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Commento.

Poiché la libertà di domicilio è espressione della più ampia libertà personale, ne è riconosciuta
l'inviolabilità, anche se l'autorità di polizia o la magistratura possono adottare, con le opportune garanzie
previste dalla legge, misure quali ispezioni, perquisizioni, sequestri. La libertà di domicilio viene tutelata
anche dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (firmata a Nizza il 7 dicembre
2000), che prevede che ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del
domicilio e delle sue comunicazioni. La tutela garantita dalla Carta europea ricomprende, quindi, anche
diritti (come il rispetto della vita privata e familiare) che la nostra Costituzione non cita espressamente.
Il terzo comma dell'articolo stabilisce che i provvedimenti di indagine decisi dalla pubblica amministrazione
per motivi di sanità (ad esempio per verificare le condizioni igieniche di un luogo di lavoro), di incolumità
pubblica (ad esempio per verificare le condizioni di sicurezza di un locale aperto al pubblico), economici o
fiscali (ad esempio per verificare il regolare adempimento degli obblighi tributari), quando consistono in
semplici verifiche su cose e luoghi, non comportano le garanzie che assistono l'attività di polizia e
magistratura. Tali interventi devono, comunque, essere previsti da apposite leggi.

Articolo 15: testo e spiegazione.

"La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.
La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite
dalla legge".

Commento. La segretezza della corrispondenza, che non può essere violata neppure dai familiari, è
attributo essenziale della libertà personale in quanto garantisce i contatti del singolo, consentendogli di far
giungere ad altri, senza interferenza alcuna, il suo pensiero. Libertà e segretezza vanno, dunque,
considerate congiuntamente perché l'una trova fondamento nell'altra e nessuna delle due si realizza
compiutamente in assenza dell'altra. Non è specificato chi sia il titolare del diritto inviolabile, se si tratti cioè
del mittente o del destinatario; sono perciò assicurate pari dignità e pari tutela sia a chi invia la
comunicazione sia a chi la riceve. L'inviolabilità, assicurata ad ogni forma di comunicazione, deve intendersi
estesa, ovviamente, anche alla telefonia, alla telematica e ad ogni altra tecnologia.
Il secondo comma prevede che le limitazioni della libertà e segretezza delle comunicazioni devono essere
accompagnate da apposite garanzie di legge, le quali devono individuare gli scopi della misura limitativa, la
durata massima della stessa, i casi e i modi in cui la restrizione può essere adottata. Tale tutela, che
prevede necessariamente un atto motivato di un giudice, si giustifica sia per la segretezza delle
intercettazioni telefoniche o postali sia per il carattere interpersonale delle comunicazioni, che comporta
anche il coinvolgimento di tutte le persone con le quali venga in contatto, per qualsiasi motivo, chi è
soggetto ad intercettazioni.

Articolo 16: testo e spiegazione.

"Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le
limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può
essere determinata da ragioni politiche.
Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge".

Commento. In questo articolo è prevista la libertà per ogni cittadino italiano di circolare e stabilirsi in modo
temporaneo o permanente in qualsiasi parte del territorio nazionale. In stretta corrispondenza è l'articolo
120 della Costituzione, che vieta alle Regioni di "adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la
libertà di circolazione delle persone e delle cose".
Va ricordato che la libertà di circolazione e di soggiorno riguarda i cittadini degli stati appartenenti
all'Unione Europea. Sono previste limitazioni di carattere generale per motivi sanitari, ad esempio nel caso
di epidemie, e tali limitazioni vengono dettate dall'esigenza di tutelare la salute dei cittadini; oppure, può
essere prevista la limitazione della libertà di circolazione nei confronti di individui che siano ritenuti
potenzialmente pericolosi per la vita, il patrimonio di altri cittadini o per le istituzioni. Non è prevista
nessuna restrizione della libertà di circolazione e di soggiorno che possa essere determinata per ragioni
politiche: la nostra Costituzione ha inteso ripudiare con fermezza l'utilizzo del confino che il regime fascista
aveva applicato in maniera indiscriminata.
La libertà degli spostamenti al di fuori del territorio italiano è subordinata al possesso di un documento di
riconoscimento. Fra gli obblighi di legge, che rappresentano restrizioni temporali all'uscita del territorio
nazionale, vi è il dovere per il cittadino di presentarsi in giudizio.

Articolo 17: testo e spiegazione.

"I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi.


Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.
Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per
comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica".

