Discreto vuol dire che i suoi elementi si distinguono gli uni dagli altri per l’esistenza di limiti ben definiti.
Ad esempio, per i suoni [p] e [b] nella lingua italiana, non c’è una via di mezzo: anche se sono simili, i due suoni hanno un
effetto di contrasto netto (batto/patto) a un certo punto l’ascoltatore percepirà P invece di B.
Nei linguaggi continui invece è possibile specializzare sempre di più il segnale, aumentando d’intensità (danza delle api, ronzio).
Un’altra caratteristica del linguaggio umano è quella di poter formare un numero altissimo di segni (entità dotate di significante e
significato) mediante un numero limitato di fonemi (elementi che non hanno significato, ma solo la capacità di distinguere
significati). Questa caratteristica è detta doppia articolazione e non è presente nei linguaggi animali.
RICORSIVITÀ
I linguaggi animali inoltre dispongono sempre di un numero finito di segni, mentre nel linguaggio umano i segni (parole) sono
infiniti perché è sempre possibile inventarne di nuove. Infatti per esprimere concetti inventiamo spesso frasi al momento, non
usiamo sempre le stesse.
Il meccanismo della ricorsività permette di creare sempre frasi nuove aggiungendo in una frase data un’altra frase e così via fino
all’infinito (come la serie dei numeri naturali che, appunto, è infinita).
Abbiamo già descritto due caratteristiche fondamentali del linguaggio umano (discretezza e ricorsività) che lo distinguono da quelli
animali, però anche il linguaggio informatico le possiede. Come si distinguono dunque? Sono diversi perché nel linguaggio umano i
Dipendenza dalla STRUTTURA
segni sono dipendenti dalla struttura. (i segni in una frase sono tutti in relazione tra loro anche se sono distanti, invece nel
linguaggio informatico ogni segno acquista significato solo in relazione a quelli adiacenti).
Esempio: “La donna che i ragazzi dicono che mi ha colpito è Maria”
il verbo "ha colpito" è alla terza persona singolare e si accorda con il nome "donna" che non è immediatamente vicino ad esso, cosa
necessaria per il linguaggio informatico. Il nome "ragazzi" è più vicino al verbo "ha colpito" ma se trasformassimo "ha colpito" in
"hanno colpito" la frase risulterebbe agrammaticale:
“*La donna che i ragazzi dicono che mi hanno colpito è Maria”, dove l'asterisco indica le combinazioni di parole che sono
agrammaticali. Tenendo conto che la linguistica è una disciplina descrittiva, agrammaticale non significa scorretto ma malformato
per un parlante nativo di una determinata lingua.
il senso intuitivo di grammaticalità rappresenta una caratteristica essenziale della competenza del parlante nativo di una lingua!!!
Le relazioni tra parole all'interno di una frase non sono determinate dalla loro successione ma sono dipendenti dalla struttura.
Con linguaggio si intende la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare sistemi di comunicazione dotati di quelle
caratteristiche proprie solo alla nostra specie (appena descritte: discretezza, ricorsività, dipendenza dalla struttura).
Con lingua intendiamo le differenti forme specifiche che questi sistemi di comunicazione assumono nelle varie comunità.
Le varie lingue si distinguono tra loro, ma essendo create dalla stessa specie (la specie umana appunto) possono differire solo entro
certi limiti ben definiti e hanno sempre degli elementi in comune, in quanto sono espressioni differenti dello stesso linguaggio .
Questi elementi sono detti universali linguistici. (esempio: ricorsività e dipendenza dalla struttura).
Una caratteristica che distingue le varie lingue è l'ordine delle parole o meglio l'ordine degli elementi principali della
frase. in italiano abbiamo soggetto-verbo-oggetto ma in arabo ad esempio verbo-soggetto-oggetto.
di lingua, tra cui quelle fra sincronia e diacronia, fra rapporti associativi e rapporti sintagmatici, fra significante e significato e
quella fra langue e parole.
La parole è un atto individuale, cioè un’esecuzione linguistica realizzata da un individuo. Quando due individui comunicano, il
parlante A, producendo un atto di fonazione, associa al significato “mano” dei suoni che, giunti all’ascoltatore B, vengono a loro
volta associati ad un significato. A questo punto B potrà diventare «parlante», producendo un altro atto di fonazione che giungerà
ad A e così di seguito. In questo circuito comunicativo, A produce un atto di parole [mano] che è individuale.
Un individuo, però, non possiede tutta la «lingua» (per es. tutto «l’italiano»). L’italiano sta al di fuori degli individui, preesiste agli
individui e sopravvivrà a essi. Vi è dunque una lingua, sociale ed astratta, che appartiene alla collettività e che viene definita
langue. PAROLE LANGUE
L’individuo può realizzare atti di parole diversi, ma non può da
individuale, concreta sociale, astratta
solo modificare la langue. Noi comunichiamo attraverso atti di
attuazione, realizzazione potenzialità, sistema astratto
parole, ma il fondamento di questi atti è nella langue che è il
sistema di riferimento collettivo
Codice e messaggio
Un’altra distinzione basata sui livelli astratto e concreto è quella tra codice e messaggio di Jakobson. Il codice è un’insieme di
unità, che, se combinate secondo determinate regole possono formare dei messaggi. Si pensi al codice Morse, costituito da due
sole unità, il punto e la linea, che combinate attraverso una serie di regole, danno vita a messaggi diversi (ad esempio … ___ … sos).
Anche le lingue umane funzionano così:
a livello di codice esistono unità astratte come /p/, /n/, /e/, /a/
Jakobson
queste unità astratte possono combinarsi, sulla base di determinate regole, per formare dei messaggi, ossia degli
atti concreti:
messaggi: pane, pena
non-messaggi: eanp, eapn, npae
Competenza ed esecuzione
6. Sincronia e diacronia
Le lingue possono cambiare nel corso del tempo. Si pensi ad alcuni cambiamenti dal latino all’italiano: le consonanti finali di parola
sono cadute (rosam = rosa); il sistema dei «casi» è stato sostituito da preposizioni e articoli e l’ordine delle parole da Soggetto-
Oggetto-Verbo è diventato Soggetto-Verbo-Oggetto. Lo studio di questi cambiamenti è detto diacronico, in quanto è lo studio di un
fenomeno attraverso il tempo. Una lingua può essere studiata, però, anche escludendo il fattore «tempo». Se per es. osserviamo
come funziona l’accordo tra nome ed aggettivo in italiano, senza ricorrere alla variabile «tempo» (Mario è buono, Maria è buona,
Mario e Gianni sono buoni), facciamo uno studio sincronico.
Un fenomeno sincronico è un rapporto tra elementi simultanei, un fenomeno diacronico è la sostituzione di un elemento con un
altro nel corso del tempo.
