CORPORATE GOVERNANCE
Tali connotazioni sistemiche definiscono, inoltre, un differente sistema di corporate governance, in
riferimento a quell’insieme di norme le quali, condizionando la struttura e la dinamica dell’impresa,
ponendola in grado, o meno, di perseguirne il successo, ne definiscono un particolare assetto
istituzionale, ovvero uno specifico modello di impresa caratterizzato da :
soggetti, che direttamente o indirettamente, sono interessati all’andamento della gestione
aziendale;
i contributi e gli utili da ciascuno di essi percepiti;
le regole istituzionali, che definiscono l’assetto giuridico dell’impresa e le relative regole di
funzionamento.
Tuttavia, proprio la presenza di differenti assetti istituzionali, nonché la polverizzazione della
proprietà, determinando alcune criticità nell’ambito della gestione di impresa, quali:
divergenze di obiettivi tra managers e azionisti;
conflitti di interesse;
asimmetrie informative;
disinteresse dei managers;
monitoraggio degli azionisti sull’operato dei managers.
È possibile distinguere, in particolare, tre modelli di struttura proprietaria, quali:
1. modello a struttura proprietaria chiusa: padronale o familiare tipica delle imprese di piccole e
medie dimensioni (prevalentemente a conduzione familiare) le quali si caratterizzano, da un lato,
per la concentrazione della proprietà in poche mani (generalmente coincidenti con quelle della
sua famiglia, o del suo realizzatore) e, da altro lato, per la scarsa diffusione dei capitali sui
mercati di borsa;
2. modello a struttura proprietaria ristretta: tipico di Francia, Giappone e Germania da cui
deriva il modello renano. La compagine azionaria r articolata e mutevole, ma tendenzialmente
stabile nel tempo, ovvero tale modello si caratterizza, da un lato, per la concentrazione del
capitale nelle mani di un nucleo ristretto di azionisti di riferimento (generalmente coincidenti
con i proprietari originari) e, da altro lato, per la sua diffusione sul mercato di borsa tra una
molteplicità di piccoli azionisti da cui derivano, pertanto, le dimensioni medio-grandi di tali
imprese;
3. modello a struttura proprietaria diffusa: tipico dei paesi anglosassoni, quali USA e Gran
Bretagna e da cui deriva il modello anglosassone, in cui l’azionista di riferimento non si
identifica con l’impresa per il quale, la stessa, rappresenta solo un’opportunità di investimento e,
pertanto, si assiste ad un’ampia diffusione del capitale sul mercato di borsa tra una pluralità di
piccoli azionisti, ciascuno dei quali non detiene quote tali da poter assumere posizioni di
controllo.
1. MODEPPO ANGPOSASSONE
È il modello fondato sul liberismo, ossia sui principi di libero mercato e di libera iniziativa
economica privata e sulle grandi dimensioni e, in effetti, r il modello delle corporations, ossia
grandi società per azioni statunitensi e, in parte, anche britanniche. Inoltre, r considerato un
modello di stampo monistico in quanto, la governance dell’impresa pur essendo affidata a
soggetti diversi, sono tutti afferenti al medesimo organo eletto dall’assemblea dei soci, in
riferimento al consiglio di amministrazione (o board of directors), il quale rappresenta l’organo
di funzionamento dell’impresa e il quale, comprende due categorie di membri:
membri esecutivi: o insider directors, i quali svolgono funzioni manageriali e tra i quali, inoltre,
r nominato il CEO-Chief Executive Officer, analogo all’amministratore delegato;
membri non esecutivi: o outsider directors, i quali svolgono prevalentemente funzioni di
controllo sull’amministrazione nell’interesse degli stakeholders esterni.
Tuttavia, tale modello fondato sulle Public Company, r stato oggetto di forti critiche nel corso
degli anni’80 per il diffuso fenomeno delle scalate ostili (o takeover ostili) attuate
letteralmente dai raider (assalitori) mediante il ricorso ad una specifica forma di
indebitamento, nota come PBO-Peverage Buy Out (pratica regolamentata anche in Italia
all’art.2501-bis c.c. nel caso di fusione con il patrimonio della società acquisita, assunto a
garanzia del rimborso del debito contratto per l’acquisizione), il quale consiste nel dismettere le
attività aziendali acquisite al termine della scalata al fine di ripagare, almeno in parte, i debiti
contratti e le cui principali prede erano le conglomerate, ossia grandi imprese diversificate, le
quali erano particolarmente diffuse, non solo per l’allora attuale situazione del mercato, ma
anche per effetto di una severa politica antitrust statunitense la quale, impedendo la creazione
di forti concentrazioni, ha indotto i managers a reinvestire i flussi di cassi derivanti da
precedenti progetti di investimento, in attività tra loro non correlate.
2. MODEPPO RENANO
È un modello fondato sulla economia sociale di mercato, ossia sui principi di libero mercato e di
giustizia sociale e, inoltre, r un modello di derivazione giapponese, anche se presenta talune
affinità con il modello renano tedesco, laddove i lavoratori partecipano alla gestione aziendale.
In effetti:
nelle imprese con meno di 10mila dipendenti, vi r un consiglio di sorveglianza costituito di 12
membri, di cui 6 rappresentanti del capitale e 6 dipendenti;
nelle imprese tra 10mila e 20mila dipendenti, il consiglio di sorveglianza, r costituito di 16
membri, di cui 8 rappresentanti del capitale e 8 dipendenti (di cui 2 sindacalisti);
nelle imprese con più di 20mila dipendenti, il consiglio di sorveglianza r costituito di 20
membri, di cui 10 rappresentanti del capitale e 10 dipendenti (di cui 3 sindacalisti).
In linea generale, tale modello si caratterizza per:
o una comunità di obiettivi;
o una continuità dei rapporti azienda – fornitori e azienda – dipendenti (i managers
agiscono da mediatori tra i diversi interessi in gioco);
o per il forte potere esercitato dal sistema bancario con partecipazioni azionarie
incrociate suddivise tra altre imprese collegate, soprattutto, al fine di ovviare al divieto
imposto dagli Stati Uniti, dopo la 2°guerra mondiale, di non poter creare holding.
3. MODEPPO ITAPIANO
L’Italia insieme ad altri paesi, quali Spagna, Portogallo, Francia, Belgio e Grecia, considerati
dalla storia economica quali paesi ritardatari, in quanto in tali zone il processo di
industrializzazione ha avuto inizio solo a partire dal XX secolo in poi, r considerato parte
integrante del c.d. sistema latino, il quale si caratterizza per tre aspetti fondamentali:
o azionista di controllo;
o forti legami tra imprese;
o scarso ruolo esercitato dal mercato dei capitali .
In particolare, in Italia r possibile osservare la presenza di tre tipologie di imprese:
1. PMI: si tratta, per l’appunto, di imprese di piccole e medie dimensioni, la cui crescita
dimensionale incontra i limiti del controllo familiare e delle risorse limitate e, anche se in
passato era diffuso il motto piccolo e bello quale prerogativa per poter superare le
difficoltà del mercato, oggi vi r necessità di concentrazione delle nostre imprese, in quanto
il limite del controllo familiare, ne impedisce la crescita dimensionale nella misura richiesta
del mercato.
Una possibile alternativa, potrebbe essere rappresentata dalla creazione di “consorzi”, con
l’obiettivo di:
o non disperdere l’autonomia e l’individualità delle nostre imprese ;
o ridurre i costi durante le fasi di approvvigionamento e produzione di beni e servizi ;
o penetrare i mercati con propri canali distributivi , anche al fine di contrastare l’azione
della GDO-Grande Distribuzione Organizzata.
2. COOPERATIVE: realizzata da un gruppo di soggetti, i quali volontariamente si uniscono per
costituire e gestire in comune un’attività economica, il cui principale obiettivo, r quello di
fornire prevalentemente ai soci, i beni e/o servizi per i quali gli stessi si sono
volontariamente riuniti e, pertanto, caratteristica fondante delle cooperative r la c.d.
mutualità;
3. SOCIETA’ A CONTROPPO PUBBPICO: si tratta di un fenomeno particolarmente diffuso in
Italia durante la crisi delle grandi imprese e realizzata mediante la formula dello Stato-
imprenditore, ovvero attraverso un complesso di partecipazioni statali, al fine di garantire
una capillare copertura territoriale, nonché la massima efficienza nella fornitura dei servizi
pubblici.
È necessario anche chiarire quali siano gli obiettivi di ciascuna strategia aziendale:
- se l’obiettivo r mantenere una leadership di costo, r necessario che la struttura produttiva
dell’impresa sia rigida, con elevati volumi di produzioni per pochi articoli standardizzati, al fine
di coniugare economie di scala e curve di esperienza (rappresentazione grafica della relazione
che lega l'andamento del costo medio unitario del bene prodotto al volume
di produzione cumulata);
- se l’obiettivo r, invece, la differenziazione r necessario che la struttura produttiva dell’impresa
sia particolarmente flessibile, in grado di fornire un’ampia gamma di prodotti/servizi di medio –
alta qualità ovvero, di immetterne di nuovi sul mercato in tempi brevi e a costi contenuti;
- se l’obiettivo r, infine, la focalizzazione, l’impresa concentrerà la propria attenzione su uno
specifico settore/segmento di mercato cercando di escludere l’ingresso di altri concorrenti. In
tal caso, r necessario che il sistema di fornitura applicato dall’impresa, sia differente da quello
applicato da altre imprese operanti nel medesimo segmento di mercato, ovvero sarà necessario
rivolgersi a clienti con bisogni insoliti.
Nell’ambito delle differenti strategie aziendali, r necessario anche considerare l’importante ruolo
svolto dall’introduzione delle moderne tecnologie informatiche, le quali creano un processo di continuo
cambiamento caratterizzato dal succedersi (susseguirsi) di soluzioni innovative. In effetti, nel contesto
competitivo attuale, caratterizzato da una crescente globalizzazione, saturazione dei mercati e da un
sempre maggior numero di imprese (nazionali e multinazionali) localizzate in Paesi emergenti e a bassi
salari, solo un’impresa dotata di una formula imprenditoriale aggressiva r in grado di percepire il
cambiamento e adeguarsi tempestivamente ad esso.
In tale contesto, rientra quello che Ansoff ha definito come Management per risposta
flessibile/rapida, il quale identifica una situazione in cui molte grosse sfide si sviluppano in modo
troppo rapido da poter essere gestite anticipatamente , cui può essere associata la distinzione operata
da Mitznberg tra:
- strategia deliberata: ossia quella strategia dettagliatamente definita e rivolta a tutti gli attori
aziendali;
- strategia emergente: ossia l’esatto opposto della precedente.
Questo processo di apprendimento, r alla base della definizione della business idea, ossia di quella
formula imprenditoriale che consente all’impresa di generare il proprio vantaggio competitivo e di cui il
marketing, la funzione ricerca e sviluppo, il settore tecnico, organizzativo e produttivo, ne
rappresentano l’hardware.
l’andamento della domanda e/o della produttività del lavoro non consentono la crescita né dell’uno e né
dell’altro, questo potrebbe compromettere la redditività.
Si r diffusa, pertanto, la tendenza verso un diverso dimensionamento degli impianti e dei processi
produttivi, il che ha portata:
a) a decentrare fasi o linee della produzione in più stabilimenti ( multi-plant) della stessa impresa,
in virtù di un piano di ristrutturazione verticale o orizzontale interno;
b) affidare fasi di lavorazione ad aziende esterne, in genere di modeste dimensioni.
Il fenomeno del decentramento produttivo non caratterizza particolarmente il nostro sistema, in
quanto risulta essere una pratica diffusa, a livello internazionale, nell’ambito delle grandi multinazionali,
ovvero r fuori discussione che tale fenomeno sia attribuibile anche alla volontà di superare vincoli
istituzionali (forza sindacale, assenteismo ecc..), al fine di rendere meno rigido l’impiego della forza
lavoro e di recuperare produttività. .
Tuttavia, r necessario confrontare i vantaggi di scala produttiva interna, con l’individuazione delle
risorse finanziarie necessarie per realizzare l’investimento e con il rendimento di impieghi alternativi di
tali risorse (costo opportunità).
La crisi diffusasi nel corso degli anni’90, ha determinato ulteriori modifiche a tale situazione, mediante
il ricorso alla forma del franchising e ad altre pratiche attraverso le quali, le grandi imprese hanno
cercato di ottenere un maggior controllo sulle reti distributive e, quindi, sul mercato e a costi
contenuti.
Inoltre, a tale riorganizzazione ha contribuito anche la privatizzazione delle imprese pubbliche e,
pertanto, il decentramento deriva anche dalla variabilità e instabilità del mercato, che induce a ridurre
i rischi, trasformando i costi fissi di struttura (“ Make”), in costi di acquisto variabili dall’esterno
(“Buy”).
Tali problematiche, hanno riguardato anche le grandi imprese di servizi (banche, grande dettaglio ecc…)
con l’espulsione di alcune attività, determinando il c.d. outsourcing, tale da generare nuove strutture
organizzative, che richiedono un maggior coordinamento, ovvero nell’ambito di tale fenomeno si parla
anche di:
- gli spin-off, che si hanno quando le aziende incentivano alcuni dipendenti, dotati di capacità
imprenditoriale, nell’avviare un’attività autonomia fornendo il necessario supporto e risorse nella
fase di avvio, al fine di alleggerire la gestione aziendale da eccessivi costi fissi e, al contempo,
non perdere la collaborazione di personale dipendente ritenuto valido;
- l’MBO – Management Buy-Out, il quale si verifica quando i dirigenti, i quali credono anche nel
valore di un’azienda in crisi, ne rilevano il capitale azionario (in tutto o in parte) con il sostegno
di una banca d’affari, al fine di ristrutturarla e rilanciarla sul mercato.
Quando si parla di reti di impresa (o network di imprese) ci si riferisce alle reti di unità esterne
caratterizzate dalla presenza di un’impresa guida ( focal firm), la quale rappresenta il punto di
riferimento e la quale necessita della collaborazione di altre imprese, per il perseguimento di obiettivi
strategici e per poter ottenere un miglior posizionamento sul mercato, distinte dalle reti di unità
interne frutto, principalmente, di scorpori di attività aziendali esistenti, creazione di filiazioni per la
gestione di nuove attività o acquisizioni caratterizzate da autonoma identità societaria.
E’ possibile considerare differenti modelli per l’individuazione delle reti di impresa: da un lato, il
Decreto Incentivi ha introdotto in Italia il contratto di rete, in base al quale, le PMI che decidono di
aderire ad un network possono instaurare rapporti commerciali, tecnologici e finanziari con imprese
appartenenti alla medesima filiera produttiva, al fine di ottenere un più elevato potere di mercato e
ottenere vantaggi amministrativi e finanziari e, da altro lato, il Decreto Sviluppo ha apportato alcune
modifiche in riferimento al contenuto del contratto di rete, il quale deve indicare dettagliatamente gli
obiettivi strategici delle attività comuni.
Pertanto, le reti di imprese consentono di perseguire i seguenti obiettivi:
Il CRM – Customer Relationship Management r uno strumento basato sul concetto di fidelizzazione
del cliente, il quale grazie all’introduzione di Internet, consente di raccogliere e analizzare dati in
tempi relativamente brevi rendendo tali strumenti, tra i più diffusi, nell’ambito del commercio market –
oriented, in cui il cliente r il driver dell’intero processo produttivo. Tale strumento, nasce dalla
considerazione che mantenere relazioni commerciali con la clientela già acquisita, sia meno costoso che
acquisirne di nuova.
È possibile distinguere tra tipologie di CRM:
- CRM operativo: il quale comprende procedure e strumenti per l’automatizzazione dei processi di
business, che prevedono il contatto diretto con il cliente;
- CRM analitico: il quale comprende metodologie e tecniche impiegate al fine di ottenere una
migliore conoscenza del cliente, estraendo e analizzando dati direttamente dal CRM;
- CRM collaborativo: comprende metodologie e tecniche per la gestione del rapporto con il cliente
(telefono, fax, email ecc…).
Un’impresa orientata al CRM, crea valore attraverso un processo che si articola in tre fasi:
1. creazione della relazione: l’obiettivo r quello di ridurre i costi di acquisizione ottimizzando la
propria offerta. Questo obiettivo, può essere anche perseguito attraverso l’analisi di dati storici
relativi a campagne precedenti e creando modelli ipotetici di coloro i quali, r più probabile che
parteciperanno ad iniziative simili;
2. sviluppo della relazione: l’obiettivo dell’impresa r quello di individuare ed eliminare gli eventuali
spazi di insoddisfazione del cliente, aumentando il cross-selling ossia la comunicazione dei
vantaggi derivanti dall’acquisto dei beni e servizi offerti dall’impresa stessa ;
3. mantenimento della relazione: l’obiettivo dell’impresa, r quello di mantenere relazioni
commerciali con la clientela acquisita ed intraprendere le necessarie azioni finalizzate a ridurre,
o eliminare, l’eventuale rischio di abbandono.
Per le altre aziende, un ulteriore strumento r lo Swot Analysis Strenght/Weakness,
Opportunities/Threats, in riferimento alla capacità di risposta/adattamento alle minacce/opportunità
dell’ambiente e, inoltre, consente di individuare i punti di forza/debolezza interni , principalmente
adottato dalle imprese di minori dimensioni, o più fragili, le quali non dispongono dei necessari strumenti
o di strutture idonee per percepire segnali relativi ad un processo di cambiamento in corso.