Commento. L'art. 17 della Costituzione tutela il diritto di riunione, purchè essa venga
svolta pacificamente. Si deve partire dal presupposto che la riunione, diversa dall'assembramento che si
configura invece come un'adunata casuale, si presenti come un confronto democratico fra cittadini,
durante il quale non vi siano prevaricazioni o il ricorso all'uso della violenza e delle armi. Per luoghi aperti al
pubblico si fa riferimento a quei luoghi come ad esempio cinema, teatri, circoli, dove si accede a talune
condizioni, quali il biglietto di accesso o l'essere socio.
Per luogo pubblico si intendono le piazze, le strade, i giardini pubblici, gli edifici di proprietà pubblica, etc.
La richiesta di preavviso non sta a significare una richiesta di autorizzazione da parte delle autorità, quanto
piuttosto una comunicazione. Sarà l'autorità, nel momento in cui vi siano fondati rischi per la sicurezza e
l'incolumità pubblica, a vietare la riunione.
La libertà di riunione insieme alla liberta di associazione (v. articolo 18) sono garantiti anche dall'articolo
12 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea e tali libertà, che sono attribuite ai cittadini,
dovrebbero estendersi anche agli stranieri regolarizzati che soggiornano e ai quali, secondo il Testo unico
sull'immigrazione, deve essere consentita la partecipazione alla vita pubblica locale e, di conseguenza, deve
essere garantito il diritto di riunione che ne sta alla base.

Articolo 18: testo e spiegazione. 

"I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai
singoli dalla legge penale.
Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante
organizzazioni di carattere militare". 

Commento. La nostra Costituzione legittima il diritto di associazione, inteso come la libera unione di
cittadini (la formazione sociale a cui si fa riferimento nell'art. 2) e tale diritto si esplica senza l'autorizzazione
dell'autorità, differenziandosi dalla politica di controllo esercitata dal regime fascista.
Il diritto di associazione, che per sua natura può avere un carattere stabile e duraturo, viene tutelato
costituzionalmente, sempre che mantenga i caratteri di legalità, di trasparenza e di non violenza. Nei
successivi articoli 39 e 49 verranno presi in considerazioni sia l'associazionismo sindacale che quello
partitico, considerati importante riferimento per lo sviluppo democratico della società civile. La norma vieta
tutte quelle associazioni costituite per fini vietati ai singoli dalla legge penale: sono pertanto vietate le
associazioni per delinquere e per scopi eversivi.
Sono proibite le associazioni segrete, associazioni che non rendono nota né la sede, né i nomi dei propri
affiliati e mantengono segrete le loro finalità.
Non è consentito dalla nostra Costituzione che vi siano associazioni che possano interferire impunemente e
illegalmente all'interno delle istituzioni del nostro paese. (A tale norma si fece riferimento, nel 1981, a
proposito della Loggia massonica P2).
Sono vietate, infine, tutte quelle associazioni che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante
organizzazioni di carattere militare. Il divieto è diretto nei confronti di associazioni strutturate al loro
interno in modo militare con fini violenti ed eversivi; è implicito il richiamo ad ogni forma di ricostituzione
dello squadrismo fascista, fondato su gruppi paramilitari.

Articolo 19: testo e spiegazione.

"Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o
associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti
contrari al buon costume".

Commento. Si tratta dell'applicazione dell'articolo precedente allo specifico ambito religioso. Viene
pienamente riconosciuta la libertà religiosa: l'equiparazione tra le diverse fedi è totale; ne consegue che ha
pari dignità anche il rifiuto di ogni credo religioso. Va rilevato che il diritto in oggetto viene sancito erga
omnes, cioè per chiunque risieda nel territorio nazionale, sia esso cittadino o straniero. L'esercizio del culto
trova un limite nell'osservanza del “buon costume”, cioè di comportamenti rispettosi della pubblica
decenza.
La norma rappresenta un'ulteriore conferma della laicità dello Stato, che si realizza quando viene
riconosciuta la libertà di religione e delle confessioni religiose, senza che venga individuata una religione
"ufficiale" dello Stato. E' opportuno ricordare che l'art. 1 dello Statuto Albertino, dichiarando la religione
Cattolica, Apostolica e Romana "sola Religione dello Stato" (mentre gli altri culti venivano "tollerati
conformemente alle leggi"), prefigurava, invece, uno Stato confessionale.
Conseguente a questo articolo è il divieto di ogni forma di discriminazione per motivi religiosi (si veda, in
proposito, quanto già affermato al precedente art. 3): perciò, in coerenza col dettato costituzionale, l'art. 8
della Legge 300/70 (Statuto dei lavoratori) vieta qualsiasi tipo di indagine sulle opinioni religiose del
lavoratore sia ai fini dell'assunzione sia durante lo svolgimento del rapporto di lavoro.

