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LINGUISTICA GENERALE

CAPITOLO 1. Che cos’è il linguaggio?


La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio umano (o naturale), cioè quello che usiamo comunemente per comunicare. Essa
non è una disciplina normativa ma DESCRITTIVA non ha il compito di indicare “quello che si deve, o non deve dire”, ma ha lo
scopo di spiegare ciò che si dice e soprattutto il perché si dice in un
determinato modo.
Tutti i linguaggi (ad. ex il linguaggio dei computer, il linguaggio dei fiori..) hanno un elemento in comune: sono dei sistemi di
comunicazione, servono cioè a trasmettere informazioni da un emittente a un destinatario (o ricevente).
I linguaggi sono identici nella loro funzione, cioè nel fatto di permettere la comunicazione, ma non è detto che siano identici nella
loro struttura. La struttura del linguaggio umano è specifica e solo la specie umana ha la capacità di acquisire il linguaggio umano.
Il linguaggio umano si distingue dagli altri sistemi di comunicazione (sistemi informatici, animali) per diverse caratteristiche, ad
esempio: discretezza, ricorsività e dipendenza dalla struttura.
Il linguaggio umano è discreto, mentre i linguaggi animali sono continui.
DISCRETEZZA

 Discreto vuol dire che i suoi elementi si distinguono gli uni dagli altri per l’esistenza di limiti ben definiti.
 Ad esempio, per i suoni [p] e [b] nella lingua italiana, non c’è una via di mezzo: anche se sono simili, i due suoni hanno un
effetto di contrasto netto (batto/patto) a un certo punto l’ascoltatore percepirà P invece di B.
Nei linguaggi continui invece è possibile specializzare sempre di più il segnale, aumentando d’intensità (danza delle api, ronzio).
Un’altra caratteristica del linguaggio umano è quella di poter formare un numero altissimo di segni (entità dotate di significante e
significato) mediante un numero limitato di fonemi (elementi che non hanno significato, ma solo la capacità di distinguere
significati). Questa caratteristica è detta doppia articolazione e non è presente nei linguaggi animali.
RICORSIVITÀ

I linguaggi animali inoltre dispongono sempre di un numero finito di segni, mentre nel linguaggio umano i segni (parole) sono
infiniti perché è sempre possibile inventarne di nuove. Infatti per esprimere concetti inventiamo spesso frasi al momento, non
usiamo sempre le stesse.
Il meccanismo della ricorsività permette di creare sempre frasi nuove aggiungendo in una frase data un’altra frase e così via fino
all’infinito (come la serie dei numeri naturali che, appunto, è infinita).
Abbiamo già descritto due caratteristiche fondamentali del linguaggio umano (discretezza e ricorsività) che lo distinguono da quelli
animali, però anche il linguaggio informatico le possiede. Come si distinguono dunque? Sono diversi perché nel linguaggio umano i
Dipendenza dalla STRUTTURA

segni sono dipendenti dalla struttura. (i segni in una frase sono tutti in relazione tra loro anche se sono distanti, invece nel
linguaggio informatico ogni segno acquista significato solo in relazione a quelli adiacenti).
Esempio: “La donna che i ragazzi dicono che mi ha colpito è Maria”
il verbo "ha colpito" è alla terza persona singolare e si accorda con il nome "donna" che non è immediatamente vicino ad esso, cosa
necessaria per il linguaggio informatico. Il nome "ragazzi" è più vicino al verbo "ha colpito" ma se trasformassimo "ha colpito" in
"hanno colpito" la frase risulterebbe agrammaticale:
“*La donna che i ragazzi dicono che mi hanno colpito è Maria”, dove l'asterisco indica le combinazioni di parole che sono
agrammaticali. Tenendo conto che la linguistica è una disciplina descrittiva, agrammaticale non significa scorretto ma malformato
per un parlante nativo di una determinata lingua.
il senso intuitivo di grammaticalità rappresenta una caratteristica essenziale della competenza del parlante nativo di una lingua!!!
Le relazioni tra parole all'interno di una frase non sono determinate dalla loro successione ma sono dipendenti dalla struttura.
Con linguaggio si intende la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare sistemi di comunicazione dotati di quelle
caratteristiche proprie solo alla nostra specie (appena descritte: discretezza, ricorsività, dipendenza dalla struttura).
Con lingua intendiamo le differenti forme specifiche che questi sistemi di comunicazione assumono nelle varie comunità.
Le varie lingue si distinguono tra loro, ma essendo create dalla stessa specie (la specie umana appunto) possono differire solo entro
certi limiti ben definiti e hanno sempre degli elementi in comune, in quanto sono espressioni differenti dello stesso linguaggio .
Questi elementi sono detti universali linguistici. (esempio: ricorsività e dipendenza dalla struttura).
Una caratteristica che distingue le varie lingue è l'ordine delle parole o meglio l'ordine degli elementi principali della
frase. in italiano abbiamo soggetto-verbo-oggetto ma in arabo ad esempio verbo-soggetto-oggetto.

Capitolo 2. Che cos’è una lingua?


Una lingua è un sistema articolato su più livelli, dunque su un “sistema di sistemi”. Questi livelli linguistici sono 4: fonologia (quello
dei suoni), morfologia (quello delle parole), sintassi (quello delle frasi) e semantica (quello dei significati).
Facendo riferimento alle società a noi più vicine, una lingua può essere sia scritta che parlata. La linguistica, tuttavia, privilegia la
lingua come espressione orale rispetto allo scritto, per diversi motivi:
- esistono lingue che sono state solo parlate e mai scritte, mai è accaduto il contrario. Ad esempio il Somalo, fino al 1972, è
stata una lingua solo parlata, così come molte lingue indiane d’America. L’aspetto orale appare dunque come primario,
quello scritto, in linea di massima, secondario, derivativo.
- un bambino, quando impara una lingua, impara prima a parlare e poi a scrivere, facendolo in modo del tutto naturale,
mentre per imparare a scrivere ha bisogno di un insegnamento specifico. (dunque l’aspetto orale è primario, quello scritto
è secondario, derivativo).
- le lingue cambiano nel corso del tempo, ma cambia solo la lingua parlata e solo in ritardo la scrittura registra questi
cambiamenti (a volte è necessaria una riforma ortografica).
Ma ovviamente tra scritto e parlato vi è un appoggio e scambio reciproco: lo scritto fissa e stabilizza la lingua, il parlato offre
variazione e novità.
2. Astratto e
Un’altra distinzione importante è quella fra ASTRATTO E CONCRETO. Ad esempio se un parlante ripetesse un qualsiasi numero di volte
una parola, ad esempio “mano”, non riuscirebbe mai a produrre due –m o due –a identiche dal punto di vista fisico (livello di
durata, di altezza tonale..). Se ripetiamo, infatti, “mano” per 12 volte otterremo 12 /a/ diverse, ma il significato non cambierà.
Quindi a livello concreto avremo 12 varianti della stessa lettera, ma a livello astratto il significato rimane lo stesso. Vi è un livello
astratto dove esiste una /a/ e una sola che si può realizzare in n modi diversi.
Livello astratto /a/ /e/
Livello concreto [a1][a2][a3][a4] [e1][e2][e3][e4]
Tutti i linguisti di maggior rilievo hanno fatto una distinzione fra un livello concreto e un livello astratto. Le più importanti sono:
 la distinzione fra langue e parole (Ferdinand de Saussure 1916) ,
 codice e messaggio (Roman Jakobson 1960) ,
 competenza ed esecuzione (Noam Chomsky 1965).
Alla base del suo “Corso di linguistica generale” , Ferdinand de Saussure pose diverse distinzioni che sono alla base della definizione
Langue e parole : Saussure

di lingua, tra cui quelle fra sincronia e diacronia, fra rapporti associativi e rapporti sintagmatici, fra significante e significato e
quella fra langue e parole.
La parole è un atto individuale, cioè un’esecuzione linguistica realizzata da un individuo. Quando due individui comunicano, il
parlante A, producendo un atto di fonazione, associa al significato “mano” dei suoni che, giunti all’ascoltatore B, vengono a loro
volta associati ad un significato. A questo punto B potrà diventare «parlante», producendo un altro atto di fonazione che giungerà
ad A e così di seguito. In questo circuito comunicativo, A produce un atto di parole [mano] che è individuale.
Un individuo, però, non possiede tutta la «lingua» (per es. tutto «l’italiano»). L’italiano sta al di fuori degli individui, preesiste agli
individui e sopravvivrà a essi. Vi è dunque una lingua, sociale ed astratta, che appartiene alla collettività e che viene definita
langue. PAROLE LANGUE
L’individuo può realizzare atti di parole diversi, ma non può da
individuale, concreta sociale, astratta
solo modificare la langue. Noi comunichiamo attraverso atti di
attuazione, realizzazione potenzialità, sistema astratto
parole, ma il fondamento di questi atti è nella langue che è il
sistema di riferimento collettivo
Codice e messaggio

Un’altra distinzione basata sui livelli astratto e concreto è quella tra codice e messaggio di Jakobson. Il codice è un’insieme di
unità, che, se combinate secondo determinate regole possono formare dei messaggi. Si pensi al codice Morse, costituito da due
sole unità, il punto e la linea, che combinate attraverso una serie di regole, danno vita a messaggi diversi (ad esempio … ___ … sos).
Anche le lingue umane funzionano così:
 a livello di codice esistono unità astratte come /p/, /n/, /e/, /a/
Jakobson

 queste unità astratte possono combinarsi, sulla base di determinate regole, per formare dei messaggi, ossia degli
atti concreti:
messaggi: pane, pena
non-messaggi: eanp, eapn, npae
Competenza ed esecuzione

Una terza distinzione è quella tra competenza ed esecuzione fornita da Chomsky.


La competenza è tutto ciò che un individuo «sa» della propria lingua per poter parlare come parla e capire come capisce.
L’esecuzione, invece, è tutto ciò che un individuo «fa», da un punto di vista linguistico. Si tratta, quindi, di un atto di realizzazione
e dunque concreto.
L’esecuzione corrisponde abbastanza bene alla nozione di parole di F. de Saussure, ma la competenza è profondamente diversa
dalla langue, che, essendo di natura sociale trascende l’individuo, laddove la competenza è qualcosa di individuale che ha sede
nella mente dell’individuo. La langue garantisce la comunicazione in quanto collettiva, la competenza garantisce la
comunicazione perché ampiamente condivisa da chi parla la stessa lingua.
Chomsky

SAUSSURE JAKOBSON CHOMSKY


livello astratto langue codice competenza
livello concreto parole messaggio esecuzione

3. Conoscenze linguistiche di un parlante


Competenza non significa «bravura». Essa si riferisce semplicemente all’insieme delle conoscenze linguistiche, per lo più
inconsapevoli, che un parlante possiede. Se ci chiediamo che cosa sa un individuo per:
1. poter parlare una lingua L come la parla;
2. per poter capire un parlante della lingua L come lo capisce;
dovremo far riferimento ai vari livelli in cui una lingua è strutturata e parlare di:
 competenza fonologica
 competenza morfologica
 competenza sintattica
 competenza semantica
Competenza fonologica
Un parlante italiano «sa» quali sono i suoni della sua lingua e quali non lo sono:
 ad esempio [pf] del tedesco Pferd, o [θ] il primo suono dell’inglese thing;
conosce tramite quali combinazioni si giunge alla formazione di parole e tramite quali no:
 (per esempio: pane, pena vs. pnae, eapn).
Un parlante «sa» anche fatti più sottili in merito alla propria lingua come:
 dividere le parole in sillabe;
 identificare la posizione dell’accento nelle parole;
 cambiare automaticamente alcuni suoni: ad es. il suono k di amico nel suono tS di amici;
 cambiare la posizione dell’accento: ad es. da amìco ad amichévole;
 passare da una vocale ad un'altra nella formazione di alcune parole: ad es. cancellare la o di Milano se deve costruire la parola
milanese ecc.
Competenza morfologica
Un parlante possiede anche una competenza relativa alle parole della propria lingua, che lo rende in grado di distinguerle da
forme linguistiche che ad essa non appartengono. Un parlante inoltre «sa»:
 che in italiano le parole finiscono di norma in vocale, tranne poche eccezioni (non, per, del) o alcuni casi di parole straniere
(sport, splash);
 che due parole in tutto eguali, tranne che per l’accento, possono avere significati diversi (áncora/ancóra);
 quali sono nella propria lingua le parole possibili ma non esistenti (buna, tiso, lopa); e quelle non possibili (drloto, prsdtsp, trst,
pferdt);
 «sa» creare parole nuove; o parole composte (mangianastri, contachilometri);
 «sa» che, partendo da parole semplici, si possono formare parole complesse (collocare/collocamento; lucido/extralucido;
magistrato/magistratura);
 «sa» che a partire da un verbo italiano si possono formare un centinaio di forme flesse (camminare, camminate, camminai,
camminavamo, ecc.);
 «sa» che ad una stessa parola si possono applicare sia suffissi che prefissi (utile/inutile; inutile/inutilità).
Queste e molte altre ancora sono le competenze morfologiche che , intuitivamente, un parlante ha della propria lingua. In breve
potremmo dire che un parlante conosce:
 le parole della propria lingua;
 alcuni aspetti della loro struttura;
 i meccanismi per formare parole complesse.
Competenza sintattica
Il numero di frasi che si possono costruire in una qualunque lingua è illimitato.
I parlanti di una lingua «sanno» di poter formare vari tipi di frase. Partendo, ad esempio, dalla frase dichiarativa attiva semplice [I
bambini adorano i dolci], si possono formare delle frasi interrogative rispettivamente del tipo si/no [Adorano i dolci i bambini?],
oppure del tipo [Che cosa adorano i bambini?].
I parlanti di una lingua, inoltre, «sanno»:
 costruire e capire un numero enorme di frasi nuove, senza averle mai sentite prima ;
 costruire frasi molto lunghe;
 hanno intuizioni sulla grammaticalità o non-grammaticalità delle frasi stesse.
Competenza semantica
I parlanti di una lingua sanno anche riconoscere il significato delle parole e delle frasi, ed oltre a questo «sanno» istituire molti tipi
di relazioni semantiche tra le parole, come:
 le relazioni di sinonimia (quando due parole hanno significato in buona misura equivalente): avaro/spilorcio;
 le relazioni di antonimia (cioè l’espressione del contrario): vecchio/giovane; vivo/morto; alto/basso.
I parlanti sanno identificare molte altre relazioni di significato, riuscendo, ad esempio, anche a disambiguare frasi potenzialmente
ambigue come: “Svendita autunnale bambini”, che non allude ad un commercio di bambini, ma ad una svendita autunnale di articoli
per bambini. A livello intuitivo, i parlanti sanno anche distinguere tra diversi tipi di ambiguità come:
o l’ambiguità lessicale [Il cane abbaia/Il cane della pistola], dove l’ambiguità sta nel fatto che la parola cane ha due
significati possibili;
o l’ambiguità sintattica [Uomini e donne in gamba], dove l’ambiguità sta nel fatto che l’espressione presa in
considerazione può avere due «letture» diverse, a seconda della struttura sintattica: ci sono degli uomini e ci sono
delle donne in gamba, oppure ci sono uomini e donne e tutti sono in gamba.
La grammatica dei parlanti
Tutte le competenze linguistiche fanno parte della grammatica dei parlanti, intesa come un insieme di conoscenze immagazzinate
nella mente. Tale grammatica viene costruita attraverso un complicato equilibrio di fattori innati biologicamente (come ad esempio
il fatto che le regole sono dipendenti dalla struttura), e di esperienze acquisite all’interno della comunità linguistica di origine.
Quando un bambino apprende una lingua non è esposto a «regole» ma solo a «dati» di quella lingua, ossia agli enunciati pronunciati
nel mondo attorno a lui, che sono chiamati dati linguistici primari. Questa accezione di grammatica è ben diversa dalla grammatica
intesa come «volume in cui si studiano le regole di una lingua».

