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John Locke & Thomas Hobbs  Vivono entrambi in Inghilterra in periodo storico che fu

caratterizzato da forti scontri politici, guerre civili (“guerre dei tre regni”, svoltesi nel periodo
storico 1639-1651); ma, soprattutto, durante questo periodo le istituzioni inglesi sono spesso
sottoposte a tensioni, momenti di rottura e tentativi di rivoluzione  Tutto questo era causato da un
grande scontro, in atto, tra Monarchia e Parlamento.

- La Monarchia inglese stava cercando di acquisire un potere assoluto, simile a quello della
monarchia francese; cosa mai successa prima, poichè la Monarchia era sempre stata una forza che
necessitava di essere bilanciata ed equilibrata dal ruolo del Parlamento, in cui sedevano i
rappresentanti dei ceti delle corporazioni.

- L’assetto politico inglese era previsto in modo tale da far sì che la Monarchia non potesse mai
diventare assoluta, scavalcando il ruolo del Parlamento.

Durante il ‘600 i Sovrani cercano di scavalcare, erodere il Parlamento, tramite diverse strategie:
Non viene più convocato; sono istituiti dei tribunali speciali; vengono imposte tasse e tributi per
finanziare l’esercito, senza il consenso del Parlamento; si tribunali speciali veniva consentito di
“limitare la libertà personale” delle persone, senza prima svolgere un equo processo  Si crearono
delle rotture, fratture con le tradizioni del diritto inglese, che portarono a fortissimi scontri in cui il
Parlamento inglese vinse la guerra contro il Re Carlo I (ucciso); successivamente, si verificò l’unico
periodo, in tutta la storia inglese, in cui si ebbe una Repubblica guidata da Oliver Cromwell.

Successivamente venne richiamata la Monarchia  Nel 1688, dopo il verificarsi di ulteriori scontri
tra Parlamento e Sovrano, ci fu la “Rivoluzione Gloriosa” (non-violenta), chiamata così poichè fu
realizzata da Parlamento e dai loro sostenitori, senza mietere vittime.

- L’esito di questa Rivoluzione, portò all’emanazione del “Bill of Rights” o (“Carta dei Diritti”) del
1689  Vengono solennemente dichiarate le prerogative, diritti degli uomini liberi inglesi e
vengono limitate le possibilità di intervento della Monarchia.

- Il “Bill of Rights” viene identificato anche come il documento giuridico che segnava la nascita di
un nuovo regime giuridico  “Monarchia Parlamentare”: Regime in cui esisteva un Sovrano, che
continuava ad esercitare certi diritti; il vero fulcro del potere legislativo era rappresentato da
Parlamento.

- Thomas Hobbs (1588-1679)  Si riteneva in contrasto con le idee medievali e, in particolare, con
l’idea di ordine già dato, derivante dalla creazione divina.

1 - Egli affermava la non esistenza, né di fatto né di diritto, di un ordine già dato  Tutti i soggetti
erano ritenuti “naturalmente uguali” (esisteva un’uguaglianza naturale) e, a causa di questa
eguaglianza naturale, non esisteva nessuna differenza ordinativa, basata su privilegi o differenze.

- Tra i soggetti che compongo la società non esisteva, dal punto di vista teorico/astratto, nessuna
differenza legata allo “status” (condizione sociale, ceto)  Tutti i soggetti, per natura, erano
ritenuti uguali.
- Hobbs non condivideva l’idea secondo la quale la società fosse fondata, per natura, sulle
disuguaglianze sociali, sui ceti, sulle appartenenze a diversi gruppi e su privilegi, diversità.

2 - L’ordine, se non già stato dato dalla natura (Dio), doveva essere creato dall’uomo, attraverso
l’utilizzo della propria ragione (seguendo l’approccio di Grozio)  Avviene contemporaneamente
una rivoluzione “politica”: cambia il quadro di riferimento dei valori politici; ed “epistemologica”:
un nuovo modo per conoscere la verità delle cose.

- Tutto dipendeva dalla centralità della ragione dell’uomo  L’uomo era stato pensato (Hobbs)
come un essere dotato di ragione, che operava secondo scelte razionali.

3 – Gli scritti di Hobbs, essendo lui un teorico del giusnaturalismo, partivano da delle premesse
“giusnaturalistiche”, per poi arrivare ottenere un esito, una conclusione finale di tipo
“giuspositivistico”.

- “Giusnaturalismo”: Il “diritto naturale” era ritenuto fondamentale, rispetto al diritto dello stato; il
“giuspositivismo”: esaltava il “diritto legislativo”, posto dal Sovrano  Questi erano 2 concetti
completamente opposti tra di loro.

Hobbs: Attraverso la creazione di queste “premesse teoriche” egli voleva arrivare a costruire un
sistema politico efficace, che fosse in grado di governare in modo ordinato la società; voleva
eliminare i privilegi di nascita.

- Tutela la “proprietà privata individuale” e riconosce come legittime le “disuguaglianze sociali”


(ricchi-poveri), purché queste differenze di ricchezze non abbiano un “rilievo politico” ovvero che i
soggetti più ricchi non fossero dotati di diverse prerogative, privilegi politici rispetto ai più poveri.

- Hobbs non giustificava un sistema politico e sociale in cui ai soggetti più ricchi venissero
attribuiti maggiori privilegi politici.

Hobbs  La sua idea più famosa era l’esistenza di uno “stato di natura”: Immagina ogni singolo
individuo all’interno di un ipotetico “stato di natura”, prima ancora dell’esistenza della società
civile (civitas; dimensione politica).

- All’interno dello “stato di natura”, il soggetto era guidato solo e unicamente dai propri istinti 
Interviene, principalmente, l’istinto di “poter soddisfare i propri bisogni”, che spesso si traduceva
nella libertà di voler difendere il proprio corpo/cose dalle aggressioni altrui e nella facoltà di potersi
procurare il necessario per sopravvivere; questo spesso portava all’agire in modo violento contro
altri.

- Hobbs teorizza che, all’interno dello “stato di natura”, le persone siano continuamente in conflitto
tra loro  Condizione di “guerra di tutti contro tutti”: Nello “stato di natura” la vita è conflittuale e
fatta di scontri, poichè ciascuno insegue il soddisfacimento dei propri bisogni immediatamente,
senza regole o organizzazione.

- Ciascuno è esposto al desiderio dell’altro di soddisfare i propri bisogni  Situazione di conflitto,


guerra e di profonda incertezza, insicurezza.

Come risolvere questa situazione? Hobbs riteneva che ogni individuo partecipasse alla stipulazione
di un “contratto sociale”, attraverso il quale ognuno rinunciava a “soddisfare immediatamente i
propri bisogni”, ai poteri che aveva nello “stato di natura” e delegava ad un nuovo soggetto (Stato),
creato appositamente per questo, il compito e il potere di garantire l’ordine e la sicurezza, attraverso
delle leggi.

- Ogni individuo rinuncia alla propria “libertà” e al “soddisfacimento immediato dei propri
bisogni”, poichè durante lo “stato di natura” si sentiva insicuro, e grazie al “contratto sociale viene
creata una nuova figura  “Stato”, al quale si chiedeva di agire, operare prendendo delle decisioni,
attraverso le leggi, per organizzare la società, renderla ordinata ed equilibrata; per eliminare quella
situazione di perenne conflitto.

- Lo scopo dello “Stato” era di garantire sicurezza ed ordine.

- Lo “Stato” era dotato di una pienezza di poteri ed era assoluto (quando ogni soggetto rinuncia alla
propria “libertà”, allora, automaticamente, questo nuovo Sovrano viene dotato di massimi poteri) 
L’unico limite del Sovrano si aveva quando questo agiva non in corrispondenza allo scopo per il
quale era stato creato (agiva mettendo in pericolo la vita e la sicurezza degli uomini; allora
diventerà un Sovrano illegittimo che potrà anche essere destituito).

- Il Sovrano viene paragonato, da Hobbs, al mostro biblico: “Il Leviatano” (opera più famosa di
Hobbs, 1651), in cui viene spiegato il passaggio dalla condizione dell’uomo all’interno dello “stato
di natura” a quella all’interno della “società civile” (formazione dello stato, della dimensione
politica e giuridica).

- Lo Stato “Leviatano” aveva lo scopo di garantire sicurezza e agiva attraverso l’emanazione di


leggi, tramite dei comandi emanati dal “Leviatano” (figura che deteneva il potere politico).

- La “legge” rappresentava il comando del “Leviatano” ed era espressione attraverso una


“concezione giuspositivista” (volontà del potere politico).

- “Leggi civili” (emanate dal “Leviatano”) ≠ “leggi di natura”  “Leggi civili” possono essere
imposte con la forza e sono quindi “coercibili”; il rispetto delle leggi del sovrano può essere
imposto con la forza.

- Prima della costituzione dello “Stato”, durante lo “stato di natura”, non esisteva né una
dimensione giuridica né una dimensione politica  Nello “stato di natura” il soggetto non era
dotato di diritti, che poteva far valere, ma aveva solo il potere di “soddisfare immediatamente i
propri istinti”; l’individuo operava sempre istintivamente e questo produceva una situazione di
perenne conflitto, durante la quale la società era continuamente sottoposta alle conseguenze di agire
con il proprio istinto.

- Hobbs  Prima della formazione dello “Stato”, non esisteva il diritto; solo grazie allo “Stato”
esistono una dimensione giuridica e politica.

- Il “Leviatano” è formato dalla volontà, scelta di tutti i singoli individui, che, rinunciando
all’esercizio dei loro diritti e poteri (istinti) dello “stato di natura”, formano questo nuovo soggetto
politico  Lo “Stato”, al quale viene chiesta una maggiore sicurezza e protezione.

- La legittimazione dello “Stato” proveniva dagli individui stessi, grazie alla stipulazione del
“contratto sociale” (porta alla formazione dello “Stato”); il problema era capire se il “Leviatano”,
una volta creato, avesse dei limiti e se potesse essere controllato nell’esercizio delle sue funzioni.

La “paura” (insicurezza, instabilità) era un elemento fondamentale per la coesione politica, era un
meccanismo fondamentale, poichè spingeva le persone a comportarsi in un certo modo  La
“paura” era quella che aveva spinto gli individui ad uscire dallo “stato di natura” e a stipulare il
“contratto sociale”, creando il “Leviatano”.

La paura permaneva anche dopo la creazione dello Stato come sentimento di reverenza e di rispetto,
nei confronti del “Leviatano” e dei suoi comandi, espressi in forma di legge, ordinanti della vita
sociale.

- Lo “Stato” aveva lo scopo di rendere la società più sicura, eliminando le paure della convivenza
civile e rendere la vita dei sudditi molto più tranquilli  Per raggiungere il suo scopo il
“Leviatano” aveva la necessità di imporre degli ordini, attraverso le leggi (comandi), che dovevano
poter essere “coercibili” ovvero imposti con la forza; nell’emanazione delle leggi, il Sovrano
doveva generare “paura”: minacciare l’imposizione di sanzioni e ordini, nei confronti dei
trasgressori.

1. Concetto di “natura”  Descritto come qualcosa che veniva percepito attraverso i sensi e
composta da singoli individui, non legati da alcun rapporto ordinato di convivenza.

- Porta ad una conoscenza profonda dell’individuo.

- Il “concetto di natura”, descritto da Hobbs nel Leviatano, era fondato su dei soggetti, considerati
individualmente (figure isolate, a prescindere da qualsiasi rapporto sociale) e che possedevano
caratteristiche di “libertà” e “uguaglianza”  Era la premessa per far crollare quel modello di
società tardo-medievale (anti-individualistica, in cui il soggetto possedeva obblighi e diritti, solo
quando era inserito in un gruppo o appartenente ad uno “status”; gli individui non erano pensati
come “uguali” tra loro e di fronte al diritto).
Hobbs voleva ribaltare l’idea medievale  Tutti i soggetti dovevano essere “liberi” ed “uguali” tra
loro, non dovevano differire in nulla e dovevano essere considerati a prescindere da qualunque
appartenenza ad un gruppo o “status”; il concetto di “diritto diseguale” e di “appartenenza ad un
gruppo” vengono completamente eliminati.

- Hobbs riteneva che nella “natura”, l’uomo potesse raggiungere la “felicità” solo seguendo i propri
desideri, istinti  Tensione verso l’autoconservazione.

- La felicità è il “desiderio perpetuo e senza tregua di potere”  Poter fare tutto ciò che era
necessario per vivere meglio come singolo individuo; la felicità, in natura, non aveva regole.

2. “Stato di natura”  Costruito intorno al ruolo dell’individuo (la volontà di vita, di potere e di
raggiungere il proprio piacere), che lo pone in conflitto con gli altri.

In una situazione pensata come di “radicale uguaglianza”, nella quale tutti gli individui sono posti al
pari e sullo stesso piano  Emerge il problema della “scarsità dei beni e delle risorse”, poichè tutti
vogliono arrivare alla felicità, seguendo i propri istinti (autoconservazione), ed accaparrarsi il
necessario; ci sarà il rischio che i beni non siano sufficienti per tutti e si genererà uno scontro.

- Si arriva allo scontro  Gli uomini non sono regolati da nessun meccanismo razionale, poichè
seguono solamente il loro istinto, desiderio di espandere il proprio potere (l’uomo, in natura, è
spaventato e angosciato dal sapere che gli altri potrebbero invadere la sua sfera di “libertà” e i suoi
beni + angoscia per il continuo desiderio di espandere la propria sfera di beni).

- L’uomo che nello “stato di natura” dovrebbe rispettare i patti e vivere in pace con gli altri, è
indotto dal proprio istinto (desideri, passioni) a violarli e a vivere in assenza di regole.

- Hobbs: Fino a quando gli individui non saranno sottoposti a regole giuridiche “coercibili”, gli
uomini saranno, in natura, sempre in conflitto tra loro  Gli individui sentono il bisogno di uscire
dallo “stato di natura”, poichè, all’interno di questa, non vivono bene, in modo pacifico; lo “stato di
natura” deve essere superato e sostituito da qualcos’altro.

Per uscire da quella situazione di conflitto (“stato di natura”) bisogna entrare nella “dimensione
politica”; bisogna passare dallo “stato di natura” alla “società civile” (“civitas”), all’interno della
quale la vita viene politicamente regolata e questa ha come fine la sicurezza della vita e del
possesso  Lo Stato rende la sicurezza della vita dei propri individui più stabile, certa e garantita.

- La “dimensione politica” e la politica servivano per rendere efficaci le “leggi di natura”; per far sì
che l’uguaglianza sociale diventi un’uguaglianza politica ovvero di fronte alla legge per trattare tutti
allo stesso modo  Si voleva trasformare una situazione priva di regole (“stato di natura”) in una
dimensione politica in cui il diritto fornisca delle garanzie, in una situazione che prima era instabile.

Hobbs considerava la “politica” come un progetto, che doveva superare dei limiti, nella vita
dell’individuo, e trasformarli in opportunità, certezze.

1. Trasformare l’incertezza in certezza.


2. Trasformare l’individuo possessivo (solito appropriarsi di qualsiasi cosa, seguendo il proprio
istinto) in un proprietario (“uomo civis”)  Lui, ma anche tutti gli altri individui, ora possedevano
un diritto di proprietà, grazie al quale erano entrambi tutelati (nessuno poteva essere privato della
propria proprietà, senza il suo diretto consenso)

3. Trasformare una paura diffusa, che caratterizzava tutte la vita dell’individuo nello “stato di
natura”, in un timore istituzionalizzato e determinato dalla legge: Un timore legato al rispetto delle
leggi, imposte dal Sovrano.

Passaggio dalla condizione di incertezza, data dallo “stato di natura”, a quella di stabilità della
“vita politica”  Stipulazione del “contratto sociale”, attuata da tutti gli individui per uscire
definitivamente dallo “stato di natura”.

- “Contratto sociale” ≠ “contratto di diritto civile” (normale contratto), stipulato tra privati, che si
esaurisce quando le obbligazioni di entrambe le parti sono adempiute (perfezionamento del
contratto; non si producono più effetti per il futuro).

Il “contratto sociale”, che segna il passaggio dallo “stato di natura” alla “dimensione politica”, è un
contratto sempre valido in futuro; il “contratto sociale” era un’invenzione, fatta dal potere politico,
per uscire dallo “stato di natura” e trovare una forma stabile di convivenza civile.

- Nello “stato di natura” tutti gli uomini erano pensati come singoli individui (atomi separati),
separati tra loro; mentre nella nuova “dimensione politica” (dopo l’avvento del “contratto sociale”)
 Esiste una vera e propria “società civile”, che si confronta con il potere politico, creata dal
“Leviatano” e quindi prima della creazione del Leviatano non esisteva una dimensione sociale,
cittadini, sudditi o un ordinamento giuridico.

- “Contratto sociale”  Non era paragonabile agli accordi stipulati nel Medioevo (sottomissione in
cambio di protezione, promettendo fedeltà); aveva un significato molto più ampio, poichè esso
rappresentava un’unione tra i soggetti: “Pactum Unionis” (patto di unità).

- Il “pactum unionis” non doveva generare reciproche obbligazioni; questo patto generava
un’obbligazione assoluta ed unilaterale ovvero la “sovranità”  Il potere supremo, unico e
irresistibile del Leviatano (Stato), al quale nessuno poteva contrapporsi, poichè lo Stato era
considerato come rappresentativo di tutti i singoli soggetti stipulanti.

- Il “rappresentante”, soggetto generato dal “patto”, è gerarchicamente più forte rispetto al


rappresentato (singoli individui, che hanno stipulato il “contratto sociale”).

- Il “Leviatano” è titolare di un potere monopolistico, in cui tutto è nelle sue mani; non esiste più
una pluralità (ordinamenti, giurisdizioni), poichè tutto è concentrato nelle mani del potere politico.
- Dopo la creazione dello Stato (Leviatano)  Quando i cittadini stipulano il “contratto sociale” è
come se, implicitamente, abbandonassero, rinunciassero ai loro poteri e autorizzassero il
Leviatano a gestire in modo assoluto la vita politica e giuridica dello Stato.

