
Metaphysics» 3 (2005), pp. 621-644; a.j. steinbock, Home and Beyond: Generative
Phenomenology after Husserl, Northwestern University Press, Evanston 1995 (in
particolare il capitolo vii, Transcendental Concepts of the Lifeworld, pp. 97-121).
3. È ciò che invece sostiene Merleau-Ponty, il quale vede in Umsturz una delle
riflessioni husserliane in cui più esplicitamente emergono direzioni teoriche che
esasperano ed eccedono i limiti della fenomenologia stessa, conducendo a un
intreccio di empirico e trascendentale. Secondo Merleau-Ponty, Husserl sarebbe
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erente quanto efficace. In esso sono condensate molte delle


principali categorie e tematiche fenomenologiche, le quali,
sebbene non siano presentate in modo organico e sistematico,
sono concepite in assoluta continuità con le precedenti ope-
re husserliane e vengono “messe all’opera” in modo tale da
raggiungere una delle più originali e sintetiche formulazioni
dell’idealismo fenomenologico, esibendone così la comples-
sità interna e l’irriducibilità rispetto alle filosofie precedenti.
Nel presente contributo non si intende realizzare un’e-
sposizione sistematica di Umsturz, o una disamina completa
delle tematiche in esso presenti, e nemmeno sviluppare ul-
teriormente le analisi su spazialità, corporeità e decorsi per-
cettivi, permanendo all’interno dell’indagine husserliana.
Piuttosto, identificando nel tentativo di un definitivo supe-
ramento dell’obiettivismo la cifra dell’atteggiamento feno-
menologico – a partire dal quale soltanto le analisi stesse
possono essere attuate e comprese – si cercherà, con uno
stile più “speculativo” che fenomenologico, di mettere in lu-
ce le implicazioni metafisiche ed epistemologiche di questo
manoscritto.

obbligato dall’esito delle sue stesse indagini a smentire il proprio idealismo: «Pro-
getto di possesso intellettuale del mondo, la costituzione diviene sempre di più,
via via che il pensiero di Husserl matura, il mezzo per svelare un rovescio delle
cose che non è stato costituito da noi. Era necessario questo insensato tentativo
di sottomettere ogni cosa allo statuto della coscienza, al limpido gioco dei suoi
atteggiamenti, delle sue intenzioni, delle sue imposizioni di senso, bisognava
spingere all’estremo il ritratto di un mondo saggio che la filosofia classica ci
ha lasciato, per rivelare tutto il resto: quegli esseri, al di sotto delle nostre idea-
lizzazioni e oggettivazioni, che le alimentano segretamente, e in cui si stenta a
riconoscere dei noemi: la Terra, per esempio, che non è in movimento come i
corpi oggettivi, ma neppure in riposo, poiché non si vede a che cosa potrebbe
essere “inchiodata” – “suolo” o “ceppo” dei nostri pensieri come della nostra
vita, che potremo sì spostare o riportare, quando abiteremo altri pianeti, ma solo
perché avremo allora ingrandito la nostra patria, che non possiamo sopprimere»
(m. merleau-ponty, Signes, Gallimard, Paris 1960, p. 227; trad. it. di G. Alfieri,
a cura di A. Bonomi, Segni, il Saggiatore, Milano 2003, p. 234). Per una critica
dell’interpretazione merleau-pontyana di questo manoscritto ci permettiamo
di rimandare a r. sacconaghi, Intrascendibilità dell’esperienza e atteggiamento
naturale in Merleau-Ponty, in «acme» (2011), vol. lxiv, fasc. iii, pp. 165-182.
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1. L’obiettivismo, le “omogeneizzazioni”
e l’impossibilità della storia

1.1 La ricomprensione trascendentale dell’esperienza


naturale

«Noi copernicani, noi uomini dell’età moderna diciamo: la Ter-


ra non è “tutta la natura”, essa è uno dei corpi celesti nello spazio
cosmico infinito»4. Così Husserl descrive il nostro “sentire”
di moderni, l’immagine che abbiamo della nostra posizione
nel cosmo – e quindi nell’essere –, plasmata dall’assimilazione
irriflessa della teoria cosmologica copernicana. L’idea che la
Terra sia «uno dei corpi celesti nello spazio cosmico infini-
to», o semplicemente un «grande masso»5 su cui ci trovia-
mo, è assunta come ovviamente vera nonostante smentisca
la nostra esperienza naturale. La Terra infatti ci si presenta a
livello percettivo come il nostro suolo e, da un punto di vista
esistenziale-emozionale, viene sentita innanzitutto come il luo-
go della nostra nascita e della nostra esistenza – perciò da un
punto di vista metafisico-morale viene (quasi) inevitabilmente
concepita come il centro dell’universo.
Le analisi fenomenologiche presentate in queste pagine,
pur non riaffermando il geocentrismo classico, “conferma-
no” questa esperienza naturale e smentiscono la sua smentita
scientifica, rivelando come ogni modo di esperienza della
quiete e del movimento sia «sempre riferito in primo luogo
al suolo di tutti i corpi-suolo relativi, al suolo terrestre»6. Da
un punto di vista fenomenologico – ovvero dal punto di vista

4. «La Terra è un corpo di forma sferica; certamente non un corpo percepibile


tutto in una sola volta e da una sola persona, bensì in una sintesi primordiale
come unità di esperienze individuali collegate reciprocamente. Ma è pur sempre
un corpo!» (e. husserl, Umsturz der Kopernikanischen..., cit., p. 308; trad. it.
p. 4)
5. «Così ora la Terra è il grande masso sul quale essi [gli altri corpi] posano e
a partire dal quale si sono sempre formati per noi (o avrebbero potuto formarsi)
dei corpi più piccoli, per frammentazione o per separazione» (ibidem).
6. Ivi, p. 312; trad. it. p. 7.
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di quella che Husserl ritiene la filosofia prima, intesa come


scienza rigorosa fondamentale –, la Terra non è una semplice
“cosa” tra le altre. Essa infatti originariamente non è esperita
come un oggetto costituito7. Al fine di indicare questa «cosa
di genere particolare»8 – per la quale Merleau-Ponty conia
l’espressione «quasi-oggetto»9 – Husserl usa il termine evo-
cativo “arca” (o arca originaria, Ur-Arche), nel quale in un
certo senso i diversi livelli appena considerati (percettivo,
esistenziale-emozionale, metafisico-morale) sono conden-
sati: «Che dire della stessa arca Terra? Essa non è a sua volta

7. Nella sua introduzione all’Origine della geometria di Husserl, riferendosi al


manoscritto husserliano sul copernicanesimo, Derrida distingue la geometria – la
scienza degli oggetti costituiti – dalla geologia, la scienza della Terra, che da un
punto di vista husserliano sarebbe impossibile: «La geometria è infatti la scienza
di ciò che è assolutamente oggettivo, la spazialità, negli oggetti che la Terra, il
nostro luogo comune, può indefinitamente fornire, come terreno d’intesa con
gli altri uomini. Ma se una scienza oggettiva delle cose terrestri è possibile, una
scienza oggettiva della Terra stessa, terreno e fondamento di questi oggetti, è
tanto radicalmente impossibile quanto quella della soggettività trascendentale.
La terra trascendentale non è un oggetto e non può mai diventarlo; e la possibilità
di una geometria è rigorosamente complementare all’impossibilità di ciò che si
potrebbe chiamare una geologia, scienza oggettiva della Terra stessa. È il senso
del frammento che riduce più che “confutare” l’ingenuità copernicana, e mostra
che la Terra, nella sua archi-originarietà, non si muove» (j. derrida, Introduction
à L’Origine de la Géométrie de Husserl, PUF, Paris 1962, pp. 78-79; trad. it. di C.
Di Martino, Introduzione a Husserl L’origine della geometria, Jaca Book, Milano
1987, pp. 136-137). In nota, Derrida offre una breve descrizione dell’operazione
teorica husserliana presente nel manoscritto: «Husserl “riduce” la tesi coperni-
cana facendo apparire come suo presupposto trascendentale la certezza d’una
Terra come origine di ogni determinazione cinetica oggettiva. Si tratta dunque di
esumare la Terra, di mettere a nudo il terreno originario sepolto sotto i depositi
sedimentari della cultura scientifica e dell’oggettivismo. Poiché la Terra non può
diventare corpo mobile» (ivi, p. 78; trad. it. p. 136).
8. hua iv, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Phi-
losophie. Zweites Buch: Phänomenologische Untersuchungen zur Konstitution, M.
Biemel (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1952, p. 158; trad. it. di E. Filippini Idee per una
fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, libro secondo: Ricerche
sopra la costituzione, a cura di V. Costa, Einaudi, Torino 2002, p. 159.
9. m. merleau-ponty, La nature. Notes du cours du Collège de France, D. Séglard
(éds.), Seuil, Paris 1995, p. 110; trad. it. di M. Mazzocut-Mis, F. Sossi, a cura di M.
Carbone, La natura, Cortina, Milano 1996, p. 114.
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già un corpo, non è un corpo celeste fra i corpi celesti»10. In


queste analisi gioca un ruolo decisivo l’idea husserliana che
la corporeità del soggetto sia essenzialmente coinvolta nella
costituzione trascendentale dell’esperienza11. L’inclusione del
suolo terrestre nel campo trascendentale è infatti uno svilup-
po dell’interpretazione fenomenologica del corpo-vivo, che,
come la Terra, non può essere cosalizzato proprio perché
partecipa all’attività di costituzione12:

La Terra può altrettanto poco perdere il suo senso di “dimora pri-


mordiale”, di arca del mondo, quanto poco il mio corpo [Leib] può
perdere il proprio senso d’essere del tutto peculiare di corpo proprio
primordiale [Urleib], da cui ogni corpo proprio deriva una parte del
suo senso d’essere e quanto [resta vero che] noi uomini, nel nostro
senso d’essere, precediamo gli animali, ecc.13.