Articolo 20: testo e spiegazione.

"Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere
causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità
giuridica e ogni forma di attività".

Commento. Per "gravami fiscali" devono qui intendersi gli eventuali oneri imposti dal fisco per la
costituzione di un ente e per lo svolgimento della sua attività (ad esempio: tasse per la stipula dell'atto
costitutivo o per gli acquisti effettuati, vincoli di destinazione specifica di determinati utili, ecc.). Per
"capacità giuridica" si intende l'idoneità ad essere soggetti di diritti e di obblighi stabiliti dalla legge. La
capacità giuridica è prerogativa intangibile di tutti i cittadini (come ulteriormente precisato dal successivo
art. 22), dunque anche degli enti legalmente costituiti: il carattere religioso di un ente non può comportare
alcuna limitazione alla sua capacità giuridica. Questo articolo impedisce, in sostanza, l'introduzione per
legge di trattamenti discriminatori a carico degli enti religiosi rispetto ad altre associazioni che perseguono
scopi diversi: tale garanzia viene assicurata a tutti gli enti religiosi, a prescindere dalla confessione di
appartenenza, a tutela del principio dell'eguale libertà di fede religiosa.

Articolo 21: testo e spiegazione.

"Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo
di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i
quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge
stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
Il tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità
giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che
devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all'autorità giudiziaria. Se questa
non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d'ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della
stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni
contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le
violazioni".

Commento. La libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, connotato fondamentale di ogni


sistema democratico, va qui intesa in riferimento sia alla libertà di esprimere le proprie opinioni (pluralismo
ideologico) sia alla libertà di informazione (cioè di informare e di essere informati). Perciò viene preso in
considerazione non soltanto l'uso della parola e dello scritto, ma anche “ogni altro mezzo di diffusione”
(quindi la radio, la televisione, il cinema, le riproduzioni audiovisive, Internet…). Tuttavia, l'articolo detta
norme specifiche solo sulla stampa e mira, in sostanza, ad eliminare i controlli di tipo poliziesco
(autorizzazioni, censure…) introdotti dal fascismo. Ciò spiega anche la particolare attenzione rivolta alla
problematica relativa ai casi di sequestro.

Di speciale interesse è il penultimo comma, il cui dettato è in funzione della trasparenza dei mezzi di
finanziamento della stampa periodica; si tratta di una norma tesa a salvaguardare il diritto del cittadino-
lettore di conoscere quali interessi (economici, politici o di qualsiasi altra natura) sostengono il giornale che
egli acquista, posto che gli assetti proprietari delle testate giornalistiche influiscono, com'è ovvio, sugli
orientamenti che le stesse assumono. La norma tende altresì ad impedire aventuali finanziamenti occulti
con finalità illecite. In questo medesimo ambito normativo si collocano le disposizioni legislative tendenti ad
evitare la concentrazione delle testate giornalistiche e a regolamentare la diffusione delle emittenti radio e
televisive, nel senso di impedire che l'informazione venga controllata da poche centrali, garantendo
viceversa, in condizioni paritarie e di trasparenza, spazio, libertà e autonomia ai soggetti che fanno
informazione, sì da realizzare il necessario pluralismo nel sistema dei mezzi di comunicazione.

Va detto che una disciplina compiuta dell'editoria è intervenuta solo nel 1981, con l'istituzione dell'autorità
garante, cui spetta il potere di dichiarare nulle le cessioni di testate giornalistiche qualora determinino una
posizione dominante nel mercato editoriale. Inoltre, per quanto riguarda il settore delle comunicazioni
radio-televisive, soltanto con la Legge n. 249 del 1997 è stata istituita l'Autorità per le garanzie delle
comunicazioni con il preciso compito di vigilare sul rispetto del divieto di posizioni dominanti, considerate di
per sé ostacoli al pieno realizzarsi del pluralismo dell'informazione.

Articolo 22: testo e spiegazione. 

"Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome".