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Nell'ambito degli studi di economia manageriale, r diffusa la concezione, in virtù della quale, l'impresa
sia costituita da:
A) un organo di gestione: riguarda il complesso delle decisioni inerenti i processi, ossia la
definizione della sequenza di operazioni da realizzare, sulla base delle impostazioni definite
dall'organo di governo anche in considerazione della presenza di routines, ossia esperienze
precedenti, le quali da un lato presentano rilevante importanza, in quanto consentono di ridurre
i conflitti tra organi decisionali, ma da altro lato, presentano difficoltà applicativa un contesto
altamente competitivo, qualora vi sia la necessità per l'impresa di consolidare e/o ricercare
nuovi vantaggi, al fine di contrastare l'azione dei competitors (imprese concorrenti).
A tal fine, riveste un'importanza anche un'azione di controllo finalizzata a verificare la
corrispondenza tra l'operato della struttura operativa e le impostazioni definite dall'organo di
governo, fornendo feedback, ossia informazioni utili anche per il processo decisionale.
Pertanto, in considerazione di quanto detto, l'organo di gestione può essere considerato come
un insieme organico di strumenti e funzioni utili, sia per il processo decisionale, che per l'azione
di governo il quale, tuttavia, non può essere applicata all'impresa in modo superficiale, bensì
deve muovere dal suo interno partendo dalla consapevolezza della sua importanza ed utilità e le
cui fasi, strettamente correlate tra loro sono:
1. rilevazione---->contabilità generale;
2. analisi---> contabilità analitica;
3. previsione--->budget;
4. attuazione della struttura aziendale;
5. attività di controllo---> reporting
B) un organo di governo: oltre a garantire la sopravvivenza dell'impresa, adattandola alle
mutevoli condizioni dell'ambiente in cui opera, deve anche garantire il perseguimento di una
molteplicità di obiettivi, che ne garantiscano il successo definiti in condizioni di “consonanza” e
“risonanza” con i sovra-sistemi. In particolare, tra i molteplici obiettivi perseguiti da un'impresa
vi r, ad esempio, la realizzazione del profitto, ossia il perseguimento dell'equilibrio economico il
quale, tuttavia, quando r raggiunto, può essere considerato come condizione necessaria, ma non
sufficiente affinché l'impresa sia anche di successo.
Pertanto, se per l'economia classica, l'impresa r un'organizzazione profittevole, la quale r
efficiente nel momento in cui realizza la minimizzazione dei costi e la massimizzazione dei
ricavi, questo non implica, al contempo, che l'impresa sia anche di successo, in quanto occorre
considerare il fattore sociale, ovvero r necessario predisporre un sistema di governo basato sul
rapporto con i propri stakeholder, al fine di coinvolgerli nella mission produttiva in virtù di un
rapporto relazionale, che garantisca dialogo e trasparenza.
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12
questo significa che le passività consolidate sono impiegate anche per le immobilizzazioni a
breve.
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q.tà
Inoltre, la predisposizione di tale modello consente di definire anche un livello di sicurezza, al cui
interno l’impresa deve mantenersi, dato dalla differenza tra le vendite previste (q1) e le vendite del
punto di equilibrio, il quale consente di valutare eventuali decisioni di investimento, che potrebbero
determinare il superamento del BEP. Inoltre, r possibile osservare come, l’impresa, per poter realizzare
un utile r necessario che M>Cf, laddove M rappresenta il margine di contribuzione, il quale assume
rilevanza per l’attuazione di investimenti da realizzare nella struttura operativa: in effetti, ipotizzando
di dover scegliere tra due progetti di investimento, che presentano la medesima quantità vendibile
(superiore a quello di equilibrio) e la medesima quantità di equilibrio, l’organo di governo sceglierà il
progetto con il margine di contribuzione più elevato, ovvero quel progetto caratterizzato da minori
costi variabili.
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ambiente generale: o macro-ambiente, in riferimento a tutte quelle entità con le quali l’impresa
deve interagire per il perseguimento dei propri obiettivi e il quale comprende differenti
sottosistemi
o ambiente fisico-naturale: in riferimento all’insieme delle caratteristiche fisiche e
naturali dell’ambiente in cui opera l’impresa e le quali influenzano le scelte di
“localizzazione”, in quanto l’imprese potrebbero trarre vantaggio dallo svolgimento del
processo produttivo, laddove le condizioni climatiche e l’accesso alle risorse naturali
sono più favorevoli;
o ambiente politico-istituzionale: in riferimento all’organizzazione e al ruolo esercitato dal
potere politico e al complesso di norme, che definiscono l’ordinamento giuridico di un
paese fattori, che possono offrire vantaggi e opportunità, ma anche porre dei vincoli
all’affermazione dell’attività imprenditoriale;
o ambiente socio-culturale: in riferimento all’insieme dei valori etico-culturali, anch’essi
possono offrire vantaggi, ma anche porrei dei vincoli all’affermazione dell’attività
imprenditoriale in un determinato contesto;
o ambiente economico generale: in riferimento, da un lato, all’organizzazione dell’attività
produttiva e al più generale ruolo esercitato dallo Stato e, da altro lato, alla definizione
della struttura operativa, che influenza l’attività economica.
ambiente specifico: o microambiente, in riferimento a tutte quelle entità direttamente
influenzate dall’impresa, quali:
o mercato delle materie prime: dal quale l’impresa reperisce i fattori di produzione
necessari per lo svolgimento del processo produttivo;
o mercato delle tecnologie: il quale fornisce all’imprese i mezzi e il know-how necessario;
o mercato del lavoro: dal quale l’impresa reperisce le necessarie competenze professionali
e il quale risulta essere fortemente influenzato dai “sindacati”, il cui obiettivo r quello
di garantire la salvaguardia dei diritti delle diverse categorie di lavoratori;
o mercato finanziario: dal quale l’impresa reperisce le necessarie risorse finanziarie a
titolo di capitale proprio, o di capitale di terzi;
o mercato di vendita: o di sbocco, laddove le imprese collocano i beni e/o servizi a
conclusione del processo di produzione.
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P’ANAPISI SETTORIAPE
In linea generale, il settore può essere definito come quella parte dell’ambiente economico in cui si
manifestano le dinamiche competitive tra imprese legate da vincoli di omogeneità . A tal proposito,
assumono rilevanza per l’economia manageriale alcuni assunti, quali:
la disomogeneità delle imprese, la quale impedisce l’instaurazione di relazioni stabili di mercato;
la necessità di considerare congiuntamente fattori interni ed esterni al sistema aziendale;
l’importanza della conoscenza empirica del mercato e delle imprese che ne fanno parte;
la concezione sistema dell’impresa e dell’ambiente di riferimento, per la quale ogni azioni
determina una reazione, anche imprevedibile.
In considerazione di tali presupposti, l’economia manageriale definisce l’analisi settoriale come lo
studio di un insieme omogeneo di imprese, finalizzato al raggiungimento di una visione scientifica e
realistica delle condizioni di vita delle imprese, nonché dei relativi rapporti . In particolare, questo
modello, il quale trae la sua origine dall’economia industriale, si pone come obiettivo quello di osservare
le condizioni di imprese, che operano nel medesimo settore di mercato e che svolgono le medesime
funzioni e, l’originalità di questo approccio, a differenza di quello dell’economia classica, consiste nel
considerare l’impresa, non come un soggetto autonomo, bensì come inserito in un ambiente di
riferimento in cui si manifestano relazioni dinamiche tra i vari operatori.
A tal fine, per produrre risultati utili e veritieri, r necessario ridurre l’entità dell’ambiente da
osservare mediante l’utilizzo di un denominatore comune il quale, da un lato, non deve essere
eccessivamente aggregante, in quanto neanche in tal caso sarebbe possibile ridurre l’entità dei
fenomeni da osservare, ma da altro lato, non deve essere eccessivamente limitativo, in quanto si
potrebbe, invece, determinare l’esclusione di fenomeni, che invece, presentano rilevante importanza e il
quale, può essere individuato:
nella produzione realizzata;
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La problematica del rischio, r oggetto di studio dell’ ASV – Approccio Sistemico Vitale, il quale
raccogliendo gli insegnamenti di Corsani e Fazzi sull’importanza del concetto di rischio e di una sua
efficiente gestione e controllo, arricchisce le interpretazioni del passato, anche attribuendo valenza
normativa a tutte quelle transazioni (reali e/o virtuali), che le imprese pongono in essere con i propri
interlocutori.
In particolare, nell’ambito dell’ASV, r possibile distinguere 4 livello di rischio:
rischio esistenziale: r opportuno che sia evitato;
rischio grave: la cui entità r necessaria che venga ridotta;
rischio sostenibile: richiede una attività di controllo e gestione;
rischio marginale: può essere anche ignorato.
Pertanto, la rischiosità consiste nella possibilità, determinata con metodi di carattere probabilistico,
che il risultato economico ottenuto sia differente dal risultato economico atteso, cui si aggiunge il
rischio di non conoscenza e/o insufficiente comprensione del rischio aleatorio e, pertanto, r
l’informazione ad esercitare un ruolo fondamentale nell’attività del risk management, alla quale
coniugando il grado di comunicazione tra le funzioni aziendali, possono derivarne quattro differenti
situazioni:
1. se le informazioni sono ricche di significato, ma la comunicazione all’interno dell’azienda r
assenta, sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma questo non potrà essere affrontato in
modo efficiente al suo manifestarsi;
2. se le informazioni sono ricche di significato e, peraltro, la comunicazione all’interno dell’azienda
r aperta, non solo sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma questo potrà essere gestito in
modo efficiente al suo manifestarsi;
3. se vi r un basso livello di informazioni e, inoltre, la comunicazione all’interno dell’azienda r
assente, non solo non sarà possibile conoscere il rischio futuro, ma ne saranno subiti gli effetti
negativi al suo manifestarsi;
4. se vi r un basso livello di informazioni, ma la comunicazione all’interno dell’azienda r aperta, sarà
possibile conoscere il rischio futuro, ma al suo manifestarsi saranno subiti gli effetti di un
evento erroneamente valutato.
A tal fine, l’impresa può adottare due tecniche per la gestione del rischio:
trasferimento contrattuale in capo ad altri soggetti (es. compagnie di assicurazione);
ritenzione, mediante forme di autoassicurazione.
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2
U = E(R) – A σ
dove:
E(R) = valore atteso;
2
σ = varianza dei rendimenti;
A = grado di avversione al rischio
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Struttura A Struttura B
Ricavi Ricavi
Costi totali
Costi tot.
Costi fissi
Costi fissi
Quantità
q* q* Quantità
In particolare, le decisioni di investimento che vincolano il management per periodi di tempo medio-
lunghi e, pertanto, immodificabili nel breve periodo, sono quelle relative agli investimenti in attività
fisse, che definiscono la pianificazione strategica aziendale (medio – lungo periodo) e, pertanto, sono
definite come decisioni di investimento e determinano il successo/insuccesso dell’impresa e, inoltre,
sono distinte dalle decisioni di breve periodo, relative a scelte gestionali di carattere operativo.
Gli investimenti, in relazione al tempo, possono essere distinti in:
o investimenti duraturi: il cui reintegro avviene in periodi compresi tra 3 e 4 anni;
o investimenti di breve durata: liquidabili in pochi mesi, ma comunque non oltre i 3 anni;
o investimenti di rapido ragiro: in riferimento agli investimenti in capitale circolante netto, ossia
l’ammontare delle risorse finanziarie necessarie per il finanziamento dell’attività di breve
periodo.
Da tutto questo, si evince come le decisioni di investimento siano identificabili nelle attività dello Stato
Patrimoniale (c.d. investimenti palesi) o, in valori non desumibili dalla contabilità (c.d. investimenti
latenti).
Per la quantificazione dei flussi di cassa, r possibile distinguere tra criteri che applicano o meno, la
tecnica dell’attualizzazione. Tra i primi vi sono:
il periodo di reintegrazione o, pay back period;
la redditività media di un investimento (ROI – Return On Investment);
tra i secondi vi sono, invece:
il VAN – Valore Attuale Netto;
il TIR – Tasso Interno di Rendimento.
Inoltre, nell’ambito delle decisioni di investimento r necessario considerare la struttura operativa dei
costi, al fine di determinare il punto di pareggio ovvero, recenti tecniche del capital budgeting, hanno
dimostrato come i progetti di investimento possano determinare opzioni reali, ossia la possibilità di
trarre vantaggio dalla realizzazione di progetti di investimento in contesti caratterizzati da elevata
incertezza (c.d. teoria delle opzioni reali).
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Tuttavia, tale criterio presenta due limiti sostanziali: in primo luogo, non considera l’entità dei flussi di
cassa dopo il reintegro degli esborsi iniziali e, in secondo luogo, non considera la scansione temporale
degli stessi durante il periodo di reintegro.
Generalmente, questo criterio r impiegato per la valutazione di quei progetti di investimento da
realizzare in contesti caratterizzati da elevata incertezza politica, in quanto, proprio in tali contesti, r
di fondamentale importanza la velocità di recupero dei capitali investiti.
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Il NOPAT – NET OPERATING PROFIT AFTER TAXES , r il reddito operativo al netto delle imposte,
calcolato anno per anno, con l’aggiunta delle risorse finanziarie effettivamente generate dalla gestione,
ma non rappresentate dalla contabilità.
Il problema principale di questo criterio, consiste nel determinare un WACC, che sia congruo per ogni
esercizio, in quanto risulta essere influenzato da eventuali variazioni della struttura finanziaria, nonché
dall’eccessiva disponibilità di cespiti aziendali, i quali non subiscono un normale deterioramento nel
corso del processo produttivo.
questa espressione, esprime il rendimento richiesto sul capitale di rischio ( ROE), in funzione del
rendimento richiesto sul capitale investito ( ROI) ed un premio per il rischio, ossia un extra-rendimento
richiesto dagli investitori sul capitale investito, il quale risulta essere influenzato dalla leva finanziaria
(D/S).
Questa espressione r di notevole importanza per poter determinare le capacità reddituali del capitale
di rischio: in effetti, elevati livelli di ROE potrebbero essere determinati da effetti della leva
finanziaria, ovvero da importanti valori del ROI, anche in presenza di un basso grado di indebitamento e,
pertanto, una significativa redditività per gli azionisti, potrebbe avere natura finanziaria, se
determinata dalla leva finanziaria o, natura operativa, se determinata da importanti livelli del ROI.
Inoltre, la finanza aziendale ha dimostrato come, partendo dal modello di Modigliani – Miller, come la
leva finanziaria possa offrire vantaggi, poiché se il capitale di terzi costa meno del capitale proprio, più
l’impresa si indebita, più si crea una fonte di finanziamento meno onerosa, cui sono contrapposti alcuni
svantaggi, in riferimento a:
A. costi di fallimento, connessi a due affermazioni relative alle scelte di investimento, ovvero:
le imprese, che redigono piani di business rischiosi dovrebbero, ceteris paribus, indebitarsi
meno rispetto alle altre imprese, al fine di ridurre il rischio di incorrere in crisi finanziarie;
le imprese, il cui attivo r prevalentemente costituito da attività materiali, facilmente
vendibili sul mercato, dovrebbero indebitarsi più di quelle imprese, il cui attivo r, invece,
prevalentemente costituito da attività finanziarie (immateriali);
B. costi di agenzia e minori opportunità di dedurre altre costi , quali l’ammortamento, in quanto vi
sono altri costi fiscalmente deducibili a dimostrazione del fatto, che il valore dell’impresa r
indipendente dalla sua struttura finanziaria.
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In considerazione delle caratteristiche tecniche dei primi macchinari, i quali erano in grado di eseguire
una o poche sequenze, e in virtù delle capacità lavorative della manodopera, si sviluppo il fenomeno della
specializzazione delle mansioni, il cui obiettivo era la riduzione degli errori e incrementare la
produttività. Successivamente, vennero migliorate le capacità tecniche e produttive e si avviò la
produzione di massa, il cui obiettivo era garantire una costante riduzione dei costi unitari medi
mediante l’incremento dei volumi di produzione.
Il modello gestionale in esame, si basava su un complesso di condizioni (investimenti elevati, grandi
dimensioni aziendali, consistenti volumi produttivi), che ne consentivano l’attuazione in virtù delle
condizioni del mercato del periodo in considerazione, ovvero domanda elevata con ridotta varietà e
offerta modesta e omogenea. Questa impostazione, necessitava di un pieno utilizzo degli impianti di
produzione, per il rispetto dell’economicità, ed un modello organizzativo di tipo gerarchico (vedi es.
Ford “modello T”), ma da altro lato, questo riduceva il numero di investitori.
Il rinnovamento di tale modello fu determinato dalle trasformazioni del mercato (fine anni’20 del
secolo scorso), caratterizzate da una crescente competitività e da una riduzione della domanda,
collegata all’evolversi delle esigenze del consumatore, richiedendo alle imprese di ridefinire la loro
impostazione, al fine di rinnovare la capacità di offerta.
In tale realtà economica, si diffusero le teorie di Schumpeter, il quale teorizzò l’esistenza di tre
concetti tra loro collegati, ma aventi un differente contenuto, ovvero:
invenzione: intesa come manifestazione della coscienza;
innovazione: intesa come capacità di realizzare nuove tecniche produttive;
diffusione dell’innovazione: derivante dalla capacità di imitazione dei concorrenti, riducendo il
vantaggio competitivo dell’innovatore.
Inoltre, tali teorie riconoscono un ruolo fondamentale agli elementi immateriali i quali, in passato,
avevano un’importanza inferiore rispetto ad oggi, a causa delle condizioni ambientali dell’epoca che non
ne consentirono una piena affermazione.
Pertanto, non r più difficile produrre, bensì diviene complesso organizzare un’azienda dotata di
creatività e di stabili e proficue relazioni interne ed esterne, in grado di creare valore, ovvero
l’obiettivo r qu ello di impiegare strutture soft, in riferimento alle imprese dotate di intangible assets,
più che di attività materiali.
