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Economia e Gestione delle Imprese

Economia e Gestione delle imprese? (Università degli Studi di Bari)

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CAPITOPO 1: MODEPPI DI IMPRESA E DI GOVERNO


ATTIVITA’ ECONOMICA E IMPRESA COME SISTEMA
L’attività economica consiste nella produzione e/o scambio di beni economici (prodotti finiti e/o
servizi), per il soddisfacimento di bisogni individuali e/o collettivi .
L’azienda, rappresenta quell’organizzazione di uomini e mezzi, finalizzata al soddisfacimento dei bisogni
umani attraverso la produzione, distribuzione e consumo di beni economici , con particolare riferimento
all’impresa, ossia quella parte dell’azienda la cui produzione r prevalente destinata al mercato, ovvero
ad essere ceduta a terzi per effetto di un atto di scambio e, pertanto, essa si caratterizza per il
perseguimento di una finalità economica rappresentata dalla produzione di profitto, il quale
rappresenta l’aspetto qualificante del concetto di impresa.
Gli approcci sistemici di studio del concetto di impresa, considerano la stessa come un “sistema”, ossia
come un insieme di elementi diversi, ma tra loro correlati per il perseguimento di una finalità comune
rappresentata, per l’appunto, dalla creazione di valore economico. In particolare, l’impresa r
considerata un sistema:
 economico: in quanto impiega risorse limitate per il soddisfacimento di bisogni, invece, illimitati;
 aperto: in quanto il sistema impresa r caratterizzato da un continuo rapporto di scambio con
l’ambiente esterno;
 dinamico: in quanto il suo equilibrio r in continuo mutamento nel tempo;
 vitale: in quanto r capace di autoregolarsi ai fini della sua sopravvivenza.

CORPORATE GOVERNANCE
Tali connotazioni sistemiche definiscono, inoltre, un differente sistema di corporate governance, in
riferimento a quell’insieme di norme le quali, condizionando la struttura e la dinamica dell’impresa,
ponendola in grado, o meno, di perseguirne il successo, ne definiscono un particolare assetto
istituzionale, ovvero uno specifico modello di impresa caratterizzato da :
 soggetti, che direttamente o indirettamente, sono interessati all’andamento della gestione
aziendale;
 i contributi e gli utili da ciascuno di essi percepiti;
 le regole istituzionali, che definiscono l’assetto giuridico dell’impresa e le relative regole di
funzionamento.
Tuttavia, proprio la presenza di differenti assetti istituzionali, nonché la polverizzazione della
proprietà, determinando alcune criticità nell’ambito della gestione di impresa, quali:
 divergenze di obiettivi tra managers e azionisti;
 conflitti di interesse;
 asimmetrie informative;
 disinteresse dei managers;
 monitoraggio degli azionisti sull’operato dei managers.
È possibile distinguere, in particolare, tre modelli di struttura proprietaria, quali:
1. modello a struttura proprietaria chiusa: padronale o familiare tipica delle imprese di piccole e
medie dimensioni (prevalentemente a conduzione familiare) le quali si caratterizzano, da un lato,
per la concentrazione della proprietà in poche mani (generalmente coincidenti con quelle della
sua famiglia, o del suo realizzatore) e, da altro lato, per la scarsa diffusione dei capitali sui
mercati di borsa;
2. modello a struttura proprietaria ristretta: tipico di Francia, Giappone e Germania da cui
deriva il modello renano. La compagine azionaria r articolata e mutevole, ma tendenzialmente
stabile nel tempo, ovvero tale modello si caratterizza, da un lato, per la concentrazione del
capitale nelle mani di un nucleo ristretto di azionisti di riferimento (generalmente coincidenti
con i proprietari originari) e, da altro lato, per la sua diffusione sul mercato di borsa tra una
molteplicità di piccoli azionisti da cui derivano, pertanto, le dimensioni medio-grandi di tali
imprese;

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3. modello a struttura proprietaria diffusa: tipico dei paesi anglosassoni, quali USA e Gran
Bretagna e da cui deriva il modello anglosassone, in cui l’azionista di riferimento non si
identifica con l’impresa per il quale, la stessa, rappresenta solo un’opportunità di investimento e,
pertanto, si assiste ad un’ampia diffusione del capitale sul mercato di borsa tra una pluralità di
piccoli azionisti, ciascuno dei quali non detiene quote tali da poter assumere posizioni di
controllo.

1. MODEPPO ANGPOSASSONE
È il modello fondato sul liberismo, ossia sui principi di libero mercato e di libera iniziativa
economica privata e sulle grandi dimensioni e, in effetti, r il modello delle corporations, ossia
grandi società per azioni statunitensi e, in parte, anche britanniche. Inoltre, r considerato un
modello di stampo monistico in quanto, la governance dell’impresa pur essendo affidata a
soggetti diversi, sono tutti afferenti al medesimo organo eletto dall’assemblea dei soci, in
riferimento al consiglio di amministrazione (o board of directors), il quale rappresenta l’organo
di funzionamento dell’impresa e il quale, comprende due categorie di membri:
 membri esecutivi: o insider directors, i quali svolgono funzioni manageriali e tra i quali, inoltre,
r nominato il CEO-Chief Executive Officer, analogo all’amministratore delegato;
 membri non esecutivi: o outsider directors, i quali svolgono prevalentemente funzioni di
controllo sull’amministrazione nell’interesse degli stakeholders esterni.
Tuttavia, tale modello fondato sulle Public Company, r stato oggetto di forti critiche nel corso
degli anni’80 per il diffuso fenomeno delle scalate ostili (o takeover ostili) attuate
letteralmente dai raider (assalitori) mediante il ricorso ad una specifica forma di
indebitamento, nota come PBO-Peverage Buy Out (pratica regolamentata anche in Italia
all’art.2501-bis c.c. nel caso di fusione con il patrimonio della società acquisita, assunto a
garanzia del rimborso del debito contratto per l’acquisizione), il quale consiste nel dismettere le
attività aziendali acquisite al termine della scalata al fine di ripagare, almeno in parte, i debiti
contratti e le cui principali prede erano le conglomerate, ossia grandi imprese diversificate, le
quali erano particolarmente diffuse, non solo per l’allora attuale situazione del mercato, ma
anche per effetto di una severa politica antitrust statunitense la quale, impedendo la creazione
di forti concentrazioni, ha indotto i managers a reinvestire i flussi di cassi derivanti da
precedenti progetti di investimento, in attività tra loro non correlate.

2. MODEPPO RENANO
È un modello fondato sulla economia sociale di mercato, ossia sui principi di libero mercato e di
giustizia sociale e, inoltre, r un modello di derivazione giapponese, anche se presenta talune
affinità con il modello renano tedesco, laddove i lavoratori partecipano alla gestione aziendale.
In effetti:
 nelle imprese con meno di 10mila dipendenti, vi r un consiglio di sorveglianza costituito di 12
membri, di cui 6 rappresentanti del capitale e 6 dipendenti;
 nelle imprese tra 10mila e 20mila dipendenti, il consiglio di sorveglianza, r costituito di 16
membri, di cui 8 rappresentanti del capitale e 8 dipendenti (di cui 2 sindacalisti);
 nelle imprese con più di 20mila dipendenti, il consiglio di sorveglianza r costituito di 20
membri, di cui 10 rappresentanti del capitale e 10 dipendenti (di cui 3 sindacalisti).
In linea generale, tale modello si caratterizza per:
o una comunità di obiettivi;
o una continuità dei rapporti azienda – fornitori e azienda – dipendenti (i managers
agiscono da mediatori tra i diversi interessi in gioco);
o per il forte potere esercitato dal sistema bancario con partecipazioni azionarie
incrociate suddivise tra altre imprese collegate, soprattutto, al fine di ovviare al divieto
imposto dagli Stati Uniti, dopo la 2°guerra mondiale, di non poter creare holding.

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Da un lato, il modello renano tedesco, si caratterizza per due pilastri fondamentali:


o il potere detenuto dal sistema bancario;
o il ruolo esercitato dai lavoratori, attraverso i sindacati a livello nazionale e attraverso i
consigli dei lavoratori a livello aziendale.
D’altro lato, il modello renano giapponese, si caratterizza per un profondo processo evolutivo
partito dalle c.d. Zaibatsu, ossia grandi imprese conglomerate facenti capo ad una famiglia, poi
evolutesi nelle c.d. Keiretsu, ossia network di imprese tra loro collegate da forme di
partecipazione incrociate e dalla presenza di una banca di riferimento, la quale non può
detenere oltre il 5% del capitale sociale dell’intero gruppo e, il cui ruolo non r mai stato
particolarmente partecipativo, avendo concesso solo garanzie accessorie, e non veri e propri
finanziamenti, per la realizzazione di specifici progetti di investimento ed, inoltre, il suo ruolo
attivo r limitato al solo verificarsi delle situazioni di crisi.
Le imprese che compongono i Keiretsu, possono essere legate da un rapporto di integrazione
verticale (es. Toyota), occupando posizioni consecutive all’interno della medesima filiera
produttiva (fornitori – produttori – distributori=, ovvero possono assumere una configurazione
conglomerale.

3. MODEPPO ITAPIANO
L’Italia insieme ad altri paesi, quali Spagna, Portogallo, Francia, Belgio e Grecia, considerati
dalla storia economica quali paesi ritardatari, in quanto in tali zone il processo di
industrializzazione ha avuto inizio solo a partire dal XX secolo in poi, r considerato parte
integrante del c.d. sistema latino, il quale si caratterizza per tre aspetti fondamentali:
o azionista di controllo;
o forti legami tra imprese;
o scarso ruolo esercitato dal mercato dei capitali .
In particolare, in Italia r possibile osservare la presenza di tre tipologie di imprese:
1. PMI: si tratta, per l’appunto, di imprese di piccole e medie dimensioni, la cui crescita
dimensionale incontra i limiti del controllo familiare e delle risorse limitate e, anche se in
passato era diffuso il motto piccolo e bello quale prerogativa per poter superare le
difficoltà del mercato, oggi vi r necessità di concentrazione delle nostre imprese, in quanto
il limite del controllo familiare, ne impedisce la crescita dimensionale nella misura richiesta
del mercato.
Una possibile alternativa, potrebbe essere rappresentata dalla creazione di “consorzi”, con
l’obiettivo di:
o non disperdere l’autonomia e l’individualità delle nostre imprese ;
o ridurre i costi durante le fasi di approvvigionamento e produzione di beni e servizi ;
o penetrare i mercati con propri canali distributivi , anche al fine di contrastare l’azione
della GDO-Grande Distribuzione Organizzata.
2. COOPERATIVE: realizzata da un gruppo di soggetti, i quali volontariamente si uniscono per
costituire e gestire in comune un’attività economica, il cui principale obiettivo, r quello di
fornire prevalentemente ai soci, i beni e/o servizi per i quali gli stessi si sono
volontariamente riuniti e, pertanto, caratteristica fondante delle cooperative r la c.d.
mutualità;
3. SOCIETA’ A CONTROPPO PUBBPICO: si tratta di un fenomeno particolarmente diffuso in
Italia durante la crisi delle grandi imprese e realizzata mediante la formula dello Stato-
imprenditore, ovvero attraverso un complesso di partecipazioni statali, al fine di garantire
una capillare copertura territoriale, nonché la massima efficienza nella fornitura dei servizi
pubblici.

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Tuttavia, le ragioni di un tale successo economico, non sono da ricercarsi solo in


un’efficiente ed efficacia politica interventista da parte dello Stato, ma anche nella
capacità di dotare le imprese pubbliche dei connotati tipici di un’impresa privata.
A partire dagli anni’70 fino agli anni’90, la formula dello Stato-imprenditore ha conosciuto
profondi cambiamenti, in considerazione di differenti aspetti, quali:
o logiche gestionali di tipo burocratico/amministrativo;
o politicizzazione della gestione;
o problematiche nel rapporto tra potere politico e potere manage riale;
o assenza di stimoli dall’ambiente esterno, in virtù del regime di monopolio instaurato
proprio da tali imprese
e, pertanto, in considerazione di tali fattori e della più generale instabilità economico-
finanziaria del periodo, a partire dagli anni’80 lo Stato ha avviato un processo di
privatizzazione consistente nella vendita, a soggetti giuridici privati, di imprese pubbliche il
quale, può assumere differenti forme, ovvero può essere di natura:
 formale: se consiste nella vendita a soggetti giuridici privati, di imprese
pubbliche, pur sempre soggette ai controlli pubblici;
 sostanziale: se, invece, si verifica un cambio strutturale in capo alla struttura
proprietaria della società (da pubblica a privata), attraverso partecipazioni di
minoranza, quindi non di controllo, o di maggioranza al capitale sociale;
 funzionale: se consiste nell’attribuire, a soggetti giuridici privati, del compito di
realizzare opere e attività in merito alle quali, tuttavia, i poteri pubblici
conservano le funzioni di indirizzo e controllo strategico;
 indiretta: se consiste, nel dotare le imprese pubbliche di principi di gestione di
carattere manageriale.
Inoltre, con la Riforma del Diritto Societario, attuata con d.lgs. 6/2003, r stata introdotta
una notevole flessibilità nel governo di impresa, in riferimento alla composizione degli organi
societari, potendo distinguere fra:
1. SISTEMA ORDINARIO: il quale rappresenta la norma di default, ossia l’assetto giuridico da
applicare qualora lo statuto societario non disponga diversamente, basato sulla distinzione tra:
1. organo di gestione: amministratore unico o consiglio di amministrazione, cui spetta il
compito di definire la mission (scopo) e la strategia aziendale;
2. organo di controllo: rappresentato dal collegio sindacale.
2. SISTEMA DUAPISTICO: il quale deriva dal modello renano e in cui il controllo contabile, r
affidato ad una società di revisione esterna e, inoltre, a differenza del sistema ordinario, non r
presente il collegio sindacale, le cui funzioni sono attribuite ad un organo intermedio tra
proprietà e management, rappresentato dal consiglio di sorveglianza.
3. SISTEMA MONISTICO: il quale deriva dal modello anglosassone ed r caratterizzato dalla
presenza di un unico organo, ossia l’amministratore unico, cui spettano tutte le funzioni di
indirizzo e controllo strategico (comitato per il controllo della gestione).

CAPITOPO 2: ASPETTI ORGANIZZATIVI E STRATEGICI DEP GOVERNO DEPPE IMPRESE


PA STRATEGIA AZIENDAPE
La strategia aziendale, consente di affrontare la complessità della condizione azienda – ambiente e di
assumere decisioni razionali e coerenti con gli obiettivi di medio – lungo periodo, al fine di:
- allargare la visione globale dell’impresa;
- migliorare i rapporti che l’impresa detiene all’interno dell’ambiente in cui opera ;
- rendere l’impresa protagonista del processo di cambiamento .
La definizione della strategia, parte da un processo di analisi relativo alla disponibilità di risorse
interne (umane, finanziarie, tecnologiche ecc…), al fine di massimizzarne la produttività e l’efficienza in
modo remunerativo.

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È possibile distinguere differenti livelli di strategia:


a) strategia corporate: o complessiva, o di gruppo, in riferimento alle decisioni che l’impresa
compie relativamente al dove operare. In particolare, nelle imprese di più grandi dimensioni, le
quali operano su più segmenti di mercato, questa strategia può essere suddivisa in SBU –
Strategic Business Unit, ossia parti o divisioni dell’organizzazione che presentano dimensioni
sufficienti da poter assumere una propria autonomia, pianificazione e strategia .
I principali ambiti di scelta di questa strategia sono:
o definizione della mission produttiva dell’impresa e delle modalità di gestione dei
rapporti con i propri stakeholder;
o definizione degli obiettivi da raggiungere;
o definizione del settore/segmento di mercato, nel quale si intende operare ;
o coordinamento del portafoglio di attività e ricerca di sinergie.
b) strategia di business: o competitive, o d’area strategica d’affari, in riferimento alle scelte
che l’impresa compie:
o all’interno del proprio segmento di mercato, nei confronti delle imprese concorrenti;
o al “come” operare in una specifica ASA - Area Strategica d’Affari;
o alle modalità di consolidamento del proprio vantaggio competitivo .
c) strategia funzionale: o di gestione operativa, in riferimento alla implementazione ed
elaborazione, a livello funzionale, delle precedenti strategie.
A seconda della differente strategia aziendale e del grado di flessibilità, un’impresa sarà più o meno
reattiva sul mercato e, di conseguenza, più o meno competitiva. In particolare, la flessibilità, la quale
sostanzialmente si traduce nella specializzazione in uno specifico segmento di mercato, richiede un
ingente esborso di risorse finanziarie determinando il caso del manager super-pagato ovvero, nelle
imprese di più grandi dimensioni, si stanno diffondendo altri strumenti remunerativi quali, ad esempio:
le stock option, ossia emissione di azioni riservata ai dipendenti e a condizioni di favore (anche fiscali) e
i premi di produttività i quali, se ben dosati, consentono di valorizzare le risorse umane più efficienti,
creando competenze distintive.

È necessario anche chiarire quali siano gli obiettivi di ciascuna strategia aziendale:
- se l’obiettivo r mantenere una leadership di costo, r necessario che la struttura produttiva
dell’impresa sia rigida, con elevati volumi di produzioni per pochi articoli standardizzati, al fine
di coniugare economie di scala e curve di esperienza (rappresentazione grafica della relazione
che lega l'andamento del costo medio unitario del bene prodotto al volume
di produzione cumulata);
- se l’obiettivo r, invece, la differenziazione r necessario che la struttura produttiva dell’impresa
sia particolarmente flessibile, in grado di fornire un’ampia gamma di prodotti/servizi di medio –
alta qualità ovvero, di immetterne di nuovi sul mercato in tempi brevi e a costi contenuti;
- se l’obiettivo r, infine, la focalizzazione, l’impresa concentrerà la propria attenzione su uno
specifico settore/segmento di mercato cercando di escludere l’ingresso di altri concorrenti. In
tal caso, r necessario che il sistema di fornitura applicato dall’impresa, sia differente da quello
applicato da altre imprese operanti nel medesimo segmento di mercato, ovvero sarà necessario
rivolgersi a clienti con bisogni insoliti.

Nell’ambito delle differenti strategie aziendali, r necessario anche considerare l’importante ruolo
svolto dall’introduzione delle moderne tecnologie informatiche, le quali creano un processo di continuo
cambiamento caratterizzato dal succedersi (susseguirsi) di soluzioni innovative. In effetti, nel contesto
competitivo attuale, caratterizzato da una crescente globalizzazione, saturazione dei mercati e da un
sempre maggior numero di imprese (nazionali e multinazionali) localizzate in Paesi emergenti e a bassi
salari, solo un’impresa dotata di una formula imprenditoriale aggressiva r in grado di percepire il
cambiamento e adeguarsi tempestivamente ad esso.

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In tale contesto, rientra quello che Ansoff ha definito come Management per risposta
flessibile/rapida, il quale identifica una situazione in cui molte grosse sfide si sviluppano in modo
troppo rapido da poter essere gestite anticipatamente , cui può essere associata la distinzione operata
da Mitznberg tra:
- strategia deliberata: ossia quella strategia dettagliatamente definita e rivolta a tutti gli attori
aziendali;
- strategia emergente: ossia l’esatto opposto della precedente.
Questo processo di apprendimento, r alla base della definizione della business idea, ossia di quella
formula imprenditoriale che consente all’impresa di generare il proprio vantaggio competitivo e di cui il
marketing, la funzione ricerca e sviluppo, il settore tecnico, organizzativo e produttivo, ne
rappresentano l’hardware.

PA SOPUZIONE STRATEGICA APPE CRISI AZIENDAPI: PA RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA E PA


RICONVERSIONE PRODUTTIVA COME ADATTAMENTO APPE MUTAZIONI AMBIENTAPI. IP PROCESSO
DI TURNAROUND
Sempre nell’ambito delle differenti linee strategiche, r necessario considerare anche il processo di
riorganizzazione della filiera produttiva, ovvero r necessario soffermarsi su alcune cause che lo
generano, con particolare riferimento alle performances negative accumulate nel corso degli ultimi anni
dal Sistema – Italia.
In particolare:
a) a livello macro, non vi r dubbio che l’introduzione dell’euro e la sua rivalutazione nei confronti
del dollaro, abbia penalizzato le nostre imprese cui si aggiunge la specializzazione produttiva nel
settore dell’abbigliamento tessile-calzature (TAC), il quale risulta essere maggiormente esposto
alla pressione dei new-comers (soprattutto cinesi);
b) r doveroso considerare i fattori relativi al terrorismo internazionale, al clima di incertezza sul
decorso post-bellico iracheno e al perdurare della crisi medio-orientale;
c) e, inoltre, la presenza sullo scenario economico globale della Cina e dell’India in quanto, la prima
si caratterizza per una forte crescita, non solo in termini produttivi, ma anche tecnologici e, da
altro lato, l’India si caratterizza per attività legate al settore dell’informatica.
Questi sono aspetti, che negli USA hanno aperto un profondo dibattito su aspetti quali la
concorrenza, il fenomeno del dumping e sul crescente outsourcing di imprese (nazionali e
multinazionali) verso la Cina e l’India.
Questi fattori, congiuntamente considerati, rendono necessario un processo di ristrutturazione, ossia
razionalizzazione dei processi aziendali in un’ottica efficientistica , il quale richiede maggiori risorse e
tempi più lunghi, nelle imprese di più grandi dimensioni (es. FIAT e Alitalia), cui r necessario affiancare
anche un processo di riconversione produttiva, ossia cambiamento nell’offerta di prodotti/servizi per
poter soddisfare le mutevoli esigenze del mercato di consumo .
Detto in altri termini, r necessario dar vita ad un processo di turnaround, ossia un processo di
cambiamento forte e sistematico, in un’ottica di medio – lungo periodo, al fine di risollevare e rilanciare
le imprese in crisi, per la cui attuazione r necessario superare le resistenze dell’organo di governo e dei
sindacati, i quali rappresentano la vera barriera psicologica al processo di cambiamento, in quanto r
necessario rilevare anticipatamente le ragioni della crisi per poterle gestire efficacemente in quanto, in
caso contrario, potrebbe innescarsi un meccanismo irreversibile di crisi patologica rendendo necessario
l’intervento dei pubblici poteri attraverso differenti strumenti (Cassa Integrazione Guadagni, mobilità
e prepensionamento).

DAP DECENTRAMENTO PRODUTTIVO APPE RETI DI IMPRESA


I grandi impianti automatizzati su larga scala sono stati introdotti in Italia in coerenza con il modello
fordista, proprio quando questi perdevano importanza in relazione all’incremento dei costi variabili,
accrescendo la crisi di alcune industrie di base a processo continuo. In effetti, tale aumento, determina
un innalzamento dei costi di vendita o del grado di sfruttamento della capacità produttiva, ma se
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l’andamento della domanda e/o della produttività del lavoro non consentono la crescita né dell’uno e né
dell’altro, questo potrebbe compromettere la redditività.
Si r diffusa, pertanto, la tendenza verso un diverso dimensionamento degli impianti e dei processi
produttivi, il che ha portata:
a) a decentrare fasi o linee della produzione in più stabilimenti ( multi-plant) della stessa impresa,
in virtù di un piano di ristrutturazione verticale o orizzontale interno;
b) affidare fasi di lavorazione ad aziende esterne, in genere di modeste dimensioni.
Il fenomeno del decentramento produttivo non caratterizza particolarmente il nostro sistema, in
quanto risulta essere una pratica diffusa, a livello internazionale, nell’ambito delle grandi multinazionali,
ovvero r fuori discussione che tale fenomeno sia attribuibile anche alla volontà di superare vincoli
istituzionali (forza sindacale, assenteismo ecc..), al fine di rendere meno rigido l’impiego della forza
lavoro e di recuperare produttività. .
Tuttavia, r necessario confrontare i vantaggi di scala produttiva interna, con l’individuazione delle
risorse finanziarie necessarie per realizzare l’investimento e con il rendimento di impieghi alternativi di
tali risorse (costo opportunità).
La crisi diffusasi nel corso degli anni’90, ha determinato ulteriori modifiche a tale situazione, mediante
il ricorso alla forma del franchising e ad altre pratiche attraverso le quali, le grandi imprese hanno
cercato di ottenere un maggior controllo sulle reti distributive e, quindi, sul mercato e a costi
contenuti.
Inoltre, a tale riorganizzazione ha contribuito anche la privatizzazione delle imprese pubbliche e,
pertanto, il decentramento deriva anche dalla variabilità e instabilità del mercato, che induce a ridurre
i rischi, trasformando i costi fissi di struttura (“ Make”), in costi di acquisto variabili dall’esterno
(“Buy”).

Tali problematiche, hanno riguardato anche le grandi imprese di servizi (banche, grande dettaglio ecc…)
con l’espulsione di alcune attività, determinando il c.d. outsourcing, tale da generare nuove strutture
organizzative, che richiedono un maggior coordinamento, ovvero nell’ambito di tale fenomeno si parla
anche di:
- gli spin-off, che si hanno quando le aziende incentivano alcuni dipendenti, dotati di capacità
imprenditoriale, nell’avviare un’attività autonomia fornendo il necessario supporto e risorse nella
fase di avvio, al fine di alleggerire la gestione aziendale da eccessivi costi fissi e, al contempo,
non perdere la collaborazione di personale dipendente ritenuto valido;
- l’MBO – Management Buy-Out, il quale si verifica quando i dirigenti, i quali credono anche nel
valore di un’azienda in crisi, ne rilevano il capitale azionario (in tutto o in parte) con il sostegno
di una banca d’affari, al fine di ristrutturarla e rilanciarla sul mercato.

Quando si parla di reti di impresa (o network di imprese) ci si riferisce alle reti di unità esterne
caratterizzate dalla presenza di un’impresa guida ( focal firm), la quale rappresenta il punto di
riferimento e la quale necessita della collaborazione di altre imprese, per il perseguimento di obiettivi
strategici e per poter ottenere un miglior posizionamento sul mercato, distinte dalle reti di unità
interne frutto, principalmente, di scorpori di attività aziendali esistenti, creazione di filiazioni per la
gestione di nuove attività o acquisizioni caratterizzate da autonoma identità societaria.
E’ possibile considerare differenti modelli per l’individuazione delle reti di impresa: da un lato, il
Decreto Incentivi ha introdotto in Italia il contratto di rete, in base al quale, le PMI che decidono di
aderire ad un network possono instaurare rapporti commerciali, tecnologici e finanziari con imprese
appartenenti alla medesima filiera produttiva, al fine di ottenere un più elevato potere di mercato e
ottenere vantaggi amministrativi e finanziari e, da altro lato, il Decreto Sviluppo ha apportato alcune
modifiche in riferimento al contenuto del contratto di rete, il quale deve indicare dettagliatamente gli
obiettivi strategici delle attività comuni.
Pertanto, le reti di imprese consentono di perseguire i seguenti obiettivi:

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- ovviare ai problemi derivanti da operazioni di acquisizione o fusione frettol ose;


- ottenere un più elevato potere di mercato;
- ampliare l’offerta di beni e servizi, conservandone le caratteristiche qualitative;
- condividere investimenti che, altrimenti, non potrebbero essere realizzati dalla singola impresa;
- accorciare, o talvolta, eliminare le catene di subfornitura ;
- rendere più flessibili i tempi di risposta al cliente;
- accrescere il know-how aziendale.
È possibile effettuare differenti distinzioni nell’ambito delle reti di impresa. Innanzitutto, r possibile
distinguere tra:
a) impresa a rete neurale: priva di una propria struttura giuridica e di una propria identità
societaria, ma r dotata di una flessibilità intrinseca ( built-in), che le consente di assumere
decisioni e comportamenti operativi efficienti per l’intero sistema;
b) impresa a rete governata: le imprese sono il risultato di un processo di selezione in relazione
alle risorse disponibili e agli obiettivi perseguiti. In tal caso, i rapporti con gli interlocutori, la
strategia e la relativa struttura gerarchica, sono definiti a priori.
Tuttavia, tale modello, a differenza del precedente, non sempre r in grado di fronteggiare
rischi imprevisti.
In relazione al grado di coesione giuridica, r possibile distinguere tra:
a) reti proprietarie: nelle quali il collegamento tra le imprese appartenenti al network, r frutto
del possesso di azioni. In questa categoria rientrano le holding, le joint venture company e i
konzern tipici delle realta economiche anglo – americane e tedesche;
b) reti non proprietarie: nelle quali, il collegamento tra le imprese appartenenti al network, r
frutto di accordi di natura contrattuale, o informale, laddove nella prima categoria rientrano il
franchising, i consorzi e i contratti di conferimento delle necessarie risorse per lo svolgimento
di particolari attività.
In relazione al grado di coesione strategica, r possibile distinguere tra:
a) reti divergenti: nelle quali, le imprese della rete perseguono obiettivi di efficienza ed efficacia
operativa di breve periodo (es. rapporti di subfornitura);
b) reti a condizionamento reciproco : nelle quali, le imprese ritengono di essere reciprocamente
necessarie per il perseguimento di obiettivi comuni a ciascuna di esse;
c) reti convergenti: nelle quali, invece, le imprese ritengono che la rete sia la migliore soluzione
organizzativa per il perseguimento di obiettivi comuni.
Infine, in relazione al grado di coesione tecnico – economica, r possibile distinguere tra:
a) reti complementari: nelle quali, i vincoli tecnico – produttivi ed economici tra le imprese facenti
parte del network sono molto forti e, di conseguenza, r possibile avviare un unico processo di
produzione economica articolato su più unità giuridicamente distinte;
b) reti indipendenti: nelle quali, l’appartenenza al network prescinde dall’esistenza di vincoli
produttivi ed economici, bensì r basata sul perseguimento di obiettivi comuni.

INNOVAZIONI TECNOPOGICHE E STRATEGIE DI MARKETING


Il marketing, r quella disciplina che studia la pianificazione, realizzazione e controllo delle attività
relative all’offerta e scambio di beni e servizi avvalendosi, anch’esso, dell’introduzione delle moderne
tecnologie informatiche, le quali consentono di soddisfare i bisogni inespressi o latenti su più segmenti
di mercato, realizzando il c.d. marketing one-to-one, maggiormente applicabile nei rapporti business to
business, ossia fra aziende, con un costante scambio di informazioni, che diviene maggiormente
complesso con i consumatori finali.

Il CRM – Customer Relationship Management r uno strumento basato sul concetto di fidelizzazione
del cliente, il quale grazie all’introduzione di Internet, consente di raccogliere e analizzare dati in
tempi relativamente brevi rendendo tali strumenti, tra i più diffusi, nell’ambito del commercio market –

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oriented, in cui il cliente r il driver dell’intero processo produttivo. Tale strumento, nasce dalla
considerazione che mantenere relazioni commerciali con la clientela già acquisita, sia meno costoso che
acquisirne di nuova.
È possibile distinguere tra tipologie di CRM:
- CRM operativo: il quale comprende procedure e strumenti per l’automatizzazione dei processi di
business, che prevedono il contatto diretto con il cliente;
- CRM analitico: il quale comprende metodologie e tecniche impiegate al fine di ottenere una
migliore conoscenza del cliente, estraendo e analizzando dati direttamente dal CRM;
- CRM collaborativo: comprende metodologie e tecniche per la gestione del rapporto con il cliente
(telefono, fax, email ecc…).

Un’impresa orientata al CRM, crea valore attraverso un processo che si articola in tre fasi:
1. creazione della relazione: l’obiettivo r quello di ridurre i costi di acquisizione ottimizzando la
propria offerta. Questo obiettivo, può essere anche perseguito attraverso l’analisi di dati storici
relativi a campagne precedenti e creando modelli ipotetici di coloro i quali, r più probabile che
parteciperanno ad iniziative simili;
2. sviluppo della relazione: l’obiettivo dell’impresa r quello di individuare ed eliminare gli eventuali
spazi di insoddisfazione del cliente, aumentando il cross-selling ossia la comunicazione dei
vantaggi derivanti dall’acquisto dei beni e servizi offerti dall’impresa stessa ;
3. mantenimento della relazione: l’obiettivo dell’impresa, r quello di mantenere relazioni
commerciali con la clientela acquisita ed intraprendere le necessarie azioni finalizzate a ridurre,
o eliminare, l’eventuale rischio di abbandono.
Per le altre aziende, un ulteriore strumento r lo Swot Analysis Strenght/Weakness,
Opportunities/Threats, in riferimento alla capacità di risposta/adattamento alle minacce/opportunità
dell’ambiente e, inoltre, consente di individuare i punti di forza/debolezza interni , principalmente
adottato dalle imprese di minori dimensioni, o più fragili, le quali non dispongono dei necessari strumenti
o di strutture idonee per percepire segnali relativi ad un processo di cambiamento in corso.

PE RISORSE UMANE E PA PEARNING ORGANIZATION


Il processo di cambiamento in atto, r frutto di differenti fattori, quali:
a) il progresso tecnologico, il quale sta rendendo obsolete alcune forme di lavoro, le quali
difficilmente possono essere convertite in nuove attività;
b) la progressiva automazione e computerizzazione della produzione e della gestione e il suo
controllo informatizzato;
c) la dinamica salariale, la quale ha portato i valori retributivi italiani ed europei a livelli elevati e,
inoltre, l’aumento del CPUP = costo del lavoro per unità di prodotto ha determinato, in Italia nel
1992, la sospensione del meccanismo della scala mobile, ossia l’indicizzazione della retribuzione
al costo della vita e alle politiche di intervento sui tassi di cambio ;
d) la resistenza opposta dalle nuove generazioni al tradizionale lavoro di fabbrica , il che rende
necessaria la realizzazione di una struttura organizzativa più elastica, che possa superare la
ripetitività tipica del taylorismo.
Questi fattori stanno determinando un processo di espulsione dalle fabbriche della componente lavoro.
In particolare:
- sono state eliminate mansioni gravose, ripetitive e pericolose svolte in ambienti nocivi per la
salute umana, in virtù della computerizzazione delle produzioni di processo e all’introduzione di
robot industriali;
- sono state eliminate mansioni qualificate, in virtù dell’introduzione delle macchine a controllo
numerico, soprattutto nell’ambito dei sistemi di produzione flessibili ( FMS), oltre
all’introduzione dei sistemi CAD;

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- introduzione dei sistemi computerizzati nella progettazione e realizzazione produttiva


(CAD/CAM);
- nell’area dell’office automation, si sta diffondendo la figura del knowledge worker, al quale si
richiede capacità di apprendimento e capacità imprenditoriale frutto, più che dell’esperienza, di
un continuo processo di apprendimento e di formazione;
- cambia anche la funzione dell’ ex capo-reparto, il quale ora gestisce una UTE – Unità
Tecnologica Elementare e si occupa di tutte le attività relative alla sua area di competenza.
Tuttavia, un tale processo di riorganizzazione, comporta non pochi rischi e problemi, in riferimento alla
mobilità del personale dipendente, ai costi di riqualificazione e addestramento del personale, il che ha
reso necessaria l’elaborazione un nuovo modello di produzione, noto come learning organization o
organizzazione di apprendimento nel quale, la nuova tecnologia (più flessibile), si adatta al lavoratore e
all’organizzazione.
Elementi fondamentali di tale concezione, sono:
- appiattimento (o riduzione) delle gerarchie;
- simulaneous/cuncurrent engineerings, ossia svolgimento in parallelo di attività di progettazione
e ingegnerizzazione, anziché svolte in modo sequenziale come accadeva in passato;
- collaborazione inter-funzionale;
- formazione sul lavoro.
Al lavoratore, in particolare, r richiesta:
 capacità di apprendimento;
 capacità decisionale;
 senso di responsabilità;
 lavoro di gruppo.

PE NUOVE FUNZIONI DEP MANAGEMENT


Anche il management sta progressivamente cambiando il proprio contenuto, in virtù dell’introduzione
delle tecnologie informatiche, le quali arricchiscono la sua dotazione di supporti decisionali e di
controllo gestionale.
In particolare, al management si richiede:
a) una maggiore capacità di scambio;
b) interazione e interattività con gli altri responsabili aziendale delle aree connesse, al fine di
creare una rete di comunicazioni.
Questa r l’ottica della leadership condivisa, individuata dalla teoria, ma non sempre di facile attuazione,
in considerazione della possibile dispersione di informazioni nel corso del processo decisionale.
In tale contesto, un ulteriore fenomeno r rappresentato dalla riduzione dei dirigenti intermedi, sia per
l’assorbimento di alcune funzioni da parte dei computer e sia per le minori dimensioni delle imprese,
nell’ottica della lean production.

BPR – BUSINESS PROCESSO REENGINEERING


La ristrutturazione, come già visto, determina il downsizing dell’organizzazione di impresa, ossia
riduzione del numero di addetti, con risultati positivi in termini di rapporti con la clientela. Al fine di
evitare tali inconvenienti, in coerenza con l’affermarsi del concetto di catena del valore, dell’ABM –
Activity Based Management e della logistica, si r diffusa la teoria del Business Process Reengineering
(BPR), il quale concentra la propria attenzione sul flusso di attività che attraversa le diverse funzioni,
superando l’assetto verticale e focalizzandosi sui singoli processi, avvalendosi delle tecnologie
informatiche, consentendo di ridurre le barriere tra le funzioni aziendale (tra loro collegate),
definendo le migliori soluzioni per la combinazione efficiente delle risorse.

