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Carl Gustav Jung riteneva che una psicologia dell'inconscio fosse presente sin dagli albori
dell'umanità, collegata alle antiche pratiche sciamaniche dei popoli primitivi.[3] Il termine
inconscio a ogni modo è stato utilizzato come sostantivo solo a partire dall'Ottocento, mentre
in precedenza veniva usato per lo più come aggettivo per denotare quei processi di pensiero
nascosti alla coscienza.[4]
Platone
Le origini del concetto si possono rintracciare già presso gli antichi Greci,[5] che tuttavia non
conoscevano ancora un termine equivalente a quello odierno di inconscio.
«In Platone si dà un'enorme importanza agli archetipi, quali idee metafisiche, «paradigmi»
o modelli, mentre gli oggetti reali sono trattati alla stregua di semplici copie di questi
modelli ideali. La filosofia medievale, dai tempi di S. Agostino – dal quale ho preso l'idea
di archetipo – fino a Malebranche e a Bacone, segue ancora le orme di Platone. [...] Da
Cartesio a Malebranche in poi, il valore metafisico dell'idea o archetipo va gradatamente
deteriorandosi. L'idea diventa un «pensiero», una condizione gnoseologica interna. [...]
Infine Kant riduce gli archetipi a un numero limitato di categorie della conoscenza.»
Leibniz
Leibniz si pose agli antipodi anche rispetto all'empirismo di Locke, che pur partendo da una
prospettiva diversa da quella di Cartesio, era giunto ugualmente a concludere che
esistessero solo le idee di cui abbiamo coscienza, presumendo che queste fossero
un'"impronta" del mondo sensibile, un prodotto dell'esperienza che plasmerebbe la nostra
mente come una tabula rasa. Leibniz fu invece un sostenitore dell'innatismo platonico della
conoscenza: dentro di noi esistono già delle idee latenti, o appunto inconsce, che l'esperienza
può risvegliare, ma non creare dal nulla.[15]
Ognuno di noi infatti è una monade, secondo Leibniz, cioè un centro di rappresentazione, e
quindi anche il processo della conoscenza avviene tutto al nostro interno. Percepire è diverso
da accorgersi: vi sono monadi più elevate e meno elevate, cioè meno coscienti. Tra noi e una
roccia c'è alla fine solo una differenza di coscienza. Ma anche in noi ci sono certamente
pensieri inconsci. Leibniz affermava che noi abbiamo delle "piccole percezioni" che
assimiliamo inconsciamente proprio perché sono molto piccole. E la percezione cosciente è
il risultato della somma delle piccole percezioni.
«Da mille indizi noi possiamo essere sicuri che ci sono in noi, in ogni momento,
innumerevoli percezioni senza appercezione... più efficaci di quanto sembra... e anche le
percezioni avvertibili derivano per gradi da quelle così piccole che non si possono
avvertire.»
Così ad esempio il rumore del mare in fondo è il risultato del rumore delle piccole onde che
essendo piccole percezioni noi assimiliamo inconsciamente, fino a comporre il quadro
generale di cui abbiamo coscienza. Soltanto in Dio esiste il più alto grado di rappresentazione
del mondo, ossia l'appercezione più chiara e distinta che è l'autocoscienza: questa riassume
in sé le percezioni inconsce di tutte le altre monadi.
L'età dell'Idealismo
L'esistenza di una zona inconscia divenne un cardine della scuola di Wolff e fu ammessa da
Kant. Con l'idealismo tedesco la nozione di inconscio tornò neoplatonicamente a denotare
quel mondo di finzioni che il senso comune scambia erroneamente per la realtà oggettiva al
di fuori di noi, perché non si accorge di vivere in una dimensione onirica ed è incapace di
destarsi.