7. Il segno linguistico
Una parola è un segno. Un segno linguistico è l’unione di un significante e di un significato. Se diciamo libro, questa unità è
composta da un significante che è la forma sonora che noi realizziamo dicendo [libro], e di un significato, che è la rappresentazione
mentale che abbiamo di “libro”. Significante e significato sono inscindibilmente uniti come i due lati di una moneta.
Il segno linguistico ha varie proprietà, tra cui:
La distintività: ogni segno deve essere distinto dagli altri. Il segno notte si distingue dai segni botte, lotte, cotte, dotte, nette,
note ecc
La linearità: il segno si estende nel tempo (se è orale) o nello spazio (se è scritto). Ciò implica una «successione», ossia un
«prima» e un «dopo». Questa proprietà è fondanentale per la lingua: rami ha un significato diverso da mira; Silvia ama
Giuseppe ha un significato diverso da Giuseppe ama Silvia.
L’arbitrarietà: il segno è arbitrario, nel senso che non esiste alcuna legge «di natura» che imponga di associare un
significante (per es. [libro]) a un certo significato (‘libro’). Al medesimo significato possono corrispondere, in altre lingue,
significanti diversi: ingl. book, fr. livre, ted. Buch ecc.
L’associazione tra significato e significante deriva da una specie di «accordo sociale» convenzionale: per convenzione, e non per
una legge di natura, al concetto di “libro”, in italiano, corrisponde il significante [libro].
I segni possono essere sia linguistici che non linguistici. Un vestito nero (significante) può voler dire ‘lutto’ (significato); anche un
cartello stradale unisce un significante (colori e forma stessa del cartello) a un significato (‘senso vietato’) e pertanto è un segno. La
disciplina che studia i segni linguistici è ovviamente la linguistica, quella che si occupa dei segni in generale è la semiologia o
semiotica.
8. Le funzioni della lingua
Secondo Roman Jakobson, le componenti necessarie per A ciascuna di queste componenti Jakobson fa
un atto di comunicazione linguistica sono sei: corrispondere una funzione linguistica diversa:
1) il parlante, 1) emotiva,
2) ciò di cui si parla, 2) referenziale,
3) il messaggio, 3) poetica,
4) il canale attraverso cui passa la comunicazione, 4) fàtica,
5)il codice e 5) metalinguistica,
6) l’ascoltatore. 6) conativa.
La funzione emotiva è quella che riguarda il parlante e si realizza quando il suo parlare è più inteso ad «esprimere» che non a
comunicare qualcosa a terzi. Chiaro esempio ne è, in letteratura, la lirica.
La funzione referenziale è puramente informativa, potremmo dire “neutra”.
La funzione fàtica si realizza quando vogliamo controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente (mi ascolti?, ci sei?, mi
segui?).
La funzione metalinguistica si realizza quando il codice viene usato per parlare del codice stesso: si usa la lingua X per parlare della
lingua X.
La funzione poetica è forse la più complessa. Secondo Jakobson si realizza quando il messaggio che il parlante invia all’ascoltatore
costringe quest’ultimo a ritornare sul messaggio stesso per capire come è fatto. Sotto questo punto di vista i messaggi pubblicitari
realizzano pienamente la funzione poetica, perché costringono chi ascolta a porsi delle domande sulla struttura del messaggio.
La funzione conativa si realizza, invece, sotto forma di comando o di esortazione rivolti all’ascoltatore perché modifichi il suo
comportamento. (ad es, i galatei e le loro prescrizioni).
Jakobson, quando proponeva questo modello, intendeva trovare un modo per caratterizzare i vari testi letterari, ma avvertiva
anche che ogni testo poteva realizzare diverse funzioni e che dunque poteva esserci prevalenza, in esso, di una funzione sulle altre.
9. Lingua e dialetti
In Italia si parla una lingua «ufficiale», che è l’ italiano e che chiameremo italiano standard, ma anche una quantità innumerevole di
dialetti (milanese, napoletano, veneziano ecc.). In realtà non esiste un italiano unico per tutto il paese, questo perché un parlante si
porta sempre dietro una certa patina che ne denuncia la provenienza. Per comprendere ciò bisognerà tener presente che esistono
quelli che vengono chiamati italiani regionali.
Volendo semplificare si dirà che esistono almeno tre grandi italiani regionali: quello del nord, quello del centro e quello del sud.
Questa nozione è importante perché costituisce un tramite, cioè un livello intermedio, tra dialetto e italiano standard:
italiano standard/italiano regionale/dialetto locale.
In realtà il quadro delineato è ancora più complesso, perché una lingua non è un blocco monolitico, ma esistono in essa diversi tipi
di variazione/stratificazione sia sociale che geografica.
[Le diverse dimensioni di queste variazioni/stratificazioni, che si intersecano fra loro in modi complessi, sono studiate dalla
sociolinguistica, che si occupa proprio di spiegare il rapporto esistente fra i diversi modi di parlare e i fattori sociali che li
determinano. Esse sono: diastratica, che riguarda le variabili legate alla stratificazione sociale; diatopica, che riguarda le differenze
dialettali, diafasica, che riguarda il grado di accuratezza formale e di controllo con cui si parla; diamesica, inerente il mezzo usato
per comunicare: scritto, telefonato, parlato, ecc. ] Dovremo allora ampliare la precedente stratificazione nel seguente modo:
italiano scritto, rappresenta la forma più austera della lingua
italiano parlato formale, che utilizziamo in occasioni «formali», come un esame, un colloquio con dei superiori, ecc…
italiano parlato informale, è quello che usiamo nelle situazioni non controllate: in famiglia, con gli amici, ecc…
italiano regionale
dialetto di koinè,che identifica un regionale dialettale (ad es. il dialetto “veneto” rispetto al lombardo o al piemontese),
dialetto del capoluogo di provincia (ad es. il dialetto veneto che si parla a Venezia);
dialetto locale di un quartiere di città, che è la forma più stretta di dialetto.
Dunque in uno stesso luogo possono coesistere diversi registri linguistici ed i parlanti possono anche passare dall’uno all’altro (il
cosiddetto code switching). È importante sapere che la lingua è articolata in modo simile, perché caratteristica specifica delle lingue
è quella di non essere un blocco monolitico e omogeneo: una lingua è articolata in codici e sottocodici, che, a loro volta, servono a
definire e ad identificare dei gruppi sociali. Ed è ancora stratificata per registri stilistici, come ci si può rendere conto sfogliando un
giornale, dove si troveranno sfumature diverse per parlare di politica, di letteratura, di sport, ecc.
Un dialetto è un sistema linguistico a tutti gli effetti, non un codice secondario, ridotto o imperfetto. Ogni dialetto è costituito,
come tutte le lingue del mondo, da suoni, parole, frasi e significati. La differenza di «importanza» tra una lingua ed un dialetto non è
dunque una differenza linguistica, ma, semmai, socioculturale.