CAPITOPO 3: EQUIPIBRIO DI IMPRESA. AMBIENTE – MERCATO E ANAPISI DI SETTORE


GOVERNO E GESTIONE D’IMPRESA

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Nell'ambito degli studi di economia manageriale, r diffusa la concezione, in virtù della quale, l'impresa
sia costituita da:
A) un organo di gestione: riguarda il complesso delle decisioni inerenti i processi, ossia la
definizione della sequenza di operazioni da realizzare, sulla base delle impostazioni definite
dall'organo di governo anche in considerazione della presenza di routines, ossia esperienze
precedenti, le quali da un lato presentano rilevante importanza, in quanto consentono di ridurre
i conflitti tra organi decisionali, ma da altro lato, presentano difficoltà applicativa un contesto
altamente competitivo, qualora vi sia la necessità per l'impresa di consolidare e/o ricercare
nuovi vantaggi, al fine di contrastare l'azione dei competitors (imprese concorrenti).
A tal fine, riveste un'importanza anche un'azione di controllo finalizzata a verificare la
corrispondenza tra l'operato della struttura operativa e le impostazioni definite dall'organo di
governo, fornendo feedback, ossia informazioni utili anche per il processo decisionale.
Pertanto, in considerazione di quanto detto, l'organo di gestione può essere considerato come
un insieme organico di strumenti e funzioni utili, sia per il processo decisionale, che per l'azione
di governo il quale, tuttavia, non può essere applicata all'impresa in modo superficiale, bensì
deve muovere dal suo interno partendo dalla consapevolezza della sua importanza ed utilità e le
cui fasi, strettamente correlate tra loro sono:
1. rilevazione---->contabilità generale;
2. analisi---> contabilità analitica;
3. previsione--->budget;
4. attuazione della struttura aziendale;
5. attività di controllo---> reporting
B) un organo di governo: oltre a garantire la sopravvivenza dell'impresa, adattandola alle
mutevoli condizioni dell'ambiente in cui opera, deve anche garantire il perseguimento di una
molteplicità di obiettivi, che ne garantiscano il successo definiti in condizioni di “consonanza” e
“risonanza” con i sovra-sistemi. In particolare, tra i molteplici obiettivi perseguiti da un'impresa
vi r, ad esempio, la realizzazione del profitto, ossia il perseguimento dell'equilibrio economico il
quale, tuttavia, quando r raggiunto, può essere considerato come condizione necessaria, ma non
sufficiente affinché l'impresa sia anche di successo.
Pertanto, se per l'economia classica, l'impresa r un'organizzazione profittevole, la quale r
efficiente nel momento in cui realizza la minimizzazione dei costi e la massimizzazione dei
ricavi, questo non implica, al contempo, che l'impresa sia anche di successo, in quanto occorre
considerare il fattore sociale, ovvero r necessario predisporre un sistema di governo basato sul
rapporto con i propri stakeholder, al fine di coinvolgerli nella mission produttiva in virtù di un
rapporto relazionale, che garantisca dialogo e trasparenza.

P’IMPRESA E PA RICERCA DEPP’EQUIPIBRIO


Quello di EQUIPIBRIO, r un concetto composito nell'ambito della gestione di impresa, in quanto riflette
le differenti situazioni dell'ambiente in cui la stessa opera.
Possiamo distinguere tra:
 equilibrio economico: attiene all'efficacia della gestione aziendale in termini di costi e ricavi .
Tuttavia, quello economico non può essere considerato come un equilibrio nel senso letterale del
termine, in quanto si considera raggiunto quando i ricavi, oltre a garantire la copertura dei costi
totali, assicurano, nel medio – lungo periodo, la remunerazione degli investimenti, ovvero del
capitale di rischio.
Alcuni importanti indici, che forniscono informazioni utili ai fini dell'attuazione di decisioni di
investimento, sono:
 ROE: (capitale proprio/reddito netto) *100, il quale esprime le capacità reddituali del
capitale di rischio e, quindi del capitale proprio;

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 ROI: (reddito operativo/totale impieghi) *100, il quale esprime le capacità della


gestione caratteristica di generare risultati reddituali soddisfacenti.
Inoltre, r opportuno confrontare i risultati di tali due indici in quanto, in particolari situazioni di
mercato, attinenti ad un basso costo del denaro e ad un'elevata domanda di beni, potrebbe
essere utile per l'investitore, ricorrere all'indebitamento, per finanziare specifici progetti di
investimento, in riferimento al c.d. “effetto leva”, il quale identifica una situazioni in cui, con un
ROI maggiore del costo del capitale di credito, la maggiore disponibilità di risorse finanziarie,
agisce da moltiplicatore della redditività del capitale proprio.
 equilibrio finanziario: consiste nella capacità di adeguare, sotto il profilo temporale, gli impegni
(ossia le uscite monetarie), con le risorse monetarie disponibili (entrate e riserve di liquidità),
ossia assicurare all'impresa una sufficiente liquidità nel tempo.
Occorre ricordare, che il fabbisogno finanziario totale di un'impresa r costituito di una parte
fissa (Ff), finalizzata all'acquisizione di fattori produttivi ad utilità pluriennale e il cui ritorno
finanziario r prolungato nel tempo e, di una parte variabile (Fv) finalizzata, invece,
all'acquisizione di risorse il cui ritorno presenta un arco temporale ristretto il quale, r dato dal
prodotto tra il fabbisogno iniziale variabile per l'acquisizione dei mezzi necessari al processo
produttivo e il cui reintegro avverrà con il ciclo delle vendite e del tasso di rinnovo del
capitale, dato dal rapporto tra la durata dell'esercizio e la durata del ciclo produttivo.
Maggiore r la misura della componente fissa, maggiore sarà la rigidità della struttura
finanziaria (in considerazione di un’eccessiva staticità degli investimenti), maggiori saranno i
rischi, ma si ridurranno i costi medi unitari di produzione, in virtù della possibilità di realizzare
economie di scala.
In ogni caso, la rigidità della struttura operativa, dipenderà dalle caratteristiche del processo
scelto dall’impresa e dal ciclo produttivo, nonché dalla sua dimensione strutturale.
Inoltre, qualora si voglia valutare la struttura finanziaria dell’impresa, considerando la
composizione delle fonti e degli impieghi nel breve periodo, r applicabile il c.d. quick test, o
indice di liquidità, dato dal rapporto fra le disponibilità finanziarie e i debiti correnti ed
esprime la capacità dell’impresa di onorare detti debiti, con le sole risorse disponibili e con
quelle, che eventualmente, potrebbero divenirle nel breve periodo . Un risultato soddisfacente,
richiede che tale indice sia =1 e quando questo non si verifica, l’impresa presenta un
disequilibrio da risolvere, al fine di evitare un irrigidimento delle esposizioni a breve, che
potrebbero pesare sulla sua situazione economica.
 equilibrio patrimoniale: riguarda la composizione delle fonti di finanziamento, ossia rapporto
tra capitale di rischio e capitale di credito e il loro impiego per l’acquisizione delle
immobilizzazioni aziendali.

In particolare, l’assetto patrimoniale di un’impresa r direttamente correlato con la ricerca della


c.d. dimensione ottima, ossia di quella struttura operativa che garantisca all’impresa la
minimizzazione dei costi e il perfezionamento delle proprie performance gestionali e
organizzative, la cui ricerca non può mai essere considerata ultimata, in quanto r fortemente
influenzata dalle condizioni del mercato.
L’equilibrio patrimoniale dell’impresa, secondo la teoria contabile, r espresso dall’equazione
algebrica:
A=P+N
dove A=attivo aziendale, P=passivo e N=patrimonio netto dato dalla somma algebrica delle
prime due componenti. Un’ulteriore approfondimento, r rappresentato dall’indice di copertura
lorda delle immobilizzazioni, dato dal rapporto tra il patrimonio netto + le passività consolidate
e l’attivo immobilizzato: quando il risultato di questo indica r >1, vi r un’anomalia, in quanto

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questo significa che le passività consolidate sono impiegate anche per le immobilizzazioni a
breve.

IP BREAK EVEN POINT


In considerazione di quanto detto, r possibile osservare una naturale connessione fra queste tre forme
di equilibrio, in quanto una ridotta disponibilità di risorse finanziarie impedisce l’attuazione di adeguate
politiche di investimento, con relative conseguenze negative sull’equilibrio patrimoniale e sulle capacità
reddituali dell’impresa e, pertanto, il concetto di equilibrio aziendale deve rispettare le tre forme di
equilibrio precedentemente analizzate, potendo parlare di equilibrio dinamico, il quale impone che la
struttura operativa abbia i connotati di:
 elasticità: ossia il sistema impresa riesce ad operare anche al mutare delle condizioni
dell’ambiente di riferimento e in modo efficiente;
 flessibilità: impone all’organo di governo, di immaginare e poi di realizzare la struttura
operativa più consona fra le diverse alternative possibili .
Questi connotati, devono garantire all’impresa una capacità reddituale soddisfacente, al fine di
disporre di adeguati flussi finanziari per poter provvedere alle esigenze di adeguamento strutturale.
A tal fine, r possibile predisporre il modello del punto di equilibrio (o modello del Break Even Point ),
il quale consente di determinare la quantità minima di produzione e/o vendita (q), che consenta di
realizzare il pareggio tra costi e ricavi (Re), considerando un dato livello di costi totali, dati dalla
somma tra costi fissi (Cf) e costi variabili (Cv) ed un dato prezzo di vendita (p).
Pertanto, dalla predisposizione di tale modello, si evince la distinzione tra:
 costi fissi: ossia quei costi, che non variano al variare dei volumi di produzione;
 costi variabili: ossia quei costi direttamente correlati con i volumi di produzione e distinti, a
loro volta, in:
o costi variabili progressivi: ossia quei costi variabili, che aumentano in modo più che
proporzionale al crescere dei volumi di produzione (es. costo della manodopera, il quale
oltre certi volumi di produzione, tende ad aumentare in considerazione della necessità
di nuove forme di specializzazione);
o costi variabili regressivi: ossia questi costi variabili, che si riducono al crescere della
produzione.

costi variabili progressivi unitari costi variabili progressivi


totali
y= a x

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q.tà

costi variabili regressivi unitari costi variabili regressivi totali

Re = Cvq + Cf dove Re = pq di conseguenza q = Cf/(p-Cv)


I costi fissi sono algebricamente uguali a:
Cf = p q – Cvq
L’equazione del profitto dell’impresa, r pari a:
P = (p-CU) Q dove CU = costo unitario

Inoltre, la predisposizione di tale modello consente di definire anche un livello di sicurezza, al cui
interno l’impresa deve mantenersi, dato dalla differenza tra le vendite previste (q1) e le vendite del
punto di equilibrio, il quale consente di valutare eventuali decisioni di investimento, che potrebbero
determinare il superamento del BEP. Inoltre, r possibile osservare come, l’impresa, per poter realizzare
un utile r necessario che M>Cf, laddove M rappresenta il margine di contribuzione, il quale assume
rilevanza per l’attuazione di investimenti da realizzare nella struttura operativa: in effetti, ipotizzando
di dover scegliere tra due progetti di investimento, che presentano la medesima quantità vendibile
(superiore a quello di equilibrio) e la medesima quantità di equilibrio, l’organo di governo sceglierà il
progetto con il margine di contribuzione più elevato, ovvero quel progetto caratterizzato da minori
costi variabili.

P’AMBIENTE DI RIFERIMENTO DEPP’IMPRESA


I sistemi non vivono isolati, bensì interagiscono con realtà mutevoli nel tempo, non solo per propria
autonoma capacità, ma anche per il differente grado di comprensione del soggetto osservatore e,
pertanto, l’organo di governo deve ben comprendere lo spazio entro cui operano le imprese e le altre
entità, il quale non potendo essere identificato secondo un’univoca interpretazione, r generalmente
distinto in tre dimensioni:
 ambiente: analisi dei fenomeni ai fini dell’attuazione delle decisioni economiche;
 contesto: analisi di una porzione determinata di fenomeni, in quanto l’ampiezza dell’ambiente, ne
impedisce una sua analisi e valutazione complessiva;
 settore: il quale, unitamente al contesto, r considerato parte integrante dell’ambiente in cui
opera l’impresa.
Per quanto concerne l’ambiente, questo r suddiviso in:

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 ambiente generale: o macro-ambiente, in riferimento a tutte quelle entità con le quali l’impresa
deve interagire per il perseguimento dei propri obiettivi e il quale comprende differenti
sottosistemi
o ambiente fisico-naturale: in riferimento all’insieme delle caratteristiche fisiche e
naturali dell’ambiente in cui opera l’impresa e le quali influenzano le scelte di
“localizzazione”, in quanto l’imprese potrebbero trarre vantaggio dallo svolgimento del
processo produttivo, laddove le condizioni climatiche e l’accesso alle risorse naturali
sono più favorevoli;
o ambiente politico-istituzionale: in riferimento all’organizzazione e al ruolo esercitato dal
potere politico e al complesso di norme, che definiscono l’ordinamento giuridico di un
paese fattori, che possono offrire vantaggi e opportunità, ma anche porre dei vincoli
all’affermazione dell’attività imprenditoriale;
o ambiente socio-culturale: in riferimento all’insieme dei valori etico-culturali, anch’essi
possono offrire vantaggi, ma anche porrei dei vincoli all’affermazione dell’attività
imprenditoriale in un determinato contesto;
o ambiente economico generale: in riferimento, da un lato, all’organizzazione dell’attività
produttiva e al più generale ruolo esercitato dallo Stato e, da altro lato, alla definizione
della struttura operativa, che influenza l’attività economica.
 ambiente specifico: o microambiente, in riferimento a tutte quelle entità direttamente
influenzate dall’impresa, quali:
o mercato delle materie prime: dal quale l’impresa reperisce i fattori di produzione
necessari per lo svolgimento del processo produttivo;
o mercato delle tecnologie: il quale fornisce all’imprese i mezzi e il know-how necessario;
o mercato del lavoro: dal quale l’impresa reperisce le necessarie competenze professionali
e il quale risulta essere fortemente influenzato dai “sindacati”, il cui obiettivo r quello
di garantire la salvaguardia dei diritti delle diverse categorie di lavoratori;
o mercato finanziario: dal quale l’impresa reperisce le necessarie risorse finanziarie a
titolo di capitale proprio, o di capitale di terzi;
o mercato di vendita: o di sbocco, laddove le imprese collocano i beni e/o servizi a
conclusione del processo di produzione.

PA CONOSCENZA E I SUOI EFFETTI SUP GOVERNO


La dotazione di un modello concettuale finalizzato all’analisi dei fenomeni rilevanti per l’impresa e dei
relativi attributi, r di fondamentale importanza per il processo decisionale dell’organo di governo, il cui
compito r quello di conoscere per decidere. Infatti, un adeguato livello di conoscenza riduce l’entità
degli elementi ignoti, ossia eventi che l’organo di governo non r in grado di percepire, distinti dagli
elementi noti, ossia eventi che l’organo di governo r in grado solo di prevedere, ma non di interpretare
e, nel qual caso, saranno non comprensibili, o eventi che l’organo di governo r anche in grado di
interpretarne le dinamiche e, pertanto, saranno anche “comprensibili”.
Pertanto, r possibile affermare che:

MAGGIORE CONOSCENZA = MINORI RISCHI = SOPRAVVIVENZA DEP SISTEMA

Da questa relazione si rileva, infatti, che un adeguato grado di conoscenza/comprensione consente


all’organo di governo, nel corso del processo decisionale, di scegliere il percorso meno difficoltoso, ossia
quello in cui r meno probabile che si verifichino rischi e conseguenti perdite per l’impresa. In
particolare, l’organo di governo deve conoscere e studiare:
 i fenomeni rilevanti per l’impresa;
 gli eventi che li compongono;
 il legame tra i fenomeni;

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 il grado di probabilità di accadimento di ciascun fenomeno;


 il rischio derivante dal verificarsi degli eventi.
Da questo si evince come sia necessario porre un riferimento anche al concetto di rischio, il quale
rappresenta la condizione cui r soggetta l’attività di impresa dovuta a fattori interni ed esterni al
sistema aziendale. È possibile distinguere tra:
 rischio aleatorio: ossia rischi che l’organo di governo r in grado di prevedere e ridurre la
probabilità che si verifichino, in quanto r a conoscenza del fenomeno generatore;
 rischio di non conoscenza: dovuto a fenomeni del tutto ignorati, essenzialmente causato da
carenza di informazioni nel corso del processo decisionale attuato dall’organo di governo.
In particolare, al manifestarsi di un nuovo fenomeno, tutte le imprese presenteranno un elevato grado
di non conoscenza”, poiché saranno prive delle necessarie informazioni per poter definire le
caratteristiche del nuovo fenomeno, il quale sarà non comprensibile e, pertanto, al suo manifestarsi
tutte le imprese (di qualsiasi tipo e dimensione), possono essere classificate in tre categorie:
a) imprese chiuse: ossia quelle per le quali l’organo di governo non si attiva per comprendere il
nuovo fenomeno;
b) imprese imitatrici: ossia quelle che assumono un atteggiamento di attesa rispetto al nuovo
fenomeno, ovvero attendono gli studi e le ricerche di altre imprese, per potersi poi inserire
nella loro scia operativa e decisionale;
c) impresa innovatrici: ossia quelle che si impegnano, fin da subito, per la comprensione del nuovo
fenomeno.
Successivamente, man mano che il nuovo fenomeno viene minimamente conosciuto, gli organi di governo
delle imprese imitatrici e innovatrici, cercheranno di definire un modello che consenta di interpretare il
nuovo fenomeno, mentre le imprese chiuse, in considerazione del loro carattere di chiusura, saranno
destinate progressivamente a scomparire dal mercato, in quanto non saranno in grado di adeguare la
propria struttura operativa al manifestarsi del nuovo fenomeno.

P’ANAPISI SETTORIAPE
In linea generale, il settore può essere definito come quella parte dell’ambiente economico in cui si
manifestano le dinamiche competitive tra imprese legate da vincoli di omogeneità . A tal proposito,
assumono rilevanza per l’economia manageriale alcuni assunti, quali:
 la disomogeneità delle imprese, la quale impedisce l’instaurazione di relazioni stabili di mercato;
 la necessità di considerare congiuntamente fattori interni ed esterni al sistema aziendale;
 l’importanza della conoscenza empirica del mercato e delle imprese che ne fanno parte;
 la concezione sistema dell’impresa e dell’ambiente di riferimento, per la quale ogni azioni
determina una reazione, anche imprevedibile.
In considerazione di tali presupposti, l’economia manageriale definisce l’analisi settoriale come lo
studio di un insieme omogeneo di imprese, finalizzato al raggiungimento di una visione scientifica e
realistica delle condizioni di vita delle imprese, nonché dei relativi rapporti . In particolare, questo
modello, il quale trae la sua origine dall’economia industriale, si pone come obiettivo quello di osservare
le condizioni di imprese, che operano nel medesimo settore di mercato e che svolgono le medesime
funzioni e, l’originalità di questo approccio, a differenza di quello dell’economia classica, consiste nel
considerare l’impresa, non come un soggetto autonomo, bensì come inserito in un ambiente di
riferimento in cui si manifestano relazioni dinamiche tra i vari operatori.
A tal fine, per produrre risultati utili e veritieri, r necessario ridurre l’entità dell’ambiente da
osservare mediante l’utilizzo di un denominatore comune il quale, da un lato, non deve essere
eccessivamente aggregante, in quanto neanche in tal caso sarebbe possibile ridurre l’entità dei
fenomeni da osservare, ma da altro lato, non deve essere eccessivamente limitativo, in quanto si
potrebbe, invece, determinare l’esclusione di fenomeni, che invece, presentano rilevante importanza e il
quale, può essere individuato:
 nella produzione realizzata;

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 nella domanda dei consumatori;


 nei comportamenti concorrenziali
ma si ritiene che l’approccio migliore, sia rappresentato dal metodo misto, il quale consente di
individuare il settore in relazione alla scelta di un insieme di fattori da osservare congiuntamente.
Uno dei metodi più diffusi r quello della struttura-condotta-performance, secondo il quale la
composizione del settore r valutata in relazione a fattori quali:
 barriere all’ingresso;
 concentrazione;
 differenziazione dei prodotti.
Un ulteriore contributo teorico alla individuazione dei comportamenti aziendali all’interno di uno
specifico settore, r rappresentato dal Modello delle 5 forze competitivi di Porter la cui particolarità
consiste, da un lato, nell’aver considerato l’importante ruolo svolto dai clienti e fornitori e, da altro lato,
nell’aver incluso elementi in passato trascurati, quali i “potenziali concorrenti” e i “prodotti sostitutivi”.
Queste 5 forze sono:
a) intensità della competizione tra i concorrenti.
L’intensità della competizione tra le imprese operanti all’interno di uno stesso settore, r il
principale fattore che incide sulla redditività aziendale di medio – lungo periodo e
sull’attrattività del settore stesso, il quale r influenzato da due distinte scelte strategiche:
 eccessivo ricorso alla politica di ribasso dei prezzi, la quale potrebbe causare la c.d.
guerra sui prezzi e costringere le imprese ad operare in perdita;
 erronee operazioni di investimento in nuovi prodotti, o in campagne pubblicitarie .
Ulteriori fattori che influenzano la competizione all’interno di un settore sono:
 tasso di crescita, il quale se particolarmente elevato, potrebbe rappresentare un
fattore di attrattività del settore;
 barriere all’uscita, le quali se sono particolarmente elevate, potrebbero causare
problemi in caso di operazioni di disinvestimento o di allontanamento dal settore.
b) minaccia di nuove entrate.
La redditività e attrattività di un settore, potrebbero determinare l’ingresso di nuovi
competitors, i quali devono valutare il livello di difficoltà e i costi necessari per l’ingresso nel
settore, in riferimento alle c.d. barriere all’entrate, le quali sono influenzate dai seguenti
fattori:
 fabbisogno di capitale necessario per poter operare all’interno del settore di
riferimento;
 economie di scala, necessarie per i settori in cui sono richiesti ingenti investimenti in
attività di ricerca e sviluppo;
 differenziazione dei prodotti;
 identità di marca.
c) concorrenza dei prodotti sostitutivi.
I prodotti sostitutivi incidono significativamente sulle decisioni di acquisto dei consumatori,
soprattutto qualora il loro rapporto prezzo/qualità r soddisfacente.
Questo aspetto incide maggiormente in cui settori caratterizzati da un basso valore unitario
dei beni (es. beni di largo consumo), e quindi da un semplice processo di acquisto. Discorso
inverso r valido, invece, per quei settori caratterizzati da una ridotta frequenza di acquisto (es.
beni di lusso), o da elevate barriere all’entrata, nei quali riveste maggiore importanza l’identità
della marca.
d) potere contrattuale dei fornitori.
La redditività aziendale r influenzata anche dai rapporti che l’impresa detiene con i propri
fornitori, il cui potere contrattuale r direttamente correlato con:
 la dimensione;
 la propensione alla concentrazione;

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 criticità della risorsa detenuta e scambiata;


 i costi, che l’impresa deve sostenere per l’individuazione ed instaurazione di nuovi
rapporto di fornitura.
e) potere contrattuale dei clienti.
Il potere contrattuale dei clienti, dipende essenzialmente dalla loro sensibilità al prezzo, il
quale r correlato con:
 il livello di differenziazione dei prodotti;
 la concorrenza tra gli offerenti del medesimo prodotto/servizio ;
 l’importanza del processo di acquisto.
Un importante parametro per valutare il settore r quello del livello di concentrazione, dato dal
rapporto tra il fatturato delle imprese maggiormente rappresentative e le vendite complessive del
settore e, a tal proposito, r necessario considerare che il livello concorrenziale r inversamente
correlato alla concentrazione del settore.
Una misurazione del livello di concentrazione può essere effettuata per mezzo della Curva di Porenz
(vedere grafico dal libro), la quale applica il calcolo dell’ indice di concentrazione basato sul numero
totale di imprese operanti nel settore di interesse. Il massimo grado di concentrazione (1), si ha in caso
di monopolio quando r presente un’unica impresa, che controlla l’intero mercato, ovvero una situazione
più attenuata, ma pur sempre di forte concentrazione, si ha in caso di oligopolio (0), ossia quando vi
sono poche imprese che influenzano l’intero mercato.

CAPITOPO 4: PA GESTIONE DEI RISCHI DI IMPRESA: TECNICHE DI COPERTURA E PA


STRUTTURA OPERATIVA
P’INCERTEZZA E IP RISCHIO. ASV-APPROCCIO SISTEMICO VITAPE
Il linea generale, le decisioni di impresa, in quanto riguardano situazioni future, implicano incertezza
ovvero, un certo grado di rischio il quale, nella sua accezione generale, può essere considerato come una
previsione implicita delle decisioni e può consistere nella possibilità, che il risultato ottenuto presenti
scarti, più o meno significativi, dal risultato atteso e, da questo si evince come la dimensione
temporale, ossia decisioni prese oggi che determinano effetti per il domani, rappresenti un rilevante
generatore di rischi, poiché il futuro r incerto e potrebbe determinare differenti possibili eventi.

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La problematica del rischio, r oggetto di studio dell’ ASV – Approccio Sistemico Vitale, il quale
raccogliendo gli insegnamenti di Corsani e Fazzi sull’importanza del concetto di rischio e di una sua
efficiente gestione e controllo, arricchisce le interpretazioni del passato, anche attribuendo valenza
normativa a tutte quelle transazioni (reali e/o virtuali), che le imprese pongono in essere con i propri
interlocutori.
In particolare, nell’ambito dell’ASV, r possibile distinguere 4 livello di rischio:
 rischio esistenziale: r opportuno che sia evitato;
 rischio grave: la cui entità r necessaria che venga ridotta;
 rischio sostenibile: richiede una attività di controllo e gestione;
 rischio marginale: può essere anche ignorato.
Pertanto, la rischiosità consiste nella possibilità, determinata con metodi di carattere probabilistico,
che il risultato economico ottenuto sia differente dal risultato economico atteso, cui si aggiunge il
rischio di non conoscenza e/o insufficiente comprensione del rischio aleatorio e, pertanto, r
l’informazione ad esercitare un ruolo fondamentale nell’attività del risk management, alla quale
coniugando il grado di comunicazione tra le funzioni aziendali, possono derivarne quattro differenti
situazioni:
1. se le informazioni sono ricche di significato, ma la comunicazione all’interno dell’azienda r
assenta, sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma questo non potrà essere affrontato in
modo efficiente al suo manifestarsi;
2. se le informazioni sono ricche di significato e, peraltro, la comunicazione all’interno dell’azienda
r aperta, non solo sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma questo potrà essere gestito in
modo efficiente al suo manifestarsi;
3. se vi r un basso livello di informazioni e, inoltre, la comunicazione all’interno dell’azienda r
assente, non solo non sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma ne saranno subiti gli effetti
negativi al suo manifestarsi;
4. se vi r un basso livello di informazioni, ma la comunicazione all’interno dell’azienda r aperta, sarà
possibile conoscere il rischio futuro, ma al suo manifestarsi saranno subiti gli effetti di un
evento erroneamente valutato.
A tal fine, l’impresa può adottare due tecniche per la gestione del rischio:
 trasferimento contrattuale in capo ad altri soggetti (es. compagnie di assicurazione);
 ritenzione, mediante forme di autoassicurazione.

IP RISCHIO NEI CONTRATTI DI SCAMBIO E PA FUNZIONE DEGPI OPERATORI E DEI MERCATI


Il rischio, nel pensiero dei più illustri studiosi della gestione di impresa, r considerato quale fenomeno
connesso ad eventi macroeconomici, ovvero alle possibili inadempienze di coloro i quali partecipano ad
operazioni di transazione. Generalmente, le imprese fronteggiano due tipologie di rischio:
 rischio di mercato: connesso all’anticipata acquisizione di fattori produttivi (costi), sulla base
di vendite future (ricavi) si pensi, ad esempio, alle imprese che realizzando prodotti di largo
consumo;
 rischio di esercizio: derivante dall’anticipata acquisizione di commesse (ricavi), il cui processo
produttivo e la relativa acquisizione di fattori produttivi, avverrà in futuro.
Con riferimento ai rischi relativi alle operazioni di scambio commerciale, r possibile distinguere tre
categorie di elementi descrittivi:
a) delimitazione di latitudini contrattuali: le clausole, che stabiliscono gli adempimenti cui r tenuto
ciascuno contraente limitandone, pertanto, le relative facoltà, espone ciascuna parte
all’incertezza circa le modalità di adempimento della controparte;
b) attribuzione di rischi in senso stretto : le clausole possono disciplinare le conseguenze sulle
parti derivanti da rischi futuri e incerti, anche derogano alle regole generali della
compravendita;
c) disciplina dei casi di inadempimento.

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Proprio la compravendita rappresenta l’operazione di scambio commerciale più diffusa, la quale


determina il trasferimento della proprietà di beni economici dal venditore all’acquirente r, poiché, tali
operazioni hanno luogo tra soggetti siti in luoghi diversi e con differenti esigenze temporali, spiega il
ruolo svolto dagli intermediari ed ausiliari del commercio. In particolare:
 la circostanza, per effetto della quale, prima della conclusione del contratto di compravendita,
il potenziale acquirente non possa preventivamente conoscere il potenziale venditore delle
merci che intende acquistare (e viceversa), spiega il ruolo svolto dagli intermediari del
commercio, nel garantire la conclusione indiretta dell’operazione di scambio;
 la circostanza, per effetto della quale, dopo la conclusione del contratto di compravendita, sia
necessario consegnare le merci secondo differenti esigenze di tempo e/o di spazio, spiega il
ruolo svolto dagli ausiliari del commercio nel rendere disponibili tali servizi.
Generalmente, accade che:
o la merce r disponibile e deve essere consegnata dal venditore in un momento diverso da quello
in cui l’acquirente può riceverla, rendendo necessario il deposito presso magazzini di proprietà
di terzi;
o la merce r disponibile e deve essere consegnata dal venditore in un luogo differente da quello in
cui l’acquirente può riceverla, rendendo necessario il transito attraverso paesi esteri, anche con
passaggio alla dogana;
o la merce sia pagata dall’acquirente al venditore, avvalendosi dei servizi offerti dagli istituti di
credito;
o la merce non possa essere immediatamente pagata dall’acquirente al venditore, il quale può farsi
anticipare una parte del credito, cedendolo ad un’azienda di factoring;
o la merce e i venditori siano certificati da enti terzi, quali la camera di commercio per
l’industria, l’artigianato e l’agricoltura;
o la merce e i venditori siano promossi in filiere produttive estere da enti quali, l’Istituto per il
Commercio con l’Estero.
Pertanto, in considerazione di tali aspetti e della molteplicità di operatori presenti sul mercato, che
rendono tali operazioni più complesse, spiegano l’utilità dei mercati organizzati i quali, fra le altre
funzioni, consentono a coloro i quali assumono posizioni rischiose sul mercato dell’effettivo, di coprirsi
contro tali rischi, realizzando operazioni di hedging sul mercato a termine: ad esempio, supponiamo che
un operatore commerciale si impegni a ritirare/consegnare la merce entro 6 mesi dalla conclusione del
contratto esponendosi, pertanto, ad una situazione di rialzo/ribasso dei prezzi. Egli può coprirsi contro
tali rischi, adottando tre differenti strategie quali:
a) assumersi totalmente il rischio , potendo trarre vantaggio da un futuro ed eventuale aumento
dei prezzi;
b) trasferire totalmente il rischio, realizzando un’operazione di pari entità sul mercato a termine;
c) trasferire parzialmente il rischio, realizzando un’operazione di entità inferiore sul mercato a
termine.
Inoltre, gli operatori commerciali possono anche acquistare opzioni, ossia concludere contratti a premio
con i quali acquistano oggi (t0) la possibilità di esercitare, fino o entro la scadenza, un’operazione di
acquisto (call option) o, un’operazione di vendita (put option) al prezzo pattuito (prezzo di esercizio).
Si evince, come tali strumenti, offrano una maggiore flessibilità rispetto ai contratti a termine, i quali
non consentono di poter trarre vantaggio da un eventuale rialzo dei prezzi e, inoltre, r possibile
distinguere tra:
 American Options: attribuiscono la possibilità di esercitare la facoltà di acquisto o vendita, per
tutta la durata del contratto;
 European Options: l’esercizio di tale facoltà r consentito fino alla scadenza, ad un prezzo
inferiore rispetto alle American Options, in considerazione delle minori facoltà che r possibile
esercitare.

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PA MISURAZIONE DEP RISCHIO E DEP VAPORE ATTESO


Il profilo di rischio dell’impresa, per quanto ricondotto e esaminato nell’area delle problematiche
finanziarie, r invece determinato, dalla dimensione reale, dalle azioni commerciali, dal marketing, dalla
funzione acquisti, magazzinaggio, programmazione, localizzazione di nuovi impianti, situazioni che
necessitano di un sistema decisionale che possa quantificare, non soltanto il rendimento atteso
dell’attività di impresa, ma anche il grado di rischio della stessa.
Pertanto, rendimento e rischio sono aspetti di uno stesso problema, che guidano le decisioni dell’organo
di governo e del sistema finanziario con cui lo stesso interagisce.
In particolare, r necessario:
a) individuare le variabili che influenzano il progetto imprenditoriale da realizzare ;
b) fase delle ipotesi circa la loro evoluzione, ovvero stime soggettive sulla probabilità che si
verifichino determinati eventi.
Tra le statistiche impiegate per la valutazione dei fenomeni, assumono importanza:
 la media, il quale fornisce una misura sintetica del livello del fenomeno, ovvero definisce il
valore del progetto imprenditoriale;
 lo scarto quadratico medio, il quale fornisce il grado di dispersione ovvero, eterogeneità, del
fenomeno rispetto al suo valore medio, ovvero definisce il grado di rischiosità del progetto
imprenditoriale.
La decisione di realizzare qualsiasi progetto imprenditoriale non può prescindere dalla analisi congiunta
di queste due caratteristiche, in quanto r necessario evidenziare, da un lato, il valore del progetto e, da
altro lato, la sua rischiosità.

2
U = E(R) – A σ

dove:
E(R) = valore atteso;
2
σ = varianza dei rendimenti;
A = grado di avversione al rischio

I COSTI DI STRUTTURA E PA PEVA OPERATIVA


Le decisioni dell’organo di governo richiedono alcune considerazioni e analisi in merito ai costi della
struttura operativa impiegata per la realizzazione del progetto di business, anche al fine di
determinare il punto di pareggio e potendo distinguere tra:
 costi di struttura;
 costi di utilizzo della struttura
basati sulla tradizionale distinzione tra costi fissi e costi variabili e tenendo presente che:
o la qualificazione di un costo di struttura, r condizione sufficiente per generare un costo fisso;
o la presenza di un costo fisso, r condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché lo stesso
possa essere considerato di struttura.
È noto come il modello di analisi del punto di pareggio, consenta di determinare il livello di produzione e
vendita da realizzare, tale da raggiungere il punto di pareggio tra costi totali e ricavi, dato dal
rapporto tra i costi fissi e il margine di contribuzione unitario e, inoltre, livelli superiori di produzione
determinano rilevanti utili per l’impresa, dati dal prodotto tra il margine di contribuzione unitario e la
maggior quantità di prodotto/servizio venduta.
Pertanto, a parità di prezzo di vendita del prodotto/servizio, l’impresa strutturata con una tecnologia
ad elevati costi fissi e bassi costi variabili, avrà una maggiore leva operativa, ovvero un più elevato
margine di contribuzione rispetto all’impresa caratterizzata da una tecnologia ad elevati costi variabili
e bassi costi fissi.

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Struttura A Struttura B
Ricavi Ricavi
Costi totali

Costi tot.

Costi fissi

Costi fissi

Quantità
q* q* Quantità

Pertanto r necessario stabilire quale struttura di costi r preferibile:


a) seguendo un approccio prudenziale in settori di mercato caratterizzato da elevata incertezza, a
parità di condizione, potrebbe essere scelta quella struttura meno rischiosa, che consenta
all’impresa di raggiungere facilmente il punto di pareggio anche con bassi volumi di produzione
venduta;
b) considerando, invece, due imprese che hanno il medesimo punto di pareggio, ma sono connotate
da strutture di costi differenti, il management sceglierà la struttura operativa in base al grado
di certezza circa il superamento del punto di pareggio ovvero, se i manager sono certi di poter
superare il punto di pareggio, opteranno per una struttura operativi con una maggiore leva
operativa (struttura B), capace di massimizzare gli utili totale.
Se, invece, vi r buona probabilità di restare al di sotto del punto di pareggio ovvero, il
management r avverso al rischio, r preferibile la struttura a maggiori costi variabili (struttura
A).

PA STRUTTURA OPERATIVA NEI DIVERSI SETTORI DI ATTIVITA’


Inoltre, alcune imprese si caratterizzano per il sostenimento di elevati costi di struttura, rispetto ai
costi di utilizzo della stessa, nonché per un’elevata leva operativa, il che rende necessaria una coerente
struttura finanziaria per poter gestire il rischio aleatorio e contenere il rischio di non conoscenza e
questo, determina l’elevata dimensione del capitale allocato.
In particolare, la struttura operativa basata su elevati costi fissi consente di raggiungere facilmente il
punto di equilibrio e, inoltre, il suo superamento genera utili rilevanti per l’impresa ovvero, il suo
mancato raggiungimento determina conseguenze negative sul risultato economico, poiché la struttura
rigida, r poco elastica ed adattabile a riduzione di livello operativo.
Pertanto, r possibile affermare, che le imprese che sostengono elevati costi di struttura, puntano alla
massima espansione dell’attività attraverso politiche di diversificazione, politiche commerciali di
promozione delle vendite con riduzione dei prezzi le quali, tuttavia, possono esporre l’impresa al
pericolo di intraprendere circoli viziosi di espansione, caratterizzati dalla riduzione del margine di
contribuzione.

CAPITOPO 5: PE DECISIONI DI INVESTIMENTO E DI FINANZIAMENTO


P’ORIZZONTE TEMPORAPE, IP RISCHIO DEGPI INVESTIMENTI E P’ORGANIZZAZIONE DECISIONAPE
Il governo e la gestione di impresa, possono essere considerate come il risultato di un complesso
processo decisionale, in riferimento all’impiego delle risorse finanziarie disponibili per poter garantire
una continua creazione di valore economico, il quale nelle imprese di più grandi dimensioni, r articolati
su tre livelli organizzativi:
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 livello di impresa o di gruppo (corporate);


 livello di area d’affari (business);
 livello di prodotto.
Tale processo decisionale, si conclude con l’adozione dei piani di sviluppo ai diversi livelli organizzativi, il
controllo dei risultati ottenuti e l’adozione di eventuali meccanismi correttivi.