4. Una lingua non realizza tutte le possibilità


Una lingua è un codice e ogni codice è costituito da due livelli: le unità di base e le regole che combinano tali unità.
Le lingue del mondo non sfruttano mai tutte le possibilità, né a livello di unità né a livello di regole. Per esempio l’italiano non ha
parole differenti per le “dita della mano” e le “dita del piede”, ma l’inglese sì, così come l’italiano ha parole diverse per fiume e
affluente, mentre l’inglese ha solo river.
Ogni lingua opera dunque delle «scelte».
Le regole combinano unità più piccole per formarne di più grandi. Così, date le unità di «suono» [p-a-n-e], vi sono in italiano regole,
in base alle quali suddette unità possono essere combinate solo in due modi teoricamente possibili:
pane, pena, *pnae, *npea, *eapn, *nepa ecc…
Che tutte le possibilità non vengano realizzate è vero non solo per il lessico ed i suoni, ma anche per la morfologia e la sintassi. Per
es., in riferimento alla sintassi, se abbiamo un nome (capitolo) e due aggettivi (buono e primo), vi sono tre combinazioni possibili e
tre sfavorite:
Il buon primo capitolo
Il primo buon capitolo
Il primo capitolo buono
NB: asterisco * = agrammaticale, ? = grammaticalità dubbia
?
Il buon capitolo primo
*Il capitolo primo buono
*Il capitolo buono primo
5. Sintagmatico e paradigmatico
In un atto linguistico, i suoni vengono disposti uno dopo l’altro in una sequenza lineare. In questa operazione accade che i suoni
adiacenti si influenzino l’un l’altro; per es. la n di canto è foneticamente diversa dalla n di anfora, in quanto la prima corrisponde ad
un suono dentale, la seconda ad un suono labiodentale. Questi rapporti vengono definiti rapporti sintagmatici e si hanno tra
elementi che sono in praesentia, cioè co-presenti.
Si consideri ora una parola come stolto: tra la [s] e la vocale [o] compare un suono, [t]. Il «contesto», ossia la posizione di t, è
dunque tra s ed o. Al posto di questo suono possono comparire, nello stesso contesto, altri suoni. Ebbene, tutti i suoni che possono
comparire in un certo contesto, intrattengono tra loro dei rapporti di tipo « paradigmatico» o«associativo», ma sono rapporti in
absentia (Saussure): se realizzo [t], non posso realizzare gli altri. s[t]olto, s[d]oganare, s[k]orta, s[g]ombro, s[p]orta
Rapporti sintagmatici e paradigmatici non riguardano solo i suoni. Si considerino, ad es. le seguenti espressioni:
 il libro
 questo libro
 quel libro
Tra il , questo e quel vi sono rapporti paradigmatici: se realizziamo [il], non possiamo realizzare [questo], e così anche per [quel]:
*il questo libro
*questo il libro
*il quel libro
Si consideri ancora l’imperfetto indicativo dell’italiano: amav-o, amav-i, amav-a, amav-amo, amav-ate, amav-ano, ecc. Queste forme
hanno una parte comune (amav-) e delle desinenze (o, i, a, mo, te, no), che intrattengono tra loro rapporti paradigmatici:
realizzandone una, ne escludiamo tutte le altre. Questo tipo di rapporto è alla base della nozione di paradigma.
Ogni unità della lingua intrattiene: rapporti sintagmatici con le forme che le sono “vicine”, rapporti paradigmatici con le unità
assenti che avrebbero potuto essere realizzate in quel dato punto.

6. Sincronia e diacronia
Le lingue possono cambiare nel corso del tempo. Si pensi ad alcuni cambiamenti dal latino all’italiano: le consonanti finali di parola
sono cadute (rosam = rosa); il sistema dei «casi» è stato sostituito da preposizioni e articoli e l’ordine delle parole da Soggetto-
Oggetto-Verbo è diventato Soggetto-Verbo-Oggetto. Lo studio di questi cambiamenti è detto diacronico, in quanto è lo studio di un
fenomeno attraverso il tempo. Una lingua può essere studiata, però, anche escludendo il fattore «tempo». Se per es. osserviamo
come funziona l’accordo tra nome ed aggettivo in italiano, senza ricorrere alla variabile «tempo» (Mario è buono, Maria è buona,
Mario e Gianni sono buoni), facciamo uno studio sincronico.
Un fenomeno sincronico è un rapporto tra elementi simultanei, un fenomeno diacronico è la sostituzione di un elemento con un
altro nel corso del tempo.
7. Il segno linguistico
Una parola è un segno. Un segno linguistico è l’unione di un significante e di un significato. Se diciamo libro, questa unità è
composta da un significante che è la forma sonora che noi realizziamo dicendo [libro], e di un significato, che è la rappresentazione
mentale che abbiamo di “libro”. Significante e significato sono inscindibilmente uniti come i due lati di una moneta.
Il segno linguistico ha varie proprietà, tra cui:
 La distintività: ogni segno deve essere distinto dagli altri. Il segno notte si distingue dai segni botte, lotte, cotte, dotte, nette,
note ecc
 La linearità: il segno si estende nel tempo (se è orale) o nello spazio (se è scritto). Ciò implica una «successione», ossia un
«prima» e un «dopo». Questa proprietà è fondanentale per la lingua: rami ha un significato diverso da mira; Silvia ama
Giuseppe ha un significato diverso da Giuseppe ama Silvia.
 L’arbitrarietà: il segno è arbitrario, nel senso che non esiste alcuna legge «di natura» che imponga di associare un
significante (per es. [libro]) a un certo significato (‘libro’). Al medesimo significato possono corrispondere, in altre lingue,
significanti diversi: ingl. book, fr. livre, ted. Buch ecc.
L’associazione tra significato e significante deriva da una specie di «accordo sociale» convenzionale: per convenzione, e non per
una legge di natura, al concetto di “libro”, in italiano, corrisponde il significante [libro].
I segni possono essere sia linguistici che non linguistici. Un vestito nero (significante) può voler dire ‘lutto’ (significato); anche un
cartello stradale unisce un significante (colori e forma stessa del cartello) a un significato (‘senso vietato’) e pertanto è un segno. La
disciplina che studia i segni linguistici è ovviamente la linguistica, quella che si occupa dei segni in generale è la semiologia o
semiotica.
8. Le funzioni della lingua
Secondo Roman Jakobson, le componenti necessarie per A ciascuna di queste componenti Jakobson fa
un atto di comunicazione linguistica sono sei: corrispondere una funzione linguistica diversa:
1) il parlante, 1) emotiva,
2) ciò di cui si parla, 2) referenziale,
3) il messaggio, 3) poetica,
4) il canale attraverso cui passa la comunicazione, 4) fàtica,
5)il codice e 5) metalinguistica,
6) l’ascoltatore. 6) conativa.
La funzione emotiva è quella che riguarda il parlante e si realizza quando il suo parlare è più inteso ad «esprimere» che non a
comunicare qualcosa a terzi. Chiaro esempio ne è, in letteratura, la lirica.
La funzione referenziale è puramente informativa, potremmo dire “neutra”.
La funzione fàtica si realizza quando vogliamo controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente (mi ascolti?, ci sei?, mi
segui?).
La funzione metalinguistica si realizza quando il codice viene usato per parlare del codice stesso: si usa la lingua X per parlare della
lingua X.
La funzione poetica è forse la più complessa. Secondo Jakobson si realizza quando il messaggio che il parlante invia all’ascoltatore
costringe quest’ultimo a ritornare sul messaggio stesso per capire come è fatto. Sotto questo punto di vista i messaggi pubblicitari
realizzano pienamente la funzione poetica, perché costringono chi ascolta a porsi delle domande sulla struttura del messaggio.
La funzione conativa si realizza, invece, sotto forma di comando o di esortazione rivolti all’ascoltatore perché modifichi il suo
comportamento. (ad es, i galatei e le loro prescrizioni).
Jakobson, quando proponeva questo modello, intendeva trovare un modo per caratterizzare i vari testi letterari, ma avvertiva
anche che ogni testo poteva realizzare diverse funzioni e che dunque poteva esserci prevalenza, in esso, di una funzione sulle altre.
9. Lingua e dialetti
In Italia si parla una lingua «ufficiale», che è l’ italiano e che chiameremo italiano standard, ma anche una quantità innumerevole di
dialetti (milanese, napoletano, veneziano ecc.). In realtà non esiste un italiano unico per tutto il paese, questo perché un parlante si
porta sempre dietro una certa patina che ne denuncia la provenienza. Per comprendere ciò bisognerà tener presente che esistono
quelli che vengono chiamati italiani regionali.
Volendo semplificare si dirà che esistono almeno tre grandi italiani regionali: quello del nord, quello del centro e quello del sud.
Questa nozione è importante perché costituisce un tramite, cioè un livello intermedio, tra dialetto e italiano standard:
italiano standard/italiano regionale/dialetto locale.
In realtà il quadro delineato è ancora più complesso, perché una lingua non è un blocco monolitico, ma esistono in essa diversi tipi
di variazione/stratificazione sia sociale che geografica.
[Le diverse dimensioni di queste variazioni/stratificazioni, che si intersecano fra loro in modi complessi, sono studiate dalla
sociolinguistica, che si occupa proprio di spiegare il rapporto esistente fra i diversi modi di parlare e i fattori sociali che li
determinano. Esse sono: diastratica, che riguarda le variabili legate alla stratificazione sociale; diatopica, che riguarda le differenze
dialettali, diafasica, che riguarda il grado di accuratezza formale e di controllo con cui si parla; diamesica, inerente il mezzo usato
per comunicare: scritto, telefonato, parlato, ecc. ] Dovremo allora ampliare la precedente stratificazione nel seguente modo:
 italiano scritto, rappresenta la forma più austera della lingua
 italiano parlato formale, che utilizziamo in occasioni «formali», come un esame, un colloquio con dei superiori, ecc…
 italiano parlato informale, è quello che usiamo nelle situazioni non controllate: in famiglia, con gli amici, ecc…
 italiano regionale
 dialetto di koinè,che identifica un regionale dialettale (ad es. il dialetto “veneto” rispetto al lombardo o al piemontese),
 dialetto del capoluogo di provincia (ad es. il dialetto veneto che si parla a Venezia);
 dialetto locale di un quartiere di città, che è la forma più stretta di dialetto.
Dunque in uno stesso luogo possono coesistere diversi registri linguistici ed i parlanti possono anche passare dall’uno all’altro (il
cosiddetto code switching). È importante sapere che la lingua è articolata in modo simile, perché caratteristica specifica delle lingue
è quella di non essere un blocco monolitico e omogeneo: una lingua è articolata in codici e sottocodici, che, a loro volta, servono a
definire e ad identificare dei gruppi sociali. Ed è ancora stratificata per registri stilistici, come ci si può rendere conto sfogliando un
giornale, dove si troveranno sfumature diverse per parlare di politica, di letteratura, di sport, ecc.
Un dialetto è un sistema linguistico a tutti gli effetti, non un codice secondario, ridotto o imperfetto. Ogni dialetto è costituito,
come tutte le lingue del mondo, da suoni, parole, frasi e significati. La differenza di «importanza» tra una lingua ed un dialetto non è
dunque una differenza linguistica, ma, semmai, socioculturale.
10. Pregiudizi linguistici
 Tra i pregiudizi di cui le lingue sono spesso oggetto, uno di questi riguarda l’idea che vi siano lingue « primitive» con sistemi
grammaticali poco sviluppati e che da queste si siano poi evolute le lingue «complesse». In realtà tutte le lingue, sia quelle
ancora oggi parlate, che quelle «morte» hanno sistemi fonologici, morfologici e sintattici complessi.
 Il pregiudizio opposto è quello secondo cui vi sono lingue per eccellenza «logiche» (per es. il latino e il greco). In realtà
tutte le lingue hanno una loro logica interna, perché debbono poter essere apprese e tramandate.
 Un altro pregiudizio ha a che fare con l’idea che la lingua sarebbe un sistema più evoluto dei dialetti. In realtà ogni dialetto
ha, pur con qualche lacuna, sistemi fonologici e sintattici complessi, proprio come quelli di una qualsiasi altra lingua, e,
d’altra parte le lingue “nazionali” sono spesso dei dialetti all’origine (vedi l’italiano), assurti poi, per una serie di fattori
sociopolitici e letterari a lingue nazionali.
 Un altro punto riguarda giudizi estetici, secondo cui certe lingue sono «belle» ed altre «brutte». Non è però possibile
trovare dei parametri oggettivi a sostegno di queste tesi.
 Infine, un altro punto riguarda giudizi secondo cui ci sono lingue «facili» e lingue «difficili». Ad es. gli italiani sostengono
che lo spagnolo è facile a differenza del tedesco. Ciò potrebbe sembrare vero. In realtà in questo tipo di giudizi non si tiene
in dovuto conto il punto di partenza, perché italiano e spagnolo sono lingue romanze non molto distanti, mentre il tedesco
appartiene ad una diversa famiglia linguistica: la germanica.
CAPITOLO 3. Le lingue del mondo
Si calcola che il numero delle lingue presenti nel mondo si aggiri sulle seimila (esclusi i dialetti). Ci sono diversi modi per classificare
le varie lingue, ad esempio in base al numero di parlanti. A tal proposito, La Linguasphere, un’organizzazione dedita allo studio
delle lingue del mondo, propone una classificazione che conta 10 ordini di grandezza, che vanno da 9 (più di un miliardo di parlanti)
a 0 (lingue estinte). L’italiano, ad esempio, appartiene all’ordine di grandezza 7 (più di 10 milioni e meno di 100).
Questa classificazione pecca però di imprecisione: molte lingue pur essendo diverse sono considerate la stessa lingua, perché i
parlanti si comprendono a vicenda. Il numero dei parlanti si basa fondamentalmente sul numero dei cittadini di una nazione, perciò
non è particolarmente significativo dal punto di vista linguistico classificare le lingue in base al numero dei parlanti.
Un altro criterio possibile è quello geografico (distinguere e raggruppare le lingue in base al luogo di provenienza. Ad esempio
distinguere le lingue a seconda dei continenti: lingue dell’Asia, dell’Europa..)
Entrambi questi metodi, però, non sono rilevanti dal punto di vista linguistico, perche la prima è una classificazione numerica, la
seconda è di tipo territoriale.
Da un punto di vista prettamente linguistico, esistono tre possibili modalità di classificazione denominate rispettivamente:
 genealogica Si dice che due lingue fanno parte dello stesso raggruppamento genealogico se derivano da una stessa lingua
originaria (ad es. lingue romanze o neolatine). A loro volta le lingue romanze fanno parte di una unità genealogica più ampia,
quella delle lingue indoeuropee, che costituiscono una famiglia linguistica. La famiglia è l'unità genealogica massima.
Le unità genealogiche di livello inferiore alla famiglia sono chiamate gruppi: quindi una famiglia linguistica contiene
abitualmente diversi gruppi che a loro volta si articolano in sottogruppi o rami e così via.
 tipologica Si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni. quindi visto
che l'inglese e il cinese manifestano alcune caratteristiche comuni, possono essere considerate tipologicamente correlate. una
lingua può essere tipologicamente correlata ad un'altra per quanto riguarda determinate caratteristiche e correlata ad una
terza per quanto riguarda altre caratteristiche.
 areale. Il punto di vista areale coglie quelle affinità che si creano fra lingue genealogicamente irrelate ma che hanno sviluppato
caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate in una stessa area geografica. In casi di questo genere si dice che le
lingue formano una lega linguistica. ad esempio le lingue della lega balcanica hanno delle caratteristiche comuni.