10. Pregiudizi linguistici
Tra i pregiudizi di cui le lingue sono spesso oggetto, uno di questi riguarda l’idea che vi siano lingue « primitive» con sistemi
grammaticali poco sviluppati e che da queste si siano poi evolute le lingue «complesse». In realtà tutte le lingue, sia quelle
ancora oggi parlate, che quelle «morte» hanno sistemi fonologici, morfologici e sintattici complessi.
Il pregiudizio opposto è quello secondo cui vi sono lingue per eccellenza «logiche» (per es. il latino e il greco). In realtà
tutte le lingue hanno una loro logica interna, perché debbono poter essere apprese e tramandate.
Un altro pregiudizio ha a che fare con l’idea che la lingua sarebbe un sistema più evoluto dei dialetti. In realtà ogni dialetto
ha, pur con qualche lacuna, sistemi fonologici e sintattici complessi, proprio come quelli di una qualsiasi altra lingua, e,
d’altra parte le lingue “nazionali” sono spesso dei dialetti all’origine (vedi l’italiano), assurti poi, per una serie di fattori
sociopolitici e letterari a lingue nazionali.
Un altro punto riguarda giudizi estetici, secondo cui certe lingue sono «belle» ed altre «brutte». Non è però possibile
trovare dei parametri oggettivi a sostegno di queste tesi.
Infine, un altro punto riguarda giudizi secondo cui ci sono lingue «facili» e lingue «difficili». Ad es. gli italiani sostengono
che lo spagnolo è facile a differenza del tedesco. Ciò potrebbe sembrare vero. In realtà in questo tipo di giudizi non si tiene
in dovuto conto il punto di partenza, perché italiano e spagnolo sono lingue romanze non molto distanti, mentre il tedesco
appartiene ad una diversa famiglia linguistica: la germanica.
CAPITOLO 3. Le lingue del mondo
Si calcola che il numero delle lingue presenti nel mondo si aggiri sulle seimila (esclusi i dialetti). Ci sono diversi modi per classificare
le varie lingue, ad esempio in base al numero di parlanti. A tal proposito, La Linguasphere, un’organizzazione dedita allo studio
delle lingue del mondo, propone una classificazione che conta 10 ordini di grandezza, che vanno da 9 (più di un miliardo di parlanti)
a 0 (lingue estinte). L’italiano, ad esempio, appartiene all’ordine di grandezza 7 (più di 10 milioni e meno di 100).
Questa classificazione pecca però di imprecisione: molte lingue pur essendo diverse sono considerate la stessa lingua, perché i
parlanti si comprendono a vicenda. Il numero dei parlanti si basa fondamentalmente sul numero dei cittadini di una nazione, perciò
non è particolarmente significativo dal punto di vista linguistico classificare le lingue in base al numero dei parlanti.
Un altro criterio possibile è quello geografico (distinguere e raggruppare le lingue in base al luogo di provenienza. Ad esempio
distinguere le lingue a seconda dei continenti: lingue dell’Asia, dell’Europa..)
Entrambi questi metodi, però, non sono rilevanti dal punto di vista linguistico, perche la prima è una classificazione numerica, la
seconda è di tipo territoriale.
Da un punto di vista prettamente linguistico, esistono tre possibili modalità di classificazione denominate rispettivamente:
genealogica Si dice che due lingue fanno parte dello stesso raggruppamento genealogico se derivano da una stessa lingua
originaria (ad es. lingue romanze o neolatine). A loro volta le lingue romanze fanno parte di una unità genealogica più ampia,
quella delle lingue indoeuropee, che costituiscono una famiglia linguistica. La famiglia è l'unità genealogica massima.
Le unità genealogiche di livello inferiore alla famiglia sono chiamate gruppi: quindi una famiglia linguistica contiene
abitualmente diversi gruppi che a loro volta si articolano in sottogruppi o rami e così via.
tipologica Si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni. quindi visto
che l'inglese e il cinese manifestano alcune caratteristiche comuni, possono essere considerate tipologicamente correlate. una
lingua può essere tipologicamente correlata ad un'altra per quanto riguarda determinate caratteristiche e correlata ad una
terza per quanto riguarda altre caratteristiche.
areale. Il punto di vista areale coglie quelle affinità che si creano fra lingue genealogicamente irrelate ma che hanno sviluppato
caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate in una stessa area geografica. In casi di questo genere si dice che le
lingue formano una lega linguistica. ad esempio le lingue della lega balcanica hanno delle caratteristiche comuni.
1 Classificazione genealogica
Due lingue sono genealogicamente parenti quando derivano dalla stessa lingua originaria o lingua madre. La famiglia è l’unità
genealogica massima ed è suddivisa in gruppi (o classi) che a loro volta si articolano in sottogruppi o rami. Famiglie linguistiche:
Indoeuropea: Europa. Latino, greco.
Afro-asiatica (camito-semitica): Africa settentrionale, Medio Oriente e parte dell’Africa orientale. Egiziano antico, arabo e ebraico.
Uralica: Europa orientale e Asia centrale e settentrionale. Finlandese, estone e ungherese.
Sino-tibetana: Asia occidentale. Cinese mandarino, tibetano e lolo-birmano.
Nigerkordofaniana: nazioni africane poste al Sud del Sahara. Swahili.
Altaica: Asia centrale. Mongolo, turco.
Dravidica: India meridionale. Tamil, Telugu
Austro-asiatica: Asia meridionale. Khmer e vietnamita.
Austronesiana. Oceania. Malgascio, bahasa
Esistono anche delle lingue che sono isolate, cioè di cui non si può dimostrare la parentela con altre lingue: in Europa il basco, in Asia
il giapponese e il coreano.
I suoni possono essere classificati in tre classi maggiori: consonanti, vocali, semiconsonanti. La differenza maggiore è quella tra
consonanti e vocali e si fonda su un fatto di articolazione.
Vocale: l’aria che fuoriesce non incontra ostacoli; inoltre le vocali sono normalmente sempre sonore.
Consonante: l’aria o viene momentaneamente bloccata o deve attraversare una fessura molto stretta, possono essere sorde o sonore.
Semiconsonanti: condividono proprietà sia delle vocali (sono articolate come delle vocali) che delle consonanti (non possono
costituire il nucleo di una sillaba)
Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali sono sonoranti, tutti i suoni che non sono sonoranti sono ostruenti.