In particolare, le decisioni di investimento che vincolano il management per periodi di tempo medio-
lunghi e, pertanto, immodificabili nel breve periodo, sono quelle relative agli investimenti in attività
fisse, che definiscono la pianificazione strategica aziendale (medio – lungo periodo) e, pertanto, sono
definite come decisioni di investimento e determinano il successo/insuccesso dell’impresa e, inoltre,
sono distinte dalle decisioni di breve periodo, relative a scelte gestionali di carattere operativo.
Gli investimenti, in relazione al tempo, possono essere distinti in:
o investimenti duraturi: il cui reintegro avviene in periodi compresi tra 3 e 4 anni;
o investimenti di breve durata: liquidabili in pochi mesi, ma comunque non oltre i 3 anni;
o investimenti di rapido ragiro: in riferimento agli investimenti in capitale circolante netto, ossia
l’ammontare delle risorse finanziarie necessarie per il finanziamento dell’attività di breve
periodo.
Da tutto questo, si evince come le decisioni di investimento siano identificabili nelle attività dello Stato
Patrimoniale (c.d. investimenti palesi) o, in valori non desumibili dalla contabilità (c.d. investimenti
latenti).

I CRITERI DI VAPUTAZIONE DEGPI INVESTIMENTI (CAPITAP BUDGETING)


In finanza aziendale, il Capital Budgeting indica la scelta di quei progetti di investimento, che offrono
all’impresa i migliori vantaggi e le migliori opportunità e il cui principale obiettivo, r rappresentato dalla
determinazione dei flussi di cassa (o cash flows), dati dalla differenza tra le entrate e le uscite
monetarie, riferibili ad uno stesso progetto di investimento e in un dato arco temporale.
Pertanto, per ogni progetto di investimento, sarà necessario predisporre un prospetto temporale dei
flussi di cassa con un metodo reddituale e non finanziario, in quanto saranno quantificati, periodo per
periodo, le entrate al netto delle uscite e non i costi al netto dei ricavi, considerando irrilevanti i costi
passati ed imputando, invece, i costi opportunità, ossia i costi derivanti dal rifiuto di alternative di
investimento.

Per la quantificazione dei flussi di cassa, r possibile distinguere tra criteri che applicano o meno, la
tecnica dell’attualizzazione. Tra i primi vi sono:
 il periodo di reintegrazione o, pay back period;
 la redditività media di un investimento (ROI – Return On Investment);
tra i secondi vi sono, invece:
 il VAN – Valore Attuale Netto;
 il TIR – Tasso Interno di Rendimento.
Inoltre, nell’ambito delle decisioni di investimento r necessario considerare la struttura operativa dei
costi, al fine di determinare il punto di pareggio ovvero, recenti tecniche del capital budgeting, hanno
dimostrato come i progetti di investimento possano determinare opzioni reali, ossia la possibilità di
trarre vantaggio dalla realizzazione di progetti di investimento in contesti caratterizzati da elevata
incertezza (c.d. teoria delle opzioni reali).

A) PERIODO DI REINTEGRAZIONE o PAY-BACK PERIOD


Il periodo di reintegrazione può essere considerato come il numero di anni entro i quali, ci si attende il
reintegro degli investimenti iniziali e, pertanto, questo criterio, può essere considerato come un break
even temporale in quanto, da un lato, consente di determinare l’arco temporale di impiego dei capitali
investiti e, da altro lato, consente di valutare il grado di liquidità del progetto di investimento.

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Tuttavia, tale criterio presenta due limiti sostanziali: in primo luogo, non considera l’entità dei flussi di
cassa dopo il reintegro degli esborsi iniziali e, in secondo luogo, non considera la scansione temporale
degli stessi durante il periodo di reintegro.
Generalmente, questo criterio r impiegato per la valutazione di quei progetti di investimento da
realizzare in contesti caratterizzati da elevata incertezza politica, in quanto, proprio in tali contesti, r
di fondamentale importanza la velocità di recupero dei capitali investiti.

B) ROI – REDDITIVITA’ MEDIA DI UN INVESTIMENTO


Il ROI può essere considerato come un indicatore economico, che esprime le potenzialità del reddito
d’azienda, indipendentemente da eventi extra-caratteristici, da eventi finanziari e dalla pressione
fiscale cui r soggetto il reddito di impresa dato dal rapporto tra la media aritmetica dei flussi di cassa
annui, al netto dell’esborso iniziale, e lo stesso esborso iniziale.

ROI = (REDDITO OPERATIVO/TOTAPE IMPIEGHI) *100

C) VAN – VAPORE ATTUAPE NETTO


Il VAN, può essere considerato come la sommatoria algebrica di una serie di flussi di cassa (netti) in
entrata e in uscita, attualizzati ad un congruo tasso attraverso un procedimento, che consta di tre fasi:
1. individuazione dei flussi di cassa in entrata e in uscita, ciascuno dei quali r scontato ad un tasso
pari al costo del capitale necessario per la realizzazione del progetto di investimento;
2. sommatoria algebrica dei flussi di cassa attualizzati;
3. realizzazione del progetto di investimento se il VAN>0, rifiuto se il VAN<0 ovvero, ceteris
paribus, realizzazione del progetto di investimento, che presenta il VAN maggiore.
Qualora, invece, si vogliano considerare i soli flussi di cassa positivi (in entrata) r applicabile il VA –
Valore Attuale, il quale prevede un procedimento analogo al precedente, con la sola differenza che
vengono considerati e attualizzati, i soli flussi di cassa positivi.

D) TIR – TASSO INTERNO DI RENDIMENTO


Il TIR può essere definito come quell’unico tasso di attualizzazione, che rende il valore attuale netto di
una serie di flussi di cassa, in entrata e/o in uscita, uguale a 0 (vedi formula sul libro).
Generalmente, un progetto di investimento r ritenuto desiderabile, solo se il TIR risulta essere
superiore a qualsiasi altro tasso di riferimento, ma il limite principale di tale criterio consiste,
nell’ipotesi implicita, che i flussi di cassa generati dal progetto di investimento, siano reinvestiti ad un
TIR pari o superiore, ipotesi verosimile solo in caso di continue opportunità di investimento.

E) EVA – ECONOMIC VAPUE ADDED


L’EVA r un criterio misto di valutazione, che misura la ricchezza creata dall’impresa come valore attuale
della differenza tra il reddito operativo dopo le tasse, monetariamente disponibile per i finanziatori e
la redditività normale del capitale, pari al WACC e, pertanto, l’EVA corrisponde alla maggiore
remunerazione, rispetto a quella normale (generalmente viene considerata la redditività media
settoriale), generata dagli investimenti presenti/futuri.
L’EVA può essere considerato come quell’indicatore economico, che stima il valore economico conseguito
dall’impresa nel corso dell’esercizio, ossia l’eccedenza del valore di mercato degli assets ( MVA –
Market Value Added), rispetto al loro valore contabile rettificato (VCR), determinato con l’aggiunta
dei fondi ammortamento e delle riserve latenti, date dalla differenza tra il capitale proprio iscritto in
bilancio e il capitale proprio effettivo.

Vassets = VCR + MVA


MVA = NOPATt – (WACC*VCR) t+(1+WACC)t
EVA = (ROI – costo del capitale investito) x Ti

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Il NOPAT – NET OPERATING PROFIT AFTER TAXES , r il reddito operativo al netto delle imposte,
calcolato anno per anno, con l’aggiunta delle risorse finanziarie effettivamente generate dalla gestione,
ma non rappresentate dalla contabilità.

Il problema principale di questo criterio, consiste nel determinare un WACC, che sia congruo per ogni
esercizio, in quanto risulta essere influenzato da eventuali variazioni della struttura finanziaria, nonché
dall’eccessiva disponibilità di cespiti aziendali, i quali non subiscono un normale deterioramento nel
corso del processo produttivo.

F) PEVA FINANZIARIA o GRADO DI INDEBITAMENTO


La leva finanziaria o, grado di indebitamento r dato dal rapporto tra il capitale di credito (D) e il
capitale di rischio (S), secondo la formula:

ROE = ROI + D/S (ROI-i)

questa espressione, esprime il rendimento richiesto sul capitale di rischio ( ROE), in funzione del
rendimento richiesto sul capitale investito ( ROI) ed un premio per il rischio, ossia un extra-rendimento
richiesto dagli investitori sul capitale investito, il quale risulta essere influenzato dalla leva finanziaria
(D/S).
Questa espressione r di notevole importanza per poter determinare le capacità reddituali del capitale
di rischio: in effetti, elevati livelli di ROE potrebbero essere determinati da effetti della leva
finanziaria, ovvero da importanti valori del ROI, anche in presenza di un basso grado di indebitamento e,
pertanto, una significativa redditività per gli azionisti, potrebbe avere natura finanziaria, se
determinata dalla leva finanziaria o, natura operativa, se determinata da importanti livelli del ROI.

Inoltre, la finanza aziendale ha dimostrato come, partendo dal modello di Modigliani – Miller, come la
leva finanziaria possa offrire vantaggi, poiché se il capitale di terzi costa meno del capitale proprio, più
l’impresa si indebita, più si crea una fonte di finanziamento meno onerosa, cui sono contrapposti alcuni
svantaggi, in riferimento a:
A. costi di fallimento, connessi a due affermazioni relative alle scelte di investimento, ovvero:
 le imprese, che redigono piani di business rischiosi dovrebbero, ceteris paribus, indebitarsi
meno rispetto alle altre imprese, al fine di ridurre il rischio di incorrere in crisi finanziarie;
 le imprese, il cui attivo r prevalentemente costituito da attività materiali, facilmente
vendibili sul mercato, dovrebbero indebitarsi più di quelle imprese, il cui attivo r, invece,
prevalentemente costituito da attività finanziarie (immateriali);
B. costi di agenzia e minori opportunità di dedurre altre costi , quali l’ammortamento, in quanto vi
sono altri costi fiscalmente deducibili a dimostrazione del fatto, che il valore dell’impresa r
indipendente dalla sua struttura finanziaria.

CAPITOPO 6: NUOVE TECNOPOGIE DI PRODUZIONE


P’EVOPUZIONE DEI PROCESSI PRODUTTIVI
La nascita dell’impresa, come considerata nella visione sistemica, risale al periodo in cui si
manifestarono gli effetti della Rivoluzione Industriale, ovvero quando, per la prima volta, vennero
impiegate macchine affiancate dal lavoro umano, determinando la necessità di uno schema
organizzativo, che fosse in grado di funzionare coerentemente con le diverse entità (umane e tecniche)
per il perseguimento di specifici obiettivi.

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In considerazione delle caratteristiche tecniche dei primi macchinari, i quali erano in grado di eseguire
una o poche sequenze, e in virtù delle capacità lavorative della manodopera, si sviluppo il fenomeno della
specializzazione delle mansioni, il cui obiettivo era la riduzione degli errori e incrementare la
produttività. Successivamente, vennero migliorate le capacità tecniche e produttive e si avviò la
produzione di massa, il cui obiettivo era garantire una costante riduzione dei costi unitari medi
mediante l’incremento dei volumi di produzione.
Il modello gestionale in esame, si basava su un complesso di condizioni (investimenti elevati, grandi
dimensioni aziendali, consistenti volumi produttivi), che ne consentivano l’attuazione in virtù delle
condizioni del mercato del periodo in considerazione, ovvero domanda elevata con ridotta varietà e
offerta modesta e omogenea. Questa impostazione, necessitava di un pieno utilizzo degli impianti di
produzione, per il rispetto dell’economicità, ed un modello organizzativo di tipo gerarchico (vedi es.
Ford “modello T”), ma da altro lato, questo riduceva il numero di investitori.

Il rinnovamento di tale modello fu determinato dalle trasformazioni del mercato (fine anni’20 del
secolo scorso), caratterizzate da una crescente competitività e da una riduzione della domanda,
collegata all’evolversi delle esigenze del consumatore, richiedendo alle imprese di ridefinire la loro
impostazione, al fine di rinnovare la capacità di offerta.
In tale realtà economica, si diffusero le teorie di Schumpeter, il quale teorizzò l’esistenza di tre
concetti tra loro collegati, ma aventi un differente contenuto, ovvero:
 invenzione: intesa come manifestazione della coscienza;
 innovazione: intesa come capacità di realizzare nuove tecniche produttive;
 diffusione dell’innovazione: derivante dalla capacità di imitazione dei concorrenti, riducendo il
vantaggio competitivo dell’innovatore.
Inoltre, tali teorie riconoscono un ruolo fondamentale agli elementi immateriali i quali, in passato,
avevano un’importanza inferiore rispetto ad oggi, a causa delle condizioni ambientali dell’epoca che non
ne consentirono una piena affermazione.
Pertanto, non r più difficile produrre, bensì diviene complesso organizzare un’azienda dotata di
creatività e di stabili e proficue relazioni interne ed esterne, in grado di creare valore, ovvero
l’obiettivo r qu ello di impiegare strutture soft, in riferimento alle imprese dotate di intangible assets,
più che di attività materiali.

TECNOPOGIE INFORMATICHE E PROCESSI PRODUTTIVI


Le nuove tecnologie informatiche (IT – Information Technology), in un’ottica schumpeteriana, hanno
rappresentato un fattore produttivo chiave, in quanto da un lato hanno consentito di ottenere elevati
livelli di flessibilità nell’ambito della programmazione della produzione e, da altro lato, hanno consentito
di coordinare obiettivi, in passato considerati contrastanti, quali:
- flessibilità ed economie di scala;
- qualità e bassi costi
con modifiche alla struttura organizzativa dell’impresa e al ruolo svolto dal management.
A questo, si r aggiunto lo sviluppo ed introduzione delle telecomunicazioni, le quali hanno consentito lo
scambio in rete e in tempo reale delle informazioni, non solo con i fornitori, ma anche con i clienti
(distributori e consumatori finali), determinando l’esternalizzazione (o outsourcing) di interi cicli
produttivi.
È possibile osservare come, gli effetti positivi derivanti dall’introduzione delle tecnologie tele –
informatiche, si siano principalmente manifestati in quei settori caratterizzati dalla produzione di lotti
diversificati, o che ricevono commesse per la realizzazione di prodotti speciali , con particolare
riferimento al settore dell’industria meccanica, il che ha determinato conseguenze nella struttura
organizzativa, in termini di:
 flessibilità: intesa come capacità di espandersi, ovvero di adeguarsi ai cambiamenti di
produzione in tempi rapidi e a costi contenuti;

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 versatilità: intesa come la capacitò di adeguarsi ai cambiamenti nelle procedure di lavorazione,


per poter soddisfare le mutevoli esigenze del mercato di consumo.

Le principali caratteristiche considerate per poter distinguere le differenti tipologie di sistemi


produttivi sono:
 grado di semplicità o complessità del prodotto;
 varietà e numerosità della gamma di prodotti realizzata ;
 grado di standardizzazione e consistenza dei volumi di produzione ;
 caratteristiche intrinseche del processo produttivo prescelto ;
 grado di specializzazione o rigidità del sistema produttivo .
In considerazione di tali caratteristiche, r possibile distinguere tra:
a) processi produttivi continui, o produzioni di processo;
b) processi produttivi in linea, a cadenza fissa o a cadenza non fissa;
c) produzioni a lotti (a cella);
d) produzioni job-shop.

In relazione al modo di produrre r possibile, innanzitutto, parlare di processi produttivi di tipo


continuo e a ciclo obbligato, tipici delle industrie di base (chimica, petrolchimica, siderurgica ecc..),
basate sulla trasformazione di unità non discrete, attraverso cicli tecnologici ben definiti e stazioni di
lavoro fisse e, inoltre, tali processi produttivi si caratterizzano per la realizzazione di elevati volumi di
produzione.
Pertanto, obiettivo dei programmi di produzione r la realizzazione di un dato flusso, ovvero di una
determinata quantità di beni e/o servizi in un dato arco di tempo, riducendo i rischi di produzione su
previsione, mediante il ricevimento di commesse in tempo reale in virtù dell’impiego dei sistemi tele-
informatici, i quali:
- da un lato, hanno consentito di razionalizzare l’utilizzo delle materie prime e delle fonti di
energia, con relativi effetti positivi in termini ambientali;
- da altro lato, hanno consentito di migliorare l’informatizzazione di processi produttivi,
affinando le tecniche finalizzate all’analisi di dati storici.
Caratteristica fondante di tali processi produttivi r la standardizzazione, ossia realizzazione di elevati
volumi di produzione e il perseguimento di economie di scala. Tuttavia, la tendenza attuale r verso la
creazione di unità produttive più compatte per il passaggio da una produzione di massa e standardizzata
(commodities), alla realizzazione di articoli speciali su specifiche esigenze del cliente ( specialties)
caratterizzati da un più elevato valore aggiunto.
Tutte queste caratteristiche, configurano tali processi produttivi come produzioni per il magazzino
(c.d. make to stock), in considerazione della difficoltà di coordinare le commesse ricevute dai clienti,
con le capacità di produzione degli impianti e di assorbimento della domanda.

In secondo luogo, r possibile parlare di processi produttivi intermittenti, tipici delle aziende
manifatturiere nelle quali, l’aggiunta dell’attività di montaggio, determina discontinuità e
“intermittenza” nella produzione.
In particolare, r possibile distinguere tra:
a) produzione in serie: o ripetitiva di unità discrete con ridotta varietà ed elevati volumi (c.d.
famiglie di prodotti), attraverso stazioni di lavoro fisse e macchine organizzate in linea;
b) produzioni a flusso lineare su linee spezzate: caratterizzate da reparti con fasi di lavorazioni
svolte in sequenza e accumulo di scorte tra le varie fasi;
c) produzioni per reparti: con impianti multiciclo, per la realizzazione di prodotti in relazione a
specifiche esigenze del cliente;
d) produzioni a lotti: con impianti uniciclo;
e) impianti misti: per produzioni in parte di un tipo, e in parte, di un altro tipo.

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Dopo aver considerato le caratteristiche dei principali sistemi produttivi, r possibile considerare le
differenti alternative di processo, considerando differenti aspetti quali:
A) strategia di risposta alla domanda: l’impresa può realizzare una produzione di tipo:
- Engineer to Order: qualora l’impresa progetti e realizzi un bene a fronte di uno
specifico ordine, includendo varianti e aspetti di personalizzazione;
- Make to Order: realizzato da quelle imprese con prodotti a catalogo, nelle quali le fasi
di progettazione e acquisizione sono effettuate su previsione delle vendite, e le fasi di
fabbricazione e montaggio sono realizzate, invece, su ordine del cliente;
- Purchase to Order: realizzato da quelle imprese nelle quali, la fase di acquisizione delle
risorse necessarie per la realizzazione del prodotto finito, r effettuata dopo il
ricevimento della commessa da realizzare;
- Assemble to Order: realizzato da quelle imprese nelle quali, le fasi di progettazione,
acquisizione e fabbricazione, sono effettuate su previsione e il relativo montaggio r,
invece, realizzato su ordine del cliente;
- Make to Stock: realizzato da quelle imprese nelle quali, le fasi di progettazione,
acquisizione, fabbricazione e montaggio, sono tutte realizzate su previsione delle
vendite.
B) strategia di realizzazione dei volumi di produzione: r possibile distinguere tra:
- prodotto singolo: caratterizzato da scarsa, o inesistente, ripetitività delle operazioni e
da discontinuità del flusso di risorse in entrata/uscita dal sistema produttivo;
- a lotti: produzione di quantità determinate;
- a flusso: caratterizzato da ripetitività delle operazioni e da continuità del flusso di
risorse in entrata/uscita dal sistema produttivo.
C) modalità di realizzazione del prodotto: r possibile distinguere tra:
- produzioni per processo;
- produzioni per parti.

PRODUZIONI JOB-SHOP
I sistemi produttivi di tipo job-shop operano su commessa, per la realizzazione di esemplari unici
(commesse singole), o per la realizzazione di un numero limitato di unità produttive ( commesse
ripetitive) in relazione a specifiche richieste del cliente e, inoltre, i volumi produttivi contenuti, fanno
sì che, la gamma di prodotti realizzata, sia caratterizzata da una marcata varietà e variabilità.
In particolare, nell’ambito di tali sistemi produttivi, le attività di produzione (incluse le fasi di
progettazione e acquisizione) sono effettuate dopo il ricevimento della commessa da realizzare e,
inoltre, in considerazione delle particolari caratteristiche del prodotto finito, r difficile definire
anticipatamente il numero di operazioni da realizzare ragion per cui, le imprese che realizzano
produzioni di tipo job-shop, r necessario che siano dotate di attrezzature e macchinari che possano
svolgere un ampio ventaglio di operazioni ovvero, tali processi produttivi, necessitano di un costante
“flusso informativo” per sincronizzare tutte le fasi del processo produttivo e per esercitare un
controllo costante sullo stato di avanzamento dei lavori.
In definitiva, tali processi produttivi si caratterizzano per due aspetti fondanti:
- flessibilità;
- ridotto fabbisogno di investimenti
caratteristiche fondamentali per la realizzazione di volumi di produzione contenuti caratterizzati da
varietà e variabilità e, inoltre, i maggiori tempi di consegna, sono giustificati dal mercato in
considerazione della necessità di realizzare un prodotto che sia conforme alle specifiche richieste del
cliente.

SISTEMA DI PRODUZIONE A CEPPE

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Il sistema di produzione a celle, trae le proprie origini verso la metà degli anni’70, quando la casa
automobilistica Volvo tentò di superare la ripetitività tipica della catena di montaggio, realizzando un
progetto pilota per la costruzione di automobili mediante il sistema delle isole, ma questo progetto fu
subito messo in ombra dall’introduzione del just in time, che spostò l’oggetto di attenzione e
osservazione sul Giappone, il quale successivamente ha rivisitato e rilanciato il progetto ideato dalla
Volvo, oggi noto come sistema di produzione a celle, in base al quale a tutti gli operai r consegnato un
kit di montaggio contenente tutti i componenti necessari per la realizzazione di uno specifico articolo.
Il vantaggio ottenuto consiste, da un lato, nella possibilità di esercitare un controllo costante e in
tempo reale sulla qualità dell’output prodotto (soprattutto per prodotti di piccola dimensione) e, da
altro lato, si registra un maggior coinvolgimento degli addetti ai lavori, i quali possono svolgere l’intero
processo di produzione, e non singole e brevi fasi di esso, secondo il ritmo da loro definito e non,
invece, secondo il ritmo battuto dallo scorrimento della catena.
In questa tipologia di sistema produttivo, la produzione può essere realizzata:
- su ordine acquisito, e siamo nel caso delle imprese con prodotti a catalogo;
- su previsione della domanda, e si assiste alle produzioni intermittenti, lanciate sulla base delle
previsioni di domanda per quantità superiori al fabbisogno immediato.

PRODUZIONE SNEPPA E INFORMAZIONE


Hayes e Wheelwright, hanno proposto di guardare al processo – prodotto, lungo i due lati della matrice
da loro definita, i quali mettono in relazione i diversi tipi di struttura del processo di produzione, i quali
possono essere considerati come stadi del ciclo di vita del processo, e le differenti modalità di
realizzazione di volumi produttivi, i quali possono essere considerati come gli stadi del ciclo di vita del
prodotto.
Ad ogni zona della matrice corrisponde:
- particolari modalità competitive;
- diverse priorità negli obiettivi di prestazione;
- specifici problemi e decisioni critiche.
In particolare:
a) muovendosi da sinistra verso destra, si passa dall’enfasi posta sulla personalizzazione, sulla
qualità e flessibilità, all’enfasi posta su aspetti quali, la “ standardizzazione”, i “volumi di
produzione e sui costi;
b) muovendosi dall’alto verso il basso, si passa dai problemi relativi alla standardizzazione, tempi
di risposta al mercato e capacità degli impianti, all’enfasi posta in riferimento ad aspetti quali
l’aumento della intensità di capitale , l’integrazione verticale, utilizzo degli impianti, gestione dei
materiali ed innovazione tecnologica.

È possibile distinguere diverse fasi nel processo di meccanizzazione, quali:


A) capitalismo concorrenziale: caratterizzato dall’introduzione di macchine per lo sfruttamento di
una nuova risorsa (il vapore), con stazioni di lavoro isolate e, inoltre, si diffonde la
standardizzazione anche nell’organizzazione di fabbrica e d’ufficio;
B) capitalismo manageriale: favorito da un complesso di scoperte scientifiche, la meccanizzazione
si trasforma in un complesso di macchine interconnesse e si diffonde la produzione di massa
anche per la realizzazione di prodotti più complessi, determinando rischi più elevati e maggiori
dimensioni delle imprese, e la relativa necessità di pianificazione e coordinamento;
C) capitalismo evoluto: o fordismo, o taylorismo in cui, non solo la produzione, ma anche
l’organizzazione assume connotazioni meno rigide, al fine di fronteggiare la scarsa prevedibilità
del futuro e la globalizzazione dei mercati.

JUST-IN TIME E PRODUZIONE SNEPPA


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Il sistema di produzione di tipo just-in time, si basa sul fattore tempo, originariamente introdotto in
campo navale, e successivamente ampliato e perfezionato dalla casa automobilistica giapponese Toyota,
ovvero si basa sulla produzione e consegna di beni, o anche dei loro sotto-gruppi, parti componenti e
materiali, solo quando r necessario, ovvero nel momento opportuno, secondo le esigenze di una domanda
tendenzialmente stabile, al fine di semplificare la gestione riducendo le scorte tra le varie fasi di
produzione.
Questo obiettivo, può essere perseguito attraverso la configurazione di impianti con “ macchine di
lavoro multifunzione disposte in linea, in modo da considerare la produzione come un flusso di
operazioni e bilanciando le linee attraverso l’impiego di FMS, ottenendo lotti diversificati più piccoli.
Questa tecnica determina:
- riduzione dei tempi di consegna;
- non si creano stocks di prodotti finiti;
- non vengono sostenuti costi aggiuntivi nelle fasi di lavorazione ;
- si riducono i tempi e gli spazi di movimentazione interna.
Si realizza, pertanto, il modello della lean production, o produzione snella, per poter essere distinta
dalla produzione di massa e di tipo standardizzato . In particolare, per poter realizzare questo modello
di produzione, r necessario il coinvolgimento dei fornitori e del personale dipendente, al fine di
ottenere il livellamento delle operazioni, lavorando pressoché senza scorte e con una quantità di
materiale tale da garantire il continuo e ininterrotto svolgimento del processo produttivo.
Inoltre, il concetto di just-in time r spesso associato al concetto di total quality control, o “zero
difetti”, obiettivo che impone il miglioramento continuo ( kaizen), al fine di evitare interruzioni del
processo produttivo. In particolare, nell’ottica del JIT, la formazione delle scorte r dovuta a guasti o
difetti, nonché a malfunzionamenti e disfunzioni.

IP WORPD CPASS MANUFACTURING (WCM)


La sigla WCM – World Class Manifacturing comprende sia l’aggregazione di imprese operanti in settori
diversi di mercato, ma tutte alla ricerca di elevati livelli di eccellenza nel “manufacturing”, sia una
filosofia, e quindi una metodologia, operativa di organizzazione e di miglioramento continuo delle
performance della fabbrica.
In particolare, si tratta di un sistema di produzione che riguarda la fabbrica nel suo complesso e che
interessa il sistema delle qualità, la cui applicazione trae origine dal coinvolgimento delle persone e
dall’investimento sulle loro capacità, alle quali si chiede di essere polifunzionali e polivalenti.
Il WCM i cui obiettivi possono essere riassunti nel raggiungimento dei quattro zeri (zero errori, zero
difetti, zero giacenze e zero rimanenze), deve essere lanciato all’interno di ogni stabilimento,
attraverso un profondo processo di formazione del personale, affinché tutte le UTE – Unità
Tecnologiche Elementari possano recepire correttamente tale filosofia e le relative modalità
organizzative.

PA VAPUTAZIONE DEGPI INVESTIMENTI IN NUOVE TECNOPOGIE


L’essere pionieri nell’adozione delle nuove tecnologie, può determinare numerosi vantaggi, ma potrebbe
essere costoso in termini di ricerca ed essere soggetto ad imitazioni da parte dei concorrenti e,
pertanto, r necessario considerare anche la capacità dell’azienda di affermare sul mercato l’immagine
di leader e la sua capacità di attrarre nuova clientela, e mantenere quella già acquisita.
In tale contesto, pertanto, r ardua la valutazione degli investimenti in nuove tecnologie, in quanto non r
sufficiente confrontare solo l’andamento dei ricavi, con o senza l’investimento, poiché r necessario
considerare un approccio dinamico, ovvero i metodi di analisi economico – finanziari classici non possono
annullare le incertezze relative all’andamento effettivo delle variabili incluse nel calcolo, in quanto
devono essere integrati con ulteriori elementi.

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Inoltre, l’acquisizione delle nuove conoscenze tecnologiche, può creare nuovi sviluppi nelle innovazioni di
processo/prodotto e la possibilità di ingresso in nuovi mercati e, pertanto, r necessario, a tal fine,
definire una strategia finalizzata ad incrementare le sinergie tra produzione (inclusa R&S) e marketing,
per lo sviluppo di nuove idee.
Secondo un’impostazione diffusa, l’innovazione tecnologica presenta una curva a forma di S allungata,
con un lento progresso iniziale, forte esplosione successiva e ridotti risultati nella fase di maturità. In
particolare, si troverebbe in posizione vantaggiosa chi individua prima l’andamento della curva e il
relativo limite per esplorare nuove tecnologie alternative.
Inoltre, sul piano dei costi, i ritorni dell’investimento nelle nuove tecnologie, sono misurabili in termini
di:
- minori scarti, rilavorazioni e minori fasi di lavorazione per la maggior uniformità del processo
produttivo;
- razionalizzazione dei consumi di energia (es. tariffe agevolate);
- minori scorte sia di semilavorati (per i ridotti tempi di attesa e di attrezzaggio), sia di prodotti
finiti (per le minori dimensioni dei lotti realizzati);
- minori costi di manodopera (soprattutto diretta, ma anche indiretta).
Tuttavia, resta particolarmente elevata l’incidenza dei costi fissi, principalmente costituiti dagli
ammortamenti, i quali devono essere adeguatamente stanziati in virtù della rapida obsolescenza e il
relativo software, la cui incidenza sul costo globale r crescente.
In definitiva, studi approfonditi individuano i volumi di produzione per i quali r conveniente
l’introduzione delle nuove tecnologie, i quali devono essere coerenti con le esigenze del mercato, anche
per ragioni di ammortamento dell’investimento e di incidenza del costo medio unitario di produzione, ma
al contempo, non devono essere eccessivamente elevati, in quanto in tal caso le economie di scala e di
specializzazione, possono annullare o ridurre i vantaggi derivanti dalla loro introduzione.
CAPITOPO 8: SISTEMI E STRUMENTI DEPPA QUAPITA’
QUAPITA’ E SVIPUPPO AZIENDAPE
La prima diffusione del concetto di qualità, nell’ambito dell’attività di produzione, r successiva alla
Rivoluzione Industriale e alla trasformazione delle modalità organizzative del processo produttivo,
introdotte da Taylor. In tale contesto, le economie di scala rappresentavano il principale obiettivo di
ogni processo produttivo e, pertanto, la qualità era intesa come collaudo, ossia ispezione o controllo
finale diretto a verificare la corrispondenza del prodotto/servizio ottenuto con specifici requisiti
tecnici definiti durante la fase di progettazione dello stesso.
Successivamente, mutamenti sostanziali si sono verificati nel corso della 2°guerra mondiale e in
considerazione dell’esperienza derivante da particolari settori (es. settore militare), il ché impose la
necessità di analizzare il processo produttivo nei suoi aspetti ed elementi più critici, introducendo fasi
obbligatorie di verifica. In particolare, il contributo fornito da settori caratterizzati da elevato
contenuto tecnologico, ma anche da elevata rischiosità (es. settore nucleare, settore aerospaziale
ecc…),
portarono all’introduzione di nuove metodologie, che potessero operare in modo sistematico sul
prodotto, al fine di garantire la c.d. Qualità Assurance (garanzia o assicurazione qualità).
Negli anni’80, in un contesto caratterizzato da elevata competitività e concorrenzialità internazionale,
la qualità era intesa come capacità di soddisfare le esigenze e richieste dalla clientela (c.d. customer
satisfaction), rendendo necessaria l’introduzione di programmi tendenti ad introdurre la “Qualità
Totale” o Total Quality Management: tale approccio, anche in virtù delle teorie di Deming e Juran,
prevede che, non solo l’output debba possedere il massimo grado di questo requisito, ma anche i
rapporti interpersonali all’interno e all’esterno dell’impresa e a ogni livello e questo, ha reso necessaria
una profonda rivoluzione manageriale, concentrando l’attenzione:
o all’esterno, sulla continua soddisfazione delle esigenze del cliente ;
o all’interno, realizzando il miglioramento continuo, un’organizzazione per processi, il
coinvolgimento di tutto il personale dipendente, la produzione snella e lavori di gruppo.

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Successivamente, si rese necessario ringiovanire il concetto di Qualità Totale, considerando nuove


impostazioni, quali:
 anticipare e superare le richieste dei clienti e curarne la fidelizzazione;
 ottenere il breakthrough, attraverso l’innovazione;
 favorire l’imprenditorialità interna, mediante un ambiente di lavoro dinamico e che favorisca lo
sviluppo e formazione del personale dipendente.

Con l’espressione 6-sigma, si intende letteralmente l’assenza di errori e, il perseguimento di tale


obiettivo, significa ottenere meno di 3/4 errori per milione di operazioni ovvero, in termini statistici,
questo significa ridurre la dispersione e rendere la probabilità di ottenere beni/servizi non conformi,
pari a 0.
Le cinque fasi per sviluppare i progetti con il Sei Sigma, sono:
1. definisci;
2. misura;
3. analizza;
4. migliora;
5. controlla.
Pertanto, in virtù di tale approccio, si guarda con nuova attenzione alle esigenze del cliente e, in
particolare, alcuni ritengono, che non sia più sufficiente rispettare specifici standard qualitativi, bensì
sia necessario perseguire nuovi obiettivi, quali quelli di:
o deliziare;
o anticipare;
o esaudire
i desideri del cliente.

I COSTI DEPPA QUAPITA’


Pertanto, in considerazione di quanto detto, in linea generale, la qualità può essere intesa come la
capacità di soddisfare un bisogno generale o specifico , ma il concetto di qualità, così come quello di
bellezza, sono piuttosto relativi, in quanto devono essere correlati con gli usi e costumi esistenti del
contesto di riferimento.
In particolare, con riferimento all’azienda, può essere considerata di qualità quella, che in un
determinato contesto ambientale, r in grado di ottenere un prodotto/servizio ovvero, una combinazione
di prodotti/servizi validi per i segmenti di mercato prescelti .
Concretamente, questo significa sostenere maggiori:
 costi di prevenzione: in riferimento ad una preliminare quantificazione delle risorse necessarie,
ad un’adeguata formazione del personale e ad un’attenta scelta dei fornitori;
 costi di assicurazione della qualità: al fine di ridurre o eliminare costi dovuti a mancanza di
qualità dei beni e/o servizi.
In tale contesto, assumono importanza gli elementi immateriali, in quanto r necessario garantire
investimenti continui, al fine di evitare pericolose cadute di immagine contravvenendo a quello, che si
ritiene essere l’obiettivo principale della qualità, ossia la fedeltà del cliente. In effetti, la riduzione
del fatturato aziendale e/o la perdita di quote di mercato, potrebbero determinare costi o danni
rilevanti e, pertanto, l’impresa ha interesse ad investire fino al punto in cui, i benefici margini (in
termini di maggiori ricavi e minori costi) eguagliano eventuali svantaggi connessi.

PA CERTIFICAZIONE E ATTUAZIONE DI UN SISTEMA QUAPITA’

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Per SISTEMA QUAPITA’, si intende la struttura organizzativa, le persone, i processi e le necessarie


risorse per garantire la gestione della qualità . L’azienda richiedente il Sistema Qualità, viene
certificata da enti accreditati e devono conformarsi al contenuto delle Norme UNI-EN-ISO serie
9000, elaborate nel 1987 dal Comitato tecnico ISO (International Standard Organization),
successivamente recepite come norme europee e, infine, recepite nell’ordinamento italiano dall’UNI,
basate sui concetti di:
a) gestione della qualità: in riferimento all’insieme delle attività operative e tecniche necessarie
per il perseguimento dell’obiettivo della qualità”;
b) assicurazione della qualità: ossia fiducia nel perseguimento di tali obiettivi, all’interno
dell’organizzazione e all’esterno della stessa, nei confronti delle autorità preposte e dei clienti.
Aspetto fondamentale di tali norme, consiste nel considerare i fatti aziendali in termini di processo
ovvero, le Norme UNI-EN-ISO serie 9001 definiscono il processo aziendale come un insieme di
attività tra loro correlate secondo un preciso flusso logico-temporale, le quali trasformano entità in
ingresso in entità in uscita, con apporto di valore aggiunto . Pertanto, per ogni processo aziendale r
necessario, da un lato, individuare il soggetto responsabile e colui al quale compete la responsabilità di
coordinare le attività di coloro i quali sono preposti allo svolgimento delle singole fasi del processo
produttivo e, da altro lato, si rende necessario individuare le c.d. attività critiche, ossia quelle attività,
che influenzano direttamente, o che potrebbero pregiudicare irrimediabilmente, il buon esito
dell’intero processo aziendale.

Il Manuale della Qualità r un documento in cui r esposta la Politica della Qualità e il Sistema Qualità
di una determinata organizzazione o impresa, il quale ha carattere descrittivo e sintetico e, in quanto
tale, r utilizzato come strumento di informazioni all’esterno (nei confronti di enti terzi), in quanto i
principali strumenti di informazioni interna sono:
 le procedure, le quali contengono informazioni sulle modalità per eseguire un’attività;
 le istruzioni operative, le quali contengono in modo schematico, le informazioni sulle operazioni
da eseguire.