La prospettiva fenomenologico-trascendentale viene presen-


tata dunque in questo manoscritto come una ri-conquista
filosofica dell’esperienza naturale ingenua (percettiva ed esi-
stenziale-emozionale) e una ri-comprensione rigorosamente
scientifica – su base intuitivo-descrittiva – della concezione
metafisico-morale implicita a livello naturale. Husserl delinea
questo stesso “movimento” nel § 9 della Crisi delle scienze
europee, quando scrive che «l’unica via possibile per superare
l’ingenuità filosofica che si nascondeva nella “scientificità”

10. e. husserl, Umsturz, p. 320; trad. it. p. 13. Cfr. anche ivi, pp. 323-324; trad.
it. pp. 16-17.
11. «Io ho tutte le cose di fronte a me, le cose sono tutte “là” – a eccezione di una
sola, appunto del corpo vivo che è sempre “qui”» (hua iv, p. 159; trad. it. p. 160);
«abbiamo insieme stabilito però anche questa limitazione: che esso [il corpo] si
presenta come una cosa di un genere particolare, tanto che non si può ordinare
senz’altro nella natura come un elemento tra gli altri» (ivi, p. 158; trad. it. p. 159).
12. «Il mio corpo [Leib] nell’esperienza primordiale, a differenza dei corpi
esterni, esso non conosce spostamento né quiete, ma solo moto interno e quiete
interna. […] Ma anche il suolo su cui cammina o non cammina il mio corpo non
viene esperito come un corpo [Körper] che possa essere integralmente spostato
oppure no» (e. husserl, Umsturz, p. 314; trad. it. p. 9).
13. Ivi, p. 323; trad. it. p. 16.
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della filosofia obiettivistica tradizionale» è «un giusto ritorno


all’ingenuità della vita, ma attraverso una riflessione che si
innalzi al di sopra di essa»14.
La verità della riduzione fenomenologica non può dun-
que essere considerata come parallela o addirittura opposta
rispetto alla verità dell’atteggiamento naturale, né totalmente
neutra rispetto a questioni di ordine morale e metafisico15. In
Umsturz questi piani si condensano in una “visione” sintetica
che, pur essendo resa possibile dalla sospensione della “tesi
generale dell’atteggiamento naturale” (la cosiddetta Weltthe-
sis) e della considerazione metafisica del mondo, ricompren-
de questi due piani a partire da una prospettiva ulteriore.
Questa sintesi favorisce notevolmente l’immedesimazione
nella prospettiva husserliana. Se infatti l’atteggiamento tra-
scendentale fosse completamente altro rispetto all’esistenza
quotidiana e meramente indifferente rispetto alle questioni
ultime sul significato, sarebbe perlomeno più difficile “inse-
diarsi” in esso e verificarne la legittimità e la fecondità, non
potendo comprendere appieno come esso possa sorgere e
che scopo possa avere.
In questa riflessione trascendentale che ritorna sul piano
naturale e ricomprende implicitamente quello metafisico – in
una sintesi che permane rigorosamente implicita –, rimane
escluso per motivi essenziali il piano della scienza positiva.
Esso ovviamente viene dapprima fenomenologicamente “so-
speso” come quello naturale, ma mentre l’analisi puramente
trascendentale torna su quest’ultimo recuperandolo, il pro-
blema dello statuto veritativo della scienza positiva rimane
in sospeso. La teoria copernicana come tale, in questo senso,

14. hua vi, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale
Phänomenologie. Eine Einführung in die phänomenologische Philosophie, W. Biemel
(Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1954, p. 60; trad. it. di E. Filippini, La crisi delle scienze
europee e la fenomenologia trascendentale, il Saggiatore, Milano 1961, p. 88.
15. In questo manoscritto si esplicita il legame essenziale tra il piano analitico-
descrittivo della filosofia di Husserl e l’attenzione a tematiche etico-morali che,
sin dai Prolegomeni, ha sempre determinato le sue opere, e che nelle conferenze
di Vienna e di Praga del 1935 ha la più sontuosa e allarmata espressione.
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non viene contestata in senso assoluto: «Forse a livello della


fenomenologia si deve dire che i calcoli e le teorie matema-
tiche dell’astrofisica successiva a Copernico e quindi anche
l’intera fisica mantengono comunque, nei loro propri limiti,
una validità»16. La scienza naturale, secondo Husserl, perde
completamente la propria legittimità «non in quanto teorizza,
ma in quanto crede di conseguire nelle sue teorie l’assoluta ve-
rità dell’universo, anche se con gradi relativi di perfezione»17.
Ciò che risulta completamente destituito di validità è pertanto
l’elevazione a livello metafisico – e assiologico – della teoria
scientifica. L’attribuzione di uno statuto veritativo ontologico
all’omogeneizzazione della Terra agli altri pianeti implica il
decentramento cosmologico (in senso metafisico) del sog-
getto, che prefigura la sua parificazione assiologica agli altri
esseri viventi: «L’omogeneizzazione – scrive Husserl – viene
da noi intesa senz’altro in modo tale che la Terra stessa sia
un corpo, sul quale per caso ci troviamo a strisciare»18. In
questa affermazione è sinteticamente tracciato l’itinerario
che dalla riduzione della Terra a pianeta porta alla concezione
del soggetto come un ente tra gli altri senza alcuna “priori-
tà trascendentale”, in quanto riducibile a un “qualcosa” che
per caso vi striscia sopra, come farebbe appunto un animale.
L’ulteriore omogeneizzazione identificata da Husserl è quella
tra organico e inorganico:

E non è mancato molto che si pensasse – anzi a volte lo si è pensato


davvero e diffusamente – che sia una mera fatticità, un dato di fatto
proprio delle leggi naturali che governano il mondo, se a certi corpi
[Körper] o tipi di corpi aventi una struttura fisica si trova ad essere
congiunto (causalmente) un corpo vivo [Leib] animale e una vita
psichica; per cui sarebbe concepibile che questi stessi corpi, così strut-
turati, non fossero appunto che dei meri corpi [Körper]19.

16. e. husserl, Umsturz, p. 321; trad. it. p. 15.


17. Ivi, p. 321; trad. it. pp. 14-15
18. Ivi, p. 321; trad. it. p. 14.
19. Ibidem.
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1.2 Il copernicanesimo come espressione ed esemplificazione


dell’obiettivismo

Husserl non è qui interessato alla comprensione dello svi-


luppo storico20 che ha portato all’assunzione irriflessa delle
diverse omogeneizzazioni nella nostra percezione delle cose e
perciò non mette a tema il copernicanesimo in quanto evento
che ha storicamente “prodotto” le successive indebite equiva-
lenze. Il copernicanesimo rappresenta per Husserl un luogo
privilegiato per la comprensione dello sviluppo del pensiero
moderno – quindi della fenomenologia stessa, che ne è il
culmine e al contempo il superamento – non come momento
storico, ma come figura paradigmatica di quell’assetto del
pensiero che sta alla base del dualismo psico-fisico e quindi
della crisi, ovvero l’obiettivismo. Nella cosmologia coperni-
cana, infatti, agisce e si rivela la “logica” dell’obiettivismo, che
potremmo descrivere come l’assunzione del «punto di vista di
Sirio», espressione voltaireana di Camus21 con cui Merleau-
Ponty indica l’idea per cui è necessario (e possibile) uscire
dai limiti dell’esperienza soggettiva per coglierne la verità
oggettiva22. In questo senso, il copernicanesimo rappresenta
una illustrazione coerente, attuata tramite una “proiezione su
scala cosmologica”, di questo movimento del pensiero: il sog-
getto che esce da sé per conoscersi guardandosi dall’esterno.
Questa logica viene “amplificata” dai suoi inevitabili
risvolti rivoluzionari in ambito esistenziale-emozionale e

20. Egli compie una considerazione di tipo storico-genealogico nella Krisis,


prendendo in considerazione in modo particolare la figura di Galileo, «un genio
che scopre e insieme occulta» (hua vi, p. 53; trad. it p. 81). Per una trattazio-
ne delle implicazioni culturali delle prospettive cosmologiche, cfr. r. brague,
La Sagesse du monde: Histoire de l’expérience humaine de l’Universe, Librairie
Arthème Fayard, Paris 1999; trad. it. di M. Zannini, La saggezza del mondo. Storia
dell’esperienza umana dell’universo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005.
21. a. camus, Le mythe de Sisyphe, Gallimard, Paris 1942; trad. it. di A. Borelli,
Il mito di Sisifo, Bompiani, Milano 2001, p. 74.
22. m. merleau-ponty, Sens et non-sens, Nagel, Paris 1948, p. 159; trad. it. di P.
Caruso, Senso e non senso, il Saggiatore, Milano 2004, p. 114.
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metafisico-morale: per la natura stessa della tematica co-


smologica – direttamente legata al problema della totalità –,
è quasi impossibile evitare lo sconfinamento, consapevole o
meno, dal piano puramente scientifico al piano metafisico e
quindi assiologico ed esistenziale. Da questo punto vista, ad
esempio, i Pensieri di Pascal – di cui si può ravvisare un’eco
anche nel testo husserliano, come suggerisce anche Guido
Davide Neri23 – rappresentano una vibrante documentazione
del sentimento generato dalla nuova cosmologia e dei pro-
blemi filosofici che essa pone. Anche Nietzsche, in un passo
della Genealogia della morale, tratteggia con la sua consueta
forza espressiva le implicazioni emozionali e morali del co-
pernicanesimo. Nel tentativo di argomentare come la scienza
moderna, lungi dal costituire un superamento degli ideali
ascetici, ne sia in realtà un segreto alleato, Nietzsche evoca
il nesso tra il decentramento cosmologico e la perdita della
dignità ontologica dell’uomo, affermando che «da Copernico
in poi sembra che l’uomo sia finito su un piano inclinato»
e rotoli «sempre più velocemente […] verso “il sentimento
perforante del proprio nulla”»24.
Un testo di Freud del 1916, intitolato Una difficoltà del-
la psicanalisi25, presenta un sorprendente parallelismo con

23. Cfr. g.d. neri, Terra e Cielo in un manoscritto husserliano del 1934, cit., p. 38.
24. «Non progredisce inarrestabilmente, da Copernico in poi, proprio l’auto-
rimpicciolimento dell’uomo, la sua volontà di auto-rimpicciolimento? Ahimè, la
fede nella sua dignità, unicità, insostituibilità nella gerarchia degli esseri è spari-
ta – l’uomo è diventato animale, animale, senza metafora, detrazione o riserva, lui
che, nella sua fede di una volta, era quasi Dio […]. Da Copernico in poi sembra
che l’uomo sia finito su un piano inclinato – ormai rotola sempre più velocemente
lontano dal centro – verso dove? Verso il nulla? Verso il “sentimento perforante
del proprio nulla”?» (f. nietzsche, Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift,
Tredition, Hamburg 2011, p. 132; trad. it. di S. Giametta, La genealogia della morale,
Rizzoli, Milano 1997, p. 207).
25. s. freud, Eine Schwierigkeit der Psychoanalyse, in «Imago», Bd. V/1 1917,
pp. 1-7; trad. it. di C. Musatti, Una difficoltà della psicoanalisi, in s. freud, Opere,
vol. viii, Bollati Boringhieri, Torino 1976, pp. 657-664. Il nesso con questo testo
è sottolineato da G.D. Neri nel suo Terra e Cielo in un manoscritto husserliano
del 1934, cit., p. 21.
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Umsturz e può aiutarci ulteriormente a comprendere la po-


sizione husserliana, poiché “incarna” l’obiettivismo e ne mo-
stra gli effetti26. Freud infatti traccia un rapporto di continuità
(non ulteriormente specificato) tra la perdita della centralità
cosmologica – e quindi metafisica – dell’uomo implicata nella
rivoluzione copernicana e la negazione (che sarebbe invece
determinata dalle tesi darwiniane) della superiorità ontologica
dell’uomo rispetto agli altri esseri viventi. La continuità è data
dal fatto che i due eventi rappresenterebbero le prime “umi-
liazioni” inferte al narcisismo proprio dell’uomo – rispettiva-
mente l’umiliazione cosmologica27 e quella biologica28. La terza
umiliazione sarebbe determinata proprio dalla psicanalisi, la
quale, mostrando al soggetto il suo essere dominato da pulsio-
ne inconsce, impedirebbe a esso di considerarsi «padrone in