1 Classificazione genealogica
Due lingue sono genealogicamente parenti quando derivano dalla stessa lingua originaria o lingua madre. La famiglia è l’unità
genealogica massima ed è suddivisa in gruppi (o classi) che a loro volta si articolano in sottogruppi o rami. Famiglie linguistiche:
 Indoeuropea: Europa. Latino, greco.
 Afro-asiatica (camito-semitica): Africa settentrionale, Medio Oriente e parte dell’Africa orientale. Egiziano antico, arabo e ebraico.
 Uralica: Europa orientale e Asia centrale e settentrionale. Finlandese, estone e ungherese.
 Sino-tibetana: Asia occidentale. Cinese mandarino, tibetano e lolo-birmano.
 Nigerkordofaniana: nazioni africane poste al Sud del Sahara. Swahili.
 Altaica: Asia centrale. Mongolo, turco.
 Dravidica: India meridionale. Tamil, Telugu
 Austro-asiatica: Asia meridionale. Khmer e vietnamita.
 Austronesiana. Oceania. Malgascio, bahasa
Esistono anche delle lingue che sono isolate, cioè di cui non si può dimostrare la parentela con altre lingue: in Europa il basco, in Asia
il giapponese e il coreano.

1.1 La famiglia linguistica indoeuropea


Nei primi decenni dell’Ottocento vi fu la scoperta che un’antica lingua dell’India, il sanscrito, ed alcune lingue europee, latino e
greco, erano genealogicamente apparentate tra loro. Per identificare questa famiglia nel 1830 venne coniato il termine
“Indoeuropeo” (asieuropeo, indogermanico).
La famiglia indoeuropea si divide nei seguenti gruppi e sottogruppi:
 Indo-iranco: diviso nei sottogruppi indiano e iranico; il sottogruppo iranico a sua volta si divide in lingue iraniche occidentali e
orientali.
 Tocario: formato da lingue estinte.
 Anatolico ittita, lingue diffuse nel 1-2° millennio a. c..
 Armeno: rappresentato dalla sola lingua armena.
 Albanese rappresentato dalla sola lingua albanese.
 Slavo: diviso in tre sottogruppi:
 slavo orientale (russo, bielorusso, ucraino),
 lo slavo occidentale (polacco, ceco, slovacco)
 slavo meridionale (bulgaro, macedone, serbo-croato, sloveno).
 Baltico: comprende lituano e lettone.
 Ellenico: rappresentato dalla sola lingua greca.
 Italico: si divide nei sottogruppi
 italico orientale (lingue dell’Italia antica come osco, umbro, sannita)
 occidentale. Quest’ultimo sottogruppo comprende il latino che ha dato origine alle lingue neolatine e romanze:
portoghese, spagnolo, francese, italiano e romeno. Lingue a livello regionale: gallico, catalano, ladino e provenzale.
 Germanico: si divide in tre sottogruppi:
 orientale (gotico),
 settentrionale (svedese, danese, norvegese, islandese)
 occidentale che si divide in due rami: anglo-frisone e neerlando-tedesco.
 Celtico: si divide nei sottogruppi
 gaelico (irlandese e gaelico di Scozia)
 britannico (gallese, cornico e bretone).
2 Classificazione tipologica
Due lingue sono tipologicamente correlate se manifestano una o più caratteristiche comuni e possono essere classificate in due
modi: per tipologia morfologica o per tipologia sintattica.

2.1 Tipologia morfologica


I tipi morfologici tradizionalmente riconosciuti sono i seguenti:
• Isolante: è caratterizzato da una mancanza quasi totale di morfologia: nei nomi non vi è distinzione per caso, numero, genere...
Per indicare le varie relazioni tra le parole, una lingua isolante fa uso in modo cruciale dell’ordine delle parole stesse e di alcune
particelle. (Es. il cinese e l’inglese sono lingue isolanti).
• Agglutinante: ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate. il turco è un
esempio di lingua agglutinante. Ad esempio dato una parola come "kus" cioè uccello, ad essa si possono aggiungere il suffisso
indicante il plurale -lar e, dopo di esso, un suffisso che indica i casi diversi dal nominativo.
ex. singolare plurale
nominativo kus kus-lar
accusativo kus-i kus-lar-i ...
• Flessivo: tutte le relazioni che devono essere indicate sono contenute in un solo suffisso. Un’altra caratteristica delle lingue
flessive è la flessione interna che consiste nel poter indicare le diverse funzioni grammaticali mediante la variazione della
vocale radicale della parola (es. fAccio/fEci) Le lingue flessive si dividono in analitiche (si possono realizzare relazioni
grammaticali mediante più parole) e sintetiche (le relazioni grammaticali sono espresse in un’unica parola).
Esempio per capire la differenza con il tipo agglutinante: La parola latina corrispondente al turco " kus" è "avis".
Nell’ablativo plurale il turco usa "kus-lar-dan" mentre il latino "av-ibus". Quindi la parola latina ha un unico suffisso che
esprime contemporaneamente i significati "ablativo" e "plurale" mentre nella parola turca ciascuno di questi due significati
è espresso da un suffisso autonomo.
• Polisintetico (o incorporante): una sola parola può esprimere tutte le relazioni che in italiano si esprimerebbero con una frase.

2.2 Tipologia sintattica


La tipologia sintattica si basa sull’osservazione che esistono delle correlazioni sistematiche, in tutte le lingue, tra l’ordine delle parole
in una frase e in altre combinazioni sintattiche, e per questo viene anche chiamata tipologia dell’ordine delle parole. Le
combinazioni sintattiche più analizzate sono:
1) la presenza in una data lingua di preposizioni (Pr) oppure di posposizioni (Po);
2) la posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all’oggetto (O);
3) l’ordine dell’aggettivo (A) rispetto al nome (N);
4) l’ordine del complemento di specificazione o genitivo (G).
In generale queste correlazioni sistematiche possono essere riassunte come segue:
VSO/Pr/NG/NA →sono la maggior parte delle lingue semantiche( arabo e ebraico) e le lingue celtiche
SVO/Pr/NG/NA → Lingue romanze
SOV/Po/GN/AN → giapponese e lingue altaiche
SOV/Po/GN/NA → il basco e le altre lingue
Queste formule sono chiamate “universali implicazioni”.
3 Sistemi di scrittura:
i più antichi risalgono a tre millenni prima di Cristo. I primi sistemi sono elaborati degli egizi e dai Sumeri: sono del tipo ideografico,
o meglio logografico. Gli altri tipi di scrittura sono il tipo sillabico e il tipo alfabetico.
Nel tipo ideografico ad ogni simbolo (ideogramma) corrisponde un concetto concreto o astratto. Spesso però i simboli ideografici
assumono valore solo fonetico per il "principio del rebus". Per esempio la parola "rondine" in egiziano era indicata col disegno di una
rondine e veniva pronunciata "wr". Anche la parola "grande" veniva pronunciata "wr" e nei testi scritti il disegno della rondine può
indicare sia il sostantivo "rondine" quando l'aggettivo "grande". L'utilizzazione fonetica del simbolo ideografico determinò il
passaggio dal sistema di scrittura ideografico al sistema sillabico.
Nei sistemi sillabici, determinati segni passarono a indicare determinati gruppi di suoni cioè determinate sillabe: ad esempio nel
sumerico "bocca" si pronunciava "ka" e quindi il segno per "bocca" fu utilizzato in varie parole in cui ricorreva la sillaba
"ka".l'adozione di un sistema sillabico riduce molto il numero dei segni.
L'invenzione del sistema di scrittura alfabetico è attribuito ai Fenici, ma fu elaborato da diverse popolazioni semitiche nel secondo
millennio a.C. I Fenici trasmisero solo l'idea dell'alfabeto ai greci. Nei sistemi alfabetici solitamente ad ogni suono corrisponde un
segno ma questo principio ideale comunque non sempre viene rispettato. ex l'italiano "chiesa" ha 5 suoni ma 6 segni. Questa non
perfetta corrispondenza è dovuta al fatto che le lingue mutano nel tempo ma il modo di scriverle non tiene dietro a questi
mutamenti.
I greci costruirono un loro alfabeto adattando alla propria lingua quello fenicio. Dall'alfabeto greco deriva l'alfabeto latino ma anche
l'alfabeto cirillico.
Ovviamente se due lingue usano lo stesso sistema di scrittura non significa che siano apparentate.

CAPITOLO 4. I suoni delle lingue: fonetica e fonologia


Un suono è un fatto fisico. Di tutti i suoni che un essere umano può produrre, solo una piccola parte sono suoni che fanno parte di
una lingua in senso stretto. Ogni lingua ha un suo inventario di suoni (fonemi) e regole proprie per combinare questi suoni in sillabe
e parole. I fonemi possono influenzarsi l'un l'altro e per rendere conto di questi cambiamenti le lingue dispongono di regole
fonologiche. (inventario dei fonemi, regole fonologiche e regole di combinazione dei fonemi variano da lingua a lingua).
1 Fonetica
Vi sono tre tipi di fonetica:
 Fonetica acustica (natura fisica del suono e la sua propagazione)
 Fonetica uditiva (ricezione del suono da parte dell’ascoltatore)
 Fonetica articolatoria (produzione dei suoni)
Un suono è prodotto normalmente dall’aria che viene emessa dai polmoni, sale lungo la trachea, attraversa la laringe, sede delle
corde vocali e dopo aver superato la faringe, l’aria giunge alla cavità orale e fuoriesce dalla bocca. La cavità nasale può essere
esclusa tramite l’innalzamento del velo palatino distinguendo tra suoni orali e nasali.
Per classificare un suono sono necessari tre parametri: Per classificare un suono sono necessari tre parametri:
 modo di articolazione, riguarda i vari assetti che gli organi assumono nella produzione del suono;
 punto di articolazione,è costituito dal punto dell’apparato vocale in cui viene modificato il suono. Infatti il flusso d’aria necessario
per produrre un suono può essere modificato in diversi punti dell’apparato vocale (labbra, denti, alveoli, palato faringe..);
 sonorità,data dalle vibrazioni delle corde vocali: se vibrano si otterrà un suono sonoro altrimenti un suono sordo.
Sulla base di questi parametri è possibile classificare la grande maggioranza di tutti i suoni di tutte le lingue del mondo come si vede
dalla tabella dell'IPA. (International Phonetic Alphabet)
L'alfabeto Fonetico Internazionale risponde alle esigenze fondamentali di usare gli stessi simboli per gli stessi suoni in tutte le lingue.