NORME UNI-EN-ISO 9001:2008 – SISTEMI DI GESTIONE PER PA QUAPITA’. REQUISITI


È lo strumento più diffuso per potere garantire il continuo miglioramento delle performance e
dell’organizzazione della propria impresa, redatto in modo da poter essere applicato a qualsiasi
organizzazione (di ogni tipologia e dimensione), nonché tale da poter essere adeguato alle differenti
situazioni geografiche, culturali e sociali esistenti in un dato contesto ambientale.
I nuovi standard introdotti da questo complesso di norme sono:
 ISO 9000: contenente gli elementi fondamentali e il vocabolario;
 ISO 9001: riguarda i requisiti per la gestione della qualità e, pertanto, rappresenta un
riferimento ai fini contrattuali e certificativi;
 ISO 9004: rappresenta una guida per il miglioramento delle performance e, pertanto, r
utilizzato come strumento di gestione interno.
Da un punto di vista contenutistico, la norma riprende quando previsto nella precedente versione,
seppur con alcun ampliamenti, quali:
o monitoraggio della soddisfazione del cliente;
o miglioramento continuo;
o adozione di indicatori misurabili e applicabili a tutte le aree aziendali , che incidono sulla qualità;
o continuo scambio di informazioni, in coerenza con il nuovo punto previsto dalla norma, quale la
Comunicazione al cliente ovvero, l’impresa deve realizzare un collegamento continuo con il
cliente per poter garantire il rispetto delle sue esigenze.

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Da un punto di vista strutturale, invece, la norma non si articola più in 20 punti, bensì in 4 macro-
processi quali:
a) Responsabile della Direzione;
b) Gestione delle Risorse;
c) Gestione del Processo;
d) Misura, analisi e monitoraggio, al fine di garantire il miglioramento continuo.
In particolare, la Norma ISO 9001:2008:
o promuove l’adozione di un approccio per processi;
o attua e migliora l’efficienza di un Sistema di Gestione Qualità – SGQ, definendo i requisiti per
un’organizzazione, che:
o ha l’esigenza di dimostrare la propria capacità di fornire, secondo criteri di regolarità,
beni e servizi che soddisfino le esigenze dei propri clienti ;
o desideri accrescere la soddisfazione del cliente
tali requisiti sono:
 individuazione dei processi necessari;
 individuazione delle interazioni tra i processi;
 individuazione dei criteri/modalità di funzionamento dei processi ;
 assicurare le necessarie risorse e informazioni;
 attuare le necessarie azioni per garantire il perseguimento degli obiettivi prestabiliti e
garantire il miglioramento continuo.

QUAPITA’ DEP SISTEMA AMBIENTAPE


Le Norme UNI-EN-ISO serie 14000 rispecchiano, a livello internazionale, il generale consenso circa
le buone pratiche poste a salvaguardia e tutela dell’ambiente, fornendo un insieme di strumenti
manageriali rivolti a quelle imprese, che intendano porre sotto controllo i propri aspetti ed impatti
ambientali.
Caratteristica fondamentale di tali norme, r la natura volontaria ovvero, l’assenza di qualsiasi
costrizione legislativo in merito al loro rispetto consente di considerare, la scelta relativa
all’applicazione o meno di tali requisiti, come una pura decisione strategica ovvero, le imprese
potrebbero applicare modelli, che non prevedono il rispetto di tali norme, o rivolgersi a mercati che non
ne richiedono l’applicazione.
In particolare, tali norme prevedono tre tipologie di strumenti per garantirne il suo rispetto, quali:
A) PCA-PIFE CYCPE ASSESTEMENT: ossia la valutazione del ciclo di vita di un prodotto , il cui
strumento principale r rappresentato dal Pife Cycle Thinking, ossia un metodo oggettivo di
valutazione e misurazione dei carichi energetici e degli impatti ambientali di uno specifico
processo di produzione, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita (dalla Culla alla Tomba);
B) ECOPABEP – Environmental Pabelling: r uno strumento ad adesione volontario, concesso a quei
prodotti/servizi, che rispettano criteri ecologici prestabiliti a livello europeo e, pertanto, il
riconoscimento di tale marchio, r un attesto di eccellenza per quelle imprese che realizzano
prodotti e servizi, che rispettano specifici standard europei;
C) EPE – Environmental Performance Evaluation.
Un ulteriore strumento r l’EMAS = Sistema di Ecogestione e Audit, anch’esso uno strumento ad
adesione volontaria rivolto a tutte quelle imprese e organizzazioni, che vogliano monitorare e migliorare
la propria efficienza ambientale, cui aderiscono gli stati membri dell’UE, i paesi dello spazio economico
e quelli candidati all’adesione all’UE.
Inoltre, in virtù del progressivo avvicinamento del sistema internazionale agli schemi europei, sono
state emanate le norme del:
 sottoinsieme ISO 14030: valutazione delle prestazioni ambientali;
 sottoinsieme ISO 14063: comunicazione ambientale.

RESPONSABIPITA’ SOCIAPE DEPP’IMPRESA


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Strumento di riferimento r lo standard SA 8000 per la valutazione e certificazione della


responsabilità sociale dell’impresa, attraverso la verifica del rispetto di otto requisiti sociali. In
particolare, attraverso un’attività di auditing condotta da un organismo indipendente, l’impresa può
certificare la sua azione etica, o comunque dimostrare che il proprio comportamento non r contrario a
quanto previsto dagli otto requisiti sociali, ovvero:
1. lavoro minorile;
2. lavoro sotto-coercizione;
3. tutela della sicurezza e salute dei lavoratori;
4. discriminazioni;
5. libertà di associazione;
6. orario di lavoro;
7. retribuzione;
8. sistemi di gestione e controllo di questi otto requisiti.
Una certificazione particolare r prevista dallo standard internazionale OHSAS 18001 per la tutela
della sicurezza e della salute dei lavoratori , emanato dal BSI (British Standard Institution) nel 1999 e
poi revisionato nel 2007, il quale attesa l’applicazione volontaria, all’interno di un’organizzazione, di un
sistema di controllo della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché il rispetto delle norme cogenti.

PROGETTAZIONE E PRODUZIONE DEPPA QUAPITA’


La progettazione della qualità, assume un ruolo di rilevante importanza per poter definire una
strategia aziendale penetrante, che punti sulla qualità e, pertanto, in tale contesto, r necessario
coniugare aspetti tecnico – funzionale con gli elementi di prestigio ed estetici del prodotto/servizio,
che si intende realizzare, quindi assumono importanza anche gli aspetti:
o del design;
o dello styling.
Un ulteriore aspetto da considerare nell’ambito della progettazione della qualità, r il prezzo il quale,
molto spesso, r considerato come un indicatore di qualità con particolare riferimento ai prodotti
status-symbol, in quanto r dimostrato come i consumatori siano disposti a spendere maggiormente per
l’acquisto di prodotti firmati, piuttosto che per l’acquisto di prodotti analoghi, ma non di firma.
Pertanto, l’attività del designer, con o senza griffe, non conduce sempre ad un aumento considerevole
dei prezzi, in quanto in alcuni casi, con particolare riferimento ai beni di consumo durevole, l’interazione
con i tecnici di produzione consente anche di ridurre i costi di fabbricazione e/o i costi di esercizio.
Inoltre, assume rilevanza anche lo scambio di informazioni, al fine di individuare i materiali colli di
bottiglia, nonché eventuali guasti, malfunzionamenti o difettosità del prodotto/processo. In
particolare, con i sistemi CAD r possibile introdurre, in temi relativamente brevi, nelle prestazioni del
prodotto quei requisiti, che indagini di mercato, considerano come preminenti dal punto di vista del
consumatore/utilizzatore finale ovvero, i sistemi CAM e CAE assicurano la coerenza del processo
produttivo con specifiche progettuali ed, inoltre, individuano la combinazione di materiali che consenta
di raggiungere la più elevata durata ed affidabilità del prodotto/servizio, cui r connessa anche
un’adeguata assistenza post-vendita.
L’impiego congiunto di questi sistemi, consente di superare alcuni trade-off tipici, quali:
 incompatibilità tra bassi costi ed elevata qualità;
 pronta consegna;
 personalizzazione del prodotto.

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Un’ulteriore strumento r rappresentato dal Quality Function Deployement, il quale consiste in un


processo di raccolta di tutte le informazioni sui bisogni reali e sulle attese della clientela (attuale e
potenziali), sul posizionamento dei concorrenti e sulle necessarie tecnologie produttive , il cui obiettivo
r quello di produrre il prodotto/servizio in tempi brevi, riducendo anche il time to market ossia l’arco
temporale che intercorre tra la fase di ideazione del prodotto e la sua effettiva immissione sul
mercato.

A questo punto, l’impresa deve risolvere il problema del make or buy: la tendenza r di delegare
all’esterno fasi di produzione che non si ritengono cruciali avvalendosi di fornitori con competenze
specifiche, anche al fine di evitare di irrigidire la gestione con un elevato numero di addetti non
necessario.

I circoli della qualità, consistono in gruppi di prestatori di lavoro, i quali periodicamente e


volontariamente si riuniscono per l’analisi e la risoluzione di problematiche relativa alla loro area di
lavoro.
Tale attività viene svolta in modo continuo e collettivo, attraverso:
 il miglioramento dei processi produttivi;
 l’istruzione e la formazione reciproca.
Generalmente, non sono previsti compensi monetari, o comunque riconoscimenti materiali per lo
svolgimento di tali attività, in quanto si ritiene che la consapevolezza di aver svolto un ruolo attivo nella
risoluzione di specifici problemi, rappresenti il più importante riconoscimento.

QUAPITA’ E SERVIZI
Gli elementi che contraddistinguono un servizio sono:
 intangibilità;
 eterogeneità;
 inseparabilità delle fasi di produzione, erogazione e consumo del servizio .
Il punto di partenza per poter scegliere quale servizio offrire sul mercato, r l’analisi delle attese della
clientela, le quali possono essere:
 a livello desiderato, ossia ciò che il cliente spera di ottenere;
 a livello adeguato, ossia la prestazione minima che i clienti ritengono accettabile.
Pertanto, la qualità si concretizza nelle caratteristiche del prodotto/servizio che influenzano la scelta
del cliente finale.
Gli elementi del sistema di erogazione sono:
 il cliente e gli altri soggetti;
 le strutture produttive;
 il front office o personale di contatto;
 il back office, in cui i controlli sono più facili, in quanto non vi r il contatto diretto con il cliente
Inoltre, si rendono necessarie apposite attività di verifica della qualità e un modello particolarmente
diffuso r noto come Modello SERVIQUAP, finalizzato a verificare eventuali discrepanze tra
aspettative/desideri dei clienti e le loro percezioni .

CAPITOPO 9: PA POGISTICA AZIENDAPE


IP RUOPO DEPPA POGISTICA E PA CATENA DEP VAPORE
In linea generale, la logistica si occupa delle problematiche attinenti le aree di approvvigionamento, del
dislocamento operativo di beni e mezzi, nonché della distribuzione fisica dei prodotti aziendali al
termine del processo produttivo.

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Da questo si evince, come tale funzione sia composita e, in quanto tale, ha avuto un tardivo
riconoscimento nell’ambito della gestione aziendale ed ulteriori fattori hanno contributo ad accentuare
tale situazione, in quanto questa funzione, avendo ad oggetto un complesso di attività operative
differenti, solo in virtù di una concezione sistemica dell’impresa, r stato possibile riunirle in quadro
unificante.
In particolare, negli ultimi decenni r stata attribuita una maggiore considerazione al ruolo svolto dalla
logistica nell’ambito del consolidamento del vantaggio competitivo, in quanto nel contesto competitivo
attuale, caratterizzato da forte personalizzazione dei prodotti, per poter rispondere alla crescente
diversificazione, nonché l’accorciamento del ciclo di vita di alcuni beni, la logistica consente di
realizzare un equilibrio tra la produzione di serie, diretta ad ottenere beni e/o servizi a costi
contenuti e secondo canoni di regolarità e il bisogno di scelte individuali, da parte di una domanda
instabile e sempre più esigente.

Inoltre, Porter ha dimostrare come la logistica, svolga un ruolo fondamentale nella catena del valore,
laddove il valore del prodotto r dato dalla somma delle attività operative, logistiche e di produzione
vere e proprie e il margine di contribuzione, dato dalla differenza tra il valore delle vendite e i costi
sostenuti per le attività primarie (generatrici di valore) e le attività di supporto (acquisizione delle
risorse di base), esprima una misura della competitività dell’impresa, derivante dalla capacità del
management di coordinare, non solo le attività interne all’impresa, ma anche quelle esterne, in
riferimento ai rapporto con i fornitori a monte e con i distributori a valle della catena.

PA POGISTICA: DISTINZIONI E AREE APPPICATIVE


Pertanto, la logistica può essere definita come quella funzione aziendale il cui obiettivo r quello di
programmare, organizzare e gestire tutte le attività di produzione e immagazzinamento dei prodotti
aziendali, con il correlato flusso di informazioni, che facilitano il processo che intercorre tra la fase di
produzione (dall’acquisizione delle materie prima) e la fase del consumo finale .
In particolare, la funzione logistica consta di due aree:
 Materials Marketing: o direzione dei materiali” la quale si occupa del reperimento delle
materie prime e delle parti componenti e il loro conseguente flusso all’interno dell’azienda per il
processo di trasformazione in prodotti finiti (logistica in entrata).
In particolare, il materials marketing, r prevalentemente presente in quelle imprese, che
svolgono attività di assemblaggio e/o sono dotate di impianti caratterizzati da complessi
problemi di manutenzione.
 Distribuzione Fisica: si occupa della movimentazione e stoccaggio dei prodotti aziendali al
termine del processo di produzione, al fine di garantirne l’efficiente collocamento sul mercato
(logistica in uscita o logistica di marketing).
Occorre, tuttavia, precisare che, mentre la distribuzione fisica r direttamente connessa con
tutte le attività di distribuzione in senso stretto, la logistica di marketing si occupa anche della
scelta dei canali istituzionali ovvero, mentre il responsabile della distribuzione fisica, si occupa
essenzialmente della scelta di quali e quanti depositi utilizzare per lo stoccaggio dei prodotti
aziendali, il responsabile della logistica di marketing, si occupa anche della scelta dei segmenti
di mercato da prediligere e, molto spesso, sono prima adottate le decisioni relative alla scelta
dei canali di distribuzione e, successivamente, quelle relative alla quantificazione delle risorse
fisiche da impiegare.
Pertanto, in considerazione delle dimensioni e della complessità dell’azienda considerata, r possibile
creare un’unica direzione della logistica ovvero, una direzione dei materiali e una direzione della
distribuzione fisica ovvero, un’ulteriore ripartizione all’interno di queste aree (es. trasporti ecc..)
determinando, tuttavia, diseconomie e disfunzioni in considerazione del mancato coordinamento tra le
diverse attività.

PA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DEPPA POGISTICA


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Inoltre, nel definire il ruolo svolto dalla logistica aziendale nell’ambito del sistema aziendale, r
necessario tener conto delle attività, che attendono coloro i quali vi sono preposti, poiché un soggetto
adibito ad una specifica funzione (es. trasporti) non può svolgere funzioni facenti, invece, capo ad altri
soggetti e, pertanto, vi r la tendenza ad una specializzazione, la quale tenderà ad aumentare in
considerazione delle maggiori dimensioni dell’impresa considerata.

In particolare, nelle imprese di grandi dimensioni, si pone il problema di una definizione verticale delle
funzioni logistiche con a capo un responsabile (es. direttore dei materiali), il quale coordina l’attività dei
suoi preposti, creando un ordine gerarchico e, inoltre, a questa organizzazione on-line possono essere
validamente affiancati organi di staff, il cui compito r quello di facilitare il perseguimento degli
obiettivi di impresa.

Inoltre, r necessario che il responsabile della logistica sia collocato in posizione elevata, all’interno
dell’organigramma aziendale, possibilmente al pari del direttore del settore finanziario, del settore
produttivo e del settore marketing, al fine di ridurre i potenziali conflitti fra questi organi decisionali,
in quanto:
 il responsabile del settore marketing, ha necessità di un adeguato livello di scorte e di tempi
rapidi di consegna, quindi di un capillare canale distributivo, per poter mantenere il servizio
offerto alla clientela;
 il responsabile del settore finanziario, invece, tenderà a comprimere l’entità delle scorte, dei
relativi investimenti e oneri;
 il responsabile della produzione ha, invece, necessità di osservare tempi costanti di produzione
per poter realizzare economie di scala e, quindi, ridurre i costi.
In particolare, laddove le funzioni logistiche sono considerate di minore importanza, r possibile creare
uno staff con a capo un responsabile coadiuvato da una serie di collaboratori, i quali operano come
consulenti per la risoluzione di specifiche problematiche e l’adozione delle necessarie soluzioni ovvero,
un’altra soluzione consiste nella creazione di comitati, costituiti da responsabili delle aree interesse i
quali, periodicamente, si riuniscono per la risoluzione di problemi di scarsa prevedibilità.
Pertanto, in definitiva, r possibile affermare che il problema dell’orientamento logistico varia da
impresa a impresa e da settore a settore ed, inoltre, r opportuno che mantenga una struttura
accentrata, anche nelle imprese tendenti al decentramento, in quanto, solo in tal modo, r possibile
realizzare un coordinamento fra tutte le funzioni aziendali ovvero, il problema dell’orientamento
logistico riversa i suoi effetti anche sulla gestione operativa: in effetti, la logistica deve essere
adeguatamente definita al momento della definizione della struttura aziendale in quanto, in periodi
caratterizzati da scarse politiche di investimento, potrebbe essere utile rilanciare la redditività
aziendale attraverso un controllo dei costi e una compressione del ciclo operativo.

BOX: RESIPIENT ENTERPRISE


Oggi le imprese sono esposte ad un elevato numero di eventi inattesi (disastri naturali, attacchi
terroristici, interruzioni delle consegne da parte dei fornitori), il che rende necessario diventare, non
solo più resilienti a tali fenomeni, ma possono anche aumentare la loro competitività e ottenere una
maggiore resistenza da tali fenomeni negativi

CAPITOPO 10: PA GESTIONE DEI MATERIAPI E PA PROGRAMMAZIONE DEPPA PRODUZIONE


POPITICA DEGPI APPROVVIGIONAMENTI
In linea generale, la funzione acquisiti o approvvigionamenti, rappresenta quell’area dell’organizzazione
aziendale, la quale si occupa dell’organizzazione e gestione del processo di acquisto , le cui fasi sono
generalmente:
1. definizione delle specifiche dei beni e/o servizi da acquistare in termini di qualità e quantità
(define specification);

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2. individuazione dei fornitori più adatti (select suppliers);


3. preparazione e conduzione delle trattative, al fine di pervenire ad una celere stipulazione del
contratto (contract agreement);
4. emissione dell’ordine di acquisto (ordering);
5. monitoraggio del fornitore, al fine di verificare che la consegna sia conforme all’ordine
effettuato (expediting);
6. valutazione e follow up (evaluation).
Pertanto, da questo si evince come tale funzione abbia ad oggetto un complesso di attività operative e
di servizi, il cui obiettivo r quello di garantire un regolare flusso dei materiali secondo le esigenze della
produzione, anche attraverso lo svolgimento di attività collaterali, ossia indagini e ricerche di mercato,
al fine di:
 resistere agli aumenti dei prezzi;
 realizzare risparmi;
 evitare ritardi nelle consegne.
In particolare, negli ultimi anni r stata attribuita importanza alla c.d. SCM-Supply Chain Management,
la quale può essere considerata come un insieme di integrato di tecniche e soluzioni, che riguardano i
processi, le persone, l’organizzazione aziendale e le tecnologie . Il passaggio dalla logistica alla SCM, r
avvenuto nel momento in cui la logistica ha avvertito la necessità di uscire dai confini aziendali, lungo
tutta la catena produttore – consumatore finale, al fine di realizzare un coinvolgimento totale potendo
così parlare di lean supply chain, in riferimento ad una più efficiente gestione dei rapporti con tutti gli
attori della catena (partners, clienti e fornitori).

IP PORTAFOGPIO MATERIAPI DEPP’IMPRESA – MATRICE DI KRAPIJC


La politica di prodotto, comprende un complesso di decisioni relative alla scelta dei materiali da
approvvigionare, in relazione alla raccolta di informazione relativa alla loro:
- reperibilità;
- sostituibilità o standardizzazione;
- innovazione;
- miglioramento del rapporto prezzo-performance;
- criticità.
In particolare, secondo Kraljic due sono i fattori che rendono strategica una funzione di
approvvigionamento, ossia:
 rilevanza degli acquisti: ossia impatto, in termini percentuali, del costo delle materie prime sui
costi totali dell’impresa e, quindi, sulla redditività aziendale;
 complessità del mercato di approvvigionamento : in relazione a fattori quali: i) scarsità delle
risorse; i) barriere all’ingresso e iii) concorrenza all’interno del mercato.
Pertanto, secondo la Matrice di Kralijc, i materiali acquistati dall’impresa possono essere suddivisi in 4
categorie:
a) materiali non critici: si tratta di materiali, che presentano una bassa incidenza sulla redditività
aziendale e sono presenti in mercati caratterizzati da una ridotta rischiosità, per i quali si
cerca, in genere, di semplificarne il relativo processo di acquisto anche delegandone la gestione
ad un partner esterno;
b) materiali colli di bottiglia: si tratta di materiali i quali, da un lato, presentano una ridotta
incidenza sulla redditività aziendale e, da altro lato, la continuità della loro fornitura comporta
rischi elevati. La gestione di tali materiali, richiede rapporti di collaborazione di medio-lungo
periodo tra clienti e fornitore per garantirne la fornitura;
c) materiali con effetto leva: si tratta di materiali importanti per l’azienda, collocati in mercati
caratterizzati da ridotta rischiosità e offerta elevata e, inoltre, sono utili per garantire una
redditività soddisfacente. Pertanto, sono materiali importanti per generare un risultato
aziendale soddisfacente e per i quali, l’impresa cerca di sfruttare al massimo il proprio potere
contrattuale;
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d) materiali strategici: si tratta di materiali importanti per l’azienda, in termini economici e di


fornitura, presenta in mercati rischiosi/complessi. Per essi, l’orizzonte temporale r di medio-
lungo periodo con un costante monitoraggio delle condizioni del mercato ed r frequente la
valutazione del make or buy.

N.B. i materiali con effetto moltiplicativo, sono i materiali con effetto leva

Pertanto, vi r la tendenza, non solo ad una razionalizzazione nella gestione delle scorte, ma anche ad
una più attenta scelta dei fornitori anche in considerazione della possibilità di concludere ordini di
acquisto aperti, ovvero clausole contrattuali concordate per un periodo di tempo sufficientemente
ampio, tale da consentire di instaurare rapporti contrattuali stabili nel tempo .
In particolare, la valutazione della prestazione offerta dal fornitore, può essere effettuata
considerando un complesso di variabili di tipo:
a) economico – quantitativo: con riferimento al prezzo e alla qualità della materia prima acquistata
e comprendenti, a loro volta:
 variabili temporali: in riferimento ai concetti di:
o rapidità: ossia numero di giorni, determinati a partire dal giorno di emissione
dell’ordine di acquisto, necessari al fornitore per consegnare le merci al cliente
finale e valutati in relazione alla vicinanza geografica tra gli stabilimenti di
trasformazione e produzione dei materiali;
o puntualità: valutata ex-post, ossia dopo la consegna delle merci, considerando gli
eventuali scostamenti esistenti tra la data di consegna pattuita e la data di
consegna effettiva
 variabili tecnico-operative: comprendenti:
o tecniche di condizionamento: comprendenti le operazioni di handling, ossia di
trattamento pre-imballaggio, sia le operazioni di imballaggio vere e proprie;
o tecniche di trasbordo: consistenti nel passaggio della merce da un mezzo di
trasporto ad un altro (es. containers), al fine di evitare la rottura del carico
 flessibilità: in riferimento alla disponibilità del fornitore nel concludere ordini di
acquisto aperti, nonché nella capacità di adeguare le modalità di consegna alle esigenze
strutturali e finanziarie dell’impresa di trasformazione
b) qualitativo: in riferimento alla capacità del fornitore di garantire un suo continuo miglioramento
tecnologico e alla possibilità di instaurare rapporti di partnerships collaborativa ( comakership e
codesign).

APCUNI MODEPPI DI MERCATO ORGANIZZATO NEPP’APPROVVIGIONAMENTO


a) il sistema del subcontracting della casa automobilistica giapponese, presenta importanti
requisiti di gerarchia e di mercato, laddove la casa automobilistica madre acquista
partecipazioni di maggioranza al capitale sociale delle principali imprese fornitrici (I° livello) le
quali, a loro volta, costituiscono gruppo di fornitori di II° livello.

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Pertanto, la compartecipazione azionaria alla progettazione e realizzazione ( comakership e


codesing), con il correlato flusso di informazioni tra i subfornitori, attraverso le associazioni,
consente di ridurre i costi, garantire un miglioramento continuo ed instaurare rapporti stabili e,
pertanto, tale modello r definito come gruppo contrattuale, per poter essere distinto dai
tradizionali gruppi aziendali.
Pertanto, non r la mano invisibile del mercato, bensì la mano visibile della casa automobilistica
giapponese, ad introdurre le condizioni tendenti al costo minimo (generalmente si parte dal
prezzo di vendita dell’auto per poi determinare il prezzo delle singole parti componenti) e,
pertanto, il prezzo rappresenta la variabile fondamentale per la scelta del fornitore, il quale
deve garantire il suo continuo miglioramento tecnologico ( kaizen), anche valutando l’opportunità
di realizzare investimenti in nuovi processi e attività
b) un secondo modello, parte da una condizione di monopsonio del cliente/produttore finale ,
rinvenibile anche in caso di commesse per aziende di servizi pubblici ovvero, in altre
circostanze, r l’impresa fornitrice a detenere il maggior potere contrattuale e questo accade
quando:
 vi sono poche imprese fornitrici, le quali sono maggiormente concentrate rispetto alle
imprese acquirenti;
 non vi sono prodotti sostitutivi, o il loro rapporto prezzo/qualità r insoddisfacente ;
 i fornitori possono vantare una differenziazione della loro linea di prodotti ;
 il fornitore può minacciare di integrarsi verticalmente a valle
c) un altro modello r diffuso nel settore dell’edilizia e distingue tre livelli:
 livello gerarchico: il cui compito r la definizione della strategia dell’impresa guida, sulla
cui base sono poi realizzate le attività dei livelli successivi;
 livello multipolare: costituito da tutte quelle imprese dotate di autonomia decisionale,
per la produzione di beni e/o servizi da scambiare all’interno o all’esterno dell’impresa;
 livello macro-impresa: costituito da un complesso di imprese esterne, le quali
intrattengono rapporti con l’impresa guida, al fine di realizzare obiettivi, che richiedono
un forte potere di coordinamento.
d) un quarto modello r diffuso nel settore dell’abbigliamento tessile (T/A), laddove l’impresa di
abbigliamento, in considerazione della sua capacità di gestire le relazioni con gli interlocutori
esterni, riveste una posizione centrale e di controllo nel processo di produzione, il quale ha
inizio con l’acquisto della licenza d’uso di una griffe (nome di un noto stilista), che
contraddistingue i propri prodotti, i quali sono realizzati da designer esterni e la cui vendita r
affidata ad una o più imprese di commercializzazione.
Questo modello si distingue dai precedenti, per il breve rapporto con alcuni subfornitori il
quale, generalmente, viene ridefinito stagionalmente
e) un ulteriore modello, r quello della comarkership con imprese specialistiche, per la realizzazione
di progetti innovativi, laddove alla funzione acquisti, se ne affiancano altre di livello superiore
(es. direzione dei materiali, R&S), inclusi il product manager e il direttore generale per la
realizzazione di progetti, che richiedono sinergie stabili con i fornitori, soprattutto al fine di
ridurre il time to market, ossia il tempo che intercorre tra l’ideazione del progetto e la sua
effettiva realizzazione.

IP MARKETING D’ACQUISTO E E-PROCUREMENT


Il marketing d’acquisto può essere considerando come quel processo decisionale, che consente di
ottimizzare le operazioni di fornitura, in termini di qualità, quantità, prezzi e tempi di consegna delle
merci.

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L’obiettivo principale del marketing d’acquisto r, pertanto, quello di ridurre i tempi durante la fase di
approvvigionamento, instaurando relazioni proficue con i fornitori e, inoltre, se correttamente
applicato, consente di realizzare notevoli risparmi, anche in termini del 50-70% del fatturato di
un’impresa.
Inoltre, in analogia con il marketing delle vendite, il marketing d’acquisto opera attraverso un complesso
di leve dette di procurement-mix” quali:
 leva prodotto: in riferimento alle caratteristiche dei materiali da impiegare per la realizzazione
del prodotto finito, al fine di individuarne eventuali criticità e gestirle in anticipo. Le politiche
di prodotto sono strettamente correlate alla matrice dei materiali di Kralijc;
 leva prezzo: in riferimento alla contrattazione delle condizioni economiche, non solo con
riferimento al prezzo in senso stretto, ma anche considerando i costi connessi alla qualità delle
forniture (es. affidabilità, conformità e flessibilità del fornitore);
 leva delle fonti di acquisto: monitoraggio dei mercati di approvvigionamento, al fine di
individuare i fornitori più adatti;
 tipo di relazione: da instaurare con il potenziale fornitore, la quale può essere di tipo:
o tradizionale: rapporto di mercato di tipo competitivo/opportunistico;
o integrato: realizzato mediante una sincronizzazione delle forniture;
o evoluto: realizzando un vero e proprio rapporto di partnership collaborativa
(comakership)

L’e-procurement, può essere definito come il processo di approvvigionamento elettronico, ossia


l’insieme delle regole e degli strumenti, che consentono l’acquisizione online di beni e servizi, mediante
l’utilizzo di Internet. I sistemi di e-procurement, sono applicabili tra:
 aziende: commercio business to business (B2B);
 aziende e consumatori: commercio business to consumer (B2C);
 aziende e settore pubblico: commercio government to business (G2B).

PA MOVIMENTAZIONE INTERNA
Dopo l’approvvigionamento le materie prime e le parti componenti, devono essere controllate e
conservate secondo la soluzione più conveniente ponendo, di conseguenza, problemi di dimensionamento
dei depositi correlati con la politica degli acquisti e con i volumi di produzione, che si intende realizzare,
al fine di evitare:
 oneri aggiuntivi di immobilizzo, qualora lo spazio sia eccessivo;
 oneri aggiuntivi di gestione qualora, invece, lo spazio sia insufficiente e, pertanto, si rende
necessario il deposito presso magazzini di terzi;
 problemi di movimentazione interna.
La tendenza r a ridurne le dimensioni, creando un’unica area di ricevimento e stoccaggio delle merci,
possibilmente in prossimità dei centri di lavorazione e la relativa disposizione, deve essere effettuata
in modo da ridurre i tempi e le distanze da percorrere tra i reparti di confezionamento e spedizione
(lay-out).
Un’ulteriore problematica da affrontare, consiste nel determinare le linee di montaggio da installare
per poter realizzare una famiglia di prodotti: in tal caso, qualora le materie prime e le parti componenti
in comune siano numerose, r possibile unificare le linee preferendo una linea a serpentina, rispetto ad
una linea rettilinea tradizionale, in quanto la prima consente di ridurre le distanze da percorrere dai
mezzi di movimentazione interna.

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Dopo aver effettuato tutti i controlli qualitativi e quantitativi, la merce può essere immagazzinata
ovvero, in caso di sistemi di fornitura just-in-time, essere consegnata in prossimità delle linee di
produzione. In particolare, nei magazzini industriali la merce r immagazzinata secondo una logica di
immagazzinamento predefinita, correlata con il tipo di prodotto e con il tipo di magazzino da utilizzare,
distinto in:
 magazzino automatico;
 magazzino semi-automatico;
 magazzino manuale.
In ogni caso, la fase di progettazione del magazzino r di fondamentale importanza per poter garantire
un suo corretto funzionamento e, pertanto, nel corso di tale fase, r coinvolto il capo-progetto (il futuro
Responsabile del magazzino), il quale coadiuvato dai colleghi di Tecnologie di processo (o Ingegneria di
produzione), ne definisce le specifiche tecniche.
Da un punto di vista fisico, ogni magazzino consta di tre dimensioni fondamentali:
a) zona di ricezione: la quale deve essere dotata di ampi spazi di movimentazione, poiché gli arrivi
delle merci non sono sempre programmabili e, pertanto, r necessario evitare eventuali
confusioni;
b) zona di imballo e spedizione: la quale richiede minori spazi, in quanto l’esecuzione degli ordini
di vendita r di più facile prevedibilità;
c) zona di stoccaggio: la quale rappresenta il magazzino in senso stretto e il cui dimensionamento
deve essere effettuato con debita attenzione, in quanto da un lato un sovradimensionamento
potrebbe determinare oneri aggiuntivi di immobilizzo e, da altro lato, un suo
sottodimensionamento, potrebbe determinare confusioni tra partite di merci e/o ammanchi.

FORMAZIONE E CPASSIFICAZIONE DEPPE SCORTE


Alle problematiche relative alla progettazione e gestione della produzione, se ne affiancano altre
relative alla scelta dei materiali da impiegare nel processo produttivo, correlate con le decisioni
relative al mantenimento delle scorte o meno: in particolare, in Occidente lo sviluppo delle modelli di
gestione dei materiali, hanno determinato l’introduzione di tecniche sempre più raffinate tendenti ad
una più efficiente gestione dei materiali ovvero, in Giappone lo sviluppo di tali modelli, hanno posto in
dubbio l’utilità degli investimenti in scorte.
Entrambi gli approcci, in ogni caso, presentano due aspetti in comune:
 razionalizzazione nell’utilizzo delle scorte, al fine di rendere minimi i costi di gestione ;
 interazione fra la gestione dei materiali, la programmazione della produzione e tutte le altre
funzioni logistico-produttive, coinvolte nel processo di trasformazione.
Le scorte, in linea generale, possono essere definite come un insieme di materie prime, parti
componenti e prodotti finiti i quali, sono in attesa di essere impiegati in un processo di trasformazione
o distribuzione, le cui funzioni sono:
 da un lato, rendere indipendente l’impresa dai futuri andamenti del mercato (finale o di
fornitura) e, pertanto, poter organizzare il processo produttivo indipendentemente dal
comportamento produttivo dei subfornitori a monte e dalle fluttuazioni della domanda a valle;
 da altro lato, rendere indipendente l’impresa dalle fasi di produzione interna e, pertanto, in tal
caso le scorte assolvono la funzione di polmone, in quanto consentono di ridurre l’impatto
derivante da eventuali difformità.
In relazione alla loro destinazione, le scorte possono essere suddivise in:
a) materie prime: ossia fattori produttivi destinati ad essere impiegati in un processo di
trasformazione, cui sono assimilati anche i “materiali ausiliari”, in riferimento ai “materiali di
consumo” e ai “pezzi di ricambio”.
Le scorte di materie prime, servono a:
 ovviare a ritardi negli approvvigionamenti (buffer stocks);
 ridurre i costi.

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b) semilavorati: o anche definiti prodotti in corso di lavorazione o WIC – Work In Process, si


tratta di materiali i quali, hanno subito alcune fasi del processo di trasformazione, ma la cui
distribuzione non r stata ancora ultimata e svolgono la funzione di raccordo tra fasi di un
medesimo processo produttivo con differenti livelli di potenzialità.
I semilavorati sono tenuti a scorta per:
 ovviare a ritardi negli approvvigionamenti (buffer stocks);
 sganciare i ritmi di produzione in reparti diversi (decoupling inventory);
 consentire ai singoli reparti di produzione, di organizzare il processo produttivo secondo un
minimo di autonomia decisionale.
c) prodotti finiti: si tratta di beni, il cui processo produttivo r stato concluso e, pertanto, sono
destinati alla vendita, ma non necessariamente sono adibiti al consumo finale.
Le scorte di prodotti finiti, servono a:
 soddisfare celermente gli ordini di vendita;
 far fronte ad eventuali fluttuazioni della domanda ;
 evitare di dover drasticamente variare il corso del processo produttivo, per potersi adeguare
agli andamenti del mercato.
Le tecniche di gestione delle scorte , in linea generale, si distinguono a seconda che si tratti di materie
prime, semilavorati o prodotti finiti, ma molto spesso, l’uomo di produzione, si trova a dover gestire un
magazzino, non caratterizzato da materie prime o prodotti finiti, bensì da semilavorati la cui entità può
essere ridotta o, attraverso un accorciamento del processo di produzione o, mediante la realizzazione
di reparti produttivi meglio integrati.
Inoltre, le scorte possono essere anche classificate in relazione alla loro “funzione” in:
a) scorte funzionali: o operative, ossia giacenze di materiali accumulate in magazzino, da un lato,
per coprire le esigenze temporali di produzione e trasporto di un bene e, da altro lato,
realizzano il disaccoppiamento tra due o più fasi del medesimo processo di produzione o vendita.
In tal caso, r possibile distinguere ulteriormente tra:
 scorte in transito: o di trasferimento o in lavorazione, le quali ottimizzano l’efficienza
del processo produttivo, ma devono essere proporzionate ai tempi necessari per la
produzione e trasporto di un bene;
 scorte organizzative: le cui funzioni sono:
o funzione di volano: al fine di superare punti morti o, inerzie del processo
produttivo;
o funzione di ammortizzatore: in quanto consentono di attenuare la variabilità
interna e/o esterna all’impresa;
o funzione di polmone: consentono di affrontare qualsiasi difformità.
b) scorte di sicurezza: o scorte cuscinetto, ossia giacenze accumulate in magazzino per
fronteggiare eventuali variazioni nel rapporto con alcuni subfornitori o della domanda, per poter
garantire il continuo ed ininterrotto svolgimento delle operazioni di produzione;
c) scorte speculative: ossia giacenze accumulate, indipendentemente dalla specifica funzione
svolta, per poter trarre vantaggio da un futuro ed eventuale aumento dei prezzi;
d) scorte di ciclo: derivanti dal fatto, che l’impresa acquista in lotti, ossia in grandi quantità al
fine di ottenere “sconti quantità” e, generalmente, in quantità superiori al fabbisogno di breve
periodo.
Inoltre, nell’ambito della diversa classificazione delle scorte, r necessario introdurre anche il concetto
di lead time, o tempo di riordino ovvero, l’arco temporale che intercorre tra il momento in cui si
presenta la necessità di provvedere al riordino del magazzino e il momento di effettivo ricevimento
delle merci (inclusa la loro movimentazione e sistemazione, affinché siano disponibili per la vendita) e,
pertanto, il lead time risulta essere formato dal tempo necessario per l’emissione, trasmissione,
esecuzione dell’ordine di acquisto, incluso il trasporto e ricevimento delle merci.