La loro situazione cambia  Non possiedono più un illimitato potere di autoconservazione e non
possono seguire i loro istinti; questa dimensione viene neutralizzata dalle regole giuridiche,
imposte dallo Stato.

- Il Leviatano imponeva la propria volontà, organizzava e regolava la vita giuridica e quella dei
cittadini  Emanazione di leggi:

1. Le leggi sono “impersonali” e “universali” (dirette a tutti, indistintamente), poichè tutti i cittadini
erano ritenuti uguali e chiedevano protezione, a prescindere dalla loro condizione sociale.

2. Le leggi erano tutte “utili” e “buone”, per la prosperità dei cittadini e al mantenimento della pace.

3. Il Leviatano, essendo espressione di un “patto” al quale avevano aderito tutti, non poteva
emettere leggi sbagliate  Le leggi erano “funzionali” e “razionali” a garantire la stabilità,
l’ordine e la sicurezza, richiesto dai cittadini.

- La volontà legislativa era razionale, universale, uguale per tutti ed espressione di un


“volontarismo” (volontà del Leviatano).

4. La legge non proveniva dal passato, non era frutto di accordi o negoziazioni, né di momenti di
confronto tra il Sovrano e i vari ceti sociali (Medioevo).

- Le associazioni, i gruppi venivano descritti da Hobbs, all’interno del “Leviatano”, come “i vermi
nelle viscere del Leviatano”  Nel Leviatano, la società non poteva più essere il risultato di un
confronto tra lo Stato e i gruppi, associazioni; lo Stato si confrontava con i singoli cittadini,
provvedendo a garantire stabilità e sicurezza, attraverso l’uso delle leggi (espressione di un “pieno
potere”).

- Non c’era spazio per contrattazioni, accordi con gruppi, associazioni, che chiedevano un
riconoscimento di potere.

5. “L’autorità produce la legge, non la verità”  La legge, prodotta dallo Stato Leviatano, non
veniva ricavata dalla cultura giuridica; la legge veniva prodotta da un atto di autorità ed era
espressione della volontà politica, libera e pura dello Stato (titolare della sovranità).

6. Il diritto, diventato “legge”  L’unico modo in cui lo Stato regola le proprie attività e i rapporti
con i cittadini.
Hobbs  “Positivismo giuridico”:

- I cittadini, all’interno dello Stato, non sono liberi come nello “stato di natura”  Nel passaggio
dallo “stato di natura” alla “dimensione politica”, i cittadini perdono la loro libertà naturale e
assumono un obbligo di obbedienza, sottomissione alla legge del Sovrano.

La protezione, richiesta dai cittadini, era sorretta dal “timore” e dalla “paura” che si ha nei
confronti della legge  Perché la legge possa generare nei cittadini un “senso di rispetto e timore”:

1. La legge doveva essere “conosciuta” e pubblicamente “resa nota”.

2. La legge doveva essere formulata in “modo chiaro”, così che non risultasse ambigua o di
difficile comprensione.

- Il contenuto della legge doveva essere di facile comprensione per i cittadini, perché questi vi si
potessero adeguare immediatamente.

3. La legge deve essere “non retroattiva”, poichè deve indurre il soggetto a comportarsi in modo
conforme alla norma (verso il futuro); non avrebbe senso se la norma disciplinasse casi passati.

- Bobbio  Il “giusnaturalismo”, in Hobbs, diventa un mezzo indispensabile per legittimare il


“giuspositivismo”.

Si tratta di un “giusnaturalismo” completamente diverso da quello medievale e di San Tommaso (la


natura possedeva un’intrinseca normatività; la natura “ordinata” produceva già delle regole, da
sola).

- La “legge”, secondo Hobbs: Origine nello Stato; possedeva una forma “universale”, essendo
indirizzata a tutti, e “pubblica”; doveva garantire la “pace”, attraverso l’obbedienza.

“Interpretazione liberale” del pensiero di Hobbs:

1. Modello di Stato “laicizzato”, in cui la religione scelta non è più rilevante per la legittimazione
della legge  Se una certa azione era ritenuta un “peccato”, dalla religione; quel “peccato” non
doveva per forza diventare un’azione giuridicamente “illecito”.

- Era necessaria una legge/norma espressa introdotta dal Leviatano, che vietasse un certo
comportamento, perché questo potesse essere oggetto di sanzione  Era essenziale una legge
“scritta”, “espressa” e “resa pubblica” dallo Stato, che punisca quel dato comportamento e senza il
quale non poteva essere considerata un’azione punibile.

- Solo quello che era stato definito dalla legge possedeva una “rilevanza giuridica”; tutto il resto è
al di fuori.

2. Principio di legalità (diritto penale)  Qualsiasi condotta non espressamente prevista come
reato dalla legge, doveva essere intesa come “azione giuridicamente lecita” (permessa); se un certo
comportamento non era previsto dalla legge, allora si trattava di uno “spazio di libertà”
dell’individuo.

3. Il Leviatano si esprimeva solo attraverso leggi scritte, chiare, rese pubbliche  La


“consuetudine”, considerata una delle principali fonti del diritto (età medievale), non viene più
considerata una fonte di diritto, poichè proveniva dal basso e non era espressione della volontà del
Sovrano.

4. La riflessione di Hobbs si concludeva con un “positivismo giuridico”:

- Il carattere di assolutezza del Leviatano.

- La legge diventa l’unica fonte di produzione del diritto.

- Le consuetudini non sono più considerate rilevanti.

- Tutto ciò che non era previsto dalla legge non doveva essere considerato lecito.

John Locke ≠ Thomas Hobbs:

1. Hobbs veniva definito il “teorico dello stato assoluto” (Leviatano).

2. Locke era considerato il “teorico dello stato democratico-liberale”

- Differenza radicale, tra Hobbs e Locke, nel modo di concepire la posizione (diritti, condizione)
dell’individuo, all’interno dello “stato di natura” (prima della “dimensione politica”):

1. Hobbs  Gli uomini, all’interno dello “stato di natura”, seguono solo i propri istinti, non
possiedono diritti ma solo un desiderio di potere e di autoconservazione; si trovano costantemente
in guerra li uni con gli altri.

2. Locke  Gli individui, all’interno dello “stato di natura”, sono tutti uguali e possiedono già il
diritto di “libertà” e di “proprietà”, ancora prima della “dimensione politica” e della creazione dello
Stato.
- Locke sosteneva che, all’interno dello “stato di natura”, ogni individuo possedeva la “proprietà” e
la disponibilità del proprio corpo (derivante dal lavoro, che si proietta sui beni e produce la
“proprietà”)  La forza fisica, prodotta attraverso il lavoro, mi rende proprietario dei beni
prodotti con lavoro/fatica.

- L’individuo dello “stato di natura” era stato pensato come un soggetto libero, che aveva la
possibilità di fare qualunque cosa e possedeva questa “energia” del corpo, proiettata attraverso il
lavoro sui beni, che lo rendeva proprietario del prodotto.

- Attraverso il lavoro, si arrivava ad ottenere la “proprietà” dei beni necessari alla sopravvivenza
(l’individuo arrivava ad ottenere quello che realmente desiderava)  Si elimina l’istinto
all’autoconservazione, che portava ad una situazione di perenne conflitto; non esiste più l’anarchia
(lotta di tutti contro tutti).

- Nello “stato di natura”, secondo Locke, gli individui si trovavano in una situazione di “parziale
ordine”  Gli individui, essendo liberi e proprietari dei beni necessari alla loro sopravvivenza,
non si trovavano più in una situazione di conflitto tra loro.

1 – Hobbs  Nello “stato di natura” vigeva una situazione di conflitto perenne (tutti contro tutti);
gli individui non possedevano alcun diritto, ma potevano solo seguire i propri istinti.

2 – Locke  Nello “stato di natura” gli individui erano titolari del proprio diritto alla “proprietà” e
alla “libertà”; non prediligeva più la situazione di perenne conflitto e di assenza di regole.

- Locke  Riteneva fosse necessario superare la condizione dello “stato di natura”, anche se questa
consentiva di acquisire diritti di “libertà” e “proprietà”; non esistevano però istituzioni o garanzie,
che tutelassero sufficientemente i diritti acquisiti (“libertà” e “proprietà” erano diritti provvisori).

- I singoli individui si vedevano costretti a stipulare il “contratto sociale”, per veder tutelati
maggiormente i loro diritti (già possedevano)  La stipulazione di questo “patto”, porta alla
creazione dello Stato (potere legislativo pubblico).

Locke, come Hobbs, ricorre allo strumento del “contratto sociale” per passare dallo “stato di
natura” alla “dimensione politica  Differenza sostanziale: Lo Stato, creato da Locke, nasceva già
con uno “scopo” e con dei “limiti”.

1. “Scopo” dello Stato  Tutelare i diritti, che gli individui possedevano dallo “stato di natura”, di
“libertà” e “proprietà”.

2. “Limiti” dello Stato: Quando il legislatore agiva in modo diverso e contrario allo scopo per il
quale era stato costituito; le leggi dello Stato non servivano più a garantire una maggiore “libertà”
e “proprietà” agli individui  Lo Stato stava operando in modo “illegittimo”; le norme non
avevano fondamento, gli individui potevano ribellarsi e disobbedire allo Stato, creando un nuovo
legislatore.
- Locke sosteneva l’esistenza dei “diritti naturali pre-statuali”  Prima della formazione della
“dimensione politica” (Stato) esistevano già dei diritti (“libertà” e “proprietà”), che possedevano
gli individui; successivamente alla formazione dello Stato, questo doveva rispettare i diritti che lo
precedevano e non poteva, attraverso le leggi emanate, limitare questi diritti e abusare del proprio
potere pubblico per renderli nulli.

- Locke sosteneva bisognasse trovare un modo per tutelare quei diritti, che non venivano tutelati
nello “stato di natura”  Passaggio al “contratto sociale”: Serviva per costituire un potere politico
che fosse regolato, bilanciato e che avesse dei limiti stabiliti.

Nel “contratto sociale” di Locke  Il legislatore non poteva agire a suo unico piacimento, ma era
sempre “limitato” nelle sue decisioni, azioni (norme emanate) dal rispetto dei “diritti naturali pre-
statuali”, che non potevano mai venire repressi eccessivamente dallo Stato.

- Il “potere legislativo” di Locke non era assoluto, ma aveva dei limiti; era espressione di un potere
rappresentativo degli individui, che era nato grazie alla loro volontà e doveva operare nel loro
rispetto.

Similitudini tra Locke & Hobbs:

1. Premessa teorica  L’esistenza di uno “stato di natura”, che precede la formazione della
“dimensione politica”, dello Stato e della società.

2. Nello “stato di natura” gli individui erano pensato come “uguali”, distaccati da ogni tipo di
legame sociale gerarchico di ceto (Medioevo).

3. La necessità del “contratto sociale” con il quale si rinuncia a qualcosa per attribuirlo al nuovo
potere politico; essenziale per passare dalla condizione di “stato di natura” a quella della
“dimensione politica”.

Differenze tra Locke & Hobbs:

1. Hobbs teorizza uno Stato “assoluto” ≠ Locke teorizza uno Stato “democratico-liberale”

2. Hobbs teorizza un “Leviatano”, dotato di poteri pieni ed illimitati ≠Locke teorizza uno Stato e un
potere legislativo, la cui funzione e poteri sono, fin da subito, limitati e orientati ad un preciso
“scopo”.

3. Locke riteneva che gli individui fossero dotati di diritti, ancora prima della stipulazione del
“contratto sociale” e della formazione della “dimensione politica” (all’interno dello “stato di
natura”) ≠ Hobbs riteneva che, all’interno dello “stato di natura”, gli individui fossero guidati solo
dai loro istinti, dal potere e dal loro desiderio di auto-conservazione.
- Locke insisteva particolarmente sul fatto per cui gli individui fossero dotati, fin da subito, di due
diritti:

1 - “Proprietà”  Consentiva agli individui, all’interno dello “stato di natura”, di non essere
perennemente in guerra tra loro.

2 – “Libertà”  Diventa il “diritto naturale”, che lo Stato doveva riconoscere e tutelare, attraverso
le leggi emanate.

Spiegazione del “Leviatano”, secondo Hobbs:


1 - “L’unico modo per ergere un tale potere comune, che sia capace di difendere gli uomini
dall’invasione degli stranieri e dagli attacchi reciproci e pertanto a renderli sicuri in modo tale che
essi possano sostentarsi del proprio lavoro e dei frutti della terra e vivere in pace, è quello di
conferire ogni proprio potere e forza ad un solo uomo (i diritti nascevano solo con la creazione del
Leviatano, secondo l’idea di Hobbs), o a un’unica assemblea di uomini, che abbia la capacità di
ridurre ogni loro volere da una pluralità di voci ad una sola volontà”.

2 – “Affidare ad un uomo o a un’assemblea di uomini di dominare le loro persone; e a ciascun altro


di riconoscere di essere autore di qualsivoglia cosa che colui che governa le loro persone debba
fare, o determina che venga fatto, in quelle materie che concernono la comune pace e sicurezza”.

3 - “E di qui in avanti di sottomettere ciascuno la propria volontà alla sua, e il proprio giudizio al
suo giudizio”  Nel momento in cui viene stipulato il “contratto sociale”, si sottomette la propria
volontà a quella del Leviatano.

4 - “Ciò è più che consentire, o accordarsi, su qualcosa; esso (“contratto sociale”) rappresenta una
vera unità di tutti loro in uno solo e la stessa persona, fatta dall’accordo di ciascun uomo con
ciascun altro, in modo tale che ogni soggetto possa dire a ciascun altro: io autorizzo e cedo il mio
diritto a governare me stesso (il potere che ho sul mio corpo) a quest’uomo o a questa assemblea di
uomini (“Leviatano”) alla sola condizione che anche tu ceda il tuo stesso diritto a lui e autorizzi
ogni sua azione nello stesso modo”.
- La logica del “contratto sociale”: Ciascuno rinuncia ai propri diritti, che possedeva nello “stato
di natura”, e alla possibilità di agire seguendo il proprio potere e i propri istinti, sottomettendosi
alla volontà del Sovrano (Leviatano).

5 – “Ciò fatto, la moltitudine così riunita in una sola persona è chiamata una COMUNITÀ, in
latino una CIVITAS. Questa è la nascita del grande LEVIATANO, o, per parlare con più rispetto, del
dio mortale a cui noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa. Per questa
autorità, data a lui da ogni singolo uomo nella comunità, egli può usare di così tanto potere e forza
quale gli è stato conferito in modo tale da essere capace, anche servendosi del terrore, di formare le
volontà di tutti, per conservare pace all’interno e mutuo soccorso contro i nemici esterni”.
- Si sottolinea l’importanza. Secondo Hobbs, della “paura”; il Leviatano poteva utilizzare il
“terrore” come strumento necessario al rispetto della legge.
- La “paura” di vedere invasa la mia sfera di beni e libertà, all’interno dello “stato di natura”,
diventa una “paura” per il rispetto delle norme imposte dal Leviatano.
John Locke riguardo l’ambito del “potere legislativo”:
1 – “Il grande fine in vista del quale gli uomini entrano in società e di godere dei loro beni in pace e
sicurezza, e il grande strumento e mezzo di ciò sono le leggi istituite nella società. La prima e
fondamentale legge positiva di tutti gli Stati è, dunque, l’istituzione del potere legislativo, dato che
la prima e fondamentale legge di natura, che governa il legislativo stesso, è la salvaguardia della
società e (per quanto è compatibile col pubblico bene) di ciascuna persona che ne fa parte”.
- Il “potere legislativo” rappresenta il potere fondamentale ed è creato in vista di uno “scopo”  Il
“potere legislativo” doveva garantiva al meglio la salvaguardia della società e di ciascuna
persona, che ne faceva parte.
Locke  Il soggetto, all’interno dello “stato di natura”, non si trovava in una situazione di pericolo
(diversamente da quello che pensava Hobbs) e chiedeva allo Stato (“potere legislativo”) una
maggior tutela dei suoi “diritti naturali pre-statuali” ¿ “scopo” dello Stato.

Il “potere legislativo” (Stato) rappresentava il potere supremo e aveva dei limiti:


2 – “Non esercita, né può assolutamente esercitare, l’arbitrio sulla vita e i beni del popolo”.
- Il “potere legislativo” era quindi stato creato dagli individui stessi (“contratto sociale”), per
rappresentarli al meglio, ed era stato conferito a quella persona (Stato) con dei limiti, posti da
coloro i quali lielo avevano attribuito; il “legislativo” non poteva essere nulla in più di quello che le
persone già possedevano nello “stato di natura”.
3 - “Non essendo infatti se non il potere congiunto di ciascun membro della società, conferito a
quella persona o assemblea che appunto legiferano, non può essere nulla più di quanto quelle
persone possedevano nello stato di natura prima di entrare in società e che hanno rimesso alla
comunità” ¿ Il “legislativo” era il prodotto, risultato dell’accordo stipulato da ciascun individuo
ovvero il “contratto sociale”.
4 – “Nessuno, infatti, può trasferire ad altri più potere di quanto non ne abbia, e nessuno ha su sé
stesso o su altri, un assoluto arbitrario potere di togliersi la vita o strappare ad altri la vita o i
beni”  Poichè nello “stato di natura” nessun individuo aveva il diritto di ucciderne un altro o di
invadere, togliere la proprietà a qualcun altro; nemmeno lo Stato (“legislativo”), essendo una
creazione dei singoli che cedono qualcosa che possiedono, possedeva il diritto di uccidere o di
togliere dei beni ai singoli.

5 – “Il potere supremo non può togliere a un uomo una parte della sua proprietà senza il suo
consenso. Infatti, la conservazione della proprietà, essendo il fine del governo e la ragione per cui
gli uomini entrano in società, è necessariamente presupposto che il popolo abbia una proprietà” 
Il “potere legislativo” non poteva togliere la proprietà agli individui, poichè la conservazione della
proprietà era il “fine, scopo” per il quale il “potere politico” era stato costituito e rappresentava
l’obiettivo dei singoli, nella stipulazione del “contratto sociale”, per creare un potere che,
attraverso le leggi, tuteli la proprietà di tutti gli individui.