Commento. La norma si ricollega all’articolo 2 in cui si sono garantiti i diritti inviolabili della persona e
all’articolo 3 che sancisce il principio di uguaglianza; essa risponde al compito di tutelare le basi
democratiche dell’ordinamento repubblicano, impedendo che si possano un giorno ripetere le politiche
razziali e antidemocratiche del regime fascista, che determinarono la privazione della cittadinanza agli
appartenenti alla comunità ebraica (che si videro privati dei diritti di cittadinanza a causa delle leggi razziali,
sancite con il decreto legge del 17 novembre del 1938) e ai fuoriusciti che svolgevano attività antifascista.
Il regime fascista impose inoltre l’italianizzazione dei cognomi di quei cittadini appartenenti a minoranze
linguistiche.
Nel nostro ordinamento repubblicano deve essere tutelata la personalità giuridica del cittadino nella sua
integrità e nessuno può essere privato della capacità giuridica, ossia dell’idoneità a essere soggetti di diritti
e di obblighi, della cittadinanza, come appartenenza alla comunità statale, con i diritti e i doveri che ne
conseguono, del nome, senza il quale nessuno potrebbe essere individuato come cittadino. Per paradosso,
un neonato a cui fosse negato il nome, sarebbe escluso da qualunque rapporto civile.
Con il trattato di Maastricht del 1992 e con il trattato di Amsterdam del 1997 è stato affermato il diritto di
cittadinanza europea, considerato come complementare a quello di cittadinanza nazionale.

Articolo 23: testo e spiegazione.

"Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge".

Commento. A nessun cittadino può essere imposto arbitrariamente di fare (prestazione personale)
qualcosa oppure dare qualcosa (prestazione patrimoniale) allo Stato se non per legge e quindi attraverso lo
strumento legislativo che viene esercitato in Parlamento.
Per prestazione personale sono da intendere tutte quelle di carattere fisico o intellettuale che possono
essere imposte dalla Stato per un superiore interesse pubblico. Ad esempio, sono prestazioni il servizio
militare, l’obbligo di rendere testimonianza, le prestazioni obbligatorie dei medici, l’intervento in caso di
calamità. Per prestazioni patrimoniale sono da intendere, in primo luogo, il pagamento dei tributi, inteso
come dovere di contribuire alla spese pubbliche.
Il pagamento del tributo, ossia delle tasse, delle imposte e dei contributi deve essere individuato e
applicato dalla legge, in modo che non possano esserci arbitrii nella loro riscossione da parte degli enti
preposti.

Articolo 24: testo e spiegazione.

"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni
giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari".

Commento. La nostra Costituzione riconosce a tutti, sia come soggetto singolo che soggetto collettivo, il
diritto di rivolgersi a un giudice per avviare un processo giudiziario a difesa dei propri diritti e dei propri
interessi legittimi; se, invece, si viene chiamati in giudizio, si ha diritto alla difesa in ogni momento dell’iter
processuale.
Ai non abbienti è garantito il patrocinio gratuito, ossia la difesa senza spese e, l’individuazione di colui che
non dispone dei mezzi per difendersi, viene stabilita dal legislatore. Questo sostegno da parte dello Stato
rispetta il principio dell’uguaglianza sostanziale (v. art. 3) per cui devono essere rimossi gli ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscano l’effettiva parità dei cittadini nei confronti della legge.
La legge prevede la riparazione degli errori giudiziari nel momento in cui una condanna penale irrevocabile
venga riconosciuta come ingiusta, con il conseguente proscioglimento dell’imputato.
A richiesta della vittima, o degli eredi, la legge prevede la corresponsione di una somma di indennizzo
proporzionale al tempo della pena detentiva, ingiustamente subita.

Articolo 25: testo e spiegazione.

"Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".

