Scrittore e oratore latino, nato ad Arpino nel 106 a.C. da agiata famiglia
equestre, ebbe una profonda conoscenza del diritto, della retorica e della
filosofia che fu alla base del suo impegno forense e politico (console nel
63 a.C.) come di quello letterario. Dopo la formazione del secondo
triumvirato nell’autunno del 43 a.C., C., a causa dell’opposizione a
Marco Antonio, venne inserito nelle liste di proscrizione e, raggiunto da
sicari, trovò la morte il 7 dicembre nei pressi di Formia.
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Per la considerazione sul danno che deriva dal «volersi mantenere [...] el
nome di liberale» (Principe xvi 2) si può rinviare a De officiis 1, 42-44 e
2, 52-55 (cfr. Il principe, ed. L.A. Burd, 1891 e Il principe, a cura di M.
Martelli, 2006). In effetti in De officiis 2, 52 si legge:
Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum
per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum,
confugiendum est ad posterius, si uti non licet superiore
Infatti poiché due sono i modi di combattere, l’uno per mezzo della
discussione, l’altro per mezzo della forza, e poiché il primo è proprio
dell’uomo mentre il secondo è delle bestie, bisogna ricorrere a
quest’ultimo se non si può fare uso del primo.
L’immagine della volpe e del leone, che in Principe xviii 7 subito segue
per rappresentare la forza e l’astuzia di cui il principe deve sapersi
servire, è ben attestata nella tradizione letteraria, da Plutarco
(→) Lisandro 7, 6 e Silla 28, 6, a Dante, Inf. XXVII 7475, ma in M. si
deve supporre anzitutto il ricordo di De officiis 1, 41. Tuttavia, se C.
afferma
Cum autem duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria, fraus
quasi vulpeculae, vis leonis videtur: utrumque homine alienissimum, sed
fraus odio digna maiore