I suoni dell'Italiano
p occlusiva,bilabiale, sorda Pane, tappo, stop b occlusiva, bilabiale, sonora Bene, abbastanza
t occlusiva, dentale,sorda Tana, otto, alt d occlusiva, dentale, sonora Dente, adorare
k occlusiva, velare, sorda Caro, Che, accanto g occlusiva, velare, sonora Gara, Ghiro, alghe
m nasale, bilabiale (sonora) Mano, amare, uhm ɱ nasale, labiodentale (sonora) anfora, invidia, inverno
n nasale, alveolare (sonora) Naso, lana, danno ɲ nasale, palatale (sonora) Gnocco, ogni
ŋ nasale, velare (sonora) ancora, anguria l laterale, alveolare (sonora) Lana, palla
ʎ laterale, palatale (sonora) aglio, egli r polivibrante, alveolare (sonora) Rana, carro, per
f fricativa, labiodentale sorda Fame, afa v fricativa, labiodentale sonora Vento, avviso,
S fricativa, alveolare sorda Sano, caSSa, z fricativa, alveolare, sonora Smodato, caSa
ʃ fricativa, palato-alveolare sorda Scemo, aSCesa, slaSH ʒ fricativa, palato-alveolare sonora garaGe, abat-Jour
ts affricata,alveolare, sorda staZione, paZZo dz affricata, alveolare, sonora Zero, azzimato
ʧ affricata,palato-alveolare sorda Cenare, acido, accento ʤ affricata,palato-alveolare sonora Gente, aGire, aggiornare
J semiconsonante palatale sonora Ieri, piede w semiconsonante, velare, (sonora) Uovo, dUomo
Ogni lingua fa delle scelte tra tutti i suoni delle lingue del mondo. L’italiano ne seleziona circa una trentina.
I sette modi di articolazione che concorrono alla produzione di consonanti sono:
Occlusive (occlusione momentanea dell’aria, seguita da un’«esplosione»); [p, b, t, d, k, g]
Fricative (l’aria passa attraverso una fessura stretta, producendo una certa «frizione»); [f, v, s, z, ∫]
Affricate (iniziano come occlusive e terminano come fricative); [ts, dz, t∫, dʒ]
Nasali (l’aria passa anche attraverso la cavità nasale); [m, ɱ, n, ɲ, ŋ]
Laterali (la lingua si posiziona contro i denti e l’aria fuoriesce lateralmente); [l , ʎ]
CONSONANTI
n o p q r s t u v z
n ɱŋ oɔ p k r sz t uw v ts dz
I suoni possono essere semplici per esempio [t,d,k,tς,dz] o geminati [tt,dd,kk,ttς,ddz]. La lunghezza si indica con due
punti e dunque scriveremo [t:,d:,k:,t:ς,d:z].
Il simbolo IPA per l'accento è ['] e si colloca prima della sillaba accentata. scriverò dunque ['kaza], [lam'pjone],
[intimi'ta]. Sui monosillabi l'accento può non essere segnato. Da ricordare che in IPA non esistono le maiuscole e gli
apostrofi.
Nelle trascrizioni è importante indicare vari tipi di confine: quello di sillaba, quello di morfema e quello di parola.
Il morfema è l'unità più piccola dotata di significato.
Il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto (.). es. ot.to.bre, ve.lo.ce.men.te
Il confine di morfema è rappresentato con il simbolo (+). es. ottobre, veloce+mente, bar+ista
Il confine di parola è rappresentato con il simbolo (#) e marca l'inizio e la fine della parola. es. #ieri#, #ottobre#
2 Fonetica e fonologia
Mentre la fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni (foni), la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni
(fonemi). La fonologia studia:
- quali sono i fonemi di una data lingua e se a una differenza di suono corrisponde una differenza di
significato;
- come i suoni si combinano insieme; in italiano ci sono suoni come [ ʃ ], [t] e [r], alcune combinazioni di questi
suoni sono possibili (rt, tr), altre invece no ( ʃr, ʃt)
- come i suoni si modificano in combinazione. Per esempio il prefisso negativo -s diventa sonoro se aggiunto un
fonema sonoro: s+regolato → [z]regolato ([z] è un'alveolare sonora)
Un suono ha una sua distribuzione (contesti in cui può e non può apparire). I suoni/rumori sono anche detti foni ed hanno
valore linguistico quando sono distintivi: in questo caso sono detti fonemi (un fonema non ha significato in sé ma
contribuisce a differenziare dei significati).
I fonemi contribuiscono a formare delle coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano solo per un suono nella
stessa posizione.
I fonemi sono segmenti fonici che:
- hanno funzione distintiva;
- non possono essere scomposti in elementi più piccoli con le stesse caratteristiche;
- sono definiti solo dai caratteri che abbiano valore distintivo (detti “pertinenti”).
I fonemi sono unità astratte che si realizzano in foni. Essi vengono rappresentati tra barre oblique / /, mentre i foni tra
parentesi quadre [ ]. Il fonema è l’unità che si colloca a livello astratto, e dunque a livello di langue; i foni invece si
collocano a livello concreto e dunque di parole.
Le regole di Trubeckoj.
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di una lingua, Trubeckoj ha proposto una serie di
regole:
1) «Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra loro senza con ciò
mutare il significato delle parole o renderle irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di
due diversi fonemi».
(distribuzione contrastiva. Es: Varo- Faro)
2) «Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si possono scambiare fra loro senza
causare variazione di significato della parola, questi due suoni sono soltanto varianti fonetiche facoltative di un
unico fonema».
si definiscono VARIANTI LIBERE. Es: renna Renna – la [r] alveolare e la [R] uvulare(=r moscia francese) in italiano
possono essere suoni intercambiabili, però lo scambio non da luogo a due parole con significato diverso.
3) «Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi
sono due varianti combinatorie dello stesso fonema»
si definiscono ALLOFONI, cioè varianti dello stesso fonema. (distribuzione complementare)
Es: naso-ancora [nazo] - [aŋkora]
Suoni Intercambiabili?
Si No
Cambiano il Significato?
Si No
FONEMI DIVERSI VARIANTI LIBERE VARIANTI COMBINATORIE allofoni
Bilaterale Multilaterale
Quando la base di comparazione è propria solo dei membri dell’opposizione (la base di comparazione è la parte uguale di due fonemi)
/p/ /b/ /p/ /k/ /t/
occlusive o cclusiva occlusiva occlusiv a occlusiva
bilabiale bilabiale sorda sorda sorda
sorda sonora bilabiale velare dentale
Privative Equipollente
Questa opposizione riguarda quelle coppie di fonemi in cui si potrebbe dire che un fonema ha le proprietà x e l'altro fonema ha tutte
le proprietà x più un'altra proprietà .
/p/ /b/ /p/ /k/ /t/
o cclusiva occlusiv a occlusive occlusive occlusive
bilabiale bilab iale sorda sorda sorda
non sonora sonora bilabiale velare dentale
Costanti Neutralizzabili
Sono opposizioni che funzionano in tutti contesti, Sono opposizioni che in certi contesti non funzionano. In olandese ad
esempio il contrasto tra /t/ e /d/ funziona in posizione iniziale e
interna di parola, ma non funziona in posizione finale. In questo
contesto si trova sempre [t] e mai [d].