Commento. Per garantire l'imparzialità del giudice, già nello Statuto Albertino si diceva che "Nessuno può
essere distolto dai suoi giudici naturali" e si vietava la costituzione di tribunali straordinari: ciò, tuttavia, non
impedì al regime fascista di reprimere l'opposizione politica attraverso l'istituzione di "Tribunali speciali per
la difesa dello Stato". La Costituzione repubblicana ha confermato la garanzia del giudice naturale, ma ha
anche previsto, col successivo art. 102, l'esplicito divieto di costituzione di tribunali straordinari. Il "giudice
naturale precostituito per legge" è il giudice che la legge individua in base a criteri certi ed oggettivi (cioè
relativi, ad esempio, alla materia del contendere e al territorio sul quale si è svolto il fatto), definiti
comunque in precedenza rispetto al fatto portato in giudizio.
Nel secondo e nel terzo comma l'articolo sancisce il principio di legalità sia delle pene sia delle misure di
sicurezza. In particolare, nel secondo comma, il principio di legalità penale prevede la cosiddetta riserva di
legge e la non retroattività della norma. La riserva di legge esclude che possa essere punito un determinato
comportamento se non in presenza di una legge che lo configuri come reato: solo il Parlamento può,
quindi, stabilire per via legislativa quali siano i comportamenti penalmente rilevanti. Il principio di non
retroattività vieta di applicare la legge penale per fatti commessi prima della sua entrata in vigore. Il
principio di legalità in materia penale è sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea.
L'ultimo comma prevede la riserva di legge anche per le misure di sicurezza (quali, ad esempio, la libertà
vigilata, il divieto o l'obbligo di soggiorno, l'espulsione dello straniero dallo Stato): il costituente ha così
inteso limitare la discrezionalità del giudice, trattandosi di misure comminate in ragione della pericolosità
sociale di un soggetto, indipendentemente da una sua eventuale responsabilità penale. Si è voluto, quindi,
evitare che tali misure possano trasformarsi in pene arbitrarie, come si verificò in epoca fascista a danno
degli oppositori del regime.

Articolo 26: testo e spiegazione.

"L'estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle
convenzioni internazionali.
Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici".

Commento. L'articolo, che costituisce una precisazione del precedente art. 10, impone che l'estradizione
del cittadino sia consentita soltanto nei casi e nei modi previsti dai trattati internazionali, individuati, a tal
fine, come l'unica fonte legale per eventuali provvedimenti di estradizione. Il divieto è, invece, assoluto per
i reati politici.
Questo articolo va interpretato anche alla luce di quanto previsto dal successivo art. 27, che vieta la pena di
morte: non è, quindi, ammissibile l'estradizione verso uno Stato il cui ordinamento ammetta come
sanzione, per il reato al quale si riferisce la richiesta, proprio la pena di morte. Peraltro, anche la Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea vieta di allontanare, espellere o estradare una persona verso uno
Stato in cui questa rischi di essere sottoposta alla pena di morte o alla tortura o a pene e trattamenti
inumani e degradanti.

Articolo 27: testo e spiegazione.

"La responsabilità penale è personale.


L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte".

Commento. L’articolo sancisce i principi della personalità della pena e di non colpevolezza fino alla
condanna definitiva. Quella di “responsabilità penale” è la condizione di chi subisce le conseguenze del
proprio agire: ad esempio, una sanzione detentiva comminata a seguito del riconoscimento di colpevolezza
di un reato che la prevede. Non è possibile, quindi, sostituzione personale nella responsabilità penale, come
lo è, viceversa, in quella civile, cioè nell’obbligo al risarcimento dei danni causati da un atto illecito. Un
imputato, che opponga ricorso contro una sentenza di condanna, non può essere considerato colpevole
della colpa per cui pure è condannato in prima istanza fino alla pronuncia della sentenza definitiva sulla
stessa imputazione. Vige, dunque, nel nostro sistema la presunzione di non colpevolezza fino alla condanna
definitiva: questo principio, affermato già da Montesquieu e presente anche nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, ha trovato piena attuazione solo col codice di procedura penale del
1989.
Il secondo comma attribuisce alla pena una funzione rieducativa, ripudiando ogni trattamento contrario al
senso di umanità: il diritto di ogni individuo a non essere sottoposto né a torture né a pene o trattamenti
inumani o degradanti viene garantito anche dalla Costituzione europea e va ad inserirsi nella più ampia
tutela della dignità umana (v. il precedente art. 3) e del diritto all’integrità della persona (v. il successivo art.
32). A questi principi è ispirata la Legge 354/75 di riforma dell’ordinamento penitenziario.
Il terzo comma, nel testo approvato dall’Assemblea Costituente, recitava: “Non è ammessa la pena di
morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”. Il testo attuale è frutto della Legge
costituzionale n. 1 del 2 ottobre 2007, che ha eliminato la pena di morte anche dai codici penali militari di
guerra. La norma costituzionale, nella sua formulazione originaria, appariva ormai in conflitto con
l’evoluzione sia dell’ordinamento italiano sia di quello europeo nonché contraddittoria con lo stesso art. 2
della Costituzione. La modifica apportata ha, tra l’altro, reso più forte la posizione dell’Italia nella richiesta
di sospensione universale delle pene capitali (la cosiddetta “moratoria internazionale sulla pena di morte”).