I suoni possono essere classificati in tre classi maggiori: consonanti, vocali, semiconsonanti. La differenza maggiore è quella tra
consonanti e vocali e si fonda su un fatto di articolazione.
 Vocale: l’aria che fuoriesce non incontra ostacoli; inoltre le vocali sono normalmente sempre sonore.
 Consonante: l’aria o viene momentaneamente bloccata o deve attraversare una fessura molto stretta, possono essere sorde o sonore.
 Semiconsonanti: condividono proprietà sia delle vocali (sono articolate come delle vocali) che delle consonanti (non possono
costituire il nucleo di una sillaba)
Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali sono sonoranti, tutti i suoni che non sono sonoranti sono ostruenti.
I suoni dell'Italiano
p occlusiva,bilabiale, sorda Pane, tappo, stop b occlusiva, bilabiale, sonora Bene, abbastanza
t occlusiva, dentale,sorda Tana, otto, alt d occlusiva, dentale, sonora Dente, adorare
k occlusiva, velare, sorda Caro, Che, accanto g occlusiva, velare, sonora Gara, Ghiro, alghe
m nasale, bilabiale (sonora) Mano, amare, uhm ɱ nasale, labiodentale (sonora) anfora, invidia, inverno
n nasale, alveolare (sonora) Naso, lana, danno ɲ nasale, palatale (sonora) Gnocco, ogni
ŋ nasale, velare (sonora) ancora, anguria l laterale, alveolare (sonora) Lana, palla
ʎ laterale, palatale (sonora) aglio, egli r polivibrante, alveolare (sonora) Rana, carro, per
f fricativa, labiodentale sorda Fame, afa v fricativa, labiodentale sonora Vento, avviso,
S fricativa, alveolare sorda Sano, caSSa, z fricativa, alveolare, sonora Smodato, caSa
ʃ fricativa, palato-alveolare sorda Scemo, aSCesa, slaSH ʒ fricativa, palato-alveolare sonora garaGe, abat-Jour
ts affricata,alveolare, sorda staZione, paZZo dz affricata, alveolare, sonora Zero, azzimato
ʧ affricata,palato-alveolare sorda Cenare, acido, accento ʤ affricata,palato-alveolare sonora Gente, aGire, aggiornare
J semiconsonante palatale sonora Ieri, piede w semiconsonante, velare, (sonora) Uovo, dUomo
Ogni lingua fa delle scelte tra tutti i suoni delle lingue del mondo. L’italiano ne seleziona circa una trentina.
I sette modi di articolazione che concorrono alla produzione di consonanti sono:
 Occlusive (occlusione momentanea dell’aria, seguita da un’«esplosione»); [p, b, t, d, k, g]
 Fricative (l’aria passa attraverso una fessura stretta, producendo una certa «frizione»); [f, v, s, z, ∫]
 Affricate (iniziano come occlusive e terminano come fricative); [ts, dz, t∫, dʒ]
 Nasali (l’aria passa anche attraverso la cavità nasale); [m, ɱ, n, ɲ, ŋ]
 Laterali (la lingua si posiziona contro i denti e l’aria fuoriesce lateralmente); [l , ʎ]
CONSONANTI

 Vibranti (vibrazione dell’apice della lingua o dell’ugola); [r]


 Approssimanti (gli organi articolatori vengono avvicinati, ma senza contatto). [j, w]

I sette punti di articolazione che concorrono alla produzione di consonanti sono:


 Bilabiali (occlusione di entrambe le labbra); [p, b, m]
 Labiodentali (gli incisivi superiori si appoggiano al labbro inferiore); [f, v]
 Dentali (la lamina tocca la parte interna degli incisivi); [t, d]
 Alveolari (la lamina tocca o si avvicina agli alveoli); [s, z, ts, dz, n, l, r]
 Palato-alveolari (la lamina si avvicina agli alveoli ed ha il corpo arcuato); [∫,t∫, dʒ]
 Palatali o Anteriori (la lingua si avvicina al palato); [ ɲ, ʎ, j]
 Velari o Posteriori (la lingua tocca il velo palatino); [k, g, w]

I parametri per classificare le vocali sono:


 Altezza della lingua: Se la lingua assume una posizione alta si produrranno suoni come [i] o [u], se assume una posizione
VOCALI

bassa si produrranno suoni come [a].


 Avanzamento o arretramento della lingua: Se la lingua è in posizione avanzata si produrrà una [i] o una [e], se in posizione
arretrata una [u] o una [o].
 Arrotondamento o meno delle labbra: Se le labbra sono arrotondate si produrranno vocali come [u] o [o], se non sono
arrotondate si produrranno [i] ed [e].
Posterior i alta, anteriore, non arrotondata (vino)
Anteriore
Centrale e e medio-alta, anteriore, non arrotondata (eroico)
(o palatale)
(o velare) ε medio-bassa, anteriore, non arrotondata (elle)
Alte (chiuse) i u a bassa, centrale, non arrotondata (amo)
Medio-alte (semi-chiuse) e o ɔ medio-bassa, posteriore, arrotondata (però)
o medio-alta, posteriore, arrotondata (amico)
Medio-basse (semi-aperte) ɛ ɔ u alta, posteriore, arrotondata (luna)
Basse (aperte) a
Combinazioni di suoni
Le consonanti possono combinarsi insieme formando dei nessi consonantici. Le combinazioni di consonanti non
sono libere, ma soggette a restrizioni: vi è una differenza tra le combinazioni possibili in posizione iniziale e quelle in
posizione interna.
Per esempio [pr] [tr] [fr] sono nessi consonantici possibili in italiano ( prendere, treno, francese); Alcune combinazioni
possibili in posizione interna di parola non sono possibili in posizione iniziale. per esempio [p+r] è una combinazione
possibile sia in posizione iniziale che in posizione interna (prendi, apri), ma [r+p] è possibile solo in posizione interna
(arpa). In italiano se una parola inizia con tre consonanti, la prima deve essere una [s].
Le combinazioni di vocali in una medesima sillaba danno luogo a dittonghi, che possono essere ascendenti
(approssimante seguita da vocale accentata) o discendenti (vocale accentata seguita da un approssimante). Esistono
anche dei trittonghi (miei [mjεi]). La combinazione di due vocali appartenenti a due sillabe diverse da luogo ad uno
iato. (follia, idea, beato).
Suoni e grafia/Trascrizione fonetica
Un sistema è coerente quando ad un suono corrisponde un segno e viceversa, cioè quando si dà una relazione biunivoca
del tipo seguente: suono [b] <-> simbolo b
In italiano si riscontrano le seguenti incoerenze del sistema grafico:
a) due simboli per un solo suono:
cuore/quando [k]
b) due suoni diversi scritti con lo stesso simbolo:
s era/rosa [s] [z]
razza/mezzo [ts] [dz]
c era/c ara [t∫] [k]
c) due/tre simboli per uno stesso suono:
legno gn per [ɲ]
esci sc per [∫]
Le incoerenze nei simboli dell’alfabeto italiano si possono vedere con la rappresentazione in alfabeto fonetico internazionale
dei suoni come vengono pronunciati:
a b c d e f g h i l m
a b t∫ k d eɛ f dʒ g Ø ijØ l m

n o p q r s t u v z
n ɱŋ oɔ p k r sz t uw v ts dz
I suoni possono essere semplici per esempio [t,d,k,tς,dz] o geminati [tt,dd,kk,ttς,ddz]. La lunghezza si indica con due
punti e dunque scriveremo [t:,d:,k:,t:ς,d:z].
Il simbolo IPA per l'accento è ['] e si colloca prima della sillaba accentata. scriverò dunque ['kaza], [lam'pjone],
[intimi'ta]. Sui monosillabi l'accento può non essere segnato. Da ricordare che in IPA non esistono le maiuscole e gli
apostrofi.
Nelle trascrizioni è importante indicare vari tipi di confine: quello di sillaba, quello di morfema e quello di parola.
Il morfema è l'unità più piccola dotata di significato.
Il confine di sillaba viene di norma rappresentato con un punto (.). es. ot.to.bre, ve.lo.ce.men.te
Il confine di morfema è rappresentato con il simbolo (+). es. ottobre, veloce+mente, bar+ista
Il confine di parola è rappresentato con il simbolo (#) e marca l'inizio e la fine della parola. es. #ieri#, #ottobre#
2 Fonetica e fonologia
Mentre la fonetica si occupa dell’aspetto fisico dei suoni (foni), la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni
(fonemi). La fonologia studia:
- quali sono i fonemi di una data lingua e se a una differenza di suono corrisponde una differenza di
significato;
- come i suoni si combinano insieme; in italiano ci sono suoni come [ ʃ ], [t] e [r], alcune combinazioni di questi
suoni sono possibili (rt, tr), altre invece no ( ʃr, ʃt)
- come i suoni si modificano in combinazione. Per esempio il prefisso negativo -s diventa sonoro se aggiunto un
fonema sonoro: s+regolato → [z]regolato ([z] è un'alveolare sonora)
Un suono ha una sua distribuzione (contesti in cui può e non può apparire). I suoni/rumori sono anche detti foni ed hanno
valore linguistico quando sono distintivi: in questo caso sono detti fonemi (un fonema non ha significato in sé ma
contribuisce a differenziare dei significati).
I fonemi contribuiscono a formare delle coppie minime, cioè coppie di parole che si differenziano solo per un suono nella
stessa posizione.
I fonemi sono segmenti fonici che:
- hanno funzione distintiva;
- non possono essere scomposti in elementi più piccoli con le stesse caratteristiche;
- sono definiti solo dai caratteri che abbiano valore distintivo (detti “pertinenti”).
I fonemi sono unità astratte che si realizzano in foni. Essi vengono rappresentati tra barre oblique / /, mentre i foni tra
parentesi quadre [ ]. Il fonema è l’unità che si colloca a livello astratto, e dunque a livello di langue; i foni invece si
collocano a livello concreto e dunque di parole.
Le regole di Trubeckoj.
Per stabilire se due foni abbiano valore distintivo e siano quindi fonemi di una lingua, Trubeckoj ha proposto una serie di
regole:
1) «Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra loro senza con ciò
mutare il significato delle parole o renderle irriconoscibili, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di
due diversi fonemi».
(distribuzione contrastiva. Es: Varo- Faro)
2) «Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si possono scambiare fra loro senza
causare variazione di significato della parola, questi due suoni sono soltanto varianti fonetiche facoltative di un
unico fonema».
si definiscono VARIANTI LIBERE. Es: renna Renna – la [r] alveolare e la [R] uvulare(=r moscia francese) in italiano
possono essere suoni intercambiabili, però lo scambio non da luogo a due parole con significato diverso.
3) «Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi
sono due varianti combinatorie dello stesso fonema»
si definiscono ALLOFONI, cioè varianti dello stesso fonema. (distribuzione complementare)
Es: naso-ancora [nazo] - [aŋkora]

Suoni Intercambiabili?

Si No

Cambiano il Significato?