Binarismo
Roman Jakobson ha sfruttato le opposizioni privative come base per la sua teoria fonologica nota come binarismo, in cui
ogni elemento viene differenziato dagli altri per una serie di scelte binarie. Se il fonema ha un determinato tratto lo si
designa con il segno "+", se ne è privo con il segno "-".
p b f v t d ts dz s z k g t∫ dʒ ∫ m n ɲ l ʎ r j w
Sillabico - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Consonantico + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + - -
Sonorante - - - - - - - - - - - - - - - + + + + + + + +
Sonoro - + - + - + - + - + - + - + - + + + + + + + +
Continuo - - + + - - - - + + - - - - + + + + + + + + +
Nasale - - - - - - - - - - - - - - - + + + - - - - -
Stridente - - + + - - + + + + - - + + + - - - - - - - -
Laterale - - - - - - - - - - - - - - - - - - + + - - -
Arretrato - - - - - - - - - - + + - - - - - - - - - - +
Anteriore + + + + + + + + + + - - - - - + + - + - + - -
Ril. Ritardato - - - - - - + + - - - - + + - - - - - - - - -
Coronale - - - - + + + + + + - - + + + - + - + + - - -
i e ɛ a ɔ o u
Sillabico + + + + + + +
Arrotondato - - - - + + +
Alto + - - - - - +
Basso - - + + + - -
arretrato - - - + + + +
Regole fonologiche
Una regola fonologica collega una rappresentazione astratta (fonemaica) ad una rappresentazione concreta (fonetica).
Tipicamente le regole hanno la seguente forma:
A→ B/ ___C (si legge A diventa B nel contesto C)
L'alternanza amico ( [amiko] ha una velare sorda [k] ) e amici ([amitʃi] affricata palatale sorda [tʃ] ):
k→ tʃ/___+i ( [k] diventa [tʃ] prima di [i] preceduto da un confine di morfema)
Una velare sonora semplice o geminata viene palatalizzata in una affricata semplice o geminata prima della vocale palatale
[i]: g(:)→d(:)З/___+i
Le parentesi tonde indicano facoltatività.
La nasale dentale /n/ diventa una nasale bilabiale davanti le parentesi tonde e graffe possono combinarsi. Per
a /p,b,m/: esempio:
n→m/___
{} p
b
m
g(:)→ d(:)З/___+
i
e {}
Una regola fonologica può essere formulata sia ricorrendo ai fonemi, sia ai tratti distintivi.
[s]= fricativa alveolare sorda sonora [z]=fricativa alveolare
[s]torto [z]degno
[s]posto [z]baglio
[s]carso [z]garbo
[s]fortuna [z]vaglio
La sibilante resta sorda davanti a consonante sorda [t, p, k, f], ma diventa sonora davanti a consonanti sonore: s→ [z]/____
d, b, v,ʤ, ecc. ; per non menzionare tutti i suoni che sono sonori basca cogliere ciò che hanno in comune: la sonorità .
s → [+ sonoro]/___ [+cons]
[+sonoro] (la sibilante non sonora diventa sonora prima di consonante sonora)
Le regole sono in genere motivate ed operano una ristretta serie di cambiamenti. Le regole fonologiche possono:
dico → dici dico→ dice
cambiare dei tratti [+α] [-α]/___[+β]
k→ tʃ/____ +i k→ tʃ/____ +e
inserire dei tratti Ø A/ B In italiano c'è l'inserzione di [i] dopo consonante e prima di
una parola che inizia per [s] seguita da consonate.
In storia→ inistoria
in Spagna→ inispagna
per scritto→ periscritto
Sono note con il nome di metatesi
cambiare l’ordine dei segmenti AB BA
“le hanno polto i tunti” “le hanno tolto i punti”
A Ø/ B ( la vocale passa a zero prima di confine di morfema).
cancellare segmenti
V→ Ø /_____+ V
fama + oso → famoso golpe + ista → golpista
La regola di cancellazione della vocale non agisce però se la
vocale è accentata:
virtù + oso→ virtuoso indù + ista→ induista
Si otterrà perciò tale regola: vocale non accentata verrà
cancellata quando si trova prima di confine di morfema seguito
da vocale.
Assimilazioni.
Le assimilazioni sono un fenomeno molto rilevante e naturale in tutte le lingue del mondo; esse possono essere totali o
parziali, progressive o regressive.
Sono totali quando il segmento che causa l'assimilazione rende il i[n+ r]agionevole →i[rr]agionevole
segmento assimilato totalmente uguale al primo;
sono parziali se il segmento che causa l'assimilazione cambia l'altro in+ probabile →improbabile
segmento solo parzialmente.
L'assimilazione è progressiva quando il segmento che causa want to→ wanna
l'assimilazione è a sinistra del segmento che assimila (cioè che lo
precede);
È regressiva quando il segmento che causa l'assimilazione è a destra del dog+[s] → dog[z]
segmento che cambia (cioè che lo segue).
La sillaba
La sillaba, foneticamente parlando, «rappresenta un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un
picco di intensità».
Fonologicamente parlando, invece, essa «è vista come una unità prosodica di organizzazione dei suoni».
Ecco la struttura interna della sillaba (σ):
rappresenta una unità costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco di intensità .
Sillaba σ La sillaba minima è costituita in italiano da una vocale, il nucleo sillabico. Questo
può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda. Il nucleo più coda
costituiscono la rima.
attacco rima L’attacco può essere costituito da una o più consonanti. Il nucleo può essere
costituito da un dittongo (pie- de). Una sillaba si dice aperta o libera se è priva di
coda e finisce dunque in vocale (a, ma), altrimenti è detta chiusa o implicata.
nucleo coda L’unico componente obbligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo;
l’attacco e la coda possono non
a (a) essere presenti.
m a (ma)
c o n (con-durre)
tr o n (tron-co)
a n (an-tico)
Un caso di allomorfia in italiano è quello dell'articolo maschile: i e gli sono due allomorfi.
4 Flessione, derivazione, composizione
I processi morfologici più comuni sono:
la derivazione (affissi)
o prefissazione (ex+marito) affisso a sinistra
o infissazione (cant+icchi+are) affisso nel mezzo
o suffissazione (dolce+mente) affisso a destra
la composizione (capo+stazione, dolce+ amaro) : forma parole nuove a partire da due parole già esistenti
la flessione (bello →belli, amare → amava) La flessione “ aggiunge” alla parola di base informazioni relative a genere,
numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona.