Articolo 28: testo e spiegazione.

"I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi
penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.
In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici".

Commento. L'affermazione della responsabilità diretta anche dei pubblici dipendenti e funzionari
costituisce un'importante garanzia dei diritti del cittadino: ciò spiega la collocazione di questa norma nel
titolo dedicato alle libertà civili. In effetti, nessun principio è operante se non viene applicato da chi di fatto
è tenuto ad attuarlo, perciò la Costituzione impone ai funzionari pubblici particolari responsabilità e
garantisce tutti i cittadini che i danni eventualmente causati da loro vengano comunque risarciti dalle
rispettive amministrazioni (Stato, Regione, Provincia, Comune o qualsiasi Ente pubblico). La norma appare
particolarmente attuale, soprattutto se si considera che in una società complessa come la nostra
l'intervento dello Stato (e la conseguente possibilità di abusi) è sicuramente maggiore che in passato.
Va notato che la responsabilità del funzionario o dipendente qui considerata è solo quella civile: quella
penale è, infatti, già considerata in generale dal precedente art. 27 e, se relativa al comportamento di un
impiegato pubblico nell'esercizio delle proprie funzioni, non è estensibile all'amministrazione di
appartenenza, ma comporta un aggravamento di pena per il reo o la configurazione di specifiche ipotesi di
reato (ad esempio, peculato, corruzione e, in generale, tutti i reati contro la pubblica amministrazione).

Articolo 29: testo e spiegazione.

"La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge e
garanzia dell'unità familiare".

Commento. La famiglia si configura come nucleo primario della società civile, fondato su principi naturali e
quindi non convenzionali: i vincoli familiari di affetto, solidarietà fra i coniugi, cura e protezione dei figli
sono diritti naturali prima che giuridici.
La Costituzione riconosce la famiglia fondata sul matrimonio che, nell'ordinamento della nostra nazione,
vige sotto due diverse forme: il matrimonio civile (davanti al sindaco o a un suo delegato) e il matrimonio
concordatario (che si svolge davanti ad un sacerdote) e che viene stipulato secondo il diritto canonico,
riconosciuto dallo Stato. Il matrimonio concordatario viene trascritto nei registri dello stato civile,
acquisendo in tal modo gli effetti civili. Va ricordato che il divorzio venne introdotto dalla legge del primo
dicembre 1970 e confermato dal risultato del referendum popolare del 1974.
Nonostante questo articolo affermi l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, rifacendosi al principio di
uguaglianza sancito dall'articolo 3, il nostro paese ha dovuto attendere la riforma del diritto di famiglia,
varata nel 1975, perché la parità coniugale potesse diventare effettiva. Ricordiamo che nella storia del
nostro paese è esistita la tutela maritale fino al 1919 e che l'articolo 144 del codice civile che sanciva la
cosiddetta potestà maritale, per la quale la moglie era obbligata ad assumere il cognome del marito e a
seguirne la residenza, è rimasto in vigore fino alla riforma del diritto di famiglia del '75. Nel nostro paese
non si configura, diversamente da altri paesi, che anche le coppie omosessuali possano contrarre
matrimonio e adottare figli.

Articolo 30: testo e spiegazione.

"È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei
membri della famiglia legittima".

Commento. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità. Questo articolo si riferisce al
"principio di corresponsabilità" che deve guidare i coniugi nella vita familiare. Un diritto – dovere è quello
di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, che va esercitato dai genitori
in maniera paritaria, interagendo con le altre forme sociali fra cui la scuola. L'art.147 del codice civile
aggiunge che i genitori devono tener conto, nel processo educativo, "delle capacità, dell'inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli".
L'incapacità dei genitori si definisce tale quando anche uno solo dei tre doveri non venga adempiuto, non
per impossibilità di mezzi, ma per cattiva volontà. Il giudice può giungere a decretare la decadenza dalla
potestà sui figli e all'allontanamento dai genitori, se questi ultimi non adempiono ai loro doveri e
mantengono una condotta pregiudizievole.
Per i figli minori, in situazione di abbandono sia da parte dei genitori che dei parenti, sono previsti l'istituto
dell'affido e dell'adozione.
I figli nati fuori dal matrimonio sono i figli naturali riconosciuti, il cui riconoscimento è stato effettuato da
uno o da entrambi i genitori. La Costituzione impone ai genitori di figli nati fuori dal matrimonio gli stessi
diritti – doveri che essi hanno per i figli nati all'interno del matrimonio. Per il principio di uguaglianza, la
legge deve assicurare ai figli naturali ogni tutela giuridica e morale compatibilmente con i diritti della
famiglia legittima, eliminando qualunque offesa per l'onore personale, che possa provenire dalla condizione
di figlio illegittimo.
Viene considerata legittima la ricerca della paternità attraverso quelle pratiche medico – giuridiche che
permettono di stabilire la paternità naturale di un individuo: la ricerca può essere effettuata da un figlio nei
confronti del padre e viceversa.