Jean-Jacques Rousseau  Scrisse l’opera “Il contratto sociale” (1762) ovvero il passaggio dallo
“stato di natura” alla “dimensione politica”.
- Rousseau  Attraverso la stipulazione del “contratto sociale”, si formava un’entità che
comprendeva tutti gli individui: un “IO comune”, del quale venivano a far parte tutti i soggetti dello
“stato di natura”.
- La creazione di un “IO collettivo” era la rappresentazione di un modello di “democrazia diretta”
 Modello sociale e politico, nel quale ogni singolo cittadino era sempre politicamente coinvolto
nel processo legislativo; l’organo legislativo comprendeva tutti (referendum, plebisciti) e quando si
volevano introdurre delle nuove leggi era necessaria un’approvazione generale di tutta la
popolazione.
- Il singolo individuo non rinunciava mare a prendere parte al corpo legislativo.

Mentre era diverso il pensiero di Hobbs & Locke:


[1] Hobbs  Tramite il “contratto sociale”, i singoli individui formavano un soggetto terzo: il
Leviatano (un soggetto diverso, rispetto ai singoli individui del contratto sociale).
[2] Locke: Attraverso il “contratto sociale”, si formava un soggetto terzo: il “potere legislativo” (un
soggetto diverso, rispetto ai singoli individui del contratto sociale), che doveva rispettare dei limiti.

Giuridicamente potevano essere individuate due teorie giuridiche, che portarono alla Rivoluzione
Francese  1. Giusnaturalismo Moderno; 2. Illuminismo Giuridico

1. “Giusnaturalismo Moderno”  La Rivoluzione Francese aveva come obiettivo il rovesciamento


dell’assetto giuridico e ordinamentale dell’antico regime, per edificare un nuovo ordine giuridico;
si voleva effettuare una rottura radicale e un distacco completo dal passato (modello feudale, basato
su gerarchie e differenze di ceto/giuridiche), per cancellarlo definitivamente.
- L’antico regime doveva essere sostituito da un nuovo sistema giuridico, basato sull’uguaglianza
 Idea per la quale i cittadini (francesi) siano ritenuti tutti uguali davanti alla legge.

In particolare, una certa classe politica era molto interessata a questo cambiamento radicale 
“Terzo Stato” (classe borghese): Soggetti che rivendicano una piena titolarità dei diritti e
un’uguaglianza di trattamento giuridico, dovuti alla posizione sociale guadagnatasi con merito e
imprese svolte; questi volevano eliminare ogni distinzione dovuta a titoli ereditari, titoli nobiliare o
funzioni ottenute per via ereditaria, nomina diretta dal Sovrano.

- L’idea di uguaglianza dei soggetti (Rivoluzione Francese), a prescindere da quale fosse la loro
condizione sociale, e che non esistano differenze tra i cittadini, se non per i meriti attribuitigli, si
collegava all’idea spesso espressa dai giusnaturalisti  I soggetti potessero essere concepiti e
pensati come uguali.
Quell’idea poi passava per il “contratto sociale” e si riproduceva nella “dimensione politica”.
- La Rivoluzione Francese voleva rendere i cittadini tutti uguali davanti alla legge.

Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789)  Riferimento ai diritti inalienabili
dell’uomo:

- Art 1: “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non
possono essere fondate che sull’utilità comune”.

- Art 2: “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed
imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà (Locke), la sicurezza (Hobbs) e
la resistenza all’oppressione”  L’associazione politica nasceva con un “fine” ovvero quello della
conservazione, tutela dei diritti precedenti alla formazione dello Stato e che sono “naturali e
imprescrittibili”.

- Art 3: “Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione (insieme di tutti i
cittadini francesi, resi uguali dalla Rivoluzione). Nessun corpo o individuo può esercitare
un’autorità che non emani espressamente da essa”  Richiamo all’idea di Rousseau: La Sovranità
risiede nel popolo (“IO collettivo”), formato da soggetti resi tutti uguali.

- Art 4: “La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti
naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il
godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla Legge” 
Richiamo alle idee di Hobbs: Il Leviatano forniva delle regole certe, che definivano i confini della
“libertà”.

- Art 6: “La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di
concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere
uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi,
sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità,
e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti”.

- Questo articolo non mostra una presa di decisione chiara e definitiva tra il modello di
“democrazia diretta” e quello di “democrazia rappresentativa” e questo genererà delle forti
tensioni; afferma che la “volontà generale” poteva essere espressa da tutti i cittadini, che potevano
concorrere alla formazione della volontà generale, di persona (“democrazia diretta”) o mediante i
loro rappresentanti (“democrazia rappresentativa”).

- Art 17: “La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo
quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previo un giusto
e preventivo indennizzo”  Richiama l’Art 1: Centralità della “proprietà”, come un diritto
inviolabile e sacro (idea proposta da Locke).

2. “Illuminismo Giuridico”  L’Illuminismo era fondato sull’idea per la quale il centro della
riflessione dovesse sempre fare capo alla ragione dell’uomo, che doveva portare luce sull’oscurità
fatta di assenza di cultura.

- L’Illuminismo voleva essere un movimento di critica, verso alcuni aspetti della cultura e
dell’esperienza politica e giuridica del tardo Medioevo (periodo oscuro), e doveva portare luce
sull’ignoranza del tempo.

- Illuminismo giuridico (‘700): Si diffonde una “ideologia anti-giurisprudenziale” per la quale gli
esponenti dell’Illuminismo giuridico vedevano come principale difetto, all’interno dell’assetto
giuridico esistente, e qualcosa che andava superato, contrastato, per essere sostituirlo con un
nuovo assetto di poteri  I poteri eccessivamente ampi, riconosciuti ai giudici.

- Il “potere giurisdizionale”, attribuito ai giudici, veniva identificato come un problema e la


principale fonte di incertezza del diritto, delle ingiustizie e delle iniquità  Durante il periodo
medievale, il “potere giudiziario” era divenuto titolare di un’enorme facoltà interpretativa, grazie
alla sua opera di interpretazione dei testi giuridici (spesso stravolgeva o modificava il significato
stesso, andando anche oltre il contenuto della legge); aveva attribuito ai giudici un enorme potere e
prestigio, ma, allo stesso tempo, aveva reso la legge “confusa”, il diritto “incerto”.

- La “discrezionalità interpretativa” si era trasformata in “arbitrio”, che aveva provocato incertezza,


confusione, abusi ed ingiustizie  Gli “illuministi” sostenevano che le vite dei cittadini fossero
diventate troppo esposte alle scelte, pregiudizi, decisioni casuali e, a volte, all’umore dei giudizi; la
giustizia non dipendeva più da leggi certe.

Nei giudici si identificava il principale difetto del sistema giuridico e dell’amministrazione della
giustizia  Per rendere la vita dei cittadini più pacifica era necessario ridurre il “potere
giurisdizionale” (giudici) e attribuirlo ad un soggetto, che possa rendere il diritto più certo, chiaro,
comprensibile a tutti e ponga delle regole, che vengano applicate dai giudici in “modo non
arbitrario”: Principe, Sovrano, legislatore.

“Illuminismo Giuridico”  “Ideologia anti-giurisprudenziale”: Scontro tra il “potere legislativo” e


il “potere giudiziario”, che veniva presentato dagli illuministi con il grande vantaggio della
riduzione del ruolo dei giudici.

- “Potere legislativo”  Rivendicava il suo diritto alla pienezza di potere nell’emanazione delle
norme; non tollerava l’idea che il diritto fosse il prodotto delle “decisioni arbitrarie” dei giudici,
ottenute scavalcando la legge e esprimendo la loro unica volontà sovrana.

- Bisognava modificare la propria mentalità politica  Nel “potere giudiziario” risiedevano molti
rischi, limiti e difetti, mentre nel “potere legislativo” risiedevano delle virtù; i cittadini potevano
sentirsi più rassicurati e i loro diritti maggiormente tutelati con a capo un legislatore o un Sovrano
dotato di poteri “esclusivi” e “monopolistici”, nella produzione del diritto, che emanasse leggi
chiare e applicate alla lettera dai giudici.

- Riduzione del ruolo dei giudici, in favore di un’esaltazione del ruolo del legislatore.

- “Assolutismo Giuridico” (collegato ad “Illuminismo Giuridico”)  Percorso che porta ad


“assolutizzare il diritto nella legge” ovvero a semplificare il sistema delle fonti del diritto,
affermando: Il diritto coincide solo ed esclusivamente con la legge positivizzata (posta dal
Sovrano); qualsiasi altra fonte veniva considerata irrilevante o gerarchicamente inferiore, rispetto
alla sola e unica fonte del diritto: la “legge”.
‘700/’800  Radicalizzazione di un’idea di “modernità giuridica”: Se si voleva progredire verso
una forma giuridica migliore e più evoluta, bisognava avere fiducia nel ruolo e nelle competenze del
“potere legislativo” (composto da un singolo soggetto o assemblea).

- L’Illuminismo Giuridico (“assolutismo giuridico”) è un percorso culturale, politico e giuridico che


si poneva in contrapposizione con la visione di un “diritto pluralistico”, tipica del Medioevo.

- Ludovico Antonio Muratori (esponente dell’Illuminismo Giuridico)  Scrisse un breve saggio


“Dei difetti della giurisprudenza” (1742), basato su una sua esperienza personale molto negativa,
all’interno del quale sostiene che il modo in cui funzionava l’amministrazione della giustizia e in
cui i giudici operavano presentava molti difetti e per questo andava superato.

Muratori faceva una distinzione:

1 - “Difetti intrinseci”  Inevitabili, ineliminabili.

2 - “Difetti estrinseci”  Modificabili, sui quali era necessario e possibile intervenire;


riguardavano l’assetto costituzionale del diritto ovvero l’eccessiva delega di poteri ai giudici.
“Ora giacché impossibil cosa è il guarir dai suoi mali la giurisprudenza, altro non resta che studiarsi
di sminuirli il più che si può; e giacché le liti civili non mancheranno giammai, utile sarà il
procurare che ce ne sia il meno che si potrà”  Non si possono eliminare completamente i difetti
della giurisprudenza, ma bisogna cercare di ridurli il più possibile.
- “Non ho io saputo suggerir migliore partito, che quello di ricorrere all'autorità dei principi,
acciocchè decidano, se non tutte, in buona parte almeno, le tante quistioni ed opinioni, onde resta
offuscata e confusa la facoltà legale (applicazione del diritto). Tanta farraggine di libri di leggi,
tante discordie fra i giurisconsulti (diverse opinioni contrastanti), hanno rendute nei tempi addietro
arbitrarie, in infiniti casi, le sentenze dei giudici. Quanto meno si lascerà loro d'arbitrio nel
giudicare, tanto più sarà da sperare, che giuste riescano le lor decisioni”  Il bersaglio della
critica di Muratori era il margine di arbitrio dei giudici; “più verrà ridotto e più le loro decisioni
risulteranno corrette”.

- Bisogna restringere la libertà dei giudici e limitare il loro arbitrio; Bisogna ricorrere al legislatore,
utilizzando leggi più chiare  “Allorché i principi formano le leggi, d'ordinario non istà lor davanti
agli occhi, se non la pubblica utilità, senza intenzion di favorire persona alcuna privata”.
Mentre la decisione dei giudici, giudicando casi concreti, potrebbe sempre essere sempre
influenzabile; il legislatore decide in astratto, facendolo per la collettività delle persone e per
l’interesse di tutti.
- “Il più giovevol partito sarà, che i principi mettano la falce alle radici, troncando, per quanto mai
possano, le controversie ed inviolabilmente (in modo chiaro e certo) ordinando con leggi e statuti
nuovi, quello che in avvenire avrà da osservarsi nei tribunali della giustizia”  Muratori propone
un progetto politico ovvero di una “modernità giuridica” in cui se si voleva avere un sistema di
amministrazione della giustizia e del diritto funzionante, nel quale i cittadini si sentivano veramente
tutelati e non esposti ad abusi, bisognava affidarsi alla sapienza, saggezza del Sovrano: Ottenendo
una legge unica, chiara, semplice e formulata in un modo che fosse comprensibile a tutti, per
eliminare ogni dubbio interpretativo (non viene esplicitamente specificato il criterio in base al quale
il legislatore emanerà delle leggi giuste e non entra nel merito dei procedimenti legislativi).
- Il legislatore si presume “saggio”, poichè il Sovrano decide nell’interesse di tutti.
L’ambito del “diritto e della giustizia penale” era quello maggiormente interessato nell’inserimento
di nuove riforme  Ambito che aveva maggior impatto sull’opinione pubblica e sull’idea che i
cittadini avevano del potere e della giustizia.
- Le pene irrogate dal “diritto penale” spesso avevano ad oggetto la vita dei condannati e, in questi
casi, era più visibile, agli occhi della popolazione, il modo in cui la giustizia veniva praticata come
lo erano la crudeltà e l’ingiustizia, utilizzate nell’applicazione delle pene  Viene enfatizzato il
contrasto tra il “diritto penale” e il nuovo modo di concepire i rapporti tra potere e cittadini, insieme
ai diritti attribuitigli.
- La modalità di amministrazione del “diritto penale” diventa un simbolo di progresso, di
miglioramento della convivenza civile, proposto dagli Illuministi e viene utilizzato come strumento
di valutazione della modernità di uno Stato; il “diritto penale” diventa quindi il simbolo dei
peggiori difetti o delle migliori intenzioni di progresso e riforma di uno Stato.

Riforma della “giustizia punitiva”  Molti progetti di riforma degli Illuministi, tra i quali il più
importante era rappresentato da Cesare Beccaria: Scrisse la prima edizione della sua opera più
famosa “Dei delitti e delle pene” (1764) in forma anonima, a causa del suo contenuto così
rivoluzionario e polemico, nei confronti dell’assetto della “giustizia penale” dell’epoca; Beccaria
preferiva non esporsi in prima persona (reazioni e critiche durissime), poichè l’autore venne
immediatamente accusato di eresia.
- L’opera “Dei delitti e delle pene” ebbe un successo immenso e divenne il manifesto del
“riformismo illuminista” nell’ambito penale, in tutta Europa e non solo; venne spesso utilizzato
come punto di riferimento per l’introduzione di “riforme legislative”, da parte di molti Sovrani
europei.

1 - “Dei delitti e delle pene” era stato scritto in un linguaggio comprensibile a tutti i cittadini; non
era un testo destinato solo ai giuridici e quindi non era scritto in un linguaggio sofisticato.
2 – Il carattere scorrevole del linguaggio era molto efficace nell’individuazione dei difetti e limiti
del “diritto penale” dell’antico regime e nel proporre soluzioni radicalmente diverse.

Seconda edizione “Dei delitti e delle pene”:


- L’autore a chi legge: “Alcuni avanzi di leggi di un antico popolo conquistatore, fatte compilare da
un principe che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, frammischiate poscia co' riti longobardi,
ed involte in farraginosi volumi di privati ed oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni
che da una gran parte dell'Europa ha tuttavia il nome di leggi (Ius Comune)”  Riferimento al
“Corpus Iuris Civilis” di Giustiniano.
- “Ed è cosa funesta quanto comune al dì d'oggi, che una opinione di Carpsovio, un uso antico
accennato da Claro, un tormento con iraconda compiacenza suggerito da Farinaccio, sieno le leggi
a cui con sicurezza ubbidiscono coloro che tremando dovrebbono reggere le vite e le fortune degli
uomini (giudici). Queste leggi, che sono uno scolo (eredità negativa) de' secoli i più barbari
(Medioevo, “età buia”), sono esaminate in questo libro per quella parte che riguarda il sistema
criminale; e i disordini di quelle si osa esporli a' direttori della pubblica felicità, con uno stile che
allontana il volgo non illuminato ed impaziente” Il modello di diritto medievale era simbolo di
massima negatività, arretratezza, oscurità culturale e andava cambiato.
- Nella sua opera, Beccaria espone i difetti, disordini del sistema in un modo che poteva essere
compreso da tutti, ai Sovrani e legislatori.
- L’obiettivo della sua opera era quello di identificare il “nemico da combattere” ovvero il sistema
medievale (“lo scolo dei secoli più barbari”) e, successivamente, proporre una soluzione
alternativa.

Durante il ‘700  La riflessione illuministica, riguardo la necessità di riformare la giustizia 


Diverse ideologie penalistiche dell’Illuminismo; diversi “scopi di riforma”.
- Alla base delle proposte di riforma del “diritto penale”, troviamo almeno tre diverse
ideologie/filosofie:

1 – Utilitarismo  Rendere l’amministrazione della “giustizia penale” più utile per chi governa
(Sovrano) e per la collettività; ottenere la massima utilità per il maggior numero di persone.
- La modalità di esecuzione “pubblica” delle pene viene ritenuta “non più utile” per chi governa 
La modalità di esecuzione della pena doveva servire da esempio per gli altri, generando terrore e
paura nei loro confronti, tanto da dissuaderli nel compiere dei reati.
- L’esecuzione “pubblica”, invece di incutere “terrore” nei cittadini e produrre un senso di rispetto
nei confronti della legge e del Sovrano  Produce come effetto contrario una presa di coscienza
della popolazione, mostrandole solo la manifestazione pubblica di un “potere crudele”, che
abusava in modo eccessivo della propria forza e applicava pene sproporzionate.
- Questo porta i cittadini a maturare quindi un “senso di dissenso” e un “sentimento di protesta”, nei
confronti del “potere politico”  Il Sovrano si rende conto di quanto sia inutile il sistema (“diritto
penale”) utilizzato finora per governare la collettività, che aveva come scopo il vivere pacifico dei
cittadini e il rafforzamento del “potere politico”; le pene di “terrore” non erano utili alla
rieducazione e alla rieducazione dei soggetti condannati.

- Era necessaria una revisione delle modalità di esecuzione, applicazione delle pene, perché
risultassero più “utili” a chi governava  “Questo per assicurarsi il consenso dei cittadini; per
elaborare un modello di “giustizia penale” condiviso dalla popolazione, che fosse visto con
“rispetto” e “reverenza” e non percepito come la manifestazione di un potere “eccessivo” e
“repressivo”.