26. Prendiamo in considerazione questo breve testo freudiano con la sola inten-
zione di darne una lettura “strategica”, funzionale rispetto allo scopo di questo
contributo, e non certo di desumerne la posizione di Freud su questi problemi,
né tantomeno di affrontare il tema – assai complesso – del confronto tra il padre
della psicoanalisi e Husserl (cfr. f.s. trincia, Husserl, Freud e il problema dell’in-
conscio, Morcelliana, Brescia 2008).
27. Scrive Freud: «Dapprima, all’inizio delle sue indagini, l’uomo riteneva che
la sua sede, la terra, se ne stesse immobile al centro dell’universo, mentre il sole,
la luna e i pianeti si muovevano attorno ad essa con traiettorie circolari. [...]
La posizione centrale della terra era comunque una garanzia per il ruolo do-
minante che egli esercitava nell’universo, e gli appariva ben concordare con la
sua propensione a sentirsi il signore di questo mondo. La distruzione di questa
illusione narcisistica si collega per noi al nome e all’opera di Niccolò Copernico
nel sedicesimo secolo. [...] Quando essa [la scoperta di Copernico] fu universal-
mente riconosciuta, l’amor proprio umano subì la sua prima umiliazione, quella
cosmologica» (s. freud, Eine Schwierigkeit der Psychoanalyse, cit.; trad. it. p. 660).
28. «L’uomo – osserva Freud –, nel corso della sua evoluzione civile, si eresse a
signore delle altre creature del mondo animale. Non contento di un tale predomi-
nio, cominciò a porre un abisso fra il loro e il proprio essere. Disconobbe ad esse
la ragione e si attribuì un’anima immortale, appellandosi a un’alta origine divina
che gli consentiva di spezzare i suoi legami con il mondo animale. [...] Sappiamo
che le ricerche di Charles Darwin e dei suoi collaboratori e predecessori hanno
posto fine, poco più di mezzo secolo fa, a questa presunzione dell’uomo. L’uomo
nulla più è, e nulla di meglio, dell’animale; proviene egli stesso dalla serie animale
ed è imparentato a qualche specie animale di più e a qualche altra di meno. [...]
E questa è la seconda umiliazione inferta al narcisismo umano, quella biologica»
(ivi; trad. it. pp. 660-661).
358 rocco sacconaghi

casa propria»29, come altrimenti tenderebbe a fare. Le prime


due “umiliazioni” inferte al narcisismo coincidono esattamente
con due delle omogeneizzazioni di cui parla Husserl: l’omo-
geneizzazione della Terra agli altri pianeti e quella dell’uomo
agli altri animali. La terza omogeneizzazione identificata da
Husserl, quella tra organico e inorganico, non coincide – se
non indirettamente30 – con la terza umiliazione.
Quest’ultima tuttavia potrebbe essere interpretata proprio
come un’espressione dell’obiettivismo (analoga allo psicologi-
smo criticato nei Prolegomeni): per intendere l’inconscio co-
me espropriazione dell’identità soggettiva, perciò nel senso di
«un processo “in terza persona”»31, occorre aver già assunto

29. Così Freud descrive la terza umiliazione: «La terza umiliazione, di natura
psicologica, colpisce probabilmente nel punto più sensibile. “[...] Lo psichico non
coincide affatto in te con ciò che ti è cosciente. L’attuarsi di qualche cosa nella tua
psiche e il fatto che questo qualche cosa ti sia anche noto, son faccende diverse.
[...] Tu ti comporti come un sovrano assoluto che si accontenta delle informazioni
del suo primo ministro senza scendere fra il popolo ad ascoltarne la voce. Rientra
in te, nel tuo profondo, se prima non impari a conoscerti, capirai perché ti accade
di doverti ammalare; e forse riuscirai ad evitare di ammalarti”. Così la psicoanalisi
voleva istruire l’Io. Ma le due spiegazioni – che la vita pulsionale della sessualità
non si può domare completamente in noi, e che i processi psichici sono per se
stessi inconsci e soltanto attraverso una percezione incompleta e inattendibile
divengono accessibili all’Io e gli si sottomettono – equivalgono all’asserzione che
l’Io non è padrone in casa propria. Esse costituiscono insieme la terza umiliazione
inferta all’amor proprio umano, quella che chiamerei psicologica. Non c’è quindi
da meravigliarsi se l’Io non concede la propria benevolenza alla psicoanalisi e
continua ostinatamente a non crederle» (ivi; trad. it. pp. 661-663).
30. Possiamo ravvisare un’analogia con la terza omogeneizzazione husserliana
in Al di là del principio di piacere, laddove Freud individua nella “nostalgia per
l’inorganico” la cifra della pulsione di morte che definisce ogni forma di vita or-
ganica (cfr. s. freud, Jenseits Des Lustprinzips, Internationaler Psychoanalytischer
Verlag, Wien, 1921; trad. it. di A.M. Marietti e R. Colorni, Al di là del principio di
piacere, Bollati Boringhieri, Torino 1986).
31. Risulta molto interessante a questo proposito la posizione di Merleau-Ponty,
il quale sostiene che vi sia una convergenza tra i risultati delle analisi fenomeno-
logiche husserliane e alcune intuizioni freudiane. Innanzitutto, egli distingue la
consapevolezza teorica che Freud aveva delle sue stesse scoperte – consapevolezza
in via di maturazione e impregnata di motivi positivisti – e il reale contenuto delle
sue scoperte, che condurrebbe in una direzione opposta: «Bisogna qui ammettere
che resta ancora molto da fare per trarre dall’esperienza psicoanalitica tutto ciò che
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 359

una prospettiva “in terza persona” su di sé. In altri termini: dal


punto di vista fenomenologico, per ammettere l’alienazione
alla radice della nostra coscienza, occorre assumere un punto
di vista già alienato. In questo senso, quella che Freud presenta
come terza umiliazione sancirebbe, in termini psicanalitici, il
principio epistemologico senza il quale non sarebbe possibile
ammettere nemmeno le prime due umiliazioni-omogeneizza-
zioni. È solo per lo stabilirsi di questo assetto di pensiero che
diviene possibile dare «per scontato che la Terra è soltanto uno
dei corpi accidentali dell’universo, uno dei tanti, sicché sarebbe
quasi ridicolo, dopo Copernico, voler pensare che la Terra, “solo
perché noi per caso ci viviamo sopra”, sia il centro del mondo,
privilegiato addirittura per la sua “quiete”, rispetto al quale tutto
ciò che è mosso si muoverebbe»32. Il copernicanesimo è inizial-
mente una semplice espressione di questa logica, ma una volta
comparso ne diviene un catalizzatore, poiché offre la possibi-
lità – seppur solo teorica – di svincolare la propria prospettiva
dalla sua stessa “base”, dall’Ur-Boden della nostra esperienza.
In questo modo, esso incrementa la tendenza a ritenere l’espe-
rienza come illusoria, come una fase iniziale e ingenua della
conoscenza che può e deve essere superata:

essa contiene, e che gli psicoanalisti, a cominciare da Freud, si sono accontentati


di una impalcatura di nozioni poco soddisfacenti» (m. merleau-ponty, Signes,
cit., p. 291; trad. it. p. 300); «a prescindere dalle formulazioni filosofiche, è fuori
di dubbio che Freud ha penetrato sempre meglio la funzione spirituale del corpo
e l’incarnazione dello spirito» (ivi, p. 291; trad. it. p. 301). In particolare, Merleau-
Ponty sostiene che la categoria freudiana di inconscio non possa essere interpretata
come un processo “in terza persona”, sebbene sia talvolta così presentato da Freud
stesso: «Per render conto di questa osmosi tra la vita anonima del corpo e la vita
ufficiale della persona, ciò che costituisce la grande scoperta di Freud, occorreva
introdurre qualcosa tra l’organismo e noi stessi come sequenza di atti deliberati,
di conoscenze espresse. Questo qualcosa fu l’inconscio di Freud. […] L’inconscio
evoca a prima vista il luogo di una dinamica degli istinti di cui ci sarebbe dato solo il
risultato. Eppure, l’inconscio non può essere un processo “in terza persona” perché
è proprio l’inconscio a scegliere ciò che di noi sarà ammesso all’esistenza ufficiale,
a evitare i pensieri e le situazioni alle quali resistiamo, e perché esso non è dunque
un non-sapere, ma piuttosto un sapere non riconosciuto, non formulato, che non
vogliamo assumere» (ivi, p. 291; trad. it. p. 300).
32. e. husserl, Umsturz, p. 321; trad. it. p. 14.
360 rocco sacconaghi

Anche se [è] per noi il suolo di esperienza [Erfahrungsboden] per


tutti i corpi, nella genesi empirica della nostra rappresentazione del
mondo. Questo “suolo” [Boden] non viene dapprima esperito come
corpo; solo a un livello superiore della costituzione del mondo a par-
tire dall’esperienza esso diventa il corpo-suolo [Boden-Körper]; con
il che si sopprime la sua forma originaria di suolo33.

La reificazione della coscienza e la riduzione della Terra a


“grande masso” costituiscono dunque l’inevitabile “contro-
partita” ontologica di questa posizione epistemologica:

In queste scienze dell’infinità che si riferiscono alla natura nella sua totali-
tà, l’atteggiamento corrente è quello per cui i corpi viventi non sono altro
che dei comuni corpi solo casualmente dotati di una struttura peculiare,
che quindi si potrebbero anche pensare completamente aboliti; cosicché
è possibile una natura senza organismi, senza animali e senza uomini34.

Nella misura in cui si crede di dover (e di poter) assumere


un punto di vista estraneo alla propria esperienza per poterla
conoscere, questa subisce una distorsione prospettica che
dà luogo a una sostanzializzazione del trascendentale (che
equivale alla sua negazione35), su cui si fonda il dualismo
ontologico con le sue successive rielaborazioni in chiave ma-
terialista o spiritualista.