Fichte riprese il concetto kantiano di immaginazione produttiva per indicare il modo in cui l'Io
produce inconsciamente il mondo, cioè la materia o il non-io.[16] Proprio perché è sottratta
alla coscienza, la materia ci appare come altro da noi: non sappiamo che essa è la parte
inconscia di noi, ce la troviamo «già data». In tal modo, Fichte riesce a rendere ragione del
punto di vista del realismo, che non può essere considerato del tutto erroneo, essendo
giustificato dall'azione necessaria e inconscia della stessa immaginazione produttiva. La
superiorità dell'idealismo sul realismo consiste però nel fatto che il primo riesce a rendere
ragione del punto di vista realistico, mentre il secondo, che presume di essere più vicino al
senso comune, non sa spiegarlo. Accrescendo questa consapevolezza è possibile avvicinarsi
sempre di più all'autocoscienza pura, ma è solo nell'agire etico, non certo con la semplice
teoria, che l'uomo può recuperare coscienza della propria zona d'ombra, scontrandosi
praticamente col limite che inconsciamente si è posto.[17]
Schelling estese ancora di più la nozione di inconscio che in Fichte non era ancora esplicita,
sostenendo che esso è la modalità con cui Dio crea il mondo in uno stato di estasi più o
meno onirico. Il termine è da lui adoperato per indicare «questo eterno inconscio [...] che si
nasconde... e imprime alle azioni libere la sua identità».[18] L'inconscio è per Schelling la parte
oggettivata, "pietrificata", dello Spirito, cioè la Natura. Questa è un'«intelligenza
addormentata», uno «spirito in potenza», che però conserva una reminiscenza dell'Idea e
mira perciò ad evolversi dai gradi inferiori verso quelli superiori, fino a diventare piena
autocoscienza nell'uomo, il quale rappresenta il vertice in cui la natura può prendere
finalmente coscienza di sé. Si tratta tuttavia di un processo conoscitivo che non si esaurisce
mai completamente, perché anche nell'uomo permane sempre un elemento naturale che si
sottrae alla comprensione. Non è dunque la ragione, ma soltanto l'arte che può cogliere
appieno, nella loro compresenza, i due aspetti bipolari in cui si articola l'Assoluto:[19] conscio
e inconscio, ideale e reale, spirito e natura.[4]
Rifacendosi a Jakob Böhme, l'ultimo Schelling affermò che anche in Dio è presente un lato
oscuro e inconscio. Si tratta di un abisso profondo a partire dal quale però Dio emerge,
rivelando se stesso come Persona e facendo trionfare la luce sull'oscurità. Le tenebre di per
sé non sono un principio del male, ma piuttosto il fondamento a partire dal quale Dio si attua
come causa sui, cioè causa di sé. È tuttavia in questo fondo oscuro che risiede la possibilità
del male, che dunque non è un semplice non-essere, ma una potenzialità, che nell'uomo può
diventare realtà e richiede di essere sconfitta attraverso un processo di redenzione.[20]
Schopenhauer e Nietzsche
Arthur Schopenhauer riteneva inconscia la volontà di vivere, una Volontà che è il principio
dominatore dell'universo. L'uomo si illude con la sua coscienza di poter conoscere e ordinare
il mondo secondo criteri di razionalità e moralità, ma dimentica che quest'ordine è soltanto di
tipo fenomenico, deriva cioè da una sua rappresentazione, al di sotto della quale sta il
noumeno, la realtà nascosta e autentica, dalla quale si fa dominare senza neppure
accorgersene. Questa Volontà sfrenata e irrazionale si oggettiva dando forma alla natura e al
suo stesso corpo, all'interno del quale ogni pulsione si materializza in uno specifico organo.[4]
Ritorna qui la visione neoplatonica di un atto inconscio originario dal quale ha origine la vita,
la cui impossibilità di razionalizzarsi e di far rientrare totalmente l'Essere nell'Idea è causa
della sofferenza. Soltanto la presa di coscienza di questa volontà inconscia, che coincide con
la sua stessa auto-negazione, consente di uscire dal ciclo insensato dei desideri, morti e
rinascite.
(Freud, Una difficoltà della psicoanalisi (1917), in Opere, vol. VIII, pagg. 663-664, Boringhieri,
Torino, 1967-1980)
Il rilievo dato alla nozione di inconscio da parte dei filosofi dell'epoca romantica contribuì alla
formazione del contesto culturale in cui sarebbe sorta la psicanalisi: vi è chi riconduce la
genesi di quella freudiana a Schopenhauer, e quella junghiana a Schelling.[23] La nozione di
inconscio (in tedesco Unbewusstsein) fu comunque ancora utilizzato in filosofia da Karl
Robert Eduard von Hartmann per indicare il principio della sua dottrina. Egli si rifaceva ai
precedenti delle "percezioni insensibili" di Gottfried Leibniz teorizzando l'esistenza di una
zona inconscia nell'animo umano.