Si No
FONEMI DIVERSI VARIANTI LIBERE VARIANTI COMBINATORIE allofoni
Bilaterale Multilaterale
Quando la base di comparazione è propria solo dei membri dell’opposizione (la base di comparazione è la parte uguale di due fonemi)
/p/ /b/ /p/ /k/ /t/
occlusive o cclusiva occlusiva occlusiv a occlusiva
bilabiale bilabiale sorda sorda sorda
sorda sonora bilabiale velare dentale
Privative Equipollente
Questa opposizione riguarda quelle coppie di fonemi in cui si potrebbe dire che un fonema ha le proprietà x e l'altro fonema ha tutte
le proprietà x più un'altra proprietà .
/p/ /b/ /p/ /k/ /t/
o cclusiva occlusiv a occlusive occlusive occlusive
bilabiale bilab iale sorda sorda sorda
non sonora sonora bilabiale velare dentale

Costanti Neutralizzabili
Sono opposizioni che funzionano in tutti contesti, Sono opposizioni che in certi contesti non funzionano. In olandese ad
esempio il contrasto tra /t/ e /d/ funziona in posizione iniziale e
interna di parola, ma non funziona in posizione finale. In questo
contesto si trova sempre [t] e mai [d].
Binarismo
Roman Jakobson ha sfruttato le opposizioni privative come base per la sua teoria fonologica nota come binarismo, in cui
ogni elemento viene differenziato dagli altri per una serie di scelte binarie. Se il fonema ha un determinato tratto lo si
designa con il segno "+", se ne è privo con il segno "-".
p b f v t d ts dz s z k g t∫ dʒ ∫ m n ɲ l ʎ r j w
Sillabico - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Consonantico + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + - -
Sonorante - - - - - - - - - - - - - - - + + + + + + + +
Sonoro - + - + - + - + - + - + - + - + + + + + + + +
Continuo - - + + - - - - + + - - - - + + + + + + + + +
Nasale - - - - - - - - - - - - - - - + + + - - - - -
Stridente - - + + - - + + + + - - + + + - - - - - - - -
Laterale - - - - - - - - - - - - - - - - - - + + - - -
Arretrato - - - - - - - - - - + + - - - - - - - - - - +
Anteriore + + + + + + + + + + - - - - - + + - + - + - -
Ril. Ritardato - - - - - - + + - - - - + + - - - - - - - - -
Coronale - - - - + + + + + + - - + + + - + - + + - - -
i e ɛ a ɔ o u
Sillabico + + + + + + +
Arrotondato - - - - + + +
Alto + - - - - - +
Basso - - + + + - -
arretrato - - - + + + +

Regole fonologiche
Una regola fonologica collega una rappresentazione astratta (fonemaica) ad una rappresentazione concreta (fonetica).
Tipicamente le regole hanno la seguente forma:
A→ B/ ___C (si legge A diventa B nel contesto C)
L'alternanza amico ( [amiko] ha una velare sorda [k] ) e amici ([amitʃi] affricata palatale sorda [tʃ] ):
k→ tʃ/___+i ( [k] diventa [tʃ] prima di [i] preceduto da un confine di morfema)
Una velare sonora semplice o geminata viene palatalizzata in una affricata semplice o geminata prima della vocale palatale
[i]: g(:)→d(:)З/___+i
Le parentesi tonde indicano facoltatività.
La nasale dentale /n/ diventa una nasale bilabiale davanti le parentesi tonde e graffe possono combinarsi. Per
a /p,b,m/: esempio:

n→m/___
{} p
b
m
g(:)→ d(:)З/___+
i
e {}
Una regola fonologica può essere formulata sia ricorrendo ai fonemi, sia ai tratti distintivi.
[s]= fricativa alveolare sorda sonora [z]=fricativa alveolare
[s]torto [z]degno
[s]posto [z]baglio
[s]carso [z]garbo
[s]fortuna [z]vaglio
La sibilante resta sorda davanti a consonante sorda [t, p, k, f], ma diventa sonora davanti a consonanti sonore: s→ [z]/____
d, b, v,ʤ, ecc. ; per non menzionare tutti i suoni che sono sonori basca cogliere ciò che hanno in comune: la sonorità .
s → [+ sonoro]/___ [+cons]
[+sonoro] (la sibilante non sonora diventa sonora prima di consonante sonora)
Le regole sono in genere motivate ed operano una ristretta serie di cambiamenti. Le regole fonologiche possono:
dico → dici dico→ dice
cambiare dei tratti [+α]  [-α]/___[+β]
k→ tʃ/____ +i k→ tʃ/____ +e
inserire dei tratti Ø  A/ B In italiano c'è l'inserzione di [i] dopo consonante e prima di
una parola che inizia per [s] seguita da consonate.
In storia→ inistoria
in Spagna→ inispagna
per scritto→ periscritto
Sono note con il nome di metatesi
cambiare l’ordine dei segmenti AB  BA
“le hanno polto i tunti” “le hanno tolto i punti”
A Ø/ B ( la vocale passa a zero prima di confine di morfema).
cancellare segmenti
V→ Ø /_____+ V
fama + oso → famoso golpe + ista → golpista
La regola di cancellazione della vocale non agisce però se la
vocale è accentata:
virtù + oso→ virtuoso indù + ista→ induista
Si otterrà perciò tale regola: vocale non accentata verrà
cancellata quando si trova prima di confine di morfema seguito
da vocale.
Assimilazioni.
Le assimilazioni sono un fenomeno molto rilevante e naturale in tutte le lingue del mondo; esse possono essere totali o
parziali, progressive o regressive.
 Sono totali quando il segmento che causa l'assimilazione rende il i[n+ r]agionevole →i[rr]agionevole
segmento assimilato totalmente uguale al primo;
 sono parziali se il segmento che causa l'assimilazione cambia l'altro in+ probabile →improbabile
segmento solo parzialmente.
 L'assimilazione è progressiva quando il segmento che causa want to→ wanna
l'assimilazione è a sinistra del segmento che assimila (cioè che lo
precede);
 È regressiva quando il segmento che causa l'assimilazione è a destra del dog+[s] → dog[z]
segmento che cambia (cioè che lo segue).

La sillaba
La sillaba, foneticamente parlando, «rappresenta un’unità prosodica costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un
picco di intensità».
Fonologicamente parlando, invece, essa «è vista come una unità prosodica di organizzazione dei suoni».
Ecco la struttura interna della sillaba (σ):
rappresenta una unità costituita da uno o più foni agglomerati intorno a un picco di intensità .
Sillaba σ La sillaba minima è costituita in italiano da una vocale, il nucleo sillabico. Questo
può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda. Il nucleo più coda
costituiscono la rima.
attacco rima L’attacco può essere costituito da una o più consonanti. Il nucleo può essere
costituito da un dittongo (pie- de). Una sillaba si dice aperta o libera se è priva di
coda e finisce dunque in vocale (a, ma), altrimenti è detta chiusa o implicata.
nucleo coda L’unico componente obbligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo;
l’attacco e la coda possono non
a (a) essere presenti.
m a (ma)
c o n (con-durre)
tr o n (tron-co)
a n (an-tico)

Livello della parola cane

Livello della sillaba ca ne


Livello dei fonemi (o livello k a n e
segmentale)
Livello dei tratti distintivi -sill +sill -sill +sill
-ant +arretr +cont +arretr
-son +nas
Fatti soprasegmentali
La fonologia basata sui segmenti viene definita segmentale . Ad esempio, la parola [kane] è costituita da quattro segmenti,
ovvero quattro fonemi /k/ /a/ /n/ /e/ . Vi sono però anche dei fenomeni soprasegmentali, quali:
 la lunghezza riguarda la durata temporale dei suoni e può avere caratteristiche distintive o meno. Alcune lingue come il latino
la lunghezza vocalica ha valore distintivo. In italiano,invece, è la lunghezza consonantica ad essere distintiva.
Es. pena/penna
 l’accento proprietà delle sillabe e non dei segmenti. è una proprietà delle sillabe. Una sillaba tonica è più prominente di una
sillaba atona perché realizzata con maggiore intensità. L'accento può essere contrastivo. Solo nelle lingue con accento non fisso
esso può avere funzione distintiva e dar quindi luogo a coppie minime. Una parola inoltre può avere più di un accento: ad
esempio in "capostazione" vi è un accento primario sulla "o" di "stazione" e uno secondario sulla "a" di "capo". L'accento
primario si marca in apice ['], quello secondario in pedice [,].
 L’intonazione (l’effetto “ melodico” attraverso la modulazione dell’altezza dei suoni nella frase. l'altezza dei suoni non è
uniforme, ci sono picchi e avvallamenti. L'intonazione ha rilevanza sintattica. Le dichiarative hanno una curva melodica con
andamento finale discendente, mentre le interrogative hanno andamento finale ascendente.
 Il tono una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse. Vi sono lingue dove a differenza di altezza di pronuncia
corrispondono variazioni di significato. Sono le lingue tonali. Le lingue tonali si raggruppano in tre aree linguistiche: lingue
amerinde, lingue africane, lingue della famiglia sino-tibetana.

CAPITOLO 5. La struttura delle parole: morfologia


La morfologia è lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere, ossia:
 semplici; [capo]
 complesse:
o derivate:
 prefissate; [ex-capo]
 suffissate; [capetto]
o composte . [capostazione]
Sia le parole semplici che le parole complesse possono poi essere flesse per genere, numero, ecc.
1 La nozione di Parola.
Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei
parlanti. Ogni parlante di italiano dirà che vi sono otto parole nella frase: Italiano Latino
Il ragazzo ha dato una rosa a Maria Il ragazzo Puer
se però traduciamo la frase in latino ( puer dedit rosam Mariae) le parole diventano da otto ha dato dedit
quattro; sorge qui il primo problema: ciò che conta come parola in una lingua non è detto una rosa rosam
che valga anche per altre. a Maria Mariae
Nel confronto tra italiano e latino si osserva che a due parole dell'italiano corrisponde sempre
una sola parola latina.
I criteri per definire una parola sono molti, ma quasi tutti inadeguati.
 «è parola ciò che è compreso tra due spazi» questa definizione di parola è semplice e sembra molto efficace, ma ha un limite
di applicazione: può funzionare solo per le lingue dotate di scrittura non per le lingue che ne sono sprovviste.
 «sono parole le unità della lingua che possano essere usate da sole cioè possono formare un enunciato (“domani” in
risposta a “quando?”) »
 «è parola quell’unità che non può essere interrotta o meglio al cui interno non si può inserire dell'altro materiale
linguistico» ( lat. ‘sentis’, qui non posso inserire nulla ; it. ‘tu senti’, qui si tra “tu” e “senti”).
Pertanto, non cercheremo oltre una definizione di parola, ma assumeremo che «nella maggior parte dei casi un parlante nativo
abbia intuizioni corrette su cosa siano le parole e che sappia identificarle in un discorso».
Tema, radice e forma di citazione:
Si consideri il verbo “amare”. La forma “amare” è la forma di citazione che troviamo sui vocabolari, chiamata anche lemma.
Questa forma rappresenta tutte le forme flesse che il verbo può avere. Le entrate nel dizionario, i lemmi, non sono forme
flesse, sono sempre le forme di citazione.
Convenzionalmente per l'italiano la forma di citazione è la seguente:
1. Verbo: è all’infinito, mentre per le altre lingue vige una tradizione diversa.
2. nome: maschile o femminile singolare
3. aggettivo: maschile singolare o la forma unica di maschile/femminile per gli aggettivi a due uscite ex. bello, felice.
Differenza importante tra un dizionario e un testo: In un testo compaiono forme flesse mentre in un dizionario compaiono
forme di citazioni o lemmi.
Esiste un' operazione che porta dalle forme flesse ai lemmi, chiamata lemmatizzazione. [Es. “amavo” > “amare”]
Importante è la distinzione tra tema e radice in un verbo. Nel verbo “amare” si toglie la desinenza flessiva “–re” e resta “ama”
che è il tema del verbo. Il tema stesso si può analizzare come una radice “am” e una vocale tematica ‘a’.
Le vocali tematiche dell’infinito italiano sono tre: a, e, i . TEMA
ex. contare, temere, sentire
Forma di citazione Radice Voc. tematica
-a
Amare Am-
Temere Tem- -e
Sentire Sent- -i
2 Classi di parole:
Le parole della lingua sono state tradizionalmente raggruppate in classi, o parti del discorso dette anche categorie lessicali.
Secondo le grammatiche scolastiche nell'italiano esistono le seguenti categorie lessicali:
- Nome - Preposizione
PARTI - Verbo - Avverbio
PARTI INVARIABILI
VARIABILI - Aggettivo - Con giun zion e
- Pronome - Interiezion e
- Articolo
Alcune di queste parole assumono desinenze diverse a seconda delle altre parole con cui si combinano. Le classi di parole che
assumono forme diverse sono in italiano: nomi, verbi, aggettivi, articoli, pronomi. Sono perciò detti anche parte del discorso
variabili. Le altre parti del discorso invece sono invariabili.
Altra distinzione è quella tra parole:
 aperte: quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri. [nomi, verbi, aggettivi, avverbi]
 chiuse: sono formate da un numero finito di membri che non può essere aumentato. [articoli, pronomi, preposizioni,
congiunzioni]
Le interiezioni costruiscono un caso un po' particolare, forse è possibile pensare che nuove interazioni possano essere formate
per esempio usando come interiezioni parole appartenenti ad altre classi.
Comunque questo elenco delle nove parti del discorso non è valido per delle lingue del mondo. Alcune parti, come l'articolo,
mancano in tante lingue, ma ci sono anche parti del discorso universali cioè presenti in tutte le lingue: nome e verbo,
probabilmente lo sono.
Problema: quali sono i criteri in base ai quali si dice che una determinata parola è un nome, un verbo o un aggettivo?
I criteri tradizionali sono di tipo semantico, cioè basati sul significato. Il nome designa delle entità e degli oggetti; i verbi
designano delle azioni o dei processi. Esistono però delle parole come ‘descrizione’, ‘nascita’ che non designano oggetti ma
piuttosto processi. Viceversa è abbastanza strano dire che verbi come ‘ sapere’ ‘conoscere’ indicano azioni: piuttosto designano
degli stati.
Si suppone che le parole siano immagazzinate nella memoria dei parlanti: è del tutto plausibile che le parole siano
immagazzinate nella memoria insieme alla loro categoria lessicale; il fatto che ad ogni parola corrisponda una categoria lessicale
limita fortemente le combinazioni possibili delle parole.
Le parti del discorso possono essere perciò riconosciute in base a criteri puramente distribuzionali.: i nomi, i verbi, gli aggettivi
ecc saranno definiti in base alle altri classi di parole insieme alle quali possono, o no, ricorrere.
Categorie e sottocategorie:
Un parlante sa, dunque, che ragazzo, cane, libro sono parole, ma sa anche che sono dei nomi con proprietà diverse. Ci sono infatti
dei tratti che suddividono la categoria del nome, in altre sottocategorie del nome. Si considerino questi esempi:
 il ragazzo legge il libro
il soggetto del verbo leggere deve avere un nome di persona
 *il cane legge il libro
o, come si dice tecnicamente, un nome marcato con il tratto [+umano];
 *la virtù legge il libro
Questi tratti suddividono la categoria "nome" in sottocategorie del nome (umano, comune, numerabile, animato, astratto).
ad es: +umano [persona),-umano [non è nome di persona) -comune [equivale a proprio) –astratto [equivale a concreto).
Ragazzo→ nome comune numerabile umano non astratto
libro→ nome comune numerabile non umano non astratto
Il tratto [+/- numerabile] divide i nomi in nomi che possono essere contati, come il libro, e nomi che non possono essere
contati, cioè nomi massa come zolfo. I nomi non numerabili non hanno il plurale ma se ce l'hanno, questo ha significato
particolare o idiosincratico (ex. “la rottura della acque”).
Anche i verbi possono essere suddivisi in sottocategorie:
transitivi o intransitivi, regolari o irregolari; possono avere -ata -iera -eria -oso -atico
una costruzione progressiva ex. “sto leggendo” o verbi, detti
- - - - -
stativi che non possono avere questa costruzione ex. “*sto Gianni
sapendo la risposta”. bambino + - - - - bambinata
Tutte queste categorie e sotto categorie sono fondamentali
coniglio - + - - - conigliera
per il funzionamento delle parole sia in sintassi che in
morfologia. Tutte le informazioni associate ad una libro - - + - - libreria
determinata parola nella sua presentazione lessicale
virtù - - - + - virtuoso
servono per il funzionamento dei processi morfologici che
possono riguardare quella parola. luna - - - - + lunatico
Se consideriamo nomi propri come “Gianni”, nomi comuni
come “bambino”, nomi di animali come “coniglio”… si constaterà che ognuno di essi può comparire assieme a certi suffissi ma non
a tutti.
3 Morfema
Un morfema è al più piccola parte di una lingua dotata di un significato. Esso è un "segno linguistico" ed è dotato, quindi, di un
significato e di un significante.
Boys [boy+s] libri [libr+i] i due morfemi sono quelli riportati nelle parentesi quadre
Va specificato che “boy” e “libr-“ sono dei morfemi lessicali, mentre -s e -i sono dei morfemi grammaticali.
• Morfemi lessicali: sono le forme che hanno un significato lessicale, che non dipendono ciò dal contesto (nomi, verbi,
aggettivi, ecc);
• Morfemi grammaticali: sono le forme che esprimono un concetto grammaticale e ricevono in parte significato da
contesto in cui compaiono.
Es: “di donna”→ “donna” è un morfema lessicale e il suo significato non cambia a variare del contesto linguistico; il morfema
grammaticale “di” è legato in gran parte al contesto (donna di classe; il cane di Paolo)
Osservazione:
 la distinzione tra morfemi lessicali morfemi grammaticali non è sempre netta;
 la frequenza di queste classi di morfemi nei testi si avvicina al 50% cioè molto spesso un’alternanza perfetta tra morfemi
lessicali e morfemi grammaticali.
Un morfema può essere così "piccolo" da essere costituito da un solo fonema: morfema – s del plurale inglese, è costituito da un
solo fonema /s/ ; in italiano un morfema da una sol fonema è la congiunzione e o la preposizione a.
Generalmente un morfema è costituito da più fonemi.
Morfemi liberi e legati.
I morfemi possono essere:
• Morfemi liberi: ricorrono da soli in una frase, e dunque bar, ieri, virtù sono morfemi liberi;
• Morfema legati: non possono ricorrere da soli in una frase. Per poterlo fare si debbono"aggiungere" a qualche altra
unità, e dunque -s dell'inglese (boy-s) o -i in italiano ( libr-i).
Morfemi liberi Morfemi legati
• Di, voi, che, • Flessivi (singolare e plurale)
ecc • Tutti i suffissi e tutti i prefissi
• Tutte le desinenze del verbo
Inglese Italiano
Parola e morfema:
table Tavol+o
Le parole “boys”e “libri” sono composte da due morfemi sono cioè bimorfemiche.
nice carin+o
Generalmente in inglese le parole semplici sono monomorfemiche, in italiano
walk cammin+a+re
generalmente nomi ed aggettivi semplici sono bimorfemici, mentre i verbi
regolari sono trimorfemici.
Le parole complesse possono essere trimorfemiche ed oltre:
inutilità→ in + util(e) + ità
dolcissimamente→ dolc(e) + issim + a + mente
applicando la definizione di morfema a boys e a ragazzi otteniamo risultati diversi:
boys → boy + s ( boy è un morfema libero)
ragazzi → ragazz + i ( in italiano non si può utilizzare solo ragazz che non è un morfema libero)
Per le parole semplici dell' inglese può valere una definizione che per l'italiano non vale.
Morfema e allomorfo.
Il termine morfema designa propriamente una unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo (o
morfo). La distinzione è parallela a quella vista in fonologia tra fonema e allofono.
fonologia morfologia
l iv el lo astratt o fonema morfema
l iv el lo concreto allofoni allomorfi
Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo. Vi sono casi però in cui un morfema può essere rappresentato
da più allomorfi:
es. formazione plurale in inglese
cat→ cats [s] dog→ dogs [z] dash→ dashes [Iz]
Foneticamente si riscontrano tre realizzazioni diverse:
a) [s] dopo consonanti sorde come [k, t, p, f];
b) [z] dopo consonante sonore come [b, g, d, v, l, m, n, r] e vocali;
c) [Iz] dopo consonanti stridenti come [s, z, ʃ, tʃ , ʤ ].
in casi come questi si dice che i tre allomorfi hanno distribuzione complementare:
morfema del plurale s
aspetto Aspetto di
 capostazione è formato da due nomi (capo+stazione) che intrattengono tra di loro
allomorfi s z formazione Iz