1.3 L’omogeneizzazione degli eventi e l’inconcepibilità della


storia

L’ultima decisiva implicazione dell’obiettivismo tematizzata


in questo manoscritto – ancorché non diffusamente – è l’im-

33. Ivi, p. 308; trad. it. p. 4.


34. Ivi, p. 321; trad. it. p. 14.
35. È precisamente questo il senso dell’«auto-fraintendimento» in cui secondo
Husserl sarebbe incorso Descartes, il quale pur avendo scoperto l’ego cogito ne
ha poi misconosciuto la natura trascendentale interpretandolo come res cogitans,
perciò come una sostanza (cfr. hua vi, p. 80; trad. it. p. 106).
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 361

possibilità di concepire la storia. Si tratta di un’ulteriore forma


di omogeneizzazione: l’omogeneizzazione dello spazio e degli
enti implicata nel copernicanesimo si trova infatti in una re-
lazione essenziale con l’omogeneizzazione del tempo e degli
eventi. Husserl coglie un nesso tra la riduzione della realtà a
ciò che è obiettivamente constatabile e la riduzione della storia
a un’incessante metamorfosi senza senso – come emerge ad
esempio in un passo della Conferenza di Praga: «Il mondo e
l’esistenza umana – si chiede Husserl – possono avere un senso
se le scienze ammettono come valido e come vero soltanto ciò
che è obiettivamente constatabile, se la storia non ha altro da
insegnare se non che tutte le forme del mondo spirituale, tutti i
legami di vita, gli ideali [...] si formano e poi si dissolvono come
onde fuggenti?»36. Se si assume una prospettiva “oggettiva”
nella convinzione che l’esperienza soggettiva sia illusoria, si
perderà tutto ciò che soltanto all’interno di quest’ultima può
emergere, ovvero la specificità e il valore dei singoli eventi.
Presupponendo l’oggettivabilità di enti ed eventi, l’obiettivi-
smo nega che essi assumano un senso in relazione al soggetto,
coinvolto a sua volta in questa omogeneizzazione.
La cosmologia copernicana, in quanto espressione e po-
tenziamento della medesima logica, rende ancor più difficile
concepire la storia. Heinrich Rickert sostiene in questo senso
che la rivoluzione astronomica copernicana abbia di fatto reso
impraticabile una considerazione filosofica della storia: nel
momento in cui l’uomo perde la sua centralità cosmologica,
non vi è più motivo di riferire a lui gli eventi37. L’idea che le

36. Ivi, pp. 4-5; trad. it. p. 36.


37. Cfr. h. rickert, Geschichtsphilosophie, in id., Die Philosophie im Beginn des
zwanzigsten Jahrhunderts: Festschrift für Kuno Fischer, W. Windelband (Hrsg.), Carl
Winter’s Universitäts Buchhandlung, Heidelberg 1904-1905, vol. ii, pp. 51-133; trad.
it. di S. Barbera e P. Rossi, Filosofia della storia, in Lo storicismo tedesco, a cura di
P. Rossi, utet, Torino 1977, pp. 341-423. Rickert sostiene che la «trasformazione,
avvenuta all’inizio del mondo moderno, delle rappresentazioni del cosmo» (ivi,
p. 121; trad. it. p. 411) – trasformazione «ancora oggi importante perché ha creato
in linea di principio l’immagine del mondo che dobbiamo ritenere definitiva, e in
ogni caso l’unica finora scientificamente sostenibile» – abbia comportato la fine di
362 rocco sacconaghi

omogeneizzazioni conducano all’impossibilità di concepire


una storia è adombrata da Husserl quando afferma che la
Terra è pensata come «un corpo sul quale per caso ci troviamo
a strisciare»: considerato obiettivisticamente, il fatto di vive-
re su questa Terra non presenta alcun senso razionalmente
concepibile, è una pura contingenza. Per Husserl, si tratta
di una posizione assurda, come emerge nel seguente passo,
in cui il nesso essenziale tra obiettivismo e negazione di un
senso storico viene esplicitato ulteriormente:

Non si può ammettere l’assurdità (perché è davvero tale) che consiste


nel dare inavvertitamente per scontata la concezione naturalistica
del mondo, cioè quella dominante, per poi considerare in termini
antropologistici e psicologistici la storia degli uomini come storia della
specie, e l’elaborazione della scienza e dell’interpretazione del mondo
entro lo sviluppo degli individui e dei popoli come un evento ovvio
e accidentale che si è prodotto sulla Terra, ma che avrebbe potuto
verificarsi altrettanto bene su Venere o su Marte38.

tutti i «tentativi di filosofia della storia» (ibidem). Egli vede nella trasformazione
della concezione cosmologica la radice del decentramento antropologico: «tutte
queste trasformazioni sono avvenute, in linea di principio, per opera delle dottrine
di Copernico e di Giordano Bruno e non già – come molti ritengono – per opera
della biologia moderna» (ivi, p. 122; trad. it. p. 412). Ancor più della rivoluzione
copernicana, per Rickert è stata decisiva «la distruzione dell’idea di un cosmo
chiuso, che si può abbracciare con un solo sguardo», distruzione consumatasi con
«la dottrina dell’infinità del mondo di Giordano Bruno» (ibidem), considerata
come «lo scoglio su cui doveva naufragare ogni filosofia della storia che voleva
essere “storia universale” nel senso rigoroso del termine»: il nesso tra l’infinità del
mondo e la fine della stessa possibilità di una “storia” consiste nel fatto che «di ciò
che è temporalmente e spazialmente illimitato vi è soltanto scienza di leggi; e la
storia universale perde così per sempre il suo significato vero e proprio» (ibidem).
L’uomo perde la centralità che tradizionalmente si è attribuito, poiché «il suo teatro,
la terra, ha perduto il suo significato nel cosmo infinito. Essa è diventata l’esemplare
indifferente di un genere, e altrettanto indifferente diventa, nella prospettiva di
una scienza di leggi, tutto quanto di singolare e di particolare avviene su di essa»
(ibidem). Per un confronto tra Husserl e Rickert, cfr. i. kern, Husserl und Kant.
Eine Untersuchung über Husserls Verhältnis zu Kant und zum Neukantianismus,
Nijhoff, Den Haag 1984; a. staiti, Geistigkeit, Leben und geschichtliche Welt in der
Transzendentalphänomenologie Husserls, Ergon, Würzburg 2010.
38. e. husserl, Umsturz, p. 323; trad. it. p. 16.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 363

2. L’incontestabilità dell’esperienza originaria e il


riaprirsi della storia

2.1 Incontestabilità e intrascendibilità dell’esperienza


originaria

L’obiettivismo è una posizione che Husserl reputa assurda,


insostenibile in quanto contraddittoria in se stessa. Non si
tratta di un’auto-contraddittorietà logica, come quella im-
putata già da Agostino agli scettici – e ripresa da Husserl in
Storia critica delle idee39 –, bensì di una più radicale forma
di auto-oblio, di un’alienazione senza la quale la tesi scettica
non sarebbe concepibile teoricamente né tantomeno etica-
mente accettabile. Tale auto-contraddittorietà va intesa in
senso fenomenologico, poiché lo stabilirsi dell’obiettivismo
implica la negazione di ciò che per Husserl è il trascendenta-
le: l’esperienza soggettiva originaria. L’obiettivismo pertanto
rappresenta un’assurdità nella prospettiva fenomenologica
perché, smentendo l’esperienza da cui pur sorge, nega la pro-
pria stessa condizione di possibilità40.
La riduzione trascendentale, nelle intenzioni di Husserl,
è invece l’atto conoscitivo che permette di attenersi all’origi-
nario, ed in questo senso si presenta come l’esatto opposto di
ogni forma di astrazione41: «il nostro prescindere dal mondo

39. hua vii, Erste Philosophie (1923-1924). Erster Teil: Kritische Ideengeschichte,
R. Boehm (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1959, p. 61; trad. it. parziale di G. Piana,
Storia critica delle idee, Guerini, Milano 1989, p. 78.
40. Esso infatti si instaura al prezzo di un duplice oblio del soggetto: l’oblio
dell’esperienza personalistica che dà luogo all’atteggiamento naturalistico («L’at-
teggiamento naturalistico – scrive Husserl in Ideen II – è subordinato a quello
personalistico e […] attraverso l’astrazione o, meglio, attraverso una specie di
oblio di sé da parte dell’io personale, ottiene una certa autonomia, assolutizzando
così, e in modo illegittimo, il suo mondo, la natura» (hua iv, pp. 183-184; trad. it.
p. 188) e l’ulteriore oblio di questa stessa operazione.
41. Questa istanza husserliana è stata colta e ben espressa da Lévinas: «la ri-
duzione non si sforza più di realizzare una semplice astrazione», e «ci rivela la
nostra vita nella sua autentica concretezza, e ciò è molto di più di quanto avviene
nell’atteggiamento psicologico, in cui l’uomo è percepito come una parte della
364 rocco sacconaghi

intero nella forma della riduzione fenomenologica – scrive


Husserl in Ideen I – è qualcosa di totalmente diverso da una
mera astrazione di componenti di connessioni più ampie,
siano esse necessarie o fattuali»42. In quanto unica forma di
indagine scientifica che non ottiene il proprio tema attraverso
un’astrazione – bensì al contrario tramite l’inclusione temati-
ca di ogni nesso intenzionale –, la fenomenologia vanta uno
statuto essenzialmente diverso rispetto alle scienze positive.
Nessuna ricerca scientifica positiva, secondo Husserl, può
perciò smentire lo strato dell’esperienza rivelato dall’indagi-
ne fenomenologico-trascendentale. Ciò che per Freud è una
sorta di “illusione trascendentale”, frutto del narcisismo che ci
definisce, per Husserl è un sapere originario e inconfutabile:

Rispetto a questo stato di cose, a questa dignità costitutiva o gerar-


chia di valori [Wertordnung], non possono cambiare nulla tutte le
assimilazioni (omogeneizzazioni) che si vengono necessariamente
costituendo in connessione reciproca, [come quella] del corpo proprio
con il mero corpo [Körper] ovvero del soma corporeo assimilato agli
altri corpi, dell’umanità vista come specie animale fra le altre specie
animali, e così infine anche della Terra come corpo cosmico fra gli
altri corpi cosmici43.