Freud e i successivi "psicologi del profondo" fecero quindi dell'inconscio, insieme ai concetti
complementari di proiezione e rimozione che lo giustificano, il cardine del pensiero e della
prassi psicoanalitica, portando questo concetto a livelli di diffusione mai raggiunti prima. In
un certo senso, da questo momento tutta la storia della psicoanalisi corrisponderà ad un
tentativo di articolare progressivamente una compiuta teoria della mente fondata sul
costrutto teorico di inconscio.
(Sigmund Freud)
Con il termine inconscio Freud intendeva un complesso di processi, contenuti ed impulsi che
non affiorano alla coscienza del soggetto e che pertanto non sono controllabili
razionalmente. Egli riferì il termine dapprima ad una parte della mente in cui si trovano i
contenuti psichici rimossi, per poi passare ad indicare i contenuti stessi che possono
riaffiorare nei sogni in forma simbolica, o manifestarsi come atti mancati, come i lapsus e le
distrazioni. In sintesi nella nostra psiche esiste una dimensione inconscia e irrazionale, in cui
si annidano una serie di istinti e desideri il cui contenuto non si manifesta a livello cosciente,
ma la cui soddisfazione è necessaria, pena il manifestarsi di disturbi mentali e
comportamentali più o meno gravi (nevrosi e psicosi). Il fatto che ritenesse i contenuti
inconsci per lo più di natura sessuale va collegato al fatto che su questo terreno, nella sua
esperienza dell'epoca, trovavano maggiormente espressione le problematiche legate al
principio della polarità e dell'unità degli opposti, con i conflitti e le repressioni che esse
comportavano:[24] sarà Jung a convenire che la sessualità è solo un aspetto concreto di una
problematica più propriamente metafisica, ma si deve comunque a Freud la scoperta che
l'inconscio è sede di ogni processo psichico che debba restare inaccessibile al pensiero
cosciente e comprende almeno una parte di quelli attinenti alla sfera sessuale.[25]
Schema del modello psicoanalitico della mente, paragonata da Freud ad un iceberg:[26] la parte emersa, che
simboleggia la coscienza, è molto più piccola rispetto a quella sommersa
L'interiorità umana, quella che tradizionalmente era definita anima o psiche ed era ritenuta
indistintamente la sede della razionalità, della volontà e delle emozioni, venne perciò
indagata come un complesso di luoghi diversi, ciascuno dotato di una sua forza e di una sua
autonomia. Era così possibile conoscere particolari aspetti della personalità soltanto
percorrendo vie molto tortuose. Poteva essere quindi necessario analizzare i sogni dei
pazienti o le loro manifestazioni di ansia, oppure prestare attenzione ad alcuni gesti
quotidiani, o ad espressioni e modi di dire apparentemente insignificanti. L'inconscio in
sostanza era una ragione, che trascendeva quella dell'Io, e che comunicava attraverso le
sintomatologie la verità non consapevole. L'ottimismo terapeutico di Sigmund Freud fece
dell'inconscio un luogo dotato di senso, che richiedeva un'ermeneutica, una capacità
interpretativa specifica.
Più avanti, Sigmund Freud nell'illustrare il nuovo statuto dell'Io, introdusse la nuova istanza
dell'Es (in latino Id),[27] che descrisse riportando le parole di Georg Groddeck come "la forza
ignota e incontrollabile da cui veniamo vissuti". Al di là della collocazione topica delle nuove
istanze, il padre della psicoanalisi invitò a non considerarle quali entità separate, mettendo in
guardia dal sostanzializzarle. Su queste considerazioni psicoanalisti post-freudiani si
basarono per ipotizzare la possibilità di un'ereditarietà stessa dell'Es. Benché Sigmund Freud
non abbia potuto scrivere nulla di assoluto in merito, è bene comunque ricordare che nelle
frammentarie annotazioni che questi prese nell'estate del '38, quindi poco prima di morire,
contenute sulle due facciate di un foglio considerato il suo testamento programmatico,
scrisse di possibili mutamenti sull'ipotetica vestigia ereditaria dell'inconscio, e ciò
indicherebbe la mancanza di uno statuto d'attinenza definitiva della psicoanalisi.
Freud riteneva che il sogno fosse una manifestazione psichica, onirica, mirata alla
realizzazione di un desiderio pulsionale non realizzato nella realtà, che attingeva i propri
contenuti latenti dall'inconscio.