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In particolare, nell’ipotesi semplicistica, che il lead-time sia fisso, che l’andamento della domanda sia
noto e costante e che il lotto ordinato sia stato interamente consegnato, la scorta ciclica rappresenta
la quantità di prodotto necessaria per far fronte alle esigenze di produzione nel periodo determinato.

I COSTI DI GESTIONE DEPPE SCORTE


Nella scelta del modello di gestione dei materiali, così come nella scelta del canale distributivo da
prediligere, r necessario considerare fattori quali:
 caratteristiche del processo produttivo;
 caratteristiche del prodotto da realizzare;
 caratteristiche dei mercati e dei relativi canali di distribuzione ;
 costi totali di gestione delle scorte.
In riferimento a quest’ultimo aspetto, r opportuno distinguere tra:
a) costi di ordinazione”: includono i costi di emissione e di gestione degli ordini sostenuti nel
settore amministrativo e nei reparti di accettazione, le spese di trasporto dalla fabbrica, e gli
eventuali costi speciali di produzione se l’ordine non può essere evaso dalle scorte;
b) costi di mantenimento: o costi di conservazione, necessari per poter mantenere un determinato
livello di scorte in magazzino, in riferimento a:
a. costo opportunità: o costo implicito del capitale in quanto, i capitali investiti per poter
mantenere un dato livello di giacenza in magazzino, avrebbero potuto avere altra
destinazione anche più proficua;
b. oneri finanziari e oneri assicurativi;
c. oneri connessi alla gestione fisica dei materiali;
d. oneri relativi alla obsolescenza dei materiali;
e. oneri relativi allo spazio occupato (es. canoni di locazione);
f. oneri aggiuntivi di movimentazione.
c) costi di sottoscorta: o di rottura di stock ovvero, costi derivanti dall’esaurimento o
dall’insufficienza delle scorte di materiali determinando perdite di possibilità di vendita per
l’impresa. In effetti, in tal caso, il cliente può attendere il riordino del magazzino o, richiedere
che venga completato un ordine speciale di acquisto per lui (con un modesto onere aggiuntivo
per l’impresa venditrice) o, ritirare l’ordine di acquisto causando, di conseguenza, perdite per
l’impresa in considerazione della mancata vendita;
d) costi di eccedenza di scorte: o di sovrastock ovvero, costi derivanti da un’eccessiva
disponibilità di materiali, non motivata né da ragioni speculative e né da caratteri di
stagionalità.

MODEPPI DI GESTIONE DEI MATERIAPI


In particolare, il problema del coordinamento scorte/produzione, r maggiormente presente in quelle
imprese, laddove le materie prime e le parti componenti da gestire sono numerose rendendo, pertanto,
necessaria l’introduzione di meccanismi che consentano:
 la rilevazione delle disponibilità dei beni, sia in termini di consistenza fisica e sia in termini di
dati contabili;
 l’individuazione dei tempi e dei lotti di riordino;
 la valorizzazione, ai fini contabili e fiscali;
 l’informazione tempestiva ed esauriente al management, con il minor impiego di risorse
possibile.
La gestione dei flussi dei materiali r diretta a garantire una continua disponibilità di risorse secondo le
esigenze della produzione e in un’ottica di riduzione degli investimenti in capitale circolante. In
particolare, i vari materiali possono essere discriminati in relazione di differenti caratteristiche, quali:
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 natura della domanda: potendo distinguere tra:


o domanda dipendente: in riferimento a tutti quei materiali direttamente impiegati nel
processo di produzione e correlati con quanto previsto dal piano generale di produzione;
o domanda indipendente: ossia materiali, il cui fabbisogno, non r correlato con il piano
generale di produzione.
 valore di impiego: o di consumo, dato dal prodotto tra la quantità del bene consumata nell’unità
di tempo e il suo valore unitario;
 frequenza di consumo: la quale influenza la prevedibilità dei consumi e, in particolare, in caso di
frequenza elevati si parla di consumo continuo.
Dalla combinazione di tali caratteristiche, le logiche di gestione dei materiali possono essere di tipo:
a) look back o stock control: l’ordine di acquisto o di produzione viene lanciato quanto il livello
della giacenza r insufficiente a soddisfare il fabbisogno di produzione per periodi futuri,
determinati in relazione ai tassi di consumo e al tempo necessario per l’approvvigionamento e,
inoltre, ha il vantaggio di essere di semplice applicazione, in quanto richiede soltanto
l’osservazione di un indicatore di livello, ma richiede un maggior investimento medio in scorte
tra i quali, rientrano i modelli di gestione a scorte, distinti in:
a. modello a quantità fisso o lotto economico;
b. modello a tempo fisso.
b) look ahead o flow control: l’ordine di acquisto o di produzione r emesso sulla base del
fabbisogno per periodi futuri, correlato con la programmazione della produzione e tra i quali
rientrano i modelli di gestione a fabbisogno, distinti in:
a. MRP – Materials Requirement Planning e successive evoluzioni;
b. Just in Time, con la tecnica del Kanban.

I MODEPPI DI GESTIONE A SCORTA: IP MODEPPO DEP POTTO ECONOMICO E DEP PERIODO DI


RIORDINO FISSO
I modelli di gestione dei materiali di più semplice applicazione, sono i modelli di gestione a scorta,
poiché, questi indipendentemente dalla specifica tecnica adottata, consentono di determinare il livello
ottimale del magazzino in funzione dei costi di gestione delle scorte e dell’andamento della domanda: in
particolare, quanto la giacenza di magazzino scende al di sotto di un livello predefinito, viene lanciato
automaticamente un ordine di acquisto o produzione tendente al suo riordino e, pertanto, tali modelli si
pongono come obiettivo quello di determinare quanto e quando ordinare, in un’ottica di minimizzazione
dei costi di gestione delle scorte.
Le ipotesi di tali modelli sono:
 esistenza di magazzini caratterizzati da prelievi continui e versamenti discreti ;
 andamento della domanda media, stazionaria e costante;
 utilizzo graduale delle scorte.
La tecnica più diffusa r quella del lotto economico (EQO – Economic Quantity Order), in quanto le
imprese, nel definire le proprie politiche di approvvigionamento, si trovano a dover affrontare un vero e
proprio problema economica, ovvero:
o da un lato, la riduzione dei costi di mantenimento, implica un basso lotto di acquisto con
conseguente incremento dei costi di ordinazione e trasporto, in quanto vi sarà la necessità di
approvvigionarsi più volte nel corso del processo produttivo;
o da altro lato, la riduzione dei costi di ordinazione e di trasporto, impone la necessità di
provvedere al reintegro in un’unica soluzione con conseguenze negative sul livello del capitale
investito in scorte.
Pertanto, tale tecnica consente di determinare la quantità da ordinare, che renda minima la somma tra i
costi di manutenzione, tra i quali sono considerati solo quelli proporzionali ai volumi di produzione (q) e,
pertanto, sono escluse le spese generali di magazzino e i costi di ordinazione, tra i quali, invece, sono
esclusi quelli proporzionali alle quantità prodotte, secondo la formula (vedi sul libro).

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In particolare, il lotto economico cresce al crescere dei costi di ordinazione e del fabbisogno di
approvvigionamento ovvero, si riduce al crescere del costo del capitale da investire in scorte . Tale
tecnica, consente di ottimizzare i costi di gestione delle scorte considerando fattori quali: prezzo di
acquisto, costi di ordinazione, fabbisogno di approvvigionamento e costo del capitale, nell’ipotesi
semplicistica, che tali fattori siano costanti nel tempo, ma si tratta di un’ipotesi non veritiera in quanto,
da un lato si pensi al prezzo di acquisto, il quale oltre certe quantità tende ad aumentare, al pari dei
costi di trasporto.

CT = costi totali
CM = costi di mantenimento
CO = costi di ordinazione
Q = lotto di acquisto
C = costi
Q = √(2*F*Co)/p*i

Un’ulteriore tecnica r quella del modello del punto di riordino, la quale richiede il continuo
monitoraggio del magazzino e, in considerazione di tale difficoltà applicativa, vengono definite delle
scadenze temporali (es. ogni settimana) alle quali si provvede a verificare lo stato della giacenza
esistente e, in particolare, ciascuna di tali verifica comporterà il lancio, se necessario, di un ordine di
acquisto o di produzione pari alla differenza tra la giacenza esistente e il livello ottimale del magazzino
(c.d. livello di reintegro).
In tal caso, la quantità acquistata può solo casualmente coincidere con il lotto economico acquistato e,
inoltre, per quanto riguarda il livello delle scorte di sicurezza, l’acquirente r vincolato da un periodo di
tempo pari a lead time + T, laddove il lead time esprime il preavviso con cui l’acquirente informa il
fornitore sulla quantità da consegnare.

Scorte di magazzino

P.re

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Modello a periodo fisso


Modello a quantità fissa
- monitoraggio a cadenze predefinite
SS - monitoraggio
T1 Tcontinuo
2
delle T
scorte
3
- l’ordine è emesso se al momento del
tempo
- l’ordine parte quando il magazzino scende controllo, il magazzino è sceso al di sotto
al di sotto di un livello predefinito di un livello obiettivo;
- il lotto ordinato è fisso - il lotto ordinato è pari a quello che
riporta il magazzino al livello prefissato

Controllo: continuo Controllo: discontinuo


Intervallo di riordino: variabile Intervallo di riordino: fisso
Quantità: fissa Quantità: variabile

Tuttavia, le tecniche analizzate divengono di più difficile applicazione in caso di ordine singolo in
quanto, in tal caso, l’andamento della domanda non r costante nel tempo e, anzi, potrebbe subire delle
fluttuazioni drastiche da un periodo all’altro. Pertanto, per far fronte a tali circostanze, gli analisti
hanno definito modelli di gestione dei materiali alternativi, noti come one period inventory, realizzati
mediante complessità di calcolo anche con il ricorso a metodo analitici.

PA GESTIONE DEPPE SCORTE A FABBISOGNO


Le tecniche di gestione a scorta, sono di semplice applicazione, ma presentano alcuni limiti in
considerazione dei fattori considerati per la determinazione del livello ottimale del magazzino. In
effetti:
o da un lato, si presuppone che l’andamento della domanda media sia costante nel tempo;
o da altro lato, si ritiene che l’utilizzo delle scorte avvenga in modo graduale nel tempo
ipotesi verosimile solo in caso di imprese caratterizzate da un ampio portafoglio clienti (es.
supermercato), ma con ordini contenuti, in quanto eventuali fluttuazioni della domanda si
compenseranno tra loro, potendo così operare in caso di domanda stazionaria.
Tali tecniche, invece, divengono di più complessa applicazione in caso di imprese caratterizzate da un
ristretto portafoglio clienti, ma con ordini consistenti ovvero, quando il magazzino r costituito di
semilavorati, i quali tendono a ridurre l’entità delle scorte e, pertanto, secondo tali tecniche, dovrebbe
essere automaticamente lanciato un ordine di acquisto o produzione tendente al riordino del magazzino,
ma se la domanda subisce delle fluttuazioni si rischia di immobilizzare i capitali per tutto il periodo in
cui il processo produttivo subisce un rallentamento.
Ragion per cui, in tali circostanze, r preferibile adottare le tecniche di gestione a fabbisogno, le quali
consentono di determinare quanto e quando ordinare in relazione al fabbisogno di produzione e non
nell’ottica di provvedere al reintegro del livello del magazzino che si ritiene ottimale. Pertanto, lo
“scopo” di tali tecniche r quello di:
 determinare quali assiemi, sotto-assiemi, materie prime e parti componenti si rendono
necessarie per le esigenze della produzione;
 determinare “quanto” e quando ordinare, in coerenza con i tempi di produzione e consegna e in
condizioni di efficienza.
La tecnica più diffusa r quella dell’ MRP – Materials Requirement Planning, la quale consente di
determinare il fabbisogno di materie prime e parti componenti, in relazione al fabbisogno di prodotti
finiti previsto dal piano principale di produzione (MRS – Materials Requiremente Schedule).

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Tuttavia, tale tecnica, anche se r considerata maggiormente efficiente, richiede una notevole quantità
di informazione elaborate con un supporto di tipo informatico e provenienti da:
a) MRS – Piano generale di produzione: il quale definisce cosa e quanto produrre;
b) distinta base: o struttura di prodotto, la quale contiene le informazioni relative alle
caratteristiche dei materiali da approvvigionare, considerato come il risultato di un complesso
di informazioni di natura gestionale e tecnica;
c) lead time: la conoscenza dei tempi di produzione ( lead time interno) e di approvvigionamento
(lead time esterno), consente di lanciare un ordine di acquisto o di produzione, che sia coerente
con i tempi necessari per la realizzazione del prodotto finito;
d) giacenza (inventory record file): il quale contiene tutte le informazioni relative allo stato della
giacenza di magazzino.
In considerazione di tali informazioni, per ogni codice viene deciso quando lanciare un ordine di acquisto
o di produzione e per quali quantità c.d. fabbisogno netto, così espresso:

FABBISOGNO NETTO = FABBISOGNO LORDO – SCORTA DISPONIBIPE

SCORTA DISPONIBIPE = GIACENZA DI MAGAZZINO – SCORTE PRENOTATE (per altre produzioni) –


SCORTE DI SICUREZZA + ORDINI APERTI (ossia merci ordinate, ma non ancora arrivate)

Inoltre, i progressi nell’utilizzo dei software, nonché l’integrazione delle capacità produttive e delle
risorse finanziarie, hanno consentito di realizzare notevoli miglioramenti di tale tecnica, potendo
parlare di MRP II – Manifacturing Resources Planning in riferimento, non solo all’approvvigionamento di
materie prime e parti componenti, ma di ogni altra risorsa si renda necessaria (impianti, attrezzatura,
personal ecc…), in un’ottica di ottimizzazione e, peraltro, r considerato come il completamento del
C.I.M. – Computer Integrated Manifacturing, ossia l’utilizzo di elaboratori per poter facilitare i
processi di realizzazione e consegna del prodotto finito al cliente finale, includendo anche un’eventuale
assistenza post-vendita.

JUST IN TIME E TOTAP QUAPITY MANAGEMENT


Il JIT e il Total Quality Management, rappresentano gli aspetti costitutivi del modello di
organizzazione del processo produttivo giapponese, i cui obiettivi sono;
 produrre solo quanto richiesto dal cliente;
 produrre al ritmo di cui il cliente ha bisogno;
 produrre con qualità perfetta (zero errori);
 produrre istantaneamente, ossia evitando tempi di attesa inutili;
 produrre senza spreco di risorse;
 produrre con metodi, che favoriscano la formazione e personalizzazione dei dipendenti .

In particolare, il JIT – Just In Time r un sistema produttivo di tipo pull ovvero, la produzione non r
“tirata” dalle previsioni di vendita, bensì dall’andamento della domanda e, pertanto, in tal caso, il
problema della produzione non r più tanto quello di realizzare centri di produzione meglio integrati,
bensì sincronizzare tutte le fasi del processo produttivo, al fine di mantenere caratteri di efficienza e
flessibilità.
Il raggiungimento di tali obiettivi, che consentono di mantenere un equilibrio tra domanda e offerta,
richiedono un controllo sulla quantità prodotta, la quale deve essere adeguata alle fluttuazioni della
domanda e, inoltre, controlli sull’output ad ogni fase del processo di produzione, il quale deve essere
privo di difettosità.

Il KANBAN, r un meccanismo di gestione delle scorte sviluppato nell’ambito dei sistemi di produzione di
tipo just-in time, attraverso il quale si attivano i diversi centri di produzione presenti all’interno dello
stabilimento.

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In particolare, il Kanban r letteralmente il cartellino con il quale il centro a monte, comunica al centro a
vallo, l’utilizzo di uno specifico componente e la necessità di un suo reintegro. Elementi di tale tecnica
sono:
 due centri di produzione (uno a monte e l’altro a valle), un centro di movimentazione e raccolta
materiale;
 contenitori per il rifornimento di dimensioni standard;
 un kanban di produzione, che autorizza il centro a monte a produrre un determinato
componente, dopo che questo, r stato inviato a valle;

 un kanban di trasferimento, utilizzato dal centro a valle per il trasferimento del componente al
centro a monte.
Da un punto di vista operativo, la comunicazione fra i due centri avviene secondo una modalità ben
precisa, ovvero:
1. a valle, dopo il consumo, c’r un contenitore vuoto con un kanban di trasferimento, il quale viene
prelevato dal soggetto incarico e trasportato nella zona di stoccaggio a monte;
2. qui, l’incaricato stacca il kanban di produzione e mette un kanban di trasferimento;
3. il carrello viene portato a valle, e quando i materiali vengono posti in produzione, il kanban di
trasferimento viene posto su una rastrelliera;
4. a monte, il kanban di produzione staccato dal carrello vuoto, viene posto su una rastrelliera per
indicare la quantità di materiale utilizzato.
Questa tecnica, la quale richiede un tempo di rodaggio per un suo corretto funzionamento e il quale,
inoltre, può determinare la progressiva riduzione, se non l’eliminazione delle scorte, necessita del
rispetto di specifiche regole, ovvero:
a) nessun componente deve essere prodotto, se non vi r un kanban di produzione che l’autorizzi, in
quanto una rastrelliera vuota r sinonimo che il centro a valle non ha consumato nessun
materiale;
b) r necessario attribuire priorità in relazione alla posizione del codice sulla rastrelliera ;
c) i centri a valle possono ritirare solo la quantità di materiale che si rende necessaria,
autorizzata dalla presenza di un kanban di trasferimento.

PROGRAMMAZIONE DEPPA PRODUZIONE


Dopo aver effettuato tutte le scelte relative alla progettazione e dimensionamento del sistema
produttivo, ha inizio il vero e proprio processo di produzione, le cui fasi sono la programmazione e
controllo. In particolare, l’obiettivo principale del processo di programmazione, consiste
nell’armonizzare le richieste del mercato con le potenzialità del sistema produttiva e, pertanto, la
programmazione della produzione comprende l’insieme delle procedure, strumenti ed informazioni le
quali, applicate ad un sistema produttivo acquisito, consentono di definire cosa e quanto produrre,
secondo quali modalità ed entro quali tempi, ottimizzando i flussi in entrata di risorse, le capacità
produttive e i flussi in uscita dal sistema produttivo.
In particolare, nell’ambito del processo di programmazione della produzione, r necessario considerare i
costi necessari per la formazione dei singoli piani di produzione, quali:
 costi variabili di produzione;
 costi fissi di produzione;
 costi per il lavoro straordinario;
 costi di subfornitura;
 costi per il mantenimento delle scorte;
 costi di stock-out (per far fronte ad eventuali carenze del magazzino);

 costi di setup (per la riconfigurazione degli impianti al termine di ogni ciclo di produzione).
Le principali fasi del processo di programmazione sono:

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1. previsione della domanda: rappresenta il momento iniziale di ogni processo di pianificazione


aziendale, in riferimento alla quantificazione delle risorse necessarie per la realizzazione
dell’attività di produzione (es. risorse umane, materie prime, energia ecc…). In particolare, ogni
pianificazione aziendale parte da una pianificazione iniziale, quale la previsione della domanda
di prodotti finiti (demand planning) gestita, negli ultimi anni, dai managers della supply chain, al
fine di determinare le capacità produttive necessarie per poter soddisfare i volumi di
produzione richiesti dal mercato;
2. programmazione di lungo periodo: il cui obiettivo r la predisposizione di budget di produzione
per ogni unità produttiva (singola area o intero stabilimento), definito in base ad un fatturato
che l’impresa si prefigge di raggiungere e, inoltre, considerando, non un singolo prodotto della
gamma, bensì un’intera famiglia di prodotti;
3. programmazione aggregata: il cui obiettivo r la determinazione delle quantità
semestrali/annuali dell’intero stabilimento. In particolare, a partire dal piano della domanda,
definito della funzione commerciale, l’obiettivo r quello di determinare le modalità di utilizzo
delle risorse a disposizione dell’imprese per poter soddisfare le esigenze del mercato, il cui
risultato finale r rappresentato dalla predisposizione del piano principale di produzione;
4. programmazione operativa: o di breve periodo, definito a partire dal piano principale di
produzione o, in caso di produzioni complesse, a partire dall’analisi del fabbisogno di produzione
ovvero, in caso di imprese che realizzano prodotti semplici, al piano principale di produzione,
segue lo scheduling operativo, per l’allocazione delle risorse ai JOB, ossia gruppi di operazioni da
svolgere e il sequenziamento delle singole operazioni;
5. controllo della produzione: al fine di verificare:
 lo stato degli impianti;
 le quantità prodotte;
 lo stato di avanzamento dei lavori;
 il rispetto dei tempi programmati;
 il livello degli scarti prodotti.

In particolare, l’attività di programmazione della produzione r principalmente presente nelle aziende


manifatturiere ed r differente a seconda della tipologia di processo produttivo attuata, ovvero:

o in caso di produzioni a stock, essa r correlata con la previsione della domanda;


o in caso di produzioni su commessa, essa r correlata con gli ordini ricevuti.

CAPITOPO 11: IP SISTEMA DISTRIBUTIVO


SETTORE TERZIARIO E DISTRIBUZIONE COMMERCIAPE
La distribuzione commerciale rientra tra le attività di servizi, anche definito come settore terziario, in
riferimento al complesso di attività economiche finalizzate al soddisfacimento dei bisogni umani
attraverso un processo di produzione, non di beni materiali, bensì di utilità.
L’obiettivo di tale attività, consiste nel fornire una quantità sempre maggiore di beni e servizi dai
produttori, ai consumatori ed utilizzatori finali, in coerenza con le preferenze di questi ultimi, nei tempi
più opportuni e a costi sempre più ridotti.

La rete distributiva al dettaglio, può essere suddivisa in:


1. piccolo dettaglio indipendente: r un sistema distributivo tradizionale, in genere specializzato;
2. dettaglio organizzato: il quale, a sua volte, comprende le seguenti tipologie:
 grandi aziende a base capitalistica, nelle forme di:
o grandi magazzino a prezzo Unico o Popolari;
o supermercati;
o ipermercati,
o grandi superfici specializzate (GSS);
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o Shopping Center;
o Case di sconto o Discount;
 commercio associato: nelle forme delle unioni volontarie, promosse dai grossisti nei
confronti dei dettaglianti e dai gruppi di acquisto, realizzate tra dettaglianti;
 cooperative di consumo;
 forme speciali: come ad esempio, le Case di vendita su descrizione e le aziende affiliate con
il franchising”.
In relazione alla dimensione”, ovvero in relazione alla superficie di vendita, r possibile distinguere tra:
a) piccolo dettaglio: distinto, a sua volta, in indipendente e associato;
b) grande dettaglio: suddiviso in grandi punti vendita, con superficie di vendita superiore ai 400
mq. e grandi imprese.
Inoltre, si stanno diffondendo forme di vendita diretta al consumatore, in riferimento al c.d. dettaglio
non-store, il quale non prevede un luogo fisico di distribuzione (es. vendite porta a porta) nell’ambito
dei quali, pur essendo presenti interessi speculativi, si instaura un sistema integrato di altri canali di
distribuzione.

CONTESTO STORICO ED EVOPUZIONE DEP SETTORE DISTRIBUTIVO


Innanzitutto, occorre precisare che r stata operata una significativa rivalutazione delle attività di
servizi, in virtù della concezione in base alla quale, il fine ultimo di ogni attività economica r
rappresentato dalla creazione di utilità, e questo ha indotto molti settori ad “industrializzarsi”,
processo che ha determinato la standardizzazione della qualità, ossia la riduzione dei costi di
produzione mediante l’utilizzo di sistemi gestionali per la produzione di beni materiali.
Un ulteriore stimolo allo sviluppo del settore distributivo, r rappresentato dall’evoluzione dei gusti e
delle esigenze dei consumatori, dopo che la Rivoluzione Industriale, dispiegò i suoi effetti positivi sul
tenore di vita delle masse.

Tuttavia, in Italia un siffatto processo di industrializzazione non generò la piena occupazione, neanche
nelle fasi congiunturali più favorevoli e, anzi, accentuò gli squilibri territoriali e contribuì alla
terziarizzazione del sistema economico. Negli anni ’80, al settore della distribuzione commerciale venne
attribuito il ruolo di ammortizzatore sociale, e di conseguenza, il piccolo commercio r stato configurato
come attività rifugio, accentuando il grado di polverizzazione del settore e la carenza di professionalità
degli addetti (soprattutto al Sud).
Successivamente, ci si rese conto che, un tale settore distributivo con tali difetti, non avrebbe mai
garantito il raggiungimento di specifici obiettivi, senza ridurne l’efficienza e senza accentuare il
processo inflazionistico attraverso il fenomeno di isteresi sui prezzi, il quale consiste nel rialzo dei
prezzi all’ingrosso o alla produzione e nel neutralizzarne il ribasso.
Nel corso degli anni’90, la progressiva riduzione degli squilibri fra distribuzione e industria, in termini
di forza contrattuale, determinò un generale riassetto del settore in termini di una maggiore autonomia
nella formazione dei prezzi, in virtù della creazione di marche commerciali, nell’ambito delle quali, r
possibile distinguere tra:
- marche di fantasia, tipiche dei prodotti a basso costo;
- marca insegna, in tal caso il nome del prodotto coincide con quello dell’impresa e questo
presuppone un’ampia affermazione sul mercato, ma anche il rispetto di determinati standard di
efficienza qualitativa
diffusesi di pari passo con l’ampliamento delle forme distributive.

In particolare, ciò che in passato ha caratterizzato l’assetto del sistema distributivo italiano, r stata la
preminenza, in termini di quote di mercato e numerici, delle unità del piccolo dettaglio tradizionale a
base familiare.

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In secondo luogo, l’innovazione del commercio, la quale si diffonde con nuove forme distributive e
moderne tecniche di vendita, ha consento di colmare i vuoti di offerta presenti sul mercato, in termini
di prezzi e/o prodotti. In particolare, nel corso degli ultimi anni, hanno assunto rilevante importanza le
innovazioni introdotte:
- dagli scanner;
- dai sistemi per il trasferimento di fondi (ETF) e dei dati (EDI);
- dai sistemi computerizzati per la gestione delle scorte;
- dal teleshopping;
- dal commercio via Internet
con particolare riferimento al settore alimentare, il quale r stato maggiormente interessato da tali
innovazioni, anche se sta subendo un profondo processo di razionalizzazione e contrazione dei punti
vendita, da un lato, a causa della concorrenza del settore food e, da altro lato, in virtù delle dimensioni
medio – piccole delle imprese presenti nel settore, anche se nel settore agroalimentare sono state
realizzate alcune operazioni di concentrazione.
In particolare, il processo di acquisto on-line di beni e servizi, si svolge come segue:
1. l’utente, collegandosi al sito dei diversi canali distributivi, può valutare i differenti prodotti
offerti e riempire il proprio carrello virtuale;
2. successivamente, selezionando il giorno e la data della consegna, si impegna ad essere presento
al momento della stessa, al fine di evitare l’applicazione di una penale;
3. la merce, viene così spedita e suddivisa in contenitori per genere di prodotto (es. alimentare e
non alimentare);
4. il pagamento, r generalmente effettuato per via telematica attraverso carte di credito, anche
se molte catene di distribuzione, consentono forme di pagamento in contanti al momento della
consegna.
I vantaggi derivanti da un siffatto processo di acquisto sono in termini di risparmio di tempo,
soprattutto per gli utenti-lavoratori, e di riduzione dei prezzi di acquisto , ovvero il principale
svantaggio per le imprese che offrono questi servizio, r rappresentato dal rischio di veder ridotti i
quantitativi di spesa, in quanto un consumatore che effettua acquisti da casa, sarà meno tentato
nell’acquistare, rispetto ad un consumatore che, invece, si aggira tra gli scaffali.

Un ulteriore impulso allo sviluppo del settore distributivo, r rappresentato dal franchising posto in
essere al fine di porre in relazione operatori locali attivi nella distribuzione e imprese in espansione, il
quale rappresenta la leva più importante per rilanciare la competitività del Sistema – Italia, in termini
di:
- razionalizzazione e modernizzazione del settore distributivo ;
- internazionalizzazione delle PMI;
- riconversione del commercio al dettaglio ;
- promozione di realtà imprenditoriali giovanili.
Questa evoluzione del commercio al dettaglio r stata favorita, non solo dalla politica dei prezzi, ma
anche da un’efficiente politica di assortimento, per cui un allargamento della gamma di prodotti offerti,
ha garantito un flusso costante alla clientela cui contribuisce anche il comportamento strategiche delle
singole imprese.
Pertanto, r possibile ritenere che, solo un sistema distributivo articolato in una pluralità di forme
distributive, può incidere significativamente ai fini della concorrenza in termini di prezzo, soprattutto
a vantaggio del consumatore finale.
A tal fine, l’intervento pubblico nel corso degli ultimi anni, r stato indirizzato a favorire l’ingresso nel
mercato delle tipologie più moderne, le quali possono essere introdotte, non solo dalle grandi aziende a
base capitalistica, ma anche da operatori commerciali tradizionali (indipendenti e associati).
I principali strumenti di intervento, sono stati:

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 D.lgs. 114/1998 il quale, al fine di ritardare la competitività del settore, ha avviato un


processo di liberalizzazione, rimuovendo alcune disposizioni le quali, complessivamente
considerate, rappresentavano delle barriere all’entrata per le nuove forme distributive, al fine
di garantire:
o la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione
delle merci;
o la tutela del consumatore, in termini di informazione e sicurezza dei prodotti;
o l’efficienza, modernizzazione e sviluppo della rete distributiva;
o il pluralismo ed equilibrio tra le molteplici forme distributive e di vendita;
o la valorizzazione e salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbani, rurali,
montane e insulari;
 P.248/2006 la quale, al fine di imprimere velocità al processo di liberalizzazione, ha
determinato l’abolizione di alcune prescrizioni relativamente al settore per la
somministrazione di bevande e alimenti, in riferimento ai seguenti aspetti:
o iscrizione ai registri abilitanti e dimostrazione del possesso dei requisiti professionali;
o abolizione delle distanze minime obbligatorie;
o limitazioni quantitative;
o rispetto dei limiti relativi a quote di mercato predefinite, o determinate in relazione al
volume delle vendite;
o fissazione dei divieti ad effettuare vendite promozional i (salvo prescrizioni a livello
europeo);
o necessità di autorizzazioni preventive.

I CANAPI DI DISTRIBUZIONE E TRADE MARKETING


Lo studio dei canali, r di fondamentale importanza per la definizione di un efficiente sistema integrato
di distribuzione, soprattutto se si considera che, la struttura del sistema distributivo, altro non r che il
risultato del processo di sviluppo socio – economico del Paese di riferimento.
In passato, lo studio dei canali r stato inteso quale istituzione finalizzata a favorire il trasferimento
dei diritti legali e dei titoli di proprietà, ai fini del passaggio dei relativi rischi e oneri.
Successivamente, l’affermazione delle grandi imprese produttrici con una propria marca, ha
determinato la gestione diretta dei canali, ma se la dimensione dell’impresa non r adeguata, o non vi r
stabilità nelle condizioni del mercato di riferimento, il criterio di flessibilità e di ottimizzazione dei
costi, impongono all’impresa di avvalersi, in modo consistente e considerevole, del servizio logistico
sviluppato da altre imprese.
Inoltre, sul piano verticale, oltre che orizzontale, in riferimento alla concorrenza nell’ambito del
medesimo processo di produzione e/o commercializzazione sono presenti alcune situazioni di
conflittualità, in riferimento:
- alla costituzione delle scorte e formazione degli assortimenti, ai diversi stadi del canale
distributivo;
- concorrenza nell’ambito del canale distributivo;
- concorrenza tra differenti canali distributivi.
L’importanza di una migliore gestione dei canali r tale che, nelle aziende industriali di più grandi
dimensioni, si sia diffusa la figura del responsabile dei canali (o trade, o channels manager),
soprattutto con riferimento al settore dei beni di largo consumo , il cui compito r quello di promuovere,
coordinare, valutare e controllare le relazioni in quest’area.

I PRINCIPAPI INTERMEDIARI DEPPA DISTRIBUZIONE


Gli intermediari della distribuzione, hanno il compito di rendere disponibile il bene nel luogo, nel tempo
e nei modi più opportuni per il cliente finale . Le principali figure sono:

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a) grossista: r un’impresa commerciale (c.d. distributore), il quale acquista la proprietà di beni, i


quali sono successivamente venduti, assumendosi l’onere di gestire i vari servizi.
Tuttavia, la tendenza nelle aziende di produzione di beni di consumo durevole, consiste nella
creazione di depositi a carattere regionale assumendosi il compito della consegna al
dettagliante, o direttamente al consumatore finale, con un aumento dei costi (prevalentemente)
fissi, sicché alcune funzioni relative all’area logistica, in riferimento al trasferimento nel tempo
e nello spazio dei beni, sono svolte direttamente dall’impresa produttrice.
Pertanto, r possibile ritenere che, nel corso degli anni, la figura del grossista così definita sia
stata messa in crisi, anche se le funzioni a questo associate, sono in ogni caso svolte, in quanto
l’eliminazione di tale figura non determina la cancellazione automatica del costo relativo alle
funzioni da questo svolte e, anzi, questo potrebbe determinare un considerevole incremento dei
costi, qualora le stesse siano svolte da soggetti tecnicamente e professionalmente non
preparati.
Ragion per cui, r possibile ritenere che la presenza del grossista raggiunga il suo equilibrio
economico, allorquando il margine di ricarico, ossia le spese di retribuzione più il profitto , sia
eguale alla riduzione dei costi derivanti dal minor numero di allacciamenti necessari per lo
stesso volume d’affari, rispetto alle vendite dirette produttori – dettaglianti.
b) grande dettaglio: r rappresentato principalmente dagli ipermercati e dai supermercati,
appartenenti alle catene della GDO – Grande Distribuzione Organizzata che, in Italia, ha
conosciuto un incremento in termini di punti vendita, a partire dal 1998 (anno di introduzione
della Riforma Bersani, la quale ha liberalizzato il settore) ad oggi.
Questa evoluzione ha inciso sul potere contrattuale all’interno del canale distributivo, a
svantaggio delle imprese industriali, le quali ora si trovano a dover negoziare con operatori
economici dotati di una maggior forza contrattuale rispetto al passato e che, inoltre, tendono a
concentrarsi nella fase di approvvigionamento, oltre che ad internazionalizzarsi.
Infatti, l’impresa industriale si trova a dover contrattare con uno, due, o al massimo tre buyers
e, pertanto, le negoziazioni hanno ad oggetto grandi volumi di prodotti, e al fine di evitare
l’esclusione dal canale distributivo, le imprese sono costrette a concedere sconti sul prezzo di
acquisto e altre condizioni favorevoli, vedendo ridotti i propri margini di profitto e i relativi
cash-flows ovvero, una siffatta situazione (negativa), tende ad aggravarsi qualora l’impresa
industriale offra un prodotto indifferenziato, o che non può far leva sulla capacità di attrazione
della propria marca.
c) piccolo dettaglio: ha rappresentato l’elemento di raccordo del commercio in Italia fino
all’introduzione della riforma del commercio, il cui numero r oggi fortemente in calo per effetto
della concorrenza della GDO: in effetti, le imprese del piccolo dettaglio detengono una minor
varietà di prodotti e a prezzi più elevati rispetto alle imprese commerciali di più grandi
dimensioni e, generalmente, possono mantenere una ridotta quantità di beni in scorda
sostenendo, pertanto, frequenti situazioni di stock-out cui si aggiunge anche una riduzione
dell’ampiezza di assortimento, ossia una contrazione del numero di linee di prodotto trattate.

TIPOPOGIE DI CANAPE DISTRIBUTIVO


Il canale distributivo, r il percorso giuridico che il prodotto finito deve compiere, per poter essere
trasferito dall’impresa industriale produttrice al consumatore finale .
È possibile distinguere tra:
a) canale lungo: r caratterizzato dall’inserimento dell’ingrosso tra l’impresa di produzione e il
dettagliante. A fronte dei benefici economici derivanti da tale modalità per l’impresa
industriale in termini di riduzione dei costi di vendita e di trasporto, si contrappongono alcuni
svantaggi, con particolare riferimento alla ridotta possibilità di incidere sulle modalità di
collocamento del prodotto sul mercato;

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b) canale corto: prevede la presenza del solo dettagliante e attraverso questa modalità, l’impresa
industriale può ottenere maggiori informazioni sul mercato, in quanto detiene un rapporto
diretto con il dettagliante, ma dovrà sostenere le problematiche relative alla gestione delle
scorte e alle transazioni con esso le quali, invece, nel canale lungo sono gestite dal grossista.
Questo r un canale distributivo principalmente applicato nell’ambito di settori quali: le auto
motive, la gioielleria, la cosmesi e l’alta moda;
c) canale diretto: r caratterizzato dal solo rapporto tra produttore e consumatore finale, ovvero
l’impresa di produzione detiene un rapporto diretto con il compratore finale attraverso una
propria rete distributiva, o mediante altre forme di direct marketing (es. attività promozionali
e campagne pubblicitarie).
Questa r la modalità più costosa per l’impresa industriale, impiegata con riferimento alla
distribuzione di beni strumentali, o di quei prodotti che necessitano di una costante assistenza
post-vendita.