Ora, nell’atto stesso di “difendere” l’esperienza originaria,


attestandone la natura trascendentale, la riduzione fenome-
nologica vincola il soggetto a essa. L’affermazione dell’inog-

natura, e dove il senso della sua esistenza è falsato» (e. lévinas, Théorie de l’in-
tuition dans la phénoménologie de Husserl, Vrin, Paris 2001, p. 213; trad. it. di V.
Perego, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book, Milano
2002, p. 166); «la riduzione fenomenologica è precisamente il metodo con l’aiuto
del quale ritorniamo all’uomo nella sua vera concretezza» (ivi, p. 163).
42. hua iii/1, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen
Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie, K.
Schuhmann (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1976, p. 120; trad. it. di V. Costa, Idee per
una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, vol. i, libro primo.
Introduzione generale alla fenomenologia pura, Einaudi, Torino 2002, p. 126.
43. e. husserl, Umsturz, p. 324; trad. it. p. 16.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 365

gettivabilità della Terra, interpretabile come estensione e svi-


luppo della difesa del «diritto proprio degli strati inferiori»44
dell’esperienza, rappresenta un’efficace illustrazione dell’im-
possibilità del Kosmotheoros45: l’incontestabilità dell’espe-
rienza originaria deriva proprio dall’insopprimibilità del
vincolo trascendentale che ci lega a essa. In termini giuridici
potremmo dire che il soggetto ha il diritto di non essere ri-
dotto a un mero ente, ma non ha il diritto di superare i limiti
trascendentali della propria esperienza, proprio perché se li
superasse incorrerebbe inevitabilmente nella reificazione di
sé e degli altri.
Il soggetto non può essere ridotto a ente perché è la fonte
del senso del mondo, ma questo non significa che possa as-
sumere rispetto al mondo una posizione assoluta nel senso
di oggettivante: al contrario, proprio la natura trascendentale
del soggetto implica che non possa svincolarsi dal suo proprio
stesso suolo, la Terra. In questo senso, l’inclusione della Terra
nella dimensione trascendentale della soggettività, a differen-
za di quanto sostiene Merleau-Ponty, non apre una breccia
nell’idealismo husserliano in direzione di una filosofia della
natura “trasfigurata” in senso trascendentale: al contrario, è
proprio in quanto costituisce il senso del mondo che il sog-
getto non può assumere una prospettiva al di fuori di sé, che
gli permetta di oggettivare il mondo e se stesso.

44. e. husserl, Erfahrung und Urteil. Untersuchungen zur Genealogie der Logik,
Claassen, Hamburg 1954, p. 45; trad. it. di F. Costa e L. Samonà, Esperienza e giudi-
zio. Ricerche sulla genealogia della logica, Bompiani, Milano 1995, p. 42: «il dominio
della doxa non è dominio di evidenze di ordine inferiore a quello dell’episteme,
[...] ma è propriamente il dominio dell’ultima originarietà al quale si riferisce per
il suo senso la conoscenza esatta il cui carattere dev’essere scrutato come quello di
un puro metodo e non di una via verso la conoscenza atta a procurare una cosa
in sé». Perciò, anche se il cammino della conoscenza «consiste essenzialmente
nell’elevarsi dalla doxa all’episteme, [...] non ci si deve dimenticare dello scopo
ultimo, dell’origine e del diritto proprio degli strati inferiori».
45. Cfr. m. merleau-ponty, Le visible et l’invisible, a cura di C. Lefort, Galli-
mard, Paris 1964, p. 32; trad. it. di A. Bonomi, riveduta da M. Carbone, Il visibile
e l’invisibile, Bompiani, Milano 1993, p. 42.
366 rocco sacconaghi

2.2 Obiettivismo come negazione e assolutizzazione dei


limiti dell’esperienza

La fenomenologia attua così un’“assunzione filosofica” dei


limiti dell’esperienza46 – che altro non sono se non le le-
galità trascendentali che presiedono al costituirsi del senso
del mondo e della storia – permettendo di tracciare la reale
fisionomia della soggettività e di riconoscerne la peculia-
re “centralità trascendentale”. L’obiettivismo invece compie
l’operazione opposta e conduce perciò a opposti esiti: esso
infatti attua un superamento epistemologico dei limiti trascen-
dentali dell’esperienza che conduce all’assolutizzazione in
senso ontologico e assiologico dei limiti stessi.
La prospettiva esemplificata dal brano freudiano sopra
citato (a prescindere dalla ben più complessa posizione ef-
fettiva del padre della psicoanalisi) mostra bene come l’asso-
lutizzazione in chiave ontologica e assiologica dei limiti del
soggetto presupponga un loro surrettizio superamento in
senso epistemologico. Una teoria che neghi lo statuto veri-
tativo dell’esperienza soggettiva in nome della sua finitezza e
dell’invalicabilità dei suoi limiti implica l’affermazione della
possibilità di un loro oltrepassamento: per dire che l’uomo
è solo un frammento di materia sperduto nell’universo è in-

46. È questo il senso del cosiddetto “principio di tutti i principi” presentato


da Husserl in Ideen I: «Nessuna teoria concepibile può indurci in errore se ci
atteniamo al principio di tutti i principi: cioè che ogni intuizione originalmente
offerente è una sorgente legittima di conoscenza, che tutto ciò che si dà original-
mente nell’“intuizione” (per così dire in carne ed ossa) è da assumere come esso
si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà» (hua iii/1, p. 52; trad. it. pp. 52-53).
Lévinas fa emergere con chiarezza la centralità della questione dei limiti sottoli-
neando come la fenomenologia husserliana operi una sorta di «capovolgimento
in “positività” e in “struttura essenziale di tutto ciò che veniva considerato come
scacco, difetto, contingenza empirica da una filosofia che commisurava il dato
all’altezza dell’ideale (ma che già Kant denunciava come illusione trascenden-
tale)»; per questo motivo egli parla della fenomenologia come di una «filosofia
post-kantiana» (e. lévinas, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger,
Vrin, Paris 1949, p. 114; trad. it. di F. Sossi, Scoprire l’esistenza con Husserl e Hei-
degger, Cortina, Milano 1998, pp. 128-129).
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 367

fatti necessario aver accesso a una prospettiva che sia ultra-


soggettiva. Merleau-Ponty rileva la medesima assurdità della
pretesa oggettivante nell’ambito della ricerca storica:

Il senso più profondo del concetto di storia non è quello di chiudere


in un punto del tempo e dello spazio il soggetto pensante; quest’ul-
timo può apparire così solo a un pensiero che sia esso stesso capace
di uscire da ogni spazialità o temporalità per vederlo nel suo luogo e
nel suo tempo. Ma il senso storico discredita appunto il pregiudizio
di un pensiero assoluto47.

In questo passo il filosofo francese esibisce il paradosso per cui


lo storicismo, che vorrebbe confinare il soggetto nei suoi limiti
spazio-temporali, può di fatto essere affermato solamente da
un soggetto capace di oltrepassare questi stessi limiti tramite
uno sguardo di sorvolo. L’affermazione della storicità come
carattere essenziale del soggetto ne definisce la fisionomia e
perciò i limiti, ma non implica la sua riduzione a mero oggetto,
il suo confinamento “in un punto del tempo e dello spazio”, che
invece presupporrebbe la sua capacità di assumere uno sguardo
assoluto negando così i limiti che vorrebbe assolutizzare. Ci
troveremmo perciò di fronte a un “soggetto-cosa” definito dai
suoi limiti empirici e tuttavia capace di riconoscersi come tale
astraendosi totalmente da questi stessi limiti: in ciò consiste
l’assurdità fenomenologica dell’obiettivismo.
Il seguito del brano nietzscheano sugli effetti della rivo-
luzione copernicana prima proposto ci aiuta a cogliere l’in-
consistenza teorica dell’obiettivismo, mettendo in scena la
conflittualità psicologico-morale che lo attraversa:

Ogni scienza (e nient’affatto la sola astronomia, sul cui effetto avvilente


e mortificante Kant ha fatto una rimarchevole confessione: «essa an-
nulla la mia importanza»…), ogni scienza, quella naturale altrettanto
che quella innaturale – così chiamo io l’autocritica della conoscenza –,

47. m. merleau-ponty, Signes, cit., p. 136; trad. it. pp. 147-148.


368 rocco sacconaghi

mira attualmente a persuadere l’uomo a rinunciare al rispetto di sé che


egli aveva avuto finora, come se il medesimo non fosse stato nient’altro
che una bizzarra presunzione; si potrebbe dire addirittura che ogni
scienza ripone il suo proprio orgoglio, la sua propria aspra forma di
atarassia stoica nel mantenere in piedi questo disprezzo di sé dell’uo-
mo faticosamente conquistato come sua ultima e più seria pretesa di
stima di fronte a se stesso48.

Nietzsche propone qui una “drammatizzazione” del tentativo


di auto-reificazione del soggetto – a suo parere implicato nella
scienza moderna –, rilevando in esso un’oscillazione che svela
l’insopprimibilità di ciò che vorrebbe negare: l’affermazione
del disprezzo di sé si rivela essere un’espressione paradossale
della strutturale “stima” che l’uomo ha di se stesso – inevitabile
riflesso psicologico dell’implicito sapere della propria natura
trascendentale. La negazione della centralità del soggetto non
è altro che un modo indiretto e “assurdo” – appunto – di riaf-
fermare ciò che non può essere negato se non astrattamente.

2.3 La “provenienza” dalla Terra come fattualità


trascendentale

Si potrebbe pensare che il riferimento al suolo terrestre vin-


coli il soggetto a una dimensione “preistorica” o a-storica,
rispetto alla quale lo sviluppo storico si configurerebbe come
un avvicendarsi di eventi determinati da una logica parallela.
Per Husserl, al contrario, la Terra è essenzialmente coinvolta
nel movimento storico che definisce la soggettività come tale.
L’insopprimibilità del vincolo che lega il soggetto all’origina-
rio non solo non determina un’estraneità alla “logica” della
storia, bensì la implica come propria condizione di possibilità
e ne riapre al contempo la stessa pensabilità.
Vediamo come questo emerge dall’interno delle analisi
presentate in Umsturz. Per mettere alla prova la sua stessa

48. f. nietzsche, Zur Genealogie der Moral. Eine Streitschrift, cit., p. 132; trad.
it. p. 207.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 369

tesi, Husserl effettua una serie di esperimenti mentali – tra-


mite variazioni eidetiche –, immaginando le più disparate
prospettive sulla Terra. A quali condizioni può essere messo
in discussione che ogni modo di esperienza della quiete e del
movimento sia «sempre riferito in primo luogo al suolo di tut-
ti i corpi-suolo relativi, al suolo terrestre»49, permettendo così
di pensare la Terra come un corpo a sua volta in movimento?
Occorrerebbe poter identificare un suolo alternativo «cui si
riferisca ogni esperienza del corpo e quindi anche ogni espe-
rienza dell’essere perseverante nella quiete e nel moto»50. A tal
fine Husserl s’immagina di essere un uccello («Ora supponia-
mo che io sia un uccello e che possa volare […]. Comprender-
li significa trasporsi in loro in quanto esseri che volano»51), o
ancora concepisce l’(allora futuristica) eventualità di trovarsi
su un veicolo spaziale («Un corpo in movimento [veicolo] e
su di esso il mio corpo-navicella volante. “Potrei volare tanto
in alto che la Terra mi apparirebbe come una sfera”. La Terra
potrebbe essere così piccola da poterla perlustrare da ogni
parte e pervenire indirettamente alla rappresentazione della
sfera. Scopro così che è un grande corpo sferico»52) – posi-
zioni che potrebbero permettere di costituire la Terra come
oggetto. Tali prospettive tuttavia non giustificherebbero a
suo parere l’oggettivazione della Terra, poiché il nesso che
ci lega a essa come nostro riferimento originario permane
anche nel momento in cui ce ne distanziassimo in maniera
tale da poterla percepire come sfera: «l’uccello, l’aereo […]
si muovono in quanto esperiscono la Terra come “corpo”
natale [Stamm-“Körper”] “corpo”-suolo»53. Husserl elabora
anche l’ipotesi di un’immaginaria “seconda Terra”54, a par-
tire dalla quale la Terra originaria, di nuovo, dovrebbe poter

49. e. husserl, Umsturz, p. 312; trad. it. p. 7.