I lapsus, le forme d'amnesia momentanea ed i falsi ricordi
non sono casuali. Con la "strutturazione" Sigmund Freud ci indica che la psiche è strutturata
in: Io - Es - Super-io. L'Es rappresenta l'istinto, la pulsione, completamente mutuate
dall'inconscio. Il Super-io è il "precipitato" degli insegnamenti morali, sociali ed educativi, ed
esita tra contenuti consci e inconsci. L'Io è il mediatore tra l'Es ed il Super-io (tra istanze
pulsionali e morali).
Carl Gustav Jung, ha fortemente contribuito a fare chiarezza sul concetto e sulle definizioni
del termine inconscio. Nei suoi studi ha distinto l'inconscio personale, formato dalle
esperienze e dai vissuti personali del singolo individuo costruiti durante la sua crescita,
dall'inconscio collettivo, formato invece da costrutti e contenuti innati, che ogni individuo
cioè possiede al suo interno sin dalla nascita. Con questo termine egli indica l'insieme dei
contenuti psichici universali, propriamente gli archetipi, preesistenti all'individuo e legati al
complessivo patrimonio della civiltà. In esso consiste la struttura della psiche dell'intera
umanità.
Gli archetipi trovano il loro riferimento nel patrimonio storico-culturale di un vasto gruppo o
dell'intera umanità e si presentano nei simboli onirici e nelle allucinazioni, ma anche nelle
visioni dei mistici, nei riti religiosi e nelle opere d'arte.
Anche l'alchimia, a cui Jung dedicò gran parte degli scritti finali della sua vita,[29] non sarebbe
che la proiezione nel mondo materiale degli archetipi dell'inconscio collettivo, mentre il
procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l'itinerario psichico che
conduce alla coscienza di sé ed alla liberazione dell'io dai conflitti interiori.
I fenomeni che hanno origine dall'inconscio secondo Bion, dipendono da come si sono
sedimentate le tracce di esperienze precoci che risalgono fino alla primissima infanzia e dal
ruolo che in tali circostanze ha svolto la madre (o il sostituto eventuale).[30]
Una madre adeguata alle necessità primarie del suo ruolo, secondo quest'autore, è quella che
può avocare a sé gli stimoli della realtà che il figlio non è in grado di gestire, di trasformarli in
forme verbali e comportamentali emotivamente connotate e mostrarli al piccolo in modi
adeguati all'età, evidenti e rassicuranti, rendendogli possibile averne esperienza.
Gli stimoli esterni dell'esperienza fisica e psichica, che arrivano al bambino senza che questi
sia in grado di interpretarli sono da Bion definiti "elementi beta" e descritti come analoghi a
conglomerati che la psiche non è in grado di metabolizzare. Essi possono entrare a far parte
dell'inconscio come oggetti malevoli e distruttivi e causare nel tempo fenomeni che vanno
dal disturbo psicologico, al disadattamento fino all'alienazione in più gradi e a franche forme
di allucinazione. Quando tali oggetti vengono interiorizzati dalla madre e trasformati in
oggetti comprensibili - da Bion detti "elementi alfa", una volta restituiti al bambino questi può
a sua volta interiorizzarli come oggetti buoni e alleati; esperienze delle quali potrà fruire
inconsciamente in modo proficuo.[30]
Tutto ciò che serve a manifestare all'esterno la nostra interiorità ha il nome di linguaggio,
ossia linguaggio parlato, scritto e gestuale. Esso si suddivide, in termini strutturali, in una
parte superficiale ed una più profonda, inconscia.
Noam Chomsky sottolinea che la parte
superficiale riguarda l'organizzazione della frase, mentre la parte più profonda è attinente al
substrato strutturale astratto.[32]
Inconscio e subconscio
Il termine subconscio, sebbene a volte usato in alternativa ad inconscio, può essere considerato
piuttosto come la linea di confine tra conscio ed inconscio.[33] In tal senso, quanto più il
subconscio viene fatto diventare permeabile, tanto più esso lascia emergere intuizioni e visioni
dell'inconscio, mentre per altro verso assorbe contenuti dalla coscienza per integrarli tra le abilità
inconsce. La massima permeabilità del subconscio condurrebbe quindi alla fusione di conscio ed
inconscio, in uno stato equivalente alla medianità o all'illuminazione.[33]
Il termine inconscio viene utilizzato dallo psicanalista Alfred Adler per designare quegli
automatismi del pensiero e del comportamento che sono stati interiorizzati al punto da non
essere più riconosciuti dalla coscienza vigile. Esso quindi assume un significato più riduttivo
rispetto a Freud, essendo adoperato da Adler principalmente per qualificare tali processi
mentali più che per indicare una zona psichica vera e propria.[34] Un significato analogo vi è
attribuito da Karl Popper, che parla di inconscio pressoché come sinonimo di subconscio,[35]
restringendo l'ambito di validità della psicoanalisi al criterio di falsificabilità da lui assegnato
alla scienza.