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In secondo luogo, r possibile parlare di processi produttivi intermittenti, tipici delle aziende
manifatturiere nelle quali, l’aggiunta dell’attività di montaggio, determina discontinuità e
“intermittenza” nella produzione.
In particolare, r possibile distinguere tra:
a) produzione in serie: o ripetitiva di unità discrete con ridotta varietà ed elevati volumi (c.d.
famiglie di prodotti), attraverso stazioni di lavoro fisse e macchine organizzate in linea;
b) produzioni a flusso lineare su linee spezzate: caratterizzate da reparti con fasi di lavorazioni
svolte in sequenza e accumulo di scorte tra le varie fasi;
c) produzioni per reparti: con impianti multiciclo, per la realizzazione di prodotti in relazione a
specifiche esigenze del cliente;
d) produzioni a lotti: con impianti uniciclo;
e) impianti misti: per produzioni in parte di un tipo, e in parte, di un altro tipo.
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Dopo aver considerato le caratteristiche dei principali sistemi produttivi, r possibile considerare le
differenti alternative di processo, considerando differenti aspetti quali:
A) strategia di risposta alla domanda: l’impresa può realizzare una produzione di tipo:
- Engineer to Order: qualora l’impresa progetti e realizzi un bene a fronte di uno
specifico ordine, includendo varianti e aspetti di personalizzazione;
- Make to Order: realizzato da quelle imprese con prodotti a catalogo, nelle quali le fasi
di progettazione e acquisizione sono effettuate su previsione delle vendite, e le fasi di
fabbricazione e montaggio sono realizzate, invece, su ordine del cliente;
- Purchase to Order: realizzato da quelle imprese nelle quali, la fase di acquisizione delle
risorse necessarie per la realizzazione del prodotto finito, r effettuata dopo il
ricevimento della commessa da realizzare;
- Assemble to Order: realizzato da quelle imprese nelle quali, le fasi di progettazione,
acquisizione e fabbricazione, sono effettuate su previsione e il relativo montaggio r,
invece, realizzato su ordine del cliente;
- Make to Stock: realizzato da quelle imprese nelle quali, le fasi di progettazione,
acquisizione, fabbricazione e montaggio, sono tutte realizzate su previsione delle
vendite.
B) strategia di realizzazione dei volumi di produzione: r possibile distinguere tra:
- prodotto singolo: caratterizzato da scarsa, o inesistente, ripetitività delle operazioni e
da discontinuità del flusso di risorse in entrata/uscita dal sistema produttivo;
- a lotti: produzione di quantità determinate;
- a flusso: caratterizzato da ripetitività delle operazioni e da continuità del flusso di
risorse in entrata/uscita dal sistema produttivo.
C) modalità di realizzazione del prodotto: r possibile distinguere tra:
- produzioni per processo;
- produzioni per parti.
PRODUZIONI JOB-SHOP
I sistemi produttivi di tipo job-shop operano su commessa, per la realizzazione di esemplari unici
(commesse singole), o per la realizzazione di un numero limitato di unità produttive ( commesse
ripetitive) in relazione a specifiche richieste del cliente e, inoltre, i volumi produttivi contenuti, fanno
sì che, la gamma di prodotti realizzata, sia caratterizzata da una marcata varietà e variabilità.
In particolare, nell’ambito di tali sistemi produttivi, le attività di produzione (incluse le fasi di
progettazione e acquisizione) sono effettuate dopo il ricevimento della commessa da realizzare e,
inoltre, in considerazione delle particolari caratteristiche del prodotto finito, r difficile definire
anticipatamente il numero di operazioni da realizzare ragion per cui, le imprese che realizzano
produzioni di tipo job-shop, r necessario che siano dotate di attrezzature e macchinari che possano
svolgere un ampio ventaglio di operazioni ovvero, tali processi produttivi, necessitano di un costante
“flusso informativo” per sincronizzare tutte le fasi del processo produttivo e per esercitare un
controllo costante sullo stato di avanzamento dei lavori.
In definitiva, tali processi produttivi si caratterizzano per due aspetti fondanti:
- flessibilità;
- ridotto fabbisogno di investimenti
caratteristiche fondamentali per la realizzazione di volumi di produzione contenuti caratterizzati da
varietà e variabilità e, inoltre, i maggiori tempi di consegna, sono giustificati dal mercato in
considerazione della necessità di realizzare un prodotto che sia conforme alle specifiche richieste del
cliente.
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Il sistema di produzione a celle, trae le proprie origini verso la metà degli anni’70, quando la casa
automobilistica Volvo tentò di superare la ripetitività tipica della catena di montaggio, realizzando un
progetto pilota per la costruzione di automobili mediante il sistema delle isole, ma questo progetto fu
subito messo in ombra dall’introduzione del just in time, che spostò l’oggetto di attenzione e
osservazione sul Giappone, il quale successivamente ha rivisitato e rilanciato il progetto ideato dalla
Volvo, oggi noto come sistema di produzione a celle, in base al quale a tutti gli operai r consegnato un
kit di montaggio contenente tutti i componenti necessari per la realizzazione di uno specifico articolo.
Il vantaggio ottenuto consiste, da un lato, nella possibilità di esercitare un controllo costante e in
tempo reale sulla qualità dell’output prodotto (soprattutto per prodotti di piccola dimensione) e, da
altro lato, si registra un maggior coinvolgimento degli addetti ai lavori, i quali possono svolgere l’intero
processo di produzione, e non singole e brevi fasi di esso, secondo il ritmo da loro definito e non,
invece, secondo il ritmo battuto dallo scorrimento della catena.
In questa tipologia di sistema produttivo, la produzione può essere realizzata:
- su ordine acquisito, e siamo nel caso delle imprese con prodotti a catalogo;
- su previsione della domanda, e si assiste alle produzioni intermittenti, lanciate sulla base delle
previsioni di domanda per quantità superiori al fabbisogno immediato.
Il sistema di produzione di tipo just-in time, si basa sul fattore tempo, originariamente introdotto in
campo navale, e successivamente ampliato e perfezionato dalla casa automobilistica giapponese Toyota,
ovvero si basa sulla produzione e consegna di beni, o anche dei loro sotto-gruppi, parti componenti e
materiali, solo quando r necessario, ovvero nel momento opportuno, secondo le esigenze di una domanda
tendenzialmente stabile, al fine di semplificare la gestione riducendo le scorte tra le varie fasi di
produzione.
Questo obiettivo, può essere perseguito attraverso la configurazione di impianti con “ macchine di
lavoro multifunzione disposte in linea, in modo da considerare la produzione come un flusso di
operazioni e bilanciando le linee attraverso l’impiego di FMS, ottenendo lotti diversificati più piccoli.
Questa tecnica determina:
- riduzione dei tempi di consegna;
- non si creano stocks di prodotti finiti;
- non vengono sostenuti costi aggiuntivi nelle fasi di lavorazione ;
- si riducono i tempi e gli spazi di movimentazione interna.
Si realizza, pertanto, il modello della lean production, o produzione snella, per poter essere distinta
dalla produzione di massa e di tipo standardizzato . In particolare, per poter realizzare questo modello
di produzione, r necessario il coinvolgimento dei fornitori e del personale dipendente, al fine di
ottenere il livellamento delle operazioni, lavorando pressoché senza scorte e con una quantità di
materiale tale da garantire il continuo e ininterrotto svolgimento del processo produttivo.
Inoltre, il concetto di just-in time r spesso associato al concetto di total quality control, o “zero
difetti”, obiettivo che impone il miglioramento continuo ( kaizen), al fine di evitare interruzioni del
processo produttivo. In particolare, nell’ottica del JIT, la formazione delle scorte r dovuta a guasti o
difetti, nonché a malfunzionamenti e disfunzioni.
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Inoltre, l’acquisizione delle nuove conoscenze tecnologiche, può creare nuovi sviluppi nelle innovazioni di
processo/prodotto e la possibilità di ingresso in nuovi mercati e, pertanto, r necessario, a tal fine,
definire una strategia finalizzata ad incrementare le sinergie tra produzione (inclusa R&S) e marketing,
per lo sviluppo di nuove idee.
Secondo un’impostazione diffusa, l’innovazione tecnologica presenta una curva a forma di S allungata,
con un lento progresso iniziale, forte esplosione successiva e ridotti risultati nella fase di maturità. In
particolare, si troverebbe in posizione vantaggiosa chi individua prima l’andamento della curva e il
relativo limite per esplorare nuove tecnologie alternative.
Inoltre, sul piano dei costi, i ritorni dell’investimento nelle nuove tecnologie, sono misurabili in termini
di:
- minori scarti, rilavorazioni e minori fasi di lavorazione per la maggior uniformità del processo
produttivo;
- razionalizzazione dei consumi di energia (es. tariffe agevolate);
- minori scorte sia di semilavorati (per i ridotti tempi di attesa e di attrezzaggio), sia di prodotti
finiti (per le minori dimensioni dei lotti realizzati);
- minori costi di manodopera (soprattutto diretta, ma anche indiretta).
Tuttavia, resta particolarmente elevata l’incidenza dei costi fissi, principalmente costituiti dagli
ammortamenti, i quali devono essere adeguatamente stanziati in virtù della rapida obsolescenza e il
relativo software, la cui incidenza sul costo globale r crescente.
In definitiva, studi approfonditi individuano i volumi di produzione per i quali r conveniente
l’introduzione delle nuove tecnologie, i quali devono essere coerenti con le esigenze del mercato, anche
per ragioni di ammortamento dell’investimento e di incidenza del costo medio unitario di produzione, ma
al contempo, non devono essere eccessivamente elevati, in quanto in tal caso le economie di scala e di
specializzazione, possono annullare o ridurre i vantaggi derivanti dalla loro introduzione.
CAPITOPO 8: SISTEMI E STRUMENTI DEPPA QUAPITA’
QUAPITA’ E SVIPUPPO AZIENDAPE
La prima diffusione del concetto di qualità, nell’ambito dell’attività di produzione, r successiva alla
Rivoluzione Industriale e alla trasformazione delle modalità organizzative del processo produttivo,
introdotte da Taylor. In tale contesto, le economie di scala rappresentavano il principale obiettivo di
ogni processo produttivo e, pertanto, la qualità era intesa come collaudo, ossia ispezione o controllo
finale diretto a verificare la corrispondenza del prodotto/servizio ottenuto con specifici requisiti
tecnici definiti durante la fase di progettazione dello stesso.
Successivamente, mutamenti sostanziali si sono verificati nel corso della 2°guerra mondiale e in
considerazione dell’esperienza derivante da particolari settori (es. settore militare), il ché impose la
necessità di analizzare il processo produttivo nei suoi aspetti ed elementi più critici, introducendo fasi
obbligatorie di verifica. In particolare, il contributo fornito da settori caratterizzati da elevato
contenuto tecnologico, ma anche da elevata rischiosità (es. settore nucleare, settore aerospaziale
ecc…),
portarono all’introduzione di nuove metodologie, che potessero operare in modo sistematico sul
prodotto, al fine di garantire la c.d. Qualità Assurance (garanzia o assicurazione qualità).
Negli anni’80, in un contesto caratterizzato da elevata competitività e concorrenzialità internazionale,
la qualità era intesa come capacità di soddisfare le esigenze e richieste dalla clientela (c.d. customer
satisfaction), rendendo necessaria l’introduzione di programmi tendenti ad introdurre la “Qualità
Totale” o Total Quality Management: tale approccio, anche in virtù delle teorie di Deming e Juran,
prevede che, non solo l’output debba possedere il massimo grado di questo requisito, ma anche i
rapporti interpersonali all’interno e all’esterno dell’impresa e a ogni livello e questo, ha reso necessaria
una profonda rivoluzione manageriale, concentrando l’attenzione:
o all’esterno, sulla continua soddisfazione delle esigenze del cliente ;
o all’interno, realizzando il miglioramento continuo, un’organizzazione per processi, il
coinvolgimento di tutto il personale dipendente, la produzione snella e lavori di gruppo.
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Il Manuale della Qualità r un documento in cui r esposta la Politica della Qualità e il Sistema Qualità
di una determinata organizzazione o impresa, il quale ha carattere descrittivo e sintetico e, in quanto
tale, r utilizzato come strumento di informazioni all’esterno (nei confronti di enti terzi), in quanto i
principali strumenti di informazioni interna sono:
le procedure, le quali contengono informazioni sulle modalità per eseguire un’attività;
le istruzioni operative, le quali contengono in modo schematico, le informazioni sulle operazioni
da eseguire.
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Da un punto di vista strutturale, invece, la norma non si articola più in 20 punti, bensì in 4 macro-
processi quali:
a) Responsabile della Direzione;
b) Gestione delle Risorse;
c) Gestione del Processo;
d) Misura, analisi e monitoraggio, al fine di garantire il miglioramento continuo.
In particolare, la Norma ISO 9001:2008:
o promuove l’adozione di un approccio per processi;
o attua e migliora l’efficienza di un Sistema di Gestione Qualità – SGQ, definendo i requisiti per
un’organizzazione, che:
o ha l’esigenza di dimostrare la propria capacità di fornire, secondo criteri di regolarità,
beni e servizi che soddisfino le esigenze dei propri clienti ;
o desideri accrescere la soddisfazione del cliente
tali requisiti sono:
individuazione dei processi necessari;
individuazione delle interazioni tra i processi;
individuazione dei criteri/modalità di funzionamento dei processi ;
assicurare le necessarie risorse e informazioni;
attuare le necessarie azioni per garantire il perseguimento degli obiettivi prestabiliti e
garantire il miglioramento continuo.
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A questo punto, l’impresa deve risolvere il problema del make or buy: la tendenza r di delegare
all’esterno fasi di produzione che non si ritengono cruciali avvalendosi di fornitori con competenze
specifiche, anche al fine di evitare di irrigidire la gestione con un elevato numero di addetti non
necessario.
QUAPITA’ E SERVIZI
Gli elementi che contraddistinguono un servizio sono:
intangibilità;
eterogeneità;
inseparabilità delle fasi di produzione, erogazione e consumo del servizio .
Il punto di partenza per poter scegliere quale servizio offrire sul mercato, r l’analisi delle attese della
clientela, le quali possono essere:
a livello desiderato, ossia ciò che il cliente spera di ottenere;
a livello adeguato, ossia la prestazione minima che i clienti ritengono accettabile.
Pertanto, la qualità si concretizza nelle caratteristiche del prodotto/servizio che influenzano la scelta
del cliente finale.
Gli elementi del sistema di erogazione sono:
il cliente e gli altri soggetti;
le strutture produttive;
il front office o personale di contatto;
il back office, in cui i controlli sono più facili, in quanto non vi r il contatto diretto con il cliente
Inoltre, si rendono necessarie apposite attività di verifica della qualità e un modello particolarmente
diffuso r noto come Modello SERVIQUAP, finalizzato a verificare eventuali discrepanze tra
aspettative/desideri dei clienti e le loro percezioni .
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Da questo si evince, come tale funzione sia composita e, in quanto tale, ha avuto un tardivo
riconoscimento nell’ambito della gestione aziendale ed ulteriori fattori hanno contributo ad accentuare
tale situazione, in quanto questa funzione, avendo ad oggetto un complesso di attività operative
differenti, solo in virtù di una concezione sistemica dell’impresa, r stato possibile riunirle in quadro
unificante.
In particolare, negli ultimi decenni r stata attribuita una maggiore considerazione al ruolo svolto dalla
logistica nell’ambito del consolidamento del vantaggio competitivo, in quanto nel contesto competitivo
attuale, caratterizzato da forte personalizzazione dei prodotti, per poter rispondere alla crescente
diversificazione, nonché l’accorciamento del ciclo di vita di alcuni beni, la logistica consente di
realizzare un equilibrio tra la produzione di serie, diretta ad ottenere beni e/o servizi a costi
contenuti e secondo canoni di regolarità e il bisogno di scelte individuali, da parte di una domanda
instabile e sempre più esigente.
Inoltre, Porter ha dimostrare come la logistica, svolga un ruolo fondamentale nella catena del valore,
laddove il valore del prodotto r dato dalla somma delle attività operative, logistiche e di produzione
vere e proprie e il margine di contribuzione, dato dalla differenza tra il valore delle vendite e i costi
sostenuti per le attività primarie (generatrici di valore) e le attività di supporto (acquisizione delle
risorse di base), esprima una misura della competitività dell’impresa, derivante dalla capacità del
management di coordinare, non solo le attività interne all’impresa, ma anche quelle esterne, in
riferimento ai rapporto con i fornitori a monte e con i distributori a valle della catena.
Inoltre, nel definire il ruolo svolto dalla logistica aziendale nell’ambito del sistema aziendale, r
necessario tener conto delle attività, che attendono coloro i quali vi sono preposti, poiché un soggetto
adibito ad una specifica funzione (es. trasporti) non può svolgere funzioni facenti, invece, capo ad altri
soggetti e, pertanto, vi r la tendenza ad una specializzazione, la quale tenderà ad aumentare in
considerazione delle maggiori dimensioni dell’impresa considerata.
In particolare, nelle imprese di grandi dimensioni, si pone il problema di una definizione verticale delle
funzioni logistiche con a capo un responsabile (es. direttore dei materiali), il quale coordina l’attività dei
suoi preposti, creando un ordine gerarchico e, inoltre, a questa organizzazione on-line possono essere
validamente affiancati organi di staff, il cui compito r quello di facilitare il perseguimento degli
obiettivi di impresa.
Inoltre, r necessario che il responsabile della logistica sia collocato in posizione elevata, all’interno
dell’organigramma aziendale, possibilmente al pari del direttore del settore finanziario, del settore
produttivo e del settore marketing, al fine di ridurre i potenziali conflitti fra questi organi decisionali,
in quanto:
il responsabile del settore marketing, ha necessità di un adeguato livello di scorte e di tempi
rapidi di consegna, quindi di un capillare canale distributivo, per poter mantenere il servizio
offerto alla clientela;
il responsabile del settore finanziario, invece, tenderà a comprimere l’entità delle scorte, dei
relativi investimenti e oneri;
il responsabile della produzione ha, invece, necessità di osservare tempi costanti di produzione
per poter realizzare economie di scala e, quindi, ridurre i costi.