2 – Umanitarismo  La pena non poteva mai essere percepita come “crudele” o “disumana” e non
rispettosa della dignità della persona umana; anche se il “reo” era sempre visto come un
trasgressore (aveva procurato un danno alla vittima e alla società), non poteva mai diventare una
“cosa” ed essere disumanizzato completamente per accanirsi contro di lui con ogni mezzo possibile.
- Il trasgressore era sempre ritenuto un membro della società e, anche nei suoi confronti, era
necessario mantenere un minimo di dignità e di diritti, riconosciuti a tutti gli uomini  Le pene
dovevano essere più rispettose del senso di umanità della persona umana.

3 – Proporzionalismo  Le pene dovevano essere proporzionali alla gravità del reato commesso e,
di conseguenza, la giusta pena per il reato commesso doveva essere ripensata alla luce dei criteri di
“utilità” e di “umanitarismo”.
- L’idea di proporzione andava superata, secondo gli illuministi, e doveva essere più “limitata” 
La pena doveva infliggere, nei confronti del condannato, un danno lievemente superiore rispetto al
beneficio/vantaggio ottenuto dal “reo”, nel compimento del reato; questo dovrebbe essere
sufficiente a dissuadere i soggetti dal commettere lo stesso reato.
- La proporzione porta a ridurre le sanzioni ad una forma più “lieve”, “umana” e “utile”.
“Dei delitti e delle pene” (1764)  Beccaria possedeva una concezione “statalistica” e “laica” del
crimine.

- Concezione “laica”  Era indiscutibile la separazione dell’ambito del diritto da quello della
morale e della religione; il “diritto di punire” si fondava su delle ragioni che non potevano mai
essere condivise dalla religione.

- Concezione “statalistica”  Richiamava l’idea per cui il diritto penale fosse un ambito del diritto
pubblico, all’interno del quale lo Stato (“potere politico”) possedeva la facoltà e l’autonomia di
organizzare il diritto penale, secondo il modo che riteneva più opportuno.
- Il “diritto penale” non era radicato nella morale, teologia o religione  Il “diritto penale” era
espressione delle scelte dello Stato; questo non significava che il “potere politico2 potesse fare tutto
quello che voleva, ma esistevano dei limiti imposti al “diritto penale” sulle pene, sanzioni.

In particolare, Beccaria elenca 1 esplicito limite al “diritto di punire”:


1. La pena, non derivante da un’assoluta necessità, era considerata “tirannica” e “ingiusta”
(considerata “disumana”, poichè contraria al principio di umanità, e “non utile”)  “Pena non
derivante da assoluta necessità”: Il “diritto penale” incideva sulla vita delle persone e andava usato
solo in casi estremi; solo nel caso in cui venissero commessi degli illeciti particolarmente gravi,
alcune condotte che portavano alla lesione o al danneggiamento di determinati beni giuridici, valori
particolarmente rilevanti.
- Quando era possibile, sarebbe stato meglio utilizzare altri strumenti, altri tipi di sanzioni (“civili”);
bisognava trovare altre forme giuridiche sufficienti per ristabilire l’ordine, senza dover ricorrere al
“diritto penale”.
- “Pena derivante da assoluta necessità”, sennò considerata “tirannica”  Il legislatore doveva
elaborare un “diritto penale”, che fosse il meno invasivo possibile per la vita dei cittadini.
- Beccaria elabora l’idea di un “diritto penale” definito come “minimo”  Lo Stato non aveva il
diritto di interferire sulle azioni dei singoli cittadini, salvo in casi eccezionali (il “diritto penale” era
rappresentato da alcune isole [piccole, limitate e rappresentanti dei divieti], immerse all’interno di
un mare di libertà).

Beccaria  Il “diritto penale” era necessario allo stato, ma veniva usato il meno possibile.

Altri principi elencati da Beccaria:


- La “legge penale” doveva provenire solo ed esclusivamente dal legislatore (simile a Muratori:
bisognava limitare il ruolo dei giudici e affidarsi solo alla saggezza del Sovrano/legislatore) 
L’ambito del “diritto penale” era esclusivamente riservato al legislatore, che ne definiva i
“contorni” attraverso delle leggi generali ed astratte.
- Una “giusta” legge penale doveva essere indirizzata a tutti i cittadini, indistintamente; doveva
essere prevista anticipatamente, in forma generale e astratta; applicabile, in futuro, a tutti possibili
trasgressori.
- L’applicazione di una “pena atroce” era ritenuta inutile e contraria alla giustizia  La pena
doveva essere più “dolce”, “lieve”, “mite”; doveva inoltre possedere caratteristiche come la
“certezza” e il fatto di essere infitta in tempi brevi, successivamente alla commissione del reato.
Beccaria  Principio di “legalità della pena”:
- Il giudice doveva esercitare un potere “meccanico” ed operare attraverso un procedimento
“sillogistico”  Partire da una “premessa generale” (il contenuto della “legge penale”, che definiva
la fattispecie del reato), per poi procedere con la legge e con una “premessa specifica” del caso
concreto, riguardante la condotta, il singolo “comportamento illecito” verificatosi.
Il giudice deve confrontare se la singola “condotta illecita” compiuta corrisponde esattamente alle
premesse generali della legge, per far rientrare il caso all’interno della fattispecie astratta  Questo
ragionamento, compiuto dal giudice, è di tipo “meccanico”, poichè non necessita di nessun margine
interpretativo e il giudice non ha nessun potere per definire la “premessa generale” o la “premessa
specifica” del caso concreto.
- Beccaria teorizza l’idea di un “potere nullo” e azzerato del giudice, poichè egli applica
meccanicamente la decisione del legislatore, tradotta in legge.
- Inoltre, Beccaria propone l’istituzione di “organi [costituzionali] collegiali”, per limitare
ulteriormente il ruolo del giudice “monocratico” (era più forte il rischio che egli potesse essere
influenzato nella sua decisione)  L’esistenza non di un singolo giudice penale, ma un giudice
“collegiale”, affiancato da dei magistrati; questo per fare in modo che la decisione risultasse più
oggettiva possibile e che non fosse influenzabile, dipendente dal “singolo” giudice.
- Attraverso l’uso di un giudice “collegiale”, l’influenza del singolo poteva essere3 equamente
bilanciata con quella degli altri organi  Evitare che la decisione penale non sia dipendente dalle
scelte dei singoli giudici.

- Ridurre, azzerare il ruolo del giudice “monocratico”  La legge doveva essere formulata in modo
chiaro, limitato, semplice alla comprensione, in una lingua comprensibile (linguaggio semplice) e le
leggi dovevano essere raccolte in un codice, testo unico; la legge doveva risultare chiara a tutti
(giudici e cittadini) e non essere oggetto di equivoci, possibili diverse interpretazioni.

1. Bisognava ridurre il potere del giudice.


2. Beccaria formula una richiesta nei confronti del legislatore  Doveva cambiare il modo di
formulazione dei testi legislativi (leggi).
3. La “legge penale” doveva essere indirizzata alla “generalità” ovvero a dei soggetti, che erano
considerati tutti uguali  Diritto penale a “soggetto unico” di diritto: Le norme era rivolte a tutti i
cittadini, senza alcuna distinzione e questo rendeva il “diritto penale” più giusto, umano,
proporzionato e utile, nella visione di Beccaria.

- Necessità di riformare il sistema di amministrazione della “giustizia penale”  Si focalizzava


principalmente sul “diritto penale processuale”, poichè principali problemi sull’amministrazione
della giustizia risiedevano nel tipo di “modello inquisitorio” (Basso Medioevo): Attribuiva tutti i
poteri nelle mani del giudice, azzerando le garanzie dell’imputato.
Era necessario modificare l’idea di processo, se si voleva ottenere un diritto penale più umano,
proporzionale e utile  Bisognava cercare di attribuire delle garanzie all’imputato, senza lasciare
tutto nelle mani del giudice.

Beccaria critica il “processo inquisitorio”:


1. Concezione della “prova legale”  Idea secondo la quale le prove avevano una gerarchia: (1)
indizi; (2) testimonianze; (3) confessione o “regina delle prove”, utilizzata in ultimo e poteva essere
ottenuta dal giudice attraverso la tortura.

- La critica finale di Beccaria era rivolta verso la “tortura”  Riteneva il sistema della “prova
legale” estremamente sbagliato, perché produceva dei meccanismi assurdi; il giudice, pur di
raggiungere la verità (obiettivo necessario del processo), si sentiva legittimato e autorizzato all’uso
della “tortura”.
- La “tortura” era ritenuta inaccettabile da Beccaria  Trasformava l’imputato in una “cosa” e gli
faceva perdere la facoltà di essere una persona; trasformandolo in un “oggetto”, che poteva essere
sfruttato per raggiungere il fine ultimo.

Beccaria si rifà sempre ai 3 principi di “utilitarismo”, “umanitarismo” e “proporzionalismo”, per


rendere più efficace la sua tesi contro l’uso della tortura, per la quale la “tortura” era ritenuta
“disumana”, “non utile” e non portava a nessun risultato concreto.
- Beccaria dimostra che ciò che veniva affermato sotto tortura non aveva nulla a che fare con la
verità dei fatti e delle cose realmente accadute  Qualunque persona sottoposta ad un
incommensurabile dolore, era naturalmente disposta a dire qualsiasi cosa pur di far terminare la
tortura e, quindi, l’intero contenuto della sua confessione non poteva essere ritenuto un elemento
fondante di prova, per arrivare alla scoperta della verità.

2. L’idea che una testimonianza assuma un “carattere probatorio” diverso, in base alla condizione
sociale del soggetto dalla quale proveniva; la testimonianza essere considerata maggiormente
probante quando proveniva da un uomo onesto, nobile o religioso, rispetto ad un vagabondo o
straniero, che venivano ritenute meno attendibili.
- Beccaria riteneva che questa idea andasse superata, poichè rappresentava uno dei tanti frutti
prodotti da un modello sociale basato sulle disuguaglianze.

3. Necessità di rendere noto all’imputato l’accusa rivoltagli, fin da subito  Una caratteristica
predominante del “modello inquisitorio” era proprio la segretezza della fase iniziale: Il giudice
iniziava a raccogliere prove a carico di qualcuno, senza informare la persona in questione.
- Veniva rilevato un problema di “garanzie”  Se la persona in questione veniva informata fin da
subito, gli veniva allora concesso il tempo necessario per preparare una propria difesa.
- Bisognava uscire da quella “fase di segretezza”, rendendo nota l’accusa fin da subito e cercando di
ristabilire il giusto equilibro tra le parti del processo penale  Equiparare nuovamente i ruoli
dell’accusatore e dell’accusato, eliminando l’idea di enorme inferiorità dell’imputato rispetto
all’accusatore.

4. Bisognava eliminare la “presunzione di colpevolezza” per sostituirla con una “presunzione di


innocenza”  Diventava onere e unica responsabilità dell’accusa provare la colpevolezza
dell’imputato e questo implicava una nuova rielaborazione di tutte le regole del processo.

Beccaria propone una nuova suddivisione dei reati  “Tripartizione dei reati”
1. “Crimini contro l’esistenza della società” (lesa maestà, contrabbando)  Tipi di reato più gravi,
poichè non ledevano una singola vittima, ma mettevano in pericolo la coesistenza della società
civile, attaccando il Sovrano o i corpi amministrati (rendevano funzionante la società stessa).
2. “Crimini contro i privati”  Minacciavano la vita, i beni o l’onore dei singoli cittadini.
3. “Crimini contro la pubblica tranquillità” (ozio, strepiti nelle pubbliche vie, muoversi armati) 
Una condotta veniva punita solo per il fatto di venire ritenuta generante di un qualche pericolo.
- Il legislatore riteneva che quelle condotte potessero, potenzialmente, rappresentare un pericolo e
potevano favorire la commissione di reati; invece di aspettare l’effettiva e concreta commissione di
un reato, si preferiva agire in anticipo con una punizione.

- Questa “tripartizione dei reati” era necessaria per individuare una “scala di gravità” dei reati 
Si ricollega al “principio di proporzionalità”, che valutava e puniva diversamente i reati in base al
bene giuridico leso.

Tramite la “tripartizione dei reati” Beccaria voleva anche “depenalizzare” alcune fattispecie
penali, rendendole non più penalmente rilevanti.

Beccaria  “La dolcezza delle pene”


1. “Uno dei più gran freni dei delitti (strumenti per limitare e prevenire la commissione dei reati)
non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse, e per conseguenza la vigilanza dei magistrati,
e quella severità di un giudice inesorabile, che, per essere un'utile virtù, dev'essere accompagnata da
una dolce legislazione”  Valeva di più “l’infallibilità della crudeltà” ovvero bisognava uscire
dalla logica medievale per la quale si minacciava una pena terribile, che poi, in realtà, veniva
applicata solo nella minorità dei casi (alla maggioranza dei soggetti condannati era concessa la
grazia); bisognava smettere di pensare che la punizione effettiva di quei pochi fosse sufficiente
come minaccia, terrore e monitoraggio per molti.

2. “La certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il
timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità”  Risultava più utile una pena
certa e rivolta a tutti, rispetto ad una pena terribile, che poteva non essere rivolta alla totalità dei
condannati.
- Beccaria sosteneva che per ottenere un’effettiva prevenzione dei reati, era necessaria
un’irrogazione totale della pena a qualunque soggetto avesse compiuto un reato  La “certezza
del castigo”, la certezza che colpirà tutti e il fatto di sapere che sarà irrogato in breve tempo, porta i
soggetti a riflettere maggiormente prima della commissione di un reato e farli arrivare alla
conclusione che non valga la pena commettere il reato.
- Beccaria  Se si vuole porre come scopo la diminuzione dei reati, la strategia migliore è quella
di irrogare pene più lievi e verso tutti.

3. “Gli animi delle persone, come i liquidi, si adeguano al livello di crudeltà della pena”: Se un
ordinamento inizia a prevedere pene molto crudeli e severe, le persone, gradualmente, si
abitueranno all’idea che quelle siano delle pene “normali” e “giuste”.
- Quando si applicavano delle pene così crudeli, si trasmetteva il messaggio che la violenza fosse
legittimata e qualcosa utilizzabile da tutti  Beccaria: La violenza utilizzata dal potere politico
poteva ritorcerglisi contro, giustificando i cittadini alla violenza contro altri cittadini o il potere
politico stesso.
- Il “diritto penale” non serviva solo per reagire alla commissione di un reato, ma anche per
educare la popolazione al rispetto di certe norme e valori  Se la pena doveva avere uno scopo
riabilitativo, allora questo scopo non poteva essere raggiunto solo tramite la condanna pene crudeli.

- Condanna alla “pena di morte”  Beccaria si riteneva “abolizionista” e voleva convincere le


persone del fatto che la pena di morte era:
1. “Ingiustificabile”  Non poteva essere attribuito allo Stato il diritto di togliere la vita ad una
persona, poichè nemmeno gli stessi individui possedevano quel diritto (o quello di togliere la vita ad
altre persone).
- “La pena di morte era la guerra dello Stato contro il proprio cittadino”; rappresenta il ricorso ad
uno strumento di violenza, per il quale il diritto penale viene usato per contrastare la violenza dei
soggetti”  Lo Stato diventa “carnefice” dei propri cittadini, poichè la “pena di morte” si
trasforma in un modo per cui le persone arrivano a percepire lo Stato come “tirannico”, che
reprimeva in modo crudele la vita dei propri cittadini.
- Lo Stato diventa uno strumento per la produzione di sfiducia, invece di consenso, nei cittadini.
2. “Inutile”  Nel suo testo cita: “Non è utile la pena di morte per l'esempio di atrocità che dà agli
uomini”

Beccaria  2 casi in cui la “pena di morte” risulta “ammissibile”:


1. Quando un criminale incarcerato risulta ancora talmente pericoloso e influente (relazioni,
potenza), anche all’interno del carcere.
2. Quando invece di essere in un governo delle leggi, ci si trova in una situazione di “anarchia”
(società dello “stato di natura”) ovvero di assenza di leggi, per cui la commissione di certi reati
rischia di diventare così incontrollabile che bisogna ricorrere per forza alla “pena di morte”.
- Beccaria  L’ipotesi in cui si ricorre alla “pena di morte” risulta “assurda”, “irrealizzabile” e
coincide con una “assenza di dimensione politica”.

Foucault  “Lo splendore dei supplizi”: L’idea che l’esecuzione della condanna capitale diventi
uno “spettacolo teatrale”, al quale la gente doveva assistere.
- Le persone che assistevano a questi “spettacoli” iniziano ad identificarli come la rappresentazione
di un potere (Stato) “crudele”, che non era più tollerabile  Beccaria contesta il fatto che il potere
politico utilizzi l’esecuzione della “condanna capitale” come uno “spettacolo” al quale assistere.

‘700  “Diritto di punire” come punto di partenza dell’incivilimento della società: Il “diritto
penale” non viene più visto come corrispondente al livello di civilizzazione della fine del ‘700.
- Il “diritto penale” doveva adeguarsi al “senso di civiltà” dell’epoca.
- Il “diritto penale” diventa lo strumento attraverso il quale si ripensano i rapporti tra il potere
politico e i cittadini; non poteva risultare assolutamente “tirannico”.

“Leopoldina” (1786)  Il Gran Duca di Toscana (Pietro Leopoldo) introduce una nuova legge di
riforma della giustizia criminale: “Riforma della legislazione criminale toscana” o “Leopoldina”.
Pietro Leopoldo aderiva con grande convinzione alle proposte di riforma dell’illuminismo
giuridico; introdusse in ambito civile, fiscale e penale delle importanti riforme, per modernizzare,
semplificare l’ordinamento giuridico e cerca di far riconoscere maggiori diritti ai suoi cittadini.
- Leopoldina: “Legislazione penale” Diventa il primo testo in Europa che traduceva in un testo
positivo le idee proposte da Beccaria.