Considerazioni di Viktor E. Frankl
Per Frankl non esiste un solo inconscio impulsivo, ma anche un inconscio spirituale.
Nell'ambito dell'inconscio, incontriamo non solo fenomeni istintivi, ma anche spirituali.[36]
Inconscio cognitivo
Inconscio adattivo
Note
3. ^ C. G. Jung, Der philosophische Baum (L'albero filosofico), CW, vol. 13, 1967.
4. L'inconscio (http://www.loescher.it/librionline/risorse_portalefilosofia/download/inconsci
o/_inconscio.pdf) , Loescher, librionline.
5. ^ «Il Greco non ignora la dimensione inconscia, anzi la chiama demone (daimon),
distinguendola anche terminologicamente dall'anima (psyché), e solo per una scarsa
familiarità con la filosofia il militare Senofonte poteva confondere le due cose» (U.
Galimberti, Il corpo, Milano, Feltrinelli, 1983, p. 51).
6. ^ «Reminiscenza è l'atto che trasforma quel sapere dallo stato inconscio allo stato
conscio» (dizionario di Filosofia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/reminiscenz
a_%28Dizionario_di_filosofia%29/) ).
10. ^ «È stato lo stesso Jung ad aver percorso un itinerario che si richiama direttamente al
sentiero tracciato da Platone, e successivamente fatto proprio dai neoplatonici, laddove,
uscito dalla prigione rappresentata dall'ermeneutica fisicalista, si è spinto [...] fino a quelle
forme dell'istinto che prenderanno il nome di archetipi» (Niccolò Cappelli, Le radici
dell'inconscio (http://www.vitapensata.eu/2011/01/03/le-radici-dellinconscio/) , Vita
pensata, 2011).
11. ^ Ad esempio Arthur Drews, Plotin und der Untergang der antiken Weltanschauung,
Diederichs, Jena 1907; Schweyzer, Bewusst und Unbewusst bei Plotin.
12. ^ Thomas Alexander Szlezák, Platone e Aristotele nella dottrina del "Nous" di Plotino, pag.
226, Milano, Vita e Pensiero, 1997 ISBN 88-343-0872-7.
13. Cfr. Jung, C. G., & Hinkle, B. M. Psychology of the Unconscious: a study of the
transformations and symbolisms of the libido, a contribution to the history of the evolution
of thought, Londra, Kegan Paul Trench Trubner, 1912.
14. ^ «Lo stato passeggero, che implica o rappresenta una molteplicità nell'unità o sostanza
semplice, non è altro che ciò che è chiamato percezione, e che deve essere distinta
dall'appercezione o coscienza, come si vedrà in seguito. Ed è su questo punto che i
cartesiani hanno sbagliato gravemente, avendo considerato come un nulla le percezioni
delle quali non si abbia appercezione» (G. W. Leibniz, Monadologia, 14, in Scritti filosofici,
UTET, Torino, 1967, vol. I, pagg. 284-285).
15. ^ «Il nostro egregio autore [J. Locke] sembra invece affermare che in noi non c'è nulla di
virtuale e di cui non abbiamo sempre una appercezione attuale. Ma egli non può sostenere
ciò fino in fondo, perché altrimenti la sua opinione sarebbe troppo paradossale, in quanto
le abitudini acquisite e gli stessi contenuti della nostra memoria non sono sempre
appercepiti e non vengono sempre in nostro soccorso quando ne abbiamo bisogno,
benché spesso noi li ricollochiamo agevolmente nello spirito quando una pur leggera
occasione ce li faccia ricordare, come il semplice inizio ci fa ricordare tutta una canzone»
(G. W. Leibniz, Nuovi saggi sull'intelletto umano, prefazione, in Scritti filosofici, vol. II, op.
cit., pagg. 171-172).