Articolo 31: testo e spiegazione.

"La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e
l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".

Commento. Nei confronti della famiglia, la Repubblica deve agevolarne la formazione e l'adempimento di
quei diritti – doveri contenuti nell'articolo 30. Nel corso dei miglioramenti della legislazione sociale, ottenuti
attraverso le battaglie sindacali e politiche e la maturazione della coscienza civile, il nostro paese ha
introdotto tutta una serie di interventi a tutela della famiglia: gli assegni familiari o la cosiddetta politica
della casa di cui si ricorda la "legge sull'equo canone" del 1978, come pure le agevolazioni fiscali per la
prima casa. Gli articoli 36 e 37 prescrivono che la retribuzione del lavoratore e della lavoratrice debba
essere comunque adeguata ad assicurare a loro stessi e alla propria famiglia un'esistenza dignitosa.
L'articolo 37 assicura alla lavoratrice – madre una speciale tutela perché possa adempiere alla
sua essenziale funzione familiare.
Le agevolazioni nei riguardi delle famiglie numerose non provengono da una finalità legata alla promozione
dell'aumento demografico, quanto al dovere di un'assistenza sociale da parte dello Stato.
La Costituzione riconosce il valore sociale della maternità, che si configura come diritto ad una procreazione
cosciente e responsabile, a cui si ricollega anche la legge n. 194, grazie alla quale è stato istituito e
disciplinato l'aborto nel nostro paese.
La nostra Repubblica tutela l'infanzia secondo gli stessi principi presenti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, sintetizzati nell'articolo 24, dedicato ai Diritti del bambino. La politica di intervento
pubblico nei confronti dei giovani trova svolgimento nell'art. 34, con riferimento ai figli capaci e meritevoli
nello studio che, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

Articolo 32: testo e spiegazione.

"La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La
legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".

Commento. La salute, in quanto indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti
costituzionali, costituisce un diritto fondamentale, la cui lesione impone il risarcimento del danno: tutti
hanno diritto ad essere curati, anche se non tutti hanno diritto a cure gratuite, destinate esclusivamente
agli indigenti, cioè a coloro che non sono in grado di far fronte economicamente alle cure indispensabili per
la proprie salute (il termine "indigenti" non viene qui adoperato come sinonimo di "poveri").
Viene escluso qualsiasi obbligo a curarsi, viene, al contrario, affermato il diritto a non essere curati, se non
nei casi previsti dalla legge (ad esempio, vaccinazioni obbligatorie per prevenire malattie infettive, oppure
provvedimenti di cura e di isolamento per soggetti portatori di malattie contagiose). Va, quindi, considerata
lecita l'eutanasia passiva consensuale, cioè il rifiuto espresso dal paziente, capace di intendere e di volere e
adeguatamente informato, di prolungare le cure mediche, lasciando che la malattia prosegua nel suo
decorso naturale. Più complesso è il caso in cui il paziente non sia più in grado di intendere e di volere e,
quindi, in grado di pronunciarsi sul suo diritto ad essere curato. Tuttavia, anche recenti sentenze della
Magistratura hanno precisato che il giudice può autorizzare la disattivazione di apparecchi che tengono in
vita il paziente in coma quando vi sia la prova certa che il malato abbia o avrebbe dato il proprio consenso e
quando la condizione di stato vegetativo sia irreversibile.
Il diritto alla salute coincide, tradizionalmente, col diritto al rispetto dell'integrità fisica dell'individuo; ma
nella concezione solidaristica della Costituzione esso comporta anche il diritto all'assistenza sanitaria:
infatti, con la riforma sanitaria del 1978, l'istituzione del servizio sanitario nazionale ha esteso l'obbligo
dello Stato di assicurare le prestazioni sanitarie e farmaceutiche non solo agli indigenti, ma anche a tutta la
popolazione.
La protezione della salute, intesa come diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure
mediche, è stata inserita anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Va, infine, osservato che il diritto alla salute comporta anche il diritto alla salubrità dell'ambiente, poiché la
prevenzione di varie patologie impone di eliminare le cause dell'inquinamento ambientale.