5 Morfologia come “processo”.
Una categoria lessicale, come ad esempio il verbo, può o “nascere” come tale oppure può “diventare” verbo attraverso vari
processi:
V rompere
V→ V giocare→ giocherellare aspetto dinamico della morfologia
A→ V attivo→ attivare Esistono diverse modalità che possono portare alla categoria
N→ N→ V palla→ palleggio→ palleggiare “verbo”
N→ A→ V centro→ centrale→ centralizzare
Consideriamo la parola indubitabilmente. Se ci si chiede come quest'avverbio può essere costruito, si può supporre che
all'aggettivo “indubitabile” sia stato aggiunto il suffisso -mente:
indubitabile aggettivo di base
indubitabile+ mente aggiunta di -mente
indubitabilmente cancellazione di e
La parola indubitabilmente è stata costruita attraverso una serie di processi ognuno dei quali ha portato a una nuova categoria:
verbo aggettivo aggettivo avverbio
[dubita]v [[dubita]v+bile]A [in[[dubita]v+bile]A]A [[in[[dubita]v+bile]A]A+mente]Avv Aspetto di formazione
tema del verbo Aggiunta di -bile Aggiunta di in- “dinamico”
Aggiunta di –mente
[indubitabilmente]Avv
Cancellazione di -e-
Per quel che riguarda la composizione, ci si concentra o solo sul processo, oppure sul risultato
capostazione è formato da due nomi (capo+stazione) che intrattengono tra dolceamaro è un aggettivo
di loro relazioni di tipo grammaticali e semantiche; capostazione è un nome
dolceamaro è un aggettivo formato da due aggettivi (dolce+amaro) che
stanno tra loro in un rapporto di coordinazione
Ci si domanda quali nomi, aggettivi, verbi possano essere combinati per formare parole composte, dato che non tutte le
combinazioni portano a risultati accettabili:
Nome-Nome *capo-telefono Aggettivo-Aggettivo *dolce-vecchi
*luce-interrogazione *amaro-dispari
Si affronta ora la questione dell'ordine degli elementi costitutivi dei composti, detti costituenti (capostazione è un composto ben
formato, mentre stazione-capo non lo è).
Ci si pone il problema di capire attraverso quali vie sono state formate le parole:
Composizione: combina due forme libere
Derivazione: combina una forma libera e una legata.
Prefissazione Suffissazione
aggiunge un morfema a sinistra della parola aggiunge un morfema a destra della parola (veloce+mente e
(in+attivo, ri+scrivere). amministra+zione)
non cambia la categoria lessicale della parola cui si Si tratta in genere di aggiungere una forma legata a una forma
DERIVAZIONE
6 Allomorfia e suppletivismo
o Suppletivismo: quando in una serie morfologicamente omogenea, si trovano radicali diversi che intrattengono
evidenti rapporti semantici senza evidenti rapporti formali.
vad-o va-i va-nno vs. and-iamo anda-te anda-i and-rei
acqua vs. idr-ico
cavallo vs. equ-estre vs. ipp-ico
Si parla di suppletivismo forte quando vi è completa alternanza di radici (vado / andiamo, cavalleria/equestre/ippico) e di
suppletivismo debole quando vi è una base comune (Arezzo / aretino).
o Allomorfia: quando nello stesso paradigma morfologico si trovano alternative formali dello stesso radicale (alternanza
motivata fonologicamente)
Marte à Marziano
perfetto à perfezione ( [t] à [ts] )
I fenomeni di suppletivismo non sono prevedibili e devono essere esplicitamente rappresentati nel Lessico.
I fenomeni di allomorfia sono prevedibili (applicazione di regole) e non devono essere «scritti» nel Lessico.
Siccome non è sempre semplice distinguere tra i due tipi di suppletivismo e nemmeno tra suppletivismo e allomorfia, almeno per
questo ultimo caso si usa il criterio della distanza fonologica (conto del numero di segmenti diversi tra una forma e l'altra). Le
alternanze suppletive sono rappresentate nel lessico, quelle allomorfiche sono il frutto di una regola di aggiustamento.
7 Testa in derivazione
Quando si mettono insieme due costituenti per formare una costruzione linguistica più complessa, i due
costituenti non sono sullo famoso A stesso piano: uno è più importante dell’altro, per esempio è quello che
attribuisce a tutta la costruzione la categoria lessicale e molte altre proprietà.
Ad esempio: fama N oso Fama→ famoso
A Amministra(re)→ amministrazione
Veloce→ velocizzare
Queste tre categorie di ‘arrivo’ sono date dai suffissi. Si dirà che in queste parole d’esempio la testa (elemento di destra in
derivazione) è – oso, -zione, -izzare . Il meccanismo che trasmette a tutta la costruzione le informazioni necessarie è detto di
percolazione e si rappresenta:
La suffissazione cambia quasi sempre la categoria della base e sempre i suoi tratti sintattico-semantici (ad eccezione dei suffissi
valutativi che non sono teste visto che non cambiano mai ne categoria ne tratti). La prefissazione non cambia mai la categoria
della base che rimane dunque anche testa. In altri termini, in italiano, si può generalizzare che la testa è l’elemento di destra in
derivazione.
8 Composizione
Si definiscono parole semplici quelle parole che non sono scomponibili in segmenti più piccoli di senso compiuto (parole non
derivate o composte). Si definiscono parole complesse quelle parole che sono scomponibili in segmenti più piccoli di senso
compiuto (parole derivate e/o complesse).
La composizione consiste nell’unione di due forme libere, di due “parole” nella stragrande maggioranza.
[ ]X ,[ ]Y [ [ ] X [ ] Y ]Z
Nella composizione le due parole che vengono combinate esprimono una relazione grammaticale che è nascosta, ma che tuttavia
è “recuperabile” (Es. capostazione → capo (della) stazione).
Le regole della composizione possono combinare diverse categorie lessicali, ma l’uscita è di norma un nome.
N+N→N capostazione V+N→N porta bagagli
A+N→N gentildonna P+N→N sottoscala
Le uniche eccezioni riguardano il caso in cui: sono coinvolti due aggettivi A+A→A agrodolce
l’aggettivo sia un aggettivo di un colore A+N→A Grigio perla
Composti dell'italiano
(61) viene mostrata una lista delle possibilità combinatorie della composizione in italiano.
Non tutte le combinazioni sono possibili. Si può concludere che la composizione in italiano forma essenzialmente nomi, tranne in
due casi e cioè quando il composto è formato da due aggettivi o quando il composto è formato da un aggettivo di colore più nome
ex. giallo oro.
Si consideri un composto come “camposanto”. La struttura è rappresentabile
Diremo che un costituente è testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che
di tratti sintattico-semantici. E’ dalla testa del composto che passano a tutto il composto: le informazioni categoriali, i tratti
sintattico semantici e il genere.
Vi sono lingue in cui la testa dei composti può essere identificata “ posizionalmente”. In inglese si dice che “ la testa è a destra”,
visto che la categoria lessicale di tutto il compost è sempre uguale alla categoria del costituente a destra. In italiano la situazione
è più complessa. La regola sincronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera composti con
testa a sinistra. Non tutti i composti però hanno una testa (es. saliscendi, portalettere, sottoscala).
Distingueremo dunque tre tipi di composti sulla base della presenza o meno di una testa:
composti endocentrici (uno dei costituenti è la testa);
composti esocentrici (nessuno dei costituenti è la testa);
dvandva (entrambi i costituenti sono teste del composto).