Leopoldina  Aspetti di modernità VS Aspetti di non modernità (legati ancora all’antico regime):

Tra gli “aspetti di modernità” della Leopoldina ritroviamo:

1. “Aspetti di modernità” del processo penale e la proposta di alcune “riforme”:


[1] Vengono completamente abolite le “prove legali”.
[2] Abolita la “tortura”.
[3] Abolita la “contumacia” (mancata presenza dell’imputato al processo), che spesso poteva essere
equiparata ad una confessione di colpevolezza (“presunzione di colpevolezza”, diffusa nel
Medioevo).
[4] Si esclude l’obbligo di giuramento e di affermare la verità, impegnando la propria coscienza
religiosa  “Giuramento” era ritenuto uno dei segni di contaminazione, sovrapposizione tra diritto
e morale, che l’illuminismo voleva tenere ben separati.
[5] Non si poteva emanare un “mandato di cattura” se l’imputazione, posta a carico dell’accusato,
faceva riferimento ad un reato che prevedeva solo una “pena pecuniaria”  Era insensato scontare,
nell’attesa della condanna definitiva, un “periodo di detenzione” in carcere; risulterebbe più grave la
limitazione di libertà, subita precedentemente (detenzione), rispetto alla pena che potrebbe essere
inflitta, se l’imputato risultasse colpevole, con la condanna finale.
- Si presenta una “illogicità” e “contraddizione” del processo penale, basata e risultante dall’uso
della “presunzione di colpevolezza” dell’imputato e dalla sua mancata tutela.

2. “Tipologia delle pene” che venivano inflitte  Le pene, inflitte dalla “Leopoldina”, rispettavano
un criterio di più moderata proporzione e, quindi, risultavano più “miti” e “proporzionate”, rispetto
alla gravità del reato e al soggetto coinvolto.
- “Motivazione della pena”  Le pene, inflitte dai magistrati, dovevano essere motivate, all’interno
della sentenza; questo rendeva “visibile” e “criticabile” il ragionamento logico, seguito dal giudice
per l’irrogazione della pena in quella sentenza, e rendeva possibile il ricorso da parte del
condannato, se la sentenza fosse risultata “ingiusta” o “illogica”.
- La Leopoldina è la prima ad abolire la “pena di morte”, accogliendo pienamente la proposta
abolizionista di Beccaria.
- Vengono abolite anche le “mutilazioni”.
- Viene abolita la pena della “confisca dei beni”  Si inizia ad utilizzare il principio della
“personalità della pena”, secondo il quale la pena doveva colpire esclusivamente il singolo autore
del reato; la “confisca dei beni” (privare il condannato dei suoi beni) colpiva più duramente e
danneggiava la famiglia del condannato, rispetto al soggetto stesso.

Restano come possibili pene applicabili, all’interno della “Leopoldina”:


- Lavori pubblici, in perpetuo o a tempo
- Gogna
- Staffilate
- Frusta
- Pene pecuniarie

3. La Leopoldina elimina il crimine di “lesa maestà”  Spesso utilizzato nel Medioevo, ‘600/’700,
perché poteva essere attribuito, indistintamente dal giudice, a moltissimi comportamenti che,
direttamente o indirettamente, potevano nuocere al prestigio dello Stato, alla sicurezza pubblica e
alla figura del Sovrano; esisteva un margine troppo largo di discrezionalità per questo reato.

“Aspetti di non modernità” della Leopoldina:

1. All’interno della Leopoldina, non c’è distinzione tra la parte di “diritto penale sostanziale” e
quella di “diritto penale processuale”.

2. Questa “non-suddivisione”, rende la sua comprensione più complessa e confusa, poichè non
esistono suddivisioni sistematiche, che rendano il contenuto di più facile lettura.

3. Il linguaggio utilizzato non è schematico, ma sintetico e discorsivo, in cui il legislatore definisce


il contenuto delle norme e, contemporaneamente, spiega le ragioni dietro la scelta dell’emanazione
del testo.

- Art 51: “Abolizione della pena di morte”  Si vede spiegata la ragione filosofica e politica,
celatasi dietro la scelta abolizionista: “Siam venuti nella determinazione che la pena di morte sia
abolita”.
- Lo scopo della pena: “L’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico
danno, la correzione del reo, figlio anche esso della società e dello Stato, della di cui emenda non
può mai disperarsi, la sicurezza, nei rei dei più gravi ed atroci delitti, che non restino in libertà di
commetterne altri, e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti” 
Risulta più efficace avvalersi di mezzi che arrecassero al “reo” il minor male possibile e questo
scopo si poteva ottenere con altri strumenti, diversamente dall’uso della “pena di morte”.
- Tra gli “altri strumenti” ritroviamo: Lavori pubblici: Pena che, invece di concludersi in un’unica
azione (“uccisione del condannato”), era in grado di produrre un esempio continuato  I lavori
pubblici potevano essere imposti per un lungo periodo o per l’intera vita.

Invece di generare solo un “momentaneo terrore”, che spesso poteva degenerare in compassione; i
“lavori pubblici” risultavano più efficaci:
(1) Eliminavano la possibilità di commettere nuovi delitti, ammettendo il soggetto in “custodia” per
tutta la loro durata.
(2) Ammettevano una possibilità di “futura riabilitazione” per il soggetto e il suo possibile rientro
all’interno della società.

- I cittadini che osservavano l’esecuzione della “pena capitale”, invece di essere maggiormente
spinti verso rispetto delle leggi (senso di rispetto), potevano acquisire un senso di compassione per
il condannato, a causa dell’eccessiva crudeltà manifestata dalle “pene spettacolari”.
4. Rapporto della Leopoldina con le “leggi precedenti” o “diritto previgente”  Cosa succede,
dopo l’arrivo della Leopoldina, alla legislazione penale in vigore in Toscana prima del 1786? Si
trova una soluzione particolare, ibrida:
[1] Viene prevista l’abrogazione delle “norme incompatibili” con la Leopoldina, in base ad una
concezione contenutistica  La Leopoldina affermava che tutto il “diritto precedente” non
coerente, non ispirato agli stessi suoi principi o di contenuto verrà abrogato.
[2] Se esistevano dei casi dubbi, delle lacune o nel caso in cui il giudice non trovasse risposta in
una norma espressa della Leopoldina, riguardo la risoluzione di un caso; egli può ricorrere alle
“leggi precedenti”, purché queste venissero interpretate secondo lo “spirito della riforma”
(Leopoldina).

- Art 118: Le cause verranno decise secondo gli articoli della Leopoldina.
Mentre, nei “casi omessi” i giudici potranno ricorrere alle “leggi precedenti”, seguendo sempre lo
“spirito della presente riforma” (atteggiamento di apertura e di condivisione delle idee del
“riformismo illuminista”) e risultando compatibili con le sue leggi.
- I giudici dovevano adeguare le “norme precedenti” al “nuovo spirito” della Leopoldina, che
emergeva dalla lettura degli articoli stessi.

 La Leopoldina era una forma di “consolidazione” e non ancora una “moderna codificazione”
(codice).

Illuminismo penale inglese  Durante il ‘700 in Inghilterra abbiamo 2 autori, che identificano il
soggetto criminale come una persona colpita, affetta da un comportamento moralmente riprovevole;
il “criminale” era un soggetto dedito ai vizi, che “sceglieva” di essere un deviato.
1. Joseph Butler (predicatore protestante)  Insiste sulla similitudine tra la malattia e il crimine:
“Come il malato andava isolato, perché fosse curato e non contagiasse altre persone, così il
criminale doveva essere inserito in un contesto separato, rispetto alla società, per evitare che
diffonda un cattivo esempio o inciti le persone vicine a sé a commettere reati”.
- Butler insisteva sui vizi e l’immoralità del criminale, sulle sue cattive scelte e il fatto che fosse un
soggetto sregolato; egli meritava di subire delle “pene artificiali”, poichè aveva usato male la sua
libertà di scelta, la sua ragione e ha scelto di non usare il proprio talento, potenzialità.
- Il “criminale” era un soggetto che generava paura e destabilizzava la tranquillità del ceto borghese
 Il “criminale” veniva identificato come un “soggetto parassita”; era un soggetto che viveva alle
spalle di chi lavorava onestamente e il quale, invece di guadagnarsi da vivere onestamente, viveva
sul lavoro altrui.
- Scopo della “repressione”  Pace “sociale” ed “economica”.
2. Henry Fielding + Joseph Butler  Nesso tra criminalità e ozio (chi decide liberamente di non
lavorare): Si arriva ad assimilare il “criminale” come una “persona povera”, che può facilmente
diventare un potenziale “criminale”: È un soggetto diventato povero per colpa propria e poichè
possiede un “vizio” ovvero quello di non aver saputo usare la propria forza, energie, talenti e tempo.
- Il delitto ha 2 cause: “Economica” (povertà) e “morale” (desiderio di vivere al di sopra delle
proprie possibilità)  Il soggetto “povero” tende ad essere una “minaccia”, che tenta di acquisire i
beni altrui, poichè, anche non volendo lavorare, vuole vivere al di sopra delle proprie possibilità e
quindi tende a diventare un “criminale”.
- Gaetano Filangieri  Sono 2 le sue opere più importanti:

1. “Riflessioni politiche sull’ultima legge del Sovrano” (1774): Riguarda la riforma


dell’amministrazione della giustizia  Si fa riferimento ad un provvedimento normativo noto come
il “Reale Dispaccio” ed emanato dal Re di Napoli (Ferdinando IV), nel quale si faceva riferimento
all’ideologia anti-giurisprudenziale.
- Qualora il giudice avesse dei dubbi sull’applicazione di una legge, emanata dal Sovrano, o ritenga
che un caso non fosse disciplinato dalla legge (“lacune” o “omissioni”); egli non poteva in modo
autonomo, attraverso la propria interpretazione, colmare quel vuoto normativo (così facendo,
diventerebbe egli stesso legislatore, scavalcandolo nelle sue funzioni), ma doveva rivolgersi al
Sovrano, oracolo del legislatore  Quando non si trovava la norma adatta alla risoluzione del caso,
bisognava interpellare il legislatore, perché emani una legge, volta a colmare la “lacuna” riscontrata.
- La legge non poteva essere creata dal giudice, attraverso la sua interpretazione, ma poteva essere
prodotta solo dal legislatore; è un ruolo che esula dai poteri del giudice.

- Filangieri dà una valutazione molto positiva a questo provvedimento, poichè anche lui
condivideva l’idea e la necessità secondo la quale era necessario limitare il ruolo del giudice.
- Filangieri definisce il “Reale Dispaccio” come un episodio in cui “il ministro filosofo propone al
Principe il rimedio e il docile Sovrano esegue”  Idea dell’assolutismo illuminato dei sovrani.
Nel corso del ‘700 alcuni sovrani aderiscono alle proposte dell’illuminismo, ma necessitano, non
essendo degli esperti, del supporto di giuristi, che li possano consigliare  I sovrani preservano
comunque la loro sovranità e pienezza di poteri, ma si pongono, nei confronti dei sudditi, con un
atteggiamento diverso, assumendo anche un ruolo di educatori per migliorare le condizioni di vita e
prendersi cura dei loro sudditi.

- Filangieri: Ritorna sull’idea della limitazione del potere del giudice e affermava che “nei governi
moderati comandavano le leggi e non gli uomini; mentre l’arbitrio giudiziario era sempre da
estirpare”  In un governo “moderato”, “equilibrato” e “giusto” erano compito delle leggi ordinare
la vita civile e non comandavo gli “uomini” (giudici, che attraverso la loro interpretazione
modificano il testo della legge per introdurre nuove norme, spesso legate alle loro opinioni
personali).
- Ideologia anti-giurisprudenziale  Si esalta il ruolo della legge come strumento indirizzato, in
modo generale ed astratto, verso tutti (no privilegi o discriminazioni) VS Decisioni giudiziali
(“arbitrio giudiziario”) Producevano abusi e discriminazioni.

- Filangieri invita il magistrato ad essere espressione del linguaggio delle leggi e configura una
“funzione giudiziale meccanica”  Condizione indispensabile per garantire la “libertà politica”:
Idea secondo la quale il potere giudiziale era da ritenersi “neutro” e che il giudice fosse un semplice
strumento di applicazione, nel caso concreto, della legge del legislatore.

2. “Scienza della legislazione” (1780)  Filangieri riassume le principali idee dell’illuminismo


giuridico in Italia e all’estero.
Nell’opera afferma come “l’emanazione di leggi non era frutto di pura e semplice volontà, ma era
una scienza”  Se si volevano produrre delle leggi “buone”, “giuste”, redatte in una “formula
razionale” e che fossero “efficaci”, per ordinare e governare la società, queste dovevano avere un
fondamento scientifico.
- Filangieri voleva elevare l’opera legislativa ad una massima manifestazione della “ragione
universale” ovvero la ragione posseduta da qualunque uomo, chiunque egli sia; questa “ragione”
dovrebbe prescrivere ovunque le stesse leggi, per il raggiungimento della pubblica felicità, e
costruire attraverso queste un sistema di educazione pubblica e di disciplina della proprietà.
- Se la legge era fondata sulla ragione e questa era posseduta da tutti gli uomini; allora alcune
leggi essenziali dovrebbero essere uguali ovunque ed avere come scopo comune la pubblica felicità
(regolare in modo ordinato la pubblica educazione, la disciplina della proprietà e i rapporti tra
privati e beni).

- Filangieri  Propone delle soluzioni che portino i Sovrani ad una maggiore consapevolezza del
loro ruolo di legislatori e ad elaborare migliori leggi.
Il Regno di Napoli era ancora legato al “sistema feudale” medievale (ogni feudatario aveva delle
prerogative, uno spazio di potere ed una propria giurisdizione)  Filangieri lo chiamava la “notte
dell’anarchia feudale” (sistema medievale di gestione della giustizia) e andava superato, poichè
produceva una giurisprudenza “confusa” e “contradditoria” nella quale il diritto risultava
“incomprensibile” e spesso portava ad abusi, corruzioni e discriminazioni.
Sistema “ordinato” e “pacifico”, basato su un’equa distribuzione della proprietà (non poteva essere
nelle mani solo di pochi, che poi la concedevano ad altri in condizione di semi-schiavitù 
generava una cattiva distribuzione delle ricchezze, diseguaglianze economiche e di ceto, dovute ad
una cattiva distribuzione della proprietà)  Filangieri propone l’individuazione di alcuni strumenti
che portino ad un superamento della “giurisdizione baronale e feudale”, che innescava meccanismi
di corruzione e vessazione, definiti da lui come una “tirannide feudale”.

- Superamento della distinzione in ceti  Attribuire poteri più estesi e ricondurre l’amministrazione
della giustizia al Sovrano, per togliere ai baroni la titolarità di una giurisdizione autonoma;
l’applicazione delle leggi, all’interno del Regno, doveva competere solo agli organi “ufficiali”
nominati e incaricati dal Sovrano stesso, che rappresentano il Sovrano nell’amministrazione
concreta e quotidiana della giustizia.
- Questo generava una maggiore uniformità nell’applicazione delle leggi, poichè i giudici
applicavano le leggi in modo uguale e queste leggi erano state prodotte dal Sovrano per attribuire
delle garanzie ai propri cittadini.

- Filangieri, seguendo l’esempio di Beccaria, propone l’abolizione della “tortura”, delle “prove
legali” e l’istituzione della “giuria popolare” (seguendo l’esempio del processo inglese), nella
convinzione che la giuria potesse rappresentare uno strumento di “garanzia” per gli imputati 
La decisione finale (“verdetto”) veniva presa da una “giuria di pari” e non più dal giudice.

- Filangieri, diversamente da Beccaria, sosteneva che la “pena di morte” doveva essere applicata il
meno possibile e che, potenzialmente, fosse abolita; non condivideva la stessa idea però riguardo il
“pensiero abolizionista”  La pena di morte poteva essere usata come strumento estremo per la
conservazione dell’organismo politico, creatosi successivamente alla stipulazione del contratto
sociale.
- Michel Foucault  “Sorvegliare e punire” (1975): Nel testo “Nascita della prigione” Foucault
tratta del momento storico in cui avviene il passaggio da una “pena corporale” (“pena di morte”)
ad una “pena limitativa della propria libertà” del condannato ovvero la “pena detentiva”, in cui la
pena per eccellenza era identificata nel carcere.
Questo passaggio da una “pena corporale” ad una “pena detentiva” avviene nel ‘700 e si identifica
nelle modifiche legate al modo in cui chi deteneva il potere ricorreva e utilizzava la pena.

- “Utilitarismo”: Le “pene corporali” erano ritenute “disumane”, per la crudeltà con la quale
venivano inflitte e “inutili”, poichè non producevano nessun vantaggio per la collettività.
- La pubblica opinione non era più favorevole a manifestazioni pubbliche di violenza, da parte dello
Stato, per la pura e semplice inflizione di dolore ai condannati.
Quando la “punizione” e il “castigo” veniva irrogati in una modalità pubblica non erano più visti
come qualcosa di positivo  Si riteneva che questa non dovesse sempre risultare visibile a tutti,
poichè non era più condivisa l’idea secondo la quale la pena dovesse trasformarsi in una
restituzione di dolore fisico, ai danni del condannato.

- La pena doveva risultare più rispettosa dell’umanità e della dignità della persona e,
contemporaneamente, doveva essere uno strumento “utile” per chi gestiva il potere (Sovrano) 
Fine ‘700: Viene teorizzato il “carcere”, inteso come un’istituzione funzionale per rendere la pena
più “umana” (morale) ed “utile” (politico).

- Medioevo (antico regime): Il “carcere” era il luogo in cui venivano detenuti e custoditi gli
imputati durante il processo, nell’attesa della condanna, per paura che questi potessero scappare,
inquinare le prove o commettere altri reati; il “carcere” non era considerato una “pena definitiva”
(“la pena di morte” o la “pena corporale”), ma era un intermezzo.

- Durante il ‘700, la pena era rappresentata da ciò al quale il soggetto veniva condannato al
termine del processo  Il “carcere” diventa la “pena definitiva”, grazie al quale si trasmette il
rispetto per il corpo della persona, poichè all’interno del carcere non si subivano violenze fisiche
(cosa che avveniva nelle “pene corporali”).
- Tramite l’uso del “carcere”  Nel ‘700, la libertà era ritenuto il bene più prezioso, infatti si
preferiva privare il soggetto della propria libertà, invece di punirlo tramite l’utilizzo di “pene
corporali”.
- Il “carcere” era considerato più “umano”, poichè non si subiva la stessa inflizione di dolore delle
“pene corporali”.