Articolo 33: testo e spiegazione.

"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.


La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad
esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole
statali.
E' prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e
per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei
limiti stabiliti dalle leggi dello Stato".
Commento. Il principio fondamentale, che ispira tutta la disciplina costituzionale della scuola, è quello
della libertà d'insegnamento. La Costituzione mostra di considerare essenziale per la democrazia
il pluralismo ideologico, che va garantito innanzi tutto nella scuola, intesa come istituzione
autenticamente laica, consentendo così ai docenti la possibilità di scegliere come e cosa insegnare, pur nel
rispetto di parametri generali fissati per legge. La libertà d'insegnamento si collega, pertanto, alla libertà di
manifestare il proprio pensiero, alla libertà di professare qualunque tesi o teoria venga ritenuta degna di
accettazione, alla libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia più opportuno
adottare. Questo principio trova una formulazione pressoché identica nell'art. 13 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione Europea.
Con la legge n. 59 del 15. 3. 1997 e col successivo D.P.R. n. 275 dell'8.3.1999 a tutte le istituzioni scolastiche
sono state attribuite personalità giuridica e autonomia finanziaria, organizzativa e didattica, mentre spetta
sempre allo Stato definire i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché gli elementi
comuni all'intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e programmazione. Perciò allo Stato
compete la predisposizione dei mezzi di istruzione, attraverso l'emanazione di norme di carattere generale
e l'istituzione di scuole. Tuttavia, l'istruzione non è materia riservata esclusivamente allo Stato, dal
momento che la Costituzione garantisce il pluralismo nel sistema educativo stesso, prevedendo la
contemporanea esistenza di due tipi di scuole: statali e non statali.
Accanto alla libertà d'insegnamento si colloca, quindi, la libertà della scuola, cioè la libertà dei privati di
istituire scuole caratterizzate da peculiari orientamenti educativi, culturali e religiosi. Va, comunque,
segnalato che la libera gestione dell'istruzione non deve comportare impegni di spesa da parte dello
Stato. 
Con la legge n. 62 del 10. 3. 2000 sulla parità scolastica è stato delineato un nuovo sistema nazionale di
istruzione costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private nonché da quelle degli enti locali. Tali
scuole ottengono la parità purché siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge, corrispondano agli
ordinamenti generali dell'istruzione e accolgano chiunque richieda di iscriversi, compresi alunni e studenti
portatori di handicap. Le scuole paritarie godono di piena libertà per quanto concerne l'orientamento
culturale e l'indirizzo pedagogico-didattico, fermo restando che l'insegnamento dei docenti dev'essere
improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione.

Articolo 34: testo e spiegazione.

"La scuola è aperta a tutti.


L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze,
che devono essere attribuite per concorso.

Commento. Affermare che "la scuola è aperta a tutti" significa caratterizzare lo Stato sociale come Stato di
cultura, che esclude ogni discriminazione (per esempio tra cittadini italiani e stranieri) nell'accesso ai saperi
e nel diritto all'istruzione. Ne deriva, come conseguenza, la necessità che lo Stato rimuova ogni ostacolo
perché la scuola sia concretamente accessibile a tutti e l'istruzione sia generalizzata.
L'istruzione inferiore (scuole elementari e medie) prevede la frequenza obbligatoria (cosiddetta "scuola
dell'obbligo") per garantire a tutti uno standard culturale minimo; essa, inoltre, è gratuita per consentire
l'accesso generalizzato, senza alcuna discriminazione di ordine sociale.
Va osservato che al dovere dello Stato di istituire, su tutto il territorio nazionale, scuole di ogni ordine e
grado, corrisponde un diritto all'istruzione dei cittadini. Nel caso della scuola dell'obbligo, tale diritto
implica anche il dovere di istruirsi.
Il diritto all'istruzione è garantito anche dall'art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
Anche la Carta europea sancisce la gratuità e l'obbligatorietà del diritto qui tutelato, affiancandovi, inoltre,
anche il diritto all'accesso alla formazione professionale e continua, che il nostro ordinamento tutela
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