Un’ulteriore classificazione è stata fatta sul tipo di relazione grammaticale implicita fra i due costituenti del composto
individuando tre tipologie:
9 Flessione
Una delle variazioni morfologiche più comuni è la flessione. La morfologia da luogo a forme flesse di parola, ovvero a forme
che esprimono, oltre ad un significato lessicale, anche uno o più significati grammaticali.
Possiamo dire che la flessione è realizzata tramite morfemi legati che si aggiungono a basi che necessitano marche
grammaticali di qualche tipo. Le informazioni grammaticali, dette morfosintattiche perché danno ‘istruzioni’ rilevanti sia in
morfologia che in sintassi, si distinguono tramite diverse categorie. Queste categorie assumono dei valori, rappresentati da
tratti.
Le categorie morfosintattiche sono ad esempio il numero, il genere, il caso, il modo, il tempo, l’aspetto, ecc.
I tratti morfosintattici sono invece I valori che ogni categoria può assumere.
Es: Libr-o
La categoria morfosintattica ‘numero’ del nome è espresso da – o . Tale categoria ha, in italiano, due possibili tratti, cioè il
plurale e il singolare. I tratti che le varie categorie morfosintattiche possono assumere sono di due tipi:
tratti inerenti sono quelli insiti nella parola che non vengono cambiati in alcun contesto (genere dei nomi come “la
donna” o “il cane”)
tratti contestuali sono legati al contesto in cui la parola viene a trovarsi (come l’accordo di genere e di numero negli
aggettivi italiani)
In italiano anche il verbo si può flettere nelle categorie di tempo, aspetto, modo e diatesi.
La composizione forma parole nuove a partire da due parole esistenti. (Es. capo/stazione = capostazione). La
flessione aggiunge, alla parola di base, informazioni relative a genere, numero, caso, tempo, modo etc etc. (es.
genere = bellO/bellA tempo = amare/amAVA numero = grandE/grandI). La
maggior parte dei composti ha una “testa” (sono endocentrici) dalla quale derivano tutte le informazioni necessarie al composto per
funzionare sintatticamente (capo-stazione / capI-stazione). In realtà pero non tutti hanno una testa (es. dormiveglia, portalettere,
pellerossa) in questo caso il composto è esocentrico.
Così come ci sono due accezioni di grammatica (quella mentale dei parlanti/ e grammatica compilata dai linguisti) ci sono due
accezioni di lessico: uno è il “lessico mentale” dei parlanti e l’altro è quello del dizionario. Di solito lessico si
oppone a grammatica, così come “memorizzare” si oppone a “costruire tramite regole”. Le parole di una lingua sono
memorizzate, mentre le frasi sono costruite tramite regole e variano sempre. Semplificando molto si ha: morfema ˃
parola˃ sintagma ˃ frase.
Con lessico mentale si intende un sottocomponente della grammatica dove sono immagazzinate tutte le informazioni (fonologiche,
morfologiche, semantiche e sintattiche) che un parlante sa della propria lingua. Dunque si intende, non solo la conoscenza delle
parole ma anche il loro funzionamento nei vari contesti.
Un dizionario non è un tentativo di descrivere la competenza lessicale di un parlante, infatti contiene un numero enorme di parole,
spesso a noi sconosciute. un dizionario si pone piuttosto al livello della langue, nel senso che è l’insieme di parole utilizzate da tutta
una comunità linguistica (contiene anche parole di lessici specifici). Un dizionario è costituito da entrate lessicali o
lemmi e non da forme flesse. Quindi è necessario lemmatizzare le parole, cioè ricondurre le parole flesse alla loro forma base (es.
amavo si riconduce ad amare/ casetta = casa).
Le entrate di un dizionario sono in maggioranza parole semplici (non flesse). Ma capita di trovare anche altre unità, tra cui: forme
lessicalizzate e sigle. Sono casi di lessicalizzazione le espressioni idiomatiche (tagliare la corda..) ma anche unità originariamente
frasali (nontiscordardimè). Le sigle invece spesso sono abbreviazioni di unità più lunghe, nella maggior parte dei casi per
cancellazione (Società Per Azioni diventa S.P.A.).
Il lessico di ogni lingua è stratificato, nel senso che è costituito da vari strati (spesso dovuti a contatti fra sistemi linguistici, prestiti
etc.). Lo strato centrale è quello detto nativo e gli altri sono detti strati periferici. Distinzioni di questo tipo sono
importanti, perché affissi diversi spesso scelgono strati lessicali diversi. Di solito radici native si aggiungono
ad affissi nativi e radici dotte ad affissi dotti. Ad esempio in inglese i suffissi di tratto latino (-ity) si aggiungono solo alle parole di
origine romanza (es. profane = profanity ma non strong = strongity) anche se il suffisso nativo –ness non fa discriminazione
(common = commonness / white = whiteness).
In un dizionario normale i lemmi sono in ordine alfabetico (l’ordine va dunque da sinistra verso destra). Se si inverte questo principio
(cioè si ordinano i lemmi a partire da destra), ovviamente si ha un risultato diverso. Questo è il metodo utilizzato dai dizionari
inversi, che sono molto importanti per chi fa ricerche in ambito linguistico, perché si ottengono liste di parole che terminano con le
stesse lettere e quindi con lo stesso suffisso.
Una lingua, ovviamente, non è formata da parole isolate ma anche dalle combinazioni di queste parole. Inoltre non tutte le
combinazioni sono possibili (nel senso che non tutte sono grammaticali o “ben formate”). Bisogna inoltre tenere a mente che la
grammaticalità di una frase è indipendente dal senso ad esempio queste tre frasi: - la ragazza di marco suona bene il
pianoforte (grammaticale e ha un senso logico) - il cerchio quadrato suona la cornamusa
(grammaticale ma priva di senso logico) - cane il vedere dentro benissimo
(agrammaticale e priva di senso logico, è “un’insalata di parole”)
Dunque è chiaro che alcune combinazioni di parole possono essere ben formate, mentre altre no. La parte della linguistica che si
occupa di questo è la sintassi. L’oggetto della sintassi sono, dunque, la frase e le altre combinazioni possibili di parole ( sintagmi =
gruppi di parole).
Uno dei meccanismi fondamentali che determinano il raggruppamento delle parole è la valenza verbale. È facile
notare che alcuni verbi devono essere accompagnati da un certo numero di parole: un verbo come “catturare” ad esempio, richiede
la presenza di due gruppi nominali (il poliziotto catturò il ladro) altrimenti non sarebbe una frase ben formata (il poliziotto catturò
…???). Invece altri verbi come, ad esempio, camminare, devono essere accompagnati da un solo nome o gruppo nominale (gianni
cammina).