- Il “carcere” rappresentava fisicamente la separazione delle 2 categorie di persone: criminali e


persone oneste, essendo questo un luogo chiuso da quale il criminale non poteva uscire; veniva
rappresentata la separazione fisica dal “mondo degli onesti”, situato al di fuori del carcere.
- Attraverso il “carcere”, si passa dalla teatralità dell’esecuzione di una “pena pubblica” ad una
“pena priva”, non visibile al pubblico; quando il condannato entrava in carcere nulla di lui era più
noto o visibile.
- La “pena carceraria” si prestava al rispetto del “principio di proporzionalità”, essendo questa
facilmente “modulabile”; si poteva proporzionare la pena incidendo sulla durata della detenzione
(rispettoso della dignità umana)  La permanenza, all’interno del carcere, era basato sulla gravità
del reato commesso dal detenuto).
- All’interno del “carcere”, il detenuto veniva educato secondo i valori fondamentali della società
del tempo.
1. Momenti di “formazione religiosa” per correggere il vizio di carattere (immoralità) dal quale ha
avuto origine il reato.
2. Il condannato veniva educato al “lavoro”; questo assumeva un “ruolo centrale”  Il carcere
doveva rieducare il condannato all’idea per cui l’onestà coincideva con la capacità, propensione
al lavoro.

- Tutte le fasi della giornata di un carcerato erano perfettamente scandite e stabilite, attraverso l’uso
di regole ferree, sottoponendolo ad un “controllo quotidiano”; il condannato si trovava in una
situazione di perenne “sorveglianza”.

- Foucault: Propone l’idea di una “società disciplinare” ovvero una società in cui i detentori del
potere politico non avevano come un’enorme manifestazione di potere (guerre, esecuzioni
pubbliche, emanazione di grandi leggi)  L’obiettivo di chi deteneva il potere politico era quello di
costruire una società di cittadini che fossero ben disciplinati e rispettosi delle regole (modello di
ordine); queste regole dovevano essere favorevoli all’autonomia di ciascun cittadino, in modo che
lo Stato non dovesse preoccuparsi, attraverso delle spese, di sostenere coloro i quali non riuscivano
ad inserirsi nel meccanismo capitalistico.

- “Modello panottico” di Bentham  Era un modello di carcere “circolare” in cui all’interno era
presente una “torre di controllo”, dalla quale erano visibili tutte le celle dei detenuti; il guardiano,
solamente restando all’interno della torre, era sempre in grado di controllare i detenuti.
- “Il condannato doveva sentirsi sempre controllato e osservato”, poichè il controllo generava
disciplina  Il carcere doveva saper rieducare i condannati a delle regole basate sulla disciplina,
poichè il buon funzionamento della società poteva essere raggiunto solo se la società stessa era
composta da soggetti abituati a rispettare le regole.

“Codificazione” ≠“Consolidazione” come il Codice Napoleonico


Alcune “alleanze” tra “giusnaturalismo” e “illuminismo”:
- Germania  “Assolutismo illuminato”: Volontà del Sovrano, che era dotato di pieni poteri per
riorganizzare l’assetto politico della società, facendosi consigliare da alcuni giuristi.
- Francia  Combinazione tra giusnaturalismo e illuminismo: Completa trasformazione
dell’assetto politico precedente.
Si instaura una forte polemica contro l’antico regime per rifondare il sistema politico e giuridico
basandolo su dei nuovi principi, con un particolare richiamo all’uso di leggi semplici, chiare e certe
(Beccaria); queste leggi serviranno per effettuare una trasformazione politica radicale.
- Italia  Stato frammentato con forte presenza dello Ius Comune (diritto medievale) e quindi
subisce uno sviluppo più ritardato, causato da una frammentazione politica, un particolarismo
giuridico, una forte incertezza e confusione.
In Italia non esisteva la volontà di trasformare radicalmente l’assetto politico degli Stati, attraverso
una rivoluzione; diversamente dalla Francia, la combinazione di “giusnaturalismo” e “illuminismo”
non si associa ad una proposta di radicale rivoluzione politica.

Germania/Italia  La principale conseguenza, dovuta dalla diffusione delle idee illuministe e


giusnaturaliste, fu il tentativo, da parte dei Sovrani, di introdurre delle “riforme giuridiche” che
portassero ad una semplificazione del diritto e ad una razionalizzazione del sistema giuridico.
Questo scopo venne realizzato grazie all’introduzione di “riforme legislative”, che avevano
l’obiettivo di modernizzare l’assetto delle fonti giuridiche e rendere l’ordinamento giuridico più
chiaro, applicabile; ma, queste, non erano ancora definite come delle moderne “codificazioni”.

- “Consolidazione”  Passaggio, ancora non ultimato, verso una moderna “codificazione”; con il
termine “consolidazione” si alludeva ad una “raccolta” di materiale normativo (leggi), ad un
tentativo di ordine sistematico.
- La “consolidazione” era un tentativo di organizzazione, volto ad ottenere una migliore e più
razionale configurazione delle fonti del diritto.
Alcuni esempi di “consolidazioni” li ritroviamo nel “Corpus Iuris Civilis” e “Corpus Iuris
Canonici”.

- Nel ‘700: La “consolidazione” era rappresentata dalle scelte politiche, effettuate dal Principe con
lo scopo di rendere il diritto, ancora confuso e diversamente applicato dai giudici, molto più certo.
- Raggiungere l’obiettivo della “certezza del diritto”  I Principi emanano delle nuove leggi,
attraverso le quali cercano di imporre un nuovo testo normativo, nel quale veniva espressa la
volontà sovrana, e volevano che questo prevalesse e sostituisse le precedenti fonti, le quali
generavano incertezza, confusione del diritto.
- Il Principe cerca di imporre la propria volontà, facendo passare il diritto da un “assetto di fonti
plurali” ad un’unica fonte di produzione  Legge, chiamato anche “legicentrismo” ovvero la
tendenza a far coincidere il diritto con la “legge positiva”, emanata e pura espressione della volontà
del Sovrano; questo significava escludere tutte le possibili interpretazioni dei giuristi, qualunque
“fonte consuetudinaria” o qualsiasi fonte non proveniente dal Sovrano stesso.
- Il diritto doveva provenire dall’unica fonte del Sovrano e questo generava “certezza”; l’unica
fonte di produzione di diritto era la legge  Obiettivo di semplificare e razionalizzare il sistema
giuridico + obiettivo politico di rafforzare il ruolo centrale del potere politico ovvero quello del
Principe, che si poneva come unica fonte di produzione del diritto.
Nelle “consolidazioni” si intravedeva uno “sforzo” per cercare di semplificare e razionalizzare il
sistema giuridico, ma non era ancora del tutto compiuto.
Qualche esempio di “consolidazione” lo ritroviamo in:
1. “Leopoldina” (1786)
2. “Codice Estense” (1771), Modena
3. “Leggi e Costituzioni di Sua Maestà il Re di Sardegna”

- In queste consolidazioni troviamo degli esempi di atti legislativi, emanati dal Sovrano; sono
accomunati dal tentativo del Sovrano di organizzare e semplificare l’assetto delle fonti del diritto.
- Le “consolidazioni” si identificano come una tappa intermedia nel cammino per arrivare alla vera
e propria “codificazione”.

Come capire quando siamo di fronte ad una “consolidazione”? Queste si identificano grazie alla
presenza di 2 aspetti:

1. Mancanza del “soggetto unico di diritto”  La legge, emanata dal Sovrano, si rivolgeva a tutti,
indifferentemente; la legge era “imparziale” e gli articoli era applicabili a qualunque cittadino.
- La legge era stata pensata per rivolgersi a tutti e, quindi, vi era un soggetto unico destinatario
della norma.

- Il “soggetto unico di diritto” presupponeva una società per la quali tutti gli individui fosse ritenuti
“formalmente uguali”  Teorie giusnaturalistiche

- Siamo in presenza di una “consolidazione” quando vi è la mancanza del “soggetto unico di


diritto” ovvero quando quelle leggi vengono ancora applicate e pensate in base a delle differenze
di ceto.

2. Prevista la possibilità di ricorrere ad “eterointegrazione”  “Eterointegrazione”: La legge


emanata dal Sovrano prevedeva che, all’interno di quel testo, potessero presentarsi delle lacune, dei
casi omessi e non espressamente previsti; in quei casi la legge stessa, per risolvere il problema,
ammetteva l’uso di fonti esterne e precedenti, da parte dei giudici.
- “Etero-integrabile”  Si ammetteva espressamente l’uso di fonti esterne alla legge stessa, per la
risoluzione dei casi; quando un testo legislativo presentava questa possibilità allora ci si trovava di
fronte ad una “consolidazione”, poichè il testo stesso riconosceva una propria mancanza,
incompletezza e necessitava il ricorso a fonti esterne (Art 118, Leopoldina: Ammette espressamente
la possibilità di ricorso a fonti precedenti, esterne).

- “Codificazione” in senso moderno  Quando il testo legislativo vietava espressamente il ricorso


a qualunque tipo di fonte esterna, poichè il testo stesso prevedeva qualunque ipotesi al suo interno
e non necessitava nessun ricorso esterno.

Confronto tra testi normativi che disciplinano lo stesso problema:


- Art 12: “Preleggi”; Codice Civile italiano (1942)  Questa norma è espressamente rivolta al
giudice e disciplina il suo spazio di azione e di interpretazione.
Nel testo afferma: “Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del
legislatore. Se
una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni
che regolano casi simili o materie analoghe (ricorso all’analogia); se il caso rimane ancora dubbio,
si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”.
- Il giudice chiamato a decidere, riguardo una controversia, deve prima verificare che non esista
una norma espressa e chiara, applicabile al caso; se non trova nessuna norma, allora potrà ricorrere
all’uso dell’analogia (casi simili, materie analoghe); se nemmeno attraverso l’uso dell’analogia
riesce ad individuare una norma, può quindi fare ricorso ai “principi generali dell’ordinamento
giuridico”  Questi principi non sono scritti, ma sono individuabili, partendo dal testo normativo,
all’interno di tutte le “norme positive”.
- I principi generali dell’ordinamento vengono ricavati, attraverso la lettura sistematica di tutte le
fonti del diritto dell’ordinamento giuridico.

Precedenti storici dell’Art 12:


1. “Leggi e Costituzioni di Sua Maestà il Re di Sardegna” (1770)  “Volendo Noi, che per la
decisione delle cause si osservino unicamente in primo luogo le nostre Costituzioni (testo delle
leggi emanato dal Re di Sardegna), in secondo luogo gli Statuti locali, purché siano approvati da
noi (Sovrano), o dai Nostri Reali predecessori, e si ritrovino in osservanza; terzo le decisioni dei
Nostri magistrati, e in ultimo luogo il testo della legge comune, così proibiamo agli avvocati di
citare nelle loro allegazioni veruno dei lettori nelle materie legali ed a’ giudici tanto supremi, che
inferiori di deferire all’opinione di essi, sotto pena tanto contro detti giudici, che avvocati della
sospensione dai loro uffizi, fino a che ne abbiano da noi riportata la grazia”.

Per capire quale limite porre all’interpretazione del giudice e risolvere il problema:

1. Viene formulata una gerarchia delle fonti del diritto (4 livelli), che i giudici dovevano rispettare:
[1] Applicazione delle Costituzioni
[2] Statuti locali (già esistenti in precedenza)  Applicabili solo se approvate dal Sovrano e ancora
in vigore; fonte gerarchicamente inferiore alle Consuetudini.
[3] Ricorso alle decisioni dei Magistrati  “Precedenti giudiziali”: Decisioni assunte in passato
dalle Corti, Magistrati; rinvio a sentenze precedenti.
[4] “Testo della legge comune”  Ius Comune: Insieme formato dalle interpretazioni di giuristi e
giudici, che era basato sul Corpus Iuris Civilis o sul Corpus Iuris Canonici.

- Confine del margine interpretativo dei giudici  Si specifica come fosse vietato agli avvocati e ai
giudici, di qualsiasi grado, citare nelle loro sentenze le opinioni dei giuristi; se lo avessero fatto,
potevano essere sospesi dalla loro funzione fino alla grazia del Sovrano.
“Divieto di citare le opinioni dei giuristi”, per motivare o spiegare l’interpretazione di un testo
normativo  Riconduceva allo Ius Comune, visto come un sistema pluralistico che poteva
generare molta confusione, mancanza di chiarezza e all’interno del quale prevalevano le opinioni
dei giuristi e dei giudici, rispetto a quella del Sovrano.
- La “citazione” poteva essere frainteso come un simbolo di rinvio all’importanza dello Ius
Comune, che voleva essere fortemente superato e per questo viene vietato.
2. Un’altra soluzione a questo problema di limitare l’interpretazione del giudice, viene proposta dal
“Reale Dispaccio” del Re di Napoli, Ferdinando IV
- “Le decisioni si fondino non già sulla nuda autorità dei dottori, che àn purtroppo nelle loro
opinioni e alterato e reso incerto e arbitrario il diritto, ma sulle leggi espresse del regno e comuni. E
quando non vi sia legge espressa per il caso, di cui si tratta, e si abbia da ricorrere alla
interpretazione o estensione della legge, vuole il Re che questo si faccia dal giudice in materia, che
le due premesse dell’argomento siano sempre fondate sulle leggi espresse e letterali. E quando il
caso sia nuovo, o totalmente dubbio che non possa decidersi colla legge, né con l’argomento della
legge, allora vuole il re che si riferisca alla maestà sua per ottenere il sovrano oracolo”.

- Il giudice non doveva ricorrere alla “nuda autorità dei dottori”, che hanno alterato, reso incerto e
arbitrario il diritto comune.
- I giudici dovevano fondarsi sulle “leggi espresse del Regno”, emanate dal Sovrano; nel caso nel
quale non esistesse una legge espressa e si dovesse ricorrere all’interpretazione del giudice 
Bisognava procedere per “analogia”, facendo in modo che “le due premesse dell’argomento
fossero sempre fondate sulle leggi espresse e letterali” ovvero utilizzando un ragionamento
analogico, ma partendo sempre dal testo di una “legge espressa” (cercata individuando i punti di
somiglianza con il caso trattato).
- Se il caso non presentava similitudini con nessuna “legge espressa”, allora il giudice dovrà sempre
ricorrere, chiedere consiglio al Sovrano  ‘700: Il giudice non poteva creare diritto, ma era unico
compito del legislatore.

3. Soluzione al problema dell’interpretazione dei giudici  “Codice Napoleonico” (1804)

- Art 4  “Se un giudice ricuserà di giudicare sotto pretesto di silenzio, oscurità, o difetto della
legge, si potrà agire contro di lui come colpevole di negata giustizia”.
- Se il giudice che si rifiuterà di giudicare, affermando di non trovare soluzione alla controversia
presentatagli con il solo aiuto del Codice, poichè risultasse come “caso non disciplinato”, “non
chiaro” o “formulazione completamente mancante”  Allora si potrà agire contro il giudice come
“colpevole di negata giustizia”.
- Il giudice doveva sempre trovare una soluzione, all’interno del Codice Napoleonico, per la
controversia postagli.
- Il “divieto di eterointegrazione” veniva espresso nella sua massima forma  Non era contemplata
l’ipotesi secondo la quale il Codice potesse presentare delle “lacune” o fosse “incompleto”, poichè
questo era stato pensato e voluto, dallo stesso Napoleone, come un Codice “completo” ed era
sufficiente per risolvere qualunque caso.
- Quando il giudice non riusciva a trovare la soluzione solo grazie all’uso del Codice, il problema
si faceva risalire al giudice stesso e alla sua “incapacità” in una piena ed accurata ricerca.

4. Soluzione al problema dell’interpretazione dei giudici  ABGB: “Codice Civile Generale


Austriaco” (1811)

- Art 7  “Qualora una causa non si possa decidere né dalle parole, né dal senso naturale della
legge, si avrà riguardo ai casi consimili (analogia) precisamente dalle leggi decisi ed ai fondamenti
di altre leggi analoghe. Rimanendo nondimeno il caso dubbioso, dovrà decidersi secondo i principi
del diritto naturale, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso maturamente ponderate”.
- Il giudice dovrà fare ricorso all’interpretazione letterale, analogia (casi simili) e in ultimo caso,
qualora l’analogia non fosse sufficiente, dovrà seguire i “principi di diritto naturale”  Non sono
scritti o contenuti in nessuna legge, ma sono qualcosa che il giudice dovrà ricavare attraverso le
sue conoscenze ed implicano un margine di interpretazione giurisprudenziale (non prevista dal
Codice Napoleonico  non veniva offerta la possibilità di fare ricorso ad un altro strumento
diverso dal Codice stesso).
- Il “diritto naturale” implica il rinvio ad una fonte non positivizzata ovvero non già tradotta in
legge; il ricorso ad una possibile “interpretazione” sarà possibile, diversamente dal Codice
Napoleonico, poichè cambiava il contesto politico di emanazione dell’ABGB  Diversa visione
del ruolo del legislatore e dei giudici.
- In Austria non si era diffusa una forte “ideologia anti-giurisprudenziale”.

- Francia (Codice Napoleonico)  Forte diffusione di una “ideologia anti-giurisprudenziale”, che


aveva portato ad una cancellazione totale dell’antico regime; l’unico compito del giudice era quello
di applicare la legge alla lettera” e il giudice era considerato un “automa”, che compiva una
semplice interpretazione meccanica.

5. Soluzione al problema dell’interpretazione dei giudici  Codice Civile Svizzero (1907)

- Art 1  “La legge si applica a tutte le questioni giuridiche alle quali può riferirsi la lettera od il
senso di una sua disposizione.
Nei casi non previsti dalla legge il giudice decide secondo la consuetudine e, in difetto di questa,
secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore.
Egli si attiene alla dottrina e alla giurisprudenza più autorevoli”.
- Nel caso in cui la “consuetudine” (rinvio ad una fonte non scritta ed esterna al codice) non fosse
sufficiente  “Il giudice dovrà comportarsi come se fosse un legislatore”.
- In Svizzera, era diffusa una grande fiducia nel ruolo del giudice e nelle sue capacità tanto
consentirgli, nel caso in cui si presentasse una “lacuna”, di vestire i panni del legislatore.