CATEGORY MANAGEMENT, ECR E SISTEMI RFID


Con il termine CM–Category Management, ci si riferisce ad un processo integrato
distributore/fornitore, in cui le categorie sono considerate come Unità Strategiche di Business, al
fine di incrementare il fatturato e l’utile dall’aziende, attraverso una maggior soddisfazione del cliente ,
ovvero le categorie sono considerate come un complesso di prodotti e servizi, che il consumatore
considera tra loro correlati e/o sostituibili, per il soddisfacimento di una sua esigenza o necessità .
Le quattro macro-fasi di tale processo sono:
 FASE 1
o analisi dei processi di consumo e dei comportamenti dei consumatori ;
o definizione delle categorie;
o assegnazione dei ruoli alle categorie.
 FASE 2
o analisi delle categorie;
o definizione delle scorecard;
o definizione degli obiettivi strategici delle categorie.
 FASE 3
o definizione delle tattiche (piano di categoria)
 FASE 4
o implementazione del piano di categoria;
o verifica dei risultati ottenuti.

Con il termine ECR – Electronic Consumer Response, ci si riferisce ad un progetto di razionalizzazione


della supply-chain, con particolare riferimento ai prodotti confezionati, mediante una più efficiente
integrazione del flusso di informazioni tra produttori e distributori, con conseguente rimozione delle
duplicazioni e disfunzioni progetto che, ha determinato una considerevole riduzione dei costi di
interfaccia, degli sprechi e dei tempi con effetti positivi in termini di servizio logistico al cliente e
prezzo di vendita, in considerazione della riduzione dei costi.

Con il termine RFID – Radio Frequency Identification, ci si riferisce alle c.d. etichette intelligenti in
silicio, dotate di un microchip ( smart-tag) con una piccola memoria, riutilizzabili e non alimentate
elettricamente, basate sulla tecnologia dei tag transponder.
Questo sistema, r impiegato al fine di contrastare e limitare l’immissione sul mercato di prodotti
alimentari confezionati ad elevato rischio, in coerenza con precise regole a livello europeo, esercitando
un controllo in tempo reale sui flussi di prodotti lungo tutta la filiera produttore – consumatore.
CAPITOPO 12: POGISTICA IN USCITA O DI MARKETING
RUOPO DEPPA POGISTICA DI MARKETING NEPPA STRATEGIA AZIENDAPE

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La logistica in uscita (o di marketing), si occupa della movimentazione e stoccaggio dei prodotti finiti
al termine del processo produttivo, al fine di garantirne l’efficiente collocamento sul mercato
occupandosi anche della scelta e delle relazioni con i canali distributivi , consentendo all’azienda di
ottimizzare il rapporto che intercorre tra:
- livello di servizio da offrire alla clientela;
- entità delle scorte da mantenere nel corso del processo di produzione/distribuzione ;
- costi per il trasferimento del prodotto finito, dallo stabilimento al mercato .
Nell’analisi del sistema logistico, al fine di massimizzarne il rendimento, r necessario che gli obiettivi da
perseguire e i relativi tempi e modalità, siano definiti chiaramente, ovvero:
- se l’obiettivo, r la riduzione dei costi r necessario che l’impresa non sacrifichi il livello di
servizio;
- se lo scopo r, invece, massimizzare il livello del servizio, r necessario non incrementare
eccessivamente i costi.
Pertanto, obiettivo principale della logistica in uscita, r assicurare l’equilibrio tra il conseguimento del
massimo livello di servizio al cliente e, se possibile, migliorare l’efficienza e la redditività dell’azienda,
obiettivo che risulta essere il principale problema delle aziende mature, le quali sono maggiormente
esposte alla concorrenza, e in effetti in queste situazioni, il servizio r considerato come elemento
differenziatore.

PIVEPPO DI SERVIZIO
Innanzitutto, r necessario distinguere tra:
 servizi al prodotto: con particolare riferimento ai beni strumentali, per i quali il servizio
diviene sempre più parte integrante del prodotto (installazione, avviamento, manutenzione e
riparazione ecc…);
 servizi alla clientela, nell’ambito dei quali, r possibile distinguere tra:
o servizi alla distribuzione;
o servizi al cliente finale.
In particolare, r necessario dare attuazione a due obiettivi importanti dell’azienda, quali:
 servizio al cliente, il quale deve essere coerente con le sue esigenze;
 economicità della gestione, da non realizzarsi in una logica di sfruttamento del personale e del
cliente.
Pertanto, il rendimento del sistema logistico può essere valutato in considerazione di aspetti, quali:
- livello di servizio offerto alla clientela;
- livello di produttività delle operazioni realizzate;
- livello di redditività degli investimenti in scorte e mezzi di trasporto .
In quest’ottica, il servizio ottimale r quello che assicura al cliente il prodotto richiesto, nella quantità,
qualità, tempo e luogo richiesti e con l’eventuale aggiunta di servizi finanziari (se richiesti) e di
assistenza post – vendita, in un’ottica di contenimento dei costi di distribuzione.

Molte spesso, il livello di servizio r considerato come rapporto percentuale tra il numero di ordini dei
clienti evasi e il numero di ordini ricevuti in un dato arco di tempo , realizzando un compromesso tra
l’esigenza dell’impresa di minimizzare i costi relativi al sistema distributivo, e l’esigenza del mercato di
massimizzare, invece, il livello del servizio alla clientela, ma sarebbe opportuno considerare tale
aspetto, come disponibilità del prodotto e affidabilità delle consegne, in termini di:
 rapidità: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra il ricevimento dell’ordine e
l’effettiva consegna del prodotto finito;
 regolarità: dipende dalla metodicità di trasmissione degli ordini, dall’esistenza di scorte
sufficiente, quindi dalla capacità dell’impresa di evadere l’ordine in un’unica soluzione;
 puntualità: considerando, non solo i tempi medi di consegna, ma anche gli scostamenti dalla
media;

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 flessibilità: intesa come la capacità dell’impresa di adattare il sistema distributivo aziendale


alle specifiche esigenze del cliente, la quale dipende anche dalle modalità di trattamento della
merce e dell’imballaggio;
 accuratezza: la quale consente di minimizzare le possibili contestazioni per difetti qualitativi,
quantitativi o di imballaggio, ferma restando la capacità di sostituzione e/o integrazione al
verificarsi di tali situazioni.
Ovviamente, l’efficienza del servizio logistico dipende da tali aspetti (congiuntamente considerati),
ovvero dall’equilibrio tra la programmazione della produzione, gestione delle scorte, imballaggio ecc…,
ma r anche necessario considerare ulteriori aspetti, i quali rivestono importanza secondaria, ma che nel
loro complesso, contribuiscono ad accrescere o ridurre il livello di servizio, ovvero a migliorare o
peggiorare l’immagine dell’azienda in riferimento, ad esempio:
- alle modalità di accettazione degli ordini;
- alla disponibilità delle merci;
- all’assistenza pre e post-vendita.
Teoricamente, l’equilibrio ottimale si raggiunge nel punto in cui, il costo marginale derivante da un
incremento del livello del servizio eguaglia il ricavo marginale , ma in pratica tale equilibrio r ostacolato,
dal lato dei ricavi, dalla difficoltà di misurazione del ricavo addizionale connesso all’incremento del
livello di servizio e, dal lato dei costi, dal fatto che gli investimenti sono realizzati in “blocchi” e,
pertanto, r difficile individuare il relativo incremento.

La valutazione del rendimento del servizio logistico rispetto alle vendite, assume la forma di una Curva
di Gompertz a forma di esse”, alla cui base può essere tracciata una linea che indica il livello soglia,
ossia il livello minimo da offrire per poter essere presenti sul mercato, e nella parte superiore, r
possibile
indicare il livello di saturazione.
Tra i due limiti, la curva prima cresce lentamente, poi assume una
forma più ripida, per poi appiattirsi nuovamente e, inoltre, tra i
due punti di concavità e convessità, si assume che la domanda sia
particolarmente sensibile al livello del servizio logistico.

In particolare, nei settori in cui la concorrenza r basata su fattori di non – price competition, il
servizio logistico deve essere valutato in relazione ad approfondite ricerche scientifiche, al fine di
individuare le conseguenze derivanti da una mancata vendita (anche di altri prodotti), o da una possibile
perdita del cliente. Quest’ultima ipotesi sembra essere circoscritta per le imprese leader con una
marca affermata, ovvero le imprese con una marca di minore importanza, possono contare solo sulla loro
presenza costante all’interno dei punti vendita e su un adeguato spazio espositivo da parte del
distributore.
A tal fine, potrebbe essere anche valido il ricorso al benchmarking, ossia ad un’analisi competitiva dei
prodotti aziendali con quelli dell’impresa leader sul mercato, o anche considerando i prodotti di aziende
operanti in altri settori, la quale dev’essere svolta in modo continuativo, al fine di definire obiettivi
strategici e stimolare il processo di cambiamento.

COSTI POGISTICI E SCEPTA DEP CANAPE DISTRIBUTIVO


Dal punto di vista dell’impresa di produzione, r necessario considerare i costi relativi alla scelta del
canale distributivo di cui avvalersi, con particolare riferimento all’analisi del canale dominante,
attraverso il quale l’impresa può realizzare la maggior parte del suo fatturato, affidandosi non solo ad
esso, in quanto risulta essere più conveniente e meno rischioso avvalersi di un sistema misto, il quale
consente di raggiungere meglio il mercato obiettivo.

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I fattori vincolanti interni/esterni da considerare relativamente alla scelta del canale distributivo
sono:
A. PRODOTTO: nell’ambito del quale, r necessario stabilire se si tratti di:
 beni strumentali: per i quali r necessaria una specifica preparazione del venditore (in
termini di assistenza tecnica) e, inoltre, si tratta di beni caratterizzati da un elevato valore
unitario e da un mercato ristretto;
 beni di consumo: per i quali, r necessario considerare differenti elementi:
o se si tratta di un bene primario, voluttuario” deperibile e non soggetto a
stagionalità, gli aspetti relativi alla segmentazione del mercato, al tasso di crescita,
all’andamento della domanda e al grado di concentrazione o dispersione, assumono
importanza rilevante;
o la concorrenza, deve essere valutata in relazione alle sue componenti, dimensione e
strategie distributive adottate;
o la normativa vigente in materia fiscale e commerciale, la quale può ostacolare o
agevolare il ricorso a specifiche forme distributive.
B. TIPO DI PRODUZIONE: per il magazzino o su commessa, anche se si ha la prevalenza dell’una
sull’altra.
C. AMPIEZZA E PROFONDITA’ DEP MERCATO DI ASSORTIMENTO
D. DIMENSIONE E CAPACITA’ FINANZIARIA
E. FORZA CONTRATTUAPE
Viene così definito il grado di copertura distributiva, in riferimento al numero di dettaglianti, o di
consumatori/utilizzatori finali, che si intende raggiungere, anche considerando il tipo di prodotto
trattato e, pertanto, r necessario scegliere fra differenti tipi di distribuzione, la quale può essere di
tipo:
a) intensivo: il prodotto r disponibile in un maggior numero di punti vendita, preferibile per quei
beni caratterizzati da un basso valore unitario e da un processo di acquisto ricorrente (c.d.
conveniences goods);
b) selettivo: il prodotto r disponibile in un numero limitato di punti vendita, preferibile per quei
beni ad acquisto ragionato (c.d. shopping goods);
c) esclusivo: il prodotto r disponibile in uno o pochi punti vendita, preferibile per quei prodotti
caratterizzati da un elevato valore unitario (c.d. specialty goods).
Inoltre, ai fini della scelta del canale distributivo, si rende necessario anche misurare i punti di
forza/debolezza in termini qualitativi dello stesso, in riferimento:
- alle funzioni di commercializzazione richieste dal prodotto;
- gli intermediari più idonei per lo svolgimento di tali funzioni;
- il numero di intermediari di cui avvalersi ad ogni stadio del canale;
- le politiche di prezzo da applicare.

EQUAZIONE DEI COSTI NEPPA POGISTICA DI MARKETING


Si ritiene che, il metodo contabile impostato secondo la maniera classica, non sia idoneo ad individuare
le singole componenti di costo, i cui fattori di ostacolo sono:
- difficoltà nel separare i costi globali della distribuzione in singole componenti di costo ;
- allocare questi componenti in centri di costo, creando “modelli di costo”;
- misurare i costi attuali relativi allo svolgimento di una specifica attività, e i costi futuri relativi
ad un possibile cambiamento (interno e/o esterno) al settore distributivo.
In linea generale, l’equazione del costo totale della distribuzione fisica, può essere così espressa:
CDf = T + CfD + CvD + V
dove:
 CDf, r il costo totale della distribuzione fisica, in relazione al sistema prescelto;

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 T, r il costo totale dei mezzi di trasporto impiegati per il trasferimento del prodotto finito,
dai luoghi di produzioni ai depositi (c.d. trasporti primari), e da questi, ai punti di vendita finali
(c.d. trasporti secondari);
 CfD, r il costo fisso totale dei depositi (canoni, ammortamenti, personale ecc…);
 CvD, r il costo variabile totale dei depositi (inclusa la gestione delle scorte);
 V = r il costo per mancate vendite, a causa della carenza del livello del servizio esistente.
In particolare, nelle aziende nelle quali la funzione logistica r smembrata, r più ardua l’individuazione
delle singole componenti di costo, la quale viene facilitata attraverso l’individuazione di specifici centri
di costo relativi alla funzione interessata, quali:
- Trattamento degli ordini;
- Movimentazione dei prodotti;
- Confezionamento e Imballo;
- Magazzinaggio;
- Mantenimento delle scorte;
- Trasporti
i quali sono chiaramente individuabili
- Altri costi amministrativi, non collocabili nei precedenti centro di costo, in riferimento alle
spese generali di amministrazione, sostenute nel processo di distribuzione, per i quali r difficile
assegnare una responsabilità specifica.

INDIVIDUAZIONE E METODI DI APPOCAZIONE DEI COSTI


Nell’ambito dei differenti metodi di allocazione dei costi r necessario, anzitutto, distinguere tra:
- costi diretti: i quali sono chiaramente e logicamente attribuibili alla specifica attività come
centro di costo;
- costi indiretti: o comuni, per i quali non r valido quanto appena detto (es. spese di
amministrazione).
Inoltre, poiché siamo nell’ambito del calcolo economica, r doverosa l’ulteriore distinzione tra:
- costi fissi e costi variabili, laddove questi ultimi sono direttamente correlati con i volumi di
produzione e, pertanto, facilmente riferibili ai centri di costo, e di conseguenza, sono costi
diretti, ma non r valido il contrario.
Tale distinzione, r necessaria al fine di determinare il rendimento dei fattori cui si riferiscono,
in quanto i “fattori a costo variabile” offrono un rendimento costante, ovvero i “fattori a costo
fisso”, generano sprechi e insufficienze di capacità del sistema logistico.
È possibile distinguere due principali metodi di allocazione dei costi, ovvero:
a) metodo dei costi di copertura, il quale attribuisce ai centri di costo, tutti i costi indiretti che
si assume siano stati sostenuti. Tuttavia, tale criterio r oggetto di critiche, proprio in
riferimento all’arbitrarietà nell’assegnazione del costo: in effetti, se un determinato elemento
viene assegnato ad un centro di costo, per definizione, r un costo diretto e, pertanto, deve
essere trattato come tale, ma assegnare un costo indiretto ad un centro di costo, equivale a
considerarlo come diretto per pura convenzione, e questo potrebbe determinare risultati
distorti;
b) metodo del direct costing: o calcolo dei costi marginali , in virtù del quale viene superata
questa problematica, in quanto i costi indiretti sono trascurati ai fini della individuazione dei
singoli centri di costi, e sono globalmente inseriti alla fine, ma proprio per tale aspetto, anche
tale criterio r oggetto di critiche. In effetti, secondo l’ ABC – Activity Based Costing, i costi
indiretti devono essere trattati al pari dei costi diretti, non in relazione al volume di prodotto
trattato, bensì in virtù di analisi che ne misurino l’effettivo consumo di risorse.

TRADE-OFF E COSTO TOTAPE DEPPA POGISTICA


I costi, non devono essere valutati solo in funzione del sistema logistica, ma anche considerando il loro
impatto sulle vendite. È possibile distinguere differenti livelli di trade – off, ovvero:
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 trade-off interfunzionale: basato sull’integrazione delle principali funzioni aziendali, in


un’ottica di ottimizzazione del sistema aziendale (vedi grafico dal testo).
Esempio-- possibilità che il costo di distribuzione cresca, se l’espansione del mercato, si
verifica in zone geograficamente lontane, cui si contrappone la riduzione del costo di
produzione, in considerazione della realizzazione di economie di scala (vedi grafico dal libro);
 trade-off interattività: riguarda l’equilibrio dei costi tra i principali centri di attività nel
sistema logistico.
Esempio --determinazione del numero ottimale di magazzini, in una rete basata
esclusivamente sui costi. È possibile osservare come, al crescere del numero dei depositi,
cresca la richiesta di movimentazione e carico delle merci, mentre si riducono i costi per la
consegna locale, man mano che i depositi sono dislocati in prossimità dei punti di consegna finali
(vedi grafico dal libro);
 trade-off intermodale: r applicato nell’area dei trasporti.
Esempio -- alternativa fra il trasporto ferroviario e il trasporto stradale, laddove il primo
cresce in misura meno che proporzionale al crescere del volume di prodotto trasportato, ovvero
il secondo, caratterizzato da un parco di mezzi propri, riflette l’incremento dei costi fissi
derivante dall’aggiunta di ulteriori veicoli in considerazione del maggior volume da trasportare
(vedi grafico dal libro);
 trade-off intertipo: considera i costi derivanti dal ricorso ad un vettore, o a un proprio parco
mezzi, ovvero all’uso di magazzini generali e di terzi, o di depositi propri.
In effetti, l’esistenza di uno spazio inoccupato, r frequente nei depositi aziendali, il quale
rappresenta un costo elemento, invece, non presente in caso di strutture di stoccaggio esterne
in quanto, in tal caso, si paga solo per lo spazio occupato e il relativo rischio di inutilizzo, resta a
carico del gestore.
A tal proposito, r possibile considerare un’esemplificazione relativo al caso di scelta in base
all’alternativa rappresentata da un sistema logistico, a uno o due depositi, considerando il
relativo costo totale, metodologia che, tuttavia, potrebbe essere inadeguata qualora non si
considerino alcuni elementi, ovvero:
o i costi sono considerati in relazione al volume operativo, ovvero da un punto di vista
storico e non dinamico, e questo rende necessaria la valutazione di differenti sistemi
logistici per diversi livelli di quantità;
o r necessario introdurre la considerazione relativa ai ricavi, in quanto differenti sistemi
logistici hanno un diverso impatto sul mercato e quindi, offrono un livello di servizio
ineguale per la clientela, ragion per cui, potrebbe essere utile un ulteriore trade-off
relativo allo “andamento dei costi e dei ricavi” di ciascun sistema;
o si r tenuto conto solo dei costi e dei ricavi relativi a ciascun sistema logistica,
tralasciando gli investimenti di capitale necessari per la loro realizzazione e, pertanto,
si rendono necessarie modalità di calcolo che confrontino i rapporti tra i diversi sistemi;
o andamento dei costi di distribuzione derivati da canali alternativi.

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ANAPISI DINAMICA DEI COSTI


L’analisi dinamica dei costi, consente di scegliere fra l’uno o l’altro sistema logistico, in funzione del
volume di produzione, al fine di mantenere al livello minimo il costo totale, anche considerando alcuni
fattori limitativi.
È sicuramente arduo e complesso, passare da un sistema logistico caratterizzato da bassi costi fissi, ad
un sistema caratterizzato da più elevati costi fissi, in tempi brevi così come, r difficoltoso passare da
un sistema basato su depositi propri, ad un sistema, invece, basato sull’utilizzo di strutture di
stoccaggio esterne, senza dover incorrere in pesanti costi derivanti da questo importante cambiamento.
Pertanto, r possibile affermare che, un sistema logistico caratterizzato da bassi costi fissi ed elevati
costi variabili, sia preferibili per bassi volumi di produzione ovvero, un sistema logistico caratterizzato
da elevati costi fissi e bassi costi variabili sia, invece, competitivo per elevati volumi di produzione.
In questi casi, potrebbe essere utile il ricorso all’ analisi di sensitività, la quale consente di calcolare il
variare del rendimento del sistema logistico in caso di errori di valutazione, ossia r possibile
determinare di quanto possono variare determinati parametri, per mantenere un livello accettabile del
sistema logistico.

PA VAPUTAZIONE DEGPI INVESTIMENTI E DEI RICAVI NEPP’ANAPISI DEPPA POGISTICA DI


MARKETING
Detta analisi, essendo principalmente focalizzata sui costi relativi a ciascun sistema logistico, potrebbe
concludere il processo di pianificazione, qualora i diversi sistemi avessero uguali effetti sulla domanda.
Tuttavia, poiché ciascun sistema determina un diverso livello di servizio alla clientela, si rende
necessario introdurre il calcolo dei ricavi per la scelta del sistema più conveniente e, inoltre, occorre
precisare che ci si r limitati a considerare i costi operativi, tralasciando gl’investimenti di capitale
necessari per la realizzazione di ciascun sistema.
Pertanto, r necessario non solo quantificare l’entità degl’investimenti necessari, ma valutare anche la
durata degli stessi e dei flussi di cassa che generano e, di conseguenza, l’analisi dei sistemi alternativi
deve individuare anche il valore attuale dei risparmi realizzabili con la realizzazione di ciascuno di essi
Inoltre, r necessario considerare il rischio derivante da un possibile cambiamento del sistema logistico,
ovvero un ultimo aspetto, r rappresentato dal calcolo dell’ indice di redditività, dato dal rapporto tra il
valore attuale dell’incremento dei fondi totali per la realizzazione di ciascun sistema e l’investimento
iniziale necessario.

PROGETTAZIONE E RISTRUTTURAZIONE DEP SISTEMA DI DISTRIBUZIONE FISICA


La scelta dello stabilimento, deve essere correlata con la scelta dei mercati e, pertanto, dopo aver
scelto il canale, o i canali da praticare, si pone il problema della progettazione del sistema di
distribuzione, il quale pone differenti quesiti, ovvero:
1. conviene usare depositi periferici? e in quale numero? In tal caso, qualora i clienti siano poco
numerosi, ordinano volumi elevati e consentano la consegna a carico completo, potrebbe non
essere avvertita la necessità di avvalersi di depositi periferici (salvo in caso di assistenza post-
vendita), in quanto r più conveniente la consegna diretta al cliente a tariffe scontate;
2. quale mezzo di trasporto r opportuno impiegare?
3. quale obiettivo occorre fissare nel servizio di consegna?
A tal fine, r necessario considerare differenti aspetti, quali:
 ristrutturazione di una rete di depositi esistente , la quale può imporre l’esigenza di chiuderne
alcuni, ovvero di spostarli per poterne incrementare o ridurre l’area, il che rende necessaria la
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valutazione del costo totale della distribuzione, la cui tendenza r quella di ridimensionare il
numero dei depositi;
 natura del product mix, da cui deriva che, tanto più ampia r la gamma di produzione dell’impresa,
tanto più complesso sarà il sistema logistico ovvero, qualora la complessità produttiva raggiunga
livelli elevati, sarà necessario accentrare la gestione delle risorse, ma da altro lato, un ampio
product mix, riflette un andamento della domanda variabile la cui flessibilità, necessaria per
affrontarla, può derivare solo da un sistema logistico in grado di soddisfare le esigenze locali;
 caratteristiche del prodotto, le quali rappresentano aspetti importanti nella definizione di un
deposito, quali:
o deperibilità;
o fragilità;
o valore;
o peso del prodotto.
 analisi del costo totale, al fine di individuare le correlazioni tra gli elementi di costo relativi ai
vari livelli di attività del magazzino. In particolare, la funzione di costo da considerare,
riguarda:
o i costi fissi collegati alla realizzazione di un sistema di magazzini;
o i costi di trasferimento delle merci, dai luoghi di produzione ai depositi, e da questi, ai
clienti;
o il costo per il mantenimento delle scorte.

La curva di costo totale (vedi grafico dal testo), deve essere interpretata con una certa flessibilità,
ma in linea generale, r possibile affermare che esiste un’ area di ottimizzazione lasciata alla valutazione
ponderata della direzione, ovvero questo metodo può essere efficace anche per la valutazione di
differenti alternative.
In genere, per la localizzazione dei depositi, sono considerate solo alcune ubicazioni ritenute possibili,
utilizzando metodi di programmazione lineare o modelli di simulazione tra i quali, il più importante, r
l’algoritmo dei trasporti, qualora si voglia valutare la possibilità di aggiungere un deposito al sistema
esistente, ovvero ampliarne le attrezzature al fine di incrementarne la capacità di flusso .

FUNZIONE DEPOSITI
La funzione depositi, deve essere considerata nell’ambito del processo totale di distribuzione, la cui
istituzione deve essere finalizzata, non solo a soddisfare le esigenze di tempo e/o spazio per l’accumulo
delle risorse e il successivo prelievo, ma deve anche consentire lo svolgimento di operazioni di
manipolazione (handling), che precedono o seguono il periodo di permanenza della merce in un
determinato luogo e, in tal senso, assumono importanza le valutazione di rendimento relative al livello di
produttività del fattore lavoro, delle strutture e delle attrezzature impiegate .
Pertanto, l’obiettivo di tale funzione, r quello di migliorare la disponibilità del bene, accrescendone
l’utilità, mediante il suo trasferimento nel tempo e/o nello spazio ed effettuando i necessari
miglioramenti qualitativi e quantitativi.
Al fine di realizzare tale obiettivo, r possibile considerare differenti strumenti quali:
- costituzione di CEDI – centri di distribuzione;
- realizzazione di investimenti crescenti in attrezzature per il magazzino automatico
aspetti che, congiuntamente considerati, rappresentano un impulso alla concentrazione delle scorte in
uno o pochi depositi.
- comunicazione: in effetti, lo sviluppo dei collegamenti viari e telematici, in combinazione con
l’introduzione delle moderne tecnologie elettroniche, forniscono un ulteriore incentivo alla
creazione di un sistema logistico centralizzato.

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In quest’ottica, si sono diffuse le piattaforme per il transito e rispedizione delle merci, più che del loro
stoccaggio, con il consolidamento di partite di merci provenienti da diversi produttori e destinate ad
uno o più CEDI (cross-docking).
In particolare:
 in caso di produzione a stock, vi r la tendenza verso la creazione di una rete di depositi di tipo
ramificato e a più livelli (magazzini nazionali, regionali ecc…), la cui realizzazione r certamente
costosa, ma consente di ottenere un miglior livello di servizio;
 in caso di produzione su commessa, invece, si cerca di evitare qualsiasi magazzino e/o centro di
distribuzione, preferendo la distribuzione diretta al cliente finale, con modalità diretta o
groupage, a seconda della tipologia degli ordini e delle destinazioni.
In ogni caso, l’adozione dell’una o dell’altra tecnica, dipende da specifici fattori quali:
- variabilità della domanda;
- tasso di rotazione;
- deperibilità dei prodotti;
- numerosità dei magazzini;
- costi e tempi di consegna
aspetti, che rendono necessaria anche una pianificazione delle spedizioni, per la quale potrebbe essere
di ausilio il sistema di simulazione, noto come D.R.P. – Distribution Requirement Planning.
Inoltre, ai fini della definizione di un adeguato sistema di depositi, r necessaria la valutazione dei costi
operativi, ovvero:
innanzitutto, r necessario decidere, quanto dello spazio a disposizione, può essere
economicamente utilizzato in termini di superficie e volume, sicché la curva dei costi variabili
assume un andamento a U, in quanto questi si riducono fino al punto di utilizzo interno al 70%-
85% dello spazio disponibile, e un suo ulteriore utilizzo, determina un’impennata dei costi
variabili, in quanto l’accavallamento delle merci, aumenta la possibilità di riscontrare articoli
danneggiati;
in secondo luogo, r necessario confrontare il costo del capitale investito per la realizzazione del
sistema di depositi, con il valore del prodotto. In particolare, l’efficienza del singolo prodotto,
deve essere costantemente valutata, confrontando i costi relativi con la giacenza media, nonché
la capacità/superficie occupata con la capacità/superficie disponibile;
in terzo luogo, si rendono necessari alcuni accorgimenti al fine di eliminare, o perlomeno ridurre,
i colli di bottiglia relativamente al fattore lavoro e alle attrezzature;
per quanto concerne la disposizione interna di un deposito (c.d. layout) e il modo in cui le merci
vengono movimentate e trattate, non rappresenta un aspetto di rilevante importanza in tale
contesto;
infine, si rende necessaria la scelta del tipo di attrezzatura per la movimentazione e stoccaggio
delle merci, la quale influenza le modalità di sistemazione delle scorte e di raccolta e
composizione degli ordini, soprattutto in presenza di un’accentuata meccanizzazione o
automazione.
Per quanto riguarda l’automazione, sebbene per molte imprese il problema non riguarda se
introdurla o meno, bensì in quale grado, r necessario non tralasciare i costi derivanti
dall’introduzione di un controllo elettronico. Tuttavia, l’automazione non deve rappresentare
l’obiettivo ultimo cui deve tendere l’azienda, in quanto i relativi benefici iniziano a manifestarsi
solo se:
o si raggiunge un dato livello di operazioni;
o il flusso delle merci r rapido;
o la varietà produttiva r ridotta;
o l’imballaggio r standardizzato
solo al verificarsi di tali situazioni, r possibile affermare che gli elevati investimenti necessari
per l’introduzione dell’automazione, sono bilanciati dalla riduzione del costo del personale e dalla

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maggiore efficienza derivante dalla riduzione dei tempi di raccolta degli ordini e dei livelli di
scorte.
Da altro lato, per quanto riguarda le attrezzature, la relativa scelta dipende da alcuni
importanti fattori, quali:
o caratteristiche del prodotto da movimentare, con particolare riferimento alla forma,
condizione e stoccaggio;
o movimentazione interna necessaria;
o ricostituzione delle scorte;
o quantità per ogni voce e rotazione degli articoli.
IMBAPPAGGIO
Nell’ottica della logistica, il requisito fondamentale dell’imballaggio, r che questo consenta la massima
protezione del bene durante le fasi di manipolazione e stoccaggio cui r soggetto , ovvero per il
marketing, l’imballaggio assume importanza in relazione al suo valore promozionale e di presentazione
del prodotto, e la preminenza dell’uno o dell’altro aspetto, r correlata con il tipo di prodotto trattato,
ovvero il suo maggior o minor valore, farà propendere verso l’utilizzo di un imballaggio più sicuro, ma più
costoso, o più economico.
Pertanto, obiettivo dell’imballaggio, r quello di salvaguardare il prodotto allorquando viene accatastato
nei depositi e durante il suo trasporto, ovvero agevolarne la stivabilità, manipolazione e identificazione,
al fine di rendere più celeri le fasi di raccolta e completamento degli ordini.
Mutamenti significativi in tale area, si sono verificati in virtù dell’introduzione della pallettizzazione e
containerizzazione, nonché per l’utilizzo di materie plastiche, in sostituzione della carta e del cartone il
cui impiego, tuttavia, presenta rilevanti implicazioni in termini ambientali, valutate attraverso
approfonditi studi di Reverse Pogistic, o Pogistica di Ritorno in riferimento al processo di
pianificazione, implementazione e controllo dell’efficienza delle materie prime, parti componenti e
prodotti finiti e del correlato flusso di informazioni, il quale comprende la gestione di tutte le attività
logistiche relativa alla movimentazione dal punto di recupero (o di consumo), al punto di origine, al fine
di riguadagnare valore da quei prodotti il cui ciclo di vita r terminato .
In particolare, questo processo riguarda bene specifiche aree, quali:
 gestione di resi (difettati o invenduti);
 gestione del fine vita di prodotto e degli imballi;
 gestione di scorte di lavorazioni industriali, o di rifiuti.
Inoltre, nell’ambito della scelta del tipo di imballaggio da utilizzare, r necessario valutare ulteriori
aspetti, quali:
 aspetto legislativo, in quanto norme e regolamenti prevedono le specifiche caratteristiche
dell’imballaggio in relazione al tipo di prodotto trattato, ai fini fiscali, ecologici e di tutela del
consumatore;
 scelta fra il confezionamento in fabbrica, o in deposito , laddove la seconda soluzione verrà
preferita qualora, la spedizione senza imballo, garantisca un miglior utilizzo del mezzo di
trasporto, tempi di consegna più rapidi e minori costi per le operazioni di carico/scarico;
 scelta del mezzo di trasporto , ovvero l’impiego di aerei e containers rende possibile l’utilizzo di
imballaggi meno costosi, in considerazione dei minori rischi di danneggiamento, a differenza del
trasporto via mare, il quale richiede un imballaggio più resistente in considerazione delle più
frequenti rotture di carico.
In ogni caso, poiché l’incidenza dei costi relativi alla scelta dell’imballaggio può essere piuttosto elevata,
r necessaria un’attenta scelta dei fornitori, onde evitare l’acquisto di materiali difettosi, in quantità e
tempi ottimali, i quali devono essere collaudati al fine di verificare che siano coerenti (in termini di
resistenza) con le procedure di movimentazione e con i mezzi di trasporto esistenti.

POPITICA DEI TRASPORTI

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La funzione del trasporto riveste un ruolo fondamentale nell’ambito del processo di distribuzione, in
quanto deve garantire il trasferimento delle merci in tempi relativamente brevi, in sicurezza e al minor
costo possibile. Pertanto, in virtù della rilevante incidenza sul costo totale della distribuzione, r
necessaria:
a) un’analisi accurata dei mezzi di trasporto alternativi, comparandone i relativi costi e rendimenti,
al fine di assumere decisioni razionali e meditate;
b) la valutazione del problema dei trasporti in relazione al sistema logistico, nell’ottica che la
valutazione dell’equilibrio ottimale sia stata già effettuata;
c) la valutazione del problema dei trasporti e dei depositi, sicché la tendenza verso la riduzione
delle scorte, attribuisce al trasporto il ruolo di magazzino viaggiante, al fine di evitare la sosta
delle merci nei depositi;
d) infine, i sistemi di trasporto si completano a vicenda, fenomeno che si va accentuando in virtù
del frequente impiego di containers, e di altre unità di carico combinato, i quali consentono un
agevole trasferimento delle merci dalla nave al vagone, evitando le c.d. rotture di carico, in
riferimento alla c.d. intermodalità, la quale può raggiungere la sua massima efficienza laddove la
predisposizione dei terminali, sia effettuata secondo una localizzazione e attrezzature adeguati
considerando le prospettive di sviluppo del trasporto combinato.
In particolare, in Italia, gli interporti esistenti rappresentano un nodo di scambio di
fondamentale importanza, ma vi r uno squilibrio nella loro distribuzione tra Nord e Sud del
paese.

In considerazione di quanto detto, l’obiettivo della politica dei trasporti, r quello di minimizzare il costo
di trasferimento dei beni, definendo la miglior combinazione dei mezzi di trasporto, delle tecniche di
condizionamento (pallettizzazione, containerizzazione ecc…) e delle tecniche di trasbordo, ossia
affrontare il classico trade-off relativo alle differenti modalità di trasporto. Tale valutazione, deve
essere effettuata nell’ottica del just-in time, il quale prevede consegne caratterizzata da maggiore
frequenza, quantità sempre più ridotte e con rigoroso rispetto dei programmi.
Dopo la scelta relativa al mezzo di trasporto da impiegare, r necessario instaurare rapporti regolari con
operatori specializzati e affidabili e, inoltre, per realizzare una maggiore efficienza, la gestione
aziendale dovrebbe accentrare la pianificazione del traffico decentrando, eventualmente, alcuni aspetti
della gestione operativa (soprattutto laddove r presente un sistema di distribuzione locale). Un
ulteriore scelta, che deve essere effettuata dalla direzione logistica, riguarda il trasporto su strada,
scegliendo tra:
a) parco di mezzi propri;
b) parco di mezzi di terzi,
la cui scelta deve essere effettuata considerando due aspetti cruciali, ovvero:
- i costi: in particolare, il caso del produttore di beni di consumo standardizzati a domanda
tendenzialmente stabile, il quale può effettuare una programmazione di medio – lungo termine
ed istituire una rete di depositi e/o avvalersi di un parto di mezzi propri, o anche dell’azienda, r
differente dal caso del produttore di beni caratterizzati da un breve ciclo di vita (es. beni
soggetti alla moda) per il quale, invece, gli investimenti durevoli potrebbero essere
antieconomici e, pertanto, la scelta più conveniente potrebbe consistere nell’avvalersi di
depositi in locazione, o di mezzi di trasporto esterni;
- il livello del servizio, in quanto un’azienda deve preliminarmente accertarsi che, il mezzo di
trasporto prescelto, consenta di mantenere un adeguato livello di servizio, mediante
l’annotazione di eventuali ritardi al momento del carico e/o della consegna delle merci.
In ogni caso, la tendenza r verso la terziarizzazione (o outsourcing), avvalendosi della competenza di
operatori specializzati, instaurando una vera e propria partnership, con particolare riferimento ai MTO
– Multimodal Transport Operator, i quali dispongono di risorse e competenze a livello internazionale.