Un caso di allomorfia in italiano è quello dell'articolo maschile: i e gli sono due allomorfi.
4 Flessione, derivazione, composizione
I processi morfologici più comuni sono:
 la derivazione (affissi)
o prefissazione (ex+marito) affisso a sinistra
o infissazione (cant+icchi+are) affisso nel mezzo
o suffissazione (dolce+mente) affisso a destra
 la composizione (capo+stazione, dolce+ amaro) : forma parole nuove a partire da due parole già esistenti
 la flessione (bello →belli, amare → amava) La flessione “ aggiunge” alla parola di base informazioni relative a genere,
numero, caso, tempo, modo, diatesi, persona.
5 Morfologia come “processo”.
Una categoria lessicale, come ad esempio il verbo, può o “nascere” come tale oppure può “diventare” verbo attraverso vari
processi:
V rompere
V→ V giocare→ giocherellare aspetto dinamico della morfologia
A→ V attivo→ attivare Esistono diverse modalità che possono portare alla categoria
N→ N→ V palla→ palleggio→ palleggiare “verbo”
N→ A→ V centro→ centrale→ centralizzare

Consideriamo la parola indubitabilmente. Se ci si chiede come quest'avverbio può essere costruito, si può supporre che
all'aggettivo “indubitabile” sia stato aggiunto il suffisso -mente:
indubitabile aggettivo di base
indubitabile+ mente aggiunta di -mente
indubitabilmente cancellazione di e
La parola indubitabilmente è stata costruita attraverso una serie di processi ognuno dei quali ha portato a una nuova categoria:
verbo aggettivo aggettivo avverbio
[dubita]v [[dubita]v+bile]A [in[[dubita]v+bile]A]A  [[in[[dubita]v+bile]A]A+mente]Avv Aspetto di formazione
tema del verbo Aggiunta di -bile Aggiunta di in- “dinamico”
Aggiunta di –mente
 [indubitabilmente]Avv
Cancellazione di -e-
Per quel che riguarda la composizione, ci si concentra o solo sul processo, oppure sul risultato
 capostazione è formato da due nomi (capo+stazione) che intrattengono tra  dolceamaro è un aggettivo
di loro relazioni di tipo grammaticali e semantiche;  capostazione è un nome
 dolceamaro è un aggettivo formato da due aggettivi (dolce+amaro) che
stanno tra loro in un rapporto di coordinazione
Ci si domanda quali nomi, aggettivi, verbi possano essere combinati per formare parole composte, dato che non tutte le
combinazioni portano a risultati accettabili:
Nome-Nome *capo-telefono Aggettivo-Aggettivo *dolce-vecchi
*luce-interrogazione *amaro-dispari
Si affronta ora la questione dell'ordine degli elementi costitutivi dei composti, detti costituenti (capostazione è un composto ben
formato, mentre stazione-capo non lo è).
Ci si pone il problema di capire attraverso quali vie sono state formate le parole:
 Composizione: combina due forme libere
 Derivazione: combina una forma libera e una legata.

Prefissazione Suffissazione
 aggiunge un morfema a sinistra della parola  aggiunge un morfema a destra della parola (veloce+mente e
(in+attivo, ri+scrivere). amministra+zione)
 non cambia la categoria lessicale della parola cui si  Si tratta in genere di aggiungere una forma legata a una forma
DERIVAZIONE

aggiunge, libera. I suffissi sono “regole” che si applicano con diverse


I prefissi dell’italiano funzioni grammaticali: per cambiare categoria, per cambiare
Analizzando i prefissi dell’italiano si vedono che non alcuni tratti formali, per dare una sfumatura di significato.
tutti si possono aggiungere a tutte e tre le categorie di  di norma cambia la categoria lessicale; essa può operare i
Nome, Aggettivo e Verbo. Inoltre alcuni prefissi sono seguenti cambiamenti di categoria, o sottocategoria:
produttivi in relazione a linguaggi settoriali. N→ V V→ N
-are/ire: film filmare -ata: cammina(re)-camminata
Infissazione fiore fiorire -tore: lavora(re) –lavoratore
Nelle lingue indoeuropee, l’infissazione è un fenomeno -eggiare: alba albeggiare
di gran lunga più marginale rispetto a suffissazione e N→ A A→ V
prefissazione. (mangi-ucchi-are, dove -ucchi- è inserito -ale: morte mortale -are/ire: calmo calmare
all’interno di mangiare) -oso: fama famoso snello snellire
In questo tipo di processo, un morfema legato si -ese: Milano milanese -ificare: beato beatificare
aggiunge all’interno della base. N→ N
Tipico infisso italiano potrebbe essere –isc che compare -ista: Petrarca petrarchista
in una voce come ‘finisco’, ma non in una voce come -ismo: Mao maoismo
‘finiamo’. -ato: Console consolato
L’infissazione è molto più spesso un fenomeno
Suffissi dell’italiano
flessivo che derivazionale.
I suffissi dell’italiano possono essere raggruppati in grandi
categorie, che possono anche incrociarsi:
 deverbali che formano nomi da verbi
 che formano nomi agentivi [+umano] o strumentali [-umano]
 valutativi (diminutive, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi, ecc.)
Altri processi.
Vi sono altri processi morfologici che non consistono propriamente nella giunta di un morfema ad una base, tra questi
ricordiamo:
• conversione: che consiste in un cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto
(Es. Da aggettivo vecchio a nome il vecchio);
• reduplicazione ( o raddoppiamento): che consiste nel raddoppiamento di un segmento e può essere parziale o totale, essa
può riguardare la flessione, la composizione, la derivazione;
Es. Giak “mandare” gi- giak “messaggero”
kursi “sedia” kursi kursi “sedie”
• parasintesi: formata da prefisso+base+suffisso, dove né prefisso+base né base+suffisso sono parole dell’italiano. Può
essere sia verbale che aggettivale.
Es. “abbottonare” a-botton-are, ma né ‘abbottone’, né ‘bottonare’ esistono
“ingiallire” in-giall-ire, ma né ‘ingiallo’, né ‘giallire’

6 Allomorfia e suppletivismo
o Suppletivismo: quando in una serie morfologicamente omogenea, si trovano radicali diversi che intrattengono
evidenti rapporti semantici senza evidenti rapporti formali.
 vad-o va-i va-nno vs. and-iamo anda-te anda-i and-rei
 acqua vs. idr-ico
 cavallo vs. equ-estre vs. ipp-ico
Si parla di suppletivismo forte quando vi è completa alternanza di radici (vado / andiamo, cavalleria/equestre/ippico) e di
suppletivismo debole quando vi è una base comune (Arezzo / aretino).
o Allomorfia: quando nello stesso paradigma morfologico si trovano alternative formali dello stesso radicale (alternanza
motivata fonologicamente)
 Marte à Marziano
 perfetto à perfezione ( [t] à [ts] )
I fenomeni di suppletivismo non sono prevedibili e devono essere esplicitamente rappresentati nel Lessico.
I fenomeni di allomorfia sono prevedibili (applicazione di regole) e non devono essere «scritti» nel Lessico.
Siccome non è sempre semplice distinguere tra i due tipi di suppletivismo e nemmeno tra suppletivismo e allomorfia, almeno per
questo ultimo caso si usa il criterio della distanza fonologica (conto del numero di segmenti diversi tra una forma e l'altra). Le
alternanze suppletive sono rappresentate nel lessico, quelle allomorfiche sono il frutto di una regola di aggiustamento.
7 Testa in derivazione
Quando si mettono insieme due costituenti per formare una costruzione linguistica più complessa, i due
costituenti non sono sullo famoso A stesso piano: uno è più importante dell’altro, per esempio è quello che
attribuisce a tutta la costruzione la categoria lessicale e molte altre proprietà.
Ad esempio: fama N oso Fama→ famoso
A Amministra(re)→ amministrazione
Veloce→ velocizzare
Queste tre categorie di ‘arrivo’ sono date dai suffissi. Si dirà che in queste parole d’esempio la testa (elemento di destra in
derivazione) è – oso, -zione, -izzare . Il meccanismo che trasmette a tutta la costruzione le informazioni necessarie è detto di
percolazione e si rappresenta:

La suffissazione cambia quasi sempre la categoria della base e sempre i suoi tratti sintattico-semantici (ad eccezione dei suffissi
valutativi che non sono teste visto che non cambiano mai ne categoria ne tratti). La prefissazione non cambia mai la categoria
della base che rimane dunque anche testa. In altri termini, in italiano, si può generalizzare che la testa è l’elemento di destra in
derivazione.
8 Composizione
Si definiscono parole semplici quelle parole che non sono scomponibili in segmenti più piccoli di senso compiuto (parole non
derivate o composte). Si definiscono parole complesse quelle parole che sono scomponibili in segmenti più piccoli di senso
compiuto (parole derivate e/o complesse).
La composizione consiste nell’unione di due forme libere, di due “parole” nella stragrande maggioranza.
[ ]X ,[ ]Y [ [ ] X [ ] Y ]Z
Nella composizione le due parole che vengono combinate esprimono una relazione grammaticale che è nascosta, ma che tuttavia
è “recuperabile” (Es. capostazione → capo (della) stazione).
Le regole della composizione possono combinare diverse categorie lessicali, ma l’uscita è di norma un nome.
N+N→N capostazione V+N→N porta bagagli
A+N→N gentildonna P+N→N sottoscala
Le uniche eccezioni riguardano il caso in cui:  sono coinvolti due aggettivi A+A→A agrodolce
 l’aggettivo sia un aggettivo di un colore A+N→A Grigio perla
Composti dell'italiano
(61) viene mostrata una lista delle possibilità combinatorie della composizione in italiano.
Non tutte le combinazioni sono possibili. Si può concludere che la composizione in italiano forma essenzialmente nomi, tranne in
due casi e cioè quando il composto è formato da due aggettivi o quando il composto è formato da un aggettivo di colore più nome
ex. giallo oro.
Si consideri un composto come “camposanto”. La struttura è rappresentabile

Diremo che un costituente è testa di un composto quando tra tale costituente e tutto il composto vi è identità sia di categoria che
di tratti sintattico-semantici. E’ dalla testa del composto che passano a tutto il composto: le informazioni categoriali, i tratti
sintattico semantici e il genere.
Vi sono lingue in cui la testa dei composti può essere identificata “ posizionalmente”. In inglese si dice che “ la testa è a destra”,
visto che la categoria lessicale di tutto il compost è sempre uguale alla categoria del costituente a destra. In italiano la situazione
è più complessa. La regola sincronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera composti con
testa a sinistra. Non tutti i composti però hanno una testa (es. saliscendi, portalettere, sottoscala).
Distingueremo dunque tre tipi di composti sulla base della presenza o meno di una testa:
 composti endocentrici (uno dei costituenti è la testa);
 composti esocentrici (nessuno dei costituenti è la testa);
 dvandva (entrambi i costituenti sono teste del composto).
Un’ulteriore classificazione è stata fatta sul tipo di relazione grammaticale implicita fra i due costituenti del composto
individuando tre tipologie:

 subordinati (es. portalettere in cui lettere è oggetto di portare)


 coordinati (es. nave traghetto in vi è una coordinazione con operatore “ e”)
 attributivi/appositivi (es. cassaforte in cui forte è un’attributo di cassa)

9 Flessione
Una delle variazioni morfologiche più comuni è la flessione. La morfologia da luogo a forme flesse di parola, ovvero a forme
che esprimono, oltre ad un significato lessicale, anche uno o più significati grammaticali.
Possiamo dire che la flessione è realizzata tramite morfemi legati che si aggiungono a basi che necessitano marche
grammaticali di qualche tipo. Le informazioni grammaticali, dette morfosintattiche perché danno ‘istruzioni’ rilevanti sia in
morfologia che in sintassi, si distinguono tramite diverse categorie. Queste categorie assumono dei valori, rappresentati da
tratti.
Le categorie morfosintattiche sono ad esempio il numero, il genere, il caso, il modo, il tempo, l’aspetto, ecc.
I tratti morfosintattici sono invece I valori che ogni categoria può assumere.
Es: Libr-o
La categoria morfosintattica ‘numero’ del nome è espresso da – o . Tale categoria ha, in italiano, due possibili tratti, cioè il
plurale e il singolare. I tratti che le varie categorie morfosintattiche possono assumere sono di due tipi:
 tratti inerenti sono quelli insiti nella parola che non vengono cambiati in alcun contesto (genere dei nomi come “la
donna” o “il cane”)
 tratti contestuali sono legati al contesto in cui la parola viene a trovarsi (come l’accordo di genere e di numero negli
aggettivi italiani)
In italiano anche il verbo si può flettere nelle categorie di tempo, aspetto, modo e diatesi.

CAPITOLO 5. La struttura delle parole: morfologia


Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la morfologia.
Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. Le parole
possono essere semplici o complesse. Le parole complesse sono quelle che derivate (che possono essere prefissate o suffissate) o
composte. Sia le parole semplici che quelle complesse possono essere flesse.
Le parole di una lingua sono tradizionalmente raggruppate in classi (o parti del discorso) dette anche “categorie lessicali”. Ad
esempio, in italiano abbiamo: il nome (Mario/casa/libertà), il verbo (mangiare/prendo/andò), l’aggettivo (incredibile), il pronome
(io/lei/ci), l’articolo (il/la/un), la preposizione (di/a/con), l’avverbio (incredibilmente/subito), la congiunzione (e/ma/o) e
l’interiezione (ehi/ahi). Le classi di parole che assumono forme diverse sono, in
italiano: i nomi, i verbi, gli aggettivi, gli articoli e i pronomi; esse perciò sono dette parti del discorso “variabili”. Le altre parti del
discorso (avverbi, preposizioni congiunzioni e interiezioni), sono dette “parti invariabili”.
Un’altra distinzione è quella tra classi di parole aperte e parole chiuse: le aperte sono quelle a cui si possono sempre aggiungere
nuovi membri (nomi, verbi aggettivi e avverbi). Le chiuse sono quelle composte da un numero finito di elementi a cui non è possibile
aggiungerne di nuovi (articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni).
Ovviamente le parti del discorso non sono uguali per tutte le lingue (in alcune lingue ad esempio è utilizzato l’articolo), tuttavia vi
sono delle parti che sono universali (probabilmente nome e verbo lo sono).
Un morfema è la più piccola parte di una lingua dotata di significato. Un morfema è un segno linguistico ed è quindi costituito da un
significante e da un significato.
Importante è la differenza fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. Quelli lessicali identificano le forme che hanno un
significato lessicale, cioè non dipendono dal contesto (nomi, aggettivi, verbi). I morfemi grammaticali esprimono le funzioni
grammaticali (pluralità, genere) e ricevono significato dal contesto in cui si compaiono. Ad esempio prendiamo la parola libri,
notiamo che è composta da due morfemi: libr – i. Il significato di libr- è insieme di fogli stampati (morfema lessicale) il significato di –
i è maschile, plurale ( morfema grammaticale).
Il termine morfema designa un’unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo. La distinzione (tra livello
astratto e realizzazione concreta) è parallela a quella vista in fonologia (fonemi/allofoni). Si parla, invece di “suppletivismo”
quando in una serie morfologicamente omogenea, si trovano radicali diversi che intrattengono rapporti semantici senza evidenti
rapporti formali (andare/vado radice and- e radice vad-).
Le parole semplici possono subire diversi tipi di modificazione. I processi morfologici più comuni sono: la derivazione, la
composizione e la flessione.
La derivazione è l’aggiunta di una forma legata (affisso) ad una forma libera e raggruppa tre diversi processi: -
prefissazione (prefissi) es. fortunato/S-fortunato marito/ex-marito.
- suffissazione (suffissi) es. dolce/dolcemente virtù/virtuoso.
– infissazione (infissi) non presente in italiano es. kuhbil/kuhKAbil (aggiunta dell’infisso ka in lingua ulwa).

La composizione forma parole nuove a partire da due parole esistenti. (Es. capo/stazione = capostazione). La
flessione aggiunge, alla parola di base, informazioni relative a genere, numero, caso, tempo, modo etc etc. (es.
genere = bellO/bellA tempo = amare/amAVA numero = grandE/grandI). La
maggior parte dei composti ha una “testa” (sono endocentrici) dalla quale derivano tutte le informazioni necessarie al composto per
funzionare sintatticamente (capo-stazione / capI-stazione). In realtà pero non tutti hanno una testa (es. dormiveglia, portalettere,
pellerossa) in questo caso il composto è esocentrico.

CAPITOLO 6. Lessico e lessicologia

Così come ci sono due accezioni di grammatica (quella mentale dei parlanti/ e grammatica compilata dai linguisti) ci sono due
accezioni di lessico: uno è il “lessico mentale” dei parlanti e l’altro è quello del dizionario. Di solito lessico si
oppone a grammatica, così come “memorizzare” si oppone a “costruire tramite regole”. Le parole di una lingua sono
memorizzate, mentre le frasi sono costruite tramite regole e variano sempre. Semplificando molto si ha: morfema ˃
parola˃ sintagma ˃ frase.

Con lessico mentale si intende un sottocomponente della grammatica dove sono immagazzinate tutte le informazioni (fonologiche,
morfologiche, semantiche e sintattiche) che un parlante sa della propria lingua. Dunque si intende, non solo la conoscenza delle
parole ma anche il loro funzionamento nei vari contesti.

Un dizionario non è un tentativo di descrivere la competenza lessicale di un parlante, infatti contiene un numero enorme di parole,
spesso a noi sconosciute. un dizionario si pone piuttosto al livello della langue, nel senso che è l’insieme di parole utilizzate da tutta
una comunità linguistica (contiene anche parole di lessici specifici). Un dizionario è costituito da entrate lessicali o
lemmi e non da forme flesse. Quindi è necessario lemmatizzare le parole, cioè ricondurre le parole flesse alla loro forma base (es.
amavo si riconduce ad amare/ casetta = casa).

Le entrate di un dizionario sono in maggioranza parole semplici (non flesse). Ma capita di trovare anche altre unità, tra cui: forme
lessicalizzate e sigle. Sono casi di lessicalizzazione le espressioni idiomatiche (tagliare la corda..) ma anche unità originariamente
frasali (nontiscordardimè). Le sigle invece spesso sono abbreviazioni di unità più lunghe, nella maggior parte dei casi per
cancellazione (Società Per Azioni diventa S.P.A.).

Il lessico di ogni lingua è stratificato, nel senso che è costituito da vari strati (spesso dovuti a contatti fra sistemi linguistici, prestiti
etc.). Lo strato centrale è quello detto nativo e gli altri sono detti strati periferici. Distinzioni di questo tipo sono
importanti, perché affissi diversi spesso scelgono strati lessicali diversi. Di solito radici native si aggiungono
ad affissi nativi e radici dotte ad affissi dotti. Ad esempio in inglese i suffissi di tratto latino (-ity) si aggiungono solo alle parole di
origine romanza (es. profane = profanity ma non strong = strongity) anche se il suffisso nativo –ness non fa discriminazione
(common = commonness / white = whiteness).

In un dizionario normale i lemmi sono in ordine alfabetico (l’ordine va dunque da sinistra verso destra). Se si inverte questo principio
(cioè si ordinano i lemmi a partire da destra), ovviamente si ha un risultato diverso. Questo è il metodo utilizzato dai dizionari
inversi, che sono molto importanti per chi fa ricerche in ambito linguistico, perché si ottengono liste di parole che terminano con le
stesse lettere e quindi con lo stesso suffisso.

CAPITOLO 7. La combinazione delle parole: sintassi

Una lingua, ovviamente, non è formata da parole isolate ma anche dalle combinazioni di queste parole. Inoltre non tutte le
combinazioni sono possibili (nel senso che non tutte sono grammaticali o “ben formate”). Bisogna inoltre tenere a mente che la
grammaticalità di una frase è indipendente dal senso ad esempio queste tre frasi: - la ragazza di marco suona bene il
pianoforte (grammaticale e ha un senso logico) - il cerchio quadrato suona la cornamusa
(grammaticale ma priva di senso logico) - cane il vedere dentro benissimo
(agrammaticale e priva di senso logico, è “un’insalata di parole”)

Dunque è chiaro che alcune combinazioni di parole possono essere ben formate, mentre altre no. La parte della linguistica che si
occupa di questo è la sintassi. L’oggetto della sintassi sono, dunque, la frase e le altre combinazioni possibili di parole ( sintagmi =
gruppi di parole).

Uno dei meccanismi fondamentali che determinano il raggruppamento delle parole è la valenza verbale. È facile
notare che alcuni verbi devono essere accompagnati da un certo numero di parole: un verbo come “catturare” ad esempio, richiede
la presenza di due gruppi nominali (il poliziotto catturò il ladro) altrimenti non sarebbe una frase ben formata (il poliziotto catturò
…???). Invece altri verbi come, ad esempio, camminare, devono essere accompagnati da un solo nome o gruppo nominale (gianni
cammina).

I verbi, dunque, come gli elementi chimici hanno bisogno di essere accompagnati da un numero determinato di altri elementi per
ottenere una frase ben formata; hanno dunque una “valenza verbale”. Gli elementi che sono richiesti obbligatoriamente dai verbi
sono detti argomenti, quegli elementi che, invece, possono essere aggiunti facoltativamente sono detti circostanziali e possono
spostarsi all’interno della frase (mobilità posizionale). Il quadro completo delle classi verbali dal punto di vista della
valenza è il seguente: - verbi avalenti (o zerovalenti) = non accompagnati da
alcun argomento (es. verbi meteorologici come “piove”). – verbi monovalenti = un argomento (verbi intransitivi come:
camminare/parlare/morire/arrivare..). – verbi bivalenti = due argomenti (verbi transitivi come:
catturare/compiere/favorire/lanciare/piantare..). – verbi trivalenti = tre argomenti (i cosiddetti verbi di “dire” e di
“dare”).