I verbi, dunque, come gli elementi chimici hanno bisogno di essere accompagnati da un numero determinato di altri elementi per
ottenere una frase ben formata; hanno dunque una “valenza verbale”. Gli elementi che sono richiesti obbligatoriamente dai verbi
sono detti argomenti, quegli elementi che, invece, possono essere aggiunti facoltativamente sono detti circostanziali e possono
spostarsi all’interno della frase (mobilità posizionale). Il quadro completo delle classi verbali dal punto di vista della
valenza è il seguente: - verbi avalenti (o zerovalenti) = non accompagnati da
alcun argomento (es. verbi meteorologici come “piove”). – verbi monovalenti = un argomento (verbi intransitivi come:
camminare/parlare/morire/arrivare..). – verbi bivalenti = due argomenti (verbi transitivi come:
catturare/compiere/favorire/lanciare/piantare..). – verbi trivalenti = tre argomenti (i cosiddetti verbi di “dire” e di
“dare”).
Quindi possiamo affermare che in una frase italiana sono presenti: 1) il verbo, 2) il numero degli argomenti che esso richiede in base
alla sua valenza e 3) facoltativamente, uno o più circostanziali. La stessa funzione di argomento, o
di circostanziale, può essere svolta indifferentemente da una parola sola o da un gruppo di parole (sintagma). È abbastanza intuitivo
riconoscere quali parole fanno gruppo insieme ad altre. Esistono, comunque anche alcuni criteri che ci permettono di individuare i
gruppi di parole: - uno di questi criteri è quello del “movimento” (le parole che fanno parte di un
gruppo si spostano insieme). – un altro criterio è quello della “enunciabilità in isolamento” (dato un contesto
opportuno, le parole che formano un gruppo possono essere pronunciate da sole, cioè non inserite in una frase
completa). – il criterio della coordinabilità (le parole che appartengono a classi diverse non sono tutte
intercambiabili l’una con l’altra e lo stesso avviene per i gruppi di parole o sintagmi).
I gruppi possono essere suddivisi in varie categorie a seconda di quale è la parte centrale (o testa) del gruppo: - i gruppi la
cui testa è una preposizione (a mezzanotte/per caso) sono detti gruppi o sintagmi preposizionali (SP). – i gruppi la cui
testa è un nome (il poliziotto/Mario/un cane) sono detti gruppi o sintagmi nominali (SN). – i gruppi la cui testa è un
verbo (piove/catturò il ladro) sono detti gruppi o sintagmi verbali (SV). – i gruppi la cui testa è un aggettivo
(molto buono/davvero sciocco) sono detti gruppi o sintagmi aggettivali (SA).
I sintagmi sono i costituenti della frase; possono essere costituiti da altri sintagmi fino alle singole parole, che sono i costituenti
ultimi della sintassi. I sintagmi possono essere semplici (costituiti dalla sola testa che è l’unico elemento indispensabile) oppure
molto complessi.
Ci sono tre tipi di entità indicate come frasi: 1)
espressioni di senso compiuto che sono gruppi di parole con struttura predicativa (l’albero è verde). 2)
espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole e non hanno struttura predicativa (Gianni!/ahi!). 3) strutture
predicative che, da sole non sono espressioni di senso compiuto (… che aveva appena svaligiato).
I tipi di frasi sono ovviamente diversi tra loro. Una prima distinzione è quella tra frasi semplici e frasi complesse. La frase semplice
non contiene altre frasi, mentre la frase complessa (o periodo) contiene altre frasi. Il rapporto tra le frasi semplici che costituiscono
una frase complessa può essere di coordinazione o di subordinazione.
Le frasi si possono dintinguere anche in base al punto di vista della modalità. Si dividono in: -
dichiarative = il ladro è scappato / Gianni è partito -
interrogative (a loro volta divise in interrogative “si-no”= gianni è partito? o “wh”= chi è partito?/dove vai?) -
imperative = Gianni, parti! / prendi quel libro / sta attento! -
esclamative = che sorpresa mi hai fatto!! / che bello vederti!!
Il punto di vista della polarità distingue le frasi affermative dalle negative (Gianni è partito/Gianni non parte).
Il punto di vista della diatesi distingue le frasi attive dalle passive (Gianni ama Maria/Maria è amata da Gianni).
Il punto di vista della segmentazione oppone due tipi di frasi come le seguenti: - non
avevo mai letto questo libro / questo libro, non lo avevo mai letto (in cui il sintagma “questo libro” è messo in evidenza). Questo è
un esempio di frase segmentata. Vi sono vari tipi di frasi segmentate: -frasi - con
disclocazione a sinistra = quel goal, non lo avevo ancora visto dislocate
- con dislocazione a destra = non lo avevo mai visto, questo film
- frasi a tema sospeso = questo signore, Dio gli ha toccato il cuore
- frasi scisse = è questo libro che non avevo mai letto
- frasi focalizzate = Gianni ha preso la macchina, non Paolo!
Le frasi dipendenti sono suddivise in: argomentali (cioè quelle frasi che apportano gli argomenti necessari al verbo della frase
principale) , circostanziali (che apportano informazioni facoltative) o relative. A sua volta le arg omentali si suddividono in:
soggettive, completive (oggettive o nominali) e interrogative indirette. Mentre le relative si distinguono in restrittive e appositive.
soggettive
argomentali interrogative
indirette
oggettive
completive nominali
frasi dipendenti circostanziali
restrittive
relative
appositive
Ci sono diverse possibili definizioni di soggetto e predicato, molte sono imparziali. Quella che risulta più esatta è: “il soggetto è
quell’argomento che ha, obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del verbo”. “ il predicato indica l’azione
compiuta, oppure subita dal soggetto”. Tuttavia queste definizioni valgono
solo per un livello di analisi sintattico. A livello semantico al posto del soggetto parleremo invece di Agente mentre il predicato sarà
azione (nelle frasi che non esprmono un’azione del tipo “gianni teme la guerra” soggetto = esperiente / predicato = stato). E ancora
a livello comunicativo avverrà una distinzione tra tema (al posto del soggetto) e rema (al posto del predicato).
Le parti del discorso si dividono in variabili e invariabili. Le desinenze delle parti del discorso variabili esprimono le categorie
flessionali, ad esempio: il genere/ il caso/ il numero/ il tempo/ la persona/ il modo. Le “categorie flessionali”
si oppongono dunque alle “categorie lessicali” (cioè alle parti del discorso). Per esempio due parole come: bellO/bellA
appartengono alla stessa categoria Lessicale ma diverse dal punto di vista della categoria flessionale (generi diversi).
Se due parole hanno le stesse categorie flessionali (entrambe maschili/plurali etc..) si parla di accordo.
Se, invece una parola ha una determinata categoria flessionale perché questa le è stata assegnata da un’altra parola con categorie
flessionali diverse, allora si parla di reggenza.
Le categorie linguistiche non sono un semplice rispecchiamento delle categorie della realtà, ma rappresentano un sistema
organizzato secondo principi indipendenti.