In particolare, laddove le funzioni logistiche sono considerate di minore importanza, r possibile creare
uno staff con a capo un responsabile coadiuvato da una serie di collaboratori, i quali operano come
consulenti per la risoluzione di specifiche problematiche e l’adozione delle necessarie soluzioni ovvero,
un’altra soluzione consiste nella creazione di comitati, costituiti da responsabili delle aree interesse i
quali, periodicamente, si riuniscono per la risoluzione di problemi di scarsa prevedibilità.
Pertanto, in definitiva, r possibile affermare che il problema dell’orientamento logistico varia da
impresa a impresa e da settore a settore ed, inoltre, r opportuno che mantenga una struttura
accentrata, anche nelle imprese tendenti al decentramento, in quanto, solo in tal modo, r possibile
realizzare un coordinamento fra tutte le funzioni aziendali ovvero, il problema dell’orientamento
logistico riversa i suoi effetti anche sulla gestione operativa: in effetti, la logistica deve essere
adeguatamente definita al momento della definizione della struttura aziendale in quanto, in periodi
caratterizzati da scarse politiche di investimento, potrebbe essere utile rilanciare la redditività
aziendale attraverso un controllo dei costi e una compressione del ciclo operativo.
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N.B. i materiali con effetto moltiplicativo, sono i materiali con effetto leva
Pertanto, vi r la tendenza, non solo ad una razionalizzazione nella gestione delle scorte, ma anche ad
una più attenta scelta dei fornitori anche in considerazione della possibilità di concludere ordini di
acquisto aperti, ovvero clausole contrattuali concordate per un periodo di tempo sufficientemente
ampio, tale da consentire di instaurare rapporti contrattuali stabili nel tempo .
In particolare, la valutazione della prestazione offerta dal fornitore, può essere effettuata
considerando un complesso di variabili di tipo:
a) economico – quantitativo: con riferimento al prezzo e alla qualità della materia prima acquistata
e comprendenti, a loro volta:
variabili temporali: in riferimento ai concetti di:
o rapidità: ossia numero di giorni, determinati a partire dal giorno di emissione
dell’ordine di acquisto, necessari al fornitore per consegnare le merci al cliente
finale e valutati in relazione alla vicinanza geografica tra gli stabilimenti di
trasformazione e produzione dei materiali;
o puntualità: valutata ex-post, ossia dopo la consegna delle merci, considerando gli
eventuali scostamenti esistenti tra la data di consegna pattuita e la data di
consegna effettiva
variabili tecnico-operative: comprendenti:
o tecniche di condizionamento: comprendenti le operazioni di handling, ossia di
trattamento pre-imballaggio, sia le operazioni di imballaggio vere e proprie;
o tecniche di trasbordo: consistenti nel passaggio della merce da un mezzo di
trasporto ad un altro (es. containers), al fine di evitare la rottura del carico
flessibilità: in riferimento alla disponibilità del fornitore nel concludere ordini di
acquisto aperti, nonché nella capacità di adeguare le modalità di consegna alle esigenze
strutturali e finanziarie dell’impresa di trasformazione
b) qualitativo: in riferimento alla capacità del fornitore di garantire un suo continuo miglioramento
tecnologico e alla possibilità di instaurare rapporti di partnerships collaborativa ( comakership e
codesign).
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L’obiettivo principale del marketing d’acquisto r, pertanto, quello di ridurre i tempi durante la fase di
approvvigionamento, instaurando relazioni proficue con i fornitori e, inoltre, se correttamente
applicato, consente di realizzare notevoli risparmi, anche in termini del 50-70% del fatturato di
un’impresa.
Inoltre, in analogia con il marketing delle vendite, il marketing d’acquisto opera attraverso un complesso
di leve dette di procurement-mix” quali:
leva prodotto: in riferimento alle caratteristiche dei materiali da impiegare per la realizzazione
del prodotto finito, al fine di individuarne eventuali criticità e gestirle in anticipo. Le politiche
di prodotto sono strettamente correlate alla matrice dei materiali di Kralijc;
leva prezzo: in riferimento alla contrattazione delle condizioni economiche, non solo con
riferimento al prezzo in senso stretto, ma anche considerando i costi connessi alla qualità delle
forniture (es. affidabilità, conformità e flessibilità del fornitore);
leva delle fonti di acquisto: monitoraggio dei mercati di approvvigionamento, al fine di
individuare i fornitori più adatti;
tipo di relazione: da instaurare con il potenziale fornitore, la quale può essere di tipo:
o tradizionale: rapporto di mercato di tipo competitivo/opportunistico;
o integrato: realizzato mediante una sincronizzazione delle forniture;
o evoluto: realizzando un vero e proprio rapporto di partnership collaborativa
(comakership)
PA MOVIMENTAZIONE INTERNA
Dopo l’approvvigionamento le materie prime e le parti componenti, devono essere controllate e
conservate secondo la soluzione più conveniente ponendo, di conseguenza, problemi di dimensionamento
dei depositi correlati con la politica degli acquisti e con i volumi di produzione, che si intende realizzare,
al fine di evitare:
oneri aggiuntivi di immobilizzo, qualora lo spazio sia eccessivo;
oneri aggiuntivi di gestione qualora, invece, lo spazio sia insufficiente e, pertanto, si rende
necessario il deposito presso magazzini di terzi;
problemi di movimentazione interna.
La tendenza r a ridurne le dimensioni, creando un’unica area di ricevimento e stoccaggio delle merci,
possibilmente in prossimità dei centri di lavorazione e la relativa disposizione, deve essere effettuata
in modo da ridurre i tempi e le distanze da percorrere tra i reparti di confezionamento e spedizione
(lay-out).
Un’ulteriore problematica da affrontare, consiste nel determinare le linee di montaggio da installare
per poter realizzare una famiglia di prodotti: in tal caso, qualora le materie prime e le parti componenti
in comune siano numerose, r possibile unificare le linee preferendo una linea a serpentina, rispetto ad
una linea rettilinea tradizionale, in quanto la prima consente di ridurre le distanze da percorrere dai
mezzi di movimentazione interna.
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Dopo aver effettuato tutti i controlli qualitativi e quantitativi, la merce può essere immagazzinata
ovvero, in caso di sistemi di fornitura just-in-time, essere consegnata in prossimità delle linee di
produzione. In particolare, nei magazzini industriali la merce r immagazzinata secondo una logica di
immagazzinamento predefinita, correlata con il tipo di prodotto e con il tipo di magazzino da utilizzare,
distinto in:
magazzino automatico;
magazzino semi-automatico;
magazzino manuale.
In ogni caso, la fase di progettazione del magazzino r di fondamentale importanza per poter garantire
un suo corretto funzionamento e, pertanto, nel corso di tale fase, r coinvolto il capo-progetto (il futuro
Responsabile del magazzino), il quale coadiuvato dai colleghi di Tecnologie di processo (o Ingegneria di
produzione), ne definisce le specifiche tecniche.
Da un punto di vista fisico, ogni magazzino consta di tre dimensioni fondamentali:
a) zona di ricezione: la quale deve essere dotata di ampi spazi di movimentazione, poiché gli arrivi
delle merci non sono sempre programmabili e, pertanto, r necessario evitare eventuali
confusioni;
b) zona di imballo e spedizione: la quale richiede minori spazi, in quanto l’esecuzione degli ordini
di vendita r di più facile prevedibilità;
c) zona di stoccaggio: la quale rappresenta il magazzino in senso stretto e il cui dimensionamento
deve essere effettuato con debita attenzione, in quanto da un lato un sovradimensionamento
potrebbe determinare oneri aggiuntivi di immobilizzo e, da altro lato, un suo
sottodimensionamento, potrebbe determinare confusioni tra partite di merci e/o ammanchi.
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In particolare, nell’ipotesi semplicistica, che il lead-time sia fisso, che l’andamento della domanda sia
noto e costante e che il lotto ordinato sia stato interamente consegnato, la scorta ciclica rappresenta
la quantità di prodotto necessaria per far fronte alle esigenze di produzione nel periodo determinato.
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In particolare, il lotto economico cresce al crescere dei costi di ordinazione e del fabbisogno di
approvvigionamento ovvero, si riduce al crescere del costo del capitale da investire in scorte . Tale
tecnica, consente di ottimizzare i costi di gestione delle scorte considerando fattori quali: prezzo di
acquisto, costi di ordinazione, fabbisogno di approvvigionamento e costo del capitale, nell’ipotesi
semplicistica, che tali fattori siano costanti nel tempo, ma si tratta di un’ipotesi non veritiera in quanto,
da un lato si pensi al prezzo di acquisto, il quale oltre certe quantità tende ad aumentare, al pari dei
costi di trasporto.
CT = costi totali
CM = costi di mantenimento
CO = costi di ordinazione
Q = lotto di acquisto
C = costi
Q = √(2*F*Co)/p*i
Un’ulteriore tecnica r quella del modello del punto di riordino, la quale richiede il continuo
monitoraggio del magazzino e, in considerazione di tale difficoltà applicativa, vengono definite delle
scadenze temporali (es. ogni settimana) alle quali si provvede a verificare lo stato della giacenza
esistente e, in particolare, ciascuna di tali verifica comporterà il lancio, se necessario, di un ordine di
acquisto o di produzione pari alla differenza tra la giacenza esistente e il livello ottimale del magazzino
(c.d. livello di reintegro).
In tal caso, la quantità acquistata può solo casualmente coincidere con il lotto economico acquistato e,
inoltre, per quanto riguarda il livello delle scorte di sicurezza, l’acquirente r vincolato da un periodo di
tempo pari a lead time + T, laddove il lead time esprime il preavviso con cui l’acquirente informa il
fornitore sulla quantità da consegnare.
Scorte di magazzino
P.re
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Tuttavia, le tecniche analizzate divengono di più difficile applicazione in caso di ordine singolo in
quanto, in tal caso, l’andamento della domanda non r costante nel tempo e, anzi, potrebbe subire delle
fluttuazioni drastiche da un periodo all’altro. Pertanto, per far fronte a tali circostanze, gli analisti
hanno definito modelli di gestione dei materiali alternativi, noti come one period inventory, realizzati
mediante complessità di calcolo anche con il ricorso a metodo analitici.
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Tuttavia, tale tecnica, anche se r considerata maggiormente efficiente, richiede una notevole quantità
di informazione elaborate con un supporto di tipo informatico e provenienti da:
a) MRS – Piano generale di produzione: il quale definisce cosa e quanto produrre;
b) distinta base: o struttura di prodotto, la quale contiene le informazioni relative alle
caratteristiche dei materiali da approvvigionare, considerato come il risultato di un complesso
di informazioni di natura gestionale e tecnica;
c) lead time: la conoscenza dei tempi di produzione ( lead time interno) e di approvvigionamento
(lead time esterno), consente di lanciare un ordine di acquisto o di produzione, che sia coerente
con i tempi necessari per la realizzazione del prodotto finito;
d) giacenza (inventory record file): il quale contiene tutte le informazioni relative allo stato della
giacenza di magazzino.
In considerazione di tali informazioni, per ogni codice viene deciso quando lanciare un ordine di acquisto
o di produzione e per quali quantità c.d. fabbisogno netto, così espresso:
Inoltre, i progressi nell’utilizzo dei software, nonché l’integrazione delle capacità produttive e delle
risorse finanziarie, hanno consentito di realizzare notevoli miglioramenti di tale tecnica, potendo
parlare di MRP II – Manifacturing Resources Planning in riferimento, non solo all’approvvigionamento di
materie prime e parti componenti, ma di ogni altra risorsa si renda necessaria (impianti, attrezzatura,
personal ecc…), in un’ottica di ottimizzazione e, peraltro, r considerato come il completamento del
C.I.M. – Computer Integrated Manifacturing, ossia l’utilizzo di elaboratori per poter facilitare i
processi di realizzazione e consegna del prodotto finito al cliente finale, includendo anche un’eventuale
assistenza post-vendita.
In particolare, il JIT – Just In Time r un sistema produttivo di tipo pull ovvero, la produzione non r
“tirata” dalle previsioni di vendita, bensì dall’andamento della domanda e, pertanto, in tal caso, il
problema della produzione non r più tanto quello di realizzare centri di produzione meglio integrati,
bensì sincronizzare tutte le fasi del processo produttivo, al fine di mantenere caratteri di efficienza e
flessibilità.
Il raggiungimento di tali obiettivi, che consentono di mantenere un equilibrio tra domanda e offerta,
richiedono un controllo sulla quantità prodotta, la quale deve essere adeguata alle fluttuazioni della
domanda e, inoltre, controlli sull’output ad ogni fase del processo di produzione, il quale deve essere
privo di difettosità.
Il KANBAN, r un meccanismo di gestione delle scorte sviluppato nell’ambito dei sistemi di produzione di
tipo just-in time, attraverso il quale si attivano i diversi centri di produzione presenti all’interno dello
stabilimento.
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In particolare, il Kanban r letteralmente il cartellino con il quale il centro a monte, comunica al centro a
vallo, l’utilizzo di uno specifico componente e la necessità di un suo reintegro. Elementi di tale tecnica
sono:
due centri di produzione (uno a monte e l’altro a valle), un centro di movimentazione e raccolta
materiale;
contenitori per il rifornimento di dimensioni standard;
un kanban di produzione, che autorizza il centro a monte a produrre un determinato
componente, dopo che questo, r stato inviato a valle;
un kanban di trasferimento, utilizzato dal centro a valle per il trasferimento del componente al
centro a monte.
Da un punto di vista operativo, la comunicazione fra i due centri avviene secondo una modalità ben
precisa, ovvero:
1. a valle, dopo il consumo, c’r un contenitore vuoto con un kanban di trasferimento, il quale viene
prelevato dal soggetto incarico e trasportato nella zona di stoccaggio a monte;
2. qui, l’incaricato stacca il kanban di produzione e mette un kanban di trasferimento;
3. il carrello viene portato a valle, e quando i materiali vengono posti in produzione, il kanban di
trasferimento viene posto su una rastrelliera;
4. a monte, il kanban di produzione staccato dal carrello vuoto, viene posto su una rastrelliera per
indicare la quantità di materiale utilizzato.
Questa tecnica, la quale richiede un tempo di rodaggio per un suo corretto funzionamento e il quale,
inoltre, può determinare la progressiva riduzione, se non l’eliminazione delle scorte, necessita del
rispetto di specifiche regole, ovvero:
a) nessun componente deve essere prodotto, se non vi r un kanban di produzione che l’autorizzi, in
quanto una rastrelliera vuota r sinonimo che il centro a valle non ha consumato nessun
materiale;
b) r necessario attribuire priorità in relazione alla posizione del codice sulla rastrelliera ;
c) i centri a valle possono ritirare solo la quantità di materiale che si rende necessaria,
autorizzata dalla presenza di un kanban di trasferimento.
costi di setup (per la riconfigurazione degli impianti al termine di ogni ciclo di produzione).
Le principali fasi del processo di programmazione sono:
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o Shopping Center;
o Case di sconto o Discount;
commercio associato: nelle forme delle unioni volontarie, promosse dai grossisti nei
confronti dei dettaglianti e dai gruppi di acquisto, realizzate tra dettaglianti;
cooperative di consumo;
forme speciali: come ad esempio, le Case di vendita su descrizione e le aziende affiliate con
il franchising”.
In relazione alla dimensione”, ovvero in relazione alla superficie di vendita, r possibile distinguere tra:
a) piccolo dettaglio: distinto, a sua volta, in indipendente e associato;
b) grande dettaglio: suddiviso in grandi punti vendita, con superficie di vendita superiore ai 400
mq. e grandi imprese.
Inoltre, si stanno diffondendo forme di vendita diretta al consumatore, in riferimento al c.d. dettaglio
non-store, il quale non prevede un luogo fisico di distribuzione (es. vendite porta a porta) nell’ambito
dei quali, pur essendo presenti interessi speculativi, si instaura un sistema integrato di altri canali di
distribuzione.
Tuttavia, in Italia un siffatto processo di industrializzazione non generò la piena occupazione, neanche
nelle fasi congiunturali più favorevoli e, anzi, accentuò gli squilibri territoriali e contribuì alla
terziarizzazione del sistema economico. Negli anni ’80, al settore della distribuzione commerciale venne
attribuito il ruolo di ammortizzatore sociale, e di conseguenza, il piccolo commercio r stato configurato
come attività rifugio, accentuando il grado di polverizzazione del settore e la carenza di professionalità
degli addetti (soprattutto al Sud).
Successivamente, ci si rese conto che, un tale settore distributivo con tali difetti, non avrebbe mai
garantito il raggiungimento di specifici obiettivi, senza ridurne l’efficienza e senza accentuare il
processo inflazionistico attraverso il fenomeno di isteresi sui prezzi, il quale consiste nel rialzo dei
prezzi all’ingrosso o alla produzione e nel neutralizzarne il ribasso.
Nel corso degli anni’90, la progressiva riduzione degli squilibri fra distribuzione e industria, in termini
di forza contrattuale, determinò un generale riassetto del settore in termini di una maggiore autonomia
nella formazione dei prezzi, in virtù della creazione di marche commerciali, nell’ambito delle quali, r
possibile distinguere tra:
- marche di fantasia, tipiche dei prodotti a basso costo;
- marca insegna, in tal caso il nome del prodotto coincide con quello dell’impresa e questo
presuppone un’ampia affermazione sul mercato, ma anche il rispetto di determinati standard di
efficienza qualitativa
diffusesi di pari passo con l’ampliamento delle forme distributive.