19. ^ «Se l'intuizione estetica non è se non l'intuizione intellettuale divenuta obiettiva (cioè
fatta oggetto, opera d'arte), s'intende di per sé che l'arte sia l'unico vero ed eterno organo e
documento insieme della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel
che la filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'operare e nel
produrre, e la sua originaria identità con il cosciente. Appunto perciò l'arte è per il filosofo
quanto vi è di più alto» (F. Schelling, Sistema della filosofia trascendentale, cit. in Grande
Antologia Filosofica, Marzorati, Milano 1971, vol. XVIII, pagg. 189-190).
21. ^ «Io sono uno di quei lettori di Schopenhauer che, dopo averne letto la prima pagina,
sanno con certezza che le leggeranno tutte e ascolteranno ogni parola che egli abbia detto
[…] dal momento che Schopenhauer […] appartiene a quei grandi vincitori, i quali, giacché
hanno pensato le cose più profonde, […] si muovono e vivono realmente, e non a quel
modo di maschere sinistre nel quale solitamente gli uomini vivono» (Nietzsche,
Considerazioni inattuali, 3, Schopenhauer come educatore, pag. 372).
22. ^ Chiamando spirito di gravità, con suggestiva espressione, la funzione inibitrice della
morale, Nietzsche in molti passi delle sue opere fa un chiaro riferimento a forze inconsce
che nell'uomo reclamano espressione: «Tutto ciò che uno possiede è, per lui che lo
possiede, ben nascosto: e di tutte le miniere preziose la propria è l'ultima ad essere
scavata – ed è opera dello spirito di gravità. Siamo ancora nella culla e già ci danno parole
e valori pesanti: "bene" e "male" - così si chiama questo viatico». [...] «Soprattutto l'uomo
forte, paziente, che ha in sé reverenza: troppe parole e valori estranei carica su di sé – così
la vita gli appare un deserto!» [...] «Molta bontà e forza nascoste non vengono scorte; i più
saporiti bocconi non trovano buongustai!» (Nietzsche, cit. da Così parlò Zarathustra).
23. ^ U. Galimberti, Idee: il catalogo è questo, pag. 180, Feltrinelli, Milano 1992 ISBN 88-07-
08108-3.
24. ^ Thorwald Dethlefsen, Malattia e destino, pp. 200-201, Roma, Mediterranee, 2007.
26. ^ Michele De Beni, Roberta Bommassar, Luigi Grossele, Psicologia e sociologia, Roma,
Città Nuova, 1999, p. 15.
27. ^ Es in tedesco è il neutro della terza persona singolare, e corrisponde grossolanamente
all'italiano esso. Lo si può tuttavia tradurre anche col pronome sé, a indicare
l'involontarietà di una forza appartenente all'Io.
28. ^ Hanna Segal, Introduzione all'opera di Melanie Klein, Firenze, Martinelli-Psycho, 1998.
29. ^ L'esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia ed inconscio si
trova in particolare nelle seguenti opere: Psicologia e alchimia (1944), Psicologia del
transfert (1946), Saggi sull'alchimia (1948), Mysterium Coniunctionis (1956).
30. Accursio Gennaro e Giusy Bucolo, Psicologia del profondo. Modelli e tecniche di
psicoterapia psicodinamica, p. 52, Milano, Francoangeli, 2007.
35. ^ Karl R. Popper, John C. Eccles, L'io e il suo cervello, Roma, Armando editore, 2001.
37. ^ Timoty Wilson, Strangers to Ourselves: Discovering the Adaptive Unconscious, Harvard
University Press.
Bibliografia
Henri Ellenberger, The Discovery of the Unconscious: The History and Evolution of Dynamic
Psychiatry, Basic Books, New York 1970 ISBN 0-465-01673-1; traduzione italiana: La
Scoperta dell'Inconscio (1976), 2 voll., Bollati Boringhieri, Torino 2003 ISBN 88-339-0367-2
Lancelot Law Whyte, L'Inconscio prima di Freud: una storia dell'evoluzione della conoscenza
umana, Astrolabio, Roma 1970
Frank Tallis, Breve storia dell'Inconscio. Esploratori della mente nascosta da Leibniz a
Hitchcock, Il Saggiatore, 2003 ISBN 88-428-1066-5
Voci correlate
Psicoanalisi
Storia della Psicoanalisi
Subconscio
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inconscio (http://www.treccani.it/enciclopedia/inconscio_(Dizionario-di-filosofia)/) , in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
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