50. Ibidem.
51. Ivi, p. 315; trad. it. p. 10.
52. Ivi, p. 317; trad. it. p. 11.
53. Ibidem.
54. «Si dirà forse: la difficoltà non sussisterebbe se io e noi potessimo volare e
disponessimo di due Terre come corpi-suolo, a partire da ciascuna delle quali
370 rocco sacconaghi

essere ridotta a corpo cosmico oggettivabile, ma nemmeno


questa eventualità permetterebbe ai suoi occhi l’assunzione
della Terra come semplice pianeta: «Ma cosa significa due
Terre? Due frammenti di una Terra con una umanità. Insieme
formerebbero un unico suolo e sarebbero simultaneamente,
ciascuno, un corpo per l’altro e irrelativo al suolo sintetico
del loro insieme»55.
Consideriamo ora quello che appare come il più elaborato
esperimento mentale proposto da Husserl. Egli immagina
di essere nato e di vivere con la sua famiglia su una grande
“aeronave” che attraversa lo spazio: in tal caso, la sua patria
d’origine (Urheimat) sarebbe l’aeronave stessa, che dunque
fungerebbe per lui da Terra56. Sembrerebbe di aver trovato
così un suolo alternativo a quello terrestre originario, che
permetterebbe di oggettivare quest’ultimo. A questo punto
interviene un argomento che, seppur analogo a quelli con-
siderati sinora, introduce un elemento ulteriore e decisivo,
vale a dire il concetto di storicità trascendentale come impli-
cazione essenziale della prospettiva fenomenologica sulla
Terra. Anche nel caso in cui un uomo non avesse mai messo
piede sul suolo terrestre, scrive Husserl, per il nesso storico
ineludibile con le generazioni precedenti provenienti dalla

potessimo raggiungere l’altra a volo. In questo modo, appunto, l’una diventerebbe


corpo per l’altra che fungerebbe da suolo» (ivi, p. 318; trad. it. pp. 11-12).
55. Ivi, p. 318; trad. it. p. 12.
56. Scrive Husserl: «È però anche possibile che il suolo terrestre si allarghi,
magari in modo tale che io arrivi a comprendere che lo spazio del mio suolo
terrestre primitivo è percorso da molto tempo da grandi aeronavi: su una di
esse io sono nato, vive la mia famiglia, ed essa era il mio suolo di esistenza [mein
Seinsboden], finché non ho appreso che siamo solo dei naviganti sulla Terra più
vasta, ecc. In tal modo una molteplicità di località suolo [Bodenstätten], di dimore
[Heimstätten], può pervenire all’unità di una sola località-suolo. […] Ma per di
più ora mi posso anche figurare che siano delle dimore [Heimstätten]. Si deve
però riflettere: ognuna di esse trae la propria “storicità” a partire dal rispettivo
“io” che vi ha dimora. Se io sono nato figlio di naviganti, parte della mia crescita
si verifica sulla nave; quest’ultima non si caratterizzerebbe per me come nave in
relazione alla Terra – fintanto che non si fosse stabilita un’unità – ma sarebbe
essa stessa la mia “Terra”, la mia patria d’origine [Urheimat]» (ivi, p. 318; trad. it.
pp. 12-13).
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 371

Terra, questa non cesserebbe di fungere per lui da riferimento


primario e insopprimibile della spazialità. Husserl sostiene
che la vicenda individuale di ognuno, qualunque storia abbia,
è sempre necessariamente il “momento” di un’«unica storia
originaria» che nella Terra ha la «propria patria»:

I miei genitori però non sono originari della nave, essi avevano anco-
ra una residenza [Zuhause] più antica, un’altra patria d’origine. Nel
mutamento delle dimore (se la parola dimora [Heimstätte] designa
come di consueto il territorio, personale o familiare, su cui vivo) resta
acquisito in generale il fatto che ogni io ha una sua patria d’origine – e
una patria siffatta appartiene ad ogni popolo originario [Urvolk] con
il suo territorio d’origine [Urterritorium]. Ma ogni popolo e la sua
storicità, come ogni sovra-popolo (sovra-nazione) ha naturalmente
a sua volta la propria patria, in ultima analisi, sulla “Terra” e tutti
gli sviluppi, tutte le storie relative hanno, pertanto, un’unica storia
originaria [Urhistorie], di cui essi sono episodi57.

Quest’ultimo argomento svincola la base dell’attività costitu-


tiva del soggetto dallo stadio corporeo-percettivo individuale,
estendendola in direzione di una storicità trascendentale:
Husserl mette qui in campo la provenienza storica come ri-
ferimento trascendentale e perciò insopprimibile. La Terra
non è oggettivabile perché, anche se è possibile porsi fisica-
mente in una prospettiva per cui apparirebbe come una “cosa”
costituita, analogamente a come potrei fare con una biglia o
un’arancia, da essa io provengo, direttamente o meno. Dal mio
corpo non posso alienarmi appunto perché è il mio corpo;
dalla Terra, invece, potrei separarmi fisicamente e contem-
plarne l’immagine – e tuttavia, questo non ne cancellerebbe
l’originaria funzione di suolo, di arca. Husserl sostiene così

57. «Certo è anche possibile che questa storia originaria sia stata [quella di] un
insieme di popoli vissuti e sviluppatisi in modo totalmente separato, tutti disposti
però, gli uni rispetto agli altri, nell’orizzonte aperto ed indeterminato dello spazio
terrestre» (ivi, p. 319; trad. it. p. 13).
372 rocco sacconaghi

l’incontestabilità dell’idea per cui «la Terra, “solo perché noi


per caso ci viviamo sopra”, sia il centro del mondo»58.
In ultima analisi, dunque, il cuore dell’argomentazione
husserliana è la constatazione dell’assoluta originarietà di
questo fatto, non scomponibile in ulteriori elementi o ricon-
ducibile a determinate cause: la Terra è il “centro” del cosmo
semplicemente per il fatto che noi proveniamo da essa59.
In questo senso, la prospettiva storico-teleologica interviene
come principio epistemologico fondamentale – ancorché
implicito – nell’analisi husserliana sulla spazialità: è solo in
quest’ottica storica peculiare che il suolo terrestre può essere
inoggettivabile. La prospettiva teleologica è implicata nella
natura generativa – cioè appunto trascendentale – del vincolo
che lega il soggetto al suo proprio suolo. Husserl parla infatti
di una genesi terrena compresa nella genesi costitutiva tra-
scendentale della soggettività: «tutti gli animali, tutti gli esseri
viventi, in genere tutto ciò che è, ha il suo senso d’essere solo
a partire dalla mia genesi costitutiva, e questa genesi “terrena”
ha la precedenza»60. Ed è per questo che, nell’atto stesso di

58. Ivi, p. 321; trad. it. p. 14.


59. Si tratta di una contingenza radicale che non è interpretabile come pura
insensatezza, bensì come fondamento primo e indeducibile del senso: in questo
consiste quella che Husserl chiama «irrazionalità della fattualità trascendentale»
(hua vii p. 188; trad. it. p. 202; cfr. anche hua i, Cartesianische Meditationen und
Pariser Vorträge, S. Strasser (Hrsg.), Nijhoff, Den Haag 1950, p. 114; trad. it. di
R. Cristin, Meditazioni cartesiane con l’aggiunta dei discorsi parigini, Bompiani,
Milano 2002, p. 105). Per questa categoria cfr. s. luft, Facticity and Historicity
as Constituens of the Lifeworld in Husserl’s Late Philosophy, in id., Subjectivity
and Lifeworld in Transcendental Phenomenology, Northwestern University Press,
Evanston 2011, pp. 103-124; m. vergani, Fatticità e genesi in Edmund Husserl.
Un contributo dai manoscritti inediti, La Nuova Italia, Firenze 1998. La fattualità
trascendentale non precede la soggettività, bensì coincide con essa: il fatto che la
soggettività trascendentale “si trovi” sul suolo terrestre non può essere conside-
rato pre- o extra-intenzionale – e perciò meramente empirico –, proprio perché
è definito essenzialmente dal suo riferimento alla soggettività. Nella misura in
cui la soggettività trascendentale non è una sostanza separabile dal resto dell’es-
sente, l’inclusione in essa del suo proprio suolo non può essere intesa come un
trasferimento del trascendentale in una dimensione pre-soggettiva.
60. e. husserl, Umsturz, p. 324; trad. it. p. 17.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 373

criticare la pretesa metafisica implicita nel copernicanesimo,


Husserl riapre la possibilità di concepire la storia come tale61.
Le omogeneizzazioni sono da considerare innanzitutto un ef-
fetto dell’oblio della storicità originaria – oltre a esserne, come
già abbiamo visto, un ulteriore incremento. Se la storicità non
è considerata come originaria, il cosmo subisce un’inevitabi-
le omogeneizzazione; a sua volta, questa omogeneizzazione
rende impossibile concepire la storia.
Solamente sulla base di questo nesso tra storicità e
spazialità il discorso husserliano sull’ Europa può avere