In particolare, ciò che in passato ha caratterizzato l’assetto del sistema distributivo italiano, r stata la
preminenza, in termini di quote di mercato e numerici, delle unità del piccolo dettaglio tradizionale a
base familiare.
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In secondo luogo, l’innovazione del commercio, la quale si diffonde con nuove forme distributive e
moderne tecniche di vendita, ha consento di colmare i vuoti di offerta presenti sul mercato, in termini
di prezzi e/o prodotti. In particolare, nel corso degli ultimi anni, hanno assunto rilevante importanza le
innovazioni introdotte:
- dagli scanner;
- dai sistemi per il trasferimento di fondi (ETF) e dei dati (EDI);
- dai sistemi computerizzati per la gestione delle scorte;
- dal teleshopping;
- dal commercio via Internet
con particolare riferimento al settore alimentare, il quale r stato maggiormente interessato da tali
innovazioni, anche se sta subendo un profondo processo di razionalizzazione e contrazione dei punti
vendita, da un lato, a causa della concorrenza del settore food e, da altro lato, in virtù delle dimensioni
medio – piccole delle imprese presenti nel settore, anche se nel settore agroalimentare sono state
realizzate alcune operazioni di concentrazione.
In particolare, il processo di acquisto on-line di beni e servizi, si svolge come segue:
1. l’utente, collegandosi al sito dei diversi canali distributivi, può valutare i differenti prodotti
offerti e riempire il proprio carrello virtuale;
2. successivamente, selezionando il giorno e la data della consegna, si impegna ad essere presento
al momento della stessa, al fine di evitare l’applicazione di una penale;
3. la merce, viene così spedita e suddivisa in contenitori per genere di prodotto (es. alimentare e
non alimentare);
4. il pagamento, r generalmente effettuato per via telematica attraverso carte di credito, anche
se molte catene di distribuzione, consentono forme di pagamento in contanti al momento della
consegna.
I vantaggi derivanti da un siffatto processo di acquisto sono in termini di risparmio di tempo,
soprattutto per gli utenti-lavoratori, e di riduzione dei prezzi di acquisto , ovvero il principale
svantaggio per le imprese che offrono questi servizio, r rappresentato dal rischio di veder ridotti i
quantitativi di spesa, in quanto un consumatore che effettua acquisti da casa, sarà meno tentato
nell’acquistare, rispetto ad un consumatore che, invece, si aggira tra gli scaffali.
Un ulteriore impulso allo sviluppo del settore distributivo, r rappresentato dal franchising posto in
essere al fine di porre in relazione operatori locali attivi nella distribuzione e imprese in espansione, il
quale rappresenta la leva più importante per rilanciare la competitività del Sistema – Italia, in termini
di:
- razionalizzazione e modernizzazione del settore distributivo ;
- internazionalizzazione delle PMI;
- riconversione del commercio al dettaglio ;
- promozione di realtà imprenditoriali giovanili.
Questa evoluzione del commercio al dettaglio r stata favorita, non solo dalla politica dei prezzi, ma
anche da un’efficiente politica di assortimento, per cui un allargamento della gamma di prodotti offerti,
ha garantito un flusso costante alla clientela cui contribuisce anche il comportamento strategiche delle
singole imprese.
Pertanto, r possibile ritenere che, solo un sistema distributivo articolato in una pluralità di forme
distributive, può incidere significativamente ai fini della concorrenza in termini di prezzo, soprattutto
a vantaggio del consumatore finale.
A tal fine, l’intervento pubblico nel corso degli ultimi anni, r stato indirizzato a favorire l’ingresso nel
mercato delle tipologie più moderne, le quali possono essere introdotte, non solo dalle grandi aziende a
base capitalistica, ma anche da operatori commerciali tradizionali (indipendenti e associati).
I principali strumenti di intervento, sono stati:
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b) canale corto: prevede la presenza del solo dettagliante e attraverso questa modalità, l’impresa
industriale può ottenere maggiori informazioni sul mercato, in quanto detiene un rapporto
diretto con il dettagliante, ma dovrà sostenere le problematiche relative alla gestione delle
scorte e alle transazioni con esso le quali, invece, nel canale lungo sono gestite dal grossista.
Questo r un canale distributivo principalmente applicato nell’ambito di settori quali: le auto
motive, la gioielleria, la cosmesi e l’alta moda;
c) canale diretto: r caratterizzato dal solo rapporto tra produttore e consumatore finale, ovvero
l’impresa di produzione detiene un rapporto diretto con il compratore finale attraverso una
propria rete distributiva, o mediante altre forme di direct marketing (es. attività promozionali
e campagne pubblicitarie).
Questa r la modalità più costosa per l’impresa industriale, impiegata con riferimento alla
distribuzione di beni strumentali, o di quei prodotti che necessitano di una costante assistenza
post-vendita.
Con il termine RFID – Radio Frequency Identification, ci si riferisce alle c.d. etichette intelligenti in
silicio, dotate di un microchip ( smart-tag) con una piccola memoria, riutilizzabili e non alimentate
elettricamente, basate sulla tecnologia dei tag transponder.
Questo sistema, r impiegato al fine di contrastare e limitare l’immissione sul mercato di prodotti
alimentari confezionati ad elevato rischio, in coerenza con precise regole a livello europeo, esercitando
un controllo in tempo reale sui flussi di prodotti lungo tutta la filiera produttore – consumatore.
CAPITOPO 12: POGISTICA IN USCITA O DI MARKETING
RUOPO DEPPA POGISTICA DI MARKETING NEPPA STRATEGIA AZIENDAPE
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La logistica in uscita (o di marketing), si occupa della movimentazione e stoccaggio dei prodotti finiti
al termine del processo produttivo, al fine di garantirne l’efficiente collocamento sul mercato
occupandosi anche della scelta e delle relazioni con i canali distributivi , consentendo all’azienda di
ottimizzare il rapporto che intercorre tra:
- livello di servizio da offrire alla clientela;
- entità delle scorte da mantenere nel corso del processo di produzione/distribuzione ;
- costi per il trasferimento del prodotto finito, dallo stabilimento al mercato .
Nell’analisi del sistema logistico, al fine di massimizzarne il rendimento, r necessario che gli obiettivi da
perseguire e i relativi tempi e modalità, siano definiti chiaramente, ovvero:
- se l’obiettivo, r la riduzione dei costi r necessario che l’impresa non sacrifichi il livello di
servizio;
- se lo scopo r, invece, massimizzare il livello del servizio, r necessario non incrementare
eccessivamente i costi.
Pertanto, obiettivo principale della logistica in uscita, r assicurare l’equilibrio tra il conseguimento del
massimo livello di servizio al cliente e, se possibile, migliorare l’efficienza e la redditività dell’azienda,
obiettivo che risulta essere il principale problema delle aziende mature, le quali sono maggiormente
esposte alla concorrenza, e in effetti in queste situazioni, il servizio r considerato come elemento
differenziatore.
PIVEPPO DI SERVIZIO
Innanzitutto, r necessario distinguere tra:
servizi al prodotto: con particolare riferimento ai beni strumentali, per i quali il servizio
diviene sempre più parte integrante del prodotto (installazione, avviamento, manutenzione e
riparazione ecc…);
servizi alla clientela, nell’ambito dei quali, r possibile distinguere tra:
o servizi alla distribuzione;
o servizi al cliente finale.
In particolare, r necessario dare attuazione a due obiettivi importanti dell’azienda, quali:
servizio al cliente, il quale deve essere coerente con le sue esigenze;
economicità della gestione, da non realizzarsi in una logica di sfruttamento del personale e del
cliente.
Pertanto, il rendimento del sistema logistico può essere valutato in considerazione di aspetti, quali:
- livello di servizio offerto alla clientela;
- livello di produttività delle operazioni realizzate;
- livello di redditività degli investimenti in scorte e mezzi di trasporto .
In quest’ottica, il servizio ottimale r quello che assicura al cliente il prodotto richiesto, nella quantità,
qualità, tempo e luogo richiesti e con l’eventuale aggiunta di servizi finanziari (se richiesti) e di
assistenza post – vendita, in un’ottica di contenimento dei costi di distribuzione.
Molte spesso, il livello di servizio r considerato come rapporto percentuale tra il numero di ordini dei
clienti evasi e il numero di ordini ricevuti in un dato arco di tempo , realizzando un compromesso tra
l’esigenza dell’impresa di minimizzare i costi relativi al sistema distributivo, e l’esigenza del mercato di
massimizzare, invece, il livello del servizio alla clientela, ma sarebbe opportuno considerare tale
aspetto, come disponibilità del prodotto e affidabilità delle consegne, in termini di:
rapidità: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra il ricevimento dell’ordine e
l’effettiva consegna del prodotto finito;
regolarità: dipende dalla metodicità di trasmissione degli ordini, dall’esistenza di scorte
sufficiente, quindi dalla capacità dell’impresa di evadere l’ordine in un’unica soluzione;
puntualità: considerando, non solo i tempi medi di consegna, ma anche gli scostamenti dalla
media;
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La valutazione del rendimento del servizio logistico rispetto alle vendite, assume la forma di una Curva
di Gompertz a forma di esse”, alla cui base può essere tracciata una linea che indica il livello soglia,
ossia il livello minimo da offrire per poter essere presenti sul mercato, e nella parte superiore, r
possibile
indicare il livello di saturazione.
Tra i due limiti, la curva prima cresce lentamente, poi assume una
forma più ripida, per poi appiattirsi nuovamente e, inoltre, tra i
due punti di concavità e convessità, si assume che la domanda sia
particolarmente sensibile al livello del servizio logistico.
In particolare, nei settori in cui la concorrenza r basata su fattori di non – price competition, il
servizio logistico deve essere valutato in relazione ad approfondite ricerche scientifiche, al fine di
individuare le conseguenze derivanti da una mancata vendita (anche di altri prodotti), o da una possibile
perdita del cliente. Quest’ultima ipotesi sembra essere circoscritta per le imprese leader con una
marca affermata, ovvero le imprese con una marca di minore importanza, possono contare solo sulla loro
presenza costante all’interno dei punti vendita e su un adeguato spazio espositivo da parte del
distributore.
A tal fine, potrebbe essere anche valido il ricorso al benchmarking, ossia ad un’analisi competitiva dei
prodotti aziendali con quelli dell’impresa leader sul mercato, o anche considerando i prodotti di aziende
operanti in altri settori, la quale dev’essere svolta in modo continuativo, al fine di definire obiettivi
strategici e stimolare il processo di cambiamento.
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I fattori vincolanti interni/esterni da considerare relativamente alla scelta del canale distributivo
sono:
A. PRODOTTO: nell’ambito del quale, r necessario stabilire se si tratti di:
beni strumentali: per i quali r necessaria una specifica preparazione del venditore (in
termini di assistenza tecnica) e, inoltre, si tratta di beni caratterizzati da un elevato valore
unitario e da un mercato ristretto;
beni di consumo: per i quali, r necessario considerare differenti elementi:
o se si tratta di un bene primario, voluttuario” deperibile e non soggetto a
stagionalità, gli aspetti relativi alla segmentazione del mercato, al tasso di crescita,
all’andamento della domanda e al grado di concentrazione o dispersione, assumono
importanza rilevante;
o la concorrenza, deve essere valutata in relazione alle sue componenti, dimensione e
strategie distributive adottate;
o la normativa vigente in materia fiscale e commerciale, la quale può ostacolare o
agevolare il ricorso a specifiche forme distributive.
B. TIPO DI PRODUZIONE: per il magazzino o su commessa, anche se si ha la prevalenza dell’una
sull’altra.
C. AMPIEZZA E PROFONDITA’ DEP MERCATO DI ASSORTIMENTO
D. DIMENSIONE E CAPACITA’ FINANZIARIA
E. FORZA CONTRATTUAPE
Viene così definito il grado di copertura distributiva, in riferimento al numero di dettaglianti, o di
consumatori/utilizzatori finali, che si intende raggiungere, anche considerando il tipo di prodotto
trattato e, pertanto, r necessario scegliere fra differenti tipi di distribuzione, la quale può essere di
tipo:
a) intensivo: il prodotto r disponibile in un maggior numero di punti vendita, preferibile per quei
beni caratterizzati da un basso valore unitario e da un processo di acquisto ricorrente (c.d.
conveniences goods);
b) selettivo: il prodotto r disponibile in un numero limitato di punti vendita, preferibile per quei
beni ad acquisto ragionato (c.d. shopping goods);
c) esclusivo: il prodotto r disponibile in uno o pochi punti vendita, preferibile per quei prodotti
caratterizzati da un elevato valore unitario (c.d. specialty goods).
Inoltre, ai fini della scelta del canale distributivo, si rende necessario anche misurare i punti di
forza/debolezza in termini qualitativi dello stesso, in riferimento:
- alle funzioni di commercializzazione richieste dal prodotto;
- gli intermediari più idonei per lo svolgimento di tali funzioni;
- il numero di intermediari di cui avvalersi ad ogni stadio del canale;
- le politiche di prezzo da applicare.
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T, r il costo totale dei mezzi di trasporto impiegati per il trasferimento del prodotto finito,
dai luoghi di produzioni ai depositi (c.d. trasporti primari), e da questi, ai punti di vendita finali
(c.d. trasporti secondari);
CfD, r il costo fisso totale dei depositi (canoni, ammortamenti, personale ecc…);
CvD, r il costo variabile totale dei depositi (inclusa la gestione delle scorte);
V = r il costo per mancate vendite, a causa della carenza del livello del servizio esistente.
In particolare, nelle aziende nelle quali la funzione logistica r smembrata, r più ardua l’individuazione
delle singole componenti di costo, la quale viene facilitata attraverso l’individuazione di specifici centri
di costo relativi alla funzione interessata, quali:
- Trattamento degli ordini;
- Movimentazione dei prodotti;
- Confezionamento e Imballo;
- Magazzinaggio;
- Mantenimento delle scorte;
- Trasporti
i quali sono chiaramente individuabili
- Altri costi amministrativi, non collocabili nei precedenti centro di costo, in riferimento alle
spese generali di amministrazione, sostenute nel processo di distribuzione, per i quali r difficile
assegnare una responsabilità specifica.
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valutazione del costo totale della distribuzione, la cui tendenza r quella di ridimensionare il
numero dei depositi;
natura del product mix, da cui deriva che, tanto più ampia r la gamma di produzione dell’impresa,
tanto più complesso sarà il sistema logistico ovvero, qualora la complessità produttiva raggiunga
livelli elevati, sarà necessario accentrare la gestione delle risorse, ma da altro lato, un ampio
product mix, riflette un andamento della domanda variabile la cui flessibilità, necessaria per
affrontarla, può derivare solo da un sistema logistico in grado di soddisfare le esigenze locali;
caratteristiche del prodotto, le quali rappresentano aspetti importanti nella definizione di un
deposito, quali:
o deperibilità;
o fragilità;
o valore;
o peso del prodotto.
analisi del costo totale, al fine di individuare le correlazioni tra gli elementi di costo relativi ai
vari livelli di attività del magazzino. In particolare, la funzione di costo da considerare,
riguarda:
o i costi fissi collegati alla realizzazione di un sistema di magazzini;
o i costi di trasferimento delle merci, dai luoghi di produzione ai depositi, e da questi, ai
clienti;
o il costo per il mantenimento delle scorte.
La curva di costo totale (vedi grafico dal testo), deve essere interpretata con una certa flessibilità,
ma in linea generale, r possibile affermare che esiste un’ area di ottimizzazione lasciata alla valutazione
ponderata della direzione, ovvero questo metodo può essere efficace anche per la valutazione di
differenti alternative.
In genere, per la localizzazione dei depositi, sono considerate solo alcune ubicazioni ritenute possibili,
utilizzando metodi di programmazione lineare o modelli di simulazione tra i quali, il più importante, r
l’algoritmo dei trasporti, qualora si voglia valutare la possibilità di aggiungere un deposito al sistema
esistente, ovvero ampliarne le attrezzature al fine di incrementarne la capacità di flusso .
FUNZIONE DEPOSITI
La funzione depositi, deve essere considerata nell’ambito del processo totale di distribuzione, la cui
istituzione deve essere finalizzata, non solo a soddisfare le esigenze di tempo e/o spazio per l’accumulo
delle risorse e il successivo prelievo, ma deve anche consentire lo svolgimento di operazioni di
manipolazione (handling), che precedono o seguono il periodo di permanenza della merce in un
determinato luogo e, in tal senso, assumono importanza le valutazione di rendimento relative al livello di
produttività del fattore lavoro, delle strutture e delle attrezzature impiegate .
Pertanto, l’obiettivo di tale funzione, r quello di migliorare la disponibilità del bene, accrescendone
l’utilità, mediante il suo trasferimento nel tempo e/o nello spazio ed effettuando i necessari
miglioramenti qualitativi e quantitativi.
Al fine di realizzare tale obiettivo, r possibile considerare differenti strumenti quali:
- costituzione di CEDI – centri di distribuzione;
- realizzazione di investimenti crescenti in attrezzature per il magazzino automatico
aspetti che, congiuntamente considerati, rappresentano un impulso alla concentrazione delle scorte in
uno o pochi depositi.
- comunicazione: in effetti, lo sviluppo dei collegamenti viari e telematici, in combinazione con
l’introduzione delle moderne tecnologie elettroniche, forniscono un ulteriore incentivo alla
creazione di un sistema logistico centralizzato.
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In quest’ottica, si sono diffuse le piattaforme per il transito e rispedizione delle merci, più che del loro
stoccaggio, con il consolidamento di partite di merci provenienti da diversi produttori e destinate ad
uno o più CEDI (cross-docking).