6. Soluzione al problema dell’interpretazione dei giudici  “Codice Civile del Regno d’Italia”
(1865)

- Art 3  “Nell’applicare la legge non si può attribuirle altro senso che quello fatto palese dal
proprio significato delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore.
Qualora una controversia non si possa decidere con una precisa disposizione di legge, si avrà
riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe: ove il caso rimanga tuttavia
dubbio, si deciderà secondo i principi generali del diritto”.
- Si dovrà fare ricorso al significato letterale, successivamente all’analogia e, se questo non
bastasse, ci si dovrà basare sui “principi generali del diritto” (≠”principi generali dell’ordinamento
giuridico”)  Non necessariamente già tradotti in una “norma positiva” dell’ordinamento giuridico
(rinvio ai principi del “diritto romano” o del “diritto comune”).
- Un’altra forma di “consolidazione”  “Codice Generale Territoriale Prussiano”, emanato in
Prussia (1794).

Alcuni “aspetti innovativi”:


1. Questo nuovo codice prussiano va a sostituirsi al “diritto comune”, a base romanistica, che non
era più applicabile.
2. Il giudice poteva ricorrere all’analogia, facendo riferimento ai principi generali interni dello
stesso codice.

Alcuni “aspetti non innovativi”:


1. Il Codice Prussiano era solo uno delle possibili fonti di diritto, poichè restavano in vigore i
diritti dei singoli Stati (“diritti particolari”), che componevano la Prussia (Stato Federalista); ogni
Stato aveva delle regole particolari, applicabili solo all’interno di quel territorio.
- “Doppio livello di regime” o “pluralismo giuridico”: Il Codice Prussiano non abrogava i “diritti
particolari” degli Stati  Quando si presentava qualcosa non era regolato da questi; entrava in
vigore il Codice, utilizzato come un “diritto comune”.

2. Mancanza del “soggetto unico di diritto”  Le norme del Codice Prussiano si indirizzavano a 3
diverse categorie di persone:
- Contadini (liberi o dipendenti)  Assoggettati a forme di limitazione della loro mobilità sociale,
per la quale non potevano guadagnarsi un diverso “stato sociale”; con limitazioni sulla loro libertà
sociale.
- Nobili  Potevano esserlo per nascita o per atto dello stesso Sovrano.
- Cittadini  Tutti coloro che non rientrano in una delle 2 categorie.

- Jean-Étienne-Marie Portalis  Giurista che contribuisce maggiormente alla stesura del Codice
Civile Napoleonico.

- Durante il discorso preliminare all’approvazione del Codice Napoleonico, Portalis insiste


maggiormente su 2 aspetti:

1. Rapporto del Codice con la Rivoluzione Francese  La Rivoluzione aveva portato ad un


ribaltamento politico, causato rotture, scontri, tensioni sociali e all’esasperazione dei conflitti; la
Rivoluzione non è pacifica, ma implica un cambio radicale, tramite violenza e scontri.

- Per ottenere l’emanazione di un Codice Civile era necessaria calma, saggezza e pazienza; il
Codice era il frutto della calma e controllata meditazione dei giuristi  La Rivoluzione pretendeva
di fare una “tabula rasa” e di cancellare tutto, per ripartire da capo; nelle “vecchie leggi” però era
contenuto tutto il processo di elaborazione dottrinale, partito dal Corpus per ottenere, attraverso la
sua elaborazione, una versione più moderna, che fosse applicabile alle esigenze quotidiane del
presente.
- Portalis  Non si poteva elaborare un buon Codice Civile durante la fase della Rivoluzione
Francese, poichè “tutto diventava diritto pubblico” e tutto veniva interpretato con una nota di
conflitto politico; le leggi emanate durante la Rivoluzione avevano un carattere ostili, sovversive e
volevano sempre porsi contro il passato, la tradizione.

- Per ottenere un buon Codice doveva cessare lo “spirito rivoluzionario” e si doveva ritornare ad
un periodo di stabilità e calma politica.

- Senza la Rivoluzione Francese (1789), non si sarebbe mai arrivati ad ottenere il Codice
Napoleonico  Verrebbe a mancare il “soggetto unico di diritto”, espressione della “uguaglianza
giuridica” ovvero il tipico prodotto della Rivoluzione Francese, che ha cancellato la società
medievale (composta da privilegi e ceti) e reso tutti gli individui uguali davanti alla legge.

- Non si poteva ottenere un buon Codice senza la Rivoluzione, ma, contemporaneamente, non si
poteva elaborare un Codice senza prima aspettare l’effettiva e totale conclusione della Rivoluzione,
operata da Napoleone.

2. Ruolo del giudice nell’interpretazione del Codice  Il legislatore non potrà mai emanare tante
leggi quante sono gli effettivi casi concreti da regolamentare, poichè i casi della vita prevarranno
sempre, in numero e complessità, rispetto a quelli realmente previsti dal legislatore.

- Era impossibile costruire il Codice come “completo”, che prevedesse tutto  Proprio per questo,
è necessario lasciare al giudice un “margine di interpretazione”: Consentire di applicare le norme,
contenute all’interno del Codice, con maggiore “flessibilità” per riuscire a valutare anche i casi
concreti che non trovassero un’esatta corrispondenza nelle norme del Codice.

- Napoleone  Smentisce e si trovava in pieno disaccordo con Portalis e non voleva lasciare ai
giudici un “margine di potere interpretativo”.

- Napoleone affermava che il suo Codice era assolutamente “completo” e proprio grazie alla sua
estrema chiarezze e completezza, rappresentava un simbolo della propria forza politica; questo lo
porta alla formulazione dell’Art 4.

- Codice Napoleonico” (1804)


- Il Codice esprimeva la volontà del legislatore di ottenere un monopolio esclusivo
sull’ordinamento giuridico; all’interno del Codice, il legislatore decide di riorganizzare il “diritto
civile” e il “diritto privato”.

- Napoleone voleva dimostrare la sua forza e capacità di governo, grazie ad un “monopolio


legislativo” che coinvolgeva ogni ambito del diritto.

- Il Codice Civile diventa uno strumento attraverso il quale il legislatore modifica la vita
quotidiana di tutti i cittadini francesi, rendendo il “diritto privato”, che regolava la vita privata dai
cittadini, uguale per tutti.

- Il Codice rappresentava un “regalo”, fatto da Napoleone stesso ai cittadini, per semplificare la


loro vita  Posto a disposizione di chiunque, scritto in francese e formulato con articoli brevi e
sintetici, di facile comprensione; idea secondo la quale il “diritto privato” era stato semplificato e
messo a disposizione di tutti.

- Codice Napoleonico  Rappresentava un’idea di “modernità”: rompere i vincoli feudali, trattare


i cittadini come eguali, applicare le leggi indifferentemente verso tutti e nel superamento di una
società che era ancora basata sulle differenze di ceto.

Ogni volta che conquistava un nuovo territorio, Napoleone impone il suo Codice Civile per
unificare tutti i territori sotto uno stesso diritto  Il diritto, che prima era diversificato, ora
diventa unico e uguale in tutto lo Stato.

- Il Codice Civile, attraverso il “diritto privato”, diventa uno strumento di “consolidazione


dell’identità nazionale”, “coesione” e “rafforzamento”.

- “Assolutismo giuridico”  Il Codice Civile segna il momento durante il quale le fonti del diritto
sono effettivamente “semplificate”, poichè sono ridotte all’identificazione tra legge e diritto: il
“diritto civile” (rapporti privati tra cittadini) si identifica con il Codice Civile; diritto ¿ legge ¿
codice

- Non esistono più delle “fonti esterne”, problemi legati ad un’applicazione sbagliata delle
“consuetudini”, problemi legati alle “interpretazioni” dei giudici o al rischio di “abusi”  Esiste
un’assoluta “completezza” ed “uniformità” di applicazione; si diffonde l’idea secondo la quale,
grazie all’utilizzo del Codice Civile, si escludano “fonti concorrenti”.

- Il Codice veniva emanato da un organo legislativo ed esprimeva la “sovranità popolare” ovvero la


volontà generale; il Codice era quindi espressione della legge voluta dai rappresentanti del popolo
e, proprio per questo, esprimeva i bisogni e le richieste della Nazione francese.
Composizione del “Codice Napoleonico”: 1 Titolo Preliminare; 3 Libri  “Delle persone”; “Dei
beni e delle differenti modificazioni della proprietà”; “Dei diversi modi in cui si acquista la
proprietà”.

- Il Codice Napoleonico esaltava la “proprietà” stessa, il diritto del “proprietario”, la proprietà


effettiva dei beni e il diritto di far circolare la proprietà (“contratto”).

Hobbs & Locke  La “proprietà” e il “contratto” era visti come espressione di una piena
“autonomia” dell’individuo, una “libertà” del soggetto di muoversi e incidere, governare i beni,
appropriandosene e facendoli circolare; acquisendo un “profitto”, grazie ad essi.

Il Codice Napoleonico era frutto della Rivoluzione Francese e delle idee degli “illuministi” 
Affermazione di un nuovo modello di soggetto (borghesia), che trae profitto dalla Rivoluzione; una
persona dotata di una ragione propria, che non si trovasse lì solo grazie ad un titolo
nobiliare/posizione sociale acquisita dal Sovrano.

- L’importante era che l’individuo, dotato di ragione, si potesse muovere all’interno della società,
procurandosi beni, lavorando, commerciando e producendo ricchezza per sé e per gli altri  Il
Codice ruotava attorno alla figura del cittadino “proprietario” che, attraverso il “contratto”, faceva
circolare i beni e le ricchezze.

- L’intera struttura del Codice ruotava attorno all’idea di “uguaglianza formale”  I cittadini era
tutti pensati, all’interno del Codice, come dei soggetti “astrattamente uguali”; tutti i cittadini erano
dotati di ragione, che li portava a compiere scelte razionali come l’assunzione del “rischio
contrattuale”: frutto di una libera scelta, la quale si presupponeva fosse compiuta da un soggetto
capace di intendere e di volere, dotato di ragione e autonomo.

- Art 5  La decisione di un giudice vincolava e riguardava solo le 2 parti in causa; la decisione


del giudice non avrà mai “effetti generale”, che vadano oltre il caso concreto, poichè, se li avesse,
dovrebbe essere equiparata ad una legge e il giudice non poteva mai sostituirsi al ruolo del
legislatore.

- Art 544  Disciplina il “diritto di proprietà”: “La proprietà è il diritto di “godere” e di “disporre”
delle cose nella maniera più assoluta, purchè non se ne faccia un uso vietato dalle leggi e dai
regolamenti”.

- Pienezza assoluta di poteri sulla cosa (simile al “diritto romano”) ovvero il diritto soggettivo più
pieno, che poteva essere riconosciuto alle persone sui beni e non esistevano limiti.
- La “proprietà” rappresenta una sintesi, unione di poteri, posta in capo all’unico soggetto
proprietario.

- Il Codice Napoleonico rifiuta l’idea di “dominio diviso”, secondo la quale la proprietà poteva
essere smembrata tra più proprietari; le 2 idee di “proprietà indiretta” e “proprietà diretta vengono
“unificate”.

- Art 1134  Disciplina il “contratto”: Le “convenzioni legalmente formate” ¿ “contratti”, stipulati


tra le parti possiedono, “forza di legge” e quindi la stessa validità della “legge” (massima validità),
poichè non esiste nulla che la possa scalfire.

- I “contratti” possiedono la stessa validità di una legge, tra le parti, e quindi la “massima
validità”; una validità ritenuta “assoluta” dall’ordinamento  Il “contratto” viene equiparato alla
“legge” e quando le parti stipulano un contratto, da quel momento in poi saranno vincolate
(possibilità di modifica: solo in caso di “mutuo consenso” o “causa eccezionale”).

- Art 1108  Tra i requisiti di validità del “contratto” ritroviamo 4 condizioni essenziali:

1. Il consenso della parte che si obbliga

2. La sua capacità di contrarre

3. Un oggetto certo che forma la materia della convenzione

4. Una causa lecita dell’obbligazione

- Art 1138  L’efficacia reale dei “contratti”: Quando venditore e compratore raggiungono un
accordo, tramite il solo “perfezionamento del consenso” si avrà il “trasferimento della proprietà”
del bene; il proprietario diventa quindi il creditore e si assume il “rischio” e il “pericolo”, fino al
momento in cui la cosa non verrà materialmente consegnata.

- Risultava più importante il “consenso”, rispetto alla consegna materiale della cosa  Era
necessario per accentuare l’importanza della volontà dei soggetti, essendo il “contratto” stesso una
“manifestazione di volontà”; nel momento in cui la volontà veniva espressa, quella era sufficiente
per il “perfezionamento del contratto”.

- Il “contratto ad efficacia reale” di tipo consensuale  Si perfezionava con il semplice


“consenso”.
- Art 1583  Vendita: Conferma quello precedentemente stabilito dall’art 1138.

- Il consenso è sufficiente per il “trasferimento della proprietà”  Contratti ad efficacia reale, di


tipo consensuale.

- Nella vendita, il consenso sul prezzo, precedentemente pattuito, è necessario per effettuare il
“trasferimento di proprietà”.

- Codice Napoleonico  Diritto di famiglia

- “Divorzio”  Il marito poteva richiedere il divorzio solo sulla base dell’adulterio, mentre per la
moglie era necessario l’adulterio e, in più, doveva provare che il marito avesse portato l’amante a
convivere, insieme alla moglie, nella casa comune.

- La condizione della donna è posta in una condizione di disparità, rispetto a quella del marito, e
questo le rende più difficile ottenere il divorzio; lo stesso accadeva all’interno del matrimonio,
anche se il Codice predicava una forte “uguaglianza formale” tra tutti i cittadini.

- “Autorizzazione maritale”  La moglie non poteva apparire in giudizio, senza l’autorizzazione


del marito (nemmeno se esercitava la professione di avvocato; se fosse in comunione o separazione
di beni); la moglie non poteva compiere atti di rilevanza patrimoniale, senza il concorso all’atto o
il consenso espresso del marito, considerato più autorevole nella gestione del patrimonio.

- Differenza tra “uguaglianze formali” e “disuguaglianze sostanziali”, lasciate in vita dal Codice 
I promessi sposi si trovano in una posizione di “parità” solo nel momento in cui decidono
liberamente di contrarre matrimonio (contratto, che presuppone il libero consenso delle parti).

- Fino alla stipulazione del matrimonio si trovano in una posizione paritaria; dopo aver il contratto
matrimonio, marito e moglie formano una famiglia (con ruolo pubblico e peso sociale) 
All’interno della famiglia, moglie e marito perdono l’iniziale uguaglianza e riemerge la “visione
patriarcale” della famiglia e società, in cui il l’uomo aveva più diritti.

- ABGB: “Codice Civile Generale Austriaco” (1811)  Composto da:

1. Titolo Preliminare: “Delle leggi in generale”


2. Prima Parte: “Del diritto delle persone

3. Seconda Parte: “Del diritto sulle cose”  “Dei diritti reali”; “Dei diritti delle persone sulle cose”

4. Terza parte: “Delle disposizioni comuni al diritto delle persone ed ai diritti delle cose”

- Notiamo come questo Codice si focalizzi sui “diritti reali” e i “diritti delle persone sulle cose”
(modi di circolazione dei beni).

[1] Richiamo ai “diritti innati”, conoscibili solo attraverso la ragione  L’esistenza di “diritti
dell’uomo”, solo in quanto persona (giusnaturalismo); richiamo all’esistenza di “diritti pre-
statuali”, che il legislatore doveva riconoscere e non costituire, attribuire.

- I “diritti naturali” dovranno sempre essere considerati esistenti, a meno che non ci siano dei
fondati motivi per limitarli, ma non che li annullano.

- Codice Napoleonico  I “diritti naturali” non erano mai menzionati, poichè richiamavano
implicitamente a qualcosa al di fuori del Codice e prima dell’esistenza della legge stessa; il Codice
Napoleonico sosteneva che non esistesse nulla di giuridicamente rilevante, al di fuori della legge e
del Codice, e non era concepibile che il Codice dovesse riconoscere dei diritti preesistenti (“diritti
naturali”), al di fuori di esso.

[2] Esplicito “rifiuto della schiavitù”

[3] Ruolo della “interpretazione” e l’importanza che veniva riconosciuta al giudice


nell’applicazione della legge.

- Il giudice dovrà fare ricorso all’interpretazione letterale, analogia e in ultimo caso, qualora
l’analogia non fosse sufficiente, dovrà seguire i “principi di diritto naturale”  “Diritto naturale”
come possibile fonte esterna.

[4] “Proprietà”: Richiamo esplicito alla teoria del “dominio diviso”, secondo il modello medievale,
con la suddivisione tra “substantiae” e “utilitas”  “Considerata come il “diritto” e la “facoltà” di
“disporre a piacimento” e ad esclusione di ogni altro della “sostanza” e degli “utili” di una cosa”.

1. La proprietà come una “somma” di poteri tra “sostanza” ed “utilità”.

2. La proprietà come una “divisione” di poteri tra “proprietario diretto” e “proprietario utile”.
- Codice Napoleonico  “La proprietà è il diritto di “godere” e di “disporre” delle cose nella
maniera più assoluta”; proprietà “indivisa” come sintesi di poteri (“godimento” e “disposizione”).

- “Perfezionamento dei contratti” e “trasferimento dei beni”  Non è sufficiente il consenso


(contratto consensuale: Codice Napoleonico), ma è necessaria la “traditio” di mano in mano
ovvero la “consegna” materiale della cosa: contratti reali.

- “Trasferimento degli immobili”  Necessaria l’iscrizione nei libri pubblici dell’atto di acquisto,
chiamata “inscrizione”.

[5] “Religione”  La diversità di religione non aveva alcuna influenza sui diritti privati.

- “Divorzio” era diverso per i cattolici e non cattolici:

1. “Cattolici”: “Il vincolo di matrimonio, contratto tra cattolici, non si scioglieva se non con la
morte di uno dei coniugi”  Il matrimonio era considerato un vincolo “sacro” e “indissolubile”;
questo valeva anche quando solo una delle due parti professava la religione cattolica.