Quindi possiamo affermare che in una frase italiana sono presenti: 1) il verbo, 2) il numero degli argomenti che esso richiede in base
alla sua valenza e 3) facoltativamente, uno o più circostanziali. La stessa funzione di argomento, o
di circostanziale, può essere svolta indifferentemente da una parola sola o da un gruppo di parole (sintagma). È abbastanza intuitivo
riconoscere quali parole fanno gruppo insieme ad altre. Esistono, comunque anche alcuni criteri che ci permettono di individuare i
gruppi di parole: - uno di questi criteri è quello del “movimento” (le parole che fanno parte di un
gruppo si spostano insieme). – un altro criterio è quello della “enunciabilità in isolamento” (dato un contesto
opportuno, le parole che formano un gruppo possono essere pronunciate da sole, cioè non inserite in una frase
completa). – il criterio della coordinabilità (le parole che appartengono a classi diverse non sono tutte
intercambiabili l’una con l’altra e lo stesso avviene per i gruppi di parole o sintagmi).

I gruppi possono essere suddivisi in varie categorie a seconda di quale è la parte centrale (o testa) del gruppo: - i gruppi la
cui testa è una preposizione (a mezzanotte/per caso) sono detti gruppi o sintagmi preposizionali (SP). – i gruppi la cui
testa è un nome (il poliziotto/Mario/un cane) sono detti gruppi o sintagmi nominali (SN). – i gruppi la cui testa è un
verbo (piove/catturò il ladro) sono detti gruppi o sintagmi verbali (SV). – i gruppi la cui testa è un aggettivo
(molto buono/davvero sciocco) sono detti gruppi o sintagmi aggettivali (SA).

I sintagmi sono i costituenti della frase; possono essere costituiti da altri sintagmi fino alle singole parole, che sono i costituenti
ultimi della sintassi. I sintagmi possono essere semplici (costituiti dalla sola testa che è l’unico elemento indispensabile) oppure
molto complessi.
Ci sono tre tipi di entità indicate come frasi: 1)
espressioni di senso compiuto che sono gruppi di parole con struttura predicativa (l’albero è verde). 2)
espressioni di senso compiuto che non sono gruppi di parole e non hanno struttura predicativa (Gianni!/ahi!). 3) strutture
predicative che, da sole non sono espressioni di senso compiuto (… che aveva appena svaligiato).
I tipi di frasi sono ovviamente diversi tra loro. Una prima distinzione è quella tra frasi semplici e frasi complesse. La frase semplice
non contiene altre frasi, mentre la frase complessa (o periodo) contiene altre frasi. Il rapporto tra le frasi semplici che costituiscono
una frase complessa può essere di coordinazione o di subordinazione.
Le frasi si possono dintinguere anche in base al punto di vista della modalità. Si dividono in: -
dichiarative = il ladro è scappato / Gianni è partito -
interrogative (a loro volta divise in interrogative “si-no”= gianni è partito? o “wh”= chi è partito?/dove vai?) -
imperative = Gianni, parti! / prendi quel libro / sta attento! -
esclamative = che sorpresa mi hai fatto!! / che bello vederti!!
Il punto di vista della polarità distingue le frasi affermative dalle negative (Gianni è partito/Gianni non parte).
Il punto di vista della diatesi distingue le frasi attive dalle passive (Gianni ama Maria/Maria è amata da Gianni).
Il punto di vista della segmentazione oppone due tipi di frasi come le seguenti: - non
avevo mai letto questo libro / questo libro, non lo avevo mai letto (in cui il sintagma “questo libro” è messo in evidenza). Questo è
un esempio di frase segmentata. Vi sono vari tipi di frasi segmentate: -frasi - con
disclocazione a sinistra = quel goal, non lo avevo ancora visto dislocate
- con dislocazione a destra = non lo avevo mai visto, questo film
- frasi a tema sospeso = questo signore, Dio gli ha toccato il cuore
- frasi scisse = è questo libro che non avevo mai letto
- frasi focalizzate = Gianni ha preso la macchina, non Paolo!
Le frasi dipendenti sono suddivise in: argomentali (cioè quelle frasi che apportano gli argomenti necessari al verbo della frase
principale) , circostanziali (che apportano informazioni facoltative) o relative. A sua volta le arg omentali si suddividono in:
soggettive, completive (oggettive o nominali) e interrogative indirette. Mentre le relative si distinguono in restrittive e appositive.

soggettive

argomentali interrogative
indirette
oggettive

completive nominali
frasi dipendenti circostanziali

restrittive
relative
appositive

Ci sono diverse possibili definizioni di soggetto e predicato, molte sono imparziali. Quella che risulta più esatta è: “il soggetto è
quell’argomento che ha, obbligatoriamente la stessa persona e lo stesso numero del verbo”. “ il predicato indica l’azione
compiuta, oppure subita dal soggetto”. Tuttavia queste definizioni valgono
solo per un livello di analisi sintattico. A livello semantico al posto del soggetto parleremo invece di Agente mentre il predicato sarà
azione (nelle frasi che non esprmono un’azione del tipo “gianni teme la guerra” soggetto = esperiente / predicato = stato). E ancora
a livello comunicativo avverrà una distinzione tra tema (al posto del soggetto) e rema (al posto del predicato).
Le parti del discorso si dividono in variabili e invariabili. Le desinenze delle parti del discorso variabili esprimono le categorie
flessionali, ad esempio: il genere/ il caso/ il numero/ il tempo/ la persona/ il modo. Le “categorie flessionali”
si oppongono dunque alle “categorie lessicali” (cioè alle parti del discorso). Per esempio due parole come: bellO/bellA
appartengono alla stessa categoria Lessicale ma diverse dal punto di vista della categoria flessionale (generi diversi).
Se due parole hanno le stesse categorie flessionali (entrambe maschili/plurali etc..) si parla di accordo.
Se, invece una parola ha una determinata categoria flessionale perché questa le è stata assegnata da un’altra parola con categorie
flessionali diverse, allora si parla di reggenza.
Le categorie linguistiche non sono un semplice rispecchiamento delle categorie della realtà, ma rappresentano un sistema
organizzato secondo principi indipendenti.

CAPITOLO 8. Il significato e l’uso delle parole e delle frasi: semantica e pragmatica


La semantica è lo studio del significato delle espressioni linguistiche, pragmatica, invece è lo studio del loro uso.
La nozione di verità è molto importante per stabilire la definizione di significato: infatti, comprendere il significato di una frase è
comprendere le condizioni in cui essa risulta vera. Quindi secondo queste teorie, la semantica consisterebbe in un “rapporto di
denominazione tra il linguaggio e la realtà che ci circonda”. Tuttavia il rapporto tra linguaggio e realtà non è così semplice: ci sono
relazioni tra espressioni linguistiche che qualunque parlante può cogliere senza bisogno di far entrare in gioco il rapporto fra lingua e
realtà. (es. Gianni è scapolo equivale a dire gianni non è sposato, quindi se si dice “gianni è scapolo ma è sposato” chiunque
comprenderà che è una contraddizione, anche senza sapere se gianni è sposato o meno). Esistono, dunque, relazioni di significato
che sono interne alla lingua (es. scapolo/non sposato = relazione di sinonimia). La possibilità di usare
frasi e parole in senso letterale o non letterale è un esempio di fenomeno pragmatico. Quindi le relazioni
semantiche non si possono ridurre a relazioni di denominazione tra espressioni linguistiche e realtà, per tanti motivi: 1) queste
relazioni di denominazione non sono sempre univoche 2) non tutto ciò che è coinvolto nelle relazioni di significato esiste nella realtà
che ci circonda 3) a volte il riferimento letterale a un certo tipo di realtà non sempre indica ciò che il parlante vuole trasmettere
(senso non letterale).
Una stessa realtà viene presentata spesso in modi diversi, a volte anche all’interno della stessa lingua. Occorre dunque distinguere
tra la realtà indicata dal linguaggio e il modo in cui la stessa realta viene indicata. Il modo di indicare la realtà
mediante espressioni del linguaggio è detto significato, mentre la realtà denotata da queste stesse espressioni è chiamata
riferimento (alcuni utilizzano indistintamente il termine denotazione). significato = espressione linguistica (chitarra)
riferimento = realtà extralinguistica (strumento a sei corde).
I vari lessemi delle lingue umane presentano molte proprietà, una di queste è quella di essere ambigui, cioè di poter avere più di un
significato. L’ambiguità fra due lessemi si divide in due casi: polisemia e omonimia. Un lessema polisemico
presenta più significati tutti collegati tra loro in qualche misura, mentre in un caso di omonimia non vi sono rapporti (almeno non
chiari al parlante) tra le due entità descritte dallo stesso lessema. – polisemia: collo = parte vicina alla sommità del
corpo/parte superiore della bottiglia (riferimento anatomico). – omonimia: vite = pianta/utensile (nessuna relazione tra le
due cose). Come un lessema può avere più significati, così più lessemi diversi possono
avere lo stesso significato, in questo caso si parla di sinonimia (es. frequentemente/sovente sono sinomini dell’avverbio spesso).
Il fenomeno opposto alla sinonimia è l’antonimia, cioè l’espressione di due significati opposti. Esistono due casi: -caldo/freddo =
significato contrario ammette vie di mezzo (ad esempio può essere tiepido). -
vivo/morto = significato contraddittorio non ammette vie di mezzo (non si può essere un po’ vivo un pò morto). I lessemi possono
anche essere inclusi nel significato di altri lessemi (oppure includerne il significato). In questi casi si parla di iponimia e iperonimia
(es. uccello include il significato di animale e viceversa animale è incluso) - iponimia = uccello
include il significato di animale, quindi uccello è iponimo di animale - iperonimia = il significato di
animale è incluso nel lessema uccelo, quindi animale è iperonimo di uccello.
Una frase semplice o è vera o è falsa. Il significato dei connettivi frasali (e/o) è dato dall’effetto che essi hanno sulla verità o sulla
falsità delle frasi complesse che contribuiscono a formare. Si presentano vari casi: - contraddizione = piove E non
piove (in qualsiasi caso questa frase è falsa, anche non conoscendo il significato) - tautologia = piove O non piove (in
qualsiasi caso questa frase è vera) - analiticità = casi in cui la verità o falsità di un
afrase è determinabile unicamente sulla base dei connettivi frasali combinati con altri lessemi ( es.”gianni è scapolo ed è sposato” un
parlante può dedurre facilmente che è falsa). – presupposizione = è quella frase che deve essere vera affinchè le frasi che la
presuppongono abbiano un valore di verità (es. “il re di francia è biondo” è vera solo se si presuppone che “attualmente c’è un re di
francia”).
L’uso del linguaggio umano consiste nell’esecuzione di determinati atti,: 1)
atti locutori (o atti di enunciazione) = la pronuncia di determinate parole e sintagmi. 2) atti
proposizionali = il riferimento a determinate entità e la predicazione di determinate proprietà in merito. 3 ) atti
illocutori = una constatazione , un ordine, un consiglio, una promessa etc etc. 4) atti
perlocutori = il tentativo di produrre un determinato effetto sul nostro interlocutore. Questi atti sono
compresenti in ogni tipo di atto linguistico (a parte il 2 nel caso di espressioni come “ahi!!”). Inoltre non bisogna confondere i diversi
tipi di atti con le modalità che può assumere una frase; una domanda non sempre corrisponde a una frase interrogativa, oppure
un’asserzione a una frase dichiarativa. Prendiamo per esempio, la frase: “puoi passarmi il sale?” è interrogativa ma esprime una
richiesta (atto linguistico indiretto).
Una caratteristica del linguaggio è quella di poter essere usato “non-letteralmente”. Com’è possibile, quindi, che la comunicazione
riesca ad avvenire ugualmente? Un filosofo inglese, Paul Grice, sostiene che gli scambi comunicativi si basino su una “logica della
conversazione” che è regolata da massime raggruppate in 4 categorie: Quantità = “fornisci l’informazione necessaria, ossia né
troppa né troppo poca.” Qualità = “sii veritiero, in base alle prove in tuo
possesso.” Relazione = “sii pertinente, ossia fornisci soltanto
informazioni pertinenti alla conversazione che stai svolgendo.” Modalità = “sii breve, chiaro e ordinato nell’esposizione,
evità oscurità ed ambiguità.”
CAPITOLO 10. La trasformazione delle lingue: linguistica storica
All’inizio dell’800, lo studio della parentela genealogica delle lingue assume la forma che conosciamo ancora oggi. Questo settore di
studi sul linguaggio prende il nome di linguistica storica (o storico-comparativa).
Il termine stesso di “metodo comparativo” suggerisce che esso si fonda sul confronto tra le varie lingue, con lo scopo di stabilire se
sono genealogicamente apparentate (ossia se derivano da una stessa lingua originaria).
Un errore da non fare è il confronto generico tra le parole (a causa dei fenomeni di prestito o di interferenza tra le varie lingue ad
esempio, italiano = biglietto / turco = bilet ma le due lingue appartengono a famiglie diverse). Quindi, per non essere indirizzati sulla
cattiva strada bisogna basare il confronto su quelle parti del vocabolario che sono meno sensibili a prestiti (le cosiddette parti native
del linguaggio: numerali, nomi di parentela..)
La corretta applicazione del metodo comparativo consiste nell’individuare una serie di corrispondenze sistematiche tra fonemi e
morfemi in determinate lingue (ossia, che a determinati fonemi e morfemi in una lingua, corrispondono determnati fonemi e
morfemi in un’altra lingua) questo significa che due parole corrispondenti in due lingue posssono essere anche formate da fonemi
tutti diversi e quindi avere un aspetto molto diverso, eppure avere la stessa etimologia (cioè derivano da un’unica parola es
piede/foot).

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