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CAPITOPO 13: MISURAZIONE DEPPE PERFORMANCE DEPP’IMPRESA


PA MISURAZIONE DEPPE PERFORMANCE DEP SISTEMA POGISTICO - PRODUTTIVO
Innanzitutto, la misurazione delle performance del sistema logistico – produttivo, rappresenta la
fase conclusiva del processo di programmazione della produzione attraverso la quale, il management
effettua le necessarie valutazioni in merito alla gestione e qualità del processo produttivo e in
relativamente alle risorse e strumenti impiegati per il raggiungimento degli obiettivi preposti.
A tal fine, si rende necessario predisporre un adeguato sistema di indicatori i quali, tuttavia, non hanno
valore assoluto, bensì devono essere correlati con le specifiche caratteristiche dell’impresa
considerata e, inoltre, tali indicatori devono definire un sistema sufficientemente ampio di valutazione,
tale da poter ricomprendere tutte le prestazioni che, l’impresa e il relativo sistema produttivo, r
chiamato a svolgere al suo interno ed esterno, ovvero l’impresa deve attribuire a ciascuno di essi un
differente valore in relazione al ruolo, che la specifica prestazione, ha svolto nel determinare il
vantaggio competitivo dell’impresa.
Pertanto:
- r necessario individuare tutti i processi e i relativi obiettivi, in un’ottica di funzionamento
complessivo e di ottimizzazione del sistema aziendale;
- r necessario definire misure opportune, in riferimento ai c.d. KPI – Key Performance Indicator,
i quali forniscono una corretta valutazione dei singoli processi.
Alcuni importanti indicatori sono:
a) produttività totale = output totale/input totale;
b) produttività specifica = output totale/input riferito ad una specifica risorsa , esprime la
quantità di input necessaria per la realizzazione di una determinata quantità di output;
c) produttività parziale = output riferito ad un unico prodotto/input riferito ad una sola risorsa ,
esprime la quantità di input necessaria per la realizzazione di uno specifico prodotto della
gamma;
d) produttività multipla = output total/input riferito ad un complesso di risorse.

PA PERFORMANCE DEI SISTEMI PRODUTTIVI


Le prestazioni del sistema logistico – produttivo, possono essere valutate in relazione a quattro distinte
dimensioni, quali:
A. EFFICIENZA E PRODUTTIVITA’
In riferimento alla quale, si rimanda a quanto appena detto
B. QUAPITA’
Un primo indicatore per poter valutare la qualità del sistema produttivo, r rappresentato dal
tasso di difettosità, il quale esprime il numero di difetti rilevati e corretti, in un dato arco di
tempo, rapportati al totale delle unità prodotte.
Inoltre, r possibile valutare la qualità del sistema produttivo, in relazione ai costi ad esso
associati, quali:
o costi di prevenzione: ossia costi che l’impresa sostiene al fine di ridurre il possibile
manifestarsi di un difetto qualitativo;
o costi di valutazione: ossia costi di ispezione, collaudo e controllo;
o costi dei difetti interni : ossia costi di non conformità, rilevati in-house, ossia prima che
il prodotto finito venga consegnato al cliente;
o costi dei difetti esterni: ossia costi di non conformità, rilevati dopo che il prodotto
finito r stato consegnato al cliente.
C. TEMPI E SERVIZIO POGISTICO
Il fattore tempo, può essere valutato in relazione al flow-value dato dal rapporto tra il lead-
time medio di produzione (formato dal tempo di trasformazione, movimentazione, controllo e
stoccaggio) e il tempo della sola trasformazione.

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Inoltre, il fattore tempo assume rilevanza anche ai fini della definizione del servizio logistico al
cliente, valutato in relazione a quattro parametri, quali:
1. disponibilità del prodotto: esprime la capacità dell’impresa di limitare le rotture di
stock e garantire la pronta consegna;
2. tempestività della consegna: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra il
ricevimento dell’ordine del cliente e la consegna del bene;
3. affidabilità del servizio: considerando la data di consegna effettiva e la conformità
qualitativa e quantitativa;
4. flessibilità del servizio: esprime la capacità dell’impresa di personalizzare, ovvero di
adeguare il servizio logistico alle esigenze del cliente.
Le fasi del ciclo sono:
 trasmissione dell’ordine: considerando l’arco di tempo che intercorre tra l’emissione
dell’ordine da parte del cliente e l’effettivo ricevimento da parte dell’impresa di
produzione.
Questa fase, può essere oggi ottimizzata, mediante l’impiego degli strumenti tele-
informatici per lo scambio di informazioni in rete e in tempo reale, come ad esempio,
mediante l’utilizzo di sistemi EDI – Electronic Data Interchange;
 elaborazione dell’ordine: in riferimento al tempo necessario per la valutazione della
solvibilità del cliente e per la verifica della correttezza dei documenti trasmessi;
 approntamento della consegna: consistente nelle fasi di prelievo, confezionamento e
imballo. Queste fasi possono essere velocizzate, mediante l’utilizzo di codici a barre e/o
lettori ottici;
 spedizione e trasporto: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra l’uscita del
prodotto finito dal magazzino, e la consegna al cliente.
Gli indicatori relativi alla disponibilità, tempestività, affidabilità e flessibilità sono i seguenti:
o percentuale di inevasi: numero di ordini inevasi/numero ordini totale;
o completezza della consegna: valore prima della consegna/valore totale consegne;
numero consegne per evasione ordine;
o incidenza di stock-out: numero articoli o periodi in stock out/numero totale articoli o
periodi;
o misure di tempestività: ∑ (data prima della consegna – data ordine)/numero ordini
numero ordini evasi in x giorni/numero totale ordini
o misure di affidabilità: numero ordini evasi in ritardo/numero totale ordini
devianza dei tempi di consegna
o misure di flessibilità: giorni di anticipo minimi per accettazione variazioni
margini di variazione ammessi rispetto ai tempi/quantità
concordati
D. FPESSIBIPITA’
La flessibilità r intesa come la capacità dell’impresa di adeguarsi, ovvero adattarsi, ai
cambiamenti dell’ambiente di riferimento e di fronteggiarne qualsiasi imprevisto.
È possibile distinguere quattro accezioni di flessibilità, ovvero:
 flessibilità di volume: o elasticità dei costi, la quale consiste nella capacità dell’impresa
di assorbire eventuali variazioni nei volumi di produzione;
 flessibilità di mix: intesa come la capacità dell’impresa di produrre un mix articolati di
prodotti, a costi accettabili;
 flessibilità di prodotto: intesa come la capacità dell’impresa di inserire nel range
produttivo, ossia nella gamma di prodotti realizzata, un nuovo articolo a costi contenuti
e in tempi relativamente brevi;
 flessibilità di programma: intesa come la capacità dell’impresa di modificare i
programmi di produzione, al fine di fronteggiare richieste impreviste.

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BOX: PA NORMA UNI 11155:2005 E PA BUSINESS INTEPPIGENCE


La norma UNI 11155 “Attività operative delle imprese. Misurazione delle prestazioni”, r stata
introdotta nel 2005 al fine di definire un complesso di misure delle prestazioni logistiche, con i
requisiti e i metodi di misurazione. Tale norma raccoglie numerosi indici di efficienza, di efficacia, di
tempi di risposta e di livello del servizio con riferimento a tutti i settori di attività dell’impresa
(commerciale, acquisti, produzione…).
Per Business Intelligence&Decision, r intesa la ricerca intelligente di dati, produzione e analisi in tempo
reale di informazioni, push (distribuzione dell’informazione) e pull (produzione dei report anche da
parte degli utenti finali), di supporto ad attività di controllo e di decisione a qualsiasi livello aziendale.

PA VAPUTAZIONE DEI CANAPI DI DISTRIBUZIONE


La valutazione dei canali di distribuzione consente di facilitare la misurazione del rendimento dei
soggetti presenti all’interno del canale distributivo nel breve periodo, in termini di:
- efficienza, ossia costo raffrontato, o non, alle vendite;
- efficacia, considerando la qualità e l’ampiezza delle vendite.
A tal fine, r necessario:
 considerare le valutazioni effettuate in merito alla scelta del potenziale fornitore, in termini di
qualità, prezzo, regolarità e puntualità delle consegne;
 considerare il relativo aspetto comportamentale, ovvero ricomprendere elementi non
quantificabili;
 considerare il grado di controllo, che l’impresa può esercitare all’interno del canale distributivo,
il quale r correlato con il suo potere di mercato di tipo coercitivo o non coercitivo.
I più importanti indici, in tal senso, sono:
- indice di copertura = punti vendita trattati/punti vendita totali;
- indice di qualità distributiva = ponderata clienti trattanti/numerica clienti trattanti;
- indice di esposizione = quota del facing lineare/quota di vendita;
- indice di visibilità = posto nella graduatoria dei margini unitari/posto nella graduatoria degli
scaffali;
- indice di rottura = numero di rotture di stock dell’azienda/numero di rotture di stock del rivale
di riferimento;
- indice di collaborazione = prezzo di vendita effettivo/prezzo di vendita consigliato;
- indice di assortimento = referenze trattate/referenze totali di portafoglio.

IP CONTROPPO MEDIANTE REPORTING


L’informazione riveste un ruolo fondamentale per poter svolgere un efficiente attività di controllo. A
tal fine, r necessario definire standard realistici determinati, non solo considerando l’esperienza
passata dell’impresa, ma anche considerando parametri esterni relativi ad imprese concorrenti, ovvero
r necessario definire livelli di tolleranza, nell’ambito dei quali, non r il caso di intervenire in quanto, la
variazione r di modesta entità, o i meccanismi di regolazione operano automaticamente.
È importante, pertanto, effettuare un’attività di controllo con un sistema di reporting che segnali le
eventuali deficienze, ovvero consenta al dirigente di essere sempre a conoscenza di ciò che accade
nell’area logistico in modo che egli sappia se si r in presenza di un limite di tolleranza, o meno. A tale
scopo, r necessario che le informazioni siano trasmesse in forma aggregata e selezionata, al fine di
evitarne la ridondanza.

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È possibile la costruzione di indici, tra i quali uno dei principali r dato dal rapporto tra il costo della
distribuzione e il valore delle vendite, ovvero potrebbe essere efficace l’impiego di indici di controllo
ottenuto confrontando due o più variabili, con riferimento a specifiche aree, quali:
a) livello di servizio
- consegne tempestive/consegne totali;
- reclami/consegne totali;
- consegne effettuate/consegne stabilite.
b) le giacenze:
- costi di gestione scorte/quantità uscite
c) i trasporti:
- costi di trasporto/tonnellate trasportate
d) l’attività di magazzino:
- costi di gestione scorte/quantità movimentate.

IP BENCHMARKING
Il termine benchmark indica la misura rispetto ad un punto fisso, ovvero in ambiente manageriale, il
benchmarking r la misurazione dell’eccellenza delle prestazioni di un’azienda, ovvero consente di
definire lo standard che si ritiene essere di eccellenza. Il confronto r effettuato considerando alcuni
parametri di riferimento (benchmark), i quali pongono in evidenza l’efficienza e l’efficacia di ciò che si
sta analizzando (qualità, costi e tempi) e possono essere rappresentati da:
 imprese industriali;
 singole funzioni aziendali;
 unità di business;
 reparti.
Ovviamente il benchmarking non si limita alle sole imprese, ma può anche riguardare la Pubblica
Amministrazione, le organizzazioni senza scopo di lucro, la sanità ecc...
Fare benchmarking vuol dire:
 guardare oltre i confini interni all’azienda, in modo innovativo ;
 rivalutare le attività aziendali, attraverso la mappatura dei processi, ovvero spostando l’oggetto
di osservazione;
 puntare all’eccellenza.
Due sono le dimensioni, lungo le quali, detta attività viene svolta:
 misurazione delle performances;
 individuazione delle best-practice (migliori processi).
È possibile distinguere differenti tipologie di benchmarking, quali:
 BENCHMARKING COMPETITIVO: finalizzato a confrontare i propri prodotti, processi, prassi e
servizi con quelli relativi ad imprese concorrenti operanti nel medesimo settore di mercato;
 BENCHMARKING FUNZIONAPE: finalizzato a confrontare le proprie funzioni (amministrative,
logistiche, marketing, ricerca e sviluppo…), in termini di struttura, metodologia e risorse, con
quelle relative ad imprese concorrenti, o appartenenti ad altri settori;
 BENCHMARKING GENERICO: finalizzato a confrontare i propri prodotti, processi, prassi e
servizi, con quelli relativi ad imprese appartenenti ad altri segmenti di mercato;
 BENCHMARKING INTERNO: finalizzato a confrontare prodotti, processi, prassi e servizi
realizzati da singole unità organizzative, ma tutte appartenenti alla medesima impresa;
 BENCHMARKING STRATEGICO: finalizzato allo studio del sistema aziendale nel suo complesso, al
fine di assicurare che i bisogni del cliente siano sempre soddisfatti;
 BENCHMARKING DI PROCESSO: finalizzato alla ricerca dei migliori processi e prassi
manageriali.
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Il benchmarking nasce dalla fusione delle linee guida di due distinti approcci, quali:
A. CICPO P-D-C-A, noto anche come Ciclo di Deming, le cui fasi sono:
1. P – Plan (pianificare): ossia definire chiaramente gli obiettivi da perseguire e le relative
modalità;
2. D – Do (eseguire): ossia realizzare concretamente quanto pianificato;
3. C – Check (verificare): ossia effettuare un’analisi dei risultati ottenuti e verificare che si
stia procedendo secondo quanto pianificato;
4. A – Act (agire): ossia individuare gli eventuali fattori di ostacolo e adottare i necessari
miglioramenti.
B. PROCEDIMENTO ANAPITICO-SCIENTIFICO, il quale parte dal presupposto che le analisi siano il
miglior parametro di giudizio per l’individuazione dei problemi interni all’impresa e del relativo
grado di importanza. Le fasi sono:
1. definizione del problema: conoscere la realtà aziendale, individuare i problemi ed elaborare
un piano per la loro soluzione;
2. raccolta informazioni: ossia predisporre un adeguato sistema per la raccolta, analisi e
interpretazione dei dati;
3. studio di proposte di miglioramento: ossia elaborare idee e soluzioni di miglioramento;
4. implementazione delle proposte di miglioramento: ossia realizzare concretamente le
soluzioni proposte:
5. verifica dei risultati e follow up: valutare i risultati dell’applicazione e correggere
eventuali inconvenienti.
Pertanto, dagli approcci appena visti, prende vita il benchmarking, le cui fasi sono:
1. misurazione: ossia conoscere l’organizzazione aziendale e raccogliere tutte le informazioni
relative alle attività aziendali, al fine di individuare i punti di debolezza che necessitano di
innovazione e miglioramento, ovvero r necessario definire l’oggetto del benchmarking;
2. pianificazione: dopo aver individuato l’oggetto del benchmarking, r necessario quantificare le
risorse necessarie e formare la squadra di lavoro, assegnando a ciascun membro le relative
funzioni e responsabilità;
3. raccolta informazioni: relativamente ai partners rispetto ai quali confrontarsi;
4. analisi: analisi di tutte le informazioni raccolte e definire soluzioni innovative, in relazione allo
specifico processo di benchmarking;
5. attuazione: ossia individuare e realizzare le soluzioni più interessanti ed innovative.
I due principali strumenti per lo svolgimento di tale attività sono:
 il frame, il quale r uno strumento di diagnosi della realtà aziendale, al fine di individuare le aree
di importanza strategica per la gestione aziendale;
 l’index, r uno strumento che consente di valutare e comprendere la dimensione economico-
finanziaria delle aziende.
Tuttavia, per molto tempo il benchmarking r stato uno strumento riservato alle sole imprese di grandi
dimensioni, per ragioni organizzative e di costo, ma con l’introduzione delle tecnologie informatiche, il
suo utilizzo r stato esteso anche alle PMI.

P’ACTIVITY BASED COSTING


L’ABC – Activity Based Costing, consiste nell’imputare i costi in relazione alle attività elementari
effettive e generatrici di valore, ovvero in relazione alle risorse impiegate per lo svolgimento di attività
di marketing, di produzione, consegna e assistenza post-vendita.
A tal fine, r necessario:
 individuare i cost-drivers, ossia i centri di costi anche con misure non monetarie, in quanto
riflettono le ragioni per le quali dette attività vengono svolte e la quantità di risorsa necessaria;
 il costo delle risorse consumate, viene attribuito alle singole attività;

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 i costi, così individuati, sono poi inseriti negli APC – Activity Pool Cost, i quali includono i costi
relativi allo svolgimento di attività analoghe per la realizzazione di prodotti diversi.
I principali limiti di tale metodologia sono:
 definizione delle attività elementari, con particolare riferimento a quelle strutturali (o di
supporto), più che di quelle operative;
 rischio di focalizzarsi eccessivamente sulle singole attività, tralasciando i processi;
 incertezza e discrezionalità, in merito alla stima e riparto degli ammortamenti e degli altri
costi indiretti, il cui ammontare e funzione della complessità (C), varietà (v) e volume (V).
Pertanto, in considerazione di tali limiti, gli studiosi hanno semplificato tale metodologia, potendo
parlare di APC – Activity Process Costing in cui l’oggetto di osservazione e misurazione, r
rappresentato dall’intero processo aziendale e non dalle singole attività.
Alla tecnica dell’ABC, può essere collegato il sistema del target-costing, il quale consente di definire
nelle fasi di progettazione e pianificazione, i miglioramenti in termini di efficienza che si intende
realizzare nel corso della vita economica del bene, al fine di individuare il costo obiettivo (target),
ossia il costo minimo sostenibile.

È necessario porre un riferimento anche ad un’altra metodologia, quale il TA – Throughput Accounting,


idonea soprattutto laddove il costo dei materiali diretti e la velocità di produzione, assumono un peso
rilevante. Con tale tecnica, si tende a porre in evidenza i costi opportunità (es. accumulo di scorte in
eccesso rispetto alle richieste di mercato per migliorare la produttività e l’efficienza degli impianti): r
necessario determinare il margine di contribuzione (ricavi di vendita – costi di materiale diretto) in
rapporto all’unità di tempo che ciascun prodotto ha consumato nel collo di bottiglia e la produzione r
conveniente, se tale margine risulta superiore al costo del collo di bottiglia per unità di tempo.

ANAPISI E CONTROPPO DEPPE SCORTE


Tale attività consiste nell’effettuare controlli e rilevazioni al fine di contenere l’entità degli
investimenti in scorte, ovvero verificare che, il livello delle scorte, senza essere eccessivo, soddisfi le
esigenze del processo produttivo e del servizio logistico da garantire alla clientela, così da consentire
tempestivi miglioramenti qualitativi e dei tempi di approvvigionamento.
a) indice di rotazione del magazzino: esprime il numero di volte in cui, in un dato arco di tempo, si
provvede al totale rinnovo delle scorte e alla relativa attività di manutenzione .
In particolare:
 una lenta rotazione degli stock, pone in evidenza che il livello delle scorte, risulta essere
eccessivo rispetto all’andamento delle vendite, generando costi e rischi eccessivi e,
pertanto, saranno realizzate politiche di ribasso dei prezzi, vendite promozionali, si
ridurranno gli acquisti e si allungheranno i tempi di riordino;
 una veloce rotazione degli stock, pone in evidenza una corretta programmazione degli
acquisti ed un corretto andamento della redditività e dell’attività aziendale, la quale
dipende:
o da un’efficiente capacità produttiva e commerciale dell’impresa;
o da un minor fabbisogno di investimenti in scorte , e di conseguenza, minori oneri
finanziari;
o da una ridotta incidenza delle spese generali , con particolare riferimento ai costi di
magazzinaggio.
È possibile distinguere due modalità di calcolo:
- a quantità fisiche: applicato da quelle imprese, le quali effettuano le rilevazioni di
magazzino, considerando solo la quantità e non il valore delle merci movimentate;
- a valori: purché le quantità siano tra loro omogenee;
b) IRF - indice di rotazione fisica: r dato dal rapporto tra la quantità di merce venduta in un dato
arco di tempo (somma degli scarichi di magazzino ) e la quantità rimasta in magazzino durante

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lo stesso periodo di tempo (consistenza media del magazzino ), ottenuta con una media
aritmetica;
c) IRE - indice di rotazione economica: r dato dal rapporto tra il costo del venduto e il costo
della scorta media. Questo indice, presenta il vantaggio di poter essere applicato alla totalità
delle merci commerciate dall’azienda, rese omogenee dall’emissione monetaria.
I principali indici di valutazione delle scorte giacenti sono:
 Inventory Turnover = costo del venduto/scorte totali;
 Tempo di copertura (giorni) = giacenze (pezzi)/consumi medi (pezzi/giorni);
 Indice di Efficienza Globale degli Impianti = tasso di disponibilità * tasso di efficienza *
tasso di qualità;
 Tasso di Disponibilità = tempo di funzionamento (tempo disponibile – tempo di fermata)/tempo
disponibile;
 Tasso di Efficienza = (tempo teorico di processo * produzione totale)/tempo di funzionamento;
 Tasso di Qualità = (produzione totale – produzione difettosa)/produzione totale.
Per poter realizzare un’armonia e un coordinamento fra le molteplici decisioni aziendali, il controllo
delle scorte necessita di un equilibrio fra gli obiettivi delle diverse politiche dell’impresa, quali:
 la politica commerciale, finalizzata a soddisfare le esigenze della clientela;
 la politica di produzione, diretta ad assicurare un’adeguata disponibilità di prodotti finiti in
condizioni di efficienza;
 la politica finanziaria diretta, da un lato, a minimizzare i rischi di immoblizzo dei capitali e, da
altro lato, r finalizzata a rendere disponibili i necessari mezzi monetari.

ANAPISI DEPPE CATEGORIE DI SCORTE: PA CURVA ABC


Si definisce curva ABC, o diagramma di Pareto, la curva che esprime il grado di concentrazione di un
fenomeno rispetto a due variabili correlate. Tale strumento r di frequente utilizzo nell’ambito della
funzione acquisti e del sistema logistica, in considerazione della sua semplicità di costruzione e di
impiego.
È possibile distinguere tre classi di attribuzione A, B e C e la relativa assegnazione delle scorte r del
tutto arbitraria, ma generalmente gli intervalli sono così definiti:
 codici di classe A: compresi tra l’1% e l’80% e comprendono i materiali di maggiore importanza,
per i quali sono necessari controllo rigorosi, in quanto una minima variazione potrebbe
determinare un considerevole aumento dei costi di gestione;
 codici di classe B: compresi tra l’80% e il 95% e comprendono i materiali di minore importanza,
per i quali sono sufficienti controllo di routine;
 codici di classe C: compresi tra il 95% e il 100% e comprendono i materiali, per i quali non r
necessario svolgere nessun particolare controllo, al fine di evitare oneri aggiuntivi che possono
superare i benefici.
Tale analisi r anche nota come regole 80/20: ossia il magazzino r tanto più equilibrato, quanto nel 20%
delle voci in scorta, r concentrato l’80% del fatturato.

PA BAPANCED SCORECARD
La Balanced Scorecard, anche nota come Scheda di Valutazione Bilanciata r una metodologia di
controllo strategico, utilizzata per descrivere, attuare e gestire la strategia dell’intera organizzazione,
al fine di trasformare missioni e strategie in misure di performance.
L’introduzione della BSC definisce un nuovo sistema di management e ha il merito di coniugare obiettibi
operativi di breve periodo con obiettivi strategici di medio-lungo periodo, realizzando il confronto tra:
- misure finanziarie e non;
- indicatori ritardati e indicatori di tendenza;
- prospettive interne ed esterne all’impresa.

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Questo strumento, può essere efficacemente impiegato sia nel settore pubblico, laddove r attribuita
primaria importanza al servizio reso al cittadino, sia nel settore privato, laddove r attribuita
preminenza al conseguimento del profitto da parte dell’impresa.
Pertanto, l’obiettivo della BSC, r quello di mettere ordine tra i diversi indicatori, al fine di bilanciarli ed
integrali ed individuare le relative connessioni, potendo conoscere in anticipo i possibili effetti
derivanti dallo svolgimento di una specifica attività sulla gestione aziendale.
A tal fine, tale strumento analizza i risultati aziendali relazione di quattro dimensioni:
A. PROSPETTIVA ECONOMICO-FINANZIARIA
I risultati aziendali vengono analizzati in termini economico-finanziari. I più importanti
indicatori sono:
o lo Shareholder Value Approach, in cui il valore azionario r dato dalla differenza tra le
passività e il capitale netto, mentre il valore societario r dato dalla somma tra le
passività e il valore azionario;
o EVA – Economic Value Added: realizza il confronto tra il costo del capitale investito in
aziendale e il costo dei fattori che lo hanno generato;
o ROI – Return on Investment: dato dal rapporto tra il reddito operativo lordo della
gestione caratteristica e il capitale investito, ed esprime il rendimento offerto dal
capitale investito nell’attività caratteristica;
o ROE – Return on Equity: dato dal rapporto tra l’utile d’esercizio e il capitale proprio,
esprime la redditività del capitale di rischio, ossia dei mezzi impiegati dai soci o dal
proprietario dell’azienda;
o ROS – Return on Sales: dato dal rapporto tra il reddito operativo lordo della gestione
caratteristica e ricavi netti di vendita. Esprime la redditività delle vendite e indica
quanto residua dopo la copertura dei costi della gestione caratteristica.
B. PROSPETTIVA DEP CPIENTE
I più importanti indicatori sono:
o quota di mercato dei vari prodotti e servizi;
o tasso di fidelizzazione dei clienti;
o capacità di acquisizione di nuovi clienti;
o grado di soddisfazione del cliente (customer satisfaction);
o livello di redditività del cliente;
o caratteristiche del prodotto/servizio richiesto;
o relazioni con il cliente;
o immagine e reputazione.
C. PROSPETTIVA DEI PROCESSI AZIENDAPI
Questa prospettiva consente all’azienda di individuare i processi critici, nei quali l’azienda deve
eccellere per conseguire i propri obiettivi finanziari e di customer-based, ovvero si tratta di
quei processi che consentono di acquisire e mantenere la clientela e di offrire agli azionisti
elevati ritorni finanziari.
Gli indicatori più importanti in tal senso sono:
o costi delle attività, attraverso l’ABC – Activity Based Costing;
o gestione economica delle attività, mediante l’ABM – Activity Based Management;
o qualità dei processi, attraverso il BPR – Business Process Reengineering.
D. PROSPETTIVA DI SVIPUPPO FUTURO
Questa prospettiva può essere intesa come:
 prospettiva di innovazione e vantaggio competitivo, al fine di individuare
l’infrastruttura necessaria che consenta all’impresa di competere con la propria
organizzazione nel lungo periodo, ovvero l’analisi della competitività, r diretta ad
individuare il posizionamento dell’impresa all’interno del mercato rispetto alle imprese
concorrenti, e gli indicatori più adatti a misurare la performance sotto questo profilo
sono:
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o turnover delle competenze, al fine di valorizzare le risorse chiave;


o time to market;
o indici di flessibilità e di soddisfazione del cliente;
o indici per la misurazione del miglioramento continuo.
 prospettiva del mercato: i manager individuano i segmenti di mercato nei quali l’azienda
può operare, in quanto l’adeguata conoscenza dell’ambiente, r di fondamentale
importanza per poterne affrontare qualsiasi minaccia, o sfruttarne eventuali
opportunità-
In tal senso, gli indicatori più importanti sono:
o quota di mercato posseduta nei diversi segmenti;
o tasso di crescita del mercato;
o grado di concentrazione e differenziazione.
E. PROSPETTIVA DEPPA CUPTURA E APPRENDIMENTO
La cultura aziendale r rappresentata dalle abitudini, dalla formazione e dal continuo processo
di apprendimento, in grado di orientare il comportamento degli individui verso lo svolgimento
delle loro funzioni.
I più importanti indicatori sono:
o il valore delle competenze;
o peso delle ore;
o giornate di formazione.

FASI DI IMPPEMENTAZIONE DEPPA BAPANCED SCORECARD


In considerazione di quanto detto, la BSC si distingue dagli altri strumenti di valutazione, in quanto
considera in un unico documento, un complesso di indicatori scelti in relazioni agli obiettivi e strategie
dell’impresa, raggruppati in schede in modo da fornire diverse prospettive, consentendo una visione
complessiva delle performances dell’impresa e offrire la possibilità di miglioramento, in quanto
collegato con il sistema informativo.
Il processo logico per costruire una Balanced Scorecard, r articolato in 4 fasi:
- Fase 1: definire obiettivi e misure per le variabili critiche di performance finanziaria
Innanzitutto, r necessario definire la strategia, considerando la prospettiva dell’azionista,
individuando gli obiettivi economico-finanziari che contribuiranno a favorire la crescita e la
produttività, ovvero definire i risultati desiderati i quali, tuttavia, non sono sufficienti per
comprende come, gli stessi, saranno raggiunti.
Tali obiettivi, possono essere misurati attraverso:
o il profitto operativo;
o il ROCE – Return on Capital Employed, ossia il rendimento del capitale impiegato
ottenuto dividendo il profitto (al lordo degli oneri finanziari e delle imposte), per la
differenza fra le attività totale e le passività correnti.
- Fase 2: definire obiettivi e misure per le variabili critiche delle performance relativa ai
clienti
Il manager individua i segmenti di clientela e i segmenti di mercato in cui l’impresa intende
competere e, inoltre, realizza delle misure per definire le capacità delle singole business unit,
di creare clienti soddisfatti e fedeli.
Le misure principalmente considerate sono:
o la soddisfazione del cliente;
o la ritenzione del parco clienti;
o l’acquisizione di nuovi clienti;
o la profittabilità dei clienti;
o la quota di mercato e la quota per singolo cliente.
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Tali misura, in particolare, devono essere personalizzate per gruppo di clientela e, pertanto, tali
indicatori potrebbero essere utilizzati con riferimento solo a quei clienti, rispetto ai quali,
l’impresa intende diventare il fornitore dominante.
- Fase 3: definire obiettivi e misure per le variabili critiche della performance sui processi
interni
La creazione di valore, r possibile solo attraverso un’attenta gestione dei processi interni,
ovvero il manager individua quei processi critici, nei quali l’azienda deve eccellere.
Nell’ambito dei processi interni, r possibile distinguere tra:
o processi di innovazione;
o processi di gestione dei rapporti con i clienti;
o processi gestionali operativi.
- Fase 4: sviluppare obiettivi e misure per le variabili critiche di apprendimento e crescita
Questa fase identifica l’infrastruttura che il manager deve realizzare per ottenere la crescita
e il miglioramento nel lungo periodo, ovvero ottenere sostenibilità In tal senso, l’apprendimento
organizzativo e la crescita, provengono da tre fonti: persone, sistemi e procedure
organizzative.
In particolare:
o gli indicatori relativi al personale, possono includere misure quantitative ricavate da
indagini sulla soddisfazione, stabilito, formazione e competenze dei dipendenti;
o le capacità informatiche, possono essere valutate considerando la disponibilità e la
tempestività delle informazioni sui clienti e sui processi interni;
o le procedure organizzative, possono esaminare il grado di allineamento degli incentivi ai
dipendenti rispetto ai fattori di successo dell’impresa, e possono misurare i tassi di
miglioramento

CAPITOPO 14: EPEMENTI DI TECNICA COMMERCIAPE E DI GESTIONE DEGPI SCAMBI


In primo luogo, la tecnica commerciale r quella disciplina che si occupa delle attività di
approvvigionamento e di distribuzioni di beni e servizi, non solo con riferimento alle concrete modalità
di svolgimento delle operazioni in esame, ma anche in riferimento alle clausole contrattuali poste in
essere, da un punto di vista sostanziale ed economico, al fine di preservare il contenuto economico di
tali operazioni definendo, peraltro, i mercati (quali luoghi stabili di scambio) e i servizi connessi .
In linea generale, il mercato può essere definito come quel luogo in cui tutti gli operatori commerciali
possono compiere autonomamente ogni transazione, che sia lecita a norma di legge e, pertanto, da un
punto di vista tecnico – economico, il mercato può essere definito come un insieme coordinato di
negoziazioni o affari riferibili ad una determinata merce o servizio.
Affinché un mercato possa essere costituito, r necessaria la compresenza di due elementi:
o operatori economici che domandano una determinata merce o un dato servizio (compratori);
o operatori economici disposti ad offrire quella data merce o quel dato servizio (venditori).

È possibile effettuare differenti distinzioni dei mercati, in relazione di differenti fattori quali:

 andamento: il mercato può essere:


o calmo: se vi r assenza di domanda e offerta;
o attivo: se le transazioni sono stabili;
o debole: se i prezzi di vendita sono decrescenti;
o forte: se i prezzi di vendita sono crescenti;
o fermo: se le transazioni sono temporaneamente sospese;
o nervoso: se vi sono turbative, che influenzano il buon andamento del mercato;
o invariato: se non vi sono sostanziali cambiamenti rispetto ad un dato periodo di tempo
 sorveglianza: il mercato può essere:
o pubblico: se il mercato r sottoposto alla vigilanza da parte di un’autorità pubblica;

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o privato: se il mercato non r soggetto ad alcun tipo di vigilanza


 disciplina: il mercato può essere:
o organizzato: se le negoziazioni sono realizzate nel rispetto di uno specifico
regolamento;
o libero: se le transazioni non sono sottoposte ad alcuna disciplina
 tipo di negoziazione: il mercato può essere:
o all’ingrosso: se le negoziazioni hanno ad oggetto grandi quantitativi di beni
(generalmente tra imprese di grandi dimensioni);
o al dettaglio: se le negoziazioni hanno ad oggetto singoli beni (generalmente tra impresa
produttrice e consumatore finale)
 frequenza: il mercato può essere:
o permanente: se il mercato r sempre attivo;
o periodico: se il mercato r attivo stagionalmente
 esecuzione del contratto: il mercato può essere:
o effettivo: se il contratto r eseguito prontamente o ad una data scadenza;
o a termine: se l’operazione r ad esecuzione differita nel tempo.

È possibile effettuare ulteriori distinzioni dei mercati, in relazione della sua natura (mercato di
approvvigionamento, di smistamento e di consumo) ovvero, in relazione della sua estensione territoriale
(mercato locale, regionale, nazionale ed internazionale).

I mercati organizzati si caratterizzano per la presenza di un luogo in cui si incontrano domanda e


offerta per la conduzione delle trattative e la conclusione dell’affare, il quale prende forma in relazione
all’oggetto trattato e, inoltre, sono disciplinati da uno specifico regolamento in merito all’ammissibilità
degli operatori e alle transazioni che r possibile effettuare.

A) MERCATO APP’INGROSSO DI DERRATE DEPERIBIPI


L’organizzazione e il funzionamento di tale mercato, sono disciplinati da un regolamento interno, che
l’ente che ha istituto il mercato, ha l’obbligo di adottare in conformità al regolamento emanato dal
Ministero dello Sviluppo Economico.
La gestione degli impianti e dei relativi servizi, r affidata ad una Commissione a livello provinciale
presieduta dal prefetto e composta di 6 componenti, 3 dei quali sono nominati dal comune capoluogo di
provincia e 3 sono rappresentanti delle Camere di Commercio per l’Industria, l’Artigianato e
l’Agricoltura e decidono:
 sulle tariffe dei servizi;
 sul numero dei posteggi;
 sulle modifiche al regolamento;
 sulla sospensione degli operatori.

Ai lavori della commissione, partecipa anche il Direttore del Mercato con voto consultivo e le cui
deliberazioni sono trasmesse all’ente gestore del mercato. Egli rappresenta l’organo di funzionamento
del mercato, applica le disposizioni di legge e di regolamento e, inoltre:
 controlla gli operatori;
 propone iniziative;
 sospende coloro i quali non rispettano il regolamento;
 applica la disciplina.
In questo mercato, le vendite possono essere effettuata o a trattativa privata, ossia direttamente dai
produttori e dai commissionari, tramite i mandatari, ovvero mediante il meccanismo della asta pubblica
e, in questo caso, l’astatore deve comunicare, prima di ogni vendita, la quantità, prezzo e specie di ogni
partita di merce.

B) ASTA COMMERCIAPE
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L’asta commerciale r un mercato organizzato caratterizzato dalla presenza di un unico venditore


(astatore o banditore), munito di apposita patente per l’esercizio di tale professione, e da una
molteplicità di potenziali compratori e, pertanto, r possibile affermare, che l’offerta r unica e la
domanda r molteplice. In particolare, la partita di merci viene aggiudicata al miglior offerente e,
inoltre, quando il compratore accetta il prezzo offerto dall’astatore, il contratto r perfetto dal punto
di vista della cosa venduta e del prezzo (il quale mantiene le caratteristiche di un contratto a
trattativa privata).
Questo mercato, può essere anche definito come vendita pubblica o vendita all’incanto, in quanto la
medesima offerta viene sottoposta alla valutazione di una molteplicità di potenziali compratori,
ciascuno dei quali può offrire un dato prezzo nel proprio interesse, ma in ogni caso, chiunque sia
disposto ad indebitarsi, può partecipare ad operazioni di acquisto e/o vendita all’asta, le quali dovranno
essere presiedute da un commissario d’incanto.

I potenziali venditori di questo mercato sono:


 produttori;
 cooperative di produzione;
 intercettori di prima mano;
 grandi case mercantili.
I potenziali acquirenti di questo mercato sono:
 grossisti;
 cooperative di consumo;
 agenti per conto dei clienti del distretto;
 grandi magazzini a catena;
 fabbricanti.
Le merci vendute si caratterizzano per:
 quantità rilevante;
 natura particolare;
 produzione stagionale;
 deperibilità;
 rarità.
L’asta, può essere anche distinta in:
a) asta propria: la concorrenza tra i potenziali acquirenti r palese, distinta a sua volta in:
 asta inglese: ciascun compratore aumenta di un tanto l’offerta del precedente, e la vendita
r conclusa all’ultimo prezzo più alto offerto;
 asta olandese: in tal caso, il banditore definisce un prezzo base, il quale si riduce
progressivamente e la vendita si conclude all’ultimo prezzo offerto: se più compratori
accettano il medesimo prezzo, il banditore ritorna all’ultimo prezzo offerto.

b) asta impropria: in tal caso, le offerte sono segrete e, pertanto, la concorrenza tra i potenziali
acquirenti r occulta. In particolare, l’ astatore definisce un prezzo base scritto su un foglio e
chiuso in una busta, e i potenziali acquirenti propongono le loro offerte e le fanno pervenire al
banditore, anch’esse chiuse in una busta, e alla data prestabilita il banditore aprirà le buste e
assegnerà la partita di merci alla migliore offerta (ovviamente superiore al prezzo base).
Infine, l’asta può essere anche distinta in relazione alla natura dei beni oggetto della vendita, in asta
commerciale, se avente ad oggetto beni commerciabili, o asta giudiziaria, se avente ad oggetto beni
sequestrati o pignorati e, pertanto, destinati ad essere trasformati in liquidità.

C) BORSA
La borsa r un mercato organizzato per il perseguimento di una finalità specifica, ossia attraverso
l’accentramento della domanda e offerta e la facilitazione delle contrattazioni, si tende al livellamento
dei prezzi.

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Nella maggior parte dei paesi europei, i mercati di borsa sono soggetti alla vigilanza da parte di enti
pubblici, le cui attività e poteri sono disciplinati dalla legge e sono soggetti ad orari sincronizzati a
livello nazionale.
È possibile distinguere tra:
 “borsa merci”: dove avviene la contrattazione di merci particolari;
 “borsa noli”: dove vengono fissate le tariffe per il noleggio di navi e aerei;
 “borsa valori” o “borsa finanziaria”: laddove le industrie, le amministrazioni pubbliche e le
banche, reperiscono le necessarie risorse per finanziarie le proprie attività, offrendo una
partecipazione agli utili (in termini di interesse o dividendi azionari).
Con particolare riferimento alla borsa merci, essa si caratterizza per la presenza di un luogo (reale o
virtuale) in cui gli operatori (acquirenti/rialzisti, venditori/ribassisti), realizzano una serie di
operazioni nel rispetto di precise regole e distinte in:
a) operazioni a pronti o su effettivo: contratti stipulati in borsa su un campione di merci, o
comunque su partite di merci di immediata disponibilità per la consegna;
b) operazioni a termine o su futuri: contratti che possono essere realizzati solo presso la Borsa
Merci di Milano, e per i quali l’esecuzione della compravendita r fissata, sia per il compratore
che per il venditore, ad una data prestabilita.
In particolare, il vantaggio offerto dai contratti a termine, consiste nella possibilità di non
avere necessariamente la disponibilità materiale delle merci e/o del denaro necessario per
realizzare l’operazione consentendo, pertanto, alle controparti di realizzare un’operazione di
speculazione allo “scoperto”.

Inoltre, nell’ambito della borsa merci, r opportuno distinguere tra:


a. mercato a termine di borsa: laddove l’esecuzione dei contratti r differita nel tempo secondo
periodi convenzionali (c.d. termini), senza che sia richiesta l’effettiva consegna della merce
negoziata, in quanto l’operatore riceve/consegna il differenziale di prezzo tra quello negoziato
e quello ufficiale corrente alla data di scadenza del contratto ( prezzo medio comparato,
prezzo di chiusura o settlment);
b. mercato dell’effettivo: laddove r prevista l’immediata consegna della merce negoziata.

GPI OPERATORI
I soggetti che partecipano alle operazioni di scambio commerciali sono rappresentati, da un lato, dalle
imprese di produzione, le quali acquistano fattori produttivi e vendono prodotti finiti interponendo, tra
l’una e l’altra operazione, un processo di trasformazione e le imprese commerciali, le quali conferiscono
un maggior valore ai beni trattati, ma non attraverso un processo di trasformazione, bensì attraverso
un processo di trasferimento nel tempo e/o nello spazio degli stessi.
Inoltre, la compravendita può essere distinta, oltre che al dettaglio e all’ingrosso, in:
 compravendita diretta: se l’operazione avviene tra le controparti senza l’intervento di alcun
intermediario;
 compravendita indiretta: se l’operazione avviene tra le controparti con l’intervento di
intermediari del commercio.

GPI INTERMEDIARI DEP COMMERCIO


Gli intermediari del commercio, sono soggetti che si interpongono tra acquirente e venditore, al fine di
facilitare le contrattazioni e pervenire ad una celere stipulazione del contratto di compravendita . Da
questo si evince, come sia piuttosto evidente la funzione economica esercitata da questi soggetti,
soprattutto nel ridurre le asimmetrie informative, in quanto senza il loro intervento molte transazioni
non potrebbero essere realizzate.
Le principali figure di intermediario sono:

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1. commissionario (art.1731 ss. c.c.): r un mandatario, che acquista e vende beni, in nome
proprio, ma per conto del committente agendo, pertanto, sulla base di un mandato il cui
contenuto, condizioni e limiti sono definiti dallo stesso committente il quale, inoltre, può
autorizzare il commissionario ad operare con una certa elasticità, autorizzandolo ad operare al
meglio, ma sempre nel suo interesse.
Il commissionario, ha diritto ad una provvigione (in percentuale o a forfait) in relazione al
numero degli affari conclusi e, inoltre, può acquistare in nome e per proprio conto, beni che gli
siano stati offerti dal committente ovvero, offrire a quest’ultimo, beni di sua proprietà, purché
si tratti di merci con prezzi pubblici di mercato (es. prezzi di listino) e che il prezzo sia almeno
pari a quello corrente e non peggiore di quello fissato dal committente.
2. agente di commercio (art.1742 ss. c.c.): r un intermediario, che propone la conclusione di
contratti in determinate zone e per conto del suo preponente, senza essere, tuttavia,
autorizzato a concludere gli stessi ed operando, pertanto, sotto la condizione sospensiva salvo
approvazione della Casa.
3. rappresentate di commercio (art.1752 ss. c.c.): r anch’egli un intermediario che promuove la
conclusione di contratti per conto dei suoi preponenti, ma si distingue dall’agente di commercio,
in quanto egli r autorizzato ad indurre le parti alla conclusione degli stessi ed operando,
generalmente, per conto di aziende industriali e commerciali.
4. mediatore (art.1754 ss. c.c.): r un intermediario che pone in contatto due o più parti per la
conclusione del medesimo affare, senza essere legato a questi da rapporti di collaborazione e
rappresentanza.
Il mediatore, ha diritto ad una provvigione da ciascuna delle parti per conto delle quali ha agito,
in relazione all’affare concluso e, inoltre, ha diritto al rimborso spese sostenute per conto delle
parti, anche qualora l’affare non sia stato perfezionato: in particolare, qualora alla conclusione
dell’affare abbiano partecipano due o più mediatori, ciascuno di essi ha diritto ad una quota
della provvigione stabilita.
In particolare, il mediatore, per poter esercitare tale attività, deve essere iscritto
nell’apposito Albo degli agenti di affari in mediazione, deve essere in possesso dei necessari
requisiti morali, di competenza, civili e professionali e, inoltre, non può essere
contemporaneamente iscritto in altri albi o ruoli appartenenti al medesimo settore
merceologico, in cui egli esercita l’attività di mediazione.
5. case di import–export: sono organizzazioni commerciali operanti nell’ambito del commercio
internazionale, come commissionari d’ordine per conto di compratori esteri, raccogliendo ordini
che cercano di soddisfare con merce dell’industriale nazionale o europea.
Le case di import – export, ricavano commissioni piuttosto elevate (in considerazione degli
elevati oneri finanziari sostenuti dalle stesse) e, inoltre, operano a pronti nei confronti dei
fornitori e concedono forme di pagamento dilazionato ai clienti.
6. trading companies: sono società di commercio specializzate negli scambi internazionali,
realizzando differenti tipologie di operazioni, ossia:
 operazioni estero su estero : ossia conclusione di due contratti combinanti, uno di acquisto
da un esportatore estero e uno di vendita ad un importatore estero, aventi ad oggetto la
medesima merce, la quale non transita fisicamente, ma solo finanziariamente nei paesi della
trading company;
 operazioni di countertrade: ossia scambi commerciali tra paesi industrializzati e paesi in
via di sviluppo;

 operazioni di triangolazione: ossia scambi commerciali tra soggetti residenti in luoghi


diversi, sulla base di un contratto principale di importazione/esportazione, con
controprestazione in merci, anziché in valuta.

GPI AUSIPIARI DEP COMMERCIO

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Gli ausiliari del commercio, si distinguono dagli intermediari del commercio, per l’attività di produzione
da questi svolta nel rendere disponibili i necessari servizi per la realizzazione di operazioni di scambio
commerciale. Le principali figure di ausiliario del commercio sono:
1. spedizioniere (art.1737c.c.): r un agente ausiliario che si occupa del trasporto stradale,
marittimo e aereo delle merci, il quale può anche assumere la figura di commissionario d’ordine o
di vettore e, nel qual caso, ne assume i relativi diritti e obblighi.
Una particolare figura di spedizioniere, r lo spedizioniere di dogana, il quale compie una serie
di operazioni alla dogana nell’interesse del cliente (es. pagamento del canone).
2. aziende di trasporto (art.1678 c.c.): le quali, possono assumere differente forma ed
importanza, dal piccolo corriere, che opera per conto di piccoli operatori commerciali, alle
grandi imprese di trasporto aereo, marittimo e terrestre.
In relazione del tipo di trasporto effettuato, r possibile distinguere tra:
 trasporto stradale: su strada ordinaria, su gomma, su strada ferrata e su ferrovia;
 trasporto marittimo: incluso il trasporto fluviale e lacuale;

 trasporto aereo.
In particolare, gli ausiliari che trasportano merci su strada ordinaria, sono aziende
specializzate e iscritte nell’apposito Albo Nazionale degli Autotrasportatori e sono muniti di
apposita licenza. Per quanto riguarda il trasporto di merci, che coinvolge paesi esteri, r stata
approvata la convenzione internazionale TIR in base alla quale, al fine di garantire un agevole
attraversamento degli automezzi alla dogana, gli stessi siano sottoposti a controlli nei soli paesi
di partenza e di arrivo e previa sigillatura del carico.
Per il trasporto ferroviario, la relativa operazione r comprovata dalla lettera di vettura
ferroviaria (nominativa) negli USA chiamata polizza di carico (bill of landing), generalmente
all’ordine.
Nel trasporto marittimo, l’imbarco della merce r comprovato dalla polizza di carico marittima
rilasciata dal capitano della nave al caricatore della merce.
Nel trasporto aereo, la relativa operazione r comprovata dalla lettera di carico aerea,
assimilabile alla polizza di carico del trasporto marittimo.
3. aziende di assicurazione (art.1882 c.c.): sono imprese specializzate nell’assicurare i rischi
delle merci, non soltanto durante la fase del loro trasporto, ma anche in caso di furto o incendio
contro pagamento di un “premio di assicurazione”.
Inoltre, di ausilio alle imprese italiane che esportano merci all’estero, r la SACE S.p.a.
(Istituto per i servizi assicurativi di commercio con l’estero ), inizialmente istituita come
costola dell’INA Assitalia e successivamente trasformata in ente pubblico.
4. aziende di deposito e conservazione: sono magazzini di deposito dotati di ampi spazi di
movimentazione e mezzi di ausilio meccanico. È possibile distinguere, in tale ambito, tra:
 “deposito franco” o punto franco: sono depositi presenti in prossimità dei porti e dotati
di mezzi meccanici per lo scarico delle merci e, inoltre, in caso di merci provenienti
dall’estero, queste godo della c.d. franchigia doganale, ossia dell’esonero di pagare i
contributi doganali;
 deposito doganale: laddove r possibile depositare merci estere, al fine di ottenere dalle
autorità doganali, il rinvio al pagamento dei diritti di confine e, inoltre, qualora le merci
depositate siano di proprietà della dogana, devono essere da questa controllate e
possono permanervi fino a 2 anni (salvo proroga);
 magazzini generali: ossia depositi laddove r possibile depositare merci nazionali e/o
europeo, contro pagamento di un corrispettivo e per le quali vengono rilasciati due
documenti:
o la fede di deposito: la quale attribuisce il diritto di ritirare le merci depositate;
o la nota di pegno: la quale attribuisce un diritto di pegno sulle merci stesse.

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5. istituti di credito: i quali, attraverso operazioni di credito e prestazioni di servizi, rendono


disponibili, agli operatori commerciali, le necessarie risorse e servizi per lo svolgimento delle
operazioni di scambio commerciale.
6. aziende di factoring: provvedono allo smobilizzo finanziario dei crediti commerciali, mediante
la loro acquisizione:
 pro-soluto: ossia assumendosi i relativi rischi in caso di insolvenza del cedente;
 pro-solvendo: ossia non assumendosi alcun rischio e potendo esercitare il diritto di
rivalsa su cedente.
Generalmente, le aziende di factoring anticipano circa l’80% dei crediti commerciali acquistati
e, inoltre, ricavano una commissione costituita di due parti:
o una percentuale calcolata a monte dei crediti, a titolo di gestione degli stessi;
o una percentuale a titolo di interesse, sulle somme anticipate.
7. camere di commercio per l’industria, l’artigianato e l’agricoltura: sono enti pubblici istituiti
presso ogni capoluogo di provincia, cui spetta il compito di coordinare e promuovere gli interessi
agricoli, commerciali ed industriali locali.
8. ICE – Istituto per il Commercio Estero: r un ente pubblico, il cui compito r quello di favorire
lo sviluppo delle imprese italiane all’estero, operando in stretta collaborazione con il Ministero
dello Sviluppo Economico.

PA COMPRAVENDITA
Le operazioni di scambio commerciale, avvengono tra le imprese, mediante la stipula di contratti di
compravendita, i quali determinano il trasferimento della proprietà di beni economici (cose mobili e/o
immobili), dal venditore all’acquirente, contro pagamento del prezzo .
In particolare, questi contratti presentano elementi essenziali ed elementi accessori. Tra i primi vi
sono:
 la merce: deve essere individuata in relazione alla sua:
o qualità: può essere identificata in differenti modi:
 su merce vista o piaciuta: se la merce r interamente presente nel luogo di
contrattazione;
 su campione: se il venditore mostra al compratore, solo un campione della merce
che può essere ceduta;
 su campione tipo: in tal caso, il campione tipo potrebbe essere differente dalla
merce, che sarà poi consegnata al momento dell’esecuzione del contratto;
 su descrizione: la merce non r mostrata dal venditore al compratore, al
momento della contrattazione, bensì r descritta in modo dettagliato, affinché
possa essere individuata da un suo punto di vista qualitativo.
o quantità: può essere determinata in relazione ad una certa unità di misura, o
considerando un certo numero di colli.
 il prezzo: può essere determinato in relazione ad una certa unità di misura, ad un certo numero
di colli o considerando un particolare prodotto industriale.
Tra gli elementi accessori rientrano, invece, la condizionatura, l’imballaggio, il tempo e luogo di
consegna.
Nell’ambito della compravendita, occorre precisare che:
 in caso di compravendita di cose determinate, il trasferimento della proprietà si verifica al
momento della stipulazione del contratto;
 in caso di compravendita di cose determinate solo nel genere, il trasferimento della proprietà si
verifica nel momento di individuazione delle cose stesse.
In particolare, in caso di contratti di compravendita tra operatori esteri, r necessario effettuare
alcune considerazioni in merito alle diverse leggi degli stati ovvero, ai dubbi che sorgono nel momento in
cui r necessario decidere la legge di quale stato r possibile applicare al caso concreto e, pertanto, in

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alcune circostanze, gli operatori utilizzano contratti tipo predisposti dalla Camera di Commercio
Internazionale di Parigi e contenenti la disciplina in materia di trasferimento dei rischi ovvero, in altre
circostanze, la vendita può essere effettuata con un semplice ordine di fax o di posta elettronica.

In particolare, il perfezionamento del contratto di compravendita, richiede il rispetto di condizioni


essenziali per entrambe le controparti, ossia:
o consegna della merce dal venditore all’acquirente, contro pagamento del prezzo pattuito ;
o pagamento del prezzo dall’acquirente al venditore, contro consegna della merce .
Inoltre, al momento della conclusione del contratto di compravendita, ne vengono definite anche le
condizioni finanziarie, in riferimento a:
a. luogo di pagamento: r possibile distinguere tra:
 paese dell’acquirente: in tal caso, l’acquirente richiede che il pagamento sia effettuato su
sua piazza, soprattutto al fine di non dover sostenere l’onere di trasferire risorse
finanziarie altrove;
 paese del venditore: in tal caso, r il venditore a richiedere che il pagamento sia effettuato
su sua piazza, soprattutto al fine di attenuare il possibile rischio di insolvenza del
compratore;
 paese terzo: in tal caso, le parti prediligono la scelta di una terza piazza generalmente
coincidente con la destinazione finale delle merci.
b. momento del pagamento: r possibile distinguere tra:
 pagamento anticipato: l’impresa importatrice provvede al trasferimento valutario prima di
aver ricevuto le merci generando, pertanto, un finanziamento nei confronti dell’impresa
esportatrice;
 pagamento posticipato: l’impresa importatrice provvede al trasferimento valutario dopo
aver ricevuto le merci generando, al contrario, un finanziamento da parte dell’impresa
esportatrice nei suoi confronti;
 pagamento in via contestuale: il pagamento della merce avviene nel momento in cui lo
spedizioniere o il vettore, provvede al ritiro o consegna della merce.
c. mezzo di pagamento: potendo distinguere tra:
 ordine di pagamento: l’impresa importatrice autorizza la propria banca ad addebitare
l’importo delle merci, in favore della banca di cui l’impresa esportatrice r correntista;
 assegni bancari” e/o “circolari : sono i tradizionali check emessi dall’acquirente in favore
del fornitore;
 cambiale internazionale: si tratta di tratte spiccate dall’esportatore sul cliente estero
(tratta diretta), ovvero spiccate nei confronti di una banca, la quale si impegna ad
accettarle (tratta indiretta);
 rimessa diretta: si tratta del c.d. cash on delivery, il quale si verifica quando il pagamento
della merce avviene contestualmente alla sua consegna;
 rimessa indiretta: in tal caso, l’esportatore predispone i documenti rappresentativi delle
merci e provvede a presentarli alla propria banca, la quale li inoltrerà alla banca di cui
l’importatore r correntista;
 apertura di credito documentaria: in tal caso, la banca si inserisce nel rapporto diretto tra
acquirente e venditore, assumendo la posizione di debitore principale ed impegnandosi a
pagare l’importo della merce, ovvero accettare la tratta documentata.

In particolare, il commercio con l’estero rende necessario valutare differenti fattori quali, ad esempio:
differenti ordinamenti giuridici, diversi usi e consuetudini, diverse lingue, differenti gradi di solvibilità
ecc.…

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Pertanto, da questo si evince come, nell’ambito delle operazioni di commercio con l’estero, sia
necessario cautelarsi contro il verificarsi di eventuali “rischi”, i quali possono essere distinti in quattro
categorie:
a. rischio paese: consiste nel rischio, che le merci e i crediti in possesso di soggetti esteri, non
possano essere rimpatriati per eventi dipendenti, in tutto o in parte, dai governi locali;
b. rischio controparte: in merito alle difficoltà relative alla valutazione dell’affidabilità della
controparte;
c. rischio commerciale: in merito alla scelta della tecnica più efficiente per addivenire ad una
celere stipulazione del contratto;
d. rischio di tasso/cambio: ossia il rischio di eventuali oscillazioni dei tassi di interesse o della
divisa estera.
Ragion per cui, in considerazioni di questi fattori, che rendono più complessa la stipulazione di contratti
di compravendita, r necessario addivenire ad una graduale formazione della volontà delle parti mediante
la firma di documenti preliminari, al fine di individuare i motivi e gli obiettivi che hanno indotto le parti
a stipulare un contratto di compravendita, affinché gli stessi non possano essere successivamente
rimessi in discussione e tra i quali, il più importante, r la lettera di intenti, la quale contiene i termini
per la sua validità ed eventuale recesso anticipato, ma non r vincolante tra le parti, cui r solitamente
affiancata una confidentially agreement, ossia l’impegno delle parti nel non divulgare le informazioni di
cui verranno in possesso.

CPAUSOPA COMPROMISSORIA E ARBITRATO


La clausola compromissoria r la clausola, in forza della quale, le parti che hanno stipulato un contratto,
o un accordo separato, di rimetterne la risoluzione di eventuali controversie al giudizio di un arbitro.
Il vantaggio di questa soluzione, consiste nella possibilità per le parti di rimettere la risoluzione di
eventuali controversie al giudizio di organi e soggetti competenti e, inoltre, in considerazione del minor
formalismo richiesta, il lodo emesse può essere facilmente riconosciuto anche da altri paesi e, salvo
diversa disposizione, lo stesso deve essere comunicato a terzi.
Un possibile svantaggio, consiste nell’eccessivo costo di tale soluzione rispetto ad un giudizio ordinario,
tant’r che si ricorre a questo rimedio, solo per controversie aventi ad oggetto importi elevati.

INCOTERMS
Gli Incoterms (International Commercial Terms), rappresentano un complesso di clausole commerciali
emanate dalla Camera di Commercio Internazionale di Parigi nel 1936 al fine di garantire, dopo la loro
adozione, un’interpretazione autentica, costante ed uniforme dei principali termini della compravendita
internazionale.
In particolare, l’uso di tali clausole r di carattere volontario e, inoltre, non si sostituiscono in alcun
modo alle regole generali della compravendita, disciplinando le sole obbligazioni tra acquirente e
venditore nell’ambito del commercio internazionale, e non gli eventuali rapporti con soggetti terzi, in
riferimento a:
o consegna della merce;
o costi della spedizione;
o copertura assicurativa;
o sdoganamento della merce all’importazione e all’esportazione.
Ogni termine, r costituito di tre elementi:
1. lo stadio, in cui si verifica il passaggio della proprietà delle merci dall’esportatore/venditore
all’acquirente/importatore;
2. le spese, che devono essere sostenute dall’importatore e dall’esportatore;
3. il tempo e luogo di consegna delle merci all’importatore.
Le 11 clausole Incoterms 2010, possono essere distinte in quattro gruppi:
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 GRUPPO E (clausole di partenza): il venditore rende disponibili le merci nei propri locali;
 GRUPPO F (clausole di partenza): il venditore consegna le merci, ma non paga il trasporto
principale, il cui costo resta a carico del paese importatore;
 GRUPPO C (clausole di partenza): il venditore paga il trasporto principale, ma non si assume i
relativi rischi, i quali restano a carico del paese importatore;
 GRUPPO D (clausole di arrivo): il venditore consegna le merci fino al paese di destinazione.

CPAUSOPE CONTRATTUAPI E RIFPESSI SUPPA POGISTICA


Alcuni elementi del contratto di compravendita, sono particolarmente importanti anche nel sistema
logistico, in quanto l’inserimento di specifiche clausole deve essere effettuato in coerenza con la
posizione dell’impresa nell’area logistica.
La condizionatura della merce, ad esempio, ossia l’insieme delle operazioni necessaria affinché la merce
sia idonea al trasporto e consegna, rappresenta uno degli aspetti che devono essere definiti con
anticipo tra le parti per definire quale vi r responsabile e a carico di chi rimane il costo.
La fissazione del tempo e del luogo della consegna , rappresenta un ulteriore elemento da definire con
attenzione nel contratto, in quanto su esso r basato l’adempimento delle parti. In particolare, la vendita
per futura consegna, dovrebbe includere nel prezzo gli oneri e i rischi di conservazione, considerando
l’eventuale importo versato in acconto.
È noto come con le clausole del tipo franco fabbrica, franco magazzino venditore e, nel commercio
marittimo, FOB partenza il venditore si esoneri da ogni spesa e rischio il cui onere, unitamente a quello
relati vo all’assicurazione, r fronteggiato dal compratore.
Con la clausola CIF, il venditore include nel prezzo e sostiene i costi di trasporto e assicurazione,
lasciando al compratore i rischi derivanti dal trasporto stesso, salvo che non negozi “peso d’arrivo”,
mentre con le clausole del tipo FOB destino, franco domicilio compratore ecc… il venditore si assume
tutti i rischi e relativi oneri.
Una pratica diffusa in alcuni settori industriale r rappresentata dalla clausola punto base (basing
point), in relazione al quale il venditore fissa un prezzo con l’aggiunta di una maggioranza in
considerazione del costo di trasporto fino al luogo di consegna.
È fuori discussione, che tali clausola creino un impulso maggiore ad organizzare in modo efficiente il
sistema logistico, dal punto di vista del fornitore ovvero, da altro lato, alcuni clienti (soprattutto
imprese di medio-grandi dimensioni), potrebbero preferire clausole franco partenza al fine di sfruttare
economie di costo derivanti dal proprio sistema logistico.
Un altro elemento di rilievo r rappresentato dagli sconti quantità, ossia dalla fissazione di un prezzo
correlato con il volume acquistato.
Inoltre, anche i termini di pagamento sono influenzati dalla logistica, in quanto nella strategia dei
prezzi, le imprese concentrano maggiore attenzione al rapporto prezzo/termini di pagamento, ovvero se
i termini decorrono dalla consegna a destino, i tempi di trasferimenti divengono importanti e devono
essere controllati.

COUNTERTRADE
Secondo la definizione generale, le esportazioni in un determinato mercato sono condizionate
dall’accettazione delle esportazioni nello stesso mercato.
Differenti sono i vantaggi del countertrade:
 aumento del commercio con l’estero;
 aumento della vendita di prodotti;
 ricerca di nuovi segmenti di mercato.
Gli svantaggi del countertrade sono:
 sostituzione dei principi della libera concorrenza, con accordi di reciprocità e di protezionismo ;
 costi addizionali in considerazione delle attività aggiuntive (da un minimo del 2%-3%, ad un
massimo del 25%-30%);
 rischio di immettere sul mercato prodotti di scarsa qualità ;
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 rischio di acquistare merci non vendibili o non mercantili.


È possibile distinguere differenti tipologie di countertrade, ossia:
a. counterpurchase: l’esportatore si impegna ad acquistare successivamente beni e/o servizi dal
paese importatore;
b. baratto: scambio diretto di beni e servizi tra paese importatore ed esportatore;
c. buy-back: forma di baratto con la quale, il fornitore di un impianto accetta di essere
remunerato con la produzione futura dell’impianto stesso;
d. offset: r una condizione per esportare beni ad elevato contenuto tecnologico, in contesti
laddove si richiede che una parte del bene sia realizzata nel paese importatore;
e. switch – trading: pratica con cui una società cede ad un’altra il proprio obbligo di acquistare
beni e servizi dal paese importatore;
f. conti di evidenza o conti escrow: le esportazioni in un mercato deve essere adeguate da
importazioni di pari valore.

I MEZZI UTIPIZZATI NEP COMMERCIO INTERNAZIONAPE


Nell’ambito del commercio internazionale, la maggior parte delle merci r trasportata via mare e, in
effetti, la nave rappresenta il mezzo di trasporto più economico, ma anche più lento, seppur sono stati
realizzati notevoli sviluppi in questo settore, soprattutto al fine di agevolare le operazioni portuali.
La nave mercantile, r una nave adibita al trasporto di merci o persone, la quale può essere individuata in
relazione a ben specifiche caratteristiche:
 stazza: ossia volume interno della nave;
 portata: ossia il peso che la nave può trasportare;
 dislocamento: peso della nave stessa;
 velocità: misurata in miglia marine, che la nave può percorrere in un’ora;
 pescaggio: ossia la capacità di immersione della nave.
In relazione del tipo di merce trasportata, r possibile distinguere tra:
 porta infuse;
 portacontainers;
 frigorifere;
 gassiere (secche o liquide);
 LI-LO;
 BI-BO
 LASH;
 RO-RO.
Le navi possono essere anche distinte in:
 navi di linea o liners: se offrono servizi secondo orari e rotte prefissate;
 navi tramps: se offrono servizi “su misura”, in relazione alle richieste del caricatore.
Inoltre, r possibile distinguere tra:
 navi feeders: navi di dimensioni contenute, che fanno la spola tra porti non serviti;
 ocean liners.
Inoltre, r necessario porre un riferimento ai container di cui ne esistono tre dimensioni: 7, 20 e 40
piedi (1piede = 30cm, es. drycargo, opentop, openside ecc…) e alcune diciture sono:
o CY – centro raccolta containers: dopo lo sbarco e lo svuotamento, i containers devono essere
consegnati alla compagnia di navigazione;
o CFS – deposito containers: il container non può lasciare il deposito;
o FCP – full container load: il container r stato riempito dal caricatore e da lui sigillato;
o PCP – Groupage o consolidation: r il contrario del precedente.

I DOCUMENTI MERCANTIPI
La consegna della merce al vettore, o ad un suo agente, consente di individuare il momento dei passaggi
dei rischi e, inoltre, consente di identificare il soggetto, che in base ad un “contratto di trasporto”, si
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assume l’obbligo di custodire le merci in buono stato e di consegnarle al compratore nel luogo di
consegna convenuto.
Pertanto, assume importanza, non solo il momento di consegna della merce al vettore, ma anche tutti
quei documenti predisposti in precedenza per poter raggiungere questo obiettivo, in riferimento ai
documenti di trasporto, ossia quei documenti che accertano l’avvenuta stipulazione del contratto di
trasporto tra vettore e mittente della merce e contenenti:
o l’attestazione di avvenuta consegna della merce al vettore;
o l’obbligo del vettore di custodire le merci in buono stato;
o le condizioni di trasporto.
In particolare, nell’ambito del commercio internazionale, i “documenti mercantili” possono essere
distinti in:
a) documenti rappresentativi: attribuiscono al loro legittimo possessore, il diritto di ritirare o
disporre di una determinata merce.
 trasporto via mare:
o polizza di carico;
o polizza di imbarco;
o delivery order.
 deposito in un magazzino autorizzato:
o fede di deposito e nota di pegno.
b) documenti dimostrativi: documenti che mostrano una determinata condizione della merce.
o documento assicurativo;
o documento di trasporto aereo;
o certificato di origine;
o certificato di spedizione.
c) documenti identificativi: documenti che individuano una determinata partita di merci e le
relative informazioni:
o fattura commercialista;
o lista colli;
o altri documenti o dichiarazioni

A) TRASPORTO MARITTIMO
È regolata dalla Convenzione di Bruxelles e da due protocolli di modifica. La relativa operazione r
comprovata da due distinti documenti, ossia:
 polizza di carico: può essere emesso in favore di un soggetto determinato (nominativa), ovvero
essere emessa all’ordine o al portatore. Inoltre, r possibile distinguere tra:
o polizza tradizionale: il trasporto r effettuato da un punto di carico designato ad un
punto di scarico designato;
o polizza di trasporto intermodale: il trasporto r effettuato in un punto intermedio di
carico e scarico della merce e secondo differenti modalità di trasporto.
 lettera di vettura del trasporto marittimo : a differenza della polizza di carico, r
necessariamente un documento non negoziabile emesso in favore di un soggetto determinato.

B) TRASPORTO AEREO
La relativa operazione r comprovata da due documenti:
 AWB – Air WayBill: r un documento non negoziabile, il quale non r necessario che sia mostrato
al vettore per poter ottenere la consegna delle merci;
 HAWB – House Air Way Bill: presenta le medesime caratteristiche del precedente documento.

C) TRASPORTO STRADAPE
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È regolato dalla Convenzione per il trasporto internazionale di Ginevra e la relativa operazione r


comprovata dalla lettera di vettura stradale, ossia un documento non rappresentativo delle merci,
emesso in favore di un soggetto determinato (nominativa).

D) TRASPORTO FERROVIARIO
È regolato dalla Convenzione COTIF/CIM e la relativa operazione r comprovata dalla lettera di vettura
ferroviaria, ossia un documento anch’esso non rappresentativo delle merci ed emesso in favore di un
soggetto determinato (nominativa).

POPIZZA DI CARICO
È un documento rappresentativo delle merci il quale, attesta l’avvenuto imbarco delle merci su una nave,
in base ad un contratto di noleggio o ad un contratto di trasporto.
La P/C può essere preceduta dall’emissione di altri documenti, ovvero la Shopping Order e il Booking
Note (di scarsa circolazione) ed, inoltre, tutte le P/C emesse sono riepilogate sul Manifesto di Carico.
La P/C può essere distinta in:
 polizza di carico pulita: se non vi sono clausole aggiuntive, che dimostrino una condizione di
difettosità della merce e/o dell’imballaggio”;
 ordine di consegna: emesso al fine di ripartire una stessa partita di merci fra più compratori.

DOCUMENTO DI TRASPORTO AEREO


Il documento di trasporto aereo, r un documento di natura particolare, in quanto dovrebbe essere
ricompreso tra i documenti rappresentativi delle merci, ma r emesso nella forma di documento non
rappresentativo, in considerazione di accordi internazionali del passato e, inoltre, in considerazione
della rapidità con cui viene effettuato il trasporto aereo, un documento rappresentativo potrebbe
pervenire anche dopo l’arrivo delle merci creando disagi al ricevitore.
Tale documento r chiamato AWB-AirWayBill, costituito di 3 originali e 6 copie (per motivi
amministrativi), emessi da una compagnia aerea IATA, o da un suo agente, le cui funzioni sono:
o fattura per il pagamento del nolo;
o documento assimilabile al documento assicurativo;
o lettera di istruzioni per il vettore;
o documento doganale.
In particolare, nell’ambito del trasporto aereo, r possibile distinguerne tra forme principali:
 express: per il trasporto di carichi di urgenza;
 commodities: per il trasporto di carichi di natura particolare;
 tradizionali: per normali spedizioni commerciali.

DOCUMENTO ASSICURATIVO
L’assicurazione, può essere definita come un contratto in forza del quale l’assicuratore, a fronte del
pagamento di un premio di assicurazione, si impegna a risarcire l’assicurato, nei limiti del contratto, del
danno a lui causato da un sinistro. Pertanto, elementi del contratto di assicurazione sono: rischio,
assicurato, assicuratore e premio.
Gli obblighi dell’assicurato sono:
o descrizione del rischio;
o pagamento del premio;
o comunicare il sinistro all’assicuratore;
o evitare o diminuire il danno.
L’unico obbligo dell’assicuratore r provvedere al pagamento della somma prevista al verificarsi del
sinistro.
È possibile distinguere tra tipologie di documento assicurativo:
 polizza assicurativa: r il contratto di assicurazione vero e proprio, contenente tutte le
condizioni contrattuali;
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 certificato di assicurazione: documento contenente le condizioni essenziali ed emesso in caso di


più spedizioni (polizza aperta e polizza flottante);
 cover note (o polizzetta): documento rilasciato dall’assicuratore e non avente alcun valore
giuridico, il quale accerta semplicemente l’avvenuta stipulazione del contratto di assicurazione.

CERTIFICATO DI ORIGINE
Il certificato di origine r quel documento, che accerta l’origine di una determina merce. Tuttavia, non
sempre r agevole individuare l’esatta provenienza di una merce e, pertanto, r adottata come regola
generale quella secondo la quale, si considera come origine il paese in cui la merce ha subito la sua
ultima sostanziale trasformazione.
Altri possibili certificati sono:
 certificato di fumigazione: documento che accerta o meno, se il prodotto abbia subito
trattamenti diretti ad eliminare eventuali batteri;
 certificati di radioattività, analisi…: documenti diretti ad accertare il rispetto di specifici
standard di commestibilità degli alimenti;
 lista colli: al fine di determinare il numero di colli, che compongono una merce al fine di poterne
organizzare l’immagazzinamento.

FATTURA
La fattura r quel documento contabile emesso da un’azienda in favore di un’altra, avente ad oggetto i
beni e servizi della compravendita.
È possibile distinguere tra:
 fattura pro-forma: inviata al compratore prima della spedizione delle merci, per poter rendere
note le relative condizioni;
 fattura consolare: approvata da un rappresentante consolare, al fine di verificare la regolarità
dei prezzi;
 fattura provvisoria: deve essere sostituita dalla fattura definitiva.

PRINCIPAPI TIOPOGIE CONTRATTUAPI


A) FRANCHISING
Il franchising rientra nella categoria dei contratti di distribuzione e può essere considerato come un
rapporto tra soggetti autonomi e indipendenti (franchisor e franchisee), al fine di distribuire beni e/o
servizi.
In pratica, il franchisor, azienda di maggiore influenza e in possesso di determinati requisiti, concede al
franchisee, impresa di minore importanza, il diritto di utilizzazione della propria immagine, del proprio
marchio e della propria rete distributiva, al fine di ottenere un miglior posizionamento sul mercato,
ovvero il franchisee, pur svolgendo un’attività autonoma, può avvalersi dell’assistenza tecnica del
franchisor e della sua consolidata rete distributiva.
È possibile distinguere differenti tipologie di franchising, quali:
- quelle che regolano i rapporti fra il produttore e il venditore al dettaglio (es. Benetton e
Calzedonia);
- quelli tra distributore e dettagliante (o grossista);
- i c.d. franchising industriali, tra produttore e uno o più grossisti;
- quelli aventi ad oggetti l’offerta di servizi (es. McDonald’s nel campo della ristorazione).

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Dal franchising, deve essere distinto il contratto di concessione di vendita, con il quale il venditore si
impegna a non vendere la stessa merce in una zona riservata in esclusiva al compratore/concessionario ,
nell’ambito del quale, l’esclusività r reciproca, ma può anche essere unilaterale.

B) PICENZA DI BREVETTO E DI KNOW–HOW


Hanno ad oggetto il trasferimento, da parte di un licenziante, di informazioni tecnologiche e di diritti
di sfruttamento di brevetti, ad un licenziatario verso il pagamento di un corrispettivo.
Attraverso questa operazione, un operatore in possesso di metodologie produttive innovative, mette a
disposizione di un altro operatore le sue conoscenze, le quali non dovranno essere divulgate a soggetti
terzi e, pertanto, il contratto contiene una clausola di segretezza ( confidentially), ovvero questo
aspetto può essere disciplinato mediante il pagamento di un corrispettivo iniziale e il versamento delle
c.d. royalties, determinare in proporzione al fatturato del licenziatario o in relazione ad altri parametri
prestabiliti.

C) JOINT VENTURES
La joint venture consiste nella creazione ex-novo di una società controllata congiuntamente dalle
imprese, che hanno dato vita al nuovo rapporto, con percentuali di capitale non necessariamente
paritetiche, la cui finalità principale r quella di accedere a nuovi mercato con ridotti costi di
avviamento.
I vantaggi sono:
o possibilità di controllare le attività all’estero;
o condivisione e riduzione dei rischi;
o agevolazioni concesse dai governi locali.
Gli svantaggi consistono in:
o aumento della complessità gestionale e organizzativa;
o maggiori costi per potersi dotare delle necessarie struttura per poter operare congiuntamente ;
o autonomia limitata.
Per quanto riguarda la disciplina legislativa da applicare, qualora non sia disposto diversamente, si
applica l’art.4 della Convenzione di Roma, in base al quale si applica la disciplina dello Stato, sul cui
territorio, viene realizzata l’operazione economica.

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