In particolare:
in caso di produzione a stock, vi r la tendenza verso la creazione di una rete di depositi di tipo
ramificato e a più livelli (magazzini nazionali, regionali ecc…), la cui realizzazione r certamente
costosa, ma consente di ottenere un miglior livello di servizio;
in caso di produzione su commessa, invece, si cerca di evitare qualsiasi magazzino e/o centro di
distribuzione, preferendo la distribuzione diretta al cliente finale, con modalità diretta o
groupage, a seconda della tipologia degli ordini e delle destinazioni.
In ogni caso, l’adozione dell’una o dell’altra tecnica, dipende da specifici fattori quali:
- variabilità della domanda;
- tasso di rotazione;
- deperibilità dei prodotti;
- numerosità dei magazzini;
- costi e tempi di consegna
aspetti, che rendono necessaria anche una pianificazione delle spedizioni, per la quale potrebbe essere
di ausilio il sistema di simulazione, noto come D.R.P. – Distribution Requirement Planning.
Inoltre, ai fini della definizione di un adeguato sistema di depositi, r necessaria la valutazione dei costi
operativi, ovvero:
innanzitutto, r necessario decidere, quanto dello spazio a disposizione, può essere
economicamente utilizzato in termini di superficie e volume, sicché la curva dei costi variabili
assume un andamento a U, in quanto questi si riducono fino al punto di utilizzo interno al 70%-
85% dello spazio disponibile, e un suo ulteriore utilizzo, determina un’impennata dei costi
variabili, in quanto l’accavallamento delle merci, aumenta la possibilità di riscontrare articoli
danneggiati;
in secondo luogo, r necessario confrontare il costo del capitale investito per la realizzazione del
sistema di depositi, con il valore del prodotto. In particolare, l’efficienza del singolo prodotto,
deve essere costantemente valutata, confrontando i costi relativi con la giacenza media, nonché
la capacità/superficie occupata con la capacità/superficie disponibile;
in terzo luogo, si rendono necessari alcuni accorgimenti al fine di eliminare, o perlomeno ridurre,
i colli di bottiglia relativamente al fattore lavoro e alle attrezzature;
per quanto concerne la disposizione interna di un deposito (c.d. layout) e il modo in cui le merci
vengono movimentate e trattate, non rappresenta un aspetto di rilevante importanza in tale
contesto;
infine, si rende necessaria la scelta del tipo di attrezzatura per la movimentazione e stoccaggio
delle merci, la quale influenza le modalità di sistemazione delle scorte e di raccolta e
composizione degli ordini, soprattutto in presenza di un’accentuata meccanizzazione o
automazione.
Per quanto riguarda l’automazione, sebbene per molte imprese il problema non riguarda se
introdurla o meno, bensì in quale grado, r necessario non tralasciare i costi derivanti
dall’introduzione di un controllo elettronico. Tuttavia, l’automazione non deve rappresentare
l’obiettivo ultimo cui deve tendere l’azienda, in quanto i relativi benefici iniziano a manifestarsi
solo se:
o si raggiunge un dato livello di operazioni;
o il flusso delle merci r rapido;
o la varietà produttiva r ridotta;
o l’imballaggio r standardizzato
solo al verificarsi di tali situazioni, r possibile affermare che gli elevati investimenti necessari
per l’introduzione dell’automazione, sono bilanciati dalla riduzione del costo del personale e dalla
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maggiore efficienza derivante dalla riduzione dei tempi di raccolta degli ordini e dei livelli di
scorte.
Da altro lato, per quanto riguarda le attrezzature, la relativa scelta dipende da alcuni
importanti fattori, quali:
o caratteristiche del prodotto da movimentare, con particolare riferimento alla forma,
condizione e stoccaggio;
o movimentazione interna necessaria;
o ricostituzione delle scorte;
o quantità per ogni voce e rotazione degli articoli.
IMBAPPAGGIO
Nell’ottica della logistica, il requisito fondamentale dell’imballaggio, r che questo consenta la massima
protezione del bene durante le fasi di manipolazione e stoccaggio cui r soggetto , ovvero per il
marketing, l’imballaggio assume importanza in relazione al suo valore promozionale e di presentazione
del prodotto, e la preminenza dell’uno o dell’altro aspetto, r correlata con il tipo di prodotto trattato,
ovvero il suo maggior o minor valore, farà propendere verso l’utilizzo di un imballaggio più sicuro, ma più
costoso, o più economico.
Pertanto, obiettivo dell’imballaggio, r quello di salvaguardare il prodotto allorquando viene accatastato
nei depositi e durante il suo trasporto, ovvero agevolarne la stivabilità, manipolazione e identificazione,
al fine di rendere più celeri le fasi di raccolta e completamento degli ordini.
Mutamenti significativi in tale area, si sono verificati in virtù dell’introduzione della pallettizzazione e
containerizzazione, nonché per l’utilizzo di materie plastiche, in sostituzione della carta e del cartone il
cui impiego, tuttavia, presenta rilevanti implicazioni in termini ambientali, valutate attraverso
approfonditi studi di Reverse Pogistic, o Pogistica di Ritorno in riferimento al processo di
pianificazione, implementazione e controllo dell’efficienza delle materie prime, parti componenti e
prodotti finiti e del correlato flusso di informazioni, il quale comprende la gestione di tutte le attività
logistiche relativa alla movimentazione dal punto di recupero (o di consumo), al punto di origine, al fine
di riguadagnare valore da quei prodotti il cui ciclo di vita r terminato .
In particolare, questo processo riguarda bene specifiche aree, quali:
gestione di resi (difettati o invenduti);
gestione del fine vita di prodotto e degli imballi;
gestione di scorte di lavorazioni industriali, o di rifiuti.
Inoltre, nell’ambito della scelta del tipo di imballaggio da utilizzare, r necessario valutare ulteriori
aspetti, quali:
aspetto legislativo, in quanto norme e regolamenti prevedono le specifiche caratteristiche
dell’imballaggio in relazione al tipo di prodotto trattato, ai fini fiscali, ecologici e di tutela del
consumatore;
scelta fra il confezionamento in fabbrica, o in deposito , laddove la seconda soluzione verrà
preferita qualora, la spedizione senza imballo, garantisca un miglior utilizzo del mezzo di
trasporto, tempi di consegna più rapidi e minori costi per le operazioni di carico/scarico;
scelta del mezzo di trasporto , ovvero l’impiego di aerei e containers rende possibile l’utilizzo di
imballaggi meno costosi, in considerazione dei minori rischi di danneggiamento, a differenza del
trasporto via mare, il quale richiede un imballaggio più resistente in considerazione delle più
frequenti rotture di carico.
In ogni caso, poiché l’incidenza dei costi relativi alla scelta dell’imballaggio può essere piuttosto elevata,
r necessaria un’attenta scelta dei fornitori, onde evitare l’acquisto di materiali difettosi, in quantità e
tempi ottimali, i quali devono essere collaudati al fine di verificare che siano coerenti (in termini di
resistenza) con le procedure di movimentazione e con i mezzi di trasporto esistenti.
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La funzione del trasporto riveste un ruolo fondamentale nell’ambito del processo di distribuzione, in
quanto deve garantire il trasferimento delle merci in tempi relativamente brevi, in sicurezza e al minor
costo possibile. Pertanto, in virtù della rilevante incidenza sul costo totale della distribuzione, r
necessaria:
a) un’analisi accurata dei mezzi di trasporto alternativi, comparandone i relativi costi e rendimenti,
al fine di assumere decisioni razionali e meditate;
b) la valutazione del problema dei trasporti in relazione al sistema logistico, nell’ottica che la
valutazione dell’equilibrio ottimale sia stata già effettuata;
c) la valutazione del problema dei trasporti e dei depositi, sicché la tendenza verso la riduzione
delle scorte, attribuisce al trasporto il ruolo di magazzino viaggiante, al fine di evitare la sosta
delle merci nei depositi;
d) infine, i sistemi di trasporto si completano a vicenda, fenomeno che si va accentuando in virtù
del frequente impiego di containers, e di altre unità di carico combinato, i quali consentono un
agevole trasferimento delle merci dalla nave al vagone, evitando le c.d. rotture di carico, in
riferimento alla c.d. intermodalità, la quale può raggiungere la sua massima efficienza laddove la
predisposizione dei terminali, sia effettuata secondo una localizzazione e attrezzature adeguati
considerando le prospettive di sviluppo del trasporto combinato.
In particolare, in Italia, gli interporti esistenti rappresentano un nodo di scambio di
fondamentale importanza, ma vi r uno squilibrio nella loro distribuzione tra Nord e Sud del
paese.
In considerazione di quanto detto, l’obiettivo della politica dei trasporti, r quello di minimizzare il costo
di trasferimento dei beni, definendo la miglior combinazione dei mezzi di trasporto, delle tecniche di
condizionamento (pallettizzazione, containerizzazione ecc…) e delle tecniche di trasbordo, ossia
affrontare il classico trade-off relativo alle differenti modalità di trasporto. Tale valutazione, deve
essere effettuata nell’ottica del just-in time, il quale prevede consegne caratterizzata da maggiore
frequenza, quantità sempre più ridotte e con rigoroso rispetto dei programmi.
Dopo la scelta relativa al mezzo di trasporto da impiegare, r necessario instaurare rapporti regolari con
operatori specializzati e affidabili e, inoltre, per realizzare una maggiore efficienza, la gestione
aziendale dovrebbe accentrare la pianificazione del traffico decentrando, eventualmente, alcuni aspetti
della gestione operativa (soprattutto laddove r presente un sistema di distribuzione locale). Un
ulteriore scelta, che deve essere effettuata dalla direzione logistica, riguarda il trasporto su strada,
scegliendo tra:
a) parco di mezzi propri;
b) parco di mezzi di terzi,
la cui scelta deve essere effettuata considerando due aspetti cruciali, ovvero:
- i costi: in particolare, il caso del produttore di beni di consumo standardizzati a domanda
tendenzialmente stabile, il quale può effettuare una programmazione di medio – lungo termine
ed istituire una rete di depositi e/o avvalersi di un parto di mezzi propri, o anche dell’azienda, r
differente dal caso del produttore di beni caratterizzati da un breve ciclo di vita (es. beni
soggetti alla moda) per il quale, invece, gli investimenti durevoli potrebbero essere
antieconomici e, pertanto, la scelta più conveniente potrebbe consistere nell’avvalersi di
depositi in locazione, o di mezzi di trasporto esterni;
- il livello del servizio, in quanto un’azienda deve preliminarmente accertarsi che, il mezzo di
trasporto prescelto, consenta di mantenere un adeguato livello di servizio, mediante
l’annotazione di eventuali ritardi al momento del carico e/o della consegna delle merci.
In ogni caso, la tendenza r verso la terziarizzazione (o outsourcing), avvalendosi della competenza di
operatori specializzati, instaurando una vera e propria partnership, con particolare riferimento ai MTO
– Multimodal Transport Operator, i quali dispongono di risorse e competenze a livello internazionale.
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Inoltre, il fattore tempo assume rilevanza anche ai fini della definizione del servizio logistico al
cliente, valutato in relazione a quattro parametri, quali:
1. disponibilità del prodotto: esprime la capacità dell’impresa di limitare le rotture di
stock e garantire la pronta consegna;
2. tempestività della consegna: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra il
ricevimento dell’ordine del cliente e la consegna del bene;
3. affidabilità del servizio: considerando la data di consegna effettiva e la conformità
qualitativa e quantitativa;
4. flessibilità del servizio: esprime la capacità dell’impresa di personalizzare, ovvero di
adeguare il servizio logistico alle esigenze del cliente.
Le fasi del ciclo sono:
trasmissione dell’ordine: considerando l’arco di tempo che intercorre tra l’emissione
dell’ordine da parte del cliente e l’effettivo ricevimento da parte dell’impresa di
produzione.
Questa fase, può essere oggi ottimizzata, mediante l’impiego degli strumenti tele-
informatici per lo scambio di informazioni in rete e in tempo reale, come ad esempio,
mediante l’utilizzo di sistemi EDI – Electronic Data Interchange;
elaborazione dell’ordine: in riferimento al tempo necessario per la valutazione della
solvibilità del cliente e per la verifica della correttezza dei documenti trasmessi;
approntamento della consegna: consistente nelle fasi di prelievo, confezionamento e
imballo. Queste fasi possono essere velocizzate, mediante l’utilizzo di codici a barre e/o
lettori ottici;
spedizione e trasporto: considerando l’intervallo di tempo che intercorre tra l’uscita del
prodotto finito dal magazzino, e la consegna al cliente.
Gli indicatori relativi alla disponibilità, tempestività, affidabilità e flessibilità sono i seguenti:
o percentuale di inevasi: numero di ordini inevasi/numero ordini totale;
o completezza della consegna: valore prima della consegna/valore totale consegne;
numero consegne per evasione ordine;
o incidenza di stock-out: numero articoli o periodi in stock out/numero totale articoli o
periodi;
o misure di tempestività: ∑ (data prima della consegna – data ordine)/numero ordini
numero ordini evasi in x giorni/numero totale ordini
o misure di affidabilità: numero ordini evasi in ritardo/numero totale ordini
devianza dei tempi di consegna
o misure di flessibilità: giorni di anticipo minimi per accettazione variazioni
margini di variazione ammessi rispetto ai tempi/quantità
concordati
D. FPESSIBIPITA’
La flessibilità r intesa come la capacità dell’impresa di adeguarsi, ovvero adattarsi, ai
cambiamenti dell’ambiente di riferimento e di fronteggiarne qualsiasi imprevisto.
È possibile distinguere quattro accezioni di flessibilità, ovvero:
flessibilità di volume: o elasticità dei costi, la quale consiste nella capacità dell’impresa
di assorbire eventuali variazioni nei volumi di produzione;
flessibilità di mix: intesa come la capacità dell’impresa di produrre un mix articolati di
prodotti, a costi accettabili;
flessibilità di prodotto: intesa come la capacità dell’impresa di inserire nel range
produttivo, ossia nella gamma di prodotti realizzata, un nuovo articolo a costi contenuti
e in tempi relativamente brevi;
flessibilità di programma: intesa come la capacità dell’impresa di modificare i
programmi di produzione, al fine di fronteggiare richieste impreviste.
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È possibile la costruzione di indici, tra i quali uno dei principali r dato dal rapporto tra il costo della
distribuzione e il valore delle vendite, ovvero potrebbe essere efficace l’impiego di indici di controllo
ottenuto confrontando due o più variabili, con riferimento a specifiche aree, quali:
a) livello di servizio
- consegne tempestive/consegne totali;
- reclami/consegne totali;
- consegne effettuate/consegne stabilite.
b) le giacenze:
- costi di gestione scorte/quantità uscite
c) i trasporti:
- costi di trasporto/tonnellate trasportate
d) l’attività di magazzino:
- costi di gestione scorte/quantità movimentate.
IP BENCHMARKING
Il termine benchmark indica la misura rispetto ad un punto fisso, ovvero in ambiente manageriale, il
benchmarking r la misurazione dell’eccellenza delle prestazioni di un’azienda, ovvero consente di
definire lo standard che si ritiene essere di eccellenza. Il confronto r effettuato considerando alcuni
parametri di riferimento (benchmark), i quali pongono in evidenza l’efficienza e l’efficacia di ciò che si
sta analizzando (qualità, costi e tempi) e possono essere rappresentati da:
imprese industriali;
singole funzioni aziendali;
unità di business;
reparti.
Ovviamente il benchmarking non si limita alle sole imprese, ma può anche riguardare la Pubblica
Amministrazione, le organizzazioni senza scopo di lucro, la sanità ecc...
Fare benchmarking vuol dire:
guardare oltre i confini interni all’azienda, in modo innovativo ;
rivalutare le attività aziendali, attraverso la mappatura dei processi, ovvero spostando l’oggetto
di osservazione;
puntare all’eccellenza.
Due sono le dimensioni, lungo le quali, detta attività viene svolta:
misurazione delle performances;
individuazione delle best-practice (migliori processi).
È possibile distinguere differenti tipologie di benchmarking, quali:
BENCHMARKING COMPETITIVO: finalizzato a confrontare i propri prodotti, processi, prassi e
servizi con quelli relativi ad imprese concorrenti operanti nel medesimo settore di mercato;
BENCHMARKING FUNZIONAPE: finalizzato a confrontare le proprie funzioni (amministrative,
logistiche, marketing, ricerca e sviluppo…), in termini di struttura, metodologia e risorse, con
quelle relative ad imprese concorrenti, o appartenenti ad altri settori;
BENCHMARKING GENERICO: finalizzato a confrontare i propri prodotti, processi, prassi e
servizi, con quelli relativi ad imprese appartenenti ad altri segmenti di mercato;
BENCHMARKING INTERNO: finalizzato a confrontare prodotti, processi, prassi e servizi
realizzati da singole unità organizzative, ma tutte appartenenti alla medesima impresa;
BENCHMARKING STRATEGICO: finalizzato allo studio del sistema aziendale nel suo complesso, al
fine di assicurare che i bisogni del cliente siano sempre soddisfatti;
BENCHMARKING DI PROCESSO: finalizzato alla ricerca dei migliori processi e prassi
manageriali.
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Il benchmarking nasce dalla fusione delle linee guida di due distinti approcci, quali:
A. CICPO P-D-C-A, noto anche come Ciclo di Deming, le cui fasi sono:
1. P – Plan (pianificare): ossia definire chiaramente gli obiettivi da perseguire e le relative
modalità;
2. D – Do (eseguire): ossia realizzare concretamente quanto pianificato;
3. C – Check (verificare): ossia effettuare un’analisi dei risultati ottenuti e verificare che si
stia procedendo secondo quanto pianificato;
4. A – Act (agire): ossia individuare gli eventuali fattori di ostacolo e adottare i necessari
miglioramenti.