2. “Non cattolici”: La legge permetteva la richiesta di scioglimento del matrimonio, per gravi
motivi (adulterio, delitto con condanna superiore ai 5 anni, abbandono, scomparsa).

- Codice Napoleonico  Disciplinava il “divorzio”, senza fare riferimento al suo significato


religioso; era trattato come un “contratto” e non come un “negozio” (previsione inesistente nel
Codice Napoleonico).

- Codice Napoleonico  Ruolo del giurista, dopo l’entrata in vigore del Codice Napoleonico
(1804) in Francia? Doveva “spiegare” il Codice, diversamente da prima che si doveva “interpretare”
le norme.

- “Scuola dell’esegesi”  Nasce in Francia, in riferimento al ruolo marginale che dovevano avere
“dottrina” e “giurisprudenza” rispetto al Codice Napoleonico; rappresentava un orientamento
dottrinale, basato sull’interpretazione letterale del Codice Napoleonico.

- L’esegesi voleva “leggere” e “spiegare”, non interpretare in modo creativo; l’esegesi


rappresentava il contrario di ciò che facevano i giuristi medievali (glossatori e commentatori:
svolgevano una “interpretazione creativa”, volta alla produzione di diritto).

- Il Codice Napoleonico era “completo”, “perfetto” e conteneva la “piena volontà legislativa”  I


giudici non potevano “interpretare il Codice, che implicherebbe una modifica e una diversa
applicazione, caso per caso.
- I giuristi dovevano solo spiegare ed applicare il Codice alla lettera (i professori, all’interno delle
Università, insegnavano come corso di materia il “Codice Civile” e non più il “diritto civile”)  Il
“diritto civile” coincideva con il “Codice Civile”.

- Opere prodotte dai giuristi, venivano chiamate “commentari”  Studi in cui, articolo per articolo,
veniva copiosamente analizzato e spiegato il Codice.

- Il “Commentario” era l’opera, prodotta dal giurista, necessaria a comprendere meglio il Codice
per chi lo leggeva, senza modificarne il contenuto stesso, ma per renderlo più esplicito.

Nel Codice Napoleonico il ruolo della “dottrina” e della “giurisprudenza” era molto limitato,
trattandosi di un Codice già completo, e questi dovevano solamente amplificare i contenuti
all’interno di esso; i giudici dovevano solo rendere la legge più facilmente comprensibile.

La “scuola dell’esegesi” possedeva dei “pregi” e dei “difetti”; tra i “pregi” ritroviamo:

[1] L’idea di “uguaglianza”, grazie alla logica del “soggetto unico di diritto”

[2] L’idea legata alla presupposta “democratizzazione del diritto”  La legge era emanata da un
organo legislativo ed era espressione della “volontà popolare”; il Codice, essendo pura espressione
della legge, esprimeva la “volontà popolare” in una forma democratica.

- Un altro aspetto di “democratizzazione”  Il Codice, essendo scritto in modo chiaro e


comprensibile per tutti, trasformava il diritto civile in qualcosa di facile comprensione per tutti i
cittadini; passa da essere uno “strumento per pochi” ad uno “strumento di tutti”.

Mentre, tra i “difetti” troviamo:

[1] L’ida secondo la quale il Codice, essendo espressione della legge, rappresentava la “volontà
popolare”  In realtà non si teneva conto del fatto che non tutti potevano votare (non esisteva
ancora il suffragio universale): solo le persone con un elevato reddito potevano esprimere la propria
volontà, all’interno dell’organo legislativo (strumento di emanazione della legge), essendo il diritto
di voto in base al “censo” (reddito).

[2] La “scuola dell’esegesi” perpetrava una finzione, trasmettendo l’idea per la quale il Codice fosse
“semplice”; in realtà, dietro alla formulazione apparentemente semplice degli articoli si nascondeva
l’estrema “complessità” e “tecnicità” del Codice stesso.

[3] L’idea secondo la quale il Codice fosse “completo” e contenesse tutto al suo interno (art 4) 
Sarà impossibile per i giudici trovare, attraverso il solo uso del Codice, la risoluzione a tutti i casi
concreti presentatigli; l’idea per cui dottrina e giurisprudenza avessero solo un ruolo marginale,
rappresenterà un limite nello sviluppo della “scuola dell’esegesi”.
- “Scuola storica tedesca”  Successivamente alla sconfitta di Napoleone, la Germania ritorna in
possesso dei propri territori; nel 1814 si apre una discussione riguardante la decisione, per la
Germania, di dotarsi o no di un proprio Codice Civile unitario, per tutto il territorio (durante la
conquista di Napoleone, era stato imposto il suo Codice Napoleonico).

In particolare, partecipano a questa discussione 2 giuristi nello specifico:

1. Thibaut  Scrisse il saggio “Sopra la necessità di un diritto civile per la Germania”, nel quale
sosteneva come fosse utile, necessario e conveniente per la Germania adottare, al più presto, un
proprio Codice Civile.

- Il Codice Napoleonico aveva segnato il cammino verso la “modernità giuridica”; uno stato
moderno non poteva non possedere un proprio Codice Civile “unitario”, che semplifica, unifica e
uniforma il diritto civile, semplifica il commercio tra privati e assume il valore simbolico di
“strumento di unificazione giuridica nazionale”.

2. La tesi, a favore dell’entrata in vigore di un Codice Civile, di Thibaut viene controbattuta dal
giurista Savigny  Scrisse nel 1814, in risposta a Thibaut, un saggio intitolato “Della vocazione del
nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza”.

- Nel suo saggio, Savigny afferma il suo disaccordo riguardo la proposta di dotare la Germania, in
tempi brevi, di un Codice Civile  Egli riteneva che il Codice bloccherebbe lo sviluppo del diritto,
consolidando il diritto dentro a quelle determinate norme/articoli.

- Secondo Savigny, il diritto non poteva essere bloccato in un certo istante, poichè era in continua
trasformazione, cambiava sempre e era sempre in grado di adattarsi, modificarsi in base alle
condizioni storiche.

- Savigny  Il diritto tedesco apparteneva al popolo tedesco e corrispondeva alle tradizioni,


costumi, mentalità, alla visione del mondo e allo “spirito” del popolo tedesco; Savigny propone una
visione diversa di questo “diritto tedesco”, che doveva sempre essere immerso, attento alla storia
passata e legata alle tradizioni precedenti di questo popolo (diversamente dall’idea francese,
secondo la quale il Codice doveva segnare una forte rottura con il passato e rappresentare qualcosa
di radicalmente nuovo).

- Savigny  Il “diritto tedesco” era una dimensione culturale e sociale, che apparteneva al popolo
e alle sue tradizioni; non potevo ridurre l’immensa storia tedesca a soli pochi articoli e bloccare la
produzione, trasformazione storica futura che il diritto avrebbe avuto.

- Il diritto “bloccato” non sarebbe più stato in grado di adeguarsi continuamente alle evoluzioni,
bisogni e trasformazioni sociali.
Caratteristiche della “scuola storica tedesca”, fondata da Savigny:

[1] L’uomo andava valutato nella sua varietà, individualità e dimensione storica concreta.

- Nella visione della “scuola storica” non esisteva un ipotetico stato di natura in cui tutti gli
individui erano considerati uguali, ma esistevano delle epoche storiche concrete in cui vivevano
degli individui, ognuno diverso dall’altro che, nelle varie epoche storiche, sostengono posizioni ed
idee diverse.

[2] La storia non aveva un processo “lineare”, fatta da una continua e lineare trasformazione, ma la
storia era fatta anche di sbalzi irrazionali.

[3] “Pessimismo antropologico”  L’atteggiamento del soggetto in rapporto agli altri, non veniva
sempre visto in modo positivo e virtuoso.

[4] Grande interesse e studio per il passato  Il passato non veniva visto come un “nemico” da
superare, tramite la proposta di idee estremamente rivoluzionarie, poichè assumeva un aspetto
negativo (Francia; Rivoluzione Francese, che ribaltò l’antico regime).

- La “scuola storica” identificava il passato come fonte dell’identità e delle radici del popolo
tedesco, grazie al quale si poteva comprendere il lungo processo di formazione e arrivare a
soddisfare i bisogni, caratteristiche, esigenze presenti.

[5] Forte rispetto della tradizione  Tentativo di riscoperta del passato e del suo significato,
basandosi sul parallelo tra diritto e linguaggio: richiamo all’idea di qualcosa che rimane sempre
uguale, pur trasformando e adattandosi continuamente ai nuovi bisogni, esigenze.

[6] Grande attenzione per le fonti “non formali” o “non statuali” del diritto ovvero alle fonti diverse
dalla legge.

- Idea di diritto come qualcosa che risiedeva all’interno della società stessa, nello “spirito”,
mentalità del popolo e che era radicato nella tradizione, nel passato  Riconosco l’importanza di
un diritto proveniente da fonti extra-legislative (consuetudini; opinioni dei giuristi).

[7] Centralità dell’idea di nazione tedesca  La nazione tedesca creava l’identità stessa del popolo
e rappresentava l’appartenenza al popolo tedesco; attraverso questa appartenenza, ci si poteva
identificare in un insieme di regole, consuetudini e tradizioni.

- Coloro che appartenevano alla nazione tedesca, vivevano per rispettavano delle determinate
norme, provenienti dalla tradizione storica del popolo tedesco.
- La nazione, secondo il pensiero di Savigny, rappresentava l’incarnazione della storia di un popolo
e, oltre a non implicare una rottura secca con il passato, consentiva una continuità tra passato e
presente; la nazione dava dignità alle persone che vi appartenevano.

- La nazione non poteva esistere senza la storia passata (non si poteva inventare, creare dal nulla) e
rappresentava un legame di continuità con il passato.

[8] “Spirito del popolo”  Il diritto non veniva imposto da un organo gerarchicamente superiore,
ma doveva identificarsi come l’espressione dei bisogni e delle necessità del popolo stesso, che era
in continuo cambiamento

- Savigny critica fortemente l’idea di Thibaut, poichè riteneva che la Germania non fosse ancora
pronta per l’emanazione di un suo Codice Civile  Bisognava dare il tempo sufficiente ai giuristi
per approfondire e capire come si identificava, in quel momento, lo “spirito del popolo”; c’era la
necessità di elaborare un diritto valido nel 1800 in Germania e che corrispondesse anche alla storia
giuridica passata.

- Compito dei giuristi  Dovevano adeguare il diritto alla tradizione giuridica passata, per
poterlo leggere come espressione di una nazione; questi giuristi poteva comprendere le necessità
del presente e, contemporaneamente, conoscere la storia passata del diritto.

- Savigny raggiunge il suo scopo di evitare che la Germania adotti un Codice Civile, cosa che
accadrà solo nel 1900.

- Savigny  Un altro scritto “Sistema del diritto romano attuale” (1839), che fa riferimento alla 2°
Fase del pensiero di Savigny: “Pandettistica tedesca” con riferimento alle “pandette” (sinonimo per
il Digesto del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano).

In questa opera si ritorna a studiare il diritto romano come modo per costruire un sistema del
diritto “attuale”; Savigny non voleva studiare la storia del diritto romano, ma voleva trovare,
all’interno di questo, una tecnica giuridica che gli consentisse di costruire in “modo sistematico” il
diritto civile della Germania dell’800.

- Non voleva approfondire il diritto romano o la sua storia passa  Il diritto romano diventava uno
strumento ed un punto di partenza dal quale partire per costruire un “nuovo sistema” che rendesse il
diritto romano “attuale”.

- Si voleva “attualizzare” il diritto romano per farlo corrispondere ai bisogni, necessità della
Germania dell’800 ed ottenere così un “nuovo Diritto Civile” per la Germania dell’800.
- Lo scopo finale della “scuola storica tedesca” e della “Pandettistica tedesca” era volto al
raggiungimento della codificazione tedesca del 1900  BGB: Codice Civile tedesco

[1] Codice Napoleonico (1804) era il prodotto di un “positivismo giuridico e legislativo”; si basava
sulla “codificazione”, voluta da Napoleone, e su un “modello anti-giurisprudenziale”: Alla legge
veniva attribuita la massima autorità, mentre dottrina e giurisprudenza ricoprivano un ruolo
marginale.

- Il codice francese si fondava su un’idea di rigida “separazione dei poteri”  La legge veniva
unicamente prodotta dal legislatore e al giudice spettava solo l’applicazione letterale.

- Il modello francese di “positivismo giuridico e legislativo” esaltava la “certezza del diritto”,


derivante dalla “chiarezza” e “semplice formulazione” della legge.

- Ideologia francese  Il “diritto positivo” si sostituiva al “diritto naturale”, poichè non era
concepita per cui esistesse un diritto esterno, precedente e che fosse rilevante.

- “Concezione statualistica del diritto” Il “diritto naturale” veniva inglobato nel “diritto
legislativo” e diventava rilevante solo nella misura in cui fosse contenuto all’interno di questo;
questa “concezione” collegava la produzione, fonti del diritto alle decisioni politiche dello Stato,
poichè non esisteva alcun diritto all’infuori dello Stato come non c’era diritto all’infuori della
legge.

- L’esegesi implicava un massimo “culto” e “rispetto” nei confronti del testo della legge.

[2] BGB: Codice Civile tedesco (1900) era il prodotto di un “positivismo scientifico”  La
codificazione tedesca era il risultato del lavoro dottrinale sviluppato dalla scienza giuridica tedesca
nel corso dell’800, tenendo conto della storia e della tradizione del diritto tedesco;
“sistematizzandolo”, grazie ala “pandettistica”, basandosi sui concetti e principi del diritto romano e
riadattandoli alle esigenze, necessità moderne.

- Il Codice Civile tedesco era espressione di un lungo lavoro scientifico e di “anti-legalismo” 


Non era fondato sull’idea per la quale il diritto dovesse coincidere solo ed esclusivamente con la
legge (idea predominante nel Codice Napoleonico).

- Nel BGB prevale una forte valorizzazione dell’elemento dottrinale e consuetudinario, oltre ad
un’importante rivalutazione e riconoscimento sull’importanza della storia del diritto.
La situazione in Italia, dopo il Congresso a Vienna (1815), si presentava come uno Stato diviso e
politicamente frammentato in una serie di stati; si ragionava sulla possibilità, per ciascuno, di
dotarsi di un proprio Codice Civile (simbolo di modernità e progresso), che sarà prevalentemente
copiato dal Codice Napoleonico (1804).

- Proprio per questo si inizierà a parlare di “doppia vita” del Codice Napoleonico  La “prima
vita” si riferisce a quando è stato imposto, dallo stesso Napoleone, durante tutte le sue conquiste
territoriali; con la Restaurazione questa imposizione termina, ma il codice avrà una “seconda vita”
quando i Sovrani dei vari stati lo sceglieranno, ritenendolo opportuno, come base da cui partire
per adottare un proprio Codice Civile.

- Il dibattito sulla “codificazione” preunitaria caratterizzerà gli Stato della Penisola italiana dal 1815
al 1861 ovvero alla data dell’unificazione nazionale.

[1] Alcuni Stati però non erano d’accordo sull’adozione di un Codice Civile e sul fatto di
“bloccare” lo sviluppo del diritto civile come la Toscana, che resterà senza un Codice Civile fino al
1865 (anno di emanazione + entrata in vigore del primo codice).

[2] Altri obiettavano come il modello francese di “diritto” non corrispondesse al modo in cui in
alcune parti d’Italia veniva percepito.

- Dopo l’Unificazione (1861), i giuristi italiano iniziano a discutere della possibilità che l’Italia si
doti di un Codice Civile  Superate le lotte e anni di frammentazione politica, viene raggiunta
l’unificazione politica e l’Italia è finalmente un’unica Nazione.

- All’unificazione “politica” e “territoriale” doveva corrispondere, in tempi brevi, un’unificazione


“giuridica”  Non aveva senso mantenere delle leggi diverse per ogni città, quando il territorio
era ormai stato ufficialmente unificato.

- Non si poteva avere un “diritto civile” diverso, all’interno di un unico Stato  Questo avrebbe
reso il commercio, i traffici, gli scambi e i rapporti civili molto più faticosi.

- Prevale l’idea per cui all’unificazione “politica” doveva seguire l’unificazione “giuridica”, nel
tempo più breve possibile  Nel 1865 venne approvato il Codice Civile Italiano, usando come
modello il Codice Napoleonico (1804) e copiando principalmente dal codice francese.

Non si poteva però accettare di aver copiato il codice dai francesi  Si avvia un discorso attraverso
il quale viene, nello specifico, spiegato come in realtà erano stati i francesi a copiare gli italiani,
essendo il codice basato sui “principi di diritto romano”, quindi sulla tradizione giuridica italiana e
come, attraverso l’emanazione, l’Italia se ne stesse riappropriando.

- Il Codice Civile Italiano doveva essere un simbolo di unificazione, attraverso il quale far valere la
stessa legge per tutti e un mezzo di costruzione dell’identità giuridica nazionale; doveva anche
servire per favorire l’unificazione e per diffondere, tra i cittadini, un sentimento di appartenenza e
uguaglianza.

- Il Codice del 1865 simboleggiava la tradizione giuridica italiana, poichè era basato sugli istituti
dell’antico “diritto romano”, rivisti e riadattati al presente.

- “Scuola dell’esegesi italiana”: Si voleva mostrare come gli istituti, trattati all’interno del Codice
Civile Italiano, fossero sempre ancorati e richiamassero il “passato” (diritto romano), cosa che non
accadeva all’interno del Codice Napoleonico  La creazione e diffusione di “commentari” ovvero
del commento, articolo per articolo, del Codice.

Dal 1880: I giuristi italiani non erano più soddisfatti della “scuola dell’esegesi”, iniziano ad
emergere delle contraddizioni con il Codice Civile del 1865  Separazione, ormai non più
tollerabile, tra le “disuguaglianze sostanziali” e “uguaglianza formale e astratta” di “diritto
privato”, che si continuava a prevedere nel Codice.

- Problemi erano principalmente riconducibili alla “questione sociale”  Esplosione,


caratterizzante la fine del secolo, di problemi legati alla “realtà sociale”, per i quali si chiedeva un
riconoscimento e una “tutela giuridica”, che le norme del tempo non garantivano.

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