61. È interessante notare come anche Rickert – dopo aver attribuito alla rivolu-
zione astronomica la responsabilità della fine dei tentativi di una filosofia della
storia – individui in una prospettiva filosofica trascendentale, quella di Kant, la
possibilità di riaprire la pensabilità della storia – e quindi la legittimità di una
sua considerazione filosofica. Kant, osserva Rickert, ha «paragonato la sua teoria
della conoscenza all’impresa di Copernico» (h. rickert, Filosofia della storia, cit.,
p. 122; trad. it. p. 412): seguendo «questo paragone anche in un’altra direzione»,
possiamo vedere come Kant abbia condotto a una nuova prospettiva sulla storia:
«Grazie a Kant l’uomo viene posto di nuovo – con il pieno riconoscimento della
moderna scienza della natura – al “centro” del mondo: certamente non in senso
spaziale, ma in modo ancor più significativo per i problemi della filosofia della
storia. Ora tutto “gira” nuovamente intorno al soggetto» (ivi, p. 123; trad. it. p.
413); «L’idealismo trascendentale ha significato, proprio in virtù del “punto di
vista copernicano”, una conversione nella via che la filosofia credeva di dover
imboccare sulla base della nuova immagine del mondo fornita dall’astronomia:
una conversione, però – e questo è l’elemento decisivo – la quale lascia del tutto
intatta la nuova immagine del mondo e ciononostante rende possibile riprendere
i vecchi problemi» (ivi, pp. 122-123; pp. 412-413). Nella misura in cui il soggetto
viene pensato al centro in senso trascendentale, si chiede Rickert, «che cosa può
ancora significare di fronte a questo il fatto che il teatro della storia rappresenta
spazialmente e temporalmente una piccola particella destinata a scomparire, posta
in un punto qualsiasi dell’universo?» (ivi, p. 123; trad. it. p. 413). L’opera di Kant
«sgombra anzitutto la via dagli impedimenti che si frappongono a concepire un
essere come la storia» (ibidem), poiché «il corso singolare dello sviluppo dell’uma-
nità ha nuovamente potuto essere concepito – con l’aiuto dei concetti assoluti di
ragione e di libertà – come unità, e venir articolato nei suoi diversi stadi in modo
tale da misurare ogni stadio in base al suo contributo specifico alla realizzazione
del senso del mondo» (ivi, p. 124; trad. it. p. 414). Perciò, anche se «Kant non ha
creato egli stesso un sistema di filosofia della storia», scrive Rickert, «sulla base
del suo pensiero ne sono sorti uno dopo l’altro, e in ciò dobbiamo riconoscere
certo un’influenza non inessenziale» (ibidem).
374 rocco sacconaghi

una validità fenomenologica: a partire dall’affermazione


dell’incontestabilità e della correlativa intrascendibilità
dell’esperienza originaria, Husserl può attuare una filo-
sofia della storia, o storia trascendentale62, che, essendo
radicata in un luogo – il suolo terrestre – non può non
investire la prospettiva geografica rendendo a sua volta
possibile una geografia trascendentale, irriducibile alla ge-
ografia “positiva”, orientata obiettivisticamente («come si
caratterizza la forma spirituale dell’Europa? Non geogra-
ficamente, non dal punto di vista della carta geografica,
come se fosse possibile circoscrivere su questa base gli
uomini che vivono sul territorio europeo e considerar-
li umanità europea»63). Nella misura in cui si intende il
vincolo originario con la Terra in senso teleologico, in-
fatti, si traccia implicitamente una linea che dalla Terra

62. Sul tema della filosofia della storia come storia trascendentale nella fenome-
nologia husserliana ci permettiamo di rimandare a r. sacconaghi, Teleologia e
questione degli inizi in Husserl, in «Rivista di Filosofia Neo-scolastica», 4 (2008),
pp. 537-560.
63. hua vi, p. 318; trad. it. p. 332. In questa direzione, ad esempio, si è mosso Wal-
denfels, il quale sostiene che «in modo analogo a come Husserl parla di una storia
interiore del senso, si potrebbe parlare di una geografia interiore, appartenente ad
una “geografia trascendentale”» (b. waldenfels, L’Europa di fronte all’estraneo,
in r. cristin, m. ruggenini (a cura di), La fenomenologia e l’Europa, Vivarium,
Napoli 1999, p. 52). In questo senso egli attribuisce a Husserl il merito di «aver
riscoperto che il senso e l’idea non hanno soltanto il loro tempo e le loro date, ma
anche il loro luogo nel mondo» (ibidem). Waldenfels in nota indica come fonte
del termine “geografia trascendentale” un frammento di Merleau-Ponty, sebbene
quest’ultimo parli in realtà di “geologia trascendentale” e di “inscrizione quasi
geografica”. In una densa nota di lavoro datata 1 giugno 1960, allegata alla sua
opera incompiuta Il visibile e l’invisibile, Merleau-Ponty scrive: «la geografia, – o
meglio: la Terra come Ur-Arche mette in evidenza l’Ur-Historie carnale (Husserl
- Umsturz...). In realtà si tratta di cogliere il nexus – né “storico” né “geografi-
co” – della storia e della geologia trascendentale [...], l’Urstiftung simultanea di
tempo e spazio la quale fa sì che ci sia un paesaggio storico e una inscrizione
quasi geografica della storia» (m. merleau-ponty, Il visibile e l’invisibile, cit.,
p. 312: trad. it. p. 270). Su questo tema, cfr. a. j. steinbock, Reflections on Earth
and World: Merleau-Ponty’s Project of Transcendental History and Transcendental
Geology, in v.m. fóti (ed.), Merleau-Ponty. Difference, materiality, painting, New
Jersey 1996, pp. 90-111.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 375

come suolo della soggettività conduce alla considerazione


dell’Europa come una entità trascendentale64: concepita in
una prospettiva teleologica, la Terra può essere vista come
“figura” dell’ Europa. Se invece la Terra fosse concepita
come la base trascendentale pre-soggettiva e a-storica del
soggetto, all’Europa non potrebbe essere accordato alcuno
statuto particolare: l’idea della priorità del suolo terrestre
sarebbe in questo caso in contrasto con l’affermazione del-
la peculiarità di uno dei suoi continenti. L’Europa appa-
rirebbe, come ogni altro continente, come una variante
relativa ed empirica dell’unica Terra e sarebbe “riassorbita”
nel più originario suolo terrestre proprio in nome dell’im-
possibilità di trascendere il vincolo originario con esso.
Se invece, come abbiamo visto, la Terra non può essere
oggettivata proprio in quanto viene riconosciuta come il
“luogo” della coscienza trascendentale, l’Europa, definita
essenzialmente dal fatto di essere il luogo di nascita della
filosofia – ovvero dell’auto-coscienza trascendentale –,
non può che assumere il medesimo carattere trascenden-
tale. Pur attribuendole una validità universale, Husserl non
concepisce la razionalità filosofica come svincolabile dal
luogo in cui è sorta: «ogni forma spirituale sta per essenza
in uno spazio storico universale o in un’unità particolare
del tempo storico, nella coesistenza e nella successione, e
ha una propria storia»65. Il fatto stesso che la razionalità
filosofica, “entelechia” della ragione universale, sia sorta e
si sia sviluppata in Europa, “trasfigura” lo statuto dell’Eu-
ropa stessa costituendola come una «forma spirituale»66:
l’ Europa, perciò, non può essere concepita come «una

64. Su questi temi, cfr. r. gasché, Europe, or the Infinite Task. A Study of a Phi-
losophical Concept, Stanford University Press, Stanford 2009; m. signore (a cura
di), Edmund Husserl. La crisi delle scienze e la responsabilità storica dell’Europa,
FrancoAngeli, Milano 1985; a. masullo, c. senofonte (a cura di), Razionalità
fenomenologica e destino della filosofia, Marietti, Genova 1991; r. cristin, m.
ruggenini (a cura di), La fenomenologia e l’Europa, Vivarium, Napoli 1999.
65. hua vi, p. 318; trad. it., p. 332.
66. Ibidem.
376 rocco sacconaghi

mera follia storico fattuale, un conseguimento casuale in


mezzo ad altre umanità e ad altre storicità completamente
diverse»67.
La legittimità fenomenologica dell’identificazione della
natura peculiare dell’Europa, dunque, si rende evidente sulla
base del riconoscimento dell’inoggettivabilità della Terra; al
contempo, la natura storico-trascendentale e perciò teleolo-
gica del vincolo del soggetto con il suolo terrestre viene per
così dire esemplificato e “salvaguardato” dall’analogia con
l’Europa. L’evento della nascita della filosofia, considerato
come un «inizio teleologico»68, o anche «nascita spirituale»69,
può essere interpretato come il paradigma a partire da cui
Husserl pensa anche il “fatto” della soggettività trascenden-
tale, “ospitato” dal suolo terrestre e ad esso essenzialmente
vincolato: entrambe sono fattualità trascendentali, ovvero
definite da ciò che con esse si inaugura e non determinate
da cause empiriche. Così come non possiamo sottrarci al
radicamento nell’«arca originaria Terra», per lo stesso moti-
vo non possiamo concepire l’universalità che caratterizza la
filosofia come svincolabile dalla sua “inscrizione geografica”
in Europa. La Terra e l’Europa rappresentano per Husserl
dei “limiti trascendentali” della nostra esperienza, il cui ri-
conoscimento non implica l’auto-confinamento in un punto
casuale dello spazio e del tempo, bensì l’assunzione della pro-
spettiva teleologica come unica condizione di realizzazione
dell’universalità.

67. Ivi, p. 13; trad. it. p. 44.


68. Ivi, p. 72; trad. it. p. 100. Derrida spiega il significato di questa categoria
scrivendo che se da una parte «la Ragione teleologica abitava già l’umanità nei
suoi tipi empirici prima della presa di coscienza filosofica che l’ha fatta nascere
a se stessa, annunciando alla storia il senso puro della storicità, vale a dire il suo
senso stesso» (j. derrida, Introduction à L’Origine de la Géométrie de Husserl,
cit., p. 206), dall’altra occorre riconoscere che «la presa di coscienza di ciò che vi
era segna già una rottura e, di conseguenza, un’origine radicale e creatrice» (ivi,
pp. 161-162; trad. it. p. 206).
69. hua vi, p. 319; trad. it. p. 334.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 377

2.4 La sintesi incompiuta e la volontà filosofica come


superamento dell’alienazione

Si tratta ora, conclusivamente, di fare un ultimo passo nel ten-


tativo di comprensione della posizione husserliana, che – co-
me abbiamo detto – in questo manoscritto si delinea in modo
coerente con tutta la sua opera precedente. Prima di identi-
ficare questo passo ulteriore, tentiamo un bilancio sintetico
di quanto emerso finora.
Come emerge bene in Filosofia prima, l’inizio della fi-
losofia è concepito da Husserl innanzitutto come un atto
della volontà, che tuttavia non è fine a se stesso, bensì deve
condurre a una posizione “etica” e infine a un atteggiamen-
to – quello trascendentale – che è anche conoscitivo. Dopo
anni di analisi e riflessioni, con Umsturz si rivela anche la
prospettiva “cosmologica” di questo atteggiamento: in questo
brano l’esercizio della riduzione fenomenologica comporta
l’esibizione del “luogo” in cui questo stesso esercizio colloca
il proprio soggetto, e questo luogo in un certo senso coin-
cide con il luogo in cui ci troviamo già da sempre, il suolo
terrestre. La descrizione della soggettività trascendentale,
che si arricchisce progressivamente nel corso dell’itinerario
husserliano, da Idee I e II alla Crisi, passando per le lezioni
sulla filosofia prima e sulla sintesi passiva, per Logica formale
e trascendentale e Meditazioni cartesiane, conduce all’imma-
gine a noi già “familiare” di un soggetto vincolato al proprio
suolo a livello percettivo, “immaginativo”, culturale e storico.
È per questo motivo che, come abbiamo già notato, di fronte
a questo testo risulta più semplice l’immedesimazione nell’at-
teggiamento trascendentale: la riflessione fenomenologica
riconduce all’esperienza originale del mondo.
Ovviamente questo ritorno non vuole essere una semplice
ripetizione, bensì una esplicitazione e una difesa dell’espe-
rienza naturale – laddove invece quest’ultima è ancora aperta
al dubbio su di sé e incorre perciò facilmente in relativizza-
zioni che la riducono a “illusione trascendentale”. Ciò che
l’immagine “già familiare” permette di portare a evidenza
378 rocco sacconaghi

filosofica è l’intreccio tra l’assoluta irriducibilità del sogget-


to e la natura trascendentale dei suoi limiti – perciò la non
casualità e l’intrascendibilità della sua collocazione cosmica
e storica, che tuttavia non comporta la sua reificazione. Il
soggetto atteggiato in senso trascendentale è vincolato al pro-
prio suolo tanto quanto quello atteggiato naturalmente, ma
a differenza di quest’ultimo è cosciente dell’insopprimibilità
e dell’incontestabilità di questo stesso vincolo, a partire da
quale soltanto ogni ulteriore conoscenza è possibile.
Ciò che abbiamo cercato di mostrare è come lo svelarsi di
questa inedita prospettiva cosmologica presenti una più am-
pia prospettiva “metafisica” come già insita nell’atteggiamento
trascendentale: nell’esercizio della riduzione trascendentale,
etico e scientifico al contempo, sono implicate una posizione
critica nei confronti dei tentativi di omogeneizzazione (della
Terra agli altri pianeti, degli uomini agli animali, della vita
organica a quella inorganica) e l’affermazione della possibilità
della storia – e perciò, indirettamente, si riconoscono la pecu-
liarità e il compito dell’Europa. In un certo senso, si potrebbe
dire che queste determinazioni metafisiche in senso lato co-
stituiscono la radice stessa della riduzione fenomenologica,
e non soltanto dei “reperti fenomenologici”, delle scoperte
possibili a partire da essa. Si comprenderebbe in questo sen-
so la vivida impressione, che si impone leggendo le pagine
di questo manoscritto, dell’attuarsi di una sintesi dei piani:
problematiche metafisiche, morali ed esistenziali riemergono
dall’interno dell’esercizio di osservazione pura dei fenome-
ni (che richiede, per stabilirsi, la sospensione metodica di
queste stesse problematiche), e come esito dell’assunzione
dell’unica posizione libera dall’orientamento mondano ci si
ritrova “epistemologicamente inchiodati” al suolo terrestre.
E tuttavia, per comprendere sino in fondo la posizione
husserliana, occorre rilevare che si tratta di una sintesi es-
senzialmente incompiuta (e proprio per questo Umsturz ri-
mane perfettamente coerente con il resto della produzione
husserliana): pur ospitando un’affermazione di natura ap-
parentemente ontologica – la Terra non si muove, poiché è
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 379

il nostro suolo –, che a sua volta comporta determinazioni


metafisico-morali (in senso antropologico) e scientifiche (in
chiave cosmologica), in questo manoscritto si mantiene una
perfetta (ancorché problematica) distinzione dei piani. L’in-
compiutezza della sintesi emerge chiaramente dal fatto che,
come abbiamo notato, il piano della scienza positiva ne rima-
ne necessariamente escluso. Proprio nel testo in cui Merleau-
Ponty crede di scorgere le tracce di una nuova ontologia, sulla
base della quale si dovrebbe superare il dualismo ontologico
cartesiano e perciò la separazione di filosofia (riflessiva) e
scienza (positiva)70 in direzione di una loro implicazione re-
ciproca, Husserl ribadisce con nettezza l’assoluta autonomia
della fenomenologia. La Terra, in senso fenomenologico, è
inoggettivabile, poiché non è “qualcosa”: ma, così come non
può essere messo in questione da alcuna teoria scientifica,
questo dato fenomenologico non può (e non vuole) confutare
alcuna teoria scientifica – la teoria copernicana rimane perciò
intatta. La fenomenologia non oppone alla determinazione
ontologica della Terra come pianeta la determinazione on-
tologica della Terra come suolo: la Terra non è il nostro suo-
lo – o meglio, lo è solo nella misura in cui il suolo non è una
cosa, ma appunto una dimensione inoggettivabile in quanto
essenzialmente relativa alla soggettività trascendentale. Se la
sintesi tra piano naturale, fenomenologico e metafisico fosse
compiuta, definitiva, si otterrebbe una metafisica della Terra
come suolo: ma quest’operazione, lungi dall’esprimere fedel-
mente la prospettiva fenomenologica, condurrebbe a una
peculiare forma di nuova “mitologia”, la quale non sarebbe
nient’altro che un’inedita versione dell’obiettivismo71.

70. Cfr. r. sacconaghi, Intrascendibilità dell’esperienza e atteggiamento naturale


in Merleau-Ponty, cit. pp. 172-175.
71. È interessante notare, in quest’ottica, come la fenomenologia sia talvolta
intesa come funzionale a determinate teorie ecologiche. In particolare, si sono
rilevate affinità tra l’affermazione dell’inoggettivabilità del suolo con il concetto
di “Gaia”, nome mitologico utilizzato per esprimere un’interpretazione della Terra
come entità vitale generativa che precede la soggettività umana, come un “tutto
originario” vivente di cui noi, esseri umani, saremmo parte. In altri termini, l’idea
380 rocco sacconaghi

D’altro canto, è proprio per la rigorosa distinzione del


piano fenomenologico-trascendentale da quello positivo-na-
turale (e quindi antropologico-cosmologico) che la fenome-
nologia non può non sviluppare a sua volta una prospettiva
trascendentale su cosmologia, antropologia, storia e geografia:
una prospettiva scientifica fondata e fondante, che tuttavia
proprio per potersi costituire come tale deve resistere alla ten-
denza dell’attribuzione di un carattere ontologico assoluto a
ciò che appare, ai “prodotti” delle sue analisi. In questo senso,
se da una parte l’immagine della “posizione dell’uomo nel
cosmo” che questo manoscritto ci restituisce ci appare come
“già familiare”, dall’altra si tratta di una prospettiva che in
ultima analisi si rivela quasi straniante e persino difficile da
concepire, in quanto, come Husserl spesso ripete, essenzial-
mente innaturale: ma è uno straniamento che vorrebbe essere
il contrario dell’alienazione, poiché permette di invertire la
direzione naturale del pensiero, e perciò di sradicare l’embrio-
nale obiettivismo in cui siamo originariamente immersi. Se si
concepisse in senso ontologico ciò che appare alla coscienza

per cui la Terra non è un oggetto potrebbe essere interpretata come implicita attri-
buzione a essa del carattere di soggetto. Si tratterebbe però di una nuova versione
dell’obiettivismo, seppur tradotto in chiave post-dualista (approccio olistico) e
post-meccanicista (paradigma sistemico). In quanto esterno alla soggettività, il
punto di vista si presenterebbe come un’astrazione rispetto all’esperienza origina-
ria tanto quanto quello del naturalismo dualista, il cui esito inevitabile – ancorché
esprimibile con differenti sfumature – sarebbe il misconoscimento della funzione
costitutiva della coscienza. L’interpretazione in senso primariamente ecologico
della critica husserliana all’obiettivismo comporterebbe perciò un’eterogenesi
dei fini che ci condurrebbe alla negazione della fenomenologia stessa e a una
nuova forma di oblio della soggettività. Cfr. j. lovelock, Gaia. A New Look
at Life on Earth, Oxford University Press, Oxford 1979; w.i. thompson (ed.),
Gaia 1. A Way of Knowing: Political Implications of the New Biology, Lindisfarne,
Hudson 1987; trad. it. di L. Maldacea, Ecologia e autonomia. La nuova biologia:
implicazioni epistemologiche e politiche, Feltrinelli, Milano 1988; w.i. thompson
(ed.), Gaia 2. Emergence: The new science of becoming, Lindisfarne, Hudson 1991.
Per le interpretazioni in chiave ecologica della fenomenologia, cfr. c.s. brown,
t. toadvine (eds.), Eco-Phenomenology. Back to the Earth Itself, State University
of New York, Albany 2003; d. macauley (ed.), Minding Nature. The Philosophers
of Ecology, The Guilford Press, New York/London 1996.
Implicazioni metafisiche ed epistemologiche 381

una volta attuata la riduzione trascendentale, si avrebbe quella


che Husserl ha definito ingenuità trascendentale72, che consi-
ste nel ripetersi dell’obiettivismo all’interno dell’atteggiamen-
to trascendentale non appena si perde «la motivazione di chi
comincia a filosofare»73, ovvero la spinta alla autoconoscenza
assoluta. Questo concetto peculiare ci svela dunque “in ne-
gativo” la natura profonda della fenomenologia husserliana:
l’atteggiamento trascendentale, infatti, si presenta come la
realizzazione piena dell’istanza filosofica non innanzitutto in
quanto ha accesso conoscitivo alla dimensione trascendentale
dell’esperienza, bensì in quanto è determinato dall’assun-
zione etica del telos dell’autoconoscenza assoluta. Il vero su-
peramento dell’alienazione, nell’ottica husserliana, consiste
proprio in questa consapevole “ripetizione” della volontà
di autocomprensione: solo nell’attivo volersi comprendere
il soggetto non è condannato ad assumere una prospettiva
esterna, ovvero mondana e perciò reificante.

72. Husserl in Filosofia prima introduce il concetto di ingenuità trascendentale


(cfr. hua viii, Erste Philosophie (1923-1924). Zweiter Teil: Theorie der Phänomeno-
logischen Reduktion, R. Boehm [Hrsg.], Nijhoff, Den Haag 1959, pp. 169-173; trad.
it. di A. Staiti, a cura di V. Costa, Filosofia prima. Teoria della riduzione fenome-
nologica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, pp. 217-221) proprio per indicare
la possibilità dell’assunzione di un orientamento mondano anche nell’esercizio
della riduzione trascendentale: di fronte al campo dell’esperienza che ci si apre
una volta attuata la riduzione, si potrebbe inavvertitamente considerare in senso
obiettivistico ciò che appare. Si può cioè svincolare la “pratica fenomenologica”
dalla spinta critica da cui pur si è originata: «l’intera teoria della riduzione trascen-
dentale può venir svincolata dalla motivazione di chi comincia a filosofare» (ivi,
p. 170; trad. it., p. 218). Possiamo realizzare un’analisi fenomenologica anche nel
caso in cui «lo scopo di una filosofia (nel nostro senso)» ci sia divenuto «del tutto
indifferente» (ibidem) e venga abbandonato. Ma nel momento in cui la riduzione
viene praticata senza la spinta all’autocomprensione filosofica del soggetto, si ri-
cade inesorabilmente nell’ingenuità. Si tratta di un’ingenuità “superiore” a quella
naturale, caratteristica di «ogni mossa conoscitiva che non è guidata dall’idea di
una conoscenza assoluta, di una conoscenza giustificata assolutamente e sotto ogni
aspetto» (ivi, p. 171; trad. it., p. 219): in questo consiste la «pretesa autenticamente
filosofica» (ivi, p. 172; trad. it., p. 220).
73. Ivi, p. 170; trad. it., p. 218.

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