B. PROCEDIMENTO ANAPITICO-SCIENTIFICO, il quale parte dal presupposto che le analisi siano il
miglior parametro di giudizio per l’individuazione dei problemi interni all’impresa e del relativo
grado di importanza. Le fasi sono:
1. definizione del problema: conoscere la realtà aziendale, individuare i problemi ed elaborare
un piano per la loro soluzione;
2. raccolta informazioni: ossia predisporre un adeguato sistema per la raccolta, analisi e
interpretazione dei dati;
3. studio di proposte di miglioramento: ossia elaborare idee e soluzioni di miglioramento;
4. implementazione delle proposte di miglioramento: ossia realizzare concretamente le
soluzioni proposte:
5. verifica dei risultati e follow up: valutare i risultati dell’applicazione e correggere
eventuali inconvenienti.
Pertanto, dagli approcci appena visti, prende vita il benchmarking, le cui fasi sono:
1. misurazione: ossia conoscere l’organizzazione aziendale e raccogliere tutte le informazioni
relative alle attività aziendali, al fine di individuare i punti di debolezza che necessitano di
innovazione e miglioramento, ovvero r necessario definire l’oggetto del benchmarking;
2. pianificazione: dopo aver individuato l’oggetto del benchmarking, r necessario quantificare le
risorse necessarie e formare la squadra di lavoro, assegnando a ciascun membro le relative
funzioni e responsabilità;
3. raccolta informazioni: relativamente ai partners rispetto ai quali confrontarsi;
4. analisi: analisi di tutte le informazioni raccolte e definire soluzioni innovative, in relazione allo
specifico processo di benchmarking;
5. attuazione: ossia individuare e realizzare le soluzioni più interessanti ed innovative.
I due principali strumenti per lo svolgimento di tale attività sono:
il frame, il quale r uno strumento di diagnosi della realtà aziendale, al fine di individuare le aree
di importanza strategica per la gestione aziendale;
l’index, r uno strumento che consente di valutare e comprendere la dimensione economico-
finanziaria delle aziende.
Tuttavia, per molto tempo il benchmarking r stato uno strumento riservato alle sole imprese di grandi
dimensioni, per ragioni organizzative e di costo, ma con l’introduzione delle tecnologie informatiche, il
suo utilizzo r stato esteso anche alle PMI.
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i costi, così individuati, sono poi inseriti negli APC – Activity Pool Cost, i quali includono i costi
relativi allo svolgimento di attività analoghe per la realizzazione di prodotti diversi.
I principali limiti di tale metodologia sono:
definizione delle attività elementari, con particolare riferimento a quelle strutturali (o di
supporto), più che di quelle operative;
rischio di focalizzarsi eccessivamente sulle singole attività, tralasciando i processi;
incertezza e discrezionalità, in merito alla stima e riparto degli ammortamenti e degli altri
costi indiretti, il cui ammontare e funzione della complessità (C), varietà (v) e volume (V).
Pertanto, in considerazione di tali limiti, gli studiosi hanno semplificato tale metodologia, potendo
parlare di APC – Activity Process Costing in cui l’oggetto di osservazione e misurazione, r
rappresentato dall’intero processo aziendale e non dalle singole attività.
Alla tecnica dell’ABC, può essere collegato il sistema del target-costing, il quale consente di definire
nelle fasi di progettazione e pianificazione, i miglioramenti in termini di efficienza che si intende
realizzare nel corso della vita economica del bene, al fine di individuare il costo obiettivo (target),
ossia il costo minimo sostenibile.
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lo stesso periodo di tempo (consistenza media del magazzino ), ottenuta con una media
aritmetica;
c) IRE - indice di rotazione economica: r dato dal rapporto tra il costo del venduto e il costo
della scorta media. Questo indice, presenta il vantaggio di poter essere applicato alla totalità
delle merci commerciate dall’azienda, rese omogenee dall’emissione monetaria.
I principali indici di valutazione delle scorte giacenti sono:
Inventory Turnover = costo del venduto/scorte totali;
Tempo di copertura (giorni) = giacenze (pezzi)/consumi medi (pezzi/giorni);
Indice di Efficienza Globale degli Impianti = tasso di disponibilità * tasso di efficienza *
tasso di qualità;
Tasso di Disponibilità = tempo di funzionamento (tempo disponibile – tempo di fermata)/tempo
disponibile;
Tasso di Efficienza = (tempo teorico di processo * produzione totale)/tempo di funzionamento;
Tasso di Qualità = (produzione totale – produzione difettosa)/produzione totale.
Per poter realizzare un’armonia e un coordinamento fra le molteplici decisioni aziendali, il controllo
delle scorte necessita di un equilibrio fra gli obiettivi delle diverse politiche dell’impresa, quali:
la politica commerciale, finalizzata a soddisfare le esigenze della clientela;
la politica di produzione, diretta ad assicurare un’adeguata disponibilità di prodotti finiti in
condizioni di efficienza;
la politica finanziaria diretta, da un lato, a minimizzare i rischi di immoblizzo dei capitali e, da
altro lato, r finalizzata a rendere disponibili i necessari mezzi monetari.
PA BAPANCED SCORECARD
La Balanced Scorecard, anche nota come Scheda di Valutazione Bilanciata r una metodologia di
controllo strategico, utilizzata per descrivere, attuare e gestire la strategia dell’intera organizzazione,
al fine di trasformare missioni e strategie in misure di performance.
L’introduzione della BSC definisce un nuovo sistema di management e ha il merito di coniugare obiettibi
operativi di breve periodo con obiettivi strategici di medio-lungo periodo, realizzando il confronto tra:
- misure finanziarie e non;
- indicatori ritardati e indicatori di tendenza;
- prospettive interne ed esterne all’impresa.
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Questo strumento, può essere efficacemente impiegato sia nel settore pubblico, laddove r attribuita
primaria importanza al servizio reso al cittadino, sia nel settore privato, laddove r attribuita
preminenza al conseguimento del profitto da parte dell’impresa.
Pertanto, l’obiettivo della BSC, r quello di mettere ordine tra i diversi indicatori, al fine di bilanciarli ed
integrali ed individuare le relative connessioni, potendo conoscere in anticipo i possibili effetti
derivanti dallo svolgimento di una specifica attività sulla gestione aziendale.
A tal fine, tale strumento analizza i risultati aziendali relazione di quattro dimensioni:
A. PROSPETTIVA ECONOMICO-FINANZIARIA
I risultati aziendali vengono analizzati in termini economico-finanziari. I più importanti
indicatori sono:
o lo Shareholder Value Approach, in cui il valore azionario r dato dalla differenza tra le
passività e il capitale netto, mentre il valore societario r dato dalla somma tra le
passività e il valore azionario;
o EVA – Economic Value Added: realizza il confronto tra il costo del capitale investito in
aziendale e il costo dei fattori che lo hanno generato;
o ROI – Return on Investment: dato dal rapporto tra il reddito operativo lordo della
gestione caratteristica e il capitale investito, ed esprime il rendimento offerto dal
capitale investito nell’attività caratteristica;
o ROE – Return on Equity: dato dal rapporto tra l’utile d’esercizio e il capitale proprio,
esprime la redditività del capitale di rischio, ossia dei mezzi impiegati dai soci o dal
proprietario dell’azienda;
o ROS – Return on Sales: dato dal rapporto tra il reddito operativo lordo della gestione
caratteristica e ricavi netti di vendita. Esprime la redditività delle vendite e indica
quanto residua dopo la copertura dei costi della gestione caratteristica.
B. PROSPETTIVA DEP CPIENTE
I più importanti indicatori sono:
o quota di mercato dei vari prodotti e servizi;
o tasso di fidelizzazione dei clienti;
o capacità di acquisizione di nuovi clienti;
o grado di soddisfazione del cliente (customer satisfaction);
o livello di redditività del cliente;
o caratteristiche del prodotto/servizio richiesto;
o relazioni con il cliente;
o immagine e reputazione.
C. PROSPETTIVA DEI PROCESSI AZIENDAPI
Questa prospettiva consente all’azienda di individuare i processi critici, nei quali l’azienda deve
eccellere per conseguire i propri obiettivi finanziari e di customer-based, ovvero si tratta di
quei processi che consentono di acquisire e mantenere la clientela e di offrire agli azionisti
elevati ritorni finanziari.
Gli indicatori più importanti in tal senso sono:
o costi delle attività, attraverso l’ABC – Activity Based Costing;
o gestione economica delle attività, mediante l’ABM – Activity Based Management;
o qualità dei processi, attraverso il BPR – Business Process Reengineering.
D. PROSPETTIVA DI SVIPUPPO FUTURO
Questa prospettiva può essere intesa come:
prospettiva di innovazione e vantaggio competitivo, al fine di individuare
l’infrastruttura necessaria che consenta all’impresa di competere con la propria
organizzazione nel lungo periodo, ovvero l’analisi della competitività, r diretta ad
individuare il posizionamento dell’impresa all’interno del mercato rispetto alle imprese
concorrenti, e gli indicatori più adatti a misurare la performance sotto questo profilo
sono:
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Tali misura, in particolare, devono essere personalizzate per gruppo di clientela e, pertanto, tali
indicatori potrebbero essere utilizzati con riferimento solo a quei clienti, rispetto ai quali,
l’impresa intende diventare il fornitore dominante.
- Fase 3: definire obiettivi e misure per le variabili critiche della performance sui processi
interni
La creazione di valore, r possibile solo attraverso un’attenta gestione dei processi interni,
ovvero il manager individua quei processi critici, nei quali l’azienda deve eccellere.
Nell’ambito dei processi interni, r possibile distinguere tra:
o processi di innovazione;
o processi di gestione dei rapporti con i clienti;
o processi gestionali operativi.
- Fase 4: sviluppare obiettivi e misure per le variabili critiche di apprendimento e crescita
Questa fase identifica l’infrastruttura che il manager deve realizzare per ottenere la crescita
e il miglioramento nel lungo periodo, ovvero ottenere sostenibilità In tal senso, l’apprendimento
organizzativo e la crescita, provengono da tre fonti: persone, sistemi e procedure
organizzative.
In particolare:
o gli indicatori relativi al personale, possono includere misure quantitative ricavate da
indagini sulla soddisfazione, stabilito, formazione e competenze dei dipendenti;
o le capacità informatiche, possono essere valutate considerando la disponibilità e la
tempestività delle informazioni sui clienti e sui processi interni;
o le procedure organizzative, possono esaminare il grado di allineamento degli incentivi ai
dipendenti rispetto ai fattori di successo dell’impresa, e possono misurare i tassi di
miglioramento
È possibile effettuare differenti distinzioni dei mercati, in relazione di differenti fattori quali:
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È possibile effettuare ulteriori distinzioni dei mercati, in relazione della sua natura (mercato di
approvvigionamento, di smistamento e di consumo) ovvero, in relazione della sua estensione territoriale
(mercato locale, regionale, nazionale ed internazionale).
Ai lavori della commissione, partecipa anche il Direttore del Mercato con voto consultivo e le cui
deliberazioni sono trasmesse all’ente gestore del mercato. Egli rappresenta l’organo di funzionamento
del mercato, applica le disposizioni di legge e di regolamento e, inoltre:
controlla gli operatori;
propone iniziative;
sospende coloro i quali non rispettano il regolamento;
applica la disciplina.
In questo mercato, le vendite possono essere effettuata o a trattativa privata, ossia direttamente dai
produttori e dai commissionari, tramite i mandatari, ovvero mediante il meccanismo della asta pubblica
e, in questo caso, l’astatore deve comunicare, prima di ogni vendita, la quantità, prezzo e specie di ogni
partita di merce.
B) ASTA COMMERCIAPE
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b) asta impropria: in tal caso, le offerte sono segrete e, pertanto, la concorrenza tra i potenziali
acquirenti r occulta. In particolare, l’ astatore definisce un prezzo base scritto su un foglio e
chiuso in una busta, e i potenziali acquirenti propongono le loro offerte e le fanno pervenire al
banditore, anch’esse chiuse in una busta, e alla data prestabilita il banditore aprirà le buste e
assegnerà la partita di merci alla migliore offerta (ovviamente superiore al prezzo base).
Infine, l’asta può essere anche distinta in relazione alla natura dei beni oggetto della vendita, in asta
commerciale, se avente ad oggetto beni commerciabili, o asta giudiziaria, se avente ad oggetto beni
sequestrati o pignorati e, pertanto, destinati ad essere trasformati in liquidità.
C) BORSA
La borsa r un mercato organizzato per il perseguimento di una finalità specifica, ossia attraverso
l’accentramento della domanda e offerta e la facilitazione delle contrattazioni, si tende al livellamento
dei prezzi.
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Nella maggior parte dei paesi europei, i mercati di borsa sono soggetti alla vigilanza da parte di enti
pubblici, le cui attività e poteri sono disciplinati dalla legge e sono soggetti ad orari sincronizzati a
livello nazionale.
È possibile distinguere tra:
“borsa merci”: dove avviene la contrattazione di merci particolari;
“borsa noli”: dove vengono fissate le tariffe per il noleggio di navi e aerei;
“borsa valori” o “borsa finanziaria”: laddove le industrie, le amministrazioni pubbliche e le
banche, reperiscono le necessarie risorse per finanziarie le proprie attività, offrendo una
partecipazione agli utili (in termini di interesse o dividendi azionari).
Con particolare riferimento alla borsa merci, essa si caratterizza per la presenza di un luogo (reale o
virtuale) in cui gli operatori (acquirenti/rialzisti, venditori/ribassisti), realizzano una serie di
operazioni nel rispetto di precise regole e distinte in:
a) operazioni a pronti o su effettivo: contratti stipulati in borsa su un campione di merci, o
comunque su partite di merci di immediata disponibilità per la consegna;
b) operazioni a termine o su futuri: contratti che possono essere realizzati solo presso la Borsa
Merci di Milano, e per i quali l’esecuzione della compravendita r fissata, sia per il compratore
che per il venditore, ad una data prestabilita.
In particolare, il vantaggio offerto dai contratti a termine, consiste nella possibilità di non
avere necessariamente la disponibilità materiale delle merci e/o del denaro necessario per
realizzare l’operazione consentendo, pertanto, alle controparti di realizzare un’operazione di
speculazione allo “scoperto”.
GPI OPERATORI
I soggetti che partecipano alle operazioni di scambio commerciali sono rappresentati, da un lato, dalle
imprese di produzione, le quali acquistano fattori produttivi e vendono prodotti finiti interponendo, tra
l’una e l’altra operazione, un processo di trasformazione e le imprese commerciali, le quali conferiscono
un maggior valore ai beni trattati, ma non attraverso un processo di trasformazione, bensì attraverso
un processo di trasferimento nel tempo e/o nello spazio degli stessi.
Inoltre, la compravendita può essere distinta, oltre che al dettaglio e all’ingrosso, in:
compravendita diretta: se l’operazione avviene tra le controparti senza l’intervento di alcun
intermediario;
compravendita indiretta: se l’operazione avviene tra le controparti con l’intervento di
intermediari del commercio.
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1. commissionario (art.1731 ss. c.c.): r un mandatario, che acquista e vende beni, in nome
proprio, ma per conto del committente agendo, pertanto, sulla base di un mandato il cui
contenuto, condizioni e limiti sono definiti dallo stesso committente il quale, inoltre, può
autorizzare il commissionario ad operare con una certa elasticità, autorizzandolo ad operare al
meglio, ma sempre nel suo interesse.
Il commissionario, ha diritto ad una provvigione (in percentuale o a forfait) in relazione al
numero degli affari conclusi e, inoltre, può acquistare in nome e per proprio conto, beni che gli
siano stati offerti dal committente ovvero, offrire a quest’ultimo, beni di sua proprietà, purché
si tratti di merci con prezzi pubblici di mercato (es. prezzi di listino) e che il prezzo sia almeno
pari a quello corrente e non peggiore di quello fissato dal committente.
2. agente di commercio (art.1742 ss. c.c.): r un intermediario, che propone la conclusione di
contratti in determinate zone e per conto del suo preponente, senza essere, tuttavia,
autorizzato a concludere gli stessi ed operando, pertanto, sotto la condizione sospensiva salvo
approvazione della Casa.
3. rappresentate di commercio (art.1752 ss. c.c.): r anch’egli un intermediario che promuove la
conclusione di contratti per conto dei suoi preponenti, ma si distingue dall’agente di commercio,
in quanto egli r autorizzato ad indurre le parti alla conclusione degli stessi ed operando,
generalmente, per conto di aziende industriali e commerciali.
4. mediatore (art.1754 ss. c.c.): r un intermediario che pone in contatto due o più parti per la
conclusione del medesimo affare, senza essere legato a questi da rapporti di collaborazione e
rappresentanza.
Il mediatore, ha diritto ad una provvigione da ciascuna delle parti per conto delle quali ha agito,
in relazione all’affare concluso e, inoltre, ha diritto al rimborso spese sostenute per conto delle
parti, anche qualora l’affare non sia stato perfezionato: in particolare, qualora alla conclusione
dell’affare abbiano partecipano due o più mediatori, ciascuno di essi ha diritto ad una quota
della provvigione stabilita.
In particolare, il mediatore, per poter esercitare tale attività, deve essere iscritto
nell’apposito Albo degli agenti di affari in mediazione, deve essere in possesso dei necessari
requisiti morali, di competenza, civili e professionali e, inoltre, non può essere
contemporaneamente iscritto in altri albi o ruoli appartenenti al medesimo settore
merceologico, in cui egli esercita l’attività di mediazione.
5. case di import–export: sono organizzazioni commerciali operanti nell’ambito del commercio
internazionale, come commissionari d’ordine per conto di compratori esteri, raccogliendo ordini
che cercano di soddisfare con merce dell’industriale nazionale o europea.
Le case di import – export, ricavano commissioni piuttosto elevate (in considerazione degli
elevati oneri finanziari sostenuti dalle stesse) e, inoltre, operano a pronti nei confronti dei
fornitori e concedono forme di pagamento dilazionato ai clienti.
6. trading companies: sono società di commercio specializzate negli scambi internazionali,
realizzando differenti tipologie di operazioni, ossia:
operazioni estero su estero : ossia conclusione di due contratti combinanti, uno di acquisto
da un esportatore estero e uno di vendita ad un importatore estero, aventi ad oggetto la
medesima merce, la quale non transita fisicamente, ma solo finanziariamente nei paesi della
trading company;
operazioni di countertrade: ossia scambi commerciali tra paesi industrializzati e paesi in
via di sviluppo;
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Gli ausiliari del commercio, si distinguono dagli intermediari del commercio, per l’attività di produzione
da questi svolta nel rendere disponibili i necessari servizi per la realizzazione di operazioni di scambio
commerciale. Le principali figure di ausiliario del commercio sono:
1. spedizioniere (art.1737c.c.): r un agente ausiliario che si occupa del trasporto stradale,
marittimo e aereo delle merci, il quale può anche assumere la figura di commissionario d’ordine o
di vettore e, nel qual caso, ne assume i relativi diritti e obblighi.
Una particolare figura di spedizioniere, r lo spedizioniere di dogana, il quale compie una serie
di operazioni alla dogana nell’interesse del cliente (es. pagamento del canone).
2. aziende di trasporto (art.1678 c.c.): le quali, possono assumere differente forma ed
importanza, dal piccolo corriere, che opera per conto di piccoli operatori commerciali, alle
grandi imprese di trasporto aereo, marittimo e terrestre.
In relazione del tipo di trasporto effettuato, r possibile distinguere tra:
trasporto stradale: su strada ordinaria, su gomma, su strada ferrata e su ferrovia;
trasporto marittimo: incluso il trasporto fluviale e lacuale;
trasporto aereo.
In particolare, gli ausiliari che trasportano merci su strada ordinaria, sono aziende
specializzate e iscritte nell’apposito Albo Nazionale degli Autotrasportatori e sono muniti di
apposita licenza. Per quanto riguarda il trasporto di merci, che coinvolge paesi esteri, r stata
approvata la convenzione internazionale TIR in base alla quale, al fine di garantire un agevole
attraversamento degli automezzi alla dogana, gli stessi siano sottoposti a controlli nei soli paesi
di partenza e di arrivo e previa sigillatura del carico.
Per il trasporto ferroviario, la relativa operazione r comprovata dalla lettera di vettura
ferroviaria (nominativa) negli USA chiamata polizza di carico (bill of landing), generalmente
all’ordine.
Nel trasporto marittimo, l’imbarco della merce r comprovato dalla polizza di carico marittima
rilasciata dal capitano della nave al caricatore della merce.
Nel trasporto aereo, la relativa operazione r comprovata dalla lettera di carico aerea,
assimilabile alla polizza di carico del trasporto marittimo.
3. aziende di assicurazione (art.1882 c.c.): sono imprese specializzate nell’assicurare i rischi
delle merci, non soltanto durante la fase del loro trasporto, ma anche in caso di furto o incendio
contro pagamento di un “premio di assicurazione”.
Inoltre, di ausilio alle imprese italiane che esportano merci all’estero, r la SACE S.p.a.
(Istituto per i servizi assicurativi di commercio con l’estero ), inizialmente istituita come
costola dell’INA Assitalia e successivamente trasformata in ente pubblico.
4. aziende di deposito e conservazione: sono magazzini di deposito dotati di ampi spazi di
movimentazione e mezzi di ausilio meccanico. È possibile distinguere, in tale ambito, tra:
“deposito franco” o punto franco: sono depositi presenti in prossimità dei porti e dotati
di mezzi meccanici per lo scarico delle merci e, inoltre, in caso di merci provenienti
dall’estero, queste godo della c.d. franchigia doganale, ossia dell’esonero di pagare i
contributi doganali;
deposito doganale: laddove r possibile depositare merci estere, al fine di ottenere dalle
autorità doganali, il rinvio al pagamento dei diritti di confine e, inoltre, qualora le merci
depositate siano di proprietà della dogana, devono essere da questa controllate e
possono permanervi fino a 2 anni (salvo proroga);
magazzini generali: ossia depositi laddove r possibile depositare merci nazionali e/o
europeo, contro pagamento di un corrispettivo e per le quali vengono rilasciati due
documenti:
o la fede di deposito: la quale attribuisce il diritto di ritirare le merci depositate;
o la nota di pegno: la quale attribuisce un diritto di pegno sulle merci stesse.
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PA COMPRAVENDITA
Le operazioni di scambio commerciale, avvengono tra le imprese, mediante la stipula di contratti di
compravendita, i quali determinano il trasferimento della proprietà di beni economici (cose mobili e/o
immobili), dal venditore all’acquirente, contro pagamento del prezzo .
In particolare, questi contratti presentano elementi essenziali ed elementi accessori. Tra i primi vi
sono:
la merce: deve essere individuata in relazione alla sua:
o qualità: può essere identificata in differenti modi:
su merce vista o piaciuta: se la merce r interamente presente nel luogo di
contrattazione;
su campione: se il venditore mostra al compratore, solo un campione della merce
che può essere ceduta;
su campione tipo: in tal caso, il campione tipo potrebbe essere differente dalla
merce, che sarà poi consegnata al momento dell’esecuzione del contratto;
su descrizione: la merce non r mostrata dal venditore al compratore, al
momento della contrattazione, bensì r descritta in modo dettagliato, affinché
possa essere individuata da un suo punto di vista qualitativo.
o quantità: può essere determinata in relazione ad una certa unità di misura, o
considerando un certo numero di colli.
il prezzo: può essere determinato in relazione ad una certa unità di misura, ad un certo numero
di colli o considerando un particolare prodotto industriale.
Tra gli elementi accessori rientrano, invece, la condizionatura, l’imballaggio, il tempo e luogo di
consegna.
Nell’ambito della compravendita, occorre precisare che:
in caso di compravendita di cose determinate, il trasferimento della proprietà si verifica al
momento della stipulazione del contratto;
in caso di compravendita di cose determinate solo nel genere, il trasferimento della proprietà si
verifica nel momento di individuazione delle cose stesse.
In particolare, in caso di contratti di compravendita tra operatori esteri, r necessario effettuare
alcune considerazioni in merito alle diverse leggi degli stati ovvero, ai dubbi che sorgono nel momento in
cui r necessario decidere la legge di quale stato r possibile applicare al caso concreto e, pertanto, in
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alcune circostanze, gli operatori utilizzano contratti tipo predisposti dalla Camera di Commercio
Internazionale di Parigi e contenenti la disciplina in materia di trasferimento dei rischi ovvero, in altre
circostanze, la vendita può essere effettuata con un semplice ordine di fax o di posta elettronica.
In particolare, il commercio con l’estero rende necessario valutare differenti fattori quali, ad esempio:
differenti ordinamenti giuridici, diversi usi e consuetudini, diverse lingue, differenti gradi di solvibilità
ecc.…
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Pertanto, da questo si evince come, nell’ambito delle operazioni di commercio con l’estero, sia
necessario cautelarsi contro il verificarsi di eventuali “rischi”, i quali possono essere distinti in quattro
categorie:
a. rischio paese: consiste nel rischio, che le merci e i crediti in possesso di soggetti esteri, non
possano essere rimpatriati per eventi dipendenti, in tutto o in parte, dai governi locali;
b. rischio controparte: in merito alle difficoltà relative alla valutazione dell’affidabilità della
controparte;
c. rischio commerciale: in merito alla scelta della tecnica più efficiente per addivenire ad una
celere stipulazione del contratto;
d. rischio di tasso/cambio: ossia il rischio di eventuali oscillazioni dei tassi di interesse o della
divisa estera.
Ragion per cui, in considerazioni di questi fattori, che rendono più complessa la stipulazione di contratti
di compravendita, r necessario addivenire ad una graduale formazione della volontà delle parti mediante
la firma di documenti preliminari, al fine di individuare i motivi e gli obiettivi che hanno indotto le parti
a stipulare un contratto di compravendita, affinché gli stessi non possano essere successivamente
rimessi in discussione e tra i quali, il più importante, r la lettera di intenti, la quale contiene i termini
per la sua validità ed eventuale recesso anticipato, ma non r vincolante tra le parti, cui r solitamente
affiancata una confidentially agreement, ossia l’impegno delle parti nel non divulgare le informazioni di
cui verranno in possesso.
INCOTERMS
Gli Incoterms (International Commercial Terms), rappresentano un complesso di clausole commerciali
emanate dalla Camera di Commercio Internazionale di Parigi nel 1936 al fine di garantire, dopo la loro
adozione, un’interpretazione autentica, costante ed uniforme dei principali termini della compravendita
internazionale.
In particolare, l’uso di tali clausole r di carattere volontario e, inoltre, non si sostituiscono in alcun
modo alle regole generali della compravendita, disciplinando le sole obbligazioni tra acquirente e
venditore nell’ambito del commercio internazionale, e non gli eventuali rapporti con soggetti terzi, in
riferimento a:
o consegna della merce;
o costi della spedizione;
o copertura assicurativa;
o sdoganamento della merce all’importazione e all’esportazione.
Ogni termine, r costituito di tre elementi:
1. lo stadio, in cui si verifica il passaggio della proprietà delle merci dall’esportatore/venditore
all’acquirente/importatore;
2. le spese, che devono essere sostenute dall’importatore e dall’esportatore;
3. il tempo e luogo di consegna delle merci all’importatore.
Le 11 clausole Incoterms 2010, possono essere distinte in quattro gruppi:
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GRUPPO E (clausole di partenza): il venditore rende disponibili le merci nei propri locali;
GRUPPO F (clausole di partenza): il venditore consegna le merci, ma non paga il trasporto
principale, il cui costo resta a carico del paese importatore;
GRUPPO C (clausole di partenza): il venditore paga il trasporto principale, ma non si assume i
relativi rischi, i quali restano a carico del paese importatore;
GRUPPO D (clausole di arrivo): il venditore consegna le merci fino al paese di destinazione.
COUNTERTRADE
Secondo la definizione generale, le esportazioni in un determinato mercato sono condizionate
dall’accettazione delle esportazioni nello stesso mercato.
Differenti sono i vantaggi del countertrade:
aumento del commercio con l’estero;
aumento della vendita di prodotti;
ricerca di nuovi segmenti di mercato.
Gli svantaggi del countertrade sono:
sostituzione dei principi della libera concorrenza, con accordi di reciprocità e di protezionismo ;
costi addizionali in considerazione delle attività aggiuntive (da un minimo del 2%-3%, ad un
massimo del 25%-30%);
rischio di immettere sul mercato prodotti di scarsa qualità ;
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I DOCUMENTI MERCANTIPI
La consegna della merce al vettore, o ad un suo agente, consente di individuare il momento dei passaggi
dei rischi e, inoltre, consente di identificare il soggetto, che in base ad un “contratto di trasporto”, si
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assume l’obbligo di custodire le merci in buono stato e di consegnarle al compratore nel luogo di
consegna convenuto.
Pertanto, assume importanza, non solo il momento di consegna della merce al vettore, ma anche tutti
quei documenti predisposti in precedenza per poter raggiungere questo obiettivo, in riferimento ai
documenti di trasporto, ossia quei documenti che accertano l’avvenuta stipulazione del contratto di
trasporto tra vettore e mittente della merce e contenenti:
o l’attestazione di avvenuta consegna della merce al vettore;
o l’obbligo del vettore di custodire le merci in buono stato;
o le condizioni di trasporto.
In particolare, nell’ambito del commercio internazionale, i “documenti mercantili” possono essere
distinti in:
a) documenti rappresentativi: attribuiscono al loro legittimo possessore, il diritto di ritirare o
disporre di una determinata merce.
trasporto via mare:
o polizza di carico;
o polizza di imbarco;
o delivery order.
deposito in un magazzino autorizzato:
o fede di deposito e nota di pegno.
b) documenti dimostrativi: documenti che mostrano una determinata condizione della merce.
o documento assicurativo;
o documento di trasporto aereo;
o certificato di origine;
o certificato di spedizione.
c) documenti identificativi: documenti che individuano una determinata partita di merci e le
relative informazioni:
o fattura commercialista;
o lista colli;
o altri documenti o dichiarazioni
A) TRASPORTO MARITTIMO
È regolata dalla Convenzione di Bruxelles e da due protocolli di modifica. La relativa operazione r
comprovata da due distinti documenti, ossia:
polizza di carico: può essere emesso in favore di un soggetto determinato (nominativa), ovvero
essere emessa all’ordine o al portatore. Inoltre, r possibile distinguere tra:
o polizza tradizionale: il trasporto r effettuato da un punto di carico designato ad un
punto di scarico designato;
o polizza di trasporto intermodale: il trasporto r effettuato in un punto intermedio di
carico e scarico della merce e secondo differenti modalità di trasporto.
lettera di vettura del trasporto marittimo : a differenza della polizza di carico, r
necessariamente un documento non negoziabile emesso in favore di un soggetto determinato.
B) TRASPORTO AEREO
La relativa operazione r comprovata da due documenti:
AWB – Air WayBill: r un documento non negoziabile, il quale non r necessario che sia mostrato
al vettore per poter ottenere la consegna delle merci;
HAWB – House Air Way Bill: presenta le medesime caratteristiche del precedente documento.
C) TRASPORTO STRADAPE
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D) TRASPORTO FERROVIARIO
È regolato dalla Convenzione COTIF/CIM e la relativa operazione r comprovata dalla lettera di vettura
ferroviaria, ossia un documento anch’esso non rappresentativo delle merci ed emesso in favore di un
soggetto determinato (nominativa).
POPIZZA DI CARICO
È un documento rappresentativo delle merci il quale, attesta l’avvenuto imbarco delle merci su una nave,
in base ad un contratto di noleggio o ad un contratto di trasporto.
La P/C può essere preceduta dall’emissione di altri documenti, ovvero la Shopping Order e il Booking
Note (di scarsa circolazione) ed, inoltre, tutte le P/C emesse sono riepilogate sul Manifesto di Carico.
La P/C può essere distinta in:
polizza di carico pulita: se non vi sono clausole aggiuntive, che dimostrino una condizione di
difettosità della merce e/o dell’imballaggio”;
ordine di consegna: emesso al fine di ripartire una stessa partita di merci fra più compratori.
DOCUMENTO ASSICURATIVO
L’assicurazione, può essere definita come un contratto in forza del quale l’assicuratore, a fronte del
pagamento di un premio di assicurazione, si impegna a risarcire l’assicurato, nei limiti del contratto, del
danno a lui causato da un sinistro. Pertanto, elementi del contratto di assicurazione sono: rischio,
assicurato, assicuratore e premio.
Gli obblighi dell’assicurato sono:
o descrizione del rischio;
o pagamento del premio;
o comunicare il sinistro all’assicuratore;
o evitare o diminuire il danno.
L’unico obbligo dell’assicuratore r provvedere al pagamento della somma prevista al verificarsi del
sinistro.
È possibile distinguere tra tipologie di documento assicurativo:
polizza assicurativa: r il contratto di assicurazione vero e proprio, contenente tutte le
condizioni contrattuali;
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CERTIFICATO DI ORIGINE
Il certificato di origine r quel documento, che accerta l’origine di una determina merce. Tuttavia, non
sempre r agevole individuare l’esatta provenienza di una merce e, pertanto, r adottata come regola
generale quella secondo la quale, si considera come origine il paese in cui la merce ha subito la sua
ultima sostanziale trasformazione.
Altri possibili certificati sono:
certificato di fumigazione: documento che accerta o meno, se il prodotto abbia subito
trattamenti diretti ad eliminare eventuali batteri;
certificati di radioattività, analisi…: documenti diretti ad accertare il rispetto di specifici
standard di commestibilità degli alimenti;
lista colli: al fine di determinare il numero di colli, che compongono una merce al fine di poterne
organizzare l’immagazzinamento.
FATTURA
La fattura r quel documento contabile emesso da un’azienda in favore di un’altra, avente ad oggetto i
beni e servizi della compravendita.
È possibile distinguere tra:
fattura pro-forma: inviata al compratore prima della spedizione delle merci, per poter rendere
note le relative condizioni;
fattura consolare: approvata da un rappresentante consolare, al fine di verificare la regolarità
dei prezzi;
fattura provvisoria: deve essere sostituita dalla fattura definitiva.
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Dal franchising, deve essere distinto il contratto di concessione di vendita, con il quale il venditore si
impegna a non vendere la stessa merce in una zona riservata in esclusiva al compratore/concessionario ,
nell’ambito del quale, l’esclusività r reciproca, ma può anche essere unilaterale.
C) JOINT VENTURES
La joint venture consiste nella creazione ex-novo di una società controllata congiuntamente dalle
imprese, che hanno dato vita al nuovo rapporto, con percentuali di capitale non necessariamente
paritetiche, la cui finalità principale r quella di accedere a nuovi mercato con ridotti costi di
avviamento.
I vantaggi sono:
o possibilità di controllare le attività all’estero;
o condivisione e riduzione dei rischi;
o agevolazioni concesse dai governi locali.
Gli svantaggi consistono in:
o aumento della complessità gestionale e organizzativa;
o maggiori costi per potersi dotare delle necessarie struttura per poter operare congiuntamente ;
o autonomia limitata.
Per quanto riguarda la disciplina legislativa da applicare, qualora non sia disposto diversamente, si
applica l’art.4 della Convenzione di Roma, in base al quale si applica la disciplina dello Stato, sul cui
territorio, viene realizzata l’